Il caso Schereber

OSSERVAZIONI PSICOANALITICHE SU UN CASO DI PARANOIA

1909

[Premessa]

L'indagine analitica della paranoia presenta difficoltà di particolare natura per i medici che, come me, non operano nelle pubbliche istituzioni. Essendo il nostro intervento subordinato alle prospettive di successo terapeutico, ci è impossibile assumere in cura ammalati del genere e tanto meno sottoporli a un trattamento prolungato. Solo in casi eccezionali mi si offre quindi l'occasione di spingere lo sguardo nelle strutture profonde della paranoia, cioè solo quando l'incertezza della diagnosi, peraltro non sempre agevole, giustifica che si operi un tentativo di influenzare il paziente, o quando, nonostante la sicurezza della diagnosi, cedendo alle preghiere dei parenti, mi risolvo infine a prendere in cura per un certo periodo uno di questi malati. A parte questo, mi capita naturalmente spesso di vedere casi di paranoia (e di dementia praecox), e di apprendere da essi non meno di quanto altri psichiatri apprendono dai casi rispettivi; ma tutto ciò non è in genere sufficiente a trarre conclusioni decisive dal punto di vista analitico.

L'indagine psicoanalitica della paranoia sarebbe assolutamente impossibile se i malati non possedessero la prerogativa di tradire, sia pure in forma deformata, proprio ciò che gli altri nevrotici tengono celato come un segreto. Poiché i paranoici non possono essere indotti forzatamente a superare le loro resistenze interne e comunque dicono solo quel che hanno voglia di dire, proprio per questa malattia è possibile supplire alla conoscenza personale del malato con una relazione scritta o con un caso clinico stampato. Ritengo, perciò, che non sia del tutto arbitrario basare un'interpretazione psicoanalitica sulla storia della malattia di un paranoico (o, più precisamente, affetto da dementia paranoides) che non ho mai conosciuto, ma che ha descritto egli stesso il proprio caso clinico e l'ha reso pubblico attraverso la stampa.

Mi riferisco al dottore in legge Daniel Paul Schreber ex presidente della Corte d'Appello di Dresda, il cui Memorie di un malato di nervi pubblicato nel 1903, suscitò, se sono bene informato, un notevole interesse tra gli psichiatri. È possibile che il dottor Schreber sia tuttora vivente e che a tal segno oggi non si riconosca più nel sistema delirante da lui stesso descritto nel 1903, da trovar penose le osservazioni che mi accingo a fare sul suo libro. Tuttavia, nei limiti in cui è possibile identificare la sua personalità attuale con quella di allora, mi si conceda di fare appello agli stessi argomenti che quest'uomo, "di alto livello spirituale, di intelletto insolitamente acuto e con acute doti di osservazione",1 opponeva a quanti si sforzavano di distoglierlo dal suo progetto di dar l'opera alle stampe: "A questo proposito non mi sono mai nascosto le obiezioni che sembrano opporsi a una pubblicazione: si tratta in particolare di riguardi verso certe persone ancora viventi. D'altro canto io sono dell'opinione che per la scienza e per la conoscenza di verità religiose potrebbe essere una cosa preziosa se, ancora durante la mia vita, si potessero compiere alcune osservazioni da parte competente sul mio corpo stesso e a proposito del mio destino personale. Di fronte a questa considerazione deve tacere ogni scrupolo personale."2 In un altro punto del libro egli dichiara di essere deciso a tener fede al suo progetto di pubblicare le memorie, quand'anche il suo medico dottor Flechsig di Lipsia dovesse sporgere denuncia contro di lui. All'uopo egli sollecita in Flechsig gli stessi sentimenti che io dal mio canto oggi sollecito in lui: "Io spero che in tal caso anche nel consigliere segreto professor Flechsig l'interesse scientifico per il contenuto delle mie memorie prevarrebbe su eventuali risentimenti personali." (355)3

Anche se in seguito saranno riportati testualmente tutti quei brani delle Memorie che confortano le mie interpretazioni, esorto i lettori a familiarizzarsi in anticipo col libro leggendolo almeno una volta.

Note

1 Questa autocaratterizzazione, certo non priva di fondamento e per nulla arbitraria si legge a pagina 55 del libro di Schreber. [Tutti i riferimenti di pagina che nel corso del presente saggio vengono fatti rinviano al testo della traduzione italiana: Daniel Paul Schreber, Memorie di un malato di nervi, a cura di Roberto Calasso (Adelphi, Milano 1974).]

2 Ibid., prefazione, p. 11.

3 [Per tutto questo scritto i numeri in parentesi si riferiscono alle pagine del testo italiano delle Memorie di Schreber testé citato.]

1. Storia della malattia

"Io sono stato malato di nervi due volte, — scrive Schreber — ambedue le volte in seguito a una fatica intellettuale eccessiva: la prima volta (quando ero direttore del Tribunale provinciale di Chemnitz) in occasione di una candidatura al Reichstag, la seconda volta in occasione dell'eccezionale peso di lavoro che mi trovai a dovere affrontare, quando assunsi la carica, recentemente conferitami, di presidente di Corte d'Appello a Dresda." (54)

La prima malattia del dottor Schreber si manifestò nell'autunno 1884 e alla fine del 1885 poteva dirsi completamente risolta. Flechsig, nella cui clinica il paziente trascorse allora sei mesi, definì il suo stato [389], in un certificato rilasciato successivamente, come un grave at tacco di ipocondria. Il dottor Schreber ci assicura che, quella malattia si svolse "senza alcun incidente che sfiorasse la sfera del sovrasensibile". (55)

Né gli scritti che il paziente ci ha lasciato né le perizie mediche riportate alla fine del suo libro, ci forniscono esaurienti informazioni intorno aí suoi precedenti personali e alle circostanze più immediate della sua vita. Io non sarei neanche in grado di precisare quanti anni avesse il soggetto all'epoca dell'insorgenza del male, benché la elevata posizione conseguita nella carriera giudiziaria prima che la seconda malattia si manifestasse ci autorizzi a stabilire per la sua età una sorta di limite inferiore. Abbiamo appreso, inoltre, che il dottor Schreber all'epoca della sua "ipocondria" era già sposato da tempo. Egli scrive infatti: "Forse ancor più viva fu la gratitudine di mia moglie, che nel professor Flechsig venerava colui il quale le aveva ridonato il marito, e per questa ragione tenne per anni il suo ritratto sul tavolo da lavoro." (56) E subito oltre: "Dopo la mia guarigione dalla mia prima malattia ho passato con mia moglie otto anni nell'insieme assai felici, ricchi anche di onori esterni e turbati talora solo dalla ripetuta delusione della nostra speranza di avere bambini." (56)

Nel giugno 1893 fu annunciata al dottor Schreber la sua imminente nomina a presidente della Corte d'Appello; egli assunse la nuova carica il i° ottobre dello stesso anno. Fra giugno e ottobre' ebbero luogo alcuni sogni ai quali egli fu indotto solo più tardi ad attribuire importanza. Gli capitò cioè di sognare più di una volta che era tornata la sua passata malattia nervosa, cosa che in sogno lo riempiva di dolore tanto quanto si sentiva felice al risveglio, rendendosi conto che appunto non era stato che un sogno. Inoltre, una volta nelle prime ore del mattino, in uno stato tra il sonno e la veglia, gli si affacciò "la rappresentazione che dovesse essere davvero bello essere una donna che soggiace alla copula" (56), idea che in stato di piena coscienza avrebbe respinto con la più grande indignazione.

La seconda malattia si manifestò alla fine d'ottobre del 1893 con una insonnia tormentosa che lo indusse a rientrare nella clinica del dottor Flechsig, dove tuttavia il suo stato peggiorò rapidamente. Lo sviluppo ulteriore del male è descritto in una perizia rilasciata successivamente [nel 1899] dal direttore della casa di cura Sonnenstein:

"All'inizio di tale soggiorno2 egli espresse più volte idee ipocondriache, si lamentava di soffrire di rammollimento cerebrale, di dover presto morire ecc., ma nel quadro clinico cominciarono già ad affiorare idee di persecuzione derivate da allucinazioni che all'inizio parevano ancora sporadiche, mentre nello stesso tempo cominciava a manifestarsi una notevole iperestesia e grande sensibilità a luce e rumore. In seguito le allucinazioni visive e acustiche divennero più frequenti e, insieme a disturbi sensori comuni, finirono per dominare la totalità delle sue sensazioni e riflessioni; egli riteneva di esser morto e in parte già putrefatto, malato di peste, vaneggiava che il suo corpo fosse oggetto di orribili manipolazioni di ogni genere e, come ancor oggi afferma egli stesso, subiva cose più terrificanti di quel che si possa immaginare — e tutto ciò per una causa sacra. Le suggestioni morbose assorbivano a tal punto il malato che egli se ne stava per ore e ore del tutto immobile (stupor allucinatorio), inaccessibile a qualunque altra impressione, e d'altra parte lo tormentavano a tal punto che invocava la morte, sicché egli cercò ripetutamente di annegarsi nel bagno ed esigeva il `cianuro destinatogli'. Le idee deliranti assunsero gradualmente un carattere mistico e religioso; egli comunicava direttamente con Dio, era in balìa dei diavoli, vedeva 'apparizioni miracolose', udiva 'musica sacra' e giunse addirittura a credere di vivere in un altro mondo." (389-90)

È qui da aggiungere che il paziente rivolgeva contumelie all'indirizzo di varie persone, dalle quali si riteneva perseguitato o danneggiato, primo fra tutti il suo vecchio medico curante Flechsig, che chiamava "assassino di anime" e innumerevoli volte apostrofava "piccolo Flechsig", accentuando fortemente la prima parola (392). Da Lipsia egli aveva raggiunto, dopo un breve soggiorno in un altro istituto di cura, la clinica Sonnenstein nei pressi di Pirna nel giugno 1894, e vi restò fino a quando la malattia non assunse la sua configurazione definitiva. Nel corso dell'anno successivo il quadro clinico si modificò in una forma che non potremmo meglio descrivere se non facendo ricorso alle parole del direttore della clinica dottor Weber:

"Senza scendere ulteriormente in tutti i dettagli del decorso della malattia, basti rilevare come dalla più acuta psicosi iniziale, che coinvolgeva direttamente tutti gli eventi psichici, diagnosticata come follia allucinatoria, emergesse sempre più decisamente, fino a per così dire cristallizzarsi, quel quadro clinico paranoico che oggi ci troviamo di fronte." (394) Il paziente aveva da un lato sviluppato un ingegnoso sistema delirante che ha tutte le caratteristiche per attrarre il nostro interesse, e d'altro lato la sua personalità si era ricostruita e si rivelava ora all'altezza di affrontare, se si eccettua qualche disturbo isolato, i compiti dell'esistenza quotidiana.

Il dottor Weber nella sua perizia del 1899 così scrive:

"Se non si considerano i sintomi psicomotori che s'impongono subito come patologici perfino all'osservatore frettoloso, il presidente signor dr. Schreber non appare quindi né confuso né psichicamente inibito né sensibilmente leso nella sua intelligenza; egli è riflessivo, la sua memoria è eccellente, dispone di una notevole quantità di sapere non solo in materia giuridica ma in molti altri campi ed è in grado di riprodurlo in modo ordinato, ha interesse per gli avvenimenti politici, scientifici, artistici ecc. e se ne occupa costantemente... e in questo senso un osservatore che non conosca il suo stato complessivo scorgerà ben difficilmente qualcosa di anomalo. Eppure il paziente è dominato da idee di origine morbosa che si sono unite a formare un sistema conchiuso, più o meno fisso e apparentemente inaccessibile a una correzione da parte di una concezione oggettiva e di una valutazione della situazione reale." (395)

Il paziente era cambiato a tal segno che ormai si considerava capace di governare la sua esistenza da solo, e iniziò da solo le pratiche dirette a ottenere la revoca della sua interdizione e la dimissione dall'istituto di cura. Il dottor Weber, però, si opponeva a tali aspirazioni esprimendo parere contrario nelle sue relazioni mediche; tuttavia in una perizia del 190o egli non poté fare a meno di descrivere il carattere e il comportamento del paziente nei seguenti termini elogiativi: "Da circa nove mesi il sottoscritto, durante i pasti quotidiani a casa sua, ha avuto modo di intrattenersi con il signor presidente Schreber su tutti gli argomenti possibili.

Qualunque fosse l'oggetto della discussione — a eccezione naturalmente delle sue idee deliranti — sia che si toccassero i problemi dell'amministrazione dello Stato e del diritto, della politica, dell'arte, della letteratura, della vita sociale o di altro, il dottor Schreber rivelava sempre vivace interesse, cognizioni profonde, una buona memoria, un giudizio pertinente e, anche da un punto di vista etico, una concezione che non si poteva fare a meno di sottoscrivere. E anche nelle spensierate conversazioni con le signore presenti egli si mostrava amabile e gentile e sempre decente e pieno di tatto nella trattazione umoristica di alcuni argomenti e non ha mai coinvolto l'innocua conversazione a tavola nella discussione di problemi che non andrebbero esaminati in quella sede bensì nel corso di una visita medica." (405-06) In quell'epoca il dottor Schreber intervenne persino con competenza e buon senso in una questione patrimoniale alla quale era interessata tutta la sua famiglia (409, 494-95).

Nei reiterati ricorsi all'autorità giudiziaria coi quali lottava per riacquistare la libertà, il dottor Schreber non sconfessò mai le proprie idee deliranti né fece mistero del progetto di dare alle stampe le Memorie. Anzi, egli sottolineava il valore che rivestivano per la vita religiosa i pensieri che veniva esprimendo e la loro invulnerabilità di fronte agli attacchi della scienza del tempo; contemporaneamente si richiamava alla più assoluta innocuità (431) di tutte le azioni che sapeva di aver compiuto indottovi dal contenuto del suo delirio. L'acutezza del suo ingegno e la logica stringente di cui diede prova, pur essendo un paranoico conclamato, gli ottennero il successo. Infatti nel 1902 l'interdizione dai diritti civili fu revocata; e l'anno seguente le Memorie di un malato di nervi vennero pubblicate in volume, benché censurate e purgate di alcuni passi di notevole rilievo.

Nella sentenza che restituì al dottor Schreber la libertà, il contenuto del suo sistema delirante è riassunto in poche frasi: "Egli ritiene di esser chiamato a redimere il mondo e a restituire ad esso la perduta beatitudine, a condizione però di trasformarsi da uomo in donna." (465)

Una più particolareggiata esposizione del delirio nella sua configurazione definitiva ci è dato desumere dalla perizia rilasciata dal dottor Weber nel 1899:

"Il sistema delirante del paziente culmina in questo, che egli è chiamato a redimere il mondo e a riportare all'umanità la perduta beatitudine. Afferma di esser giunto a tale compito per diretta ispirazione divina, così come insegnano i profeti; infatti proprio i nervi più eccitati, quali per tanto tempo sono stati i suoi, avrebbero la proprietà di esercitare un'attrazione su Dio, ma sarebbe una questione che non permette (o comunque solo con estrema difficoltà) di esser espressa nel linguaggio umano per la sua trasformazione in donna. Non è che egli voglia diventar femmina, si tratterebbe anzi di un 'dovere' che ha le sue radici nell'Ordine del Mondo e a cui non può assolutamente sfuggire, anche se personalmente avrebbe preferito permanere nel suo degno status maschile; ormai però l'aldilà non può essere conquistato né per lui né per il resto dell'umanità se non a prezzo della sua trasformazione in donna, destinata a compiersi in lui per miracolo divino forse solo fra molti anni o decenni.

Egli è persuaso di essere l'esclusivo oggetto di miracoli divini e di conseguenza l'uomo più singolare che sia mai vissuto sulla terra; da molti anni, ad ogni ora, ad ogni minuto sperimenta nel suo corpo questi miracoli, confermati anche dalle voci che gli parlano. Nei primi anni della sua malattia avrebbe subìto, nei singoli organi del corpo, distruzioni che avrebbero portato alla morte qualunque altra persona: avrebbe vissuto per molto tempo senza stomaco, senza intestino, quasi senza polmoni, con l'esofago lacerato, senza vescica, con costole frantumate, talora insieme col cibo avrebbe ingoiato parte della sua laringe ecc., ma miracoli divini ('raggi') avrebbero sempre di nuovo ricostituito ciò che era andato distrutto ed egli perciò, finché rimane un uomo, non sarebbe affatto mortale. Tali fenomeni minacciosi sarebbero da tempo scomparsi e sarebbe invece emersa in primo piano la sua 'femminilità' che consisterebbe in un processo di sviluppo che probabilmente richiede ancora decine, forse centinaia di anni prima di giungere al compimento a cui non assisterà certo nessuno degli uomini ora viventi. Egli ha la sensazione che siano già penetrati nel suo corpo moltissimi 'nervi femminili' dai quali per diretta fecondazione da parte di Dio nasceranno nuovi uomini.

Soltanto allora potrà morire di morte naturale e avrà conquistato la beatitudine per sé e per gli altri. nel frattempo non soltanto il sole ma anche gli alberi e gli uccelli, che sarebbero come 'resti di precedenti anime umane miracolosamente trasformati', si rivolgerebbero a lui con suoni umani e ovunque intorno a lui accadrebbero cose mirabili." (395-96)

L'interesse dello psichiatra di professione per formazioni deliranti di tal genere si esaurisce comunemente con l'accertamento di quali siano i prodotti del delirio e con la valutazione dei loro effetti sul comportamento generale del malato; ma nel suo caso la meraviglia non prelude alla comprensione. Lo psicoanalista fa derivare invece, dalla propria conoscenza delle psiconevrosi, l'ipotesi che anche formazioni mentali tanto inconsuete e così lontane dal nostro comune modo di pensare traggano origine dai più comuni e comprensibili impulsi della vita psichica, e la sua aspirazione è di imparare a conoscere i motivi e i processi di questa trasformazione. Con questo intento egli si accingerà volentieri ad approfondire sia la storia evolutiva sia le singole caratteristiche del delirio.

a) I punti essenziali messi in risalto dalla perizia psichiatrica sono la missione di redentore assunta dal paziente e la sua trasformazione in donna. Il delirio di redenzione è una fantasia a noi familiare, costituendo essa assai spesso il nucleo della paranoia religiosa. L'aggiunta per cui la redenzione dovrebbe compiersi in seguito alla trasformazione dell'uomo in donna è poco comune e in sé stessa peregrina, poiché si discosta di molto dal mito storico che la fantasia del malato intende riprodurre. Si è portati a supporre, con la perizia medica, che l'ambizione di assumere la missione di redentore possa essere la forza motrice di questo complesso delirante, mentre all'evirazione3 potrebbe essere attribuito solo il significato di mezzo per raggiungere quel fine.

Senonché, pur potendosi così delineare la struttura definitiva del delirio, lo studio delle Memorie c'impone una interpretazione del tutto diversa. Apprendiamo infatti che l'idea di essere trasformato in donna (cioè di essere evirato) era stato il delirio primario di Schreber che l'aveva inizialmente giudicato un atto persecutorio che gli avrebbe recato grave danno; solo in un secondo tempo era entrato in rapporto con la missione di redenzione. Non v'è dubbio, inoltre, che in principio la trasformazione doveva compiersi al fine di un abuso sessuale, e non in funzione di finalità più elevate. In altri termini, un delirio di persecuzione sessuale si è successivamente trasformato nel paziente in megalomania religiosa. La parte di persecutore fu dapprima assegnata al medico curante, professor Flechsig; in seguito Dio stesso prese il suo posto.

