Cristianesimo e Misticismo


La mia vita. Scritti autobiografici (1856-1869)

1844-1858

Com'è magnifico l'abete ci sta davanti con la cima ornata da un angelo, allusione all'albero genealogico di Cristo, la cui corona era il Signore in persona. Come risplendono i numerosi lumi, che rappresentano simbolicamente il chiarore nato tra gli uomini grazie alla nascita di Cristo. Come ci sorridono invitanti le mele rubizze, che ricordano la cacciata dal Paradiso! E guarda! Alle radici, Gesù bambino nella mangiatoia, circondato da Giuseppe e Maria e dai pastori adoranti! Che sguardi pieni di fede ardente gettano sul bambino! Voglia il Cielo che anche noi ci abbandoniamo con tale dedizione al Signore!

Quello del compleanno è un giorno simile, anche se non così splendido. Ma per quale ragione non ci sentiamo così pervasi di gioia come per il Natale di Cristo? In primo luogo, manca del tutto quell'alta significazione, che eleva questa festa al di sopra di ogni altra. E poi il Natale non riguarda solo noi stessi, bensì tutta l'umanità in generale, poveri e ricchi, grandi e meschini, illustri e oscuri. Ed è proprio questa gioia universale che aumenta quella nostra personale. Se ne può parlare con tutti, tutti gli uomini sono in certo modo uniti in una comune attesa. Si pensi poi alla sua collocazione, che rende il Natale per così dire il culmine dell'anno, si pensi a quell'ora notturna, quando l'anima è in genere assai più eccitata, e infine l'eccezionale solennità con cui questa festa viene celebrata. La festa del compleanno ha un carattere più familiare, mentre il Natale è la festa della cristianità intera.

1844-1858

Dio ci ha dato la musica in primo luogo per indirizzarci verso l'alto. La musica raduna in sé tutte le virtù, sa essere nobile e scherzosa, sa rallegrarci e ammansire l'animo più rozzo con la dolcezza delle sue note melanconiche. Ma il suo compito principale è guidare i nostri pensieri verso l'alto, così da elevarci, da toccarci nel profondo. Questo è soprattutto il fine della musica sacra.

1844-1858

L'arte musicale con le sue note è spesso più eloquente della poesia con le parole, e tocca le più intime fibre del cuore. Ma tutto quanto Dio ci dona può risultarci giovevole soltanto se lo applichiamo rettamente e con saggezza. Così, il canto eleva il nostro spirito e lo guida verso il Bene e la Verità. Ma se la musica viene usata solo a fini di svago o di esibizione agli occhi degli uomini, allora è peccaminosa e nociva.

1844-1858

La musica offre anche un piacevole passatempo, e preserva dalla noia chiunque la coltivi. Tutti gli uomini che la disprezzano sono da considerare creature prive di spirito, simili ad animali. Possa questo splendido dono di Dio accompagnarci sempre lungo il cammino della vita; io mi considero fortunato per averla presa ad amare. Cantiamo eterne lodi al Signore, che ci offre questo bel godimento!

1844-1858

Ho vissuto ormai tante esperienze, liete e tristi, che mi hanno rasserenato e afflitto, ma in ogni cosa Iddio mi ha guidato sicuro, come un padre il suo debole fanciullino. Parecchi dolori Egli mi ha già inflitto, ma ovunque riconosco con venerazione la Sua maestà, che sovranamente manda ogni cosa a effetto. Ho preso nel mio intimo la salda decisione di dedicarmi per sempre al Suo servizio. Il buon Dio mi conceda la forza necessaria al mio proposito e mi protegga lungo il cammino. Io mi affido come un bimbo alla Sua grazia: Egli ci guarderà tutti quanti, perché nessuna sciagura venga a turbarci. Ma sia fatta la Sua santa volontà! Tutto ciò che mi assegnerà lo accetterò con gioia, fortuna e sventura, ricchezza e povertà, e guarderò arditamente in faccia alla morte, che un giorno ci raccoglierà tutti nella gioia e beatitudine sempiterna. Sì, mio buon Signore, fa che il Tuo volto risplenda sopra di noi in eterno! Amen!

estate 1859

Ogni volta che mi inoltro nel santuario della natura mi coglie un pensiero: tutti questi splendori sono creati per noi, per noi si ergono queste auguste volte ombrose, per noi risplende il sole e brilla la luna; sotto questa luce il mondo intero mi appare un caro compagno, col quale posso scambiare i miei pensieri, e che rimpiango amaramente quando mi abbandona; ma senza separazione non c'è gioioso rivedersi; il sole deve sprofondare nel mare se il giorno seguente deve tornare a effondere nuova vita; la nostra esistenza deve sfiorire, se dovrà suscitarci una più alta resurrezione spirituale.

maggio 1861

In tutto il creato esistono delle scale, che debbono estendersi anche a esseri invisibili, a meno che il mondo stesso non sia l'anima universale. Così notiamo una progressione dell'esistenza, partendo dalla pietra e da quanto in genere appare solido e rigido, fino alle piante, agli animali, all'uomo, per finire con la terra, l'aria, i corpi celesti, il mondo o lo spazio, la materia e il tempo. Il termine, la fine, vanno posti qui? I concetti astratti son da considerare i creatori di ogni essere? No, al di là della materia, dello spazio, del tempo, si ergono le fonti originarie della vita, che debbono essere più alte e spirituali, la capacità vitale dev'essere infinita, la forza creatrice illimitata.

