3. Nuove tendenze nell'evoluzione dell'uomo |
In questo terzo capitolo vorrei soffermarmi e far riflettere i lettori su quelle che sembrano essere nuove tendenze di lungo periodo nell'evoluzione del cervello umano. Come verrà chiarito più avanti, ciò richiederà un esame delle connessioni fra le funzioni sessuali e quelle visive. Molti anni fa, quando andai a lavorare all'Istituto nazionale per la salute mentale e aprii un nuovo laboratorio, mi proponevo due obiettivi principali. Il primo era di cercare di stabilire dove fossero rappresentate le funzioni sessuali a un livello superiore rispetto a quello primitivo dell'ipotalamo. Stranamente, esistevano prove indirette, anche se scarse, fornite dagli studi basati sulle ablazioni, che il proencefalo fosse coinvolto nel comportamento sessuale; ma benché il cervello fosse stato ampiamente esplorato mediante la stimolazione elettrica, si erano trovati solo pochi casi isolati di risposte sessuali. Ciò sembrava paradossale, in considerazione della grande complessità del comportamento richiesto per la procreazione e per la conservazione della specie. Il mio secondo obiettivo era di indagare se esistevano connessioni fra il sistema visivo e la corteccia limbica. La risposta a questa domanda era decisiva per valutare l'importanza del cervello limbico nel comportamento emotivo dei primati superiori e dell'uomo, nei quali la vista è diventata il senso dominante per il controllo del comportamento. Osservato da un altro punto di vista, il problema poteva essere espresso così: in che modo il cervello trasforma la luce fredda con la quale vediamo nella luce calda con la quale sentiamo? Nei primati si è sviluppato, molto più che in tutti gli altri animali, un senso sociale che nell'uomo diventa particolarmente visibile nelle sue manifestazioni altruistiche. Come prova che un senso sociale caritatevole/filantropico è ancora in evoluzione basti ricordare che la parola «altruismo» fu coniata solo nel 1853 dal filosofo Comte (1955), e che il termine «empatia» fu introdotto nel nostro linguaggio da Lipps (1914-20) negli anni intorno al 1900. L'altruismo non consiste soltanto nella capacità di immedesimarsi in un'altra persona nel senso dell'empatia; esso implica anche la capacità di vedere emotivamente, col sentimento, la situazione degli altri. Per ottenere questo risultato utilizzando il senso della vista - il più freddo, il più obiettivo e analitico dei nostri sensi - la natura ha dovuto compiere un tour de force neurologico. Un esame più approfondito dell'altruismo mostra che i due problemi della rappresentazione sessuale e di quella visiva sono strettamente connessi fra loro. Nella sua espressione più alta, l'altruismo richiede non solo capacità di comprendere, ma anche capacità di prevedere, quando si tratta di decidere come programmare il benessere e la conservazione della specie. Sul piano psicologico, ciò significa che la libido, nel suo primitivo significato freudiano, deve essere trasformata in un interessamento non egoistico, come lo intendevano gli umanisti del tipo di Clarence Hincks. Di lui si dice che aveva acquistato dai suoi genitori sia una capacità a interessarsi delle persone afflitte da preoccupazioni sia un'abitudine ad assisterle. Nel processo evolutivo, un interessamento a favore del benessere e della conservazione della specie si basa sulla sessualità. Si tratta di un interessamento che porta al corteggiamento e alla formazione di una famiglia, che favorisce l'istruzione e quindi la costruzione di scuole, di biblioteche e di musei, che promuove l'elevazione culturale con l'arte, la musica e l'architettura. Si tratta infine di un interessamento che ispira le ricerche di medicina preventiva, tesa a evitare le sofferenze e la morte di soggetti che ancora non sono malati e dei vecchi, e che ha spinto l'uomo a ideare la costruzione di razzi, a organizzare viaggi negli spazi esterni e a immaginare una vita senza fine con la colonizzazione di altri mondi (MacLean 1962). L'evoluzione dei mammiferi ci dimostra chiaramente che, per assicurare la sopravvivenza dell'individuo