Sull'Educazione |
Sull’utilità e il danno della storia per la vita (Considerazioni inattuali II, 1874)10. L'educazione tedesca della gioventù prende avvio proprio da questo falso e sterile concetto della cultura: la sua mèta, vista in modo particolarmente puro ed elevato, non è affatto il libero uomo colto, ma il dotto, l'uomo di scienza e cioè l'uomo di scienza che sia utilizzabile il più presto possibile, che si pone in disparte rispetto alla vita per riconoscerla il più chiaramente possibile; il suo risultato, visto in modo particolarmente empirico e comune, è il filisteo storico-estetico della cultura, il saccente e aggiornato chiacchierone che disquisisce sullo Stato, sulla chiesa e sull'arte, il sensorio per mille specie di sensazioni, lo stomaco insaziabile che ciononostante ignora che cosa siano una vera fame e sete. Che una educazione con quella meta e con quel risultato sia una educazione contronatura, lo sente solo colui che non si è ancora formato completamente in essa, lo sente solo l'istinto della gioventù, perché essa ha ancora l'istinto della natura, che viene spezzato solo artificialmente e violentemente da tale educazione. Chi però vuole a sua volta infrangere tale educazione, deve aiutare la gioventù a parlare, deve illuminare con la chiarezza dei concetti la sua inconscia opposizione e deve fare di questa una coscienza che sia realmente tale e che parli ad alta voce. Ma come potrà raggiungere una mèta così inconsueta? — Prima di tutto distruggendo una superstizione, la fede nella necessità di quell'operazione educativa. Infatti si pensa che non esista alcun'altra possibilità al di fuori di questa nostra realtà di oggi sommamente meschina. Si esamini la letteratura sulla istruzione ed educazione superiore degli ultimi decenni: chi lo farà, si accorgerà con sua spiacevole sorpresa quanto uniformemente in tutte le oscillazioni delle proposte, in tutta la veemenza delle contraddizioni, venga considerata l'intenzione complessiva dell'educazione, con quanta faciloneria il risultato fino ad oggi ottenuto, l'«uomo colto» come viene oggi inteso, sia stato assunto a fondamento necessario e razionale di ogni ulteriore educazione. Quel monotono canone suonerebbe a un dipresso così: il giovane deve iniziare con un sapere sulla cultura, non con un sapere sulla vita e ancora meno con la vita e con l'esperienza stessa. E invero questo sapere sulla cultura viene riversato o inculcato nel giovane come un sapere storico; vale a dire la sua testa viene riempita di un'enorme quantità di concetti, tratti dalla conoscenza estremamente mediata, dei tempi e dei popoli passati, non già dalla intuizione immediata della vita. Il suo desiderio di sperimentare qualche cosa da se stesso e di sentire crescere in se stesso un sistema di esperienze proprie coerentemente vivo — un tale desiderio viene intorpidito e per così dire reso ebbro mediante il bel miraggio che sia possibile assommare in sé, in pochi anni, le massime e le più significative esperienze dei tempi antichi, e proprio dei tempi più importanti. Schopenhauer come educatore (Considerazioni inattuali III, 1874)1. I tuoi veri educatori e formatori ti svelano il senso originario e la materia fondamentale del tuo essere, qualcosa che non si può assolutamente educare né formare, ma in ogni caso di difficile accesso, perché legato, paralizzato: i tuoi educatori non possono essere nient'altro che i tuoi liberatori. E questo è il segreto di ogni formazione: essa non dà membra artificiali, nasi di cera, occhi occhialuti doni che solo la falsa immagine dell'educazione può dare. Essa è vera liberazione, rimozione di tutte le erbacce, rifiuti e parassiti che minacciano i delicati semi delle piante, è emanazione di luce e di calore, tenero scroscio di pioggia notturna, essa è imitazione e venerazione della natura, quando questa si mostra materna e misericordiosa, e ne è perfezionamento, quando ne previene gli attacchi terribili e spietati volgendoli al bene, quando stende un velo sulle manifestazioni del suo animo matrigno e della sua triste follia. Certo esistono altri mezzi per ritrovarsi, per rinvenire dall'intontimento in cui, come in una fosca nube, si vive normalmente: io però non conosco nulla di meglio che ricordarsi dei propri educatori e formatori. 