Panantropologia, allevamento e storia sociale
La panantropologia, così come l’ho rapidamente delineata, è un modello antropologico che integra biologia, psicologia, psicoanalisi, sociologia e storia sociale, e allude alla possibilità che si realizzi un salto di Civiltà, atto a promuovere la formazione e l’azione di esseri consapevoli, critici e perpetuamente impegnati nel compito di migliorare se stessi e lo stato di cose esistente nel mondo.
C’è da chiedersi cosa questo modello significhi sul piano della prassi, vale a dire come esso si possa realizzare. È fuor di dubbio che l’ambito elettivo di applicazione del modello sia la produzione antropologica, vale a dire l’allevamento, l’educazione e la formazione di soggetti dotati non solo di spirito critico ma orientati consapevolmente a coltivarlo per tutta la vita.
La realizzazione del modello panantropologico sul piano della produzione antropologica postulerebbe anzitutto un massiccio investimento di risorse in maniera tale da realizzare una situazione che offra ai singoli individui adeguate opportunità di sviluppo. Questo obiettivo circola nella civiltà occidentale dall’epoca della Rivoluzione francese, ma non è mai stato raggiunto anche per una carenza teorica. Offrire ai singoli individui adeguate opportunità di sviluppo significa distribuire in maniera equa le risorse affettive, economiche e culturali di cui dispone una società.
La produzione antropologica dovrebbe essere orientata nella direzione della formazione di una coscienza critica. Perché questo termine abusato riassuma senso occorre riformularlo in rapporto a ciò che si sa della psicologia infantile. Nei primi anni di vita, i bambini hanno una percezione ipnotica della realtà degli adulti, che li rende estremamente influenzabili. Occorrerebbe a riguardo richiamare gli adulti a non abusare dell’enorme potere che la programmazione della mente infantile assegna loro, e sollecitarli a preparare il terreno per la fuoriuscita dei bambini da questo periodo (che dura 5-6 anni). Ciò significa, né più né meno, non inculcare alcun valore – in particolare per quanto riguarda la religione, che ecceda il loro modesto potere critico.
A partire dai 5-6 anni un punto fermo dell’istruzione dovrebbe vertere sulla teoria darwiniana, che può essere esposta con semplicità, nonostante un adeguato approfondimento debba sopravvenire ulteriormente. Contemporaneamente all’avvio dello studio dell’evoluzione biologica, di cui l’uomo è un prodotto, occorrerebbe, a partire dalla seconda infanzia, introdurre lo studio della storia sociale, in particolare per quanto concerne gli aspetti infrastrutturali – economici – e quelli sovrastrutturali – ideologici.
In virtù di questi insegnamenti, i bambini arriverebbero alle scuole medie con qualche idea un po’ più chiara sull’evoluzione biologica e quella culturale della specie umana. Queste idee andrebbero, ovviamente, approfondite in tutto il corso degli studi superiori, fino a produrre la convinzione che l’uomo può interrogarsi sulla sua comparsa, sul suo esserci, sul passato e sul futuro.
Attrezzati laicamente (e fermo restando il fatto che se un ragazzo intende studiare e praticare la religione, ciò gli va concesso), gli adolescenti svilupperebbero probabilmente una crisi nichilistica più profonda di quanto sia accaduto in passato. Anziché fornire loro ricette confortanti, questa crisi andrebbe fatta maturare sino alle sue estreme conseguenze, cioè fino all’intuizione per cui se la condizione umana è oggettivamente insignificante essa può essere arricchita di significati soggettivi e personali che richiedono un grande impegno sia sul piano dell’affettività che della socialità e della cultura.
A questa stessa epoca, che si presta naturalmente, occorrerebbe avviare il discorso sullo statuto della coscienza umana e sul suo rapporto con l’inconscio. Realisticamente, sarebbe del tutto inutile fornire informazioni psicoanalitiche belle e fatte. L’allargamento della coscienza non può avvenire sulla base della razionalità. Sarebbe però oltremodo importante indurre la consapevolezza che la dimensione inconscia non è oscura, impenetrabile e negativa, ma è il patrimonio di potenzialità ridondanti che vanno utilizzate da ciascuno creativamente.
Si potrebbe anche fornire la chiave della teoria dei bisogni per indurre l’intuizioni che molte vicissitudini e contraddizioni degli esseri umani riconoscono la loro matrice nella doppia natura di esseri radicalmente sociali e, al tempo stessi, dotati della consapevolezza della propria identità unica e irripetibile.
Lo studio dei meccanismi difensivi andrebbe ricondotto sia alle loro valenze culturali, in nome del fatto che nessuna società potrà mai affrancarsi dalla tentazione della normalizzazione, dell’indurre cioè comportamenti fedeli al senso comune, sia alle loro valenze soggettive che, rimuovendo ciò che contrasta con l’ideale dell’io, impedisce un autentico sviluppo sulla base della presa d’atto delle contraddizioni che caratterizzano l’esperienza umana.
Acquisita la teoria dei bisogni, occorrerebbe poi promuovere nei singoli soggetti la sua accettazione come una sfida orientata a trovare il massimo punto di equilibrio tra logica dell’appartenenza e logica dell’individuazione. Il che significa, né più né meno, che una sempre più ricca partecipazione sociale e una sempre più articolata differenziazione individuale non sono affatto incompatibili, anche se sono difficili da realizzare.
Da ultimo si tratterebbe di introdurre, nelle scuole medie superiori, l’insegnamento della neurobiologia, disciplina in divenire che potrebbe comportare lo sviluppo di un interesse permanente nei confronti della sua evoluzione.
Nell’ottica di questa programmazione, l’analisi e lo studio del pensiero dei Grandi Demistificatori tenderebbero a confluire sulla base dell’integrazione tra biologia, storia sociale, sociologia, economia, filosofia, psicoanalisi, neurobiologia.
Posta in questi termini, tale programmazione sembra appartenere al libro dei sogni. Se è vero, come a me sembra, che i Grandi Demistificatori hanno operato, sia pure in modo diverso e partendo da presupposti diversi, nella prospettiva di una fuoriuscita dell’umanità dalla sua preistoria, caratterizzata dalla mistificazione religiosa, economica, politica e culturale, il tributo che si deve al loro sforzo gigantesco è continuare a coltivare il sogno di una nuova umanità, tenendo conto che le potenzialità cerebrali atte a realizzarlo sussistono e che la ricchezza – materiale e spirituale – prodotta dalle generazioni che ci hanno preceduto lo rende ( o lo renderebbe) già realizzabile.