Luigi Anepeta su se stesso
Ho sempre avuto difficoltà a scrivere le note biografiche per le retrocopertine dei miei libri. Ridotta all'essenziale (nascita, formazione, titoli, ruolo sociale attuale, pubblicazioni, ecc), l'esperienza di vita di un intellettuale è poca cosa, tanto più se egli, fedele alla funzione critica che, sola, giustifica il "perder tempo" dietro ai libri e alle idee, rifugge dal coltivare qualunque tipo di rapporto con le istituzioni del Potere (a partire da quelle accademiche).
Ufficialmente medico, psichiatra e psicoanalista (non selvaggio, ma selvatico quanto basta a non farsi intrappolare nelle convenzioni di una scuola), nel mio intimo, mi considero un panantropologo, vale a dire un uomo che condivide con altri, del passato e del presente, la vocazione a capire l'umanità e il mondo che essa finora ha costruito nei suoi molteplici aspetti, soprattutto in quelli che appaiono oscuri, equivocabili e incomprensibili.
L'Autobiografia intellettuale chiarisce, se non le matrici, gli strumenti di cui si è alimentata questa vocazione, la quale prosegue, nonostante l'età, e anzi si intensifica progressivamente, perché il mondo appare - culturalmente, socialmente e antropologicamente - peggiore rispetto a quello di quaranta anni fa.
Il sito implica la volontà di non cedere allo scoramento e di continuare a capire. Un mondo fatto a misura d'uomo, comunque inteso (e io lo intendo come caratterizzato dall'accettazione della natura umana con i suoi pregi e i suoi limiti, dall'assunzione di responsabilità sull'esistenza, dal rifiuto di ogni mistificazione, illusione, mito e pregiudizio, dal rispetto di sé e degli altri, dalla solidarietà, dall'empatia), è forse possibile.
Per arrivarci, però, bisogna capire come si sia originato quello nel quale viviamo, e che senso ha il fatto che gli uomini, pagando ad esso un tributo di sofferenza psicologica superiore rispetto a tutte le epoche passate, lo accettino e lo perpetuino.