L'uomo come essere naturale |
Verità e menzogna in senso extramoraleI. In un qualche angolo remoto dell’universo che fiammeggia e si estende in infiniti sistemi solari, c’era una volta un corpo celeste sul quale alcuni animali intelligenti scoprirono la conoscenza. Fu il minuto più tracotante e menzognero della «storia universale»: e tuttavia non si trattò che di un minuto. Dopo pochi sussulti della natura, quel corpo celeste si irrigidì, gli animali intelligenti dovettero morire. Ecco una favola che qualcuno potrebbe inventare, senza aver però ancora illustrato adeguatamente in che modo penoso, umbratile, fugace, in che modo insensato e arbitrario si sia atteggiato l’intelletto umano nella natura: ci sono state delle eternità, in cui esso non era; e quando nuovamente non sarà più, non sarà successo niente. Per quell’intelletto, infatti, non esiste nessuna missione ulteriore, che conduca al di là della vita dell’uomo. Esso è umano, e soltanto il suo possessore e produttore può considerarlo con tanto pathos, come se in lui girassero i cardini del mondo. Se fosse per noi possibile comunicare con la zanzara, verremmo a scoprire che anch’essa con lo stesso pathos nuota nell’aria dove si sente come il centro che vola di questo mondo. Non c’è niente in natura di così spregevole e dappoco che con un piccolo soffio di quella facoltà conoscitiva non si possa gonfiare come un otre; e allo stesso modo in cui qualsiasi facchino vuol avere i suoi ammiratori, anche il più orgoglioso degli uomini, il filosofo, è convinto che da ogni lato gli occhi dell’universo siano puntati telescopicamente sul suo fare e sul suo pensare. E’ degno di nota che a tanto giunga l’intelletto, qualcosa cioè che è concesso proprio solo come strumento ausiliario alle più infelici, alle più fragili, alle più transitorie delle creature, per conservarle un minuto nell’esistenza; giacché esse altrimenti, senza quel supporto, avrebbero tutte le ragioni a volatilizzarsi tanto rapidamente quanto il figlio di Lessing. Sull’utilità e il danno della storia per la vita (Considerazioni inattuali II)1. Osserva il gregge che pascola dinnanzi a te: non sa che cosa sia ieri, che cosa sia oggi; salta intorno, mangia, riposa, digerisce, salta di nuovo, e così dal mattino alla sera e giorno dopo giorno, legato brevemente con il suo piacere e con la sua pena al piuolo, per così dire, dell'attimo, e perciò né triste né annoiato. Vedere tutto ciò è molto triste per l'uomo poiché egli si vanta, di fronte all'animale, della sua umanità e tuttavia guarda con invidia la felicità di quello — giacché egli vuole soltanto vivere come l'animale né tediato né addolorato, ma lo vuole invano, perché non lo vuole come l'animale. L'uomo chiese una volta all'animale: Perché mi guardi soltanto, senza parlarmi della tua felicità? L'animale voleva rispondere e dire: La ragione di ciò è che dimentico subito quello che volevo dire — ma dimenticò subito anche questa risposta e tacque: così l'uomo se ne meravigliò. Schopenhauer come educatore (Considerazioni inattuali III)6. Il procedimento della natura ha l'aspetto di uno spreco; tuttavia non è lo spreco di una oltraggiosa abbondanza, ma dell'inesperienza; si deve ammettere che se essa fosse un uomo non riuscirebbe a superare la stizza per sé e per la propria inettitudine. La natura scaglia il filosofo tra gli uomini come una freccia, non prende la mira, ma spera che la freccia rimanga infissa da qualche parte. Moltissime volte però si sbaglia e se ne indispettisce. Con lo stesso spreco si comporta nel campo della cultura, come nel piantare e seminare. Adempie ai suoi scopi in un modo generico e goffo, sacrificando in ciò troppe energie. Umano, troppo umano. Un libro per spiriti liberiVolume II 14. L'uomo, il commediante del mondo. - Ci dovrebbero essere creature più di spirito di quanto non sia l'uomo, semplicemente per gustare a fondo l'umorismo insito nel fatto che l'uomo si consideri il fine di tutto l'esistere del mondo e l'umanità si ritenga seriamente soddisfatta solo in vista di una missione nel mondo. Se un dio ha creato il mondo, creò l'uomo come scimmia di dio, come continuo motivo di divertimento nelle sue troppo lunghe eternità. La musica delle sfere intorno alla terra sarebbe allora la risata di scherno di tutte le altre creature intorno all'uomo. Con il dolore quell'annoiato Immortale solletica il suo animale preferito per trovare, nei gesti tragico-orgogliosi, nell'interpretazione delle sofferenze, ma soprattutto nell'inventiva spirituale della più presuntuosa creatura, la sua gioia quale inventore di questo inventore. Poiché chi ideò l'uomo per scherzo ebbe più spirito dell'uomo, e anche più gusto per lo spirito. - Persino qui, dove la nostra