Trascrivo qui testualmente i passi più significativi delle Memorie:

"In questo modo fu preparato un complotto diretto contro di me (all'incirca nel marzo o aprile del i 894), che aveva come scopo, una volta riconosciuta o supposta l'incurabilità della mia malattia nervosa, di consegnarmi a una persona in modo tale che la mia anima fosse abbandonata nelle sue mani, e il mio corpo poi — con una interpretazione dovuta a un equivoco nella succitata tendenza che sta alla base dell'Ordine del Mondo — fosse trasformato in corpo femminile, e in quanto tale abbandonato nelle mani di quella persona,4 perché ne abusasse sessualmente e poi semplicemente lo 'lasciasse perdere'5 e quindi fosse abbandonato alla putrefazione." (76)

"A questo proposito, dal punto di vista umano che allora predominava in me, era del tutto naturale che io scorgessi il mio vero nemico sempre e soltanto nel professor Flechsig o nella sua anima (più tardi vi si aggiunse anche l'anima di von W., ma di ciò si parlerà più avanti) e consideravo l'onnipotenza di Dio come mia alleata naturale, che io credevo fosse in una situazione difficile soltanto rispetto al professor Flechsig e perciò credevo di dover aiutare con tutti i mezzi possibili fino all'auto-sacrificio. Che Dio stesso fosse al corrente, se non addirittura l'autore medesimo del piano mirante all'assassinio della mia anima e all'abbandono del mio corpo in qualità di prostituta femminile, è un pensiero che solo molto più tardi mi si è imposto, anzi in parte, come mi è lecito dire, è giunto alla mia chiara consapevolezza solo durante la stesura del presente saggio." (79)

"Tutti i tentativi di commettere un assassinio dell'anima, di evirarmi per scopi contrari all'Ordine del Mondo (cioè per la soddisfazione della brama sessuale di una persona) e in seguito di distruggere il mio intelletto sono falliti. Dalla lotta, apparentemente così impari, di un singolo debole individuo con Dio medesimo, io esco vincitore, sia pure dopo molte amare sofferenze e privazioni, perché l'Ordine del Mondo è dalla mia parte." (81)

In una nota in calce alle parole "per scopi contrari all'Ordine del Mondo" Schreber riferisce l'ulteriore trasformazione del delirio di evirazione e del rapporto con Dio: "Più avanti si spiegherà ancora che l'evirazione può servire anche per altro scopo (conforme all'Ordine del Mondo), anzi forse contiene la soluzione probabile del conflitto." (81)

Queste dichiarazioni appaiono decisive per la comprensione del delirio di evirazione e quindi per l'intelligenza del caso in generale. Aggiungiamo subito che le "voci" udite dal paziente trattavano la sua trasformazione in donna sempre e soltanto come un affronto sessuale, per il quale le voci stesse si credevano in diritto di schernirlo: "Certi raggi divini6 credevano non di rado fosse loro permesso di ingiuriarmi, chiamandomi 'Miss Schreber' con riguardo alla presunta imminente evirazione." (146) "E questo sarebbe un presidente di Corte d'Appello, uno che si lascia f...?"7 o ancora "Non prova vergogna davanti alla Sua consorte?" [193]

La natura primaria della fantasia di evirazione (e la sua originaria indipendenza dall'idea di redenzione) è inoltre testimoniata dal fatto stesso della "rappresentazione" di cui si è parlato all'inizio, presentatasi a Schreber tra veglia e sonno, secondo la quale sarebbe stato bello essere una donna che soggiace alla copula (56). Questa fantasia era già divenuta cosciente nel periodo d'incubazione della malattia, ancora prima che a Dresda si facessero sentire gli effetti dell'eccesso di lavoro.

Lo stesso Schreber indica il novembre 1895 come l'epoca nella quale si stabilì la connessione tra la fantasia di evirazione e l'idea di redenzione, avviandosi in tal modo la conciliazione della seconda con la prima. "Ma ormai acquistai la incrollabile certezza che l'Ordine del Mondo richiedeva imperiosamente l'evirazione, sia che ciò a me personalmente piacesse oppure no, e che quindi per motivi razionali non mi restava altra scelta se non quella di conciliarmi con l'idea della trasformazione in donna. La conseguenza ulteriore dell'evirazione naturalmente non poteva essere se non una fecondazione da parte di raggi divini allo scopo di creare nuovi uomini." (193)

La trasformazione in donna era stato il punctum saliens, il nucleo originario del suo sistema delirante; essa risultò, inoltre, la sola parte che sopravvisse al miglioramento del malato, l'unica che riuscì a permanere nelle sue azioni concrete una volta ristabilito. "L'unica cosa che agli occhi di altri può sembrare irragionevole è la circostanza, rammentata anche dal signor esperto, che io talora sia stato sorpreso davanti allo specchio o altrove con ornamenti femminili (nastri, catenine false ecc.) a busto semidenudato. Questo del resto avviene unicamente quando sono solo, mai — finché riesco a evitarlo — in presenza di altri." (430) La confessione di tali trastulli avveniva da parte del presidente Schreber, in un'epoca (luglio 1901) nella quale egli caratterizza adeguatamente la sua salute praticamente riacquistata nei termini seguenti: "Ormai so bene che le persone che vedo di fronte a me non sono 'uomini fatti fugacemente' ma veri esseri umani e che quindi devo comportarmi nei loro confronti come una persona ragionevole suole comportarsi nel rapporto con altri uomini." (415) Contrariamente a questa manifestazione concreta della fantasia di evirazione, il paziente non fece null'altro affinché venisse riconosciuta la sua missione di redentore fuorché affidare alle stampe le sue Memorie.

b) L'atteggiamento del nostro malato nei confronti di Dio è così singolare e pieno di contraddizioni interne da richiedere una buona dose di ottimismo per conservare la speranza che in questa "follia" sia tuttavia possibile rintracciare un "metodo". Con l'ausilio delle dichiarazioni contenute nelle Memorie sul sistema teologico-psicologico del dottor Schreber, dobbiamo cercare di orientarci con maggiore precisione, e stabilire quali siano le sue opinioni intorno ai nervi, allo stato di beatitudine, alla gerarchia celeste e alle proprietà di Dio, nella loro connessione apparente (delirante). In ogni punto della teoria si nota una singolare combinazione di banalità e genialità, di elementi presi a prestito e di posizioni originali.

L'anima8 umana è contenuta nei nervi del corpo, che devono essere concepiti come conformazioni di straordinaria finezza, paragonabili ai più sottili fili di refe. Una parte di questi nervi è adatta soltanto a ricevere impressioni sensibili, mentre altri (i nervi dell'intelletto) provvedono a tutto ciò che è psichico; si stabilisce quindi la situazione per cui ogni singolo nervo dell'intelletto rappresenta tutta quanta l'individualità spirituale dell'uomo, e il numero maggiore o minore dei nervi dell'intelletto esistenti ha influenza soltanto sul tempo durante il quale le impressioni della psiche [i ricordi] possono essere fissate.9

Mentre gli uomini sono costituiti di corpo e di nervi, Dio è fin dagli inizi soltanto nervo. I nervi di Dio tuttavia non sono, come nel corpo umano, presenti solo in numero limitato, bensì infiniti o eterni. Essi possiedono tutte le qualità insite nei nervi umani in misura enormemente più grande. Con riferimento alla loro capacità di creare, cioè di trasformarsi in tutte le cose possibili nel mondo creato, essi si chiamano raggi. Tra Dio e il firmamento o il sole sussiste un rapporto intimo.10

Dopo aver provveduto alla creazione, Dio si sarebbe ritirato a distanza immane (31-32, 267) e, in generale, avrebbe abbandonato il mondo alle sue leggi. Egli si sarebbe limitato a elevare fino a Sé le anime dei defunti e soltanto in occasioni eccezionali, si sarebbe messo in collegamento con singoli uomini particolarmente dotati," e sarebbe intervenuto con un miracolo nella storia del mondo. Rapporti regolari di Dio con anime umane hanno luogo, secondo l'Ordine del Mondo, solo dopo la morte» Quando un uomo muore, le sue parti spirituali (nervi) sono sottoposte a un processo di purificazione, per essere infine ricongiunte a Dio quali "vestiboli del cielo". Così si crea un circolo eterno delle cose che forma la base dell'Ordine del Mondo. Quando Dio crea qualcosa, si aliena una parte di sé stesso, dà a una parte dei suoi nervi una figura mutata. La perdita che così, apparentemente, ne deriva viene però risarcita quando, dopo secoli e millenni, i nervi divenuti beati degli uomini defunti, ricrescono in lui come "vestiboli del cielo" (39n.).

Le anime depurate attraverso il processo di purificazione godono della beatitudine.13 Esse frattanto hanno subìto un'attenuazione dell'autocoscienza e si sono fuse con altre anime in unità superiori. È possibile che anime di grandi uomini, come quelle di un Goethe, di un Bismarck ecc., abbiano dovuto conservare la coscienza della propria identità per secoli prima di poter raggiungere i più elevati complessi di anime beate (come i "raggi di Jehova" per l'antico ebraismo o i "raggi di Zoroastro" per l'antica Persia) [37-391. Durante il processo di purificazione le anime apprendono il linguaggio usato da Dio, la cosiddetta "lingua fondamentale", "una specie di tedesco un po' arcaico ma pur sempre vigoroso, che si distingue specialmente per la grande ricchezza di eufemismi" (34).14

Dio stesso non è un'entità semplice. "Al di sopra dei `vestiboli del cielo' si librava Dio medesimo, cui in opposizione a questi 'reami anteriori di Dio' veniva data anche la denominazione di 'reami posteriori di Dio'. I reami posteriori di Dio erano sottoposti (e ancora oggi sono sottoposti) a una bipartizione particolare, in base alla quale si distingueva un dio inferiore (Ariman) e un dio superiore (Ormuzd)." (40) Circa un più preciso significato di questa bipartizione Schreber non sa dire altro se non che il dio inferiore si è sentito attratto specialmente verso i popoli di razza bruna (i semiti) mentre il dio superiore verso i popoli di razza bionda (gli ariani). Né alla conoscenza umana si potrebbe chiedere di più in questioni di tale sublimità. Comunque apprendiamo ancora che "il dio inferiore (Ariman) e il dio superiore (Ormuzd), nonostante l'unità in certo senso presente dell'onnipotenza di Dio, purtuttavia debbono essere concepiti come esseri diversi, i quali hanno ciascuno per conto proprio, e anche in rapporto l'uno con l'altro, il loro egoismo particolare e il loro particolare istinto di conservazione e perciò cercano sempre di mandarsi avanti a vicenda" (158n.). I due esseri divini si comportarono, anche durante lo stadio acuto della malattia, in maniera del tutto diversa ai danni dell'infelice Schreber.15

Il presidente Schreber, nel periodo che precedette la malattia, era stato uno scettico in materia di religione (49, 84); egli non era mai potuto giungere a una sicura fede nell'esistenza di un Dio personale. Anzi egli trae da questa circostanza della sua passata storia personale un argomento per sostenere la piena realtà del suo delirio.16 Ma chi apprenderà ciò che segue, circa gli attributi che caratterizzano il Dio di Schreber, dovrà ammettere che la trasformazione prodotta dalla paranoia non è stata molto profonda, e che nel redentore di oggi permangono molteplici aspetti dello scettico di un tempo.

L'Ordine del Mondo presenta infatti una lacuna in relazione alla quale la stessa esistenza di Dio appare messa in pericolo. Grazie a una certa correlazione intorno alla quale non è dato fornire più precisi chiarimenti, i nervi di uomini viventi, in particolare nello stato di una eccitazione assai intensa, esercitano una tale forza di attrazione sui nervi di Dio che Dio non riesce più a staccarsene e dunque è minacciato nella sua esistenza stessa (32). Questo evento straordinariamente raro si è verificato nel caso di Schreber e gli ha procurato le più grandi sofferenze. La pulsione di autoconservazione di Dio ne è stata stimolata (50-51), e si è visto che Egli è ben lungi dal possedere quella assoluta perfezione che le religioni gli attribuiscono. Lungo l'intero libro di Schreber corre l'amara recriminazione che Dio, abituato solo a rapporti coi defunti, non comprende gli uomini viventi.

"In proposito però vi è un equivoco fondamentale, che da allora attraversa tutta la mia vita come un filo rosso e che appunto si fonda sul fatto che Dio propriamente, in base all'Ordine del Mondo, non conosceva l'uomo vivente e nemmeno aveva bisogno di conoscerlo, bensì aveva, rapporti, conformemente all'Ordine del Mondo, solo con cadaveri." (75) "[Ciò]... secondo la mia convinzione, deve essere posto in relazione col fatto che Dio, per così dire, non sapeva come comportarsi con l'uomo vivente, bensì era abituato soltanto ai rapporti con i cadaveri o tutt'al più con l'uomo che giace nel sonno (sogna)." (150) E ancora: "Incredibile scriptu, vorrei aggiungere io stesso, eppure è tutto vero, per quanto altre persone non riusciranno a concepire il pensiero di una così totale incapacità di Dio a giudicare rettamente l'uomo vivente, e per quanto anch'io abbia avuto bisogno di lungo tempo per abituarmi a questo pensiero dopo le innumerevoli osservazioni fatte in proposito." (260-61)

Soltanto in forza di questo equivoco nel quale Dio incorre riguardo all'uomo vivente, poteva accadere che Dio stesso si rendesse promotore del complotto contro Schreber, che lo considerasse un idiota e lo sottoponesse alle prove più dure (278). Egli si sottoponeva a penosissime "coazioni a pensare" per sottrarsi a questo giudizio. "Ogni volta che smetto di pensare, Dio immediatamente ritiene che le mie facoltà intellettuali siano svanite, che si sia verificata la di lui auspicata distruzione dell'intelletto ridioziag e così si sia aperta la possibilità di una ritirata." (222)

Il comportamento di Dio in ordine ai bisogni di evacuare o di c... suscita la violenta rivolta di Schreber. Il brano in questione è così caratteristico che voglio citarlo per intero. Per l'intelligenza di esso premetto che sia i miracoli sia le voci provengono da Dio (cioè dai raggi divini). "A causa del suo caratteristico significato, non posso fare a meno di dedicare ancora alcune osservazioni alla domanda citata sopra: 'Perché lei non c..2', per quanto il tema che in tal modo sono costretto a trattare sia poco decente. Come tutto il resto del mio corpo, anche il bisogno di evacuazione viene provocato mediante miracoli; ciò avviene così: lo sterco negli intestini viene spinto in avanti (talora anche all'indietro) e se, in seguito a evacuazioni già avvenute, non vi è più materiale sufficiente, l'apertura del mio deretano viene imbrattata con i pochi residui del contenuto intestinale. Qui si tratta di un miracolo del dio superiore, che ogni giorno si ripete almeno molte dozzine di volte. A ciò si collega la rappresentazione, che per gli uomini è addirittura incomprensibile e che si lascia spiegare solo in base alla completa ignoranza di Dio nei riguardi dell'uomo vivente in quanto organismo, che il `c...' sia in un certo senso il mezzo estremo, che cioè si possa raggiungere, producendo il miracolo del bisogno di c..., lo scopo della distruzione dell'intelletto e sia data la possibilità di una ritirata definitiva dei raggi. Per giungere fino in fondo alle cause di questa rappresentazione, bisogna, a quanto mi sembra, pensare all'esistenza di un malinteso riguardo al significato simbolico dell'atto dell'evacuazione, che cioè colui, il quale sia giunto in un rapporto con i raggi divini corrispondente al mio, sia in un certo senso giustificato a c... su tutto il mondo.

"In pari tempo però si rivela qui tutta la perfidia 17 della politica seguìta nei miei riguardi. Praticamente, ogni volta che mi si infonde con un miracolo il bisogno dell'evacuazione, si manda al gabinetto una qualsiasi altra persona del mio ambiente, stimolandone corrispondentemente i nervi, onde impedire a me l'evacuazione; questo è un fenomeno che io ho osservato da anni così innumerevoli (migliaia di) volte e così regolarmente che è da escludere qualsiasi idea di una coincidenza casuale. Allora di fronte a me si risponde alla domanda: 'Perché lei non c...?' con questa bella risposta: 'Perché sono un cretino per così dire.' La penna quasi si ribella a scrivere la colossale assurdità secondo cui Dio effettivamente, nel suo accecamento dovuto all'ignoranza a proposito della natura umana, si spinge tanto in là da supporre che vi possa essere un uomo che per idiozia non è capace di c..., cosa che riesce a fare un qualsiasi animale. Quando poi in caso di bisogno compio veramente una evacuazione — e siccome trovo il gabinetto quasi sempre occupato, mi servo di un secchio —, ciò ogni volta si collega a un dispiegamento estremamente intenso della voluttà dell'anima. La liberazione dalla pressione causata dalle feci presenti negli intestini ha infatti per i nervi di voluttà la conseguenza di un intenso benessere; lo stesso avviene nell'orinare. Per questa ragione durante l'evacuazione e l'orinare tutti i raggi sono sempre stati uniti; per questa stessa ragione si cerca anche continuamente di annullare con un miracolo l'impulso all'evacuazione e alla minzione, sia pure quasi sempre invano, quando mi accingo a compiere queste funzioni naturali."" (240-42)

Lo strano Dio di Schreber non è neppure in grado di imparare qualcosa dall'esperienza. "Trarre un ammaestramento per il futuro da questa esperienza sembra qualcosa di impossibile a causa di certe qualità insite nell'essenza di Dio." (202) Dio può perciò fare in modo che si ripetano, identiche per anni, le stesse prove tormentose, gli stessi miracoli, le medesime voci, fino a incorrere nello scherno da parte della vittima stessa delle Sue persecuzioni.

"Da ciò risulta che Dio in quasi tutte le cose che accadono nei miei riguardi, una volta che i miracoli hanno perduto in grandissima parte i loro terribili effetti di un tempo, mi appare perlopiù come ridicolo o puerile. Da ciò consegue per il mio contegno che io spesso sono costretto dalla legittima difesa a recitare in certi casi la parte dello schernitore di Dio ad alta voce." (347-48)19

Questa critica e questa ribellione a Dio incontra tuttavia in Schreber una energica corrente contraria la quale trova espressione in numerosi passi del libro: "Ma anche qui debbo sottolineare nel modo più netto che si tratta solo di episodi i quali, come io spero, giungeranno alla loro fine al più tardi con la mia morte, che perciò il diritto di deridere Dio compete soltanto a me, ma non ad altri uomini. Per gli altri uomini Dio rimane il creatore onnipotente del cielo e della terra, la causa prima di tutte le cose e la salvezza del loro avvenire, cui spetta adorazione e massima venerazione, anche se certe rappresentazioni religiose tradizionali devono essere corrette." (348)

Per questo viene ripetutamente fatto il tentativo di giustificare il contegno di Dio verso il paziente, e, con la duttilità di tutte le teodicee, si ricorre ora alla comune natura delle anime, ora alla esigenza di autoconservazione di Dio stesso, ora infine alla perniciosa influenza dell'anima di Flechsig (79-80, 178n.). Nel complesso, però, la malattia viene concepita come una lotta dell'uomo Schreber contro Dio, dalla quale il debole uomo risulta vittorioso, poiché egli ha dalla sua parte l'Ordine del Mondo (81).

In base alle perizie mediche si potrebbe facilmente concludere che si tratta, nel caso di Schreber, di una comune forma di fantasia di redenzione. Il paziente sarebbe il figlio di Dio destinato a salvare il mondo dalla miseria o dalla decadenza imminente ecc. Per questo non ho trascurato di esporre distesamente le particolarità dei rapporti di Schreber con Dio. Quale sia il significato da attribuire a questi rapporti per il resto dell'umanità, è accennato solo di rado nelle Memorie e solo nell'ultima fase della formazione delirante. Detto significato consiste essenzialmente nel fatto che nessun defunto può raggiungere la beatitudine fino a quando la sua persona (di Schreber) assorba, per forza di attrazione, la massa fondamentale dei raggi di Dio (52). Anche l'identificazione con Cristo si pone chiaramente in luce solo molto più tardi (351-52, 442).

Non vi è alcuna prospettiva di fornire una giusta spiegazione del caso Schreber se non si tien conto di queste peculiarità della sua concezione di Dio, di questo ibrido di venerazione e di ribellione proprio dell'atteggiamento del paziente nei Suoi confronti.

Affronteremo ora un altro tema intimamente legato a Dio, e cioè quello della beatitudine. La beatitudine è anche per Schreber "la vita dell'aldilà" alla quale l'anima umana viene elevata dalla purificazione che consegue alla morte. Egli la descrive come uno stato di godimento perenne, legato alla contemplazione di Dio. Ciò è in sé poco originale; ma ci sorprende la distinzione che Schreber fa tra una beatitudine maschile e una beatitudine femminile: "La beatitudine maschile si trovava a un grado più alto della beatitudine femminile, la quale ultima sembra essere precipuamente consistita in un sentimento ininterrotto di voluttà."20 (38) Altri passi del libro denunciano a più chiare note la coincidenza tra beatitudine e voluttà, e senza alcun riferimento alla differenza di sesso; inoltre, null'altro è detto di quel tratto della beatitudine che consiste nella contemplazione di Dio. Così, per esempio: "...grazie alla quale [alla natura dei nervi di Dio], la beatitudine, ...anche se non esclusivamente, è purtuttavia, almeno nello stesso tempo, un sentimento di voluttà estremamente intenso" (71). E ancora: "La voluttà può essere considerata come un aspetto della beatitudine che per così dire viene concesso in anticipo all'uomo e ad altre creature viventi" (295); sicché, la beatitudine celeste sarebbe da intendere essenzialmente come esaltazione e prosecuzione del piacere terreno dei sensi!