e quella della specie a un livello primitivo, è più che sufficiente un piccolo cervello. L'opossum è vissuto benissimo per oltre 130 milioni di anni con un cervello in cui, oltre al cervello rettiliano e a quello limbico, si era aggiunto ben poco, e che aveva l'olfatto come senso dominante per il controllo del comportamento. Nel primo capitolo ho indicato in che modo il senso dell'olfatto tenda a mantenere l'animale ripiegato su se stesso, poiché mette in stretto collegamento fra loro il meccanismo nervoso della funzione orale con quello della funzione genitale. Inoltre, nel comportamento corrente il senso dell'olfatto dipende dalle tracce chimiche persistenti lasciate nell'ambiente esterno. Per questo aspetto, come per altri, l'olfatto può essere considerato un senso che ha un carattere narcisistico ed esistenziale. Il problema che ora abbiamo di fronte è di comprendere in che modo il cervello si libera dal dominio del senso narcisistico, esistenziale dell'olfatto per arrivare a farsi guidare, sulla base dell'altruismo, dal senso futuristico della vista. Nell'esaminare in che modo avviene questo spostamento di peso da una funzione cerebrale a un'altra, faremo riferimento ancora una volta allo schema anatomico semplificato che ho presentato nel primo capitolo (fig. 3), in cui sono indicate le tre più importanti regioni nelle quali si può suddividere il sistema limbico. In quell'occasione ho passato in rassegna le prove che indicano come la regione che è in rapporto con l'amigdala sia direttamente coinvolta nei sentimenti e nei comportamenti emotivi che assicurano l'autoconservazione. In altre parole, i suoi circuiti sono impegnati nella ricerca egoistica dell'alimentazione, nella lotta e nell 'autoconservazione. Viceversa, la regione che comprende il setto e la relativa corteccia sembra essere coinvolta nei comportamenti e negli stati emotivi che predispongono alla socievolezza e alla conservazione della specie. Facevo allora notare che la connessione reciproca esistente fra amigdala e setto aiuta a spiegare l'interazione che si riscontra fra la funzione orale e quella genitale, e che presumibilmente questa situazione si è prodotta come conseguenza dell'uso primitivo del muso e dell'odorato nelle attività di alimentarsi e di accoppiarsi. Come fu sostenuto nella discussione delle implicazioni psichiatriche di tutto ciò, risulta ulteriormente significativo il fatto che le vie nervose connesse con la funzione orale e con quella genitale convergono in quella parte dell'ipotalamo la cui stimolazione elettrica suscita un comportamento ostile e di difesa. Guardando lo schema anatomico della figura 3, si può trovare la spiegazione del perché abbiamo rimandato l'esame della terza regione fino al momento in cui abbiamo affrontato l'argomento di questo capitolo. Si noterà che la sua principale via di connessione (indicata con il numero 3) non ha rapporto con l'apparato olfattivo. Questa via - che non ha un reale equivalente nel cervello rettiliano (LeGros Clark 1936) - collega i corpi mammillari dell'ipotalamo con i nuclei anteriori del talamo, i quali a loro volta proiettano alla corteccia limbica, nella metà superiore dell'anello. Come è indicato schematicamente nella figura 17, tale via serve anche a connettere questa regione con il nucleo mediale dorsale, che proietta a una zona della corteccia limbica orbitofrontale e alla neocorteccia prefrontale. Nell'evoluzione del cervello dei primati, si deve dare particolare rilievo al fatto che la regione settale rimane relativamente immutata nelle sue dimensioni, mentre le strutture che fanno parte della terza regione del cervello limbico si accrescono progressivamente e raggiungono il loro massimo sviluppo nell'uomo. Le nostre osservazioni sperimentali sulla scimmia scoiattolo fanno supporre che questa trasformazione rifletta uno spostamento dell'influenza sul comportamento sodale-sessuale dall'olfatto alla vista. Fondamentale a questo riguardo è il dato sperimentale secondo il quale la stimolazione elettrica di alcune zone di questa terza regione, come del circuito settale, scatena