umanità vuole per una volta umiliarsi spontaneamente, la presunzione ci gioca uno scherzo, in quanto noi uomini vorremmo essere, almeno in questa presunzione, qualcosa di assolutamente incomparabile e meraviglioso. La nostra unicità nel mondo! Ah, è una cosa fin troppo inverosimile! Gli astronomi, ai quali tocca talvolta di scrutare realmente un orizzonte staccato dalla terra, fanno capire che la goccia di vita nel mondo è senza significato per il carattere complessivo del mostruoso oceano di divenire e trapassare; che innumerevoli astri hanno condizioni simili alla terra per la generazione della vita, moltissimi, quindi - ma francamente neppure una manciata in confronto a quegli infiniti altri che non hanno mai avuto il germoglio della vita o che ne sono guariti da tempo: che la vita su ciascuno di questi astri, in confronto alla durata della loro esistenza è stata un attimo, una vampata con lunghi, lunghi intervalli di tempo dietro di sé - quindi, in nessun caso lo scopo è il fine ultimo della loro esistenza. Forse la formica del bosco è altrettanto fermamente convinta di essere scopo e meta dell'esistenza del bosco, come lo siamo noi quando nella nostra fantasia associamo quasi involontariamente la fine dell'umanità alla fine della terra: anzi, siamo ancora modesti se ci limitiamo a questo e non organizziamo per le onoranze funebri dell'ultimo uomo un crepuscolo universale del mondo e degli dèi. Persino l'astronomo più spregiudicato non può immaginare la terra senza vita se non come lo splendente e fluttuante sepolcro dell'umanità. Aurora31. L'orgoglio per lo spirito. - L'orgoglio dell'uomo, che si rifiuta di accettare la dottrina della discendenza dagli animali e pone il grande abisso tra uomo e natura, - questo orgoglio ha il suo fondamento in un pregiudizio circa ciò che è spirito: e questo pregiudizio è relativamente giovane. Nella grande preistoria dell'umanità si supponeva lo spirito dovunque e non si pensava di onorarlo come un privilegio dell'uomo. Poiché al contrario si era fatto di ciò che è spirituale (insieme a tutti gli istinti, le malvagità, le inclinazioni) un bene comune e, di conseguenza, così comune che non ci si vergognava di discendere dagli animali o dalle piante (le stirpi nobili si ritenevano onorate da tali favole) e si vedeva nello spirito qualcosa che ci unisce con la natura, non qualcosa che ci separa da essa. Così ci si educò nella modestia, - e egualmente in conseguenza di un pregiudizio. 49. Il nuovo sentimento fondamentale: la nostra definitiva caducità. - Una volta si cercava di giungere al sentimento della magnificenza e signoria dell'uomo, additando alla sua origine divina: questa adesso è divenuta una via proibita, poiché alla sua porta, insieme ad altre orribili bestie, sta la scimmia e piena di comprensione digrigna i denti come per dire: non oltre in questa direzione! Così ora si tenta la direzione opposta: la strada verso cui si dirige l'umanità deve servire a dimostrare la sua magnificenza e signoria e la sua affinità con Dio. Ah!, anche così non serve a niente. Alla fine di questa strada sta l'urna funeraria dell'ultimo uomo e dell'ultimo becchino (con l'iscrizione: «nihil humani a me alienum puto»). Per quanto in alto possa svilupparsi l'umanità - e forse alla fine si ritroverà più in basso di quanto non fosse all'inizio - non si darà per lei alcun trapasso in un ordine superiore, allo stesso modo come la formica e la forfecchia al termine della loro «vita terrena» non si innalzano all'affinità con Dio e all'eternità. Il divenire trascina dietro di sé ciò che è stato: perché mai in questa eterna commedia dovrebbe esistere un'eccezione per un qualsiasi piccolo astro e ancora per una piccola specie vivente in esso! Smettiamola con questi sentimentalismi! 333. «Umanità.» - Noi non riteniamo gli animali esseri morali. Ma pensate voi che gli animali ci considerino esseri morali? - Un animale che sapeva parlare, disse: «L'umanità è un pregiudizio dei quale noi animali, almeno, non soffriamo». La gaia scienzaLibri primo 1. I maestri della finalità dell'esistenza. Che io guardi gli altri con occhi buoni o cattivi, li trovo sempre impegnati in qualcosa, tutti e ogni singolo in particolare: nel fare qualcosa che giovi alla conservazione del genere umano. E questo, a dire il vero, non per un senso di amore nei confronti di questo genere, ma semplicemente perché niente in loro è più antico, più forte, più inesorabile, più insuperabile di quell'istinto, perché quest'istinto costituisce appunto l'essenza della nostra specie e del nostro gregge… Quell'istinto che domina indifferentemente le persone più elevate e più banali, l'istinto della conservazione della specie, emerge di tanto in tanto come