Eredità limbica ed eredità rettiliana nell'uomo

L'orrore che provavo per il maledetto coccodrillo giunse a superare da solo quasi tutto il resto. Ero costretto a viverci insieme, e come quasi sempre accadeva nei miei sogni, per secoli.

                                                                    Thomas De Quincey, Confessioni di un oppiomane.

L'esplosione demografica è un segno allarmante del fatto che i problemi dell'uomo moderno stanno aumentando vertiginosamente e a una velocità senza precedenti. Calhoun (1971) fa notare che la curva di von Foerster relativa alla crescita della popolazione a partire dall'epoca di Cristo mostra che ogni successivo raddoppio della popolazione è avvenuto in un tempo che era solo la metà di quello occorso per il raddoppio precedente. Von Foerster e i suoi collaboratori (1960) calcolano che, con l'attuale ritmo di crescita, la popolazione umana arriverà a essere così compressa da morirne verso l'anno 2026, data che essi indicano come quella del «giorno del giudizio».Nel suo libro II fantasma dentro la macchina, Arthur Koestler, al quale alcuni anni fa venne conferita una onorificenza dalla Queen's University, ha posto un capitolo finale dal titolo L'epoca cruciale (1967). In esso acutamente fa notare che la stessa situazione di espansione incontrollata che riguarda l'esplosione demografica vale anche per la potenza delle armi, per la velocità dei missili, per le comunicazioni e per l'informazione scientifica. A questo proposito, egli cita le cifre di Morris secondo cui, mentre nel 1700 c'erano soltanto dieci riviste scientifiche, ce n'erano cento nel 1800, mille nel 1850, diecimila nel 1900, centomila dopo la Seconda guerra mondiale; e ce ne sarà un totale prevedibile di un milione intorno all'anno 2000. Evidentemente negli ultimi quindici anni sono comparsi sulla scena tanti scienziati quanti ne sono esistiti in tutto il periodo precedente della storia della scienza.

Alcuni miei amici che insegnano materie umanistiche considerano questi dati sulla crescita della scienza quasi altrettanto terrificanti della prospettiva di un olocausto atomico! Si deve certamente dar loro ragione quando dicono che, se ci troviamo nell'attuale situazione di pericolo, lo dobbiamo ai successi a spirale della scienza. Ma le decisioni su come l'uomo utilizzerà la sua conoscenza scientifica e su come ne traccerà il percorso futuro rientrano essenzialmente nella sfera politica. Questo fatto sottolinea l'urgenza che tutte le nazioni s'impegnino in uno sforzo simultaneo teso a ottenere un miglioramento culturale dell'umanità su scala mondiale. Mi riferisco in questo momento al miglioramento della conoscenza di se stessi, e non al tipo ampiamente pubblicizzato di diffusione della nostra disumana cultura occidentale. Per lungo tempo la psichiatria ha avuto una costante fiducia nel fatto che la conoscenza di se stessi riesca più di qualunque altra cosa a ridurre quelle tensioni interne dell'uomo che altrimenti potrebbero esplodere con conseguenze catastrofiche. Questa era anche la costante convinzione di Clarence Hincks, alla cui memoria sono dedicate queste pagine.

Per quanto mi riguarda, ho la convinzione, basata sullo studio del cervello, che un'ampia diffusione di ciò che sappiamo oggi sui meccanismi fondamentali del cervello e sul suo comportamento aiuterebbe molto l'uomo a vivere con maggiore soddisfazione il rapporto con se stesso e con la sua società. Dico questo nonostante che, in questo primo capitolo, metta in risalto le difficoltà psicologiche derivanti dalle differenze e dallo squilibrio che esistono fra il nuovo e il vecchio sistema evolutivo del cervello umano, difficoltà per le quali posso consigliare solo qualche rimedio alla buona. Spiegherò i principi su cui si fonda la mia convinzione solo nel terzo capitolo, intitolato Nuove tendenze nell'evoluzione dell'uomo. Forse a quel punto sarà chiaro perché nutro qualche speranza che sia vera la previsione ottimistica di Calhoun (1971) secondo la quale proprio nel momento del «giorno del giudizio» comincerà in realtà «l'alba di una nuova era».

Per comprendere dove stiamo andando, dobbiamo prima di tutto volgere uno sguardo al passato per vedere da dove veniamo. Trasportati dalla nostra immaginazione, che supera la velocità della luce, torneremo indietro di duecento milioni di anni, fino all'età dei rettili, quando animali che non impararono mai a parlare cominciarono a costruire una parte di quello che sarebbe diventato il cervello dell'uomo (MacLean 1964a). L'uomo dà tanta importanza al fatto di essere l'unica creatura dotata di un linguaggio parlato e scritto che, come il ricco che rinnega i suoi parenti poveri, è riluttante a riconoscere la sua ascendenza animale. Nell'ultimo secolo ha ricevuto un duro colpo quando ha dovuto ammettere la propria somiglianza con le scimmie; ma già si avvicina il tempo in cui dovremo riconoscere i nostri «zii», e ammettere di avere parenti di gran lunga più poveri! Intellettualmente, l'uomo è consapevole di ciò da molto tempo, ma emotivamente non può decidersi ad accettarlo. E un po' come la «negazione della malattia», che ci è molto più familiare.

