Vita attiva e vita contemplativa


La nascita della tragedia (1872)

Basilea, fine dell'anno 1871

15.

Qui, con animo commosso, battiamo alle porte del presente e del futuro: quella «conversione» condurrà a sempre nuove configurazioni del genio e addirittura a quella di Socrate cultore di musica? La rete dell'arte stesa sull'esistenza sarà sempre più saldamente e soavemente intrecciata, sia pure sotto il nome di religione o di scienza, oppure è destinata a lacerarsi in brandelli sotto l'irrequieto e barbarico trambusto e turbinio che oggi si chiama «il presente»? — Preoccupati, ma non sconsolati, ci teniamo un po' in disparte, come osservatori a cui è permesso di essere testimoni di quelle straordinarie lotte e trapassi. Ahimè! Il fascino di tali lotte sta nel fatto che chi le guarda deve anche combatterle!

Umano, troppo umano. Un libro per spiriti liberi (1878)

Volume I

282.

Lamento. - Sono forse i vantaggi dei nostri tempi a portar con sé una diminuzione, e talora una sottovalutazione, della vita contemplativa. Ma bisogna pur ammettere che la nostra epoca è povera di grandi moralisti, che Pascal, Epitteto, Seneca, Plutarco oggi son poco letti, e che lavoro e solerzia - normalmente al seguito della grande dea salute - sembrano talora imperversare come una malattia. Poiché manca il tempo per pensare e la calma nel pensare, non si prendono più in considerazione quelle idee che esulano dalla norma: ci si limita a odiarle. Nell’enorme acceleramento della vita, occhio e spirito si abituano a vedere e a giudicare a metà o in modo errato, e ognuno assomiglia a quei viaggiatori che fan la conoscenza di un paese o di un popolo dal treno. Un atteggiamento autonomo e cauto della conoscenza è disprezzato quasi come una sorta di follia; lo spirito libero è screditato, soprattutto dai dotti, che nella sua arte di considerare le cose sentono mancare la propria precisione e diligenza da formiche e lo relegherebbero volentieri in un singolo cantuccio della scienza; mentre quello ha il compito, ben più alto e diverso, di comandare da una posizione isolata su tutto l’esercito degli uomini di scienza e di dottrina e di indicare loro le vie e le mete dalla cultura.

283.

Principale difetto degli uomini attivi. - Agli uomini attivi di solito fa difetto l’attività più alta: voglio dire quella individuale. Essi sono attivi come funzionari, commercianti, dotti, cioè come esseri generici, non come uomini affatto determinati, singoli, unici; sotto.questo punto di vista sono pigri. E’ la disgrazia degli attivi, il fatto che la loro attività sia quasi sempre un po’ insensata. Non si può ad esempio chiedere, al banchiere che ammucchia denaro, lo scopo di quella sua incessante attività: essa è insensata. Gli attivi rotolano come rotola la pietra, con meccanica stupidità. Tutti gli uomini si dividono, in ogni tempo e anche oggi, in schiavi e liberi: chi infatti non ha per sé i due terzi della sua giornata, è uno schiavo, qualunque cosa sia, politico, commerciante, funzionario, dotto.”

284.

A favore degli oziosi. - Come segno dl fatto che la vita contemplativa è meno apprezzata, oggi i dotti gareggiano con gli uomini attivi in una sorta di frettoloso godimento, così che sembrano apprezzare questo modo di godere più di quello che è propriamente adatto a loro e che in effetti è molto più grande. I dotti si vergognano dell’otium. Invece, l’ozio e l’oziare sono nobili cose. - Se l’ozio è veramente il padre dei vizi, esso dunque si trova almeno nelle immediate vicinanze di ogni virtù; l’uomo ozioso è comunque migliore di quello attivo. Non crederete però che con ozio e oziare io mi riferisca a voi, perdigiorno?

285.

L’irrequietezza moderna. - Avvicinandosi sempre di più a occidente, l’agitazione moderna si fa sempre più grande, sicché agli americani gli abitanti dell’Europa sembrano amanti della pace e della bella vita, mentre anch’essi ronzano e si agitano come uno sciame di api e vespe. Questa agitazione diventa così grande, che la cultura superiore non può più maturare i suoi frutti: è come se le stagioni si susseguissero troppo rapidamente. Per mancanza di calma la nostra civiltà sfocia in una nuova barbarie. Mai come oggi gli attivi, cioè gli irrequieti, hanno goduto di tanta considerazione. Perciò una delle necessarie correzioni da apportare al carattere dell’umanità è di rafforzare largamente l’elemento contemplativo. Certo ogni individuo, che nel cuore e nella mente sia calmo e costante, ha già il diritto di credere di possedere non solo un buon temperamento, ma una virtù di utilità generale, e di adempiere, preservando questa virtù, a un compito superiore.

286.

In che senso l’uomo attivo è pigro. - lo credo che, su ogni cosa sulla quale sia possibile avere opinioni, ciascuno debba possedere un’opinione propria, in quanto egli stesso è qualcosa di particolare e di irripetibile, che assume, rispetto a tutte le altre cose, una posizione nuova e mai esistita prima. Ma la pigrizia che giace in fondo all’anima dell’uomo attivo gli impedisce di macinare la farina del suo sacco. - Con la libertà delle opinioni è come con la salute: entrambe sono individuali, né si può enunciare, su nessuna delle due, un concetto di validità generale. Quello di cui un individuo necessita per la sua salute, per un altro può esser motivo di malattia, e alcuni mezzi e vie per la libertà dello spirito possono essere, per nature più altamente sviluppate, vie e mezzi per la non-libertà.

Volume II

34.

Un uomo che si sia scrollato di dosso le catene della vita al punto da continuare a vivere soltanto per sempre meglio conoscere, deve poter rinunciare, senza rimpianto e fastidio, a molto, anzi quasi a tutto ciò che presso gli altri uomini ha valore; a lui deve bastare, come lo stato più desiderabile, quel sollevarsi libero e senza paura al di sopra di uomini, costumi, leggi e tradizionali valutazioni delle cose. Egli comunica volentieri la gioia che questo stato gli procura, e forse non ha altro da comunicare - il che implica certamente una privazione, una rinuncia. Se ciononostante gli si chiederà di più, egli additerà, scuotendo benevolmente il capo, il suo fratello, il libero uomo d’azione, e forse non nasconderà una certa qual derisione: poiché la «libertà» di quello è di un genere affatto particolare.

Aurora (1881)

41.

Per la determinazione del valore della vita contemplativa. - Non dimentichiamo, in quanto uomini della vita contemplativa, quale sorta di mali e maledizioni siano toccati agli uomini della vita activa attraverso i diversi effetti postumi della contemplazione, - in breve, non dimentichiamo quale controbilancio la vita activa avrebbe da presentarci, se noi ci vantassimo dinanzi a lei con troppo orgoglio dei nostri benefici.

In primo luogo: le cosiddette nature religiose, che per il numero prevalgono tra quelle contemplative e quindi ne costituiscono la specie più comune, hanno agito in ogni tempo per render difficile la vita agli uomini pratici e, possibilmente, per farli disgustare di essa: oscurare il cielo, spegnere il sole, rendere sospetta la gioia, svalorizzare le speranze, paralizzare la mano attiva, - questo hanno inteso fare, così come per tempi e sentimenti di miseria hanno avuto consolazioni, elemosine, soccorsi e benedizioni. In secondo luogo: gli artisti, un po' più rari dei religiosi, ma pur sempre ancora una specie numerosa di uomini della vita contemplativa, come persone sono stati per lo più insopportabili, lunatici, invidiosi, violenti, turbolenti: questo effetto è da detrarre dagli effetti rasserenanti e sublimanti delle loro opere. In terzo luogo: i filosofi, un genere di uomini in cui si trovano assieme energie religiose e artistiche, in modo però che trovi ancora posto accanto a loro qualcosa come un terzo elemento, quello dialettico, il piacere della dimostrazione, sono stati autori di malanni allo stesso modo dei religiosi e degli artisti e, inoltre, attraverso la loro inclinazione dialettica hanno annoiato molti uomini; certo il loro numero è sempre stato assai piccolo In quarto luogo: i pensatori e i lavoratori della scienza; raramente essi mirarono ad effetti, piuttosto si scavarono in silenzio le loro tane di talpe. Così hanno causato poco fastidio e disagio, e spesso, come oggetto di scherno e di risa, hanno addirittura, senza volerlo, alleviato il vivere agli uomini della vita activa. Infine la scienza è divenuta qualcosa di assai utile per tutti: se a causa di questa utilità, oggi, moltissimi predestinati alla vita activa si aprono una via alla scienza con il sudore della fronte e non senza rompicapi e imprecazioni, la schiera dei pensatori e dei lavoratori della scienza per tali fastidi non porta certo alcuna colpa; è una «sofferenza autogena».

42.

Origine della vita contemplativa. - In tempi primitivi, in cui dominano i giudizi pessimistici sull'uomo e sul mondo, il singolo, nel sentimento del suo pieno vigore tende sempre ad agire secondo quei giudizi, a tradurre quindi l'idea in azione attraverso la caccia, la rapina, l'aggressione, la violenza e l'assassinio, incluse le più pallide copie di queste azioni, quelle che soltanto vengono tollerate all'interno della comunità.