risposte sessuali primarie (MacLean e Ploog 1962). I quadratini e i rombi della figura 18 (in A 10,5 e in A 6) indicano i punti dei nuclei talamici anteriori e quelli nel centro del nucleo mediale dorsale che, stimolati, provocano l'erezione del pene. I quadratini forniscono l'ulteriore informazione che la stimolazione scatena anche scariche postume nell'ippocampo. I circoli pieni indicano i punti la cui stimolazione era seguita da un'erezione di ritorno. La figura 19 mostra la distribuzione dei punti che rispondono positivamente e che sono localizzati nelle aree della corteccia limbica rostrale connesse rispettivamente con i nuclei talamici anteriori e con il nucleo mediale dorsale (Dua e MacLean 1964). Infine, abbiamo visto che la stimolazione di punti situati lungo il tratto spino-talamico (figura 20) e nelle strutture intralaminari caudali attigue al nucleo mediale dorsale provoca un grattamento dei genitali e l'eiaculazione (MacLean, Dua e Denniston 1963b). Quest'ultima può presentarsi anche se si impedisce alla scimmia di masturbarsi. Stiamo dunque cominciando a capire per la prima volta dove sono situate le vie sensoriali e quelle motrici coinvolte negli aspetti più primitivi del comportamento procreativo. Descriverò ora alcune osservazioni comparate sul comportamento e alcuni risultati ottenuti in seguito ad ablazioni cerebrali, dai quali si può desumere che, nel corso dell'evoluzione, il talamo mediale cresce più del setto a causa - almeno in parte - dello spostamento che si verifica dall'olfatto alla vista per quanto riguarda l'influenza dei sensi sul comportamento sessuale. In una proscimmia come il lemure fulvus del Madagascar, si trova un setto ben sviluppato, caratteristico degli animali dotati di un grande apparato olfattivo. Come si può vedere nella figura 21, il maschio e la femmina esibiscono una parata di saluto nella quale il muso e il senso dell'olfatto sono messi attivamente in gioco, dato che la parata consiste nel leccarsi reciprocamente la regione anogenitale (Andrew 1964). È interessante vedere come una parata di questo genere sia in contrasto con quella di una scimmia che si trova in posizione intermedia nella scala filogenetica dei primati. Le nostre osservazioni sulla piccola scimmia scoiattolo del Sudamerica hanno rivelato che questo animale presenta una parata sessuale basata sulla comunicazione visiva piuttosto che su quella olfattiva. Ciò è confermato dai nostri dati sperimentali da cui risulta che una varietà di queste scimmie mette in atto la parata nei confronti della propria immagine riflessa in uno specchio altrettanto bene che nei confronti di un'altra scimmia (MacLean 1964b). In un contesto sociale, la parata è esibita tipicamente nella forma illustrata dalla figura 22. L'animale che la esibisce urla e apre le cosce, spingendo avanti il pene eretto verso la testa dell'altro animale (MacLean 1962; Ploog e MacLean 1963). L'animale che fa la parata può anche digrignare i denti. Analogamente a ciò che gli etologi hanno descritto nei rettili e nelle forme inferiori, la parata di queste scimmie è identica sia che serva per il corteggiamento sia che voglia essere un'ostentazione di aggressività. Gli adulti eseguono la parata nella sua forma più drammatica nei casi in cui nel territorio sul quale è insediata una colonia di scimmie scoiattolo viene introdotto un nuovo maschio (MacLean, osservazioni non pubblicate). Nel giro di pochi secondi, tutti i maschi, digrignando i denti, iniziano la parata nei confronti della scimmia estranea e, se questa non rimane tranquilla e sottomessa e con la testa bassa, viene attaccata rabbiosamente. In uno studio specifico abbiamo trovato che l'incidenza della parata fra maschi fornisce una misura più accurata dell'aggressività e della dominanza di quanto non facciano gli esiti della rivalità per il cibo (Ploog e MacLean 1963). Qualche volta anche le femmine fanno la parata esibendo il clitoride tumefatto. Successivamente Ploog, Hopf e Winter (1967) hanno osservato che le scimmie scoiattolo neonate, che non hanno avuto contatti con nessun altro animale