Forse la cosa più rivelatrice, a proposito dello studio del cervello umano, è che esso ha ereditato la struttura e l'organizzazione di tre tipi fondamentali che, per semplicità, indico come tipo dei rettili, tipo dei mammiferi antichi o primitivi e tipo dei mammiferi recenti o evoluti (MacLean 1962, 1964a, 1967a, 1968a, 1968b, 1969b). Non si sottolineerà mai abbastanza che questi tre tipi fondamentali di cervello presentano fra loro grosse differenze strutturali e chimiche. Eppure devono fondersi e funzionare tutti e tre insieme come un cervello uno e trino. La cosa straordinaria è che la natura sia stata capace di collegarli fra di loro e di stabilire una qualche sorta di comunicazione dall'uno all'altro.

Si può immaginare che, nella sua evoluzione, il cervello si sia sviluppato come un edificio al quale via via sono state aggiunte ali e sovrastrutture. La gerarchia di questi tre cervelli è mostrata nella figura 1.

Il cervello più antico dell'uomo è fondamentalmente rettiliano; esso costituisce la matrice del tronco cerebrale superiore e comprende buona parte del sistema reticolare, del mesencefalo e dei nuclei della base. (È opportuno ricordare qui che esistono attualmente soltanto quattro ordini di rettili viventi e che a nessuno di essi si ritiene siano appartenuti i precursori dei mammiferi. I quattro ordini di rettili sopravvissuti sono: 1) i cheloni (Chelonia), cioè le tartarughe, così chiamati per il guscio a forma di scatola che li ricopre; 2) gli squamati (Squamata), che comprendono due sottordini, Lacertilia (lucertole) e Ophidia (serpenti); 3) i coccodrilli (Crocodilia), di cui fanno parte coccodrilli e alligatori; insieme agli uccelli, hanno avuto origine dagli Arcosauria; 4) i rincocefali (Rhynchocephalia), rappresentati da una sola specie, lo sfenodonte (Sphenodon punctatus) che vive nella Nuova Zelanda. Alcuni autori ritengono che, fra i rettili viventi, la tartaruga possieda il tipo di cervello più somigliante a quello che poi è diventato il cervello umano. Tuttavia i rettili precursori dei mammiferi avevano probabilmente un comportamento molto simile a quello delle lucertole).

Il proencefalo dei rettili è caratterizzato da nuclei della base molto grossi, che somigliano al complesso pallido-striato dei mammiferi, ma a differenza del proencefalo dei mammiferi, presenta solo una corteccia rudimentale. (Studi recenti di istochimica comparata hanno portato nuovi dati a favore delle conclusioni, basate sulla neuroanatomia, secondo le quali esisterebbe una omogeneità evolutiva del complesso pallido-striato. Con la colorazione di Koelle per la colinesterasi, il corpo striato (nucleo caudato e putamen) acquista un vivace colore arancione scuro. Le strutture dei rettili e degli uccelli che vengono considerate omologhe si colorano intensamente nello stesso modo (Parent e Olivier 1970). Usando la tecnica della fluorescenza di Falck e Hillarp, Juorio e Vogt (1967) hanno trovato che negli uccelli e nei mammiferi inferiori queste stesse strutture diventano fluorescenti a causa della presenza in esse di dopamina. Insieme a David Jacobowitz, ho osservato un quadro di fluorescenza analogo nella scimmia (non pubblicato). La presenza di dopamina nello striato è attribuibile a una proiezione di cellule dopaminergiche dalla substantia nigra (sostanza nera) (Andén, Dahlström, Fuxe e Larsson 1965.)

Il cervello dei mammiferi antichi si distingue per il marcato sviluppo di una corteccia primitiva che corrisponde, come spiegherò più avanti, alla corteccia limbica. E infine compare, in una fase tarda dell'evoluzione, un tipo più complesso di corteccia, chiamata neocorteccia, che caratterizza il cervello dei mammiferi più evoluti e raggiunge il suo massimo sviluppo nell'uomo, diventando il cervello capace di leggere, scrivere e far di conto.

Nel linguaggio oggi corrente, questi tre cervelli potrebbero essere indicati come elaboratori biologici, ognuno con la sua specifica forma di soggettività e la sua propria intelligenza, il suo senso del tempo e dello spazio, le sue funzioni mnemonica, motoria e altre (MacLean 1968a, 1968b, 1969b). In base alle osservazioni sul comportamento fatte dagli etologi, si può dire che il cervello rettiliano programmi comportamenti stereotipati secondo le istruzioni derivate dall'apprendimento ancestrale e da memorie ancestrali. Nel nostro laboratorio di studi sul campo dell'Istituto nazionale per la salute mentale, il Laboratorio per l'evoluzione del cervello e il comportamento, abbiamo progettato un esperimento per verificate l'ipotesi secondo la quale il cervello di tipo rettiliano che si trova nei mammiferi è fondamentale per le forme di comportamento stabilite geneticamente, quali scegliere il luogo dove abitare, prendere possesso del territorio, impegnarsi in vari tipi di parata, cacciare, ritornare alla propria dimora, accoppiarsi, subire l'imprinting, formare gerarchie sociali e scegliere i capi. L'importanza fondamentale del territorio è stata messa in rilievo per la prima volta, a quanto pare, da Eliot Howard (1929), il naturalista inglese che osservò come la presa di possesso del territorio fosse un necessario atto preliminare all'accoppiamento e alla procreazione. (Come ho riferito in un articolo preliminare (MacLean 1972a), ho trovato in seguito che lesioni bilaterali del complesso pallido-striato aboliscono il comportamento innato di parata delle scimmie scoiattolo descritto nel capitolo terzo. Dato che, secondo il modo di vedere clinico tradizionale, il complesso pallido-striato ha semplicemente funzioni motorie, deve essere sottolineato il fatto che estese lesioni di questo complesso possono non provocare alcuna evidente disfunzione motoria se non è lesionata la capsula interna. L'articolo citato sopra discute questi dati e ne trae la conclusione che il complesso pallido-striato è implicato essenzialmente nelle forme di comportamento specie-specifiche e imitative.)