Questa concezione della beatitudine non è affatto un elemento emerso nel primo stadio della malattia e poi eliminato come incompatibile col sistema delirante di Schreber. Ancora nella sua "Motivazione del ricorso in appello" (luglio 1901), il malato mette in rilievo, quale conoscenza fra le più notevoli da lui acquisite, "la stretta relazione — non ancora riconosciuta da altri uomini —che è destinata a sussistere fra la voluttà e la beatitudine degli spiriti dipartiti" (441).21

Apprenderemo poi che questa "stretta relazione" è la pietra di volta sulla quale il malato ha costruito la speranza di una conciliazione definitiva con Dio e della cessazione delle proprie sofferenze. L'ostilità dei raggi di Dio cessa non appena essi hanno l'assicurazione di potersi fare assorbire nel suo corpo con voluttà dell'anima (152n.); Dio stesso pretende poi di trovare in Schreber la voluttà (296) e lo minaccia di ritirare i suoi raggi se egli, trascurando di attendere alle cure della voluttà, non può offrirgli ciò che Egli esige da lui (335)•

Questa sorprendente sessualizzazione della beatitudine celeste ci dà l'impressione che il concetto di beatitudine di Schreber derivi dalla condensazione dei due principali significati della parola tedesca selig e cioè: "defunto" e "sensualmente felice".22 Ci è data qui inoltre l'occasione di esaminare l'atteggiamento del nostro paziente verso l'erotismo in generale, nonché di sottoporre a verifica il problema del godimento sessuale. Noi psicoanalisti abbiamo infatti ritenuto finora che le radici di tutte le malattie nervose e psichiche siano prevalentemente da individuare nella vita sessuale; a tale concezione alcuni di noi sono pervenuti esclusivamente per via empirica, altri anche in base a considerazioni teoriche.

Le testimonianze che abbiamo finora addotto dei deliri di Schreber ci consentono di escludere senz'altro il sospetto che questa malattia paranoide possa costituire il tanto atteso "caso negativo", in cui sarebbe da attribuire alla sessualità una funzione assolutamente irrisoria. Lo stesso Schreber si esprime in innumerevoli casi come se condividesse le nostre idee preconcette. Egli parla continuamente di "nervosismo" e di deviazione erotica in un sol fiato, quasi che le due cose non fossero separabili l'una dall'altra.21

Prima di ammalarsi, il presidente Schreber aveva condotto vita estremamente austera: "Sono certamente poche le persone — egli asserisce, e io non ho motivo alcuno per dubitare delle sue affermazioni — cresciute con princìpi morali così rigorosi come i miei, e che per tutta la loro vita, in particolare anche in rapporto alla vita sessuale, si siano imposti un ritegno corrispondente a questi princìpi nella misura che io posso affermare di me stesso." (294). Dopo il grave conflitto psichico di cui le manifestazioni patologiche erano i segni esteriori, l'atteggiamento di Schreber nei rispetti dell'erotismo era mutato. Egli era giunto alla convinzione che fosse suo dovere coltivare il piacere dei sensi, e che solo adempiendo a tale dovere poteva por fine al grave conflitto ch'era scoppiato in lui, e come egli pensava, intorno a lui. La voluttà, come gli assicuravano le voci, era però diventata "timorata di Dio" ed egli si rammaricava solo di non potersi dedicare a coltivarla durante l'intero giorno (299).24

Il mutamento prodotto in Schreber dalla malattia poteva, alla stregua del duplice orientamento del suo delirio, così riepilogarsi. Egli era stato un tempo incline all'ascesi in campo sessuale e uno scettico riguardo a Dio; col procedere della malattia, era divenuto credente in Dio e coltivava la voluttà con fervore. Però, come la sua riacquistata fede in Dio era di natura particolare, così pure il godimento sessuale che si era riconquistato presentava un carattere del tutto insolito. Non si trattava più di una libertà sessuale maschile, bensì di sentimenti sessuali femminili, poiché egli di fronte a Dio assumeva un atteggiamento femminile e sentiva di essere la Sua donna.25

Nessun'altra parte del delirio è illustrata dal malato con tanta ricchezza di particolari e si potrebbe dire, con tanta insistenza, come la sua pretesa trasformazione in donna. I nervi da lui assorbiti hanno assunto nel suo corpo il carattere di nervi femminili della voluttà, e hanno conferito al corpo stesso un'impronta all'incirca femminile, in particolare alla sua pelle la morbidezza ch'è peculiare al sesso femminile (107). Se esercita con la mano una leggera pressione su una parte qualsiasi del proprio corpo, egli sente la presenza di questi nervi come strutture costituite da fili o corde; queste si trovano in particolare sul suo petto, là dove nella donna è il seno. "Esercitando una pressione su queste strutture filamentose sono in grado, in particolare se penso a qualche cosa di femminile, di procurarmi una sensazione di voluttà corrispondente a quella femminile." (291) Egli sa con sicurezza che queste strutture non sono altro — quanto alla loro origine —che ex nervi divini, i quali passando nel suo corpo non possono aver perduto la loro qualità di nervi (293). Egli è in grado, per via di certo suo "disegnare" (rappresentare visivamente), di procurare a sé e ai raggi l'impressione che il suo corpo sia dotato di un seno femminile e delle parti sessuali femminili: "Il disegnare un sedere femminile sul mio corpo — honny soit qui mal y pense — è diventato per me talmente abituale che lo faccio quasi spontaneamente ogni volta che mi chino." (248) A proposito di sé egli dichiara di avere "la temerarietà di affermare che chiunque mi vedesse stare davanti allo specchio con la parte superiore del corpo denudata, e ancor più se l'illusione venisse accresciuta con qualche ornamento femminile, riceverebbe senza dubbio l'impressione di un torace femminile" (294). Egli insiste nel reclamare una visita medica perché si costati che tutto il suo corpo, dalla testa ai piedi, è disseminato di nervi di voluttà; ciò che, secondo lui, accade soltanto nel corpo della donna, mentre nell'uomo, per quanto ne sa, i nervi di voluttà si trovano soltanto nelle parti sessuali e nella loro immediata vicinanza (288). La voluttà dell'anima, sviluppatasi nel suo corpo in virtù di questo addensarsi di nervi, è così intensa che gli basta, specie quando è a letto, un minimo sforzo d'immaginazione per procurarsi un benessere dei sensi, che costituisce un presentimento abbastanza netto del piacere femminile nella copula (283).

Se ci riportiamo al sogno che il paziente ebbe nel periodo d'incubazione della sua malattia, ancor prima del trasferimento a Dresda, risulterà del tutto evidente che il suo delirio di esser trasformato in donna non è altro che la realizzazione del contenuto di quel sogno. Al sogno egli si era allora ribellato con virile indignazione, e similmente, agli inizi della sua malattia, si difese contro la sua attuazione, considerando la trasformazione in donna come un'onta che gli veniva fatta pendere sul capo con intenzione ostile. Senonché giunse il momento (novembre 1895) in cui Schreber cominciò a conciliarsi con l'idea di quella trasformazione e a metterla in rapporto con i supremi disegni di Dio. "Da allora ho iscritto sulla mia bandiera con piena coscienza la cura della femminilità." (194)

Schreber venne, col tempo, convincendosi sempre di più che Dio stesso esigeva da lui quella femminilità per il proprio soddisfacimento.

"Ma non appena — se mi è lecito esprimermi in questo modo — mi trovo solo con Dio, per me è una necessità fare in modo, con tutti i mezzi possibili, impegnando tutte le mie facoltà mentali, in particolare la mia immaginazione, che i raggi divini ricevano continuamente da me, o — poiché ciò l'uomo non può assolutamente farlo — almeno in certi momenti della giornata, l'impressione di una donna che sguazza in sensazioni voluttuose." (295)

"D'altro canto Dio pretende un godimento continuo, corrispondente alle condizioni di esistenza delle anime conformi all'Ordine del Mondo; è mio compito procurarglielo nella forma di dispiegamento più ricco della voluttà dell'anima... quel tanto di piacere dei sensi che nel far ciò tocca anche a me sono giustificato ad accettarlo come piccolo risarcimento per l'eccesso di sofferenze e di privazioni che da anni mi è stato imposto..." (296)

"...io credo addirittura, in base alle impressioni da me ricavate, di poter esprimere l'opinione secondo cui Dio non passerebbe mai a un'azione di ritirata (a causa della quale ogni volta il mio benessere fisico viene danneggiato notevolmente), bensì seguirebbe l'attrazione senza opporre resistenza e con uniformità costante, se mi fosse possibile recitare sempre la parte della donna in amplesso sessuale con me stesso, posare il mio sguardo sempre su esseri femminili, vedere sempre immagini femminili ecc." (298)

I due principali elementi del delirio di Schreber, la trasformazione in donna e il privilegiato rapporto con Dio, sono nel suo sistema collegati mediante l'atteggiamento femminile verso Dio stesso. Pertanto non possiamo sottrarci all'impegno di dimostrare che esiste fra questi due elementi una relazione genetica essenziale; altrimenti ci troveremmo, dissertando sul delirio di Schreber, nella grottesca situazione descritta da Kant nella celebre similitudine della Critica della ragion pura, dell'uomo che tiene il colatoio sotto il capro mentre un altro lo munge.

Note

1 Perciò ancor prima che potessero agire le incriminate cause del sovraffaticamento attinente alla nuova carica.

2 Nella clinica psichiatrica del professor Flechsig a Lipsia.

3 [Entmannung. Traduciamo con "evirazione", con cui rendiamo in genere il termine freudiano Kastration, ricalcando qui la traduzione italiana citata delle Denkwiirdigkeiten, in cui tale atto viene così descritto da Schreber: "L'evirazione avveniva in questo modo: gli organi sessuali maschili esterni (scroto e membro virile) venivano ritirati dentro il corpo e trasformati nei corrispondenti organi sessuali femminili, mentre contemporaneamente si trasformavano anche gli organi sessuali interni." (Schreber, Memorie cit., p. 73).]

4 Si ricava dal contesto di questo e di altri brani che l'uomo designato a perpetrare l'abuso sessuale, altri non era che il professor Flechsig. Vedi oltre

5 [In tedesco: liegen lassen, cioè letteralmente "lasciar giacere", espressione che, com'è ovvio, ha un particolare significato in questo contesto.]

6 I "raggi divini" sono identici, come risulterà alle voci che parlano la "lingua fondamentale".

7 Riporto testualmente dalle Memorie questa omissione come ogni altra peculiarità di stile. Per mio conto non avrei nessun motivo per mostrarmi riservato in materia tanto grave.

8 [Sede. Quando usato aggettivamente, il termine è stato tradotto "spirituale". Vedi, ad esempio, oltre, Seelenteilen: "parti spirituali".]

9 Le parole con le quali Schreber enuncia questa teoria sono da lui poste in corsivo, ed egli aggiunge una nota nella quale mette in risalto che tale teoria può esser utilizzata per spiegare l'ereditarietà. "Il seme maschile contiene un nervo del padre e si congiunge con un nervo preso dal corpo della madre in una unità nuova." (28) In tal modo una proprietà, che deve attribuirsi agli spermatozoi, viene trasferita ai nervi, e ciò rende verosimile che i "nervi" di Schreber trovino origine nella sfera di rappresentazioni attinenti alla sessualità. Non è infrequente nelle Memorie che una nota incidentale relativa a un aspetto della teoria delirante contenga l'indicazione desiderata circa la genesi e quindi il significato del delirio stesso.

10 A tale proposito vedi oltre quanto concerne il sole. L'identificazione (o meglio la condensazione) di nervi e raggi potrebbe aver assunto l'estensione lineare come elemento che li accomuna. I nervi-raggi hanno peraltro la stessa virtù procreatrice dei nervi-spermatozoi.

11 Nella "lingua fondamentale" ciò si chiama "stabilire con essi una congiunzione nervosa".

12 Più oltre apprenderemo quali rimproveri rivolti a Dio si colleghino a ciò.

13 Questa consiste essenzialmente in un sentimento di ininterrotta voluttà (vedi oltre). [La parola tedesca qui tradotta con "beatitudine" è Seligkeit, letteralmente "stato dell'essere beato" (selig). Selig oltreché nel senso di "beato", "santo", è usato anche per "defunto".]

14 Una volta sola fu consentito al paziente durante la sua malattia di vedere con l'occhio spirituale l'onnipotenza di Dio nella sua purezza più completa. Dio pronunciò allora la parola molto comune nella lingua fondamentale, vigorosa ma niente affatto amichevole: Carogna! (154).

15 Una nota a p. 40 delle Memorie consente di supporre che fu un passo del Manfredi di Byron a determinare la scelta di Schreber di questi nomi di dèi persiani. Ritroveremo altrove l'influenza di questo poema.

16 "Che poi nel mio caso debba trattarsi di pure illusioni dei sensi mi sembra impensabile, se non altro già dal punto di vista psicologico. Infatti l'illusione di essere in rapporto con Dio o con anime defunte non potrà naturalmente sorgere che in persone le quali hanno portato con sé nella loro condizione di eccitazione nervosa anche una sicura fede in Dio e nell'immortalità dell'anima. Ma questo, secondo quanto si è detto all'inizio di questo capitolo, non è stato per nulla il mio caso." (99)

17 In una nota Schreber si sforza qui di attenuare la crudezza della parola "perfidia" richiamandosi a uno degli argomenti che verranno poi addotti a giustificazione di Dio.

18 Questa ammissione del piacere connesso alle funzioni escretorie che noi abbiamo già conosciuto come una delle componenti autoerotiche della sessualità infantile, potrebbe essere raffrontata alle manifestazioni del piccolo Hans nell'Analisi della fobia di un bambino di cinque anni. (Caso clinico del piccolo Hans.) (1908).

19 Anche nella "lingua fondamentale" Dio non era sempre la parte che ingiuriava ma spesso l'ingiuriato; per esempio: "Accidenti, è difficile dire che il buon Dio si faccia f..." (210).

20 Tuttavia corrisponde pienamente all'appagamento di desiderio offerto dalla vita dell'aldilà, che ogni differenza di sesso sia finalmente eliminata.

Und iene himmlischen Gestalten

Sie fragen nicht nach Mann und Weib.

[E quelle creature celestiali

Non chiedono se donna o uomo io sia.]

(Mignon, dal William Meister di Goethe)

21 Circa il senso profondo che potrebbe avere questa scoperta di Schreber, vedi oltre.

22 Come esempi estremi di entrambi i significati valga l'espressione mein seliger Vater [mio padre buonanima] e le parole [della traduzione tedesca che corrisponde all'originale italiano "felice, è ver, sarei"] del duettino "Là ci darem" nel Don Giovanni:

Ja, dein zu sein auf ewig, Wie selig werd' ich sein.

[Oh, come sarò felice

Di essere tua per sempre.]

Non può essere peraltro privo di significato il fatto che la lingua tedesca impieghi il medesimo termine per due situazioni tanto differenti.

23 "Se su uno dei corpi celesti la putrefazione morale (`eccessi voluttuosi') o forse anche il nervosismo avevano talmente preso possesso di tutta l'umanità" allora — pensa Schreber, riferendosi alle storie bibliche di Sodoma e Gomorra, al diluvio universale ecc. — potrebbe essere imminente una catastrofe nel mondo (72). "Pensavo che questa notizia insomma avesse seminato paura e panico tra gli uomini, distrutto le fondamenta della religione e causato un'epidemia di nervosismo e immoralità universale, a causa della quale l'umanità sarebbe stata colpita da piaghe devastatrici." (111) "Il 'Principe dell'Inferno' era quindi verosimilmente per le anime la potenza immane che poteva svilupparsi da una decadenza morale dell'umanità o da una generale sovraeccitazione dei nervi in seguito ad eccesso di civiltà e nella forma di una potenza nemica di Dio." (189)

24 In connessione con il suo delirio sta il passo seguente: "Ma l'attrazione [cioè l'attrazione esercitata da Schreber sui nervi di Dio] finì per perdere il suo aspetto temibile per i nervi in questione, se e nella misura in cui essi, entrando nel mio corpo, incontravano la sensazione della voluttà dell'anima, cui anche loro potevano prendere parte. Allora trovavano un surrogato di eguale valore o almeno approssimativamente tale nel mio corpo in cambio della beatitudine celeste che era andata perduta e che parimenti consisteva in una specie di godimento voluttuoso." (195-96)

25 "Qualcosa di analogo alla concezione di Gesù Cristo da parte di una Vergine immacolata — una cioè che non aveva mai avuto rapporti con un uomo — è avvenuto nel mio corpo stesso. A due diverse riprese (all'epoca in cui mi trovavo ancora nell'istituto di Flechsig) ho avuto un organo sessuale femminile sia pure insufficientemente sviluppato e nel mio corpo ho sentito quei movimenti saltellanti che corrispondono ai primi segni di vita dell'embrione umano: per un miracolo divino erano stati gettati nel mio corpo nervi divini corrispondenti al seme virile; dunque era avvenuta una fecondazione." (24n.)

 

2. Tentativi d'interpretazione

Il tentativo di approfondire il senso di questa storia di un caso di paranoia, e di rintracciare in esso i complessi e le forze motrici della vita psichica che ci sono familiari potrebbe prendere le mosse da due diversi punti di vista: partendo cioè dalle manifestazioni deliranti del malato, oppure da ciò che ha dato origine occasionalmente alla sua malattia.

La prima maniera di procedere appare più suggestiva dopo il brillante esempio che Jung ci ha offerto interpretando un caso incomparabilmente più grave di dementia praecox, che presentava dei sintomi ben più lontani dalla normalità.I La grande intelligenza di Schreber e la sua comunicativa possono, a nostro parere, facilitare ulteriormente la soluzione del problema per questa via. Aggiungendo, come per inciso, un chiarimento, una citazione o un esempio a una proposizione delirante, oppure negando espressamente il valore di un'analogia che gli è venuta in mente, accade sovente che sia Schreber stesso a fornircene la chiave. Basterà in quest'ultimo caso, secondo un procedimento abituale della tecnica psicoanalitica, trascurare il rivestimento negativo, assumere l'esempio come qualcosa di realmente avvenuto, la citazione o la convalida come fonti originali, per trovarci in possesso della traduzione che cercavamo del modo di esprimersi paranoico in quello normale. È forse opportuno fornire un esempio che dilucidi questa tecnica in modo più esauriente. Schreber si duole di esser molestato dai cosiddetti "uccelli miracolati" o "uccelli parlanti" ai quali egli attribuisce una serie di bizzarre qualità (223-30). Secondo la sua convinzione, essi sarebbero costituiti da avanzi di antichi "vestiboli del cielo", cioè di anime umane un tempo beate che, cariche di veleno cadaverico, gli sarebbero state aizzate contro. Esse sono state messe in condizione di recitare "locuzioni assurde imparate a memoria che sono state 'impresse' in loro". Ogni volta che esse hanno scaricato su di lui il veleno cadaverico che era stato depositato in loro, "quando cioè hanno snocciolato le frasi che in un certo senso erano state loro impresse" si dissolvono nella sua anima, proferendo le parole "Brutto maledetto" oppure "Ah, maledetto", le uniche che sono capaci di pronunciare per esprimere un sentimento autentico. Né esse intendono il senso delle loro parole, ma hanno una naturale sensibilità per le voci che hanno un suono simile se pure non identico [assonanze]. Per esse ha poca importanza che si dica:

Santiago o Carthago

Chinesentum o [mira Christum Abendroth o Atemnot

Ariman o Ackermann ecc.2 (226)

Leggendo questa descrizione non si può fare a meno di pensare che con essa ci si voglia riferire a quelle giovani fanciulle che, quando siamo inclini alla malignità, amiamo paragonare a oche, attribuendo loro, con poca galanteria, un "cervello da uccellino"; esse — si sostiene —altro non sanno dire che frasi imparaticce e rivelano la loro mancanza di cultura scambiando parole straniere di suono similare. Il "Brutto maledetto", la sola cosa che le interessa davvero, rappresenterebbe, poi, il trionfo del giovanotto che ha appreso a imporsi su di loro. Ed ecco che qualche pagina più avanti ci si imbatte in un passo di Schreber che conferma questa interpretazione: "A un gran numero delle altre anime di uccello ho affibbiato per scherzo, onde distinguerle, nomi di ragazze, giacché esse tutte possono essere paragonate per la loro curiosità, la loro tendenza alla voluttà ecc. soprattutto con delle ragazzine. Questi nomi di ragazze sono stati ripresi in parte anche dai raggi divini e conservati per designare le rispettive anime di uccello." (229) Da questa interpretazione per nulla laboriosa degli "uccelli miracolati" si ricava una indicazione per la intelligenza degli enigmatici "vestiboli del cielo".