eccetto la loro madre, fanno la parata nei confronti di un'altra scimmia già nel loro secondo giorno di vita, e ciò indica chiaramente che si tratta di un comportamento non appreso. Altrove ho esaminato le implicazioni comparative di questi fatti e ho citato alcuni esempi di una residua parata genitale presentata dall'uomo (MacLean 1962). Nelle culture primitive, in diverse parti del mondo, il significato di aggressività territoriale implicito nella parata è ben esemplificato dai monumenti di pietra raffiguranti uomini con il fallo eretto con i quali vengono contrassegnati i confini del territorio. E' come se si usasse un simbolo urogenitale visivo in sostituzione dei marchio olfattivo dell'urina usato dai mammiferi inferiori. Nel capitolo 24 della Genesi, Abramo dice al suo servo più vecchio: «Metti la tua mano sotto la mia coscia. Ti farò giurare... che non prenderai una moglie per mio figlio tra le figlie dei Canei». Si noti che il termine ebraico per coscia, jarec, indica anche i genitali (La Sacra Bibbia, Garzanti, Milano 1964, p. 54). Nei Tre saggi sulla teoria sessuale (1948, trad. it. 1975, p. 76), Freud osserva che «il bambino piccolo è anzitutto privo di pudore e mostra in certi anni della seconda infanzia un evidente diletto a denudare il proprio corpo, con particolare rilievo per le parti sessuali». Nelle scimmie scoiattolo è sufficiente a scatenare la parata la vista dell'immagine riflessa di un solo occhio (MacLean 1964b); ciò indica che il «fissare negli occhi» può rappresentare un atto aggressivo che ha origini antiche. E’ stato riferito che meno di 200 anni fa in Italia si portavano addosso amuleti contro il malocchio che mostravano un fallo eretto (Knight 1865). Io ho avanzato l'ipotesi che l'uomo primitivo possa avere imparato che, coprendosi, riduceva le spiacevoli tensioni sociali suscitate dal suo arcaico impulso a esibire la parata, e che sia stato questo, piuttosto che la modestia, a spingerlo verso l'abitudine civilizzatrice del vestirsi (MacLean 1962). La parata è usata anche come forma di saluto sociale e, come ho già detto, abbiamo trovato che una varietà di scimmie scoiattolo esibisce regolarmente la parata alla vista della propria immagine riflessa in uno specchio (MacLean 1964b). La figura 23 mostra le due varietà di scimmie che abbiamo studiato: per semplicità indichiamo la scimmia raffigurata a sinistra, che esibisce la parata vedendosi allo specchio, come il tipo gotico, perché ha una macchia chiara che si innalza sopra ogni occhio in forma di arco gotico, mentre indichiamo l'altra come la varietà romanica, perché la sua macchia oculare ha la forma a pieno tondo dell'arco romanico. Ai fini della ricerca, lo studio della parata fatta allo specchio ha il particolare vantaggio che non vi sono interferenze dovute a fattori olfattivi o altri simili. Sottoposte quotidianamente al test, la maggior parte delle scimmie del tipo gotico che vivono in isolamento visivo esibiscono costantemente la parata alla loro immagine nello specchio. Si può dunque usare questa situazione per confrontare il comportamento delle scimmie prima e dopo un intervento sul cervello. Usando questo test, ho studiato gli effetti di lesioni in varie parti del cervello sul comportamento di parata di oltre sessanta scimmie (MacLean, osservazioni non pubblicate, 1969). Per quanto riguarda il nucleo mediale dorsale, è significativo il fatto che, quanto più ampia è la lesione di questa struttura, tanto minore è la frequenza della parata. La figura 24 mostra una sezione istologica del cervello di un animale nel quale il nucleo era stato distrutto quasi interamente. Prima dell'operazione questo animale eseguì la parata nel 100 per cento dei casi in trenta prove, mentre nelle prove alle quali fu sottoposto nei due mesi e mezzo successivi all'operazione, la parata fu quasi totalmente assente (p < 0,0001). Eppure, quando fu introdotta nella nostra colonia sperimentale, questa scimmia si dimostrò capace di difendersi e di sopraffare l'animale dominante. Questi studi basati sulle lesioni fanno supporre dunque che la parata passi