L’uomo comune |
Sull’utilità e il danno della storia per la vita (Considerazioni inattuali II, 1874)9. Si continui pure a preparare queste creazioni, a scrivere la storia dal punto di vista delle masse e a cercare in essa quelle leggi che si possono dedurre dai bisogni di queste masse, cioè le leggi del movimento degli strati più bassi di creta e di argilla della società. Solo per tre aspetti mi sembra che le masse meritino uno sguardo: primo, perché copie sbiadite di grandi uomini, fatte su carta cattiva e con lastre logore, secondo, come ostacolo ai grandi, e infine come strumento dei grandi; per il resto, se le prenda il diavolo e la statistica!”
Schopenhauer come educatore (Considerazioni inattuali III, 1874)1. Un viaggiatore che aveva visto molti paesi e popoli e più continenti, interrogato su quale qualità degli uomini avesse ovunque ritrovato rispose: essi sono inclini alla pigrizia. A molti parrà che, più giustamente e più validamente, avrebbe potuto dire: sono tutti pavidi. Si nascondono dietro costumi e opinioni. Ogni uomo, in fondo, sa bene di essere al mondo solo per una volta, come un unicum, e che nessun caso, per quanto straordinario, riuscirà una seconda volta a mescolare insieme quella molteplicità così eccentricamente variopinta nell'unità che egli è; questo l'uomo lo sa, ma lo nasconde come una cattiva coscienza ‑ perché? Per paura del prossimo che esige la convenzione e in essa si nasconde. Ma cosa costringe il singolo a temere il prossimo, a pensare e agire come il gregge, a non essere lieto di se stesso? Per alcuni, ma sono rari, forse il pudore. Per la grande maggioranza è poltroneria, indolenza, in breve quell'inclinazione alla pigrizia di cui il viaggiatore parlava. Egli ha ragione: gli uomini ancor prima che pavidi sono pigri e soprattutto temono gli incomodi che procurerebbe loro una nudità e una sincerità incondizionata. 1. Nella natura non c'è creatura più vuota e ripugnante dell'uomo che è sfuggito al suo genio e ora volge di soppiatto lo sguardo a destra e a sinistra, indietro e ovunque. Un tale uomo alla fine non lo si può neppure attaccare: è solo esteriorità senza nucleo, un marcio costume, pitturato e rigonfio, un fantasma agghindato che non può ispirare paura e tanto meno compassione. E se a ragione si dice del pigro che ammazza il tempo, allora ci si deve preoccupare sul serio che un tempo che pone la propria salvezza nelle opinioni pubbliche, e cioè nelle pigrizie private, sia ucciso una buona volta: venga, intendo dire, cancellato dalla storia della vera liberazione della vita. Con l'esteriorità, la parola, il gesto, la raffinatezza, il lusso, la manieratezza, l'osservatore dovrebbe essere indotto ad una conclusione sbagliata sul contenuto: nel presupposto che si sia abituati a giudicare l'interno dall'esterno. Mi sembra, talvolta, che gli uomini moderni si annoino smisuratamente l'un l'altro e che alla fine trovino necessario rendersi interessanti con l'aiuto di tutte le arti. Allora si fanno servire dai loro artisti cibi stuzzicanti e forti, si cospargono con tutte le droghe dell'Oriente e dell'Occidente, e, certo, ora emanano un odore molto interessante, l'odore appunto di tutto l'Oriente e l'Occidente. Si preparano allora a soddisfare tutti i gusti; e ognuno deve essere servito, sia che desideri un qualcosa di profumato o di maleolente, di sublime o di contadinescamente grossolano, di greco e di cinese, sia che ami le tragedie o le sconcezze messe in dramma. Umano, troppo umano. Un libro per spiriti liberi (1878)Volume I 33. Dunque per l’uomo comune, ordinario, il valore della vita si fonda unicamente sul fatto che egli si considera più importante del resto del mondo. La grande mancanza di fantasia da cui è affetto fa si che egli non possa sentirsi compenetrato in altri esseri, e partecipi dunque il meno possibile al loro destino e alla loro sofferenza. Chi invece potesse veramente prendervi parte, dovrebbe disperare del valore della vita; se riuscisse ad accogliere in sé e a sentire l’intera coscienza dell’umanità, proromperebbe in una bestemmia contro l’esistenza - perché nel complesso l’umanità non ha mete e di conseguenza l’uomo, considerando il suo intero decorso, non può trarne consolazione o appiglio, ma disperazione. Se, in tutto quel che fa, guarda alla estrema mancanza di scopo dell’umanità, il suo operare assume ai suoi occhi il carattere dello spreco. Ma sentirsi - come umanità, e non solo come individuo - sprecati, come vediamo sprecati dalla natura i singoli fiori, è un sentimento al di sopra di ogni sentimento. Ma chi ne è capace? Certamente solo un poeta: e i poeti sanno sempre consolarsi. 