Non mi nascondo che occorre una buona dose di tatto e di riserbo quando nel lavoro analitico ci si discosta dagli esempi tipici d'interpretazione, e che l'uditore o il lettore possono essere disposti a seguirci solo fin dove lo consenta la familiarità che hanno acquisito con la tecnica psicoanalitica. È giusto pertanto vigilare affinché a un più elevato impiego di finezza interpretativa non corrisponda una riduzione della certezza e dell'attendibilità dei risultati. Detto questo, è nell'ordine naturale delle cose che uno studioso esageri in cautela, un altro in audacia. I precisi limiti della legittimità di un'interpretazione analitica potranno essere tracciati solo in seguito a più tentativi, e man mano che la nostra conoscenza dell'oggetto dell'indagine si approfondisce. Nella elaborazione del caso Schreber una limitazione mi viene anche imposta dalla circostanza che gli ostacoli alla pubblicazione delle Memorie hanno avuto comunque l'effetto di sottrarre alla nostra conoscenza una parte notevole del materiale, e probabilmente la più significativa per l'intelligenza del caso.3 Così, ad esempio, il terzo capitolo del libro che contiene il seguente promettente preambolo: "Voglio ora prima di tutto trattare certi eventi riguardanti altri membri della mia famiglia, di cui si può pensare che si trovino in relazione col presupposto assassinio dell'anima, e che in ogni caso, tutti quanti, rivelano un'impronta più o meno enigmatica e difficilmente spiegabile sulla base di altre esperienze umane", si chiude subito dopo con la frase: "Il contenuto ulteriore del capitolo viene tralasciato in quanto non adatto alla pubblicazione." (53) Dovrò quindi dichiararmi soddisfatto, se riuscirò a ricondurre, con qualche certezza, il nucleo del sistema delirante di Schreber a un'origine che proceda da motivi umani a noi familiari.

Con questo intendimento desidero riportare ancora un breve tratto della storia della malattia che nelle perizie mediche non fu convenientemente valorizzato, benché il malato stesso facesse di tutto per metterlo in primo piano. Parlo dei rapporti del dottor Schreber col suo primo medico, il consigliere segreto professor Flechsig di Lipsia.

Già sappiamo che il caso Schreber aveva in origine il carattere di delirio di persecuzione, carattere che si attenuò solo dal momento in cui la sua malattia ebbe una svolta (con la "conciliazione"). Le persecuzioni divengono da quel momento in poi sempre più sopportabili, a quanto v'era di ingiurioso nella minacciata evirazione comincia a subentrare uno scopo conforme all'Ordine del Mondo. Comunque il primo artefice di tutte le persecuzioni è Flechsig ed egli ne rimane il promotore durante l'intero corso della malattia.4

Quale propriamente fosse il misfatto di Flechsig e quali ne fossero i motivi ce lo espone il malato con quella caratteristica imprecisione e inafferrabilità nella quale — se è lecito giudicare la paranoia sul modello, a noi ben più noto, del sogno — è dato riconoscere il segno di un lavoro particolarmente intenso di formazione del delirio. Flechsig, secondo il malato, ha commesso o tentato di commettere un "assassinio dell'anima" su di lui, cioè un atto paragonabile in un certo senso agli sforzi del Diavolo e dei demòni per impadronirsi di un'anima, e forse sul modello di eventi precorsi tra membri delle famiglie dei Flechsig e degli Schreber da tempo deceduti (42-47). Si vorrebbe essere meglio informati sul significato di questo assassinio, ma qui vengono di nuovo meno, e in maniera tendenziosa, le fonti: "Io non sono in grado di dire, a parte ciò che ho accennato sopra, in che cosa consista la natura vera e propria di un assassinio dell'anima e per così dire la sua tecnica. Vi sarebbe forse da aggiungere solamente (segue un passo che non è adatto per la pubblicazione)." (48) A causa di tale omissione ci rimane impenetrabile il senso che l'"assassinio dell'anima" aveva per Schreber. Menzioneremo in altro luogo la sola indicazione che sia in proposito sfuggita alla censura.

Comunque, ben presto il delirio subì un ulteriore sviluppo, attinente ai rapporti del malato con Dio, senza che con ciò si modificassero quelli nei confronti di Flechsig. Se Schreber aveva fino allora riconosciuto in Flechsig (o piuttosto nella sua anima) l'unico suo vero nemico, considerando l'onnipotenza di Dio come propria alleata, ora non poteva più respingere l'idea che Dio stesso fosse al corrente se non addirittura l'autore del piano ordito contro di lui (79). Flechsig rimaneva però l'istigatore principale al cui influsso Dio era sottoposto (8o). Egli era riuscito nel frattempo con tutta la sua anima o con una parte di essa a slanciarsi verso il cielo e a farsi con ciò — senza la morte e la preliminare purificazione —"condottiero di raggi" (76).5 L'anima di Flechsig conservò questa funzione anche dopo il trasferimento del malato dalla clinica di Lipsia alla casa di cura del dottor Pierson. L'influenza del nuovo ambiente si palesò allora nel fatto che l'anima di Flechsig si congiunse con quella dell'infermiere capo, in cui il malato riconobbe un suo antico coinquilino, come anima di von W.6 L'anima di Flechsig introdusse infatti il sistema della "partizione delle anime", che assunse grandi proporzioni. A un certo momento esistettero da quaranta a sessanta parti dell'anima di Flechsig, delle quali le due più grosse venivano chiamate "Flechsig superiore" e "Flechsig medio". Nello stesso modo si comportò l'anima di von. W. (cioè quella dell'infermiere capo) (13o). Talora faceva anzi un effetto comico vedere come, nonostante l'alleanza stipulata, queste due anime [quella di Flechsig e quella di von W.] lottassero fra loro, entrando in conflitto l'orgoglio nobiliare dell'una con l'albagia professionale dell'altra (132). L'anima del nuovo medico dottor Weber entrò in azione nelle prime settimane del soggiorno definitivo di Schreber a Sonnenstein (estate 1894), e subito dopo interveniva nell'evoluzione del delirio quella svolta che abbiamo imparato a conoscere come la sua "conciliazione".

Durante l'ultima parte del soggiorno di Schreber a Sonnenstein, mentre Dio cominciava a meglio apprezzare il malato, tra le anime, che si erano nel frattempo fastidiosamente moltiplicate, ebbe luogo una razzia, in conseguenza della quale l'anima di Flechsig rimase presente soltanto in una o due figure e quella di von W. in un'unica figura. Quest'ultima ben presto scomparve del tutto; le parti dell'anima di Flechsig, lentamente svuotate della loro intelligenza e potenza, vennero invece denominate "Flechsig posteriore" e "partito dell'ebbene" [208-10]. Sappiamo tuttavia, dalla "Lettera aperta al signor consigliere segreto professor dottor Flechsig" che precede le Memorie di Schreber che l'anima di Flechsig conservò fino alla fine la sua importanza.

In questo singolare documento viene espressa la ferma convinzione che il medico stesso dal quale Schreber è influenzato abbia avuto le medesime visioni del malato e le medesime rivelazioni intorno a cose sovrasensibili; esso smentisce inoltre preliminarmente che l'autore delle Memorie nutra il benché minimo proposito di attaccare l'onore del medico. La stessa cosa egli ripete con insistenza e serietà nel ricorso (356, 443), nel quale si nota come Schreber si sforzi di distinguere l'"anima di Flechsig" dall'uomo vivente che risponde a questo nome, il Flechsig in carne e ossa dal Flechsig del delirio?

Dallo studio di una serie di deliri di persecuzione, io e altri studiosi abbiamo tratto l'impressione che il rapporto tra il malato e il suo persecutore si possa risolvere in una formula assai semplice.8 La persona alla quale il delirio ascrive sì grande influenza e potenza, nelle cui mani fan capo tutte le fila del complotto, nel caso in cui venga esplicitamente menzionata, è la stessa persona che prima della malattia aveva una parte altrettanto importante nella vita sentimentale del paziente o un suo sostituto facilmente riconoscibile. L'importanza affettiva è proiettata al di fuori come potenza esterna, mentre l'accento sentimentale si tramuta nel suo contrario: colui che ora è odiato e temuto come persecutore era un tempo oggetto d'amore e di venerazione. La persecuzione istituita dal delirio serve soprattutto a giustificare il mutamento avvenuto nell'atteggiamento sentimentale del paziente.

Consideriamo ora da questo punto di vista i passati rapporti tra il paziente e il suo medico e persecutore Flechsig. Sappiamo già che Schreber negli anni 1884 e 1885 fu afflitto da una prima infermità nervosa, che si svolse "senza alcun incidente che sfiorasse la sfera del sovrasensibile" (55). Durante questo stato di "ipocondria" — come allora venne qualificato —, e che pare essersi contenuto nei limiti di una nevrosi, Flechsig era il medico curante dell'infermo. Schreber soggiornò allora per sei mesi nella clinica universitaria di Lipsia, e si apprende che, ristabilitosi in salute, conservò un buon ricordo del suo medico: "La cosa principale era che io alla fine (dopo un lungo viaggio di convalescenza) mi trovai guarito, e allora non potei non sentirmi riempito da sentimenti di viva gratitudine verso il professor Flechsig, cosa a cui ho dato inoltre particolare espressione sia con una visita che poi gli feci, sia con un onorario, secondo me, adeguato." (55-56)

Vero è che Schreber nelle Memorie non esprime un apprezzamento incondizionato nei confronti di questo primo trattamento di Flechsig; ma ciò è facilmente comprensibile se consideriamo che il suo atteggiamento si è ora mutato nell'opposto. L'originario calore dei sentimenti di Schreber per il medico che l'aveva curato con successo si desume dall'osservazione che segue la citazione precedente: "Forse ancor più viva fu la gratitudine di mia moglie, che nel professor Flechsig venerava colui il quale le aveva ridonato il marito, e per questa ragione tenne per anni il suo ritratto sul tavolo di lavoro." (56)

Poiché ci è sbarrata la strada alla penetrazione delle cause che hanno dato origine alla prima infermità, la cui conoscenza ci sarebbe certamente preziosissima per la delucidazione della seconda grave malattia di Schreber, siamo costretti a spingerci a casaccio in un contesto di circostanze a noi ignote. Sappiamo che nel periodo d'incubazione della malattia (tra la nomina e l'assunzione del nuovo ufficio, dal giugno all'ottobre 1893), Schreber sognò ripetutamente che la sua passata malattia nervosa era tornata. Una volta inoltre, tra veglia e sonno, aveva avuto la sensazione che dopo tutto dovesse esser bello essere una donna che soggiace alla copula [56]. Se ora mettiamo in rapporto anche dal punto di vista del contenuto questi sogni con questa rappresentazione fantastica che Schreber riferisce immediatamente dopo ne dedurremo che col ricordo della malattia si risvegliava in Schreber anche quello del medico, e che l'atteggiamento femminile assunto nella fantasia si riferiva fin dall'inizio a costui. O forse il sogno che la malattia era tornata rivestiva il senso di una nostalgia del tipo: "magari potessi rivedere Flechsig".

La nostra ignoranza riguardo al contenuto psichico della prima malattia non ci consente di andar più lontano. È probabile che si fosse serbato in lui, dal precedente stato morboso, un tenero attaccamento per il medico, che ora — per motivi sconosciuti — si è intensificato fino a raggiungere le caratteristiche di un'inclinazione erotica. Tosto si determinò una indignata ripulsa della fantasia di femminilità che aveva ancora carattere impersonale, una vera e propria "protesta virile" secondo l'espressione adleriana, ma non nel senso di Adler.9 Senonché, con l'insorgere subito dopo della grave psicosi, la fantasia femminile si impose irresistibilmente e basta correggere solo lievemente l'imprecisione paranoica del modo di esprimersi di Schreber per intuire che il malato temeva che proprio il medico commettesse su di lui un abuso sessuale. La causa determinante di questa malattia fu dunque un assalto di libido omosessuale, il cui oggetto in origine fu, con ogni probabilità, il dottor Flechsig, e la lotta contro questo impulso libidico provocò il conflitto che generò le manifestazioni patologiche.

Mi arresto per un attimo, davanti a un diluvio di rimostranze e obiezioni; del resto, chi conosce lo stato della psichiatria odierna sa quali difficoltà dobbiamo esser pronti a fronteggiare.

"Non è forse prova di irresponsabile leggerezza, di somma indiscrezione e calunnia tacciare di omosessualità un uomo di altissimo livello morale come il presidente Schreber?" No. Il malato stesso ha comunicato al mondo che lo circonda la sua fantasia di essere trasformato in donna, e, nell'interesse di un disegno più alto, si è posto al di sopra di ogni personale suscettibilità. Egli ci ha in tal modo conferito il diritto di occuparci di questa fantasia; l'averla noi tradotta nei termini tecnici della scienza medica, non ha aggiunto proprio nulla al suo contenuto. "Sì, ma quando egli l'ha fatto era malato. La sua idea delirante di essere trasformato in donna era dunque un'idea attinente al suo male." Tutto ciò non l'abbiamo affatto dimenticato. Ci siamo occupati infatti unicamente del senso e dell'origine di quell'idea come idea morbosa, richiamandoci alla stessa distinzione che il malato fa tra Flechsig uomo e "Flechsig anima". Peraltro, noi non abbiamo proprio nulla da rimproverare a Schreber, né di aver avuto impulsi omosessuali né di essersi sforzato di rimuoverli. Sono piuttosto gli psichiatri che hanno molto da imparare da questo malato, che si sforza, malgrado il suo delirio, di non confondere il mondo dell'inconscio col mondo reale.

"Ma in nessun luogo è detto esplicitamente che la temuta trasformazione in donna dovesse compiersi a profitto di Flechsig." È vero; ma non è difficile comprendere come mai nelle Memorie che Schreber aveva destinato alla pubblicazione, e nelle quali non voleva offendere l'"uomo Flechsig", un'imputazione così brutale sia stata evitata. Tuttavia l'attenuazione formale dovuta a un riguardo di questo tipo non giunge a dissimulare il vero significato dell'accusa. Si può sostenere, ad esempio, che un'esplicita indicazione è già contenuta nel passo seguente: "In questo modo fu preparato un complotto diretto contro di me (all'incirca nel marzo o aprile del 1894), che aveva come scopo, una volta riconosciuta o supposta l'incurabilità della mia malattia nervosa, di consegnarmi a una persona in modo tale che la mia anima fosse abbandonata nelle sue mani, e il mio corpo poi... fosse trasformato in corpo femminile, e in quanto tale abbandonato nelle mani di quella persona, perché ne abusasse sessualmente..." 10 (76)

È superfluo osservare che nessun'altra persona singola che potrebbe figurare al posto di Flechsig viene mai nominata. Alla fine del soggiorno nella clinica di Lipsia, sorge in Schreber il timore di essere abbandonato in preda ai guardiani della clinica "perché ne abusassero sessualmente" (117). E l'atteggiamento femminile verso Dio, ammesso senza timore negli stadi ulteriori del delirio, dissolve ogni dubbio residuo circa il ruolo originariamente attribuito al medico. Nel libro risuona forte l'altro rimprovero: Flechsig avrebbe tentato di compiere su di lui, Schreber, un assassinio dell'anima. Sappiamo peraltro che la reale natura di questo delitto non è chiara per lo stesso paziente, ma che esso sta in rapporto con cose tanto delicate da dover essere sottratte alla pubblicazione (come vediamo dall'abolizione del terzo capitolo). A partire da questo punto un unico filo ci guida innanzi. L'assassinio dell'anima è illustrato con riferimento al contenuto della saga del Faust di Goethe, del Manfredi di Lord Byron, del Franco cacciatore di Weber ecc. (42-43), e anzi, uno di tali esempi è richiamato anche altrove. Allorché Schreber discute della scissione di Dio in due persone, il "dio inferiore" e quello "superiore", questi vengono identificati con Ari-man e Ormuzd (40) e poco oltre si osserva incidentalmente [in nota]: "Il nome Ariman del resto si trova, per esempio, anche nel Manfredi di Lord Byron, in connessione con un assassinio dell'anima." (40) Ora, in quell'eccellente poema drammatico non si trova nulla che possa essere accostato al patto relativo all'anima del Faust e invano vi ho cercato la locuzione "assassinio dell'anima". L'essenza e il segreto del poema consistono invece in un incesto tra fratello e sorella. E qui il breve filo si spezza di nuovo.11

Mentre ci riserviamo di tornare su altre obiezioni nel corso di questo lavoro, riteniamo di poter fin d'ora dichiarare che il fondamento sul quale si è sviluppata la malattia di Schreber è stato l'esplosione di un impulso omosessuale. Concorda con questa supposizione un particolare degno di nota della storia clinica che non troverebbe altrimenti spiegazione attendibile. Un nuovo "crollo nervoso", decisivo per il decorso del male, si manifestò nel paziente allorché sua moglie prese un breve periodo di vacanza per riposarsi. Fino a quel momento ella aveva trascorso tutti i giorni alcune ore in compagnia del marito, e aveva preso con lui i pasti di mezzogiorno. Rientrando dopo un'assenza di quattro giorni, trovò che Schreber aveva fatto un così triste cambiamento da non desiderare neppure di vederla più. "Per il mio crollo spirituale fu decisiva, in particolare, una notte durante la quale ebbi un numero assolutamente insolito di polluzioni (all'incirca una mezza dozzina)." (64) È ben comprensibile che la semplice presenza della moglie esplicasse un'influenza protettiva contro l'attrazione che sul paziente esercitavano gli uomini che gli stavano attorno; ora, se ammettiamo che negli adulti una polluzione non possa prodursi senza partecipazione psichica, siamo autorizzati ad aggiungere che quelle polluzioni erano in connessione con fantasie omosessuali rimaste inconsce.

In difetto di notizie biografiche più precise, non ci è possibile stabilire perché questa esplosione di libido omosessuale si sia manifestata nel paziente proprio in quel periodo, cioè tra la nuova nomina e il trasferimento a Dresda. In genere ogni uomo oscilla nel corso della sua esistenza tra sentimenti eterosessuali e omosessuali, e ogni frustrazione o delusione in una direzione tende a sospingerlo verso l'altra. Nulla sappiamo di momenti del genere nel caso di Schreber; non vogliamo tuttavia trascurare di porre in rilievo un fattore somatico che potrebbe rivelarsi molto importante. Il dottor Schreber, all'epoca di questa malattia, aveva 51 anni e si trovava in quel periodo critico della vita sessuale nel quale, dopo una fase di intensificata attività, la funzione sessuale della donna comincia a subire un'involuzione al cui influsso non sembra potersi sottrarre neanche l'uomo. Anche per l'uomo esiste un "climaterio" con le disposizioni morbose che ad esso conseguono.12

Immagino quanto azzardata debba apparire l'ipotesi che un sentimento di simpatia nutrito da un uomo per un medico possa, otto anni dopo," in seguito a un improvviso rafforzamento, prorompere e dare luogo a un così grave perturbamento psichico. Ma dal momento che questa ipotesi si impone in qualche modo al nostro giudizio, penso che avremmo torto se la lasciassimo cadere a causa della sua intrinseca inverosimiglianza, invece di cercare fin dove essa ci può condurre. Questa inverosimiglianza, per vero, potrebbe essere soltanto transitoria e dovuta alla circostanza che l'ipotesi non è ancora inscritta in un contesto, che essa, cioè, è la prima ipotesi con cui ci accostiamo al problema. A chi, non sentendosi di sospendere il proprio giudizio, dovesse reputarla insostenibile, è facile suggerire una possibilità che consente di sottrarle il suo carattere peregrino. Il sentimento di simpatia di Schreber verso il medico può ben avere avuto origine da un processo di traslazione in virtù del quale un investimento affettivo del malato è stato trasposto da una persona per lui molto importante sulla persona del medico che in realtà gli era indifferente; così che il medico appare essere stato scelto come persona sostitutiva, come surrogato di qualcuno che a Schreber era ben più vicino. Più concretamente, attraverso il medico possono esser state riportate alla memoria del malato le figure del fratello o del padre, nel medico egli può aver ritrovato l'uno o l'altro di essi: in questo caso non vi è più nulla di strano se, in determinate circostanze, la nostalgia di questa persona sostitutiva rinasce in lui e agisce con una intensità che può essere spiegata solo tenendo conto della sua fonte e del suo originario significato.

Al fine di proseguire questo tentativo di spiegazione, ho ritenuto naturalmente che valesse la pena di scoprire se il padre del paziente vivesse ancora al tempo della sua malattia, nonché se il paziente avesse un fratello, e se questi, all'epoca, vivesse ancora o fosse un "defunto". Sono perciò stato assai lieto di imbattermi, dopo lunghe ricerche, in un passo delle Memorie in cui il malato dissipa ogni dubbio in proposito: "La memoria di mio padre e di mio fratello... mi sono così sacre quanto..." eccetera (44o). Entrambi erano dunque già morti all'epoca dell'inizio della seconda malattia (e forse anche al tempo della prima).

