Il significato funzionale dei sintomi psicopatologici (parte 4)

1.

Gli attacchi di panico vengono oggi fatti rientrare nel contesto più ampio del Disturbo d'ansia, che comprende, oltre ad essi, i disturbi ossessivo-compulsivi, la fobia sociale e l'ansia generalizzata. Questa nuova categoria nosografia comprende quelle che fino a pochi anni fa si definivano psiconevrosi, e per le quali si ammetteva una genesi prevalentemente psicogena. Il cambiamento non corrisponde solo, come sostengono coloro che lo hanno promosso, a esigenze di maggiore fedeltà ai fatti clinici.

Nell'ottica neopsichiatrica, il termine disturbo è un eufemismo. Esso implica infatti una malattia il cui fondamento è da ricondurre ad una predisposizione genetica. Fa riferimento insomma ad una patologia d'organo rivelata dai sintomi. Il Disturbo d'ansia, in questa ottica, attesta una labilità costituzionale dei centri emozionali che regolano il rapporto del soggetto con situazioni di pericolo. La sua natura di malattia è comprovata dal fatto che, nell'intero suo spettro, i pericoli in questione sono immaginari. La complessità dei sintomi viene ricondotta al fatto che, data la tendenza a sviluppare stati di allarme ingiustificati sul piano reale, ogni soggetto interpreta cognitivamente il suo stato emozionale, dando ad esso i contenuti più vari. La terapia di base è dunque farmacologia, anche se si ammette che una psicoterapia ad orientamento cognitivo, volta a correggere le interpretazioni errate che il soggetto dà della sua condizione, possa essere d'ausilio.

E' evidente che questo modo di vedere è antitetico ad un approccio funzionale ai sintomi, il quale esclude una patologia d'organo. Tale approccio, infatti, parte dal presupposto che i sintomi psicopatologici, eccezion fatta per quelli che dipendono da una malattia cerebrale conclamata (psicosi infettive, tossiche, dismetaboliche, vascolari, demenze senili, ecc.), attestano paradossalmente che il cervello fa il suo mestiere, che è quello di dare espressione alle diverse motivazioni psicodinamiche esistenti a livello conscio e inconscio. Essi definiscono e indiziano il fatto che tali motivazioni, essendo in conflitto tra loro, non riconoscono un'organizzazione gerarchica stabile che, di solito, assicura un certo equilibrio soggettivo e comportamentale.

I sintomi dunque attestano semplicemente che, particolarmente a livello inconscio, si danno problemi da risolvere e che soggetto, con la sua attrezzatura cognitiva e culturale, non può né capire né elaborare. La cura consiste nel decodificare i sintomi mettendolo in condizione di affrontare i problemi che li hanno generati.

La difficoltà del lavoro di decodificazione non sta tanto nella complessità o nella varietà dei conflitti, che sono sempre riconducibili ad una scissione tra il Super-Io e l'Io antitetico, che regolano la relazione tra l'Io e l'Altro, bensì nel fatto che i sintomi psicopatologici sono sempre condensati. Essi, in altri termini, esprimono contemporaneamente le due logiche che sottendono quelle funzioni secondo una gamma di combinazioni praticamente indefinita. A questo aspetto occorre aggiungere il ruolo dell'Io che, a livello cosciente può essere connivente con una delle due logiche, ma, a livello inconscio, risulta sempre esso stesso scisso e ambivalente. Abbiamo già visto la pertinenza di tali concetti in rapporto agli attacchi di panico. L'analisi funzionale della sintomatologia ossessivo-compulsiva può consentire di confermare e approfondire tale pertinenza, che diventerà del tutto chiara quando affronteremo il problema dei sintomi psicotici, e in particolare del delirio.

2.

La sintomatologia ossessiva è caratterizzata da tre aspetti correlati tra loro: i pensieri coatti, le ossessioni impulsive, i rituali. I pensieri coatto o ossessioni sono contenuti di coscienza incoercibili, ripetitivi e invasivi che il soggetto sperimenta come estranei e intrusivi. Egli, a differenza di quanto avviene nelle situazioni allucinatorie, riconosce che tali contenuti sono suoi, nel senso che appartengono alla sua esperienza mentale, ma non li riconosce come propri, vale a dire come prodotti dall'Io. Il suo vissuto, di conseguenza, è di essere parassitato da essi.

Si coglie immediatamente il carattere differenziale delle ossessioni rispetto agli attacchi di panico. In questi, la sintomatologia è riferita immediatamente ad una malattia somatica che può compromettere l'identità fisica e psichica del soggetto. Nelle ossessioni, viceversa, le coazioni sono eventi puramente mentali. Il dubbio che esse evocano è che, a livello mentale, si dia qualcosa di distorto e/o di morboso. Tale paura è amplificata dalle ossessioni impulsive, vale a dire da spinte interiori, che intervengono più o meno repentinamente, ad agire comportamenti inopportuni, blasfemi, osceni, aggressivi o del tutto contrastanti con le regole del buon vivere civile e con i suoi valori morali di riferimento. Per effetto delle impulsioni, il soggetto sente di stare lì per lì per perdere il controllo. A tale pericolo associa naturalmente la possibilità di essere sanzionato socialmente e di essere giudicato un pazzo o un criminale. Il fatto che, nella quasi totalità dei casi, la perdita di controllo non sopravvenga, non lo tranquilizza affatto, poiché ogniqualvolta l'ossessione impulsiva si ripropone, la paura è identica.

I rituali sono comportamenti più o meno complessi che il soggetto deve agire seguendo una procedura fissa, il cui significato gli sfugge. La costrizione a realizzarli è dovuta al fatto che solo eseguendoli egli riesce a scongiurare un malessere profondo, che fa capo alla possibilità che possa avvenire qualcosa di male a lui stesso o ai suoi cari. Talora i rituali sono semplicemente mentali: si tratta di ripetere cifre in un certo ordine, di memorizzare le targhe delle macchine, di astenersi dal toccare alcuni oggetti, ecc. In questi casi, essi possono essere in apparenti socialmente. Altre volte, essi comportano azioni piuttosto complesse che investono la vita quotidiana (il lavarsi, il vestirsi, il manipolare gli oggetti, ecc.) o appaiono del tutto assurdi. In questi casi, sia la vita privata che quella sociale possono essere coinvolte. Non potendo celare agli altri le sue stranezze, il soggetto tende a limitare al massimo grado l'esposizione sociale.

La psicopatologia tradizionale, descrittiva, assume le coazioni e le ossessioni impulsive come l'indizio di un malfunzionamento cerebrale, e i rituali come una difesa adottata inconsciamente dal paziente per tenere sotto controllo l'ansia. In realtà, è il tipo particolare di ansia che prova il soggetto affetto da ossessioni che offre lo spunto per un'analisi funzionale.

Non diversamente da quanto accade negli attacchi di panico, si tratta di un'ansia che fa capo ad una più o meno spiccata aspettativa del male. Di solito, il soggetto non sa fornire una ragione di tale aspettativa: anzi talora non si rende affatto conto di albergarla. Solo nei casi in cui le ossessioni impulsive sono prevalenti, l'aspettativa del male assume un carattere realistico, facendo riferimento alla possibilità che, nel caso esse si realizzino, possa scattare l'etichetta sociale della malattia mentale, l'internamento, l'arresto, ecc.

Le ossessioni impulsive offrono la chiave interpretativa del "disturbo". Esse pongono manifestamente in luce un conflitto tra due parti della personalità: la coscienza, che tende di per sé a rispettare le regole del buon vivere civile e i valori di riferimento acquisiti, e un inconscio che sembra più o meno radicalmente orientato a non tenerne conto e a violarli. Se si fa un'antologia delle ossessioni impulsive sembra veramente di trovarsi, attraverso di esse, in presa diretta con un sottofondo limaccioso e inquietante della mente umana, vale a dire con l'Es freudiano o con l'Ombra junghiana. Non ci si sorprende che Freud, assumendole come espressioni immediate della natura umana, sia giunto a costruire la teoria delle pulsioni. Il problema, che orienta l'interpretazione in un'altra direzione, è che le ossessioni impulsive nella stragrande maggioranza dei casi non si traducono in comportamenti. Al soggetto, che vive con terrore l'esperienza, sembra di stare lì lì per perdere il controllo, ma di fatto tale perdita non si realizza. Attribuire questo alla paura che egli ha delle conseguenze sociali sembra piuttosto riduttivo.

La realtà è che le ossessioni impulsive non hanno il significato che il soggetto coscientemente dà ad esse. Si tratta di messaggi inconsci che tendono a segnalare un regime interiore più o meno rigidamente coercitivo, che le impulsioni tendono ad allentare e a sabotare. La fenomenologia impulsiva è di fatto agghiacciante, potendo comportare, al limite, fantasie di aggressione rivolte nei confronti di esseri vulnerabili (vecchi, handicappati, anziani). Attraverso di esse, è come se il Mister Hyde latente nella natura umana si attivasse. Se si va al di là della forma delle ossessioni impulsive, riesce chiaro identificare in esse una rivendicazione di libertà individuale esasperata da una lunga repressione, che, pertanto, si esprime sotto forma ridondante. Dato che il soggetto ignora il principio di ridondanza, egli rimane terrorizzato dalle ossessioni impulsive e di conseguenza tenta di incrementare il controllo sulla sua vita interiore e sui suoi comportamenti. Una delle espressioni di questo bisogno di controllo è per l'appunto la sottomissione ai rituali.

3.