325. Opinioni. - La maggior parte degli uomini non è nulla e non vale nulla sinché non si è vestita di convinzioni generali e di opinioni pubbliche - secondo la filosofia dei sarti: gli abiti fanno le persone. Ma degli uomini d'eccezione bisogna dire: l'abito lo fa solo chi lo porta; qui le opinioni cessano di essere pubbliche e diventano qualcosa di diverso da maschere, ornamenti e travestimenti. Volume II 169. Bisogno artistico di second'ordine. - Il popolo possiede sì qualcosa di ciò che possiamo chiamare bisogno artistico, ma esso è scarso e facile da soddisfare. In fondo per questo bastano i rifiuti dell'arte: bisogna ammetterlo sinceramente. Si pensi, per esempio, quali melodie e canzoni procurino oggi vera gioia agli strati più robusti, incorrotti e genuini della nostra popolazione, si viva tra pastori, montanari, contadini, cacciatori, soldati, marinai e si dia una risposta. E nella piccola città, proprio nelle case che sono la sede dell'antica virtù borghese, non viene forse amata, anzi vezzeggiata, la musica peggiore che oggi si produca? Chi, riferendosi al popolo, come esso è, parla di bisogni profondi, di insoddisfatto desiderio d'arte, o vaneggia o mente. Siate sinceri! - Solo in uomini d'eccezione esiste oggi un bisogno artistico in grande stile - poiché in generale l'arte è in una nuova fase di regresso, e le forze e le speranze umane si sono temporaneamente rivolte ad altre cose. - Inoltre, al di fuori del popolo, esiste ancora un bisogno artistico più vasto ed esteso, ma di second'ordine, negli strati superiori e più elevati della società: qui è possibile qualcosa come una comunità artistica, di intenti sinceri. Ma consideriamone gli elementi! Sono in genere gli insoddisfatti un po' raffinati, che di per sé non giungono a una vera gioia: l'uomo colto che non è diventato tanto libero da fare a meno dei conforti religiosi e tuttavia trova che i loro oli non profumano abbastanza; il nobile a metà, troppo debole per infrangere con un'eroica conversione o una rinuncia l'errore fondamentale della sua vita o la perniciosa tendenza del suo carattere; l'uomo ricco di doti, che pensa troppo bene di sé per rendersi utile con una modesta attività ed è troppo pigro per un lavoro grande e pieno di sacrificio; la ragazza che non sa crearsi una sufficiente cerchia di doveri; la donna che si è legata con una matrimonio leggero o sacrilego e si sa non abbastanza legata; il dotto, il medico, il commerciante, il funzionario che si sono ritirati troppo presto nel particolare e non hanno mai concesso libero sfogo alla loro natura, ma che in compenso svolgono il loro sia pur diligente lavoro con un tarlo nel cuore; e poi tutti gli artisti non del tutto compiuti - sono essi, oggi, quelli che hanno ancora veramente bisogno dell'arte! E che cosa propriamente desiderano dall'arte? Essa deve allontanare da loro, per qualche ora o qualche istante, il disagio, la noia, la coscienza mediocre e, possibilmente, dare al difetto della loro vita e del loro carattere il significato più alto di difetto del destino universale ben diversamente dai greci, che nella loro arte sentivano il traboccare e lo straripare del loro benessere e della loro salute e amavano vedere ancora una volta fuori di sé la loro perfezione: - li portava all'arte il godimento di sé, mentre questi nostri contemporanei vi sono portati - dal fastidio di sé. 325. Opinioni. - La maggior parte degli uomini non è nulla e non vale nulla sinché non si è vestita di convinzioni generali e di opinioni pubbliche - secondo la filosofia dei sarti: gli abiti fanno le persone. Ma degli uomini d'eccezione bisogna dire: l'abito lo fa solo chi lo porta; qui le opinioni cessano di essere pubbliche e diventano qualcosa di diverso da maschere, ornamenti e travestimenti.