Penso che a questo punto non abbiamo altre ragioni per opporci all'ipotesi che la causa immediata della malattia di Schreber è stata una fantasia di desiderio femminile (cioè omosessuale passiva) che ha scelto come proprio oggetto la persona del medico. La personalità di Schreber ha opposto una intensa resistenza contro questa fantasia e la lotta difensiva che ne è risultata, fra le forme diverse che avrebbe potuto assumere, ha scelto, per motivi che ci sono ignoti, quella del delirio di persecuzione. La persona agognata diventa ora il persecutore e il contenuto della fantasia di desiderio diventa il contenuto della persecuzione. Presumiamo che questo schema generale si dimostri applicabile anche ad altri casi di delirio di persecuzione. Ciò che tuttavia differenzia dagli altri il caso di Schreber è lo sviluppo assunto da questo delirio e i mutamenti intervenuti nel corso di questo sviluppo.

Una di queste trasformazioni consiste nella sostituzione della persona di Flechsig con la più alta figura di Dio; a tutta prima ciò sembra significare un'acutizzazione del conflitto, un intensificarsi intollerabile della persecuzione, ma si vedrà ben presto che questa prima trasformazione del delirio ne prepara una seconda e con essa la soluzione del conflitto. Se era impossibile per Schreber prender confidenza con la parte della prostituta che si concede al suo medico, il compito di offrire a Dio stesso la pienezza di voluttà che Egli cerca, non urta contro la stessa resistenza da parte dell'Io di Schreber. L'evirazione non è più un oltraggio, essa diventa "conforme all'Ordine del Mondo", entra a far parte di un grande disegno cosmico, serve alle finalità di una rinnovata creazione del genere umano dopo che esso è giunto alla sua fine. "Nuovi uomini dallo spirito di Schreber" [301] onoreranno in colui che oggi si ritiene vittima di una persecuzione il proprio capostipite. È trovata in tal modo una via di sfogo soddisfacente per entrambe le istanze in conflitto: l'Io di Schreber si compensa nel delirio di grandezza, mentre alla fantasia femminile di desiderio è stato consentito di affermarsi e rendersi accettabile. Conflitto e malattia possono ora cessare. Ma il senso della realtà, che nel frattempo si era rinvigorito, costringe ora l'infermo a rinviare dal presente a un lontano avvenire la soluzione, a soddisfarsi cioè di un appagamento di desiderio per così dire asintotico.14 La sua trasformazione in donna avverrà un giorno secondo le sue previsioni, ma fino a quel momento la personalità del dottor Schreber rimarrà indefettibile.

Nei trattati di psichiatria si legge spesso che lo sviluppo del delirio di grandezza prenderebbe le mosse dal delirio di persecuzione nel modo seguente: il malato, che è stato originariamente afflitto dal delirio di essere fatto oggetto di persecuzione da parte delle più formidabili potenze, sentirebbe il bisogno di spiegare a sé stesso questa persecuzione e giungerebbe a credersi una personalità straordinaria, meritevole di tale persecuzione. Lo sfociare nel delirio di grandezza viene in tal modo ascritto a un processo che potremmo chiamare di "razionalizzazione" avvalendoci di una felice espressione di Ernest Jones. Noi, però, consideriamo che attribuire a una razionalizzazione conseguenze affettive tanto imponenti sia un modo di procedere che nulla ha a che fare con la psicologia e desideriamo pertanto distinguere nettamente la nostra opinione da quella dei succitati trattati; con ciò non presumiamo ancora di conoscere l'origine del delirio di grandezza.

Tornando al caso Schreber, dobbiamo ammettere che ogni tentativo per delucidare la trasformazione del suo delirio presenta enormi difficoltà. Per quali vie e con quali mezzi si effettua l'ascesa da Flechsig a Dio? A quale sorgente attinge Schreber il delirio di grandezza che gli permette di conciliarsi felicemente con la persecuzione di cui crede di esser vittima, o, espresso in termini analitici, di accettare la fantasia di desiderio che aveva dovuto soccombere alla rimozione? Le Memorie ci offrono in merito una prima indicazione nello svelarci che, per il malato, "Flechsig" e "Dio" sono situati sulla stessa linea. In una delle sue fantasie egli immagina di sorprendere una conversazione tra Flechsig e sua moglie, nella quale il primo si presenta come "Dio Flechsig" e perciò viene dalla donna ritenuto pazzo (loz). Ma un altro tratto del sistema delirante di Schreber è destinato ad attrarre la nostra attenzione: il persecutore — se esaminiamo il delirio nel suo insieme — si scompone nelle persone di Flechsig e di Dio; a sua volta Flechsig stesso più tardi si scinde in due persone, cioè nel Flechsig "superiore" e nel Flechsig "medio", e Dio in un dio "inferiore" e in un dio "superiore". Nello stadio ulteriore della malattia la scomposizione di Flechsig procede ancora oltre (209-1o). È questo un tratto assai caratteristico della paranoia. La paranoia scompare laddove l'isteria condensa. O meglio: la paranoia risolve di nuovo nei loro elementi le condensazioni e le identificazioni avvenute nella fantasia inconscia. Il fatto che tale processo di scomposizione si ripeta nel caso Schreber più volte, indicherebbe secondo Jung15 l'importanza che ha per lui la persona in questione. Tutti questi frazionamenti di Flechsig e di Dio in più persone equivalgono né più né meno alla bipartizione della figura del persecutore in Flechsig e in Dio. Si tratta di duplicati dello stesso significativo rapporto, verificatisi secondo lo stesso processo che Otto Rank ha individuato nella formazione dei miti.16 Ma per interpretare tutti questi aspetti particolari ci resta ancora da indicare che la figura persecutoria si è scomposta in Flechsig e Dio, intendendo questo fatto come reazione paranoica a un'identificazione precedentemente istituita tra le due figure, ovvero alla loro appartenenza a una medesima serie. Se il persecutore Flechsig era a suo tempo una persona amata, allora anche la figura di Dio non può che essere la ricomparsa di qualche altra persona ugualmente amata, ma probabilmente d'importanza maggiore.

Se procediamo, come ci sembra giusto, da questo corso di pensieri, dovremo ammettere che quest'altra persona non può essere altri che il padre di Schreber e ciò rende ancor più evidente che a Flechsig va assegnato il ruolo del fratello (presumibilmente maggiore di lui).17 La radice di questa fantasia femminile, che scatenò una reazione negativa così imponente nell'animo del malato, sarebbe dunque la nostalgia, pervenuta ad esaltazione erotica, di suo padre e di suo fratello; la nostalgia relativa a quest'ultimo passò, per traslazione, sulla persona del medico Flechsig, mentre col suo ricondursi alla persona del padre fu conseguita la ricomposizione del conflitto.

L'introduzione della figura del padre nel delirio di Schreber ci apparirà giustificata solo se gioverà alla nostra intelligenza del delirio aiutandoci a chiarirne taluni particolari che finora non riusciamo a spiegarci. Ricordiamo bene le strane caratteristiche del Dio di Schreber e del rapporto di Schreber con il suo Dio. In essi abbiamo rinvenuto, mescolati in modo assai singolare, critica blasfema e violenta ribellione con atteggiamenti di devozione rispettosissima. Dio, che soggiaceva all'influenza corruttrice di Flechsig, era incapace di trarre insegnamento dall'esperienza, non comprendeva gli uomini viventi dal momento che era avvezzo ad avere rapporti solo con i cadaveri e manifestava la propria potenza in una serie di miracoli i quali, per appariscenti che fossero, erano in fondo futili e sciocchi.

Ora il padre del presidente Schreber non era stato un uomo insignificante. Era il dottor Daniel Gottlob Moritz Schreber, la cui memoria, grazie alle innumerevoli Associazioni Schreber fiorenti soprattutto in Sassonia, è viva ancor oggi; egli era un medico i cui sforzi diretti a uno sviluppo armonico della gioventù, al coordinamento dell'educazione familiare con quella scolastica, alla elevazione del livello sanitario dei giovani attraverso la cultura fisica e il lavoro manuale, hanno esercitato un'influenza duratura sui suoi contemporanei» Della sua fama quale fondatore in Germania della ginnastica terapeutica testimoniano ancora le numerose edizioni [circa quaranta] della sua Arztliche Zimmergymnastik [Ginnastica medica da camera] assai diffuse nei nostri ambienti.

Un tal padre non era certamente inidoneo a diventare oggetto di trasfigurazione divina nel tenero ricordo del figliolo, a cui era stato rapito così precocemente dalla morte. Per il nostro attuale modo di sentire vi è un abisso incolmabile tra la personalità di Dio e quella di qualsiasi uomo, per eminente che sia. Ma non bisogna credere che sia sempre stato così. Gli dèi dei popoli antichi erano molto più vicini agli uomini. Gli imperatori romani venivano regolarmente deificati dopo la morte, e Vespasiano, ch'era uomo pratico e di buon senso, la prima volta che cadde malato esclamò: "Ahimè! Temo di star per diventare un dio!"19

Conosciamo bene l'atteggiamento infantile del maschio nei confronti del padre; in esso si trova la stessa combinazione di rispettosissima sottomissione e di ribellione violenta che abbiamo riscontrato nel rapporto di Schreber verso il suo Dio; anzi quell'atteggiamento costituisce senza alcun dubbio il modello sul quale questo rapporto è fedelmente ricalcato. La circostanza che il padre di Schreber fosse medico, di chiara fama peraltro e certamente circondato dalla venerazione dei suoi pazienti, spiega le caratteristiche più appariscenti che Schreber mette in rilievo quando critica il suo Dio. Quale manifestazione di più potente sarcasmo nei confronti di un medico siffatto dell'asserire che egli non comprende nulla dei vivi e sa trattare soltanto con cadaveri? Certo, far miracoli è prerogativa divina, ma anche un medico opera dei miracoli; come di lui proclamano i suoi clienti entusiasti, le guarigioni che egli compie hanno del miracoloso. Il fatto che proprio questi miracoli, cui l'ipocondria del malato ha fornito il materiale, si rivelino indegni di fede, assurdi, e in certa misura perfino sciocchi, ci riporta a ciò che abbiamo enunciato nell'Interpretazione dei sogni (1899), e cioè che l'assurdo nel sogno esprime ironia e sarcasmo. Anche nella paranoia dunque esso serve alle medesime finalità raffigurative. Circa gli altri rimproveri mossi da Schreber a Dio, per esempio quello che Dio non apprende nulla dall'esperienza, vien fatto subito di pensare che si tratti del meccanismo infantile della "carrozza di ritorno"20 che serve a ritorcere ogni rimprovero che si riceve sul suo autore, senza per nulla modificarlo, così come le voci citate a pagina 43 ci danno motivo di supporre che l'imputazione di "assassinio dell'anima" elevata nei confronti di Flechsig fosse originariamente un'autoaccusa.21

Resi audaci dal fatto che la professione del padre del paziente ci ha consentito di chiarire le particolari caratteristiche del Dio di Schreber, possiamo ora tentare un'interpretazione della singolare composizione dell'Essere divino. Il mondo di Dio consiste, come è noto, dei "reami anteriori" di Dio, detti anche "vestiboli del Cielo" contenenti le anime dei trapassati, nonché del "dio inferiore" e del "dio superiore", i quali insieme costituiscono i "reami posteriori di Dio" (39-40). Consapevoli di essere qui in presenza di una condensazione non suscettibile di essere risolta nei suoi elementi, vogliamo tuttavia servirci di un'indicazione di cui disponiamo da tempo. Se gli uccelli "miracolati" — i quali, come ci è risultato, dissimulano delle ragazze — derivano dai "vestiboli del Cielo", essi gioveranno forse a farci considerare i reami anteriori e i vestiboli 22 del Cielo quali simbolo della femminilità, e i reami posteriori quali simbolo della virilità. E se poi fossimo certi che il fratello morto era maggiore di Schreber, potremmo a buon diritto individuare nello smembramento di Dio in un dio inferiore e in un dio superiore l'espressione di un ricordo del paziente, secondo cui dopo la prematura morte del padre il fratello maggiore ne aveva preso il posto.

A tal proposito vorrei infine prendere in considerazione il sole, che a cagione dei suoi "raggi" ha acquistato tanta importanza nel modo di esprimersi del delirio. Schreber ha con il sole un rapporto tutto particolare. Il sole gli parla con parole umane e gli si fa riconoscere come essere animato o come organo di un essere superiore che si troverebbe dietro di lui (30). Da una perizia medica apprendiamo che Schreber "inveisce a voce altissima contro il sole, spesso addirittura ruggendo" (392),23 che gli grida di nascondersi di fronte a lui. Egli stesso ci comunica che il sole al suo cospetto impallidisce.24 La partecipazione del sole al destino di Schreber si manifesta nel fatto che importanti cambiamenti avvengono nell'apparenza esteriore dell'astro non appena in Schreber si verificano dei mutamenti, per esempio durante le prime settimane del suo soggiorno a Sonnenstein (153). L'interpretazione di questo mito del sole ci è resa accessibile dallo stesso Schreber. Egli identifica il sole direttamente con Dio, ora col dio inferiore (Ariman),25 ora con quello superiore: "Il giorno seguente... vidi il dio superiore (Ormuzd), questa volta però non col mio occhio spirituale, bensì con quello fisico. Era il sole, ma non il sole nel suo aspetto abituale, noto a tutti gli uomini, bensì..." ecc. (155-56) È quindi più che logico che Schreber tratti il sole come se fosse Dio in persona.

Non mi ritengo responsabile dell'accento monocorde delle soluzioni offerte dalla psicoanalisi se sottolineo che il sole altro non è, ancora una volta, che un simbolo sublimato del padre. Il simbolismo prescinde qui dal genere grammaticale, almeno con riferimento alla lingua tedesca, poiché nella maggior parte degli altri idiomi il sole è di genere maschile. La sua controparte in questa immagine che riflette la coppia dei progenitori viene comunemente definita "madre terra". La conferma di questa tesi si riscontra con notevole frequenza nella soluzione psicoanalitica delle fantasie patogene dei nevrotici. Circa le connessioni fra queste e i miti cosmici vorrei fare ancora un breve cenno. Un mio paziente che aveva perduto prematuramente il padre e che lo ricercava in tutto ciò che nella natura è grande e sublime, mi fece intendere come sia probabile che l'inno di Nietzsche Vor Sonnenaufgang [Attendendo l'aurora] esprima la stessa nostalgia.26 Un altro paziente, divenuto nevrotico dopo la morte del padre, aveva avuto il primo accesso di angoscia e di vertigine mentre vangava il giardino sotto il sole, e prospettò egli stesso l'interpretazione per cui si sarebbe intimorito perché il padre lo osservava mentre egli si era messo al lavoro sulla madre con uno strumento penetrante. Allorché azzardai qualche obiezione, egli rese la sua concezione più plausibile aggiungendo di avere già paragonato suo padre, quando era in vita, al sole, sia pure con intendimento scherzoso. Tutte le volte che gli si chiedeva dove il padre avrebbe passato l'estate, egli rispondeva con le parole altisonanti del "Prologo in cielo":

Und seine vorgeschriebne Reise Vollendet er mit Donnergang.

[...(il Sole)... ratto come folgore Percorre l'orbita che gli fu tracciata.] 27

Il padre era solito recarsi ogni anno per consiglio del medico alla stazione climatica di Marienbad. In questo malato l'atteggiamento infantile nei confronti del padre si era manifestato in due tempi. Finché il padre era stato in vita, esso si era espresso in una ribellione totale e nel più palese disaccordo; immediatamente dopo la sua morte, aveva dato luogo a una nevrosi che si fondava su una servile sottomissione e su un'obbedienza posteriore" verso il padre.

Anche nel caso Schreber ci troviamo sul ben noto terreno del complesso paterno.28 Se la lotta con Flechsig finisce per rivelarsi al malato stesso come un conflitto con Dio, noi dobbiamo a nostra volta tradurre tale conflitto come un conflitto infantile col padre, le cui caratteristiche particolari che ancora non conosciamo sono state determinanti per il contenuto del delirio. Non manca nulla del materiale che altrimenti in casi del genere viene portato alla luce dall'analisi, giacché tutti gli elementi sono rappresentati da qualche allusione. Il padre in queste esperienze infantili appare come colui che intralcia il soddisfacimento, perlopiù autoerotico, cui il bambino aspira, e che più tardi viene sostituito nella fantasia da un soddisfacimento meno inglorioso.29 Nella fase finale del delirio di Schreber la tensione sessuale infantile celebra un trionfo grandioso: la voluttà diventa timorata di Dio e Dio stesso (il padre) non si stanca mai di richiederla al paziente. Proprio la minaccia paterna maggiormente temuta, e cioè quella dell'evirazione, ha fornito materia alla fantasia di desiderio avente per oggetto la trasformazione in donna, fantasia inizialmente combattuta ma infine accettata. L'allusione a una colpa, dissimulata attraverso la formazione sostitutiva dell'"assassinio dell'anima", appare oltremodo trasparente. L'infermiere capo viene ritenuto identico a quel coinquilino von W. che, secondo le voci, avrebbe falsamente accusato Schreber di abbandonarsi all'onanismo (127). Le voci, quasi a prestare fondamento alla minaccia di evirazione dicono: "Ella deve essere rappresentata infatti come dedita a eccessi voluttuosi."30 (146) Infine la coazione a pensare (67) alla quale il malato si sottopone supponendo che se egli cesserà per un sol momento di pensare Dio crederebbe che è divenuto idiota e si ritirerebbe da lui, costituisce la reazione (che ci è ben nota anche per altre vie) alla minaccia o al timore di perdere l'intelletto a causa di pratiche sessuali, in special modo onanistiche.31

Dato l'enorme numero di idee deliranti ipocondriache 32 sviluppate dal malato, non è forse il caso di attribuire soverchio valore al fatto che alcune di esse collimano letteralmente coi timori ipocondriaci degli onanisti.33

Se qualcuno è più audace di me nell'interpretazione o conosce meglio — per rapporti personali con la famiglia —le persone dell'ambiente in cui Schreber è vissuto e i piccoli eventi della sua vita quotidiana, il compito di ricondurre gli innumerevoli particolari del delirio di Schreber alle loro fonti e scoprirne in tal modo il senso non dovrebbe risultargli difficile, e ciò a dispetto della censura cui le Memorie sono state sottoposte. Noi invece siamo costretti ad accontentarci di questo abbozzo dai contorni indefiniti di cui la malattia paranoica si è valsa per raffigurare il conflitto attuale.

Ancora una parola si potrebbe aggiungere al fine di stabilire il fondamento del conflitto scatenato dalla fantasia femminile di desiderio. Sappiamo già che quando si produce una fantasia di desiderio è nostro compito metterla in relazione con una frustrazione, una privazione imposta dalla vita reale. Ora Schreber ammette di aver subìto una di queste privazioni. Il suo matrimonio, che egli ci descrive come un'unione felice per ogni altro verso, non gli portò la benedizione della prole, soprattutto non gli donò quel figlio che lo avrebbe consolato della perdita del padre e del fratello, e su cui egli avrebbe potuto riversare la sua tenerezza omosessuale insoddisfatta.34 La sua stirpe minacciava di spegnersi e, a quel che sembra, egli era assai fiero delle sue origini e della sua famiglia. "I Flechsig e gli Schreber appartenevano ambedue, come l'espressione suonava, 'alla suprema nobiltà celeste', gli Schreber in particolare portavano il titolo di 'margravi di Tuscia e Tasmania', corrispondentemente a un'abitudine delle anime di adornarsi, seguendo una specie di vanità personale, di titoli terrestri un poco altisonanti."35

Il grande Napoleone, seppure dopo aspra lotta interiore, si decise a divorziare dalla sua Giuseppina perché questa non era in grado di perpetuare la dinastia; 36 Schreber può bene aver fantasticato che come donna gli sarebbe riuscito meglio avere dei figli, e aver così trovato la via che gli consentisse di riportarsi all'atteggiamento femminile nei confronti del padre che era stato proprio dei primi anni della sua infanzia. Il delirio, in seguito posposto in un futuro sempre più lontano, secondo cui il mondo grazie alla sua evirazione sarebbe stato popolato "di nuovi uomini [nati] dallo spirito di Schreber" (301) si era dunque instaurato anche come rimedio per la mancanza di figlioli. Se i "piccoli uomini" che Schreber stesso trovava tanto enigmatici sono bambini, ci è oltremodo comprensibile che essi si siano riuniti in gran numero sopra la sua testa (175-76); essi sono veramente "i bambini del suo spirito".37

Note

1 C. G. JUNG, Psicologia della dementia praecox (1907).

2 [Santiago o Cartagine,

Cineseria o Gesù Cristo,

Tramonto o affanno nel respiro, Ariman o contadino.]