Se però il suo vigore l'abbandona, se egli si sente stanco o malato o malinconico o sazio fino alla nausea e in conseguenza di ciò talvolta privo di desideri e di brame, allora egli è un uomo relativamente migliore, cioè meno nocivo, e le sue pessimistiche idee si scaricano ancora soltanto in parole e pensieri, per esempio sul valore dei suoi compagni o della sua donna o della sua vita oppure dei suoi dèi, - i suoi giudizi saranno giudizi malvagi. In questa situazione egli diviene pensatore e profeta, oppure continua a poetare sulla sua superstizione ed escogita nuove consuetudini, oppure si beffa dei suoi nemici -: ma qualunque cosa escogiti, tutti i prodotti del suo spirito debbono rispecchiare la sua situazione, la crescita dunque della sua paura e stanchezza, la diminuzione del suo apprezzamento dell'agire e del godere; il contenuto di questi prodotti deve corrispondere al contenuto di queste disposizioni d'animo di poeta, di pensatore, di sacerdote; il giudizio malvagio vi deve regnare. In seguito tutti quelli che facevano durevolmente ciò che prima il singolo faceva in questa situazione, che quindi davano dei giudizi malvagi, vivevano melanconicamente e quasi inattivi, furono chiamati poeti o pensatori o sacerdoti o stregoni -: tali uomini, poiché non erano abbastanza attivi, volentieri li si sarebbe disprezzati e scacciati dalla comunità; ma in ciò c'era un pericolo, - essi avevano seguito la superstizione e le tracce di forze divine, non si dubitava perciò del fatto che disponessero di ignoti strumenti di potenza.

Questa è la stima in cui viveva la più antica stirpe di nature contemplative, - tanto più disprezzate, quanto meno venivano temute! In tale camuffata figura, in tale ambiguo aspetto, con un cuore malvagio e spesso con una mente angustiata, per la prima volta la contemplazione è apparsa sulla terra, debole e terribile al contempo, in segreto disprezzata e in pubblico ricoperta da una superstiziosa riverenza! Qui, come sempre, si deve dire: pudenda origo!

175.

Pensiero fondamentale di una civiltà dedita al commercio. - Oggi, più volte, si osserva la civiltà di una società nascente per cui l'esercizio del commercio sia come l'anima, tanto quanto per gli antichi Greci lo fu l'agone individuale, e per i Romani la guerra, la vittoria e il diritto. Chi è dedito al commercio sa fissare il valore di ogni cosa, senza costituirlo, e precisamente sa fissarlo secondo il bisogno dei consumatori, non secondo il proprio più personale bisogno; «chi e quanti consumano questo?» è per lui la domanda delle domande. Un tale tipo di valutazione egli ora l'applica istintivamente e di continuo a tutto, e quindi anche alle produzioni delle arti e delle scienze, dei pensatori, dei dotti, degli artisti, degli uomini di Stato, dei popoli e dei partiti, di intere epoche: per ogni cosa che viene prodotta egli chiede riguardo alla domanda e all'offerta, al fine di stabilire per sé il valore di una cosa. Tutto ciò viene elevato a carattere di un'intera civiltà, e ponderato fino all'estrema ampiezza e finezza, e impronta di sé ogni volere e potere: questo è quanto di cui voi uomini del prossimo secolo sarete orgogliosi, se i profeti della classe mercantile hanno ragione a consegnarlo nelle vostre mani! Ma io ho poca fede in questi profeti. Credat Judaeus Apella - per dirla con Orazio.

328.

Che cosa lasciano indovinare le teorie idealistiche. - Le teorie idealistiche si incontrano con assoluta certezza negli insospettabili uomini pratici; poiché essi hanno bisogno dello splendore di quelle per la loro fama. Le afferrano col loro istinto e in ciò non hanno proprio alcun sentimento di ipocrisia: così come un inglese, con la sua cristianità e la sua santificazione della Domenica, non si sente ipocrita. Al contrario, alle nature contemplative, che contro ogni fantasticare debbono tenersi disciplinate e temono anche di esser rinomate come degli esaltati, occorrono soltanto le dure teorie realistiche: danno di piglio ad esse con la stessa coazione istintiva e senza perderci la loro onestà.

440.

Non rinunciare! - Rinunciare al mondo senza conoscerlo, come fa una monaca - procura una sterile e forse malinconica solitudine. Ciò non ha niente in comune con la solitudine propria della vita contemplativa del pensatore: quando egli la sceglie, non vuole in alcun modo far un atto di rinuncia; piuttosto per lui sarebbe una rinuncia, una tristezza e una rovina il dover perseverare nella vita practica: a questa rinuncia perché la conosce, perché conosce se stesso. Così si tuffa nella sua acqua, così conquista la sua serenità.