Si ha l'impressione che il cervello rettiliano non riesca a staccarsi dalle situazioni che precedono. Dal punto di vista del comportamento, ciò è illustrato dalla tendenza dei rettili a seguire percorsi tortuosi, ma già sperimentati, o ad agire secondo un qualche programma rigido. Abitudini di questo tipo sembrano avere un certo valore di sopravvivenza, e ci si può chiedere fino a che punto l'equivalente rettiliano del cervello umano possa determinare il condizionamento dell'uomo alle situazioni precedenti nei rituali delle cerimonie, nelle convinzioni religiose, nelle azioni legali e nelle persuasioni politiche (MacLean 1968a, 1969b).

Nel suo saggio Al di là del principio di piacere, Freud parla più volte della coazione a ripetere che si manifesta nell'uomo. L'essere condizionati alla situazione che precede è il primo passo verso un comportamento ossessivo-coatto, e questo è ben illustrato dal caso della tartaruga di mare che ogni anno ritorna nello stesso luogo per deporre le uova. E' stato visto, in studi recenti sui mammiferi, che anche questi ultimi si comportano come i rettili nella loro tendenza a ritornare nel luogo in cui vivono. Lo si è constatato per esempio nelle foche, nelle pecore e nelle capre (Harper 1970).

Anche l'uomo può nutrire una continua nostalgia e il desiderio ardente di tornare a casa quando si trova in un paese lontano. Ricordo che a Auckland, in Nuova Zelanda, viveva la vedova di un chirurgo la quale, al tempo della Seconda guerra mondiale, era straordinariamente ospitale nei confronti del personale del nostro ospedale, il 39° General Hospital. Nata in Inghilterra, aveva vissuto in Nuova Zelanda per molti anni e qui aveva allevato i suoi figli. Una volta mi disse: «Sa, io ho vissuto in questo Paese la maggior parte della mia vita, ma non ci ho mai messo le radici». Quasi tutti abbiamo provato in un momento o in un altro il desiderio irresistibile di ritornare nella casa della propria infanzia. Mi ricordo che una volta, in Svizzera, sentii l'odore del fieno e fui preso da una fortissima nostalgia per la nostra casa estiva. Si potrebbe arrivare a generalizzare dicendo - come fa Freud (1922, trad. it. 1975, p. 61) - che ogni coazione a ripetere rappresenta una forma di ritorno a casa. In effetti sembra che negli animali ci sia una tendenza evidente a ritornare a un punto di riferimento conosciuto dopo essersi allontanati in cerca di cibo, di un partner con cui accoppiarsi o di qualsiasi altra cosa. Freud vide un modello biologico di questo comportamento nel percorso tortuoso della ricapitolazione che si ha durante lo sviluppo ontogenetico, e, in linea con questa impostazione, giunse alla conclusione che «la meta di tutto ciò che è vivo è la morte» (p. 63), con il ritorno dell'animato all'inanimato.

Ci sono molti altri aspetti del comportamento dei rettili che suggeriscono ipotesi sulle funzioni dell'equivalente umano del cervello rettiliano. È chiaro che ci vorrebbe un tempo enorme - se pure ci si potesse riuscire - per illustrare tutto ciò. Ma prima di abbandonare l'argomento, ricorderò ancora qualche esempio. Il primo è la capacità di innescare nei rettili, servendosi di uno zimbello adeguato, o anche di una parte di zimbello, un'attività sequenziale facente parte di forme di comportamento stabilite geneticamente. I casi che illustrano meglio questo fatto si osservano negli uccelli, i quali, nelle diramazioni dell'albero evolutivo, si trovano molto vicini ai rettili. Nella nostra fattoria, per esempio, ho visto diverse volte che la semplice vista di un'immagine scatenava nei tacchini maschi un atto copulatore che veniva eseguito completamente senza la presenza di un partner. Una tendenza analoga nei mammiferi è dimostrata dall'utilità di zimbelli parziali nella raccolta dello sperma per la fecondazione artificiale. Viene subito alla mente l'associazione con il feticismo umano. Altri comportamenti indotti da zimbelli sono le parate aggressive, la lotta, la fuga e le reazioni che ne conseguono. Non fa meraviglia che la gente sia indotta tanto spesso a seguire un capo qualsiasi.

Anche l'imprinting presenta punti di contatto con il comportamento umano. Sappiamo che ci sono determinati periodi critici dello sviluppo cerebrale nei quali si ha una particolare tendenza a stabilire legami affettivi con oggetti dell'ambiente circostante. Probabilmente il primo a descrivere ciò che gli etologi chiamano imprinting (Lorenz 1937) è stato Spalding (1954), il quale, nel secolo scorso, riferì la sua osservazione secondo cui i pulcini, in assenza di una chioccia, seguono il primo oggetto che si vedono muovere davanti. Io sono fra quanti ipotizzano che per gli esseri umani l'età dell'adolescenza può rappresentare un momento critico, in cui avviene l'imprinting nei confronti del proprio o dell'altro sesso. A questa età, i ragazzi e le ragazze hanno molte caratteristiche comuni, e nelle scuole solo femminili o solo maschili c'è la possibilità che, in seguito all'imprinting, si stabilisca una condizione permanente di omosessualità.