sotto il controllo limbico e neocorticale in seguito all'espansione evolutiva del talamo mediale e alle connessioni che si stabiliscono fra esso e la corteccia limbica e prefrontale. Tale ipotesi non spiega tuttavia in che modo le afferenze visive possano arrivare ad agire sul talamo mediale. Per quanto riguarda il neocervello (il cervello dei mammiferi recenti), esiste la possibilità che connessioni visive siano assicurate dalle fibre associative intratalamiche che vanno dal pulvinar al nucleo mediale dorsale. Ma non c'era alcun fondamento per affermare una connessione fra sistema limbico e afferenze visive. L'anatomia classica tendeva a far credere che, nell'evoluzione, le proiezioni corticali visive non interessavano la corteccia limbica e stabilivano connessioni soltanto con una zona altamente specializzata della neocorteccia conosciuta come area striata (MacLean 1966a). La corteccia paraippocampale è un'importante fonte di afferenze per l'ippocampo, il quale a sua volta proietta ai nuclei talamici anteriori, all'ipotalamo e ad altre strutture del tronco cerebrale che hanno rapporto con le funzioni so-matoviscerali, endocrine ed emotive. Come mostra lo schema della figura 17, l'informazione visiva proveniente dalla corteccia limbica potrebbe raggiungere il nucleo mediale dorsale attraverso la via che connette questo nucleo con i nuclei talamici anteriori. Nel corso dell'evoluzione dei primati si verifica una grande espansione delle circonvoluzioni perilimbiche e peri-visive nella regione occipito-temporale mediale. In effetti, la circonvoluzione detta fusiforme, che è disposta parallelamente a quella dell'ippocampo (fig. 25), nel cervello dei primati superiori appare ingrandita come una vera nuova circonvoluzione (Ariëns Kappers, Huber e Crosby 1936). I lavori di Penfield e altri (Penfield 1952; Penfield e Jasper 1954) danno grande importanza a questa circonvoluzione anche dal punto di vista psicologico e psichiatrico. Lesioni irritative o stimolazioni elettriche delle zone profonde del lobo temporale provocano allucinazioni, evocazione di ricordi e molte forme di esperienza emotiva intensa. Si può avere una sensazione di familiarità o di «déjà vu», a cui si accompagna la convinzione che ciò che sta succedendo è già stato visto e provato (Jackson 1889; Jackson e Coiman 1898), oppure le cose possono sembrare strane, deformate o irreali. Alla luce delle osservazioni che ho fatto all'inizio di questo capitolo a proposito dell'altruismo, si dovrebbe ricordare che fra gli effetti riferiti c'è una sensazione di tristezza e un desiderio di piangere. Parlando a diversi gruppi, ho chiesto quanti di loro avessero provato un senso di pianto vedendo un atto altruistico; e invariabilmente quasi tutti alzavano la mano. Per introdurre il prossimo punto che voglio affermare, è necessario chiedersi: che cos'è che ci distingue uno dall'altro in quanto individui, dal punto di vista psicologico? L'introspezione mostra che la condizione fondamentale su cui si basa la nostra sensazione d'individualità è la duplice provenienza delle nostre informazioni: il mondo pubblico esterno e il nostro mondo privato interiore. I segnali che giungono al cervello da quest'ultimo sono completamente privati, dato che erano contenuti in noi stessi; quanto a quelli che provengono dal mondo esterno, invece, tutti possono averne fatto esperienza ed è possibile confrontarli nei diversi individui. La nostra sensazione d'individualità, quindi, così come la nostra identificazione personale con gli eventi che si verificano nel mondo esterno, sembrerebbe dipendere da un miscuglio di esperienze esterne e interne (MacLean 1969a). Come ho detto nel primo capitolo ci sono diversi dati da cui risulta che la neocorteccia compie molte delle sue sottili discriminazioni senza subire l'interferenza dei segnali provenienti dal mondo interiore e del suo rumore di fondo. Viceversa, anche basandoci semplicemente sull'anatomia, si può dire che, con tutta probabilità, la corteccia limbica è continuamente bombardata da impulsi provenienti dal mondo interiore. Recentemente siamo riusciti a registrare con elettrodi posti al loro interno l'attività di singoli neuroni dell'ippocampo (archicorteccia) di scimmie sveglie e sedute, nel corso di esperimenti intesi a determinare gli effetti di stimoli elettrici a vie afferenti dal mondo esterno e da quello interno. Entrambe le forme di stimolazione inducevano potenziali post-sinaptici eccitanti, ma solo gli impulsi afferenti dal mondo interno avevano l'effetto di provocare scariche nelle cellule. E' evidente, in questa situazione, che parte della corteccia limbica serve come ponte funzionale fra il mondo esterno e quello interno, e che la barriera che regola il flusso del traffico nervoso è localizzata all'interno di questo ponte. Le connessioni visive scoperte recentemente e che sono state descritte sopra sono in grado di fornire un meccanismo che consentirebbe di mettere in rapporto l'esperienza visiva con quella viscerale. Kubie (1953) afferma che anche la memoria dipenderebbe da una combinazione dell'esperienza esterna con quella interna. Si potrebbe dire che la combinazione di esperienze esterne e interne è altrettanto importante per la memoria di quanto lo è, per una immunità duratura, la combinazione fra l'antigene e l'anticorpo. In realtà, studi clinici dell'epilessia limbica indicano che, con la disgregazione epilettica delle funzioni integrative somatoviscerali del sistema limbico, le esperienze non possono essere ricordate. Un corpo crescente di dati clinici attesta che una lesione dell'ippocampo o delle strutture che lo collegano al talamo anteriore (fig. 17) può interferire con l'immagazzinamento dei ricordi (per alcune indicazioni bibliografiche fondamentali si veda MacLean 1968b). La stimolazione elettrica del cervello epilettico, viceversa, ha l'effetto di suscitare ricordi. La figura 26 mostra il punto localizzato in prossimità della formazione dell'ippocampo alla cui stimolazione, in uno dei casi di Penfield (punto E, caso n. 36; Penfield e Perot 1963) il paziente reagì dicendo: «Un ricordo familiare: il posto dove attacco la giacca quando vado a lavorare» (p. 651). Forse la ragione per cui si è dedicata un'attenzione relativamente scarsa all'esperienza interna nei meccanismi dell'apprendimento e della memoria risiede nel fatto che non siamo quasi mai consapevoli delle piccole modificazioni respiratorie, cardiovascolari, alimentari e di altro tipo che hanno luogo quando ci occupiamo degli eventi che si verificano nel mondo esterno (MacLean 1969a). Quanti di noi, per esempio, sono consapevoli del «sospiro di riconoscimento» che ci sfugge quando vediamo un vecchio amico o quando arriviamo alla soluzione di un problema? Come viene messo in rilievo anche nel lavoro di Penfield (Penfield e Perot 1963), il lobo temporale sembra svolgere una funzione importante nell'attività onirica. La figura 27 mostra un punto del giro dell'ippocampo, in un altro dei casi di Penfield (caso n. 22), la cui stimolazione faceva dire alla giovane donna che vi era sottoposta: «Sto sognando. Sto vedendo molte cose; sto sognando queste cose» (p. 635). I lavori di Aserinsky e Kleitman (1953) e di Dement e Kleitman (1957) hanno portato a riconoscere l'esistenza durante il sonno di periodi ciclici in cui si hanno rapidi movimenti degli occhi (Rem) e che sono accompagnati da sogni. Normalmente ci sono cinque o sei di questi periodi, che durano circa 30 minuti ognuno. Essi sono caratterizzati da onde cerebrali tipiche della veglia, da irregolarità nella respirazione e nel ritmo cardiaco, da spasmi muscolari, da un digrignare i denti (bruxismo); e a tutto ciò si accompagna normalmente - come è mostrato nella figura 28, ripresa da un articolo di Fisher, Gross e Zuch (1965) - un'erezione del pene che dura per tutto il periodo Rem. Karaçan, Marans, Barnet e Lodge (1968) hanno fatto osservazioni analoghe nei bambini piccoli. Negli animali macrosomatici, l'ippocampo mostra un'attività theta ritmica durante la fase Rem. Infine, oggi, abbiamo un gran numero di dati dai quali si può desumere che l'ippocampo esercita un effetto di regolazione sulle funzioni vegetative (si veda