La gaia scienza (1882)

301. Illusione dei contemplativi.
Le persone elevate si distinguono da quelle di livello inferiore per il fatto che vedono e odono indicibilmente di più, e vedono e odono pensando - e proprio questo distingue l'uomo dagli animali e gli animali superiori da quelli inferiori. II mondo si fa sempre più pieno per colui che sale nella scala dell'umanità, perché gli vengono gettati sempre più ami di interesse; la quantità dei suoi stimoli è costantemente in crescita e così la quantità dei suoi modi di provare piacere e dispiacere:
l'uomo più elevato diviene sempre più felice e più infelice al tempo stesso.
Sua perpetua compagna è però sempre un'illusione; egli pensa di trovarsi davanti al grande spettacolo visivo e sonoro che è la vita in veste di spettatore e ascoltatore; egli definisce la sua natura contemplativa e, nel far ciò, trascura il fatto che egli stesso è poeta e continua a poetare la vita, - che egli differisce molto dall'attore di questo dramma, il cosiddetto uomo d'azione, ma ancora di più da un meno osservatore e ospite d'onore davanti al palcoscenico. Lui, in quanto poeta, possiede certamente vis contemplativa e la capacità di guardare retroattivamente la sua opera, ma al contempo e in primo luogo quella vis creativa che manca all'uomo d'azione, nonostante quel che possono affermare l'apparenza e l'opinione comune.
Siamo noi, che percepiamo pensando, a fare davvero e continuamente qualcosa che non c'è ancora: tutto un mondo eternamente in crescita di valutazioni, colori, pesi, prospettive, scale graduate, affermazioni e negazioni. Questa poesia da noi inventata è costantemente assimilata, esercitata, tradotta in carne e realtà, anzi in quotidianità, dai cosiddetti uomini pratici (i nostri attori, come abbiamo detto). Quel che ha valore nel mondo attuale non lo ha di per sé, secondo la sua natura - la natura è sempre senza valore -ma questo valore gli è stato dato, donato, e siamo stati noi a darglielo e donarglielo! Siamo stati noi a creare per primi il mondo che interessa agli uomini! Ci manca però proprio questa consapevolezza e, se pure ci sfiora per un attimo, quello successivo l'abbiamo già dimenticata: noi misconosciamo la nostra migliore energia e ci riteniamo, noi contemplativi, di grado inferiore, - non siamo né orgogliosi né felici come potremmo essere.

283. Precursori.
Saluto ogni sintomo da cui aliti un'epoca più virile e bellicosa, che torni a onorare soprattutto la prodezza! Essa infatti preparerà la strada a un'epoca ancora più eccelsa e raccoglierà le energie di cui ciascuno allora avrà bisogno; - quell'epoca che porta l'egoismo nella conoscenza e muove guerre per amore dei pensieri e delle loro conseguenze. A tal fine occorrono, per adesso, molto prodi precursori, che pure non possono sgorgare dal niente, - e tanto meno dalla sabbia e dal muco della civiltà odierna e dell'educazione metropolitana: persone che sappiano essere silenziose, solitarie, risolute, contente della loro invisibile attività e perseveranti; persone che con la loro inclinazione interiore cerchino quanto in loro stessi deve essere superato; persone che possiedano sia serenità, pazienza, semplicità e disprezzo delle grandi vanità, sia magnanimità nella vittoria e condiscendenza per le piccole vanità di tutti gli sconfitti; persone che sappiano giudicare in modo acuto e libero tutti i vincitori e la parte avuta dal caso in ogni vittoria e fama; persone con feste proprie, propri giorni feriali, propri tempi di lutto, abituati a comandare e sicuri nel farlo ma al tempo stesso, laddove meriti, pronti a obbedire, egualmente orgogliosi nell'una come nell'altra cosa, sempre dediti alla propria causa; persone più esposte al rischio, persone più feconde, persone più felici!
Perché, credimi! - Per mietere dall'esistenza la maggiore fertilità e il maggiore piacere, il segreto si chiama: vivere pericolosamente! Costruite le vostre città sul Vesuvio! Inviate le vostre navi su mari inesplorati! Vivete in guerra con i vostri pari e con voi stessi! Siate masnadieri e conquistatori, fintantoché non potete essere dominatori e possidenti, voi che vi dedicate alla conoscenza! Finirà presto il tempo in cui bastava vivere nascosti nei boschi come cervi ritrosi! Finalmente la conoscenza tenderà la mano verso quanto le spetta: vorrà dominare e possedere e voi con lei!

Crepuscolo degli idoli; o come si filosofa col martello (1888)

Detti e frecce
40.
Sei uno che sta a guardare? o che interviene? - o che guarda da un'altra parte, si fa da parte... Terzo problema di coscienza.