Questo solleva il problema dell'opportunità - ogni volta che è possibile - di predisporre scuole miste. E' dubbio tuttavia che questo argomento sia stato alla base della tendenza alla promiscuità nel periodo di istruzione affermatosi nel nostro Paese fino al punto che, come è noto, in alcune università ragazzi e ragazze dormono negli stessi dormitori.

Il comportamento dei rettili ci suggerisce altre domande stimolanti. Fino a che punto, per esempio, le memorie ancestrali determinano nell'uomo l'amore per la caccia e per l'ippica, la scelta del coniuge e forse perfino della professione? Per quanto riguarda l'attrazione sessuale, tutto ciò, simbolicamente, mi fa pensare a De Quincey, che andava con la massima determinazione alla ricerca di Anna, le cui sembianze aveva idealizzato e che teneva impresse (imprinted) nella mente.(Thomas De Quincey, Confessioni di un oppiomane, Einaudi, Torino 1973.)

C'è anche il problema di capire fino a che punto la tendenza all'imitazione ereditata dai rettili ha attinenza - per quanto riguarda il comportamento umano - con l'isteria di massa, con la violenza delle folle e ultimamente, grazie alla televisione, con l'adozione generalizzata di mode e voghe più o meno passeggere. Insomma, il cervello rettiliano si comporta come se avesse un legame nevrotico con un super-io ancestrale (MacLean 1964a), il quale non dispone di un meccanismo nervoso capace di imparare ad affrontare situazioni nuove.

Lo sviluppo evolutivo di una corteccia di notevoli dimensioni, come si trova nei mammiferi antichi, sembra rappresentare un tentativo della natura di fornire al cervello rettiliano una «cuffia pensante» e di emanciparlo così dal super-io ancestrale (MacLean 1968a). La corteccia primitiva potrebbe essere paragonata a uno schermo televisivo primitivo che forniva ai mammiferi un quadro più preciso della situazione, in modo che essi potessero adattarsi meglio al loro ambiente esterno e interno. Le prove che in effetti essa riceve segnali sia da fonti esterne sia da fonti interne saranno presentate nei due capitoli successivi. In tutti i mammiferi la maggior parte della corteccia primitiva è situata in un'ampia circonvoluzione che Broca (1878) chiamava «il grande lobo limbico», perché circonda il tronco cerebrale. Limbico significa «che costituisce una zona di confine tutt'intorno». Occupandoci del problema della funzione, è importante sottolineare il fatto che questo lobo, come si può vedere nella figura 2, è presente nel cervello di tutti i mammiferi, come un denominatore comune. Per la relativa stabilità con cui si conserva attraverso tutta la filogenesi dei mammiferi, esso si differenzia nettamente dalla neocorteccia, la quale viceversa si accresce rapidamente fino a raggiungere il suo massimo sviluppo nell'uomo, a cui fornisce un grande schermo in cui il quadro della situazione può essere disegnato mediante un linguaggio scritto e parlato.

Poiché ha uno stretto rapporto con le strutture olfattive, in passato si riteneva che il cervello dei mammiferi antichi svolgesse unicamente funzioni olfattive, e di conseguenza in molti testi lo si indicava col nome di rinencefalo (Schafer 1900, p. 765, n. 1). Un celebre articolo di Papez del 1937 dette un colpo mortale a questa linea di pensiero. Da allora un gran numero di ricerche hanno rivelato che, oltre alle funzioni olfattive, questo cervello svolge un ruolo importante nell'elaborazione delle emozioni che guidano il comportamento in rapporto ai due principi vitali fondamentali, quello dell'autoconservazione e quello della conservazione della specie (MacLean 1958b, 1959). Nel 1952 proposi il termine «sistema limbico» per designare con una opportuna espressione descrittiva la corteccia limbica e le strutture del tronco cerebrale con le quali essa ha connessioni dirette.

E’ importante ricordare che la corteccia limbica ha caratteristiche simili in tutti i mammiferi e che è strutturalmente più semplice della neocorteccia. Da ciò si può trarre la conclusione che nell'uomo essa continua ad avere lo stesso tipo di funzioni che ha negli animali. Un'altra notevole differenza rispetto alla neocorteccia è data dalle sue cospicue connessioni con l'ipotalamo, il quale svolge un ruolo fondamentale nell'integrazione delle espressioni emotive.

Ora prenderò in considerazione alcune funzioni elementari del sistema limbico, e a questo scopo farò riferimento a uno schema semplificato della sua anatomia, pur riconoscendo che è impossibile dire una qualsiasi cosa su un organo complesso come il cervello senza rendersi colpevoli di eccessive semplificazioni. Lo schema della figura 3 mostra le tre regioni principali in cui può essere suddiviso il sistema limbico.