2. Quando un tempo mi abbandonavo, a mio piacimento, ai desideri, pensavo che il destino mi avrebbe esonerato dalla tremenda fatica e dal dovere di autoeducarmi purché trovassi, al momento giusto, un filosofo come educatore, un vero filosofo, a cui si potesse ubbidire senza ulteriori ripensamenti, perché si sarebbe riposta in lui una fiducia più grande di quella in se stessi. Così mi chiedevo: quali saranno mai i principi secondo cui ti educherà? e riflettevo su che cosa avrebbe detto circa le due massime dell'educazione che sono in voga nel nostro tempo. La prima richiede che l'educatore riconosca subito la forza precipua dei suoi allievi e, quindi, indirizzi tutte le energie e tutte le linfe, e ogni raggio di sole proprio in quella direzione, per aiutare quell'unica virtù a raggiungere la giusta maturazione e fecondità. La seconda massima, invece, richiede che l'educatore faccia crescere tutte le forze a disposizione, le curi e le porti a un rapporto armonico tra loro. Ma per questo si dovrebbe forse costringere alla musica chi ha una spiccata attitudine all'arte dell'orafo? Si deve dunque dare ragione al padre di Benvenuto Cellini che affliggeva di continuo il figlio con il «lascivissimo cornetto» che il figlio chiamava «quel maledetto suonare»? Nulla rivela in modo tanto chiaro e allo stesso tempo tanto umiliante il presuntuoso autocompiacimento dei contemporanei come la meschinità, per metà taccagna e per metà priva di pensiero, delle loro pretese verso educatori e maestri. Di che cosa non ci si contenta, persino tra la nostra gente più nobile e meglio istruita, sotto il nome di precettori: quale guazzabuglio di teste stravaganti e di istituzioni invecchiate viene spesso indicato come ginnasio ed è considerato buono; di che cosa non ci accontentiamo noi tutti, come supremo istituto di istruzione, come università: quali guide, quali istituzioni, paragonati alla difficoltà del compito di educare un uomo ad essere un uomo! 6. Formare il maggior numero possibile di uomini courant, nel senso in cui diciamo courant di una moneta, sarebbe dunque lo scopo, e un popolo, stando a questa concezione, sarà tanto più felice quanti più uomini courant possiede. Perciò l'intento dei moderni istituti di istruzione deve senz'altro consistere nell'incoraggiare ognuno, per quello che è nella sua natura, a divenire courant, nell'educare ognuno in maniera tale che abbia dal proprio grado di conoscenza e sapere la massima misura possibile di felicità e di guadagno. Il singolo dovrebbe, così si pretende, con l'aiuto di una tale istruzione generale, saper valutare esattamente se stesso, per sapere ciò che deve esigere dalla vita; e infine si afferma che esiste un'alleanza naturale e necessaria tra «intelligenza e possesso» tra «ricchezza e cultura», anzi, ancor di più, che questa alleanza è una necessità morale. Così ogni educazione che isoli, che ponga dei fini al di là del denaro e del profitto, che consumi molto tempo, è esecrata; si è soliti, anzi, vituperare questi più seri tipi di educazione come «un più sottile egoismo», come «un immorale epicureismo educativo». Certo, secondo la moralità attualmente in vigore, è apprezzato proprio il contrario, cioè una istruzione rapida per diventare presto un essere che guadagna denaro, e tuttavia un'educazione approfondita quel tanto sufficiente a diventare un essere che guadagna moltissimo denaro. All'uomo si concede quel tanto di cultura quanto è nell'interesse del profitto generale e del commercio mondiale, ma altrettanto se ne pretende da lui. In breve «l'uomo possiede una aspirazione necessaria alla felicità terrena, perciò l'educazione è necessaria, ma soltanto perciò»! Tutto il nostro mondo moderno ha un'apparenza nient'affatto solida e duratura tanto che si possa profetizzare al suo concetto di cultura una esistenza eterna. Si deve addirittura ritener verosimile che il prossimo millennio avrà un paio di nuove idee, per le quali a ogni vivente di oggi gli si rizzerebbero i capelli in testa. La fede in un significato metafisico della cultura alla fine non sarebbe poi tanto terrificante: ma certo alcune conseguenze si potrebbero trarre per l'educazione e l'istituzione scolastica. E' necessario compiere uno straordinario sforzo di riflessione, distogliendo una buona volta lo sguardo dalle attuali istituzioni educative e guardare oltre, verso istituzioni di genere del tutto diverso ed estraneo, quali forse appariranno necessarie a una seconda o terza generazione. Mentre infatti con gli sforzi degli attuali educatori accademici si produce o lo scienziato o il funzionario statale, o l'affarista, o il filisteo della cultura o infine e di solito una mescolanza di tutti questi, quelle istituzioni, ancora da scoprire, avrebbero certo un compito più difficile in verità non più difficile in sé, poiché sarebbe comunque il compito più naturale e in quanto tale anche più semplice; e per esempio può qualcosa essere più difficile dell'ammaestrare contro natura, come accade oggi, un giovane per farne un erudito? Ma per gli uomini la difficoltà consiste nell'imparare daccapo e porsi un nuovo fine; e costerà fatica indicibile cambiare con una nuova idea fondamentale i principi del nostro attuale sistema educativo, che ha le sue radici nel medioevo e che vede, come scopo della perfetta educazione, proprio il dotto medioevale. Già ora è tempo di porsi davanti agli occhi questi contrasti; infatti una generazione dovrà pure cominciare la lotta nella quale una generazione successiva vincerà. 8. E, infine, per tutti i diavoli: che cosa gliene importa ai nostri giovani della storia della filosofia? Forse la confusione delle opinioni deve scoraggiarli dall'avere opinioni proprie? Debbono imparare a unire la propria voce al giubilo per i nostri magnifici progressi? O devono forse addirittura imparare a odiare la filosofia e a disprezzarla? Si sarebbe indotti a pensare a quest'ultima possibilità, considerando quale martirio è per gli studenti, nei loro esami di filosofia, imprimere nel loro povero cervello le idee più sottili e più folli dello spirito umano, accanto a quelle più grandi e più difficili da comprendere. L'unica critica di una filosofia, che è possibile e che dimostra anche qualcosa, cioè il tentare se si possa vivere secondo essa, non è stata insegnata nelle università: ma, sempre, la critica delle parole alle parole. Ed ora si pensi ad una giovane mente con poca esperienza nella vita, in cui vengono immagazzinati cinquanta sistemi ridotti a parole e cinquanta critiche dei medesimi, l'uno accanto all'altro e l'uno confuso con l'altro che desolazione, che imbarbarimento, quale sprezzo per una educazione alla filosofia! In effetti il giovane, come pure si ammette, non è affatto educato alla filosofia, bensì ad un esame filosofico: il cui esito di solito è, com'è noto, che l'esaminato anche troppo esaminato! confessa a se stesso con un sospiro di sollievo: «Dio sia lodato, non sono un filosofo, ma un cristiano e un cittadino del mio Stato!». Umano, troppo umano. Un libro per spiriti liberi (1878)Volume II 181. Educazione deformazione. - La straordinaria precarietà di ogni istituto educativo, a motivo della quale oggi ogni adulto ha la sensazione che suo unico educatore sia stato il caso, - l'incoerente mutevolezza dei metodi e dei fini educativi si spiega con il fatto che oggi le potenze culturali più vecchie e quelle più nuove vogliono essere ascoltate più che capite, come in una turbolenta assemblea popolare, e dimostrare a ogni costo con la loro voce e le loro grida di esistere ancora o di esistere giù. Per questo insensato fracasso i poveri maestri ed educatori son rimasti prima storditi, poi muti e infine apatici, e subiscono tutto; come poi, a loro volta, fanno subire tutto anche ai loro allievi. Essi stessi non sono educati: come potrebbero educare? Essi stessi non sono tronchi diritti, robusti, pieni di linfa: chi si vuole accompagnar loro, dovrà torcersi e curvarsi, e sembrare alla fine contorto e deforme. 268. Gioia per il ribelle. - Il buon educatore conosce casi in cui è orgoglioso che il suo allievo rimanga fedele a se stesso contro di lui: quando cioè il giovane non deve capire l'uomo o lo capirebbe a proprio danno. 280. Crudele idea All'amore. - Ogni grande amore porta con sé il crudele pensiero di uccidere l'oggetto dell'amore, affinché una volta per tutte sia sottratto all'empio gioco del mutamento: l'amore infatti teme più il mutamento che la distruzione. 281. Porte. - Anche il fanciullo, come l'uomo, in tutto ciò che deve e apprende vede delle porte: ma per lui sono accessi, e per quello solo passaggi. 288. Pulizia. - Bisogna far sì che nel bambino il senso della pulizia diventi una passione: più tardi esso si innalzerà in sempre nuove metamorfosi, quasi a ogni virtù, e alla fine apparirà, come compensazione di ogni talento, come una luminosa profusione di purezza, moderazione, mitezza, carattere - portando in sé e diffondendo intorno a sé felicità. 267. Non esistono educatori. - Come pensatori si dovrebbe parlare solo di autoeducazione. L'educazione dei giovani ad opera d'altri o è un esperimento condotto su un essere ancora sconosciuto e non conoscibile, oppure è un livellamento di principio, volto a rendere il nuovo essere, quale esso sia, conforme alle abitudini e ai costumi dominanti: dunque in ambedue i casi è cosa indegna del pensatore; è opera dei genitori e dei maestri, che un coraggioso sincero ha definito nos ennemis naturels. - Un giorno, quando secondo l'opinione del mondo si è già educati da tempo, si scopre se stessi: allora comincia il compito del pensatore; allora è tempo di rivolgersi a lui - non come a un educatore, ma come a uno che ha educato se stesso, che ha esperienza. Aurora (1881)297. Corruttore. - Si corrompe nel modo più sicuro un giovane, se gli si insegna a stimare chi la pensa come lui più di chi la pensa diversamente. 443. Per l'educazione. - A poco a poco comincio a capire il più universale difetto del nostro tipo di formazione e di educazione: nessuno impara, nessuno tende, nessuno insegna - a sopportare la solitudine. 447. Maestri e scolari. - Fa parte dell'umanità di un maestro, mettere in guardia i propri discepoli contro se stesso. Al di là del bene e del male. Preludio ad una filosofia dell’avvenire (1886)194. I genitori fanno involontariamente del proprio figlio qualcosa di simile a loro - essi chiamano ciò «educazione» -, nessuna madre dubita nel fondo del suo cuore di aver generato a se stessa, nel figlio, una sua proprietà, nessun padre si negherà il diritto di poterlo sottomettere ai suoi concetti e valutazioni. Si, una volta ai padri pareva giusto di disporre a discrezione della vita e della morte dei nuovi nati (come tra gli antichi Germani). E, come il padre, così anche il maestro, la casta, il prete, il principe vedono ancora oggi in ogni nuovo essere umano una facile occasione per un nuovo possesso. Crepuscolo degli idoli; o come si filosofa col martello (1888)Quel che manca ai Tedeschi 5. Occorrono educatori che siano essi stessi educati, spiriti superiori, nobili, provati tali in ogni momento, provati tali dalla parola e dal silenzio, culture diventate mature, dolci non i dotti tangheri che il ginnasio, e l'università offrono oggi alla gioventù come «superiori nutrici». Mancano gli educatori, a parte le eccezioni delle eccezioni, la condizione prima dell'educazione: di qui la decadenza della cultura tedesca. - Quello che le «scuole superiori» della Germania effettivamente ottengono è un brutale addestramento per rendere utilizzabili, sfruttabili per il servizio statale, con la minor perdita di tempo, un numero esorbitante di giovani. «Educazione superiore» e numero esorbitante è sin dal principio una contraddizione. Ogni educazione superiore appartiene solo all'eccezione: si deve essere privilegiati, per aver diritto a un così alto privilegio. Tutte le cose grandi e belle non possono mai essere patrimonio comune: pulchrum est paucorum hominum. - Che cosa determina la decadenza della cultura tedesca? Il fatto che l'«educazione superiore» non sia più un privilegio - il democratismo della «cultura» divenuta «generale», comune... Nessuno è ormai più libero, nella Germania di oggi, di dare ai propri figli una buona educazione: le nostre scuole «superiori» sono organizzate tutte sulla più equivoca mediocrità quanto a insegnanti, a programmi, a finalità educative. E ovunque regna una fretta indecorosa, come se andasse perduto qualcosa se il giovane a 23 anni non ha ancora «finito», non sa ancora rispondere alla «questione principale»: quale professione? - Una specie superiore di uomini, con licenza parlando, non ama le «professioni», appunto perché si sa designata... Ha tempo, prende tempo, non pensa affatto a «finire» a trent'anni si è, nel senso di un'alta cultura, un principiante, un fanciullo. - I nostri ginnasi strapieni, i nostri insegnanti ginnasiali sovraccarichi, instupiditi, sono uno scandalo. |