Il modo migliore per capire la dinamica dei sintomi ossessivi consiste nell'analizzare ciò che di fatto avviene nel corso dei rituali più estenuanti. Per eseguire questi, per esempio il lavaggio delle mani, il soggetto deve seguire una procedura standardizzata e fissa. Mentre egli esegue il rituale, però, intervengono di solito due difficoltà: talora il soggetto sbaglia un passaggio e deve ricominciare la procedura da capo; talaltra egli è preda del subbio di non avere eseguito correttamente la procedura per cui deve ripeterla. Le interferenze e i dubbi fanno si che l'esecuzione del rituale può durare talora anche delle ore. La coazione rituale equivale ad una prescrizione, al dover fare impellentemente una determinata azione e a doverla eseguire secondo una procedura che azzera la libertà del soggetto. Sotto l'effetto dell'ansia legata alla possibilità di non eseguire correttamente il rituale, il soggetto in pratica diventa un automa.

Il livello di coscienza associato al rituale è vario. Talora il soggetto non si domanda neppure il senso di ciò che fa: sente di doverlo fare e basta. Altre volte, egli si rende conto dell'irragionevolezza o addirittura dell'assurdità delle sue azioni, ma ciò non vale a togliere ad esse il carattere coercitivo. Che cosa costringe il soggetto ad eseguire, spesso affannosamente, i rituali? Sono le conseguenze che, a livello emozionale, egli associa alla mancata o errata esecuzione: conseguenze univocamente catastrofiche, che fanno riferimento riferimento a qualcosa di male che potrebbe accadere al soggetto stesso, ai suo parenti o a qualcun altro.

Il soggetto non sa mai spiegare il nesso tra le azioni da compiere e le conseguenze temute: egli sente che le cose stanno così, vale a dire che dipende da lui evitare o no che esse si realizzino. Questo vissuto rivela immediatamente la logica magico-superstiziosa che sottende il rituale. Eseguendolo, è come se il soggetto si attribuisse il potere di tenere sotto controllo il male, vale a dire tutto ciò di negativo che può intervenire nella vita. A partire da questo, sarebbe facile giungere alla conclusione che il soggetto, attraverso il rituale, si attribuisce un potere di controllo onnipotente sulla casualità che incombe sull'esistenza umana. Molti analisti, di fatto, sono fermi all'interpretazione del rituale come strumento di difesa rispetto all'ansia. Il problema però sta nel capire perché il soggetto sperimenti livelli di ansia così intensi e perché l'esecuzione dei rituali è, almeno immediatamente, efficace nel placarli.

In realtà, il rituale può essere interpretato più semplicemente facendo riferimento alla logica per cui, data una prescrizione, vale a dire il riferimento a regole da rispettare, se il soggetto le rispetta non può accadere nulla di male a lui e agli altri. Il rituale significa dunque che l'equilibrio soggettivo e il benessere del soggetto stesso o di qualcun altro dipendono dalla sottomissione a regole che vanno rispettate anche se, apparentemente, esse sono irragionevoli o insensate. Attraverso il rituale, insomma, il soggetto è messo alla prova per quanto riguarda la sua capacità di sottomettersi alla volontà che lo prescrive. Questo aspetto chiarisce immediatamente il significato delle interferenze e dei dubbi che richiedono talora di ripetere la procedura rituale per ore. Sia i lapsus, in conseguenza dei quali il soggetto commette un errore procedurale, sia i dubbi di aver commesso un errore che intervengono nel corso dell'esecuzione attestano che, senza sapere e senza volere, il soggetto si ribella alla coercizione, rivendicando una libertà che viene imputata inconsciamente come una colpa. Se vuole stare tranquillo, dunque, egli deve agire come un automa; una minima rivendicazione di libertà e di spontaneità bastano ad attivare un malessere intollerabile.

La dinamica del rituale è evidente. Essa implica il riferimento ad una volontà altra rispetto a quella del soggetto che pone delle regole da rispettare passivamente, pena l'attivazione dell'angoscia e la paura di danneggiare sé o qualcun altro. In conseguenza dell'angoscia, il soggetto si piega all'esecuzione del rituale, ma, nel corso di questa, interviene una rivendicazione di agire di testa propria che la impedisce. Tale rivendicazione va pagata con una nuova esecuzione, e l'ansia si estingue solo allorché il soggetto dà prova di funzionare come un automa. In ogni rituale, dunque, si esprime un conflitto che sembra non componibile tra volontà altrui e volontà propria. Tale conflitto sembra comportare solo due soluzioni: la sottomissione passiva ad un'imperscrutabile volontà altrui che prescrive le regole da rispettare e le azioni da compiere, e la ribellione, che comporta però il prodursi di un malessere angoscioso. Se si coglie questa chiave, il significato funzionale delle ossessioni diventa chiaro. Esse rivelano una scissione tra il Super-Io, deputato a promuovere il rispetto delle regole, delle norme e dei valori culturali, assunti come espressivi di una volontà collettiva che trascende l'individuo, e l'Io antitetico, che rivendica la libertà sotto forma di infrazione delle regole stesse. L'io antitetico invia, attraverso le ossessioni impulsive, messaggi che attestano un regime coercitivo intollerabile. Il soggetto non è in grado di recepire e dare il giusto significato a questi messaggi perché egli, di solito, è alleato con il Super-Io e non ha coscienza della coercizione.

Settembre 2005

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