Le tre regioni corticali più importanti facenti parte dell'anello limbico sono ombreggiate con tanti numeri scritti in piccolo, rispettivamente 1, 2 e 3, e le principali connessioni che esse stabiliscono con l'ipotalamo e con altre parti del tronco cerebrale sono contrassegnate con i numeri corrispondenti scritti in grande. Si può notare che i due rami anteriori del fascio mediale del proencefalo s'incontrano con le fibre che provengono dal bulbo olfattivo e si immettono nelle due metà inferiore e superiore dell'anello attraverso l'amigdala e il setto nei punti segnati rispettivamente con il numero 1 e il numero 2. Nel prosieguo di questo capitolo concentrerò l'attenzione su queste due regioni limbiche; ma fin da ora, anticipando ciò che dirò nel terzo capitolo - e per mettere in evidenza un'importante differenza -, vorrei sottolineare il fatto che il terzo grosso fascio che si dirama dall’ipotalamo non ha rapporto con l’apparato olfattivo. La terza regione in cui abbiamo suddiviso il sistema limbico e che è connessa con questo fascio raggiunge il suo massimo sviluppo nell’uomo; nel terzo capitolo ne vedremo il significato nella prospettiva delle nuove tendenze dell’evoluzione del cervello.

Dati clinici e sperimentali indicano che la parte inferiore dell'anello limbico, a cui si accede attraverso l'amigdala, ha a che fare principalmente con le sensazioni emotive e con il comportamento che assicurano l'autoconservazione (Mac- Lean 1958a, 1958b, 1959). In altre parole, ci sono prove che i suoi circuiti siano al servizio delle esigenze egoistiche di alimentazione, lotta e autoprotezione. La prova più convincente di questo fatto si ricava dalle osservazioni di pazienti affetti da epilessia limbica. Quando inizia una scarica epilettica in questa parte del cervello, i pazienti provano sentimenti che entrano in gioco nella lotta per l'esistenza; fra essi ci sono le sensazioni elementari della fame e della sete, nausea, senso di soffocamento e mancanza di respiro, accelerazione del battito cardiaco, o necessità urgente di defecare e di urinare, che possono essere accompagnati da una grande varietà di sentimenti emotivi intensi come terrore, paura, rabbia, tristezza, pessimismo, idee strane e sentimenti pa- ranoidi. Il comportamento involontario che segue queste sensazioni appare spesso come un'estrinsecazione degli stati d'animo soggettivi, e consiste nel mangiare, bere, vomitare, manifestare paura, o correre e urlare come terrorizzati.

Stimolando la regione corrispondente nel gatto e nella scimmia, Delgado e io stesso (1953) abbiamo suscitato forme analoghe di comportamento. Tali risultati indicano dunque che questa regione del sistema limbico ha come compito primario quello di garantire l'autoconservazione, perché spinge a procurarsi ciò che è necessario per la vita e a evitare situazioni dannose e distruttive.

Gli studi classici di Kluver e Bucy hanno dimostrato che, se nelle scimmie selvatiche veniva asportata chirurgicamente questa parte del cervello, esse 1) perdevano il loro senso di paura; 2) diventavano mansuete; 3) avrebbero mangiato qualsiasi cosa, dalle nocciole alle spranghe di ferro e agli escrementi; 4) manifestavano un comportamento sessuale insolito e mostravano altri cambiamenti che, in un ambiente naturale, sarebbero stati pregiudizievoli per la loro sopravvivenza (Kliiver e Buey 1939).

Le modificazioni del comportamento sessuale indicavano che entravano in attività altre parti del cervello responsabili delle funzioni sessuali. Questo fatto sposta la nostra attenzione sulla seconda regione del sistema limbico, alla quale si accede attraverso il setto (n. 2). Molti anni fa osservammo che, in seguito a una stimolazione elettrica o chimica del setto e della vicina zona dell'ippocampo, che è in rapporto con esso, i gatti di sesso maschile presentano evidenti reazioni di piacere e di grattamento, e qualche volta erezione del pene: aspetti del comportamento che si osservano nei felini durante il corteggiamento (MacLean 1957a, 1957b). Queste osservazioni indicavano che quella parte del sistema limbico è coinvolta nelle espressioni e nelle sensazioni che contribuiscono a determinare la socievolezza e altri stati preliminari dell'accoppiamento e della riproduzione. Esse avevano un valore euristico, perché - cosa abbastanza strana - si avevano solo prove scarse e indirette, basate su studi di ablazioni, che indicavano un coinvolgimento del proencefalo nel comportamento sessuale. Per esempio Penfield, che aveva stimolato una gran parte della corteccia cerebrale dell'uomo, non aveva mai provocato un'erezione del pene o sensazioni erotiche (Penfield e Jasper 1954). L'insieme complessivo dei dati negativi appariva paradossale, considerato l'alto grado di organizzazione del comportamento che è necessario per la procreazione.

I risultati positivi ottenuti nel gatto mi spinsero a programmare un'esplorazione del sistema limbico e di altre regioni del cervello nelle scimmie scoiattolo, alla ricerca di risposte sessuali alla stimolazione elettrica. Per questi esperimenti vennero preventivamente cementate nel cranio quattro viti alle quali fu poi fissata e mantenuta cronicamente sopra il cuoio capelluto una piattaforma stereotassica con le guide per gli elettrodi (1967b). Questo dispositivo evita di dover fare un'operazione vera e propria e assicura un sistema preciso per esplorare millimetro per millimetro una zona del cervello con elettrodi capaci di stimolare e di registrare, mentre la scimmia sta seduta su una seggiola speciale. Gli animali si adattano prontamente a questo procedimento e ricevono le loro bevande e i loro cibi preferiti. Dopo ogni esperimento la scimmia è riportata nella sua gabbia.

Nel tronco cerebrale, sopra il livello dell'ipotalamo, ci sono due zone principali la cui stimolazione provoca l'erezione del pene. Una di queste zone è la regione setto-preottica mediale e l'altra, su cui concentreremo l'attenzione nel terzo capitolo, è la regione anteriore e mediale del talamo (MacLean e Ploog 1962).

La stimolazione di punti precisi della regione setto-preottica mediale provoca normalmente scariche elettriche nell'ipotalamo, e contemporaneamente a queste scariche l'erezione può assumere un carattere pulsante e divenire più pronunciata. Successivamente la scimmia diventa tranquilla e sonnolenta per lunghi periodi. Il comportamento generale ricorda quello di uno dei pazienti di Heath il quale, dopo che gli era stata stimolata la regione del setto, disse: «Mi sento eccitato, sto bene» (1954). Questa osservazione fu riferita per la prima volta in un convegno del 1952. Due anni dopo Olds e Milner (1954) riferirono i loro interessanti risultati secondo cui i ratti premevano ripetutamente una levetta per l'evidente piacere che ricavavano dalla stimolazione elettrica di questa parte del cervello.

La figura 4 utilizza lo schema della figura 3 per presentare una rappresentazione riassuntiva degli effetti della stimolazione nei diversi punti delle due regioni del sistema limbico connesse con l'amigdala e con il setto. Le risposte alimentari, orali e facciali sono state indicate con il simbolo O che rappresenta lo scudo di Marte, le risposte genitali con la freccia (↗), che rappresenta la sua spada. Come si vede, i simboli dello scudo si trovano raggruppati in molti punti della regione dell'amigdala, mentre quelli della spada sono concentrati nella regione setto-preottica mediale. Seguendo il fascio che si dirige verso il tronco cerebrale, lo scudo e la spada si riuniscono nell'ipotalamo anteriore, ricostituendo l'immagine del guerriero Marte in una regione in cui convergono fibre nervose responsabili del comportamento difensivo e della collera. Poiché spesso la lotta costituisce un preliminare tanto dell'accoppiamento quanto dell'alimentazione, questi risultati fanno pensare che la natura usi gli stessi meccanismi nervosi per la lotta sia nell'una sia nell'altra situazione.

Nell'area ipotalamica dorsale, subito sopra alla regione focale dell'ipotalamo responsabile del comportamento agonistico, la stimolazione provoca una erezione completa, di solito accompagnata da emissione di suoni. Quando poi l'elettrodo viene spostato un po' più in basso, cominciano ad apparire sintomi del comportamento di rabbia o di paura, come indicano il modo di urlare e la tendenza a combattere, a mordere e a scoprire i denti (MacLean, Denniston e Dua 1963a, p. 280). Dopodiché si ha costantemente un'erezione di ritorno. Nel punto in cui il tratto pallido-ipotalamico incrocia il lato mediale del fornice vengono scatenati soltanto sintomi agonistici. Infine, quando l'elettrodo si allontana dall'area focale, la stimolazione evoca fondamentalmente movimenti quali mordere o masticare.

Risultati di questo genere possono evidentemente gettare un po' di luce sulle basi neurologiche delle espressioni aggressive e violente del comportamento sessuale. Nei suoi tre saggi sulla sessualità, Freud osserva che «l'effetto sessualmente eccitante di molti affetti in sé spiacevoli - come l'ansia, il raccapriccio, l'orrore - si conserva in un gran numero di individui anche durante la vita matura, ed è la spiegazione del fatto che tante persone vadano a caccia di tali sensazioni» (Freud 1948, trad. 1975, p. 88). Osserva inoltre che «numerose persone raccontano di avere sperimentato i primi sintomi di eccitazione dei loro genitali durante zuffe o lotte con i loro compagni di gioco... Per molti individui il nesso infantile tra lotta ed eccitamento sessuale è una co- determinante per la direzione che in seguito preferiranno nella loro pulsione sessuale» (ibid., p. 87).Tornando indietro, all'amigdala e al setto, troviamo ulteriori implicazioni nei dati fisiologici sperimentali. Una stimolazione di bassa frequenza in alcune parti dell'amigdala scatena movimenti della faccia, masticazione, salivazione e l'atto di inghiottire, seguiti dopo alcuni secondi dall'erezione del pene (MacLean 1962, p. 295). Questi risultati aiutano a spiegare l'erezione del pene osservata negli animali appena nati e nei bambini piccoli quando vengono nutriti. Aiutano anche a illuminare il comportamento oro-genitale a proposito del quale si fanno tante allusioni nei film e nei romanzi moderni, come per esempio nell'Ulisse di James Joyce. Una forma archetipa di tale comportamento si ritrova nei lemuri, primati primitivi che presentano una parata di saluto (si veda la fig. 21, p. 248) nella quale il maschio e la femmina si leccano reciprocamente la regione anogenitale. La stretta connessione fra funzioni orali e funzioni genitali è dovuta evidentemente al senso dell'olfatto che da un'epoca remotissima dell'evoluzione svolge un ruolo molto importante sia nell'alimentazione sia nell'accoppiamento.