Solo a un Essere buono, e precisamente a un principio di bontà, può ricondursi la ripartizione dei destini, e noi non dobbiamo tentare temerariamente di sollevare il velo che avvolge il potere che guida le nostre sorti. E come potrebbe l'uomo, con le sue limitate facoltà spirituali, penetrare i sublimi disegni che lo Spirito primigenio ha concepito e posto in esecuzione!

Il caso non esiste; tutto quanto accade ha un significato, e quanto più la scienza indaga e ricerca, tanto più evidente appare il concetto che tutto ciò che esiste o accade è un anello di una invisibile catena. Getta uno sguardo alla storia: credi che le date si succedano senza significato? Guarda il cielo; credi che i corpi celesti seguano le loro traiettorie senza un ordine e una legge? No, no! Ciò che accade non accade a caso, un Essere superiore governa secondo ragione e criterio tutto quanto il creato.

1862

Vacanze pasquali 1862

Se potessimo guardare con occhio libero e spregiudicato alla dottrina cristiana e alla storia della chiesa, non potremmo non enunciare certe opinioni contrarie alle idee generali. Ma così, costretti come siamo fin dai primi giorni della nostra vita nel giogo dell'abitudine e dei pregiudizi, impediti nello sviluppo naturale del nostro spirito e determinati nella formazione del nostro temperamento dalle impressioni dell'infanzia, crediamo di dover considerare quasi come un delitto la scelta di un più libero punto di vista, che potrebbe permetterci dì pronunciare un giudizio imparziale e adeguato ai tempi sulla religione e sul cristianesimo.

Un tentativo del genere non è l'opera di qualche settimana bensì di una vita.

Infatti come si potrebbe distruggere l'autorità di due millenni, garantita dagli uomini più geniali di tutti i tempi, con i risultati di giovanili meditazioni, come si potrebbero tenere in non cale, grazie a fantasticherie e idee immature, tutte quelle sofferenze e benedizioni che lo sviluppo della religione ha profondamente impresso nella storia del mondo?

Oltretutto è presunzione voler risolvere problemi filosofici sui quali da alcuni millenni è in corso un conflitto di opinioni: rivoluzionare concezioni che, secondo la convinzione degli uomini più geniali, sono le sole in grado di elevare l'uomo alla vera umanità: unire la scienza alla filosofia, senza neppure conoscere i risultati principali di ambedue: erigere, finalmente, un sistema della realtà ricorrendo alla scienza e alla storia, mentre ancora l'unità della storia universale e i fondamenti primi della teoria non si sono rivelati allo spirito?

Osare di inoltrarsi nel mare del dubbio senza bussola né guida è stoltezza e rovina per cervelli immaturi; i più naufragano nelle tempeste e solo pochissimi scoprono terre sconosciute.

E allora, dal mezzo dell'immenso oceano delle idee, quante volte si è còlti dalla nostalgia della terraferma: quante volte nel corso dì sterili speculazioni mi ha sorpreso il desiderio di tornare alla storia e alla scienza!

Storia e scienza, mirabile retaggio di tutto quanto il nostro passato e preannuncio del nostro avvenire, esse sole sono le fondamenta sicure su cui possiamo edificare la torre della nostra speculazione.

Quante volte tutta la nostra filosofia passata mi è sembrata una torre di Babele; attingere al cielo è la meta di tutte le grandi aspirazioni; il regno dei cieli in terra significa quasi la stessa cosa.

Una sconfinata confusione intellettuale nel popolo è il desolante risultato; grandi sconvolgimenti sono imminenti, una volta che la massa abbia capito che l'intero cristianesimo si fonda su ipotesi; l'esistenza di Dio, l'immortalità, l'autorità della Bibbia, l'ispirazione e altre cose ancora rimarranno sempre problematiche. Io ho cercato di negare tutto: ahimè, abbattere è facile, ma costruire! E persino l'abbattere sembra più facile di quanto non sia; noi siamo talmente determinati nel nostro intimo dalle impressioni dell'infanzia, dagli influssi dei genitori, dall'educazione, che quei pregiudizi così profondamente radicati non si lasciano facilmente estirpare con argomenti razionali o con la mera volontà. La forza dell'abitudine, il bisogno di qualcosa di superiore, la rottura con tutto l'esistente, la dissoluzione di tutte le forme della società, il dubbio che l'umanità per duemila anni si sia lasciata indurre in errore da una chimera, il senso della propria presunzione e temerarietà: tutto ciò determina un conflitto senza esito, finché da ultimo esperienze dolorose e tristi eventi riconducono il cuor nostro all'antica fede dell'infanzia.

1862

Non sappiamo affatto se l'umanità stessa non sia altro che un gradino, un periodo nell'universale, nel divenire, se essa non sia una manifestazione volontaria di Dio. E forse l'uomo non è altro che lo sviluppo della pietra fino all'animale, attraverso il termine medio della pianta? Forse già qui è stato raggiunto il suo compimento e anche qui è storia? Non ha fine questo divenire eterno? Quali sono le molle di questa immensa orologeria? Esse sono celate, ma sono le stesse che nel grande orologio che noi chiamiamo storia. Il quadrante sono gli eventi. Di ora in ora procede la lancetta, per ricominciare da capo, dopo le dodici, il suo corso; un nuovo periodo del mondo ha inizio.