3 Perizia del dottor Weber: "Se si dà uno sguardo al contenuto del suo scritto, se si considera la quantità di indiscrezioni su sé stesso e altri, le descrizioni prive di ritegno delle situazioni e dei processi più scabrosi ed esteticamente addirittura impossibili, l'uso delle espressioni più scandalose ecc., diventa incomprensibile che un uomo che suole contraddistinguersi per tatto e sensibilità intenda compiere un atto che Io comprometterebbe gravemente di fronte agli altri: l'unica spiegazione, appunto, è che..." (410)

Da una storia clinica che ha lo scopo di presentarci un'umanità disturbata e le sue lotte per ritornare sana non si può certo pretendere che faccia sfoggio di "discrezione" e grazia "estetica".

4 "Ancora oggi il Suo nome mi viene ogni giorno gridato centinaia di volte dalle voci che parlano con me in nessi che ritornano continuamente, in particolare come l'autore di quei danni, sebbene i rapporti personali, esistenti tra noi per un certo periodo, siano passati per me da lungo tempo in secondo piano, e io stesso dunque difficilmente avrei una qualsiasi ragione di ricordarmi continuamente, in particolare con un qualsiasi sentimento di rancore, di Lei." Dalla "Lettera aperta al professor Flechsig" (16).

5 Secondo un'altra significativa versione, presto abbandonata, il professor Flechsig si sarebbe sparato, o a Weissenburg nell'Alsazia o nel carcere di Lipsia. Il paziente avrebbe visto il suo funerale, che però non si sarebbe svolto secondo l'itinerario che avrebbe dovuto seguire partendo dalla sede della clinica universitaria verso il cimitero. Altre volte ancora Flechsig gli sarebbe apparso in compagnia di un vigile o in conversazione con la propria moglie. Schreber sarebbe stato testimone di tale conversazione per mezzo della congiunzione nervosa, e nel corso di essa il professor Flechsig diceva a sua moglie di chiamarsi "Dio Flechsig", tanto che quest'ultima era incline a ritenerlo pazzo (102).

6 Di questo von W. le voci gli dissero che in occasione di un'inchiesta avrebbe fatto dichiarazioni false, in particolare lo avrebbe accusato di onanismo, e ciò con l'intenzione di nuocergli oppure per negligenza; per punizione gli sarebbe stato ora imposto di mettersi al servizio del paziente (127).

7 "Perciò debbo anche riconoscere che sia possibile che tutto quanto è stato riferito nei primi capitoli delle mie Memorie sugli eventi connessi al nome di Flechsig, si riferisca soltanto all'anima di Flechsig che deve essere distinta dall'uomo vivente, l'esistenza della quale certamente è sicura, ma è inspiegabile per via naturale." (356)

8 Vedi K. ABRAHAM, Die psychosexuellen Differenzen der Hysterie und der Dementia praecox, Zentbl. Nervenheilk. Psychiat., n.s., vol. 19, 521 (19o8). In questo lavoro, l'autore mi attribuisce scrupolosamente il merito di avere, attraverso una corrispondenza scambiata tra noi, influenzato lo sviluppo delle sue vedute in proposito.

9 A. ADLER, Der psychische Hermaphroditismus im Leben und in der Neurose, Fortschr. Med., vol. z8, 486 (r pro). Secondo Adler la protesta virile partecipa alla genesi del sintomo; nel caso in discussione invece, il soggetto protesta contro il sintomo già consolidato.

10 Il corsivo è mio.

11 A conferma dell'affermazione espressa sopra, cito un passo della scena finale del dramma, in cui Manfredi dice al demonio che è venuto a portarlo via:

...my past power

Was purchased by no compact with thy crew.

[... il mio passato potere

Fu acquistato senza alcun patto con la tua ciurma.]

Con ciò, dunque, un patto che abbia l'anima per oggetto viene esplicitamente negato. Questo errore, di Schreber non è verosimilmente privo di tendenziosità. E d'altronde era ovvio l'accostamento di questo aspetto del Manfredi con l'ipotesi più volte avanzata dell'esistenza di relazioni incestuose del poeta con la sua sorellastra. Stupisce, poi, come l'azione dell'altro dramma di Byron, il celebre Caino, si svolga in una famiglia arcaica, nella quale l'incesto tra fratelli e sorelle non doveva suscitare obiezione alcuna. Non vogliamo, infine, abbandonare il tema dell'assassinio dell'anima senza ricordare il passaggio seguente: "Precedentemente Flechsig veniva indicato come l'autore dell'assassinio dell'anima, mentre ora già da lungo tempo, con un voluto capovolgimento della situazione, si vuol 'rappresentare' me stesso come colui che ha commesso l'assassinio dell'anima..." (43)

12 Devo la conoscenza dell'età di Schreber all'epoca della sua malattia, alla cortese comunicazione di un suo parente, raccolta dal dottor Stegmann per me a Dresda. A parte questo particolare, però, non ho utilizzato in questo mio lavoro alcuna altra notizia che non sia tratta direttamente dal testo delle Memorie.

13 L'intervallo fra la prima e la seconda malattia di Schreber.

14 Verso la fine del libro egli scrive: "Solo come alcune possibilità da prendere in considerazione ricordo qui: un'evirazione, che potrebbe essere operata facendo sì che, per mezzo della fecondazione divina, nascesse dal mio seno una discendenza..." (306)

15 C. G. Jung, Contributo alla psicologia della diceria (191o). Probabilmente è giusto quanto Jung sostiene, che cioè questa scomposizione, conformemente alla generale tendenza della schizofrenia, usa un processo di analisi al fine di produrre un effetto mitigante, destinato a impedire che si verifichino impressioni troppo intense. Le parole d'una sua paziente: "Ah, è anche lei un dottor J.? C'è già stato qualcun altro qui stamane che ha detto di essere il dottor J.", vanno intese come una ammissione del tenore seguente: "Lei mi ricorda in questo momento una persona della serie delle mie traslazioni diversa da quella della sua visita precedente."

16 0. RANK, Der Mythus von der Geburt des Helden (Lipsia e Vienna 19o9).

17 Su questo punto non si trae dalle Memorie chiarimento alcuno.

18 Esprimo qui la mia gratitudine al collega dottor Stegmann di Dresda per avermi egli cortesemente spedito una copia della rivista "Der Freund der Schreber-Vereine" [L'Amico delle Associazioni Schreber] vol. 2, N. 10 (1908); in detto fascicolo, pubblicato in occasione del centenario della nascita del dottor Schreber, si trovano alcuni dati biografici su di lui. Il dottor Schreber senior era nato nel 1808 ed era morto nel 1861 all'età di soli 53 anni. Dalla stessa fonte, apprendo che il nostro paziente aveva allora 19 anni.

19 Svetonio, Vita dei Cesari, libro vili, cap. 23. Questa deificazione cominciò da Giulio Cesare. Augusto nelle iscrizioni si qualificava Divi filius.

20 Qualche cosa di simile a una tale ritorsione si ha in ciò che il malato un giorno annota: "Ogni tentativo di operare educativamente verso l'esterno deve essere abbandonato in quanto privo di prospettiva." (203-o4) Il soggetto non suscettibile di educazione è Dio.

21 "...mentre ora già da lungo tempo, con un voluto capovolgimento della situazione, si vuol 'rappresentare' me stesso come colui che ha commesso l'assassinio dell'anima..." (43)

22 [La parola tedesca Vorhof (vestibolo) è usata anche in anatomia, come sinonimo di vestibulum, a indicare una parte dei genitali femminili.]

23 "Il sole è una puttana!" (393)

24 "Del resto anche oggi il sole mi mostra un'immagine in parte diversa da quella che io ne avevo nei tempi precedenti la mia malattia. I suoi raggi impallidiscono davanti a me, quando parlo a voce alta nella sua direzione. Io posso tranquillamente guardare dentro al sole, rimanendone solo molto relativamente abbagliato, mentre in stato di sanità per me, come del resto per gli altri uomini, guardare dentro il sole per minuti interi non sarebbe stato affatto possibile." (157n.)

25 "Quest'ultimo dio adesso (a partire dal luglio 1894) viene addirittura identificato col sole dalle voci che parlano con me." (107-08)

26 Così parlò Zarathustra, parte terza. Anche Nietzsche aveva conosciuto il padre solo da bambino.

27 [Goethe, Faust, parte prima, traduzione di Barbara Allason (Einaudi, Torino 1965).]

28 Allo stesso modo la "fantasia femminile di desiderio" di Schreber non è che una delle forme tipiche assunte dal complesso nucleare infantile.

29 Vedi le mie osservazioni nelle Osservazioni su un caso di nevrosi ossessiva. Caso clinico dell'uomo dei topi (1909).

30 I sistemi del "rappresentare" [146-47n.] e del "trascrivere" (145) alludono, in connessione con le "anime esaminate", a esperienze degli anni scolastici di Schreber.

31 "Che questo fosse lo scopo a cui si mirava fu ammesso apertamente infinite volte nella frase proveniente dal dio superiore e da me udita: 'Le vogliamo distruggere l'intelletto'." (222n.)

32 Non voglio perdere l'occasione di mettere qui in rilievo che considererò attendibile una teoria della paranoia solo quando riuscirà a inserire nel proprio contesto i sintomi ipocondriaci dai quali è quasi sempre accompagnata. A me sembra che fra l'ipocondria e la paranoia sussista lo stesso rapporto che fra la nevrosi d'angoscia e l'isteria.

33 "Si tentò quindi di spompare il midollo spinale, cosa che avveniva mediante i cosiddetti 'piccoli uomini', che mi venivano messi nei piedi. Più avanti dirò qualcosa dì più preciso a proposito di questi 'piccoli uomini', i quali dimostravano una certa affinità col fenomeno omonimo già ricordato nel cap. vi; di regola erano ogni volta due, un 'piccolo Flechsig' e un 'piccolo von W.', le cui voci io pure sentivo nei miei piedi." Il signor von W. è lo stesso personaggio dal quale sarebbe partita l'accusa di onanismo rivolta a Schreber. I "piccoli uomini", secondo Schreber stesso, rappresentano uno dei più singolari e in un certo senso più enigmatici fenomeni della sua malattia (175). Essi appaiono esser scaturiti da una condensazione di bambini e spermatozoi.

34 "Dopo la mia guarigione dalla mia prima malattia ho passato con mia moglie otto anni nell'insieme assai felici, ricchi anche di onori esterni e turbati talora solo dalla ripetuta delusione della nostra speranza di avere bambini." (56)

35 In coincidenza con questo rilievo che ha conservato nel delirio l'amabile ironia dei giorni sani, Schreber insegue le relazioni che sarebbero esistite nei secoli trascorsi tra le famiglie Flechsig e Schreber, allo stesso modo di un fidanzato che non concependo di aver potuto vivere tanti anni senza conoscere l'amata, insiste nel dire di aver fatto la sua conoscenza già in tempi passati.

36 A questo riguardo è degna di nota una protesta del paziente contro le asserzioni delle perizie mediche: "Non ho mai accarezzato l'idea di divorziare né fatto trasparire indifferenza per il prolungamento del vincolo matrimoniale, come si potrebbe invece supporre leggendo l'espressione della perizia che io 'ho sempre pronta l'allusione al fatto che mia moglie potrebbe divorziare'." (436)

37 Vedi ciò che ho detto sul modo di rappresentare la discendenza dal padre e la nascita di Atena nelle Osservazioni su un caso di nevrosi ossessiva. Caso clinico dell'uomo dei topi (1909).

3. Il meccanismo della paranoia

Ci siamo finora occupati del complesso paterno che domina il caso Schreber e della fantasia di desiderio intorno a cui ruota la malattia. In tutto ciò nulla vi è di tipico del quadro clinico della paranoia, nulla che non si possa riscontrare e che di fatto non sia stato riscontrato in altri tipi di nevrosi. Il segno distintivo della paranoia (o della dementia paranoides) va individuato in qualcos'altro, e cioè nella particolare forma in cui si manifestano i sintomi, dei quali dobbiamo presumere siano responsabili non i complessi in quanto tali, ma il meccanismo di formazione dei sintomi o quello che ha dato luogo alla rimozione. Saremmo inclini a sostenere che l'elemento paranoico della malattia è costituito dal fatto che per difendersi da una fantasia di desiderio omosessuale il paziente reagisce precisamente con un delirio di persecuzione di un certo tipo.

Quanto abbiamo detto acquista un significato ancora maggiore se dall'esperienza siamo indotti ad attribuire alla fantasia di desiderio omosessuale un'intima e forse costante relazione con la forma particolare in cui la malattia si manifesta. Poiché non mi fidavo della mia diretta esperienza in merito, ho compiuto in questi ultimi anni delle indagini su questo singolo aspetto insieme ai miei amici Carl Gustav Jung e Sandor Ferenczi di Budapest, indagini condotte sull'osservazione di un considerevole numero di casi di paranoia. I pazienti le cui storie cliniche fornirono il materiale della ricerca erano uomini e donne diversi per razza, professione e ceto sociale: in ciascuno di questi casi vedemmo con sorpresa come al centro del conflitto morboso fosse chiaramente riconoscibile una difesa contro un desiderio omosessuale e come nel tentativo di dominare la loro omosessualità inconsciamente rafforzata tutti' avessero subìto uno scacco. Ciò non corrispondeva certo alle nostre aspettative. Proprio nella paranoia l'etiologia sessuale non è evidente affatto; al contrario, specie nell'uomo, gli elementi più vistosi che paiono aver dato origine alla paranoia sono le umiliazioni e le sconfitte sociali.

Tuttavia basta indagare appena un poco più in profondità per rendersi conto che il fattore che ha determinato questi danni di carattere sociale è stato proprio il concorso della componente omosessuale presente nella vita sentimentale del paziente. Fintantoché, comportandosi in modo normale, un individuo impedisce che si tenti di far luce nelle profondità della sua vita psichica, è lecito mettere in dubbio che i suoi rapporti affettivi con il prossimo nella convivenza sociale abbiano, di fatto o nella loro genesi, qualcosa a che fare con l'erotismo. Ma il delirio porta regolarmente alla luce la natura di questi rapporti riconducendo il senso sociale alla sua ultima radice di grossolano desiderio erotico. Lo stesso dottor Schreber, il cui delirio culmina in una fantasia di desiderio di cui è impossibile disconoscere la natura omosessuale, non presentava — finché era sano e secondo quanto viene unanimemente riferito il minimo segno di omosessualità nel senso comune della parola.

Ritengo che non risulterà inutile né privo di fondamento il mio tentativo di dimostrare che l'attuale intelligenza dei processi psichici da noi acquisita grazie alla psicoanalisi ci può fornire anche gli strumenti per intendere il ruolo del desiderio omosessuale nello sviluppo della paranoia. Ricerche recenti2 hanno attratto la nostra attenzione su uno stadio che la libido percorre nella sua storia evolutiva che procede dall'autoerotismo per giungere all'amore oggettuale.3 Si è indicato detto stadio col nome di "narcisismo" (Narzissismus), ma io propendo per il termine di "narcismo" (Narzissmus), forse meno corretto ma più breve e meno cacofonico. Esso consiste nel fatto che l'individuo nel corso del suo sviluppo, mentre unifica le pulsioni sessuali già agenti autoeroticamente al fine di procurarsi un oggetto d'amore, assume anzitutto sé stesso, vale a dire il proprio corpo come oggetto d'amore, prima di passare alla scelta oggettuale di una persona estranea. Che tale fase di transizione venga attraversata tra l'autoerotismo e la scelta oggettuale è probabilmente inevitabile nella normalità dei casi; sembra, però, che molte persone vi si trattengano per un tempo insolitamente lungo e che in esse persistano molti tratti di questa fase nei momenti successivi del loro sviluppo. In questa assunzione di sé a oggetto d'amore la funzione degli organi genitali può già risultare prevalente. La via ulteriore seguita dallo sviluppo porta alla scelta di un oggetto dotato di organi genitali simili ai propri, dunque alla scelta oggettuale omosessuale, e, attraverso questa, alla eterosessualità. Noi supponiamo che coloro che in seguito diventeranno omosessuali manifesti non siano riusciti a liberarsi dall'esigenza che l'oggetto d'amore sia dotato di genitali eguali ai propri, e a questo proposito un considerevole influsso va ascritto alle teorie sessuali infantili che inizialmente attribuiscono ai due sessi gli stessi organi genitali.4

Dopo che è stato raggiunto lo stadio della scelta oggettuale eterosessuale, le tendenze omosessuali né si estinguono né si interrompono; esse sono solo sviate dalla loro meta sessuale e utilizzate per altri scopi. Combinandosi ora con taluni elementi delle pulsioni dell'Io e costituendo con esse, come componenti che su di esse "si appoggiano" le pulsioni sociali, le tendenze omosessuali vengono a costituire il contributo dell'erotismo all'amicizia e al cameratismo, allo spirito di corpo e all'amore per il prossimo in generale. Quanto siano effettivamente cospicui questi contributi derivanti da fonti erotiche (con inibizione della meta sessuale) difficilmente potrebbe essere individuato a partire dai normali rapporti sociali fra gli uomini. Ma a tal proposito si può osservare che proprio gli omosessuali manifesti, e tra essi ancora una volta segnatamente coloro che si rifiutano di indulgere agli atti dettati dalla sensualità, si distinguono per una partecipazione particolarmente sentita ai problemi generali dell'umanità, cioè a quegli interessi che pure scaturiscono da una sublimazione dell'erotismo.

Nei Tre saggi sulla teoria sessuale (1905) ho espresso l'opinione che ogni fase del processo di sviluppo della psicosessualità implichi una possibilità di "fissazione" e con ciò la disposizione a una qualche forma di nevrosi. Le persone che non si sono completamente liberate dallo stadio narcisistico, che cioè sono trattenute in quel punto da una fissazione che agisce come disposizione alla malattia nevrotica, sono esposte al pericolo che una corrente libidica particolarmente intensa, incapace di procurarsi altra via di deflusso, giunga a sessualizzare le loro pulsioni sociali e in tal modo renda reversibili le sublimazioni acquisite nel corso dello sviluppo. A un tale esito può sortire tutto ciò che suscita una corrente libidica che procede a ritroso (vale a dire tutto ciò che dà origine a una regressione): sia un rafforzamento collaterale della libido in conseguenza di una delusione subìta nei rapporti con le donne oppure un diretto ingorgo della stessa a causa di insuccessi nelle relazioni sociali con gli uomini — entrambi esempi di frustrazione —; sia un generale intensificarsi della libido, troppo violenta per trovare sbocco lungo le vie prestabilite, la quale perciò nel punto debole della costruzione rompe gli argini. Poiché noi costatiamo nelle nostre analisi che i paranoici cercano di sottrarsi da una siffatta sessualizzazione dei loro investimenti pulsionali sociali, dobbiamo supporre che il punto debole della loro evoluzione debba ricercarsi in un segmento dello sviluppo psichico che sta fra lo stadio dell'autoerotismo, del narcisismo e dell'omosessualità e che ivi risieda la loro disposizione alla malattia (forse suscettibile di più precisa definizione). Una disposizione analoga dovrebbe potersi ascrivere ai pazienti che soffrono di dementia praecox (secondo Kraepelin) o di scrizofrenia (come la chiama Bleuler), e non disperiamo di individuare in seguito altri elementi che ci consentano di trovare il fondamento delle differenze che attengono alla forma e al decorso di queste due ultime affezioni in corrispondenti differenze nella fissazione libidica predisponente.

Se dunque ci atteniamo alla tesi secondo cui per l'uomo la fantasia di desiderio omosessuale di amare un uomo costituisce il centro del conflitto della paranoia, non possiamo tuttavia dimenticare che la conferma di un'ipotesi di tale importanza dovrebbe poter essere stabilita solo quando avessimo svolto ricerche preliminari su numerosissimi casi nei quali tutte le forme della malattia paranoica fossero rappresentate. Dobbiamo perciò essere pronti, se si rendesse necessario, a circoscrivere il nostro assunto, attribuendolo a un unico tipo di paranoia. Ciononostante è degno di nota il fatto che le principali forme conosciute di paranoia possono tutte essere rappresentate come contraddizioni dell'unica proposizione seguente: "Io (un uomo) amo lui (un uomo)", e che esse in effetti esauriscono ogni formulazione possibile di questa contraddizione.

La proposizione "io amo lui (l'uomo)" è contraddetta da:

a) Il delirio di persecuzione, per cui il paziente proclama con forza:

"Io non l'amo — io l'odio." Questa contraddizione, che nell'inconscio 5 non potrebbe suonare altrimenti, non può tuttavia divenire cosciente nel paranoico in questa forma. Il meccanismo di formazione del sintomo nella paranoia implica che la percezione interna, il sentimento, siano sostituiti da una percezione proveniente dall'esterno. Cosicché la proposizione "Io l'odio" si trasforma grazie a un meccanismo di proiezione nell'altra: "Egli mi odia (mi perseguita) e ciò mi autorizza a odiarlo." In tal modo il sentimento inconscio propulsore si presenta come conseguenza di una percezione esterna:

"Io non l'amo — Io l'odio perché EGLI MI PERSEGUITA."