una breve rassegna sull'argomento in MacLean 1968b). È interessante considerare questi diversi fatti in rapporto alla scoperta da me compiuta dell'esistenza nella corteccia dell'ippocampo di aree che rispondono a stimoli visivi; si può pensare infatti che l'archicorteccia possa essere coinvolta negli aspetti visivi del sogno e nelle manifestazioni vegetative del sonno Rem. E’ impossibile, ovviamente, nominare il termine «archicorteccia» in tale contesto senza pensare alle forme archetipe del sogno descritte da Jung (1959). Ma come possiamo spiegare la connessione funzionale fra il digrignare i denti e l'erezione del pene durante l'attività onirica? I nostri studi sul cervello e sul comportamento forniscono una risposta a questa domanda. Tempo fa abbiamo trovato che alcune cellule reticolari del ponte, in prossimità del nucleo motore della mascella, vengono attivate da stimoli visivi (MacLean, Yokota e Kinnard 1968). È significativo il fatto che queste cellule appartengano a un gruppo nucleare (il processo tegmentale laterale) la cui stimolazione elettrica provoca l'erezione del pene (MacLean, Denniston e Dua 1963a). Ciò richiama alla mente il fatto che la parata aggressiva in difesa del territorio delle scimmie scoiattolo descritta precedentemente comprende non solo l'erezione del pene, ma anche il digrignare i denti. È quindi possibile che l'erezione del pene durante il sogno rappresenti un frammento di un modello archetipo di parata dei primati che, in un lontanissimo passato, l'uomo usava in situazioni diverse, per esibire la sua aggressività, per corteggiare o per salutare. Abbiamo così, in un certo senso, percorso l'intero cerchio e - come la terra, ruotando, passa dal giorno alla notte e di nuovo al giorno - anche noi siamo ritornati al punto da cui siamo partiti nell'introduzione, quando ci interrogavamo sulla questione dell'evoluzione continua dell'altruismo e della sua dipendenza dalla capacità di comprendere e di prevedere. La figura 1 mostra schematicamente in che modo la corteccia limbica, capace di reagire agli stimoli visivi, guarda verso l'interno, per così dire, alle zone enterocettive del diencefalo, il quale per parte sua guarda verso l'esterno, alla neocorteccia prefrontale evolutasi recentemente. L'analisi clinica dei casi di pazienti con lesioni al lobo frontale indica che la corteccia prefrontale consente di fare previsioni quando si fanno progetti per sé e per gli altri. Ci sono anche prove del fatto che essa avrebbe la funzione di aiutarci a comprendere intuitivamente i sentimenti degli altri. Lo schema suggerisce la via che essa seguirebbe per arrivare all'intuizione - che è la capacità di «vedere con il sentimento» -, basata sulle sue connessioni con il cervello limbico (MacLean 1967a). Dallo schema risulta inoltre chiaramente che la corteccia prefrontale è interconnessa con quella, delle tre regioni in cui abbiamo suddiviso il sistema limbico, che è ancora in fase di sviluppo e che, in base a recenti esperimenti, sembra essere coinvolta nelle funzioni sessuali e quindi nella procreazione e nella conservazione della specie. Nella complessa organizzazione di queste strutture antiche e moderne dal punto di vista filogenetico, «presumibilmente noi possediamo una scala nervosa, una scala visionaria che ci permette di salire dalle sensazioni sessuali più elementari ai sentimenti altruistici più elevati» (MacLean 1962, p. 300). E' possibile che questi ampi territori del cervello ancora in via di evoluzione non siano in grado di entrare in piena attività fino a quando non si verificano le modificazioni ormonali dell'adolescenza. Se è così, questo sarebbe un grosso argomento contro le affermazioni di quanti sostengono che la personalità è pienamente sviluppata e già stabile fin dall'adolescenza, se non addirittura fin dall'età di cinque o sei anni. In conclusione, cito dal paragrafo finale di un articolo che ho scritto per un libro uscito tempo fa, dal titolo Alternatives to Violence: In queste prime fasi della ricerca sul cervello abbiamo raggiunto la convinzione che noi possediamo nel nuovo cervello