ragione e passione dello spirito; ha allora intorno a sé una brillante successione di motivi e vuol far dimenticare, con grande violenza, che non è altro che impulso, istinto, follia, infondatezza. L'uomo è gradualmente divenuto un animale fantastico, il quale deve adempiere a una funzione esistenziale in più rispetto agli altri animali: ogni tanto l'uomo deve credere di sapere perché esiste, il suo genere non può prosperare senza una periodica fiducia nella vita! Senza fede nella ragione insita nella vita. Libro terzo 224. Critica degli animali. Temo che gli animali vedano nell'uomo un loro pari che abbia perduto in modo estremamente pericoloso il sano intelletto animale, - è infatti un animale folle, un animale che ride, un animale che piange, un animale infelice. La volontà di potenza. Scritti postumi per un progetto226. Il fatto che l'umanità abbia da assolvere un compito totale, che in quanto totalità corra verso un qualche fine, è una rappresentazione molto oscura e arbitraria e ancora molto giovane. Probabilmente ce ne libereremo ancor prima che diventi un'«idea fissa»... Questa umanità non è una totalità: è un'indissolubile pluralità di processi vitali ascendenti e discendenti - non ha una gioventù e poi una maturità e alla fine una vecchiaia. Infatti gli strati sono frapposti e sovrapposti fra loro - e fra qualche millennio ci potranno sempre essere ancora tipi umani più giovani di quanti si possa attestarne oggi. La décadence d'altronde fa parte di ogni epoca dell'umanità: dappertutto ci sono materiali di rifiuto e in deperimento, l'eliminazione delle forme di decadimento e di scarto è essa stessa un processo vitale. 259. - Non si ha nessun diritto, né all'esistenza, né al lavoro, né di certo alla «felicità»: per il singolo uomo le cose non stanno diversamente che per il verme più basso. 283. La dannosità di un uomo dovrebbe già costituire un'obiezione contro di lui?... Come se tra i grandi promotori della vita non avesse posto anche il grande delinquente!... Lasciamo essere gli animali come sono e così anche la natura; ma gli uomini li vogliamo assolutamente diversi... L’AnticristoXIV Noi abbiamo imparato di nuovo il mestiere. Siamo divenuti più modesti sotto ogni aspetto. Non traiamo più le origini dell'uomo dallo «spirito», dalla «divinità», lo abbiamo ricollocato tra gli animali. Lo consideriamo l'animale più forte perché è il più astuto: la sua intelligenza ne è una conseguenza. D'altro canto ci proteggiamo da una vanità che vorrebbe trovare espressione persino qui: la pretesa che l'uomo sia il grande obiettivo segreto dell'evoluzione animale. L'uomo non è assolutamente il coronamento della creazione: ogni altro essere è, accanto a lui, allo stesso grado di perfezione... E affermando ciò già siamo eccessivi: l'uomo è, relativamente parlando, tra gli animali il meno riuscito, il più malato e quello più pericolosamente deviato dai propri istinti. Con tutto ciò, è certo anche il più interessante! Riguardo agli animali, Descartes fu il primo che, con ammirevole coraggio, osò pensare all'animale come a una macchina: tutta la nostra scienza fisiologica è dedita alla dimostrazione di tale tesi. Ma noi, logicamente, non mettiamo da parte l'uomo, come pure fece Descartes; la nostra conoscenza dell'uomo oggi non supera i confini di una visione meccanicistica. Crepuscolo degli idoli; o come si filosofa col martelloScorribande di un inattuale 14. Anti Darwin. Per quanto riguarda la famosa «lotta per la vita», per ora essa mi sembra più asserita che dimostrata. Avviene, ma come eccezione; l'aspetto complessivo della vita non è lo stato di bisogno, lo stato di fame, bensì la ricchezza, l'opulenza, persino l'assurda dissipazione dove si lotta, si lotta per la potenza... Non si deve scambiare Malthus con la natura. Ma posto che questa lotta esista e in effetti, essa avviene , essa ha purtroppo un esito contrario a quel che si augura la scuola di Darwin, a quel che forse sarebbe lecito augurarsi con essa: ossia a sfavore dei forti, dei privilegiati, delle felici eccezioni. Le specie non crescono nella perfezione: i deboli hanno continuamente la meglio sui forti ciò avviene perché essi sono in gran numero, sono anche più accorti... Darwin ha dimenticato lo spirito (il che è inglese!), i deboli hanno più spirito... Si deve aver bisogno di spirito, per riceverne, lo si perde quando non se ne ha più bisogno. Chi ha la forza, fa a meno dello spirito ( «lascia correre!», si pensa oggi in Germania, «tanto ci resterà il Reich»...). Per spirito intendo, come si vede, la prudenza, la pazienza, l'astuzia, la simulazione, la grande padronanza di sé e tutto quel che è mimicry (a quest'ultima attiene una gran parte della cosiddetta virtù). |