L'osservazione non consente in proposito dubbio alcuno: il persecutore altri non è se non l'amato di un tempo.

b) Un altro elemento a cui si ricorre per esprimere la contraddizione è l'erotomania, che al di là di questo modo d'intenderla rimarrebbe assolutamente inintelligibile:

"Non è lui che io amo; io amo lei."

E la medesima coazione a proiettare fa in modo che la proposizione venga trasformata nel modo seguente: "Mi accorgo che lei mi ama."

"Non è lui che io amo — io amo lei — perché LEI MI AMA." Molti casi di erotomania potrebbero dare l'impressione di essere — e senza bisogno di fondarsi su null'altro — effetto di fissazioni eterosessuali esagerate o distorte, se la nostra attenzione non fosse attratta dal fatto che tutti questi innamoramenti hanno inizio non con la percezione interna di amare, bensì con la percezione proveniente dall'esterno di essere amati. In questa forma di paranoia la proposizione intermedia: "Io amo lei" può perfino divenir cosciente perché la contraddizione tra essa e la proposizione originaria [" io amo lui "] non è assoluta né così insopportabile come quella tra odio e amore. È infatti sempre possibile accanto a lui amare lei. Così la proposizione che viene sostituita mediante proiezione "Lei mi ama" può tornare a convertirsi nella proposizione della "lingua fondamentale": "io amo lei".

e) Il terzo modo di esprimere la contraddizione potrebbe ora essere individuato nel delirio di gelosia, che è possibile studiare nelle sue forme caratteristiche proprie all'uomo e alla donna.

a) Delirio di gelosia dell'alcolizzato La funzione che ha l'alcool in questa affezione ci è comprensibile da ogni punto di vista. Noi sappiamo che questo liquido delizioso annulla le inibizioni e fa recedere le sublimazioni. Accade, con una certa frequenza, che dopo aver subìto una delusione a causa di una donna, l'uomo sia trascinato all'alcool, il che significa, in genere, che egli ricorre all'osteria e alla compagnia degli uomini perché essi sono in grado di assicurargli quella soddisfazione sentimentale che in casa, dalla propria donna, gli è venuta a mancare. Se ora questi uomini diventano oggetti di un investimento libidico troppo forte nell'inconscio dell'alcolizzato, egli se ne difenderà per mezzo del terzo modo di esprimere la contraddizione:

"Non sono io che amo l'uomo — è lei che lo ama"; e sospetterà la propria donna di amare tutti gli uomini che egli stesso è tentato di amare.

La deformazione da proiezione viene qui necessariamente meno perché con lo scambio del soggetto che ama, l'intero processo è comunque gettato fuori dell'Io. Che la donna ami gli uomini è un dato della percezione esterna mentre l'odiare in luogo di amare, o l'amare una persona in luogo di un'altra sono dati propri della percezione interna.

fl) Il delirio di gelosia nella donna si presenta in forma del tutto analoga.

"Non sono io che amo le donne — è lui che le ama." La donna gelosa sospetta l'uomo di amare tutte le donne che piacciono a lei, e ciò a causa della sua disposizione narcisistica riacutizzata e della sua omosessualità. Nella scelta degli oggetti amorosi che essa attribuisce all'uomo si manifesta chiaramente l'influenza dell'età nella quale in passato si era consolidata la fissazione; spesso si tratta di donne anziane non adatte a un reale rapporto amoroso, nelle quali si reincarnano nutrici, governanti, amiche d'infanzia, o più direttamente le sorelle che erano state sue rivali in amore.

Si potrebbe dunque credere che una proposizione costituita di tre termini quale "Io amo lui" non potesse esser contraddetta che in tre maniere soltanto. Il delirio di gelosia contraddice il soggetto, il delirio di persecuzione il verbo, l'erotomania l'oggetto. Ma esiste invero un quarto modo di esprimere la contraddizione, e cioè il rifiuto globale della proposizione nel suo insieme:

"Io non amo affatto e nessuno"; tale proposizione, giacché la propria libido va pure indirizzata in qualche direzione, sembra l'equivalente psicologico della seguente proposizione: "Io amo solo me stesso." Questa forma di contraddizione determinerebbe dunque il delirio di grandezza che noi concepiamo come sopravvalutazione sessuale del proprio Io, e che possiamo equiparare alla sopravvalutazione dell'oggetto d'amore che ci è ben nota.6

Non è senza importanza, in rapporto ad altri aspetti della teoria della paranoia, poter costatare come un elemento del delirio di grandezza si ritrovi in quasi tutte le altre forme di sofferenza paranoica. Ci riteniamo autorizzati ad ammettere che il delirio di grandezza appartiene tipicamente alla natura infantile e nel corso dello sviluppo ulteriore è sacrificato alle esigenze della vita sociale. Ciò avviene grazie allo stesso processo per cui nulla riesce a reprimerlo con tanta intensità nell'individuo quanto l'esser egli preda di una violenta passione amorosa.

Poiché là dove l'amor si risveglia, muore Questo despota oscuro che è l'Io!

Dopo questa discussione sull'inatteso significato che la fantasia di desiderio omosessuale riveste per la paranoia, torniamo ora a quei due fattori nei quali intendevamo in origine individuare i caratteri essenziali di questa forma morbosa: e cioè al meccanismo della formazione del sintomo e a quello della rimozione.

Anzitutto, non abbiamo alcun diritto di supporre che questi due meccanismi siano identici e che la formazione dei sintomi proceda lungo la stessa via della rimozione, il che equivarrebbe a dire che la stessa strada sarebbe percorsa sia in un senso che nell'altro. Non è, del resto, affatto verosimile che una tale identità esista; ci asterremo tuttavia dal formulare qualsivoglia opinione al riguardo prima di aver completato la nostra indagine.

Nella formazione del sintomo paranoico la caratteristica più vistosa è data dal processo al quale spetta il nome di proiezione. Una percezione interna è repressa e al suo posto il contenuto di essa, dopo aver subìto una certa deformazione, perviene alla coscienza sotto forma di percezione esterna. Nel delirio di persecuzione la deformazione consiste in una trasformazione dell'affetto: ciò che dovrebbe essere sentito interiormente come amore è percepito come odio proveniente dall'esterno. Si sarebbe tentati di considerare questo singolare fenomeno come il fattore più significativo e comunque assolutamente patognomonico per la paranoia se non ci venisse opportunamente ricordato: i) che la proiezione non ha la stessa funzione in tutte le forme della paranoia; z) che essa non è una manifestazione esclusiva della paranoia, ma compare anche in altre situazioni della vita psichica; ciò è tanto vero che ad essa va ascritto un regolare concorso in ciò che determina il nostro atteggiamento verso il mondo che ci circonda. Infatti quando, anziché cercare le cause di certe sensazioni in noi stessi (come facciamo quando si tratta di altre sensazioni), le collochiamo nel mondo esterno, a questo processo, che pur rientra nella normalità, può ben essere dato ugualmente il nome di proiezione. Così, resi edotti del fatto che l'intelligenza della natura della proiezione implica la considerazione di problemi psicologici più generali, converrà che ci decidiamo a rinviare ad altra occasione lo studio della proiezione e con esso quello del meccanismo di formazione dei sintomi paranoici, e che torniamo invece a domandarci che idea è possibile farsi del meccanismo della rimozione nella paranoia. A giustificazione di questa nostra temporanea rinuncia, premetto che i modi del processo di rimozione sono ben più intimamente legati alla storia evolutiva della libido e alla disposizione che essa comporta, di quanto accada per i modi della formazione del sintomo.

In psicoanalisi noi facciamo derivare i fenomeni patologici in genere dalla rimozione. Considerando più dappresso ciò che abbiamo chiamato "rimozione", possiamo scomporre il processo in tre fasi, agevolmente discriminabili l'una dall'altra sotto il profilo concettuale.

1) La prima fase consiste nella fissazione che precede ogni "rimozione". Il fenomeno della fissazione può essere così descritto: una pulsione o una componente pulsionale non riesce a tenere il passo con l'evoluzione normalmente prevista e a causa di questa inibizione nel suo sviluppo, permane in uno stadio più infantile. La corrente libidica in questione si comporta quindi, rispetto alle formazioni psichiche ulteriori, come se facesse parte del sistema dell'inconscio, e cioè come una corrente rimossa. Abbiamo già detto che in tali fissazioni pulsionali risiede la disposizione alla malattia successiva, e ora possiamo aggiungere che in esse risiede soprattutto ciò che determina l'esito della terza fase della rimozione.

2) La seconda fase della rimozione consiste nella rimozione propriamente detta, e su di essa si è fino a ora incentrata particolarmente la nostra attenzione. Essa promana dai sistemi dell'Io più altamente sviluppati e capaci di giungere alla coscienza, e può effettivamente essere descritta come "rimozione postuma". Essa dà l'impressione di essere un processo essenzialmente attivo, mentre la fissazione appare propriamente come un passivo rimaner indietro. Alla rimozione soccombono o i derivati psichici delle pulsioni originariamente rimaste indietro, quando per un loro rinforzarsi si giunge a un conflitto fra esse e l'Io (o fra esse e le pulsioni in sintonia con l'Io), oppure quelle tendenze psichiche contro cui si leva per altri motivi una forte avversione. Questa avversione non avrebbe tuttavia come suo esito la rimozione, se tra le tendenze spiacevoli che bisogna rimuovere e quelle già rimosse non si stabilisse un collegamento. Quando ciò avviene, la repulsione esercitata dal sistema conscio e l'attrazione esercitata da quello inconscio agiscono congiuntamente al fine di far riuscire la rimozione. È probabile che nella realtà le due alternative che qui abbiamo posto siano disgiunte meno nettamente e che la distinzione fra esse dipenda semplicemente dal contributo più o meno rilevante delle pulsioni originariamente rimosse.

3) La terza fase, la più importarte per quanto concerne la fenomenologia patologica, è quella del fallimento della rimozione, cioè dell'irruzione, del ritorno del rimosso. Questa irruzione prende avvio dal punto di fissazione e consiste in una regressione dello sviluppo libidico fino a quel punto.

Abbiamo già accennato alla varietà molteplice dei possibili punti di fissazione: essi sono tanti quanti sono gli stadi di sviluppo della libido. È da presumere un'analoga molteplicità in relazione ai meccanismi della rimozione propriamente detta e dell'irruzione (o della formazione del sintomo), e possiamo fin d'ora supporre che non ci sarà agevole ricondurre esclusivamente alla storia evolutiva della libido una pluralità siffatta di accadimenti psichici.

È facile rendersi conto che sfioriamo qui il problema della scelta della nevrosi, problema che d'altronde è impossibile affrontare senza un lavoro preliminare di natura diversa. Non dimentichiamo di avere già trattato delle fissazioni e di aver accantonato il problema della formazione del sintomo; limitiamoci quindi al problema se dall'analisi del caso Schreber si possa ricavare qualche indicazione relativa al meccanismo, prevalente nella paranoia, della rimozione propriamente detta.

Nel momento culminante della malattia, sotto l'influsso di visioni che "erano in parte di carattere atroce, in parte di una grandiosità indescrivibile" (94), Schreber si convinse che una grande catastrofe, la fine del mondo, era imminente. Voci presero a dirgli che l'opera di un passato di 14000 anni era andata perduta e che alla terra sarebbe stata riservata soltanto la durata di 212 anni (91); negli ultimi tempi del suo soggiorno nell'istituto di Flechsig egli credette che questo periodo di tempo fosse già trascorso. Egli era "l'unico uomo reale ancora superstite", e le poche figure umane che gli era ancora dato di vedere, il medico, gli infermieri, i malati, riteneva "fossero uomini fatti fugacemente grazie a un miracolo" [92]. Talvolta si manifestava in lui la corrente opposta: così gli sarebbe stato fatto vedere un giornale nel quale si poteva leggere l'annuncio della sua stessa morte (i m); egli stesso sarebbe esistito in una seconda figura inferiore, e in quanto tale in un certo giorno sarebbe spirato in pace (93). Ma la struttura del delirio che teneva fermo l'Io e sacrificava il mondo si dimostrò alla lunga come la più tenace. Schreber si prospettava diverse teorie sull'origine di questa catastrofe. Ora egli pensava a una glaciazione dovuta al ritirarsi del sole, ora a una distruzione prodotta da terremoti, in relazione ai quali egli stesso, in quanto "visionario" sarebbe stato chiamato ad avere una parte fondamentale, proprio come si diceva di un altro visionario per il terremoto di Lisbona del 1755(111).

O ancora era Flechsig il reo di tutto, poiché grazie alle sue arti magiche aveva seminato paura e panico tra gli uomini, distrutto le fondamenta della religione e causato un'epidemia di nervosismo e immoralità universale a causa della quale l'umanità sarebbe stata colpita da piaghe devastatrici (111). Comunque la fine del mondo era la conseguenza del conflitto scoppiato tra lui e Flechsig, oppure — secondo l'etiologia adottata nella seconda fase del delirio — del legame diventato ormai indissolubile, tra lui e Dio, e costituiva perciò l'esito necessario della sua malattia. Quando Schreber, alcuni anni dopo, essendo rientrato nella vita sociale, non riuscì a scoprire nei libri, nelle composizioni musicali né negli altri oggetti d'uso che ritornarono nelle sue mani, nulla che fosse compatibile con l'ipotesi di una grande voragine temporale determinatasi nella storia dell'umanità, egli finì per convenire che la sua opinione in proposito non era ulteriormente sostenibile: "Non posso fare a meno di riconoscere che dal punto di vista esteriore tutto è rimasto come prima. Più avanti si vedrà se purtuttavia non si sia verificato un profondo mutamento interiore." (104-o5) Egli non poteva ormai dubitarne: la fine del mondo era avvenuta durante la sua malattia, e il mondo che egli ora vedeva dinanzi a sé non era più lo stesso, malgrado tutto.

Accade sovente anche in altri casi che idee simili di catastrofe universale compaiano durante la fase tempestosa della paranoia.8 Sulla base della nostra concezione dell'investimento libidico, se ci lasciamo guidare dall'apprezzamento che Schreber fa degli altri esseri umani come di "uomini fatti fugacemente", non ci sarà difficile spiegare queste catastrofi.9 I1 malato ha sottratto alle persone del suo ambiente e al mondo esterno in generale l'investimento libidico ad essi rivolto fino a quel momento; perciò tutto gli è divenuto indifferente, ha perduto ogni rapporto con lui e deve essere spiegato mediante una razionalizzazione secondaria come "fatto fugacemente grazie a un miracolo". La fine del mondo è la proiezione di questa catastrofe interiore; il suo mondo soggettivo è giunto alla fine dal momento in cui egli ha sottratto ad esso il suo amore.10

Dopo la maledizione con la quale Faust si libera del mondo, il coro degli spiriti canta:

Weh! Wehl Ahimè, ahimè!

Du hast sie zerstOrt, Con un pugno poderoso

Die sehóne Welt, Hai distrutto il mondo bello;

Mit mkhtiger Faust! Precipita, va in frantumi!

Sie stiirzt, sie zerblItl Un semidio l'ha infranto!

Ein Halbgott hat sie zerschlagen!

Mkhtiger O tu, il più potente

Der Erdensiihne. Dei figli della terra

Prachtiger Ricostruiscilo più splendido,

Baue sie wieder, Riedificalo

In deinem Busen baue sie auf1 Nel petto tuo."

E il paranoico ricostruisce il mondo, non più splendido in verità, ma almeno tale da poter di nuovo vivere in esso. Lo ricostruisce col lavoro del suo delirio. La formazione delirante che noi consideriamo il prodotto della malattia costituisce in verità il tentativo di guarigione, la ricostruzione. Tale ricostruzione che segue alla catastrofe riesce più o meno bene, giammai appieno; per usare le parole di Schreber un "profondo mutamento interiore" si è verificato nel mondo. Ma l'uomo ha recuperato la capacità di stabilire un rapporto, spesso molto intenso con persone e cose di questo mondo, anche se ora è ostile il rapporto che in passato era pieno di tenerezza. Diremo dunque che il processo della rimozione propriamente detta consiste in un distacco della libido dalle persone — nonché dalle cose — in precedenza amate. Questo processo si compie in silenzio; non possediamo di esso indizio alcuno e dobbiamo inferire che è avvenuto dagli eventi che seguono. Si impone invece clamorosamente alla nostra attenzione il processo di guarigione che fa recedere la rimozione e riconduce la libido alle persone che da essa erano state abbandonate. Questo processo nella paranoia si attua grazie alla proiezione. Non era giusta l'affermazione secondo cui la percezione internamente repressa verrebbe proiettata all'esterno; la verità, di cui ora ci rendiamo conto, è piuttosto un'altra: ciò che era stato abolito dentro di noi, a noi ritorna dal di fuori. L'indagine approfondita del processo di proiezione, che abbiamo rimandato ad altra occasione, potrà fornirci in proposito la certezza definitiva.

Il nuovo punto di vista che abbiamo acquisito ci costringe ad affrontare una serie di ulteriori discussioni; e di questo ci dichiariamo soddisfatti per il momento.

i) La prima considerazione che ci viene in mente è che un distacco di libido né può prodursi esclusivamente nella paranoia né, producendosi altrove, possono risultarne esiti altrettanto disastrosi. È certamente possibile che il distacco della libido costituisca il meccanismo essenziale e normale di ogni rimozione; di ciò nulla possiamo sapere fino a quando le altre malattie fondate sulla rimozione non saranno state sottoposte a un'indagine analoga. È certo, però, che nella vita psichica normale (e non soltanto nel periodo del lutto) noi pratichiamo continuamente tali svincolamenti di libido da persone o da altri oggetti, senza ammalarci per questo. Quando Faust si libera del mondo con le maledizioni che conosciamo, non ne deriva né una paranoia né una nevrosi, ma soltanto un particolare stato d'animo. Il distacco della libido non può quindi essere in sé e per sé il fattore patogeno nella paranoia; occorre rintracciare un carattere particolare che differenzi il distacco paranoico della libido da altre specie del medesimo processo. Non è difficile suggerire quale sia tale carattere. Qual è l'impiego cui viene sottoposta la libido divenuta libera attraverso il processo di svincolamento? Normalmente, chiunque di noi cercherà subito un sostituto all'attaccamento perduto, e fintantoché esso non sarà stato felicemente trovato, la libido libera rimarrà fluttuante nella psiche producendo stati di tensione e influendo sull'umore. Nell'isteria l'importo libidico divenuto libero si trasforma in innervazioni somatiche o in angoscia. Nella paranoia invece un dato clinico ci indica che la libido sottratta all'oggetto viene convogliata per un uso particolare. Si ricorderà che nella maggior parte dei casi di paranoia è manifesto un elemento di delirio di grandezza e che il delirio di grandezza in quanto tale può da solo costituire una paranoia. Da ciò possiamo trarre la conclusione che nella paranoia la libido divenuta libera si appunta sull'Io e viene impiegata per l'espansione dell'Io. In tal modo viene nuovamente raggiunto lo stadio del narcisismo, che ci è noto come uno degli stadi evolutivi della libido, nel quale il proprio Io era l'unico oggetto sessuale. In base a questa testimonianza clinica supponiamo che i paranoici portino con sé una fissazione allo stadio narcisistico, e possiamo dichiarare che la retrocessione dall'omosessualità sublimata al narcisismo indica l'entità della regressione caratteristica della paranoia.

2) Si potrebbe sostenere — e sarebbe anch'essa un'obiezione non priva di fondamento — che nella storia della malattia di Schreber, come d'altronde in molte altre, il delirio di persecuzione (diretto contro Flechsig) si è manifestato incontestabilmente prima della fantasia della fine del mondo, per cui il presunto ritorno del rimosso avrebbe preceduto la rimozione stessa, il che evidentemente è un controsenso. Per confutare questa obiezione dobbiamo abbandonare il campo delle considerazioni generali e scendere all'esame dettagliato e ben più complesso delle circostanze reali. Bisogna ammettere che il distacco di libido di cui abbiamo parlato possa essere sia parziale, e cioè il ritirarsi da un complesso singolo, sia generale. Il distacco parziale dovrebbe essere di gran lunga il più frequente e dovrebbe precedere quello generale, dal momento che le circostanze della vita non danno origine, in un primo momento, che ad esso. Il processo può quindi o arrestarsi allo stadio del distacco parziale, o estendersi a un distacco generale che nel delirio di grandezza si esprime nel modo più appariscente.