Nella neocorteccia, la rappresentazione del corpo è disposta in modo che la testa e la coda sono situate ai poli opposti come il nord e il sud. Questo è ciò che ci si poteva aspettare da una struttura capace di una fine discriminazione come la neocorteccia. Ma nel lobo limbico la testa e la coda sono avvicinate dal senso dell'olfatto. La figura 5 mostra un gatto che si lecca il pene eretto dopo una scarica postuma dell'ippocampo. L'uomo civilizzato ha sospettato per molto tempo che la terra fosse rotonda già prima che Colombo salpasse alla volta dell'America; ma come poteva immaginare che il lobo limbico era un anello chiuso e che spostandosi in un'unica direzione si poteva raggiungere la testa attraverso la coda, e viceversa? (MacLean 1968b).

Alcuni psichiatri mi hanno detto che questi recenti dati fisiologici sono serviti a mitigare i sensi di colpa di molti loro pazienti per le fantasie di sessualità orale e per i relativi comportamenti. Da un altro punto di vista, tuttavia, la fisiologia e l'anatomia che sono state delineate nella discussione del concetto di cervello trino servono solo a mettere in maggior rilievo le difficoltà specifiche che devono affrontare pazienti e terapeuti. Nella terapia lo psichiatra parte comunemente dal presupposto che, poiché il paziente è un essere dotato di linguaggio, i suoi processi psicologici si prestano a essere facilmente tradotti in parole. L'obiettivo che si pone è di chiarire le forme di resistenza e di far affiorare, attraverso le libere associazioni, il materiale inconscio e represso che lo aiuterà a comprendere il significato dei sintomi e darà loro sollievo.

Un difetto di questo modo di affrontare il problema può essere che non si tiene conto del fatto che all'interno dell'uomo sono sempre presenti due animali ben svegli e coscienti ma irrimediabilmente incapaci di esprimersi con il linguaggio. Ciò significa che il cervello rettiliano e quello limbico non dispongono dell'apparato nervoso che permette di comunicare in termini verbali. Troppo spesso si ha l'impressione che il cervello arrivi a un'intuizione verbale, solo per avere poi una delusione più grossa nel constatare che non si è avuto nessun miglioramento del disturbo fondamentale. E' auspicabile che le ricerche future propongano nuovi metodi che possano essere più efficaci e riescano a farci comunicare con i nostri due cervelli animali.

Ma i problemi del nostro tempo stanno crescendo in modo tale che la psichiatria potrà essere chiamata a occuparsi non più solo dei disturbi degli individui, ma anche di una malattia diffusa dell'intera umanità. Una delle difficoltà attuali sembra risiedere nel fatto che la nostra neocorteccia è completamente sfasata rispetto ai nostri cervelli animali. A differenza della corteccia antica, la neocorteccia riceve le sue informazioni prevalentemente dall'ambiente esterno, attraverso segnali che le arrivano dagli occhi, dagli orecchi e dai recettori somatici. (Per inciso, è interessante notare che le energie che producono questo tipo di segnali si prestano all'amplificazione elettronica e alla radiodiffusione, mentre ciò non succede per il gusto e per l'odorato.) E' evidente dunque che la neocorteccia è orientata verso l'esterno. Inoltre essa sembra prosperare sul cambiamento, presumibilmente perché la natura l'ha destinata a essere all'altezza di elaborare idee nuove e soluzioni nuove. I risultati raggiunti dalla scienza negli ultimi anni sono stati talmente vistosi e avvincenti che i nostri dirigenti politici, economici e culturali danno l'impressione di pianificare la nostra esistenza come se fosse necessario soddisfare soltanto la nostra neocorteccia.

Con la sua immaginazione che supera la velocità della luce, il nuovo cervello dell'uomo può riuscire a tenere il passo con il ritmo accelerato della vita moderna grazie ai sistemi di lettura rapida, ai calcolatori e ad altri espedienti; ma si deve presumere che i due cervelli animali da cui l'uomo non si potrà mai separare si muovano con la loro caratteristica lentezza. Si ha l'impressione che essi abbiano un proprio orologio biologico e un loro modo sequenziale, rituale, di svolgere i loro compiti, che non può essere accelerato (Mac- Lean 1967a). La natura, nonostante tutta la sua spinta al progresso, è anche un'autentica conservatrice ed è più rigorosa di un direttore del museo nel conservare i suoi oggetti antichi. Il cervello rettiliano e quello limbico sono sopravvissuti a milioni di anni di evoluzione, ed è evidente che non ci possiamo aspettare dall'oggi al domani un capovolgimento della situazione, per cui essi scompaiano dal cervello dell'uomo. E d'altra parte è molto dubbio che il genere umano possa sopravvivere senza le emozioni limbiche, perché - qualsiasi altra cosa facciano - esse assicurano l'esistenza del conflitto e della discussione, che a loro volta garantiscono il rimescolamento del patrimonio genetico delle idee!

Benché ci stiamo già preparando ad avere trasporti pubblici che si spostano alla velocità dei razzi, con i nostri cervelli animali dovremo ancora muoverci alla velocità del cavallo e del calessino. Quando ci renderemo conto di questo fatto, potremo forse imparare a vivere in modo più soddisfacente di quanto non sia possibile oggi. Una delle cose che forse dovremmo fare è di dedicare un tempo maggiore a coltivare quei semplici piaceri domestici per i quali l'Europa è famosa e che nel secolo scorso erano messi in evidenza in modo tanto pittoresco nella poesia e nella pittura dei preraffaelliti; e cioè dipingere e costruire varie cose con le proprie mani, fare il pane in casa, curare il giardino, aver cura di fiori e di piante da interno, avere piccoli animali domestici, osservare gli uccelli e tenere un diario. Per cercare di soddisfare simbolicamente il nostro istinto di caccia e allo stesso tempo il piacere che ci danno le uova appena deposte, vogliamo sperare che la società favorisca la realizzazione di qualche alternativa alla sgradevole crescita caotica dominata dal cemento dei nostri centri commerciali.