un meccanismo pienamente capace di affrontare i difficili problemi medici e sociali del nostro tempo. Il problema più esplosivo è certamente quello del controllo dell'intolleranza e della tendenza a lottare per il territorio, che sono il retaggio rettiliano nell'uomo, mentre contemporaneamente si devono trovare i mezzi per porre un freno all'aumento vertiginoso della nostra popolazione. Le barriere linguistiche fra le diverse nazioni costituiscono una grossa difficoltà per la ricerca di una soluzione. Ma la barriera linguistica più difficile da superare è quella fra l'uomo e i suoi cervelli animali. Il fatto è che non esistono meccanismi nervosi per farli comunicare in termini verbali. Tuttavia negli ultimi duemila anni l'uomo comune, arrangiandosi da solo, ha fatto grossi passi avanti nell'addomesticare le sue emozioni. Con le conoscenze sempre più ampie e profonde che gli procurano le scienze del cervello e del comportamento, l'uomo riuscirà a imbrigliare stabilmente le sue emozioni per indirizzarle verso fini sempre più costruttivi. Se, attraverso l'educazione, riuscissimo ad applicare anche soltanto ciò che il nostro cervello sa oggi, l'anno 2000 potrebbe segnare l'inizio di un'autentica età dell'oro (1968a, pp. 33-34). Riassunto In questo capitolo sono state esaminate le nuove tendenze presenti nell'evoluzione del cervello umano ed è stata richiamata l'attenzione sulla terza regione del sistema limbico; questa ha avuto uno sviluppo progressivo nei primati e ha raggiunto il suo culmine nell'uomo. A differenza delle altre due regioni esaminate nel primo capitolo, essa ha una relativa indipendenza dall'apparato olfattivo. I dati sperimentali indicano che la crescita progressiva della terza regione corrisponde a uno spostamento dell'importanza relativa dei sensi per il controllo del comportamento sodale-sessuale, per cui si passa da una situazione in cui prevale l'olfatto a un'altra in cui prevale la vista. Fondamentale a questo riguardo è la scoperta che la stimolazione elettrica di alcune zone di questa regione scatena risposte sessuali primarie. Le conclusioni alle quali si è giunti a proposito del ruolo della vista sono basate sulle osservazioni fatte sulle scimmie scoiattolo, nelle quali una parata genitale scatenata da stimoli visivi risultava modificata in seguito a lesioni delle strutture talamiche mediali. Abbiamo dimostrato inoltre, con studi neuroanatomici e con esperimenti basati sull'uso di microelettrodi, che alcune zone della corteccia limbica ricevono afferenze visive. Questa corteccia ha numerosi collegamenti con l'ippocampo, il quale a sua volta proietta ai nuclei talamici anteriori, all'ipotalamo e ad altre strutture del tronco encefalico coinvolte nelle funzioni somato-viscerali, endocrine ed emotive. Tali connessioni possono spiegare il legame che c'è fra l'esperienza visiva e quella viscerale, che appare essenziale per l'identificazione reale con ciò di cui viene fatta un'esperienza visiva, così come con ciò che viene ricordato visivamente. Alcuni dati clinici indicano che la corteccia limbica in questione ha un ruolo nelle funzioni della memoria e nel sogno. Attraverso le connessioni con il talamo mediale e anteriore, la terza regione stabilisce un collegamento con la corteccia prefrontale di recente sviluppo, la quale, come risulta da alcuni dati clinici, sarebbe coinvolta nell'attività del comprendere e del prevedere, necessaria per la formulazione di progetti per noi e per gli altri. Sembrerebbe dunque che, nell'organizzazione complessa delle strutture nuove e vecchie che abbiamo preso in esame, noi possediamo «una scala nervosa, una scala visionaria che ci permette di salire dalle sensazioni sessuali più elementari ai sentimenti altruistici più elevati» (MacLean 1962). Nonostante le difficoltà di comunicazione ereditate dagli animali che si presentano nel nostro cervello trino, molti elementi ci danno la base per sperare che l'intelligenza neocorticale dell'uomo, se saprà combinarsi con la conoscenza di se stessi, riuscirà a far fronte ai problemi sempre più critici del nostro tempo. |