Nel caso Schreber il distacco della libido dalla persona di Flechsig può ben essere stato il processo primario, ma ad esso il delirio, che riconduce la libido a Flechsig è seguito immediatamente (con un segno negativo che rappresenta l'impronta dell'avvenuta rimozione) e ha in tal modo annullato l'opera della rimozione. Scoppia allora di nuovo la lotta della rimozione, ma questa volta avvalendosi di armi più potenti: nella misura in cui l'oggetto della contesa diventa la cosa più importante nel mondo esterno, poiché da un lato tende ad attrarre tutta la libido su di sé e dall'altro mobilita tutte le resistenze contro di sé, la lotta attorno a questo singolo oggetto diventa paragonabile a una battaglia generale nel cui corso la vittoria della rimozione si esprime nella convinzione che il mondo è giunto alla sua fine e che l'unico sopravvissuto è il proprio Sé. Se si passano in rassegna le costruzioni ingegnose che il delirio di Schreber edifica sul terreno religioso (la gerarchia di Dio, le anime esaminate, i vestiboli del Cielo, il dio inferiore e il dio superiore), si può valutare retrospettivamente quale ricchezza di sublimazioni siano state annientate dalla catastrofe del distacco generale della libido.

3) Una terza riflessione, nata sulla base dei punti di vista che siamo venuti esponendo pone il problema se sia lecito considerare il distacco generale della libido dal mondo esterno efficace quanto basta per spiegare l'idea della "fine del mondo" o se invece, in questo caso, gli investimenti dell'Io 12 che si sono serbati non dovrebbero essere sufficienti al fine di preservare il rapporto con il mondo esterno. Per superare tale difficoltà occorrerebbe o far coincidere ciò che noi chiamiamo investimento libidico (interesse che promana da sorgenti erotiche) con l'interesse in generale, oppure considerare la possibilità che un disturbo considerevole nella distribuzione della libido determini altresì per induzione un disturbo corrispondente negli investimenti dell'Io. Ora, questi sono problemi che noi ci troviamo ancora del tutto impotenti e impreparati a risolvere. Diverso sarebbe se potessimo prendere le mosse da una ben fondata teoria delle pulsioni. Ma in verità non disponiamo di alcuno strumento di questo genere. Noi consideriamo la pulsione come un concetto limite tra il somatico e lo psichico e vediamo in essa la rappresentanza psichica di forze organiche; inoltre facciamo nostra la distinzione che viene operata comunemente tra pulsioni dell'Io e pulsione sessuale, distinzione che ci sembra concordare col duplice orientamento biologico di ogni singolo individuo, che da un lato aspira alla propria conservazione e dall'altro alla perpetuazione della specie. Tutto il resto non sono che ipotesi da noi avanzate — ma che siamo disposti a lasciar cadere — al fine di orientarci nel marasma degli oscuri processi psichici; dalla esplorazione psicoanalitica dei processi psichici morbosi ci ripromettiamo appunto di pervenire ad alcune conclusioni relative ai problemi che attengono alla teoria delle pulsioni. Tuttavia, sia perché queste ricerche sono ancora agli inizi sia perché sono condotte da singoli ricercatori isolati, è inevitabile che tali aspettative siano state finora disattese. Che disturbi della libido possano ripercuotersi sugli investimenti dell'Io non si può negare, come non si può negare l'inverso, vale a dire che un disturbo secondario o indotto a carico dei processi libidici possa derivare da modificazioni anormali nell'Io. t anzi probabile che processi di questo genere costituiscano il carattere distintivo della psicosi. Allo stato presente non ci è consentito indicare ciò che di tutto questo può essere applicato alla paranoia.

Su una considerazione vorrei però attirare ancora l'attenzione. Non si può sostenere che il paranoico ha ritirato completamente ogni suo interesse dal mondo esterno, neppure una volta raggiunto il culmine della rimozione, come invece va detto a proposito di certe altre forme di psicosi allucinatorie ("amenza" di Meynert). Il paranoico ha percezione del mondo esterno e si fa una ragione dei mutamenti che in esso si producono; anzi le impressioni che ne ricava lo stimolano a formulare delle spiegazioni (gli "uomini fatti fugacemente" di Schreber); per questo ritengo di gran lunga più probabile che la mutata relazione del paranoico verso il mondo esterno sia dovuta unicamente o principalmente al venir meno dell'interesse libidico.

4) Dal momento che la dementia praecox e la paranoia sono strettamente imparentate, non possiamo non chiederci in che modo la nostra concezione della paranoia debba ripercuotersi sulla concezione della dementia praecox. Io penso che Kraepelin abbia avuto perfettamente ragione di separare gran parte della sindrome fino allora definita paranoica e di assorbirla con la catatonia e altre forme morbose in una nuova unità clinica, benché, a dire il vero, la denominazione di dementia praecox mi sembri una scelta particolarmente infelice. Anche contro il termine "schizofrenia" coniato da Bleuler per designare lo stesso gruppo di forme morbose ci sarebbe da obiettare che esso appare accettabile solo se si prescinde dal suo significato letterale; '3 in caso contrario il suo uso è di pregiudizio alla comprensione poiché, per designare una forma morbosa ci si serve di un carattere postulato teoricamente, per di più di un carattere che non pertiene esclusivamente a quell'affezione né può, alla luce di altre considerazioni, esser ritenuto per essa essenziale. Ma tutto sommato poco importa la denominazione che viene usata per indicare i vari quadri clinici. Quel che mi sembra più importante è che la paranoia sia considerata un'entità clinica a sé stante, anche se il quadro che essa offre è assai sovente complicato dalla presenza di tratti schizofrenici; infatti, dal punto di vista della teoria della libido, la paranoia potrebbe essere distinta perfino dalla dementia praecox sia in ragione della diversa localizzazione della fissazione predisponente, sia per il diverso meccanismo di ritorno del rimosso (cioè di formazione dei sintomi); con la dementia praecox la paranoia condividerebbe tuttavia il carattere principale della rimozione propriamente detta, cioè il distacco della libido dal mondo esterno con corrispondente regressione sull'Io. Io credo che la soluzione più adeguata sia quella di attribuire alla dementia praecox il nome di parafrenia, termine privo di contenuto preciso che esprime il rapporto esistente tra questa affezione e la paranoia (la cui denominazione non va mutata) e che, inoltre, rammenta l'ebefrenia, che attualmente è assorbita nella dementia praecox. Vero è che questo termine è stato già proposto per designare altra cosa, ma ciò importa poco, dal momento che le altre accezioni non sono riuscite a imporsi.

Abraham ha esposto in maniera convincente come l'allontanarsi della libido dal mondo esterno costituisca un carattere particolarmente marcato della dementia praecox." Da questo carattere noi deduciamo che la rimozione si effettua attraverso il distacco di libido. Anche qui possiamo considerare la fase delle allucinazioni violente come un momento della lotta che si svolge tra la rimozione e un tentativo di guarigione che cerca di ricondurre la libido ai suoi oggetti. Jung ha riconosciuto, con straordinario acume analitico, nei deliri e nelle stereotipie motorie presenti in questa malattia i residui, serbati spasmodicamente, di antichi investimenti oggettuali. Ma questo tentativo di guarigione che gli osservatori scambiano per la malattia, non si serve, come accade nella paranoia, d'un meccanismo di proiezione, bensì d'un meccanismo allucinatorio (isterico). Questa è una delle differenze principali tra la dementia praecox e la paranoia, suscettibile altresì di una spiegazione genetica se si affronta il problema da un altro punto di vista.

L'esito della dementia praecox, quando questa affezione non rimanga troppo circoscritta, ci permette di individuare la seconda differenza. Tale esito è in genere più infausto che quello della paranoia; la vittoria non spetta come in quest'ultima alla ricostruzione, bensì alla rimozione. La regressione non giunge solo fino allo stadio narcisistico (che trova nel delirio di grandezza la sua espressione), ma perviene fino all'abbandono completo dell'amore oggettuale e al ritorno all'autoerotismo infantile. La fissazione predisponente deve in conseguenza trovarsi molto più lontano nel tempo che nella paranoia, dev'essere cioè situata all'inizio dell'evoluzione, che procedendo dall'autoerotismo tende all'amore oggettuale. Inoltre non è affatto probabile che le spinte omosessuali, presenti così spesso e forse sempre nella paranoia, abbiano pari importanza nell'etiologia della dementia praecox, che è malattia di gran lunga meno circoscritta.

Le nostre ipotesi relative alle fissazioni predisponenti nella paranoia e nella parafrenia ci consentono di comprendere agevolmente che un caso inizialmente caratterizzato da sintomi paranoici può tuttavia evolvere verso la dementia praecox, e che, per contro, fenomeni paranoici e schizofrenici possono combinarsi nella misura più varia e dar luogo a un quadro clinico come quello offerto dal caso di Schreber; ad esso ben si conviene la denominazione di dementia paranoides poiché per la rilevanza che in esso hanno la fantasia di desiderio e le allucinazioni di tipo parafrenico, per la causa occasionale, per il meccanismo di proiezione di cui si avvale e per l'esito stesso della malattia, questo caso rientra nello schema della paranoia. Fissazioni molteplici possono, in effetti, essersi prodotte nel corso dello sviluppo, e una dopo l'altra essersi prestate a diventare punti di irruzione della libido che era stata allontanata, a cominciare senza dubbio dalle fissazioni più recenti, per risalire — nel corso successivo della malattia — alle fissazioni più antiche e perciò più vicine al punto di partenza.

Saremmo contenti di conoscere a quali circostanze si debba l'esito relativamente favorevole di questo caso, poiché non ci piace attribuirlo interamente a un evento così accidentale come il "miglioramento per cambio di residenza"15 prodottosi quando Schreber lasciò la clinica di Flechsig. Ma la nozione che abbiamo delle vicende intime che hanno intessuto la storia di questa malattia è troppo lacunosa e non consente di rispondere a questa interessante domanda. Si può tuttavia supporre che ciò che ha permesso a Schreber di conciliarsi con la propria fantasia omosessuale, e con ciò alla malattia di sfociare in una sorta di guarigione, è la coloritura nell'insieme piuttosto positiva del suo complesso paterno, e il fatto che i suoi rapporti con un padre eccellente non erano stati negli ultimi anni turbati da ombra alcuna.

Poiché non temo la critica altrui né rifuggo dall'autocritica, non ho ragione alcuna per sottacere una coincidenza che forse potrà nuocere, nel giudizio di molti lettori, alla nostra teoria della libido. I "raggi divini" di Schreber, che risultano composti dalla condensazione di raggi solari, di fibre nervose e di spermatozoi, non sono in fondo che la raffigurazione concreta e proiettata al di fuori di investimenti libidici, e conferiscono al delirio di Schreber una impressionante concordanza con la nostra teoria. La convinzione che il mondo sia destinato a finire perché l'Io del malato attira su di sé tutti i raggi, l'ansiosa preoccupazione durante la successiva fase di ricostruzione che Dio possa abbandonare il legame stabilito con lui attraverso i raggi: questi e alcuni altri elementi della struttura del delirio di Schreber adombrano una sorta di percezione endopsichica di quei processi dei quali io ho supposto l'esistenza allo scopo di comprendere la paranoia. Posso però dimostrare, grazie alla testimonianza di un amico competente in materia, che ho elaborato la mia teoria della paranoia prima che mi fosse noto il contenuto del libro di Schreber. Sarà l'avvenire a decidere se la mia teoria contiene più delirio di quanto io non vorrei, o se il delirio di Schreber contiene più verità di quanto altri oggi non siano disposti a credere.

Infine, non vorrei chiudere questo lavoro che, ripeto, è solo un frammento di un contesto più vasto di indagini, senza ricordare le due tesi principali di cui la teoria libidica delle nevrosi e delle psicosi mirano a dare testimonianze sempre più probanti, e cioè che le nevrosi scaturiscono fondamentalmente da un conflitto tra l'Io e la pulsione sessuale, e che le forme che esse assumono serbano l'impronta dell'evoluzione seguita e dalla libido e dall'Io.

Note

1 Un'ulteriore conferma di ciò si trova nell'analisi del paranoico J. B. di A. MAEDER, Psycho/ogische Untersuchungen an Dementia praecox-Kranken, Jb. psychoanal. psychopath. Forsch., vol. 2, 185 (191o). Mi rincresce di non aver potuto leggere questo scritto all'epoca della stesura del presente lavoro.

2 I. S. SADGER, Ein Fall von multipler Perversion mit hysterischen Absenzen, Jb. psychoanal. psychopath. Forsch., vol. 2, 59 (1910); Freud, Un ricordo d'infanzia di Leonardo da Vinci (191o).

3 Freud, Tre saggi sulla teoria sessuale (1905), terzo saggio, & 3.

4 Vedi Freud, Teorie sessuali infantili (1908).

5 Nella versione della "lingua fondamentale", come direbbe Schreber.

6 Tre saggi sulla teoria sessuale (ago5), primo saggio, & 2A. Lo stesso punto di vista, formulato nello stesso modo si trova negli scritti di Abraham e Maeder già citati.

7 Gialal ad-din Rumi, di Muhammad ibn Muhammad citato da Kuhlenbeck nell'introduzione al vol. 5 delle Opere di Giordano Bruno nella traduzione di Ruckert.

8 Un'altra fine del mondo, diversamente motivata, si manifesta al culmine dell'estasi amorosa (vedi il Tristano e Isotta di Wagner); qui non è l'Io, ma il singolo oggetto amoroso che assorbe tutti gli investimenti libidici diretti verso il mondo esterno.

9 Vedi K. ABRAHAM, op. cit. e C. G. JUNG, Psicologia della dementia praecox (1907). Nel breve lavoro di Abraham sono contenuti quasi tutti i punti essenziali di questo lavoro sul caso Schreber.

10 Forse egli ha sottratto ad esso non solo l'investimento libidico, ma ogni interesse in genere e cioè anche gli investimenti che procedono dall'Io. Vedi oltre la discussione di questa questione.

11 [Goethe; Faust, parte prima, studio (II), trad. it. cit.]

12 [Ichbesetzungen. Questo termine tedesco che ricorrerà altre due volte in ciò che segue, risulta ambiguo in quanto può significare o che l'Io viene "investito" oppure che è l'Io che "investe". L'ambiguità rimane nella traduzione italiana "investimenti dell'Io". Non può esserci dubbio tuttavia che nel presente contesto il termine sia usato nel secondo significato di "investimenti da parte dell'Io".]

13 [Vale a dire: "mente scissa".]

14 Nello scritto già citato.

15 Vedi F. Riklin, Ober Versetzungsbesserung, Psychiat.-neurol. Wschr., vol. 7 (1905).

Poscritto

(1911)

Scrivendo questo saggio sul caso del presidente Schreber, mi sono deliberatamente contenuto il più possibile nell'interpretazione e oso sperare che ogni lettore dotato di cultura psicoanalitica sia stato in grado di afferrare, in base al materiale fornitogli, più di quanto io non abbia esplicitamente detto, e che non gli sia stato difficile, serrando più saldamente le fila sparse del contesto, giungere a quelle conclusioni definitive che io mi sono limitato ad accennare. Per una fortunata coincidenza l'attenzione di altri collaboratori dello stesso fascicolo della rivista scientifica in cui questo studio è apparso, è stata richiamata dall'autobiografia di Schreber, e anche questo ci consente di valutare quanto materiale si possa ancora attingere dal contenuto simbolico delle fantasie e delle idee deliranti di questo paranoico altamente dotato.'

Dopo aver pubblicato questo studio su Schreber, un casuale arricchimento delle mie cognizioni mi ha messo in grado di valutare meglio una delle sue credenze deliranti e di riconoscervi una varietà di nessi con la mitologia.

A pagina 66 ho citato i rapporti particolari che l'ammalato crede di avere col sole, che sono stato indotto a spiegare come un "simbolo paterno" sublimato. Il sole gli parla con parole umane e gli si fa riconoscere come un essere animato. Schreber ha l'abitudine di ingiuriarlo gridandogli contro frasi minacciose; egli assicura inoltre che i suoi raggi impallidiscono in sua presenza quando egli rivolto verso il sole gli parla a voce alta. Dopo la "guarigione" si vanta di poter tranquillamente guardare dentro il sole, rimanendone solo molto relativamente abbagliato, cosa che prima non gli sarebbe stata assolumente possibile.2

A questo privilegio delirante di poter fissare il sole senza rimanerne abbagliato si collega appunto l'interesse mitologico. Salomon Reinach 3 riferisce che i naturalisti dell'antichità attribuivano questo potere solo alle aquile che, abitando le più alte regioni dell'aria, erano poste in relazione particolarmente intima con il cielo, il sole e i fulmini.4 Le stesse fonti affermano inoltre che l'aquila sottopone i suoi piccoli a una prova prima di riconoscerli per suoi figli legittimi: se essi non possono guardare nel sole senza socchiudere le palpebre, li getta fuori dal nido.

Il senso da attribuire a questo mito animale non presenta dubbio alcuno: non si fa che attribuire all'animale ciò che presso gli uomini è un costume consacrato. Quello che l'aquila impone ai suoi aquilotti è un'ordalia, una prova della discendenza, come quelle che, secondo la tradizione, erano in vigore presso i popoli più diversi dell'antichità. Così i Celti, abitanti lungo il Reno, usavano affidare i loro neonati alle onde del fiume, onde avere la certezza che fossero del loro sangue. La tribù dei Psilli che occupava il territorio della Tripoli attuale e si vantava di discendere da serpenti, esponeva i propri figli al loro contatto: i bambini effettivamente nati dalla tribù non venivano morsicati oppure si ristabilivano rapidamente dagli effetti del morso .3 Ciò che costituisce il fondamento di tali prove ci sospinge nel profondo del modo di pensare totemico dei popoli primitivi. Il totem — l'animale o la forza naturale animisticamente concepita a cui la tribù fa risalire la propria origine — preserva i membri della tribù in quanto suoi figli, ed è a sua volta venerato ed eventualmente preservato come progenitore della tribù stessa. Mi sembra che le questioni a cui siamo giunti indichino la possibilità di pervenire a una comprensione psicoanalitica delle origini della religione.

Quando l'aquila lascia che i suoi aquilotti guardino nel sole ed esige che essi non siano abbagliati dalla sua luce, si comporta come un discendente del sole che sottoponesse i propri figli alla prova ancestrale. E quando Schreber si vanta di fissare impunemente il sole senza rimanerne abbagliato, egli ha riscoperto un'espressione mitologica per significare il suo rapporto filiale nei confronti del sole, e ha dato alla nostra concezione del suo sole come simbolo del padre un'ulteriore conferma. Se però ricordiamo che Schreber, durante la sua malattia, esprime apertamente il suo orgoglio familiare: "...Gli Schreber appartenevano... alla suprema nobiltà celeste"6 (44) e che noi abbiamo altresì individuato nella mancanza di prole un motivo umano per il suo essersi ammalato con una fantasia di desiderio femminile, allora il rapporto di questo suo privilegio delirante [quello di poter fissare impunemente il sole] con il fondamento stesso della malattia diventa abbastanza chiaro.

Questo breve poscritto all'analisi d'un paranoico ci dimostra come Jung abbia buone ragioni per asserire che le forze mitopoietiche dell'umanità non sono esaurite, ma ancor oggi generano, nelle nevrosi, gli stessi prodotti psichici del più antico passato. Vorrei riprendere un accenno fatto a suo tempo7 e dichiarare che la stessa cosa vale per le forze che creano le religioni. Io penso che è vicino il momento in cui una tesi che noi psicoanalisti abbiamo enunciato da tempo potrà essere estesa, aggiungendo al suo contenuto individuale, che è stato inteso in modo ontogenetico, un'integrazione antropologica che va intesa in modo filogenetico. Abbiamo detto che nel sogno e nella nevrosi si ritrova il bambino con tutte le particolarità che caratterizzano il suo modo di pensare e la sua vita affettiva; aggiungiamo ora che vi si rintraccia anche l'uomo primitivo, il selvaggio, quale ci appare alla luce delle ricerche archeologiche ed etnologiche.

Note

1 Vedi C. G. Jung, Simboli della trasformazione (1912/1952) ["Opere di C. G. Jung", vol. 5, pp. 136 sg. e 296); S. SPIELREIN, Ober den psychologischen Inhalt eines Falles von Schizophrenie (Dementia praecox), Jb. psychoanal. psychopath. Forsch., vol. 3, 350 (1911).

2 Vedi la nota a p. 157 del libro di Schreber citata sopra.

3 S. REINACH, Cultes, mythes et religions, 4 voli. (Parigi 1905-12) vol. 3, p. 8o, cita Kelier Die Tiere des classischen Alterthums in Kulturgeschichtlicher Beziehung (Innsbruck 1887) p. 268.

4 Si ponevano delle immagini di aquile in cima ai templi perché servissero da parafulmini "magici" (vedi REINACH, 10C. cit.).

5 I particolari si trovano in REINACH, op. cit., vol. 3, p. 80 e vol. 1, p. 74

6 Adel richiama Adler. [Adel significa "nobiltà" o "nobile"; Adler significa "aquila" o "persona nobile".]

7 Azioni ossessive e pratiche religiose (1907).

Commento al Caso Schreber di Luigi Anepeta