Per quanto mi riguarda, non sono mai guarito dalla nostalgia e dal rimpianto di aver lasciato all'età di cinque anni una idilliaca cittadina di provincia. Mi servì molto ad attenuare questo sentimento la decisione presa vari anni fa di prendere una piccola casa di campagna nel Potomac. Ho scoperto che l'odore del letame di cavallo una volta alla settimana era più efficace di un cocktail per acquetare qualcosa che c'è nel profondo dentro di me. Quando si leggono le notizie sulle tendenze attuali, si riceve l'impressione che stiamo diventando un popolo nomade, che si sposta in media ogni tre anni. In queste condizioni disgreganti, forse il cervello rettiliano potrebbe ritrovare un sentimento rassicurante di stabilità domestica se i genitori insegnassero ai loro figli a riconoscere le stelle e le costellazioni.

Uno dei problemi più pressanti del nostro tempo è la necessità di escogitare qualche sistema per controllare l'aumento vertiginoso della popolazione e per evitare l'affollamento che ne consegue, perché questo risveglia l'intolleranza del rettile che si nasconde dentro l'uomo e ne scatena la lotta per il territorio. Per molte specie animali ci sono prove sempre più numerose del fatto che, con l'aumentare della densità della popolazione, cresce l'aggressività (si veda per esempio Calhoun 1962; Ardrey 1966), spesso fino ad arrivare a lotte mortali. Non c'è alcuna ragione per affermare che l'animale che vive in ognuno di noi non si comporterebbe nello stesso modo (MacLean 1967a).

Il mondo è già diventato così piccolo che quasi non si trova più un posto dove rifugiarsi, se non nella profondità della nostra mente. Qualcuno considera le droghe capaci di «fare espandere la mente» come un mezzo per allargare gli orizzonti di quel rifugio. Nel prossimo capitolo affronterò questo argomento della droga, ma solo in quanto rappresenta non un rifugio, ma una distorsione della mente. La mente libera e non drogata offre qualcosa di più di un rifugio: è capace di innalzarsi. Nel terzo capitolo prenderò in considerazione appunto la direzione evolutiva di tale ascesa.

Riassunto

I problemi dell'uomo moderno stanno aumentando a una velocità vertiginosa, mai raggiunta prima, come ha messo in evidenza l'esplosione demografica. Si può sperare che una migliore conoscenza del cervello possa contribuire a trovare una soluzione per questi problemi. Nella sua evoluzione, il cervello dell'uomo conserva l'organizzazione gerarchica di tre tipi fondamentali di cervello che per semplicità, nella discussione, vengono indicati come cervello rettiliano, cervello limbico (o cervello dei mammiferi antichi, o primitivi) e neocervello (o cervello dei mammiferi recenti o evoluti). Nonostante le grosse differenze strutturali e chimiche che ci sono fra essi, questi tre cervelli devono stare strettamente uniti e devono funzionare insieme come un cervello uno e trino.

Usando la terminologia corrente, le tre sottounità del cervello potrebbero essere considerate elaboratori biologici, ognuno con la sua specifica forma di soggettività, la sua intelligenza, la sua misura del tempo, le sue funzioni mnemonica, motoria e altre.

In questo capitolo ho concentrato l'attenzione sul cervello di rettile e su quello di mammifero antico. Ci sono alcuni fatti da cui si può desumere che il cervello rettiliano «programmi» il comportamento secondo le istruzioni basate sui ricordi ancestrali e sugli apprendimenti ancestrali, e che svolga un ruolo di primo piano in quelle che siamo soliti indicare come le forme istintive del comportamento.

Il cervello di mammifero antico rappresenta il cervello che abbiamo ereditato dai mammiferi primitivi e corrisponde al cosiddetto sistema limbico, o cervello limbico. Esso ha un interesse particolare per la psichiatria, dato l'importante ruolo che svolge nel comportamento emotivo, di cui abbiamo prove cliniche e sperimentali. Esso rappresenta un denominatore comune nel cervello di tutti i mammiferi ed è posto in posizione intermedia, rivolgendosi - come Giano bifronte - da una parte verso il cervello rettiliano e dall'altra verso il neocervello. Le funzioni del cervello limbico sono state esaminate in rapporto alle tre principali regioni in cui esso viene suddiviso; due di queste sono in stretto rapporto con l'apparato olfattivo e hanno a che fare rispettivamente con la funzione orale e con quella sessuale, necessarie per l'autoconservazione e per la conservazione della specie.

Sono state discusse le implicazioni psichiatriche dell'organizzazione intima delle due regioni interessate rispettivamente alla funzione orale e a quella genitale. Infine è stata sottolineata la necessità che l'uomo, quale che sia la velocità alla quale può effettivamente spostarsi grazie al suo neocervello, acquisisca una conoscenza di se stesso tale che gli permetta di adattarsi al ritmo di marcia del cavallo col calessino, cioè al ritmo seguito dal suo cervello rettiliano e da quello limbico.