Aurora (1881)105. L'egoismo apparente. - La maggior parte degli uomini, qualsiasi cosa possano dire e pensare del loro «egoismo», nonostante ciò, in tutta la loro vita, non fanno niente per il loro ego, ma soltanto per il fantasma dell'ego, che si è formato, su di essi, nella mente delle persone del loro ambiente e che si è loro trasmesso, - in conseguenza di ciò, tutti insieme vivono in una nebbia di opinioni impersonali, semipersonali e di valutazioni arbitrarie, quasi poetiche, ognuno nella testa di un altro, e questa testa sempre in altre teste: uno strano mondo di fantasmi, che in tutto questo sa darsi un aspetto così sobrio! Questa nebbia di opinioni e di abitudini cresce e vive quasi indipendentemente dagli uomini che essa avvolge; in essa si trova l'enorme influsso dei giudizi generali su «l'uomo» - tutti questi uomini sconosciuti a se stessi credono all'esangue entità astratta di «uomo», cioè a una finzione; e ogni cambiamento che viene introdotto in questa astrazione attraverso i giudizi di singoli potenti (come principi e filosofi) influisce straordinariamente in irrazionale misura sulla grande maggioranza, - tutto ciò per il motivo che ogni singolo in questa maggioranza non può contrapporre alcun ego reale, a lui accessibile e da lui conosciuto a fondo, a quella pallida finzione universale e, così, non può annullarla. 213. Gli uomini della vita mancata. - Taluni sono di una stoffa tale che alla società è permesso fare di loro questa o quella cosa: in tutte le circostanze essi si troveranno bene, e non dovranno lagnarsi di una vita mancata. Altri sono di una stoffa troppo particolare - perciò non occorre ancora essere particolarmente nobili, ma, appunto, soltanto qualcosa di più raro, - per non doversi trovar male, eccettuato il caso in cui possano vivere in modo conforme al loro unico scopo: in tutti gli altri casi è la società a riceverne un danno. Poiché tutto quel che al singolo si presenta come vita mancata e mal riuscita, tutto il suo carico di scontento, di paralisi, di malattia, di irritabilità, di brame egli lo riversa sulla società - e così si forma attorno ad essa un'aria cattiva e intanfita e, nel migliore dei casi, una nube di tempesta. 343. Sedicente moralità. - Mai volete essere scontenti di voi, mai soffrire di voi stessi, - e chiamate questo una vostra disposizione morale! Orbene, un altro la può chiamare la vostra viltà. Ma una cosa è certa: mai voi farete il viaggio intorno al mondo (che voi stessi siete!) e resterete in voi stessi casualmente, reclusi nel vostro orticello. Credete forse che noi, che la pensiamo diversamente da voi, ci siamo esposti al viaggio attraverso i nostri deserti, le nostre paludi e montagne ghiacciate per pura follia e che scegliamo dolori e disgusto di noi stessi volontariamente, come i santi stiliti? 565. Dignità e ignoranza alleate. - Quando comprendiamo, diventiamo gentili, felici, ingegnosi, e in tutte le situazioni in cui si abbia imparato abbastanza e ci si sia fatti occhi e orecchi, la nostra anima mostra più duttilità e grazia. Ma comprendiamo così poco e siamo miseramente istruiti e così succede raramente di abbracciare una cosa e di renderci con questo amabili a noi stessi: ce ne andiamo invece, rigidi e insensibili, attraverso la città, la natura e la storia e ci vantiamo un poco di questo atteggiamento e di questa freddezza, come se fosse una conseguenza della superiorità. Sì, la nostra ignoranza e la nostra scarsa sete di sapere eccellono nell'incedere tronfie della loro dignità, del loro carattere. La gaia scienza (1882)2. La coscienza intellettuale. Io faccio ripetutamente la stessa esperienza e, ogni volta, ad essa mi oppongo con tutte le mie forze, non ci credo se non tocco con mano: alla maggioranza degli uomini manca la coscienza intellettuale; anzi mi è spesso parso che chi ne senta l'esigenza si trovi, anche nelle città più popolose, solo come nel deserto. Ti guardano tutti con occhi estranei e continuano a usare la loro bilancia, definendo questo buono e quello cattivo; nessuno arrossisce minimamente quando fai loro notare che questi pesi non sono assoluti, né se la prendono con te: forse ridono dei tuoi dubbi. Voglio dire: la maggioranza degli uomini non trova niente da ridire nel credere a questo o a quello e nel vivere di conseguenza, senza prima aver preso coscienza dei motivi ultimi e più sicuri pro e contro, e senza essersi neppure dati pena di cercarli, questi motivi: anche gli uomini più dotati e le donne più nobili appartengono sempre a questa «maggioranza». Ma cosa sono buon cuore, finezza e genio se l'uomo dotato di queste virtù tollera accanto a sé, nel credere e giudicare, sentimenti pigri, se il desiderio di certezza non è per lui la brama più intima e la necessità più profonda, in quanto elemento di separazione tra gli uomini più elevati e quelli più bassi! Ho rivenuto in alcuni uomini pii un certo odio nei confronti della ragione, e questo mi ha bendisposto nei loro confronti: tradiva infatti, quanto meno, il permanere di una malvagia coscienza intellettuale! Ma stare nel bel mezzo di questa rerum concordia discors e di tutta la meravigliosa insipienza e molteplicità dell'esistenza, senza domandare, senza tremare per la brama e il piacere del domandare, senza neppure odiare chi domanda, fors'anche trovandolo appena divertente: è questo che io trovo riprovevole, ed è questa percezione che io cerco per prima cosa in chiunque incontri; una specie di follia mi convince sempre che ogni uomo ha questa percezione. È la mia personale ingiustizia. 3. Nobile e volgare. Alle nature volgari tutti i sentimenti nobili e magnanimi appaiono inadeguati e quindi estremamente inattendibili; ammiccano, quando ne sentono parlare, e sembrano voler dire: «Ci sarà pure un vantaggio, ma non si può vedere cosa c'è dietro la parete»; sono diffidenti nei confronti dei nobili, come se costoro si cercassero tali vantaggi su sentieri segreti. Se sono chiaramente convinti dell'assenza di intenzioni e utili egoistici, allora il nobile sembra loro una specie di folle: lo disprezzano per la sua gioia e lo deridono perché gli brillano gli occhi. «Come si può gioire se non si hanno vantaggi, come ci si può precipitare ad occhi aperti in qualcosa che arreca svantaggi! Alla nobiltà deve essere legata una malattia della ragione», essi pensano, guardandolo con un certo disprezzo, proprio come disprezzano la gioia che il folle ricava dalla sua idea fissa. La natura volgare è contraddistinta dal fatto che tiene incrollabilmente davanti agli occhi il suo vantaggio e che questo pensare al fine e al vantaggio è di per sé più forte di tutti i suoi istinti più forti: la sua saggezza e la sua percezione di sé stanno proprio nel non farsi traviare da quegli istinti verso azioni non finalizzate. In confronto, la natura più elevata è davvero più irragionevole: infatti chi è nobile, magnanimo, pronto al sacrificio soggiace di fatto ai suoi istinti, e nei suoi migliori momenti la ragione è disinserita… Nel nobile la persona volgare disprezza l'irragionevolezza o ragionevolezza stravagante della passione, soprattutto quando è indirizzata su oggetti il cui valore gli pare totalmente fantastico e arbitrario. È irritato da colui che soggiace alla passione delle viscere, ma comprende il fascino che lo rende un tiranno; non comprende però come, ad esempio, si possa mettere in gioco la propria salute e il proprio onore per la passione della conoscenza. 57. Ai realisti. Voi persone sobrie, che vi sentite corazzate contro passioni e fantasticherie e gradireste trarre dal vostro vuoto un motivo di orgoglio e ornamento, voi vi definite realisti e affermate che il mondo sarebbe davvero fatto come appare: soltanto a voi si svelerebbe la verità, e voi stessi ne sareste forse la parte migliore - oh, voi care immagini di Sais! Ma non siete anche voi, nel vostro stato di svelamento, esseri estremamente passionali e oscuri, rispetto ai pesci, e sempre troppo simili a un artista innamorato? E che cos'è la «realtà» per un artista innamorato! Continuate a portarvi in giro valutazioni delle cose la cui origine risiede nelle passioni e negli innamoramenti dei decenni precedenti! Nella vostra sobrietà è sempre incorporata un'ebbrezza misteriosa e indelebile! Il vostro amore per la «verità», ad esempio... esso si che è un «amore» antichissimo! In ogni sensazione, in ogni percezione sensoriale c'è un frammento di questo antico amore, come vi hanno lavorato intessendovi loro filamenti anche fantasticherie, pregiudizi, irragionevolezza, ignoranza, timore e chissà cos'altro! Quella montagna! Quella nuvola! Che cosa c'è di vero? Toglietene, per una buona volta, i fantasmi e tutti gli ingredienti umani, voi esseri sobri! Sì, se solo poteste farlo! Se poteste dimenticare la vostra origine, il vostro passato, la vostra prescuola: tutta la vostra umanità e animalità! Per noi non c'è «realtà» - e neppure per voi, voi esseri sobri -; da tempo non siamo più estranei come credete, e forse la nostra buona volontà di superare l'ebbrezza è rispettabile quanto la vostra fede di essere assolutamente incapaci di ebbrezza. 173. Essere profondi e sembrare profondi. Chi si sa profondo, si sforza di essere chiaro; chi vorrebbe sembrare profondo alla massa, si sforza di essere oscuro. Perché la folla ritiene profondo tutto ciò di cui non riesce a vedere il fondo: essa è pavida, e non ama entrare in acqua. Al di là del bene e del male. Preludio ad una filosofia dell’avvenire (1886)61. Agli uomini comuni, infine, alla maggior parte, che esistono per servire e per l'utilità generale e soltanto per questo possono esistere, la religione offre l'inestimabile capacità di accettazione della loro situazione e del loro modo di essere, la molteplice pace dell'anima, una nobilitazione dell'obbedienza, una maggiore comunanza di felicità e dolore con i loro simili e una specie di trasfigurazione e di abbellimento, qualcosa come la giustificazione dell'intera quotidianità, dell'intera bassezza, di tutta la povertà semi‑bestiale della loro anima. La religione e il valore religioso della vita gettano una luce solare su questi uomini tormentati e rendono loro sopportabile persino la propria vista; essa esercita, come la filosofia epicurea lo esercita di solito sui sofferenti di rango superiore, un influsso ristoratore, che affina, che si serve per così dire della sofferenza santificandola infine e giustificandola. Forse non c'è (nel cristianesimo e nel buddismo) nulla di più degno di stima della loro abilità di insegnare ai più umili a collocarsi, con la devozione, in un apparente ordine superiore delle cose, e a conservare così la loro accettazione dell'ordine reale, nel quale esse conducono una vita dura ‑ e proprio questa durezza è necessaria! ‑ 199. Poiché in ogni tempo, da quando sono esistiti gli uomini, sono esistite anche greggi umane (gruppi familiari, comunità, stirpi, popoli, Stati, Chiese) e sempre molti che obbediscono in rapporto al piccolo numero di chi comanda, ‑ tenuto conto dunque che l'ubbidienza fino ad oggi è stata esercitata e insegnata tra gli uomini più di ogni altra cosa e più a lungo, possiamo giustamente supporre che oggi, in media, il bisogno di ubbidienza è innato in ognuno, come una specie di coscienza formale, che ordina: «tu devi fare qualche cosa incondizionatamente, devi lasciare qualche cosa incondizionatamente», in breve «tu devi». Questo bisogno cerca di soddisfarsi e di riempire la propria forma con un contenuto; essa afferra, secondo la sua forza, impazienza e tensione, poco schizzinosa, come un grossolano appetito e accetta ciò che le viene gridato all’orecchio da chiunque comandi genitori, maestri leggi pregiudizi di casta opinione pubblica ‑
La volontà di potenza. Scritti postumi per un progetto (1887-1888)31. Sguardo d'insieme del futuro europeo: lo stesso, come il più intelligente animale in schiavitù, molto operoso, fondamentalmente molto modesto, fino all'eccesso curioso, molteplice, viziato, debole di volontà - un caos cosmopolita di eccitazione e intelligenza. Come potrebbe staccarsi da lui un genere più forte? Un genere con gusto classico? Il gusto classico: questo è la volontà di semplificazione, di rinvigorimento, di visibilizzazione della felicità, di terribilità, il coraggio di nudità psicologica (‑ la semplificazione è una conseguenza della volontà di rinvigorimento; il lasciar divenire visibile la felicità come la nudità, una conseguenza della volontà di terribilità...). 296. - il popolo non ama il vero e neppure il semplice: ama il romanzo e il ciarlatano. L’Anticristo (1888)LIV L'uomo di fede, qualsivoglia tipo di «credente» è necessariamente una persona dipendente, uno che non si considera un fine, che non può determinare alcun fine da sé. il «credente» non appartiene a se stesso, può solo costituire un mezzo, deve essere usato, necessita di qualcuno che si serva di lui. Il suo istinto conferisce il massimo onore a una morale di autorinuncia: tutto lo persuade in questo senso, la sua intelligenza, la sua esperienza, la sua vanità. Qualsiasi forma di fede è per se stessa espressione di autorinuncia, di autoalienazione... Crepuscolo degli idoli; o come si filosofa col martello (1888)Detti e frecce 39. Parla il deluso. - Cercavo grandi uomini, e ho trovato sempre e soltanto le scimmie del loro ideale. |