E non si potrebbe assumere l'essenza umana stessa come l'insieme di quelle molle? (In tal caso le due concezioni sarebbero mediate). Oppure il tutto è guidato da mire e da piani superiori? E l'uomo solo un mezzo oppure è scopo?

Lo scopo, il mutamento esistono solo per noi, solo per noi ci sono le epoche e i periodi. E come potremmo del resto scorgere piani superiori. Noi vediamo soltanto come dalla stessa sorgente, dall'essenza umana, si formano idee sotto impressioni esterne; come queste assumano vita e forma; diventino patrimonio di tutti, coscienza, senso del dovere; come l'eterno istinto produttivo le elabori in quanto materiale per nuove idee, come esse plasmino la vita, reggano la storia; come esse nei conflitto reciproco si arricchiscano a vicenda e come da questa nuova miscela scaturiscano nuove conformazioni. Uno scontrarsi e un ondeggiare tra correnti diverse, con alta e bassa marea, tutte affluenti verso l'oceano eterno.

Tutto si muove in circoli immensi che si allargano sempre più l'uno attorno all'altro; l'uomo è uno dei circoli che si trovano più all'interno. Se vuole cogliere e misurare le vibrazioni dei circoli esterni, deve astrarre da se stesso e dai circoli più ampi ma prossimi lino a giungere a quelli più esterni e più vasti. I circoli più ampi ma prossimi sono la storia dei popoli, della società e dell'umanità. Cercare il centro comune di tutte le vibrazioni, il circolo infinitamente piccolo è compito della scienza; a questo punto, in cui l'uomo cerca quel centro dentro di sé e per sé, riconosciamo l'importanza unica che per noi debbono avere la storia e la scienza.

Ma, essendo l'uomo coinvolto e trascinato nei circoli della storia universale, nasce quel conflitto della volontà individuale con la volontà complessiva; qui troviamo accennato quel problema infinitamente importante, la questione cioè della giustificazione dell'individuo rispetto al popolo, del popolo rispetto all'umanità, dell'umanità rispetto al mondo; anche qui il rapporto fondamentale tra fato e storia.

Noi troviamo che popoli i quali credono a un fato si distinguono per energia e forza di volontà, mentre invece uomini e donne che lasciano andare le cose come vanno in base a principi cristiani falsamente intesi, dato che «quel che Dio ha fatto è fatto bene», si lasciano guidare dalle circostanze in modo degradante. In generale la «rassegnazione nella volontà divina» e l’umiltà spesso non sono altro che pretesti per mascherare il vile timore di far fronte con risolutezza alla sorte.

Ma se il fato ci appare ancora più potente della volontà libera nel determinare i confini, non dobbiamo tuttavia dimenticare due cose: prima di tutto che fato è soltanto un concetto astratto, una energia senza materia, che per l'individuo esiste solo un fato individuale, che il fato altro non è che una catena di eventi, che l'uomo, nel momento stesso in cui agisce e crea in tal modo i suoi propri eventi, determina il proprio fato, che insomma gli eventi, in quanto colpiscano l'uomo, sono occasionati, coscientemente o inconsciamente, da lui stesso e debbono a lui adattarsi. Ma l'attività dell'uomo non comincia solo con la nascita, bensì già nell'embrione e forse chi può mai stabilirlo già nei genitori e nei progenitori. Voi tutti, che credete all'immortalità dell'anima, dovete necessariamente credere anche alla preesistenza dell'anima, se non volete far derivare qualcosa di immortale da una cosa mortale; dovete anche credere a questa specie di esistenza dell'anima, se non volete che essa svolazzi per aria finché viene innestata in un corpo. L'indù dice: il fato non è null'altro che le azioni che abbiamo compiuto in una precedente condizione del nostro essere.

Pforta, 27 aprile 1862

Soltanto una visione cristiana può essere all'origine di un simile pessimismo: esso infatti è estraneo a una visione fatalistica. Esso non è altro che una sfiducia nelle proprie forze, un tentativo di mascherare la propria incapacità a plasmare da sé, con decisione, il proprio destino. Soltanto se riconosciamo che noi siamo responsabili unicamente verso noi stessi, e che il rimprovero di aver sbagliato l'indirizzo dato alla propria vita vale solo per noi e non per qualche altra potenza superiore: solo allora i concetti fondamentali del cristianesimo si spogliano della loro veste esteriore per trasformarsi in sostanza e vita. II cristianesimo è essenzialmente un fatto di cuore: soltanto quando si è incarnato in noi, quando è diventato in noi anima, solo allora l'uomo è il vero cristiano. I principi della dottrina cristiana esprimono soltanto le verità fondamentali del cuore umano: essi sono simboli, così come la cosa più eccelsa non può essere altro che un simbolo di ciò che è ancora più alto.

Giungere alla beatitudine attraverso la fede non significa altro che una vecchia verità: che solo il cuore, e non il sapere, può rendere felici. Il fatto che Dio è diventato uomo non fa che ricordarci che l'uomo non deve ricercare la sua beatitudine nell'infinito, bensì deve fondare sulla terra il suo paradiso; l'illusione di un mondo ultraterreno aveva indotto l'intelletto umano a un atteggiamento errato nei riguardi del mondo terreno: essa era il prodotto di una età infantile dei popoli. L'ardente animo giovanile dell'umanità accetta queste idee con entusiasmo, ed enuncia, presago, quel mistero, radicato nel passato e proiettantesi nel futuro, che Dio è diventato uomo. L'umanità acquista la sua virilità attraverso gravi perplessità e ardue battaglie: essa riconosce in sé «l'inizio, il centro e la fine della religione».

Umano, troppo umano. Un libro per spiriti liberi (1878)

Volume I

113.

Cristianesimo come antichità. - Quando, in un mattino di domenica, sentiamo suonare le vecchie campane, ci chiediamo: ma è possibile? tutto questo per un ebreo crocifisso duemila anni fa, che diceva di essere il figlio di Dio! La prova di questa affermazione manca. Senza dubbio, ai nostri tempi la religione cristiana è un’antichità che emerge da un’epoca remotissima, e il fatto che si presti fede a quella affermazione, mentre di solito si esamina con tanto rigore ogni pretesa, è forse il frammento più antico di questa eredità. Un dio che fa figli con una donna mortale; un saggio che esorta a non lavorare più, a non tener più tribunali, ma a pensare alla prossima fine del mondo; una giustizia che accetta l’innocente come capro espiatorio; qualcuno che comanda ai suoi discepoli di bere il suo sangue; preghiere per interventi miracolosi; peccati commessi contro un dio ed espiati da un dio; paura di un al di là, la porta del quale è la morte; il segno della croce come simbolo nel mezzo di un’epoca che non conosce più la condanna e l’umiliazione della croce: quanto orridamente ci alita contro tutto ciò, come dal sepolcro di un passato antichissimo! Dovremmo dunque credere che ancora si crede a questo?”

Esiste anche nel cristianesimo una disposizione epicurea, che nasce dal pensiero che Dio possa esigere dall'uomo, sua creatura e immagine, solo ciò che a costui sia possibile realizzare, e che dunque la virtù e la perfezione cristiane siano raggiungibili, e spesso raggiunte. Credere, per esempio, di amare i propri nemici - anche se ciò è appunto solo fede, immaginazione e non una realtà psicologica (e dunque non amore) - rende assolutamente felici, sino a che vi si crede realmente (perché? a questo proposito lo psicologo e il cristiano la penseranno certo diversamente). E così la vita terrena, con il credere, voglio dire con l'immaginarsi, di soddisfare non solo quella pretesa di amare i propri nemici, ma tutte le altre esigenze cristiane e di essersi realmente appropriata e incorporata la perfezione divina secondo l'esortazione «siate perfetti come è

perfetto il padre vostro nei cieli», può realmente diventare una vita beata.

L'errore può dunque trasformare in verità la promessa di Cristo.

Aurora (1881)

39.

Il pregiudizio del «puro spirito». - Ovunque ha dominato la dottrina della pura spiritualità, essa ha distrutto con i suoi eccessi l'energia nervosa: insegnò a disprezzare il corpo, a trascurarlo o a tormentarlo, e, a causa di tutti i suoi istinti, a tormentare e disprezzare perfino l'uomo; rese ottenebrate, piene di tensione e oppresse le anime, - che per di più credevano ancora di conoscere la causa del loro senso di abiezione e di poterla forse rimuovere! «Nel corpo deve risiedere! esso è ancora troppo fiorente!» così concludevano, mentre in effetti questo stesso con i suoi dolori sollevava una protesta dopo l'altra contro il continuo scherno. Una generale ipernervosità, divenuta cronica, fu infine la sorte di quei virtuosi esseri puramente spirituali: il piacere essi l'avevano imparato a conoscere soltanto nella forma dell'estasi e degli altri prodromi della follia - e il loro sistema giunse al suo culmine quando considerò l'estasi come la mèta più alta della vita e come criterio di condanna per tutto ciò che è terreno.

59.

Errore come ristoro. - Si può dire ciò che si vuole: il cristianesimo ha voluto liberare gli uomini dal peso delle esigenze morali con il suo credere di indicare una via più breve alla perfezione: proprio come alcuni filosofi si illusero di potersi liberare della faticosa, lunga e complicata dialettica e della raccolta di dati di fatto rigorosamente verificati e rinviarono ad una «via regia alla verità». In entrambi i casi si trattò di un errore - ma certo anche di un grande ristoro per coloro che si trovavano nel deserto sposati e in preda alla disperazione.

66.

Capacità di visioni. - Per tutto il Medioevo l'esser capaci di visioni cioè di un profondo disturbo spirituale! - era considerato come il segno peculiare e decisivo della suprema umanità. E in fondo i medievali precetti di vita per tutte le nature superiori (per i religiosi) miravano a rendere l'uomo capace di visioni! Cosa c'è da meravigliarsi, se ancora nella nostra epoca è straripata una sopravvalutazione di persone semi-sconvolte, deliranti, fanatiche, di persone cosiddette geniali; «esse hanno visto cose che altri non vedono» - certo! e questo dovrebbe renderci guardinghi nei loro confronti, non creduli!

70.

A che serve un intelletto grossolano. - La chiesa cristiana è un'enciclopedia di preistorici culti e intuizioni dalle più svariate origini e perciò è così capace di essere missionaria: essa una volta poteva, e può adesso, giungere ovunque voglia, qui trovava e trova qualcosa di somigliante, cui può adeguarsi e sostituire a poco a poco il suo significato. Non l'elemento cristiano in essa, ma quello pagano-universale delle sue consuetudini è la base della diffusione di questa religione mondiale; i suoi pensieri, che si radicano in un terreno ebraico ed ellenico a un tempo, sin dall'inizio hanno saputo elevarsi al di sopra delle particolarità e delle sottili differenze nazionali e razziali, così come al di sopra dei pregiudizi. Si può pure ammirare la forza di far crescere insieme, una dentro l'altra, le realtà più disparate; non si dimentichi però la spregevole peculiarità di questa forza, - la sorprendente rozzezza e facilità nel soddisfarsi del suo intelletto, all'epoca della formazione della Chiesa, tale da accontentarsi di ogni cibo e di digerire i contrasti come fossero ciottoli.

La gaia scienza (1882)

126. Spiegazioni mistiche.

Le spiegazioni mistiche sono considerate profonde; la verità è che non sono neppure superficiali.

130. Una decisione pericolosa.

La decisione cristiana di ritenere il mondo brutto e cattivo ha reso il mondo brutto e cattivo.

131. Cristianesimo e suicidio.

Il cristianesimo ha fatto della tendenza al suicidio, frequentissima all'epoca della sua nascita, una leva del suo potere: ha infatti lasciato in vita soltanto due forme di suicidio, rivestendole di altissima dignità e altissime speranze, e ha proibito nel modo più spietato tutte le altre. Furono però permessi il martirio e il lento suicidio dell'asceta.

138. L'errore di Cristo.

Il fondatore del cristianesimo credeva che niente facesse soffrire gli uomini quanto i loro peccati: fu questo il suo errore, l'errore di colui che si sentiva senza peccato, cui mancava un'esperienza in questo senso! Così la sua anima si sentiva ricolma di quella misericordia prodigiosa e fantastica per una miseria che persino nel suo popolo, il quale del peccato era l'inventore, raramente era considerata una gran miseria! Ma in seguito i cristiani sono riusciti a dare ragione al loro maestro, consacrando il suo errore e innalzandolo al rango di verità.

141. Troppo orientale.

Come? Un Dio che ama gli uomini posto che essi credano in lui, e che scaglia sguardi e minacce terribili contro chi non crede in questo amore? Come? Un amore soggetto a clausole sarebbe il sentimento di un Dio onnipotente? Un amore che non è neppure padrone del sentimento dell'onore e della brama di vendetta? Com'è orientale tutto ciò! «Che t'importa se io ti amo o no?» Questa è già una critica sufficiente di tutto il cristianesimo.

358. La rivolta contadina dello spirito.

Noi Europei ci troviamo davanti a un immenso mondo di macerie, in cui alcune cose svettano ancora, molte rimangono in piedi, fatiscenti e inquietanti, ma la maggior parte sono già a terra, in modo abbastanza pittoresco - dove si sono mai date rovine più belle? - e ricoperte di erbacce grandi e piccine. Questa città del tramonto è la chiesa: vediamo la società religiosa del cristianesimo scossa fino al punto più basso delle sue fondamenta; la fede in Dio è precipitata, la fede nell'ideale ascetico-cristiano sta ancora combattendo la sua ultima battaglia. Un'opera come il cristianesimo, la cui costruzione fu lunga e accurata - si tratta dell'ultimo edificio romano! - non poteva andare distrutta tutta in una volta; doveva essere scossa da terremoti d'ogni genere; doveva contribuirvi ogni genere di spirito, che trivella, scava, inchioda, inonda…

Al di là del bene e del male. Preludio ad una filosofia dell’avvenire (1886)

46.

La fede cristiana è fin dal principio sacrificio: sacrificio di ogni libertà, di ogni orgoglio, di ogni coscienza di sé dello spirito; e contemporaneamente assoggettamento e mortificazione e mutilazione di sé, vi è orrore e un atteggiamento fenicio della religiosità in questa fede che si vuole ottenere da una coscienza esausta, multiforme e molto viziata: il suo presupposto è che la sottomissione dello spirito è incredibilmente dolorosa, che l'intero passato e ogni consuetudine di un tale spirito si rifiutano all'absurdissimum sotto la cui forma la «fede» si avvicina loro.

60.

Amare l'uomo per amore di Dio - questo è stato, fino ad oggi, il sentimento più nobile e più lontano che sia stato raggiunto tra gli uomini. L'amore per l'uomo, senza un qualche santificante scopo segreto, è una sciocchezza e una bestialità in più, la propensione a questo amore degli uomini deve ricevere la sua misura, la sua finezza, il suo granello di sale e la sua polvere d'ambra solo da un'inclinazione superiore - chiunque sia stato l'uomo che per primo ha sentito e «ha vissuto» tutto questo, per quanto abbia incespicato, quando tentò di esprimere una tale tenerezza, egli rimarrà per noi in tutti i tempi santo e degno di venerazione, in quanto l'uomo che ha volato più in alto finora e si è sviato nel modo più bello!

62.

V’è tra gli uomini, come in ogni altra specie di animale, una eccedenza di tarati, di malati, di degenerati, di fragili, di necessariamente sofferenti; i casi riusciti, anche tra gli uomini, sono sempre l'eccezione, e persino, tenendo presente il fatto che l'uomo è l'animale non ancora definitivamente accertato, un'eccezione rara. Ma v'è ancora di peggio; più è elevato il tipo che un certo uomo rappresenta, più cresce l'improbabilità che egli riesca: il caso, la legge dell'assurdo nell'economia generale dell'umanità si mostra nel modo più terribile, nel suo effetto più distruttivo sugli uomini superiori, le cui condizioni di vita sono delicate, multiformi e difficili da calcolare.

Come si comportano ora le due suddette maggiori religioni di fronte a questo eccesso di casi falliti? Esse cercano di conservare, di tenere in vita ciò che in qualche modo si può conservare, anzi, si schierano per principio dalla loro parte, in quanto religioni dei sofferenti, danno ragione a tutti coloro che soffrono della vita come di una malattia, e vorrebbero far sì che ogni altro sentimento della vita fosse sentito come falso e impossibile. Per quanto si voglia tenere in buon conto questa cura attenta e provvida in quanto essa è stata ed è di giovamento, oltre che a tutti gli altri, anche al più alto, fino ad oggi quasi sempre anche il più sofferente, tipo umano: alla resa dei conti le religioni esistenti fino ad oggi, cioè le religioni sovrane, sono tra le cause principali che mantennero il tipo «uomo» ad un livello inferiore, - esse conservarono troppo di ciò che doveva andar perduto. Bisogna esser loro riconoscenti per qualcosa di inestimabile; e chi ha in sé tanta riconoscenza, da non diventar povero dinanzi a tutto ciò che, ad esempio, i «sacerdoti» del cristianesimo hanno fatto fino ad oggi per l'Europa? e tuttavia, se diedero conforto ai sofferenti, coraggio agli oppressi e ai disperati, un bastone e un sostegno a chi ne aveva bisogno, e attirarono lontano dalla società, nei conventi e nelle carceri dell'anima coloro che erano intimamente distrutti e si erano inselvatichiti: che cosa dovettero fare, oltre a ciò, per lavorare con tranquilla coscienza, in modo così basilare, alla tutela di tutto ciò che è malato e sofferente, cioè nei fatti e in verità, al deterioramento della razza europea.

Capovolgere ogni misura di valore - questo dovettero fare! e distruggere i forti, infettare le grandi speranze, rendere sospetta la felicità nella bellezza, piegare ogni sovranità, virilità, spirito di conquista, avidità di potere, ogni istinto proprio al «tipo umano» più alto e meglio riuscito, per mutarlo in insicurezza, in angoscia della coscienza, in autodistruzione, tramutare in odio tutto l'amore per ciò che è terreno e per il dominio sulla terra, in odio contro la terra e il terreno - questo si prefisse e dovette prefiggersi la Chiesa come compito, finché ai suoi occhi si fusero insieme in un unico sentimento la «rinuncia al mondo», la «rinuncia alla sensualità» e «l'uomo superiore»...

Volevo dire: il cristianesimo è stato fin ad oggi la più fatale specie di arroganza. Uomini non abbastanza grandi né abbastanza duri per poter dare, da artisti, forma all’uomo, uomini non abbastanza forti né lungimiranti da far valere, con un sublime superamento di sé, la legge primaria dei mille e mille fallimenti e naufragi; uomini non abbastanza nobili da vedere la profondità delle diverse gerarchie e dell'abisso tra uomo e uomo questi uomini, con la loro «uguaglianza di fronte a Dio», hanno dominato fino ad oggi le sorti dell'Europa, finché si è giunti ad allevare una specie rimpicciolita, quasi ridicola, un animale che vive in branco, arrendevole, malaticcio e mediocre, l'europeo di oggi...

La volontà di potenza. Scritti postumi per un progetto (1887-1888)

55.

Che cosa combattiamo nel cristianesimo? Che voglia abbattere gli animi forti, scoraggiare il loro coraggio, approfittare delle loro ore difficili e dei loro spossamenti, che voglia volgere la loro orgogliosa sicurezza in inquietudine e angoscia, che è capace di rendere velenosi e malati gli istinti aristocratici, fino al punto in cui la loro forza, la loro volontà di potenza si rivolge all'indietro, si rivolge contro se stessa, - fino al punto in cui gli animi forti decadono per gli eccessi del disprezzo di sé e del maltrattamento di sé: quell'orribile specie di rovina di cui Pascal offre l'esempio più famoso.

95.

Voltaire, come si sa, fu importunato anche negli ultimi istanti: «lei crede nella divinità di Cristo»: gli chiese il suo curé; e non soddisfatto che Voltaire gli aveva fatto capire che voleva essere lasciato in pace, rifece la sua domanda. Allora l'ultima sua rabbia colse il moribondo: infuriato respinse l'importuno: «au nom du dieu! - gli gridò in faccia - ne me parlez pas de cet-homme-là!» - ultime parole immortali nelle quali si sintetizza tutto quello contro cui aveva lottato questo spirito coraggiosissimo.

Voltaire riteneva che: «non c'è niente di divino in questo Ebreo di Nazareth»: così giudicava in lui il gusto classico.

Il gusto classico e il gusto cristiano pongono il concetto «divino» in modo fondamentalmente differente; e chi ha in corpo il primo, non può sentire altrimenti il cristianesimo che come foeda «superstitio» e l'ideale cristiano come una caricatura e uno svilimento del divino.

364.

Il tipo «cristiano» accetta di nuovo progressivamente tutto quello che originariamente negava (nella cui negazione consisteva)

il cristiano diventa cittadino, soldato, magistrato, operaio, commerciante, erudito, teologo, prete, filosofo, agricoltore, artista, patriota, politico, «principe»... riammette tutte le azioni che aveva abiurato ( l'autodifesa, il giudicare, il punire, il giurare, il distinguere fra popolo e popolo, il disprezzare, l'adirarsi...)

Alla fine tutta la vita del cristiano è proprio la vita che Cristo predicava di abbandonare...

399.

«Cristianesimo» è diventato sinonimo di «religione»: tutto ciò che si fa al di fuori della grande e buona tradizione cristiana, è infecondo.

Ecce Homo. Come si diventa ciò che si è (1888)

Perché sono un destino

6.

Invece della salute, la «salvezza dell’anima», - cioè a dire una folie circulaire tra gli spasimi della penitenza e l'isteria della redenzione! Il concetto di «peccato», inventato assieme a tutti i relativi strumenti di tortura, al concetto di «libero arbitrio», per confondere gli istinti e fare della diffidenza contro gli istinti una seconda natura! Nel concetto dell'«oblio di sé», del «rinnegamento di sé», che è il vero segno distintivo della décadence, l'essere sedotti da quanto è dannoso, il non-poter-più-trovare il proprio vantaggio, l'autodistruzione, fatti segno dì valore in generale, del «dovere», della «sanità», del «divino» nell'uomo! Infine è la cosa più orribile nel concetto dell'uomo buono si è preso partito per tutto ciò che è debole, malato, malriuscito, sofferente, di tutto ciò che è destinato ad andare in rovina - , la legge della selezione è invertita, si è trovato un ideale nel contrario di un uomo fiero e compiuto, che dice di sì, che è conscio del futuro, che garantisce il futuro, d'ora in avanti questi è chiamato il cattivo... E tutto ciò è stato ritenuto morale! - écrasez l'infame!

L’Anticristo (1888)

V

Non si dovrebbe abbellire né mascherare il cristianesimo: esso ha intrapreso una guerra a morte contro questo tipo superiore di uomo, ne ha scomunicato tutti gli istinti fondamentali e ne ha distillato il male, il cattivo, l'uomo forte come il riprovevole, come «l'abietto». Il cristianesimo ha preso le parti di tutto ciò che è debole, vile, malriuscito; ha fatto un ideale dell'opposizione agli istinti di conservazione della vita forte. Ha persino corrotto la ragione delle nature intellettualmente più vigorose, insegnando agli uomini a considerare i valori supremi della spiritualità come peccaminosi, come ingannevoli, come tentazioni.

L'esempio più deplorevole è la corruzione di Pascal, il quale riteneva la propria ragione giunta alla perversione per colpa del peccato originale, mentre era solo stata corrotta dal suo cristianesimo!

VII

II cristianesimo si chiama religione della pietà. La pietà è in antitesi alle affezioni toniche che accrescono l'energia del sentimento vitale: ha un effetto depressivo. Quando si compatisce si perde forza. La perdita di forza che la vita ha già subito per la sofferenza è ulteriormente aumentata e moltiplicata dalla pietà. La stessa sofferenza grazie alla compassione diventa contagiosa; talvolta può condurre a una perdita collettiva di vita e di energia vitale, che è assurda se rapportata al quantum della causa (il caso della morte del Nazareno). Questo è il primo aspetto; ma ve n'è uno ancora più importante.

Se si considera la compassione in base al valore delle reazioni che di solito scatena, il suo carattere letale appare in una luce assai più chiara. La pietà contrasta nel complesso la legge dell'evoluzione, che poi è la legge della selezione. Preserva ciò che è maturo per la distruzione; difende i diseredati e i condannati della vita; a causa del gran numero di soggetti cagionevoli di ogni specie che mantiene in vita conferisce alla vita stessa un aspetto tetro e incerto. Si è osato definire la pietà una virtù (in ogni morale nobile invece viene considerata una debolezza); si è andati ancora oltre, si è fatto di essa la virtù per eccellenza, il fondamento e l'origine di ogni virtù; e questo, non bisogna dimenticarlo, solo, in verità, dal punto di vista di una filosofia nichilista, che recava scritto negazione della vita sul proprio scudo. Schopenhauer era nel giusto quando affermava: la vita è negata e resa più degna di essere negata dalla pietà; la pietà è la prassi del nichilismo. Lo ripetiamo ancora: questo istinto depressivo e contagioso contrasta quelli che tendono alla conservazione e all'elevazione del valore della vita: sia come moltiplicatore di miseria che come conservatore di tutto ciò che è miserabile, è uno degli strumenti fondamentali dell'incremento della décadence: la pietà induce al nulla!...

Non si parla del «nulla»: al suo posto si dice «l'aldilà», o «Dio», o «la vera vita», o il nirvana, la redenzione, la beatitudine... Questa retorica innocente tratta dal dominio dell'idiosincrasia religioso-morale appare subito molto meno innocente non appena si intuisce quale tendenza in questo contesto si celi sotto i drappeggi di un mantello di parole sublimi: la tendenza ostile alla vita. Schopenhauer era ostile alla vita: perciò la compassione per lui divenne una virtù...

XV

Nel cristianesimo, né la morale né la religione hanno punti in contatto con la realtà.

Nient'altro che cause immaginarie («Dio», «anima», «io», «spirito», «libero arbitrio», ovvero il «non libero arbitrio»): solo effetti immaginari («peccato», «redenzione», «grazia», «castigo», «remissione dei peccati»). Un rapporto tra esseri immaginari («Dio», «spiriti», «anime»); una scienza naturale immaginaria (antropocentrica; una totale mancanza del concetto di cause naturali); una psicologia immaginaria (soltanto autofraintendimenti, interpretazioni di sentimenti generali piacevoli o spiacevoli, per esempio degli stati del nervus sympathicus, con l'ausilio del linguaggio di segni dell'idiosincrasia religioso-morale: «pentimento», «rimorso di coscienza», «tentazione del demonio», «cospetto di Dio»); una teleologia immaginaria (il «regno di Dio», il «giudizio universale», la «vita eterna»). Questo mondo puramente fittizio con suo grande svantaggio si distingue dal mondo dei sogni per il fatto che quest'ultimo rispecchia la realtà, mentre il primo la falsifica, la svaluta e la nega.

Dopo che il concetto di «natura» è stato inventato come antitetico al concetto di «Dio», il termine «naturale» è diventato sinonimo di «deprecabile»; tutto questo mondo fittizio ha le sue radici nell'odio per il naturale (la realtà!) ed è l'espressione di un profondo disagio davanti al reale... Ma ciò spiega tutto. Chi è il solo ad aver motivo di astrarsi dalla realtà con le menzogne? Colui che ne soffre. Ma soffrire a causa della realtà significa essere un fallimento... La preponderanza del sentimento di dispiacere su quello di piacere è la causa di questa morale e di questa religione fittizie: ma una tale preponderanza offre pure la formula della décadence...

XXI

Nel cristianesimo gli istinti di chi è sottomesso e oppresso sono in primo piano: le classi inferiori sono quelle che vi cercano la salvezza. Qui la casistica del peccato, l'autocritica, l'inquisizione della coscienza è praticata come occupazione, come rimedio specifico contro la noia; qui è costantemente tenuto in vita un rapporto affettivo con un potente chiamato «Dio» (con la preghiera) ; il più elevato viene considerato irraggiungibile, un dono, una «grazia». Qui manca anche un luogo che sia pubblico: i luoghi nascosti, le stanze buie sono cristiani. Qui si disprezza il corpo, si ripudia l'igiene come forma di sensualità; la Chiesa si oppone alla pulizia (la prima misura presa dai cristiani dopo la cacciata dei mori fu la chiusura dei bagni pubblici, mentre la sola Cordova ne possedeva 270).

È cristiano un certo senso di crudeltà verso sé stessi e verso gli altri, è cristiano l'astio per coloro che la pensano differentemente, è cristiana la volontà persecutoria. Idee tetre ed eccitanti sono in primo piano; gli stati spirituali più desiderati e designati con i nomi più eccelsi sono quelli epilettoidi; la dieta viene scelta in modo da favorire fenomeni morbosi e sovreccitare i nervi. È cristiana l'ostilità mortale contro i dominatori della Terra, contro i «nobili», e nello stesso tempo una competizione più nascosta e segreta (si lascia loro il corpo, si vuole solo l'«anima»). È cristiano l'odio per lo spirito, l'orgoglio, il coraggio, la libertà, il libertinaggio spirituale; è cristiano l'odio per i sensi, per la gioia dei sensi, l'odio per la gioia in generale...

II cristianesimo, quando lasciò il suo luogo d'origine, le classi più umili, i bassifondi del mondo antico, quando cercò il potere fra popoli barbari, non si trovò davanti uomini stanchi, ma uomini dall'animo selvaggio, che si distruggevano tra di loro, uomini forti eppure malriusciti. L'insoddisfazione di sé, il dolore di sé stessi, non sono, come per i buddhisti, un'eccessiva eccitabilità e la facoltà di soffrire, ma, al contrario, il desiderio predominante di nuocere, di sfogare una tensione interiore attraverso azioni e idee ostili.

Per dominare sui barbari il cristianesimo aveva bisogno di valori e di concetti barbari: il sacrificio del primogenito, il bere sangue alla comunione, il disprezzo per lo spirito e la cultura, la tortura in ogni sua forma, fisica e spirituale, una grande pompa nel culto pubblico.

Il buddhismo è una religione per uomini più maturi, per razze divenute più benevoli e miti, straordinariamente spirituali, sensibili al dolore (l'Europa non è neppure lontanamente matura per esso) : il ricondurre alla pace e alla serenità, a una dieta nelle cose dello spirito, a un certo irrobustimento del corpo. Il cristianesimo invece vuole dominare sulle belve; il suo rimedio è renderle malate, indebolire è la ricetta cristiana per addomesticare, per condurre alla «civiltà». Il buddhismo è una religione per la fine, per la stanchezza della civiltà, il cristianesimo non ne incontra una dinanzi a sé, eventualmente la fonda.

XXIII

Nel fondo del cristianesimo sono riscontrabili alcune sottigliezze che appartengono all'Oriente. Innanzi tutto sa che è assolutamente indifferente che una cosa sia vera in se stessa, ma che è della massima importanza quanto essa sia creduta vera. La verità e la fede che qualcosa sia vero: due mondi di interesse totalmente diversi, quasi antitetici, ai quali si giunge percorrendo due strade completamente differenti. Essere sapienti a tale riguardo è sufficiente in Oriente per rendere un uomo saggio: così la pensano i brahmani, così ritiene Platone, così intendono gli studiosi di scienza esoterica. Se, per esempio, la felicità consiste nel credersi redenti dal peccato, per un uomo non è necessario, come condizione, essere un peccatore, ma sentirsi peccatore. Però, se è indispensabile soprattutto la fede, allora si dovranno screditare la ragione, la conoscenza e la ricerca: la via per la verità diviene una via proibita.

XXVII

In un ambiente completamente falso, ove ogni natura, ogni valore naturale, ogni realtà avevano contro i più radicati istinti delle classi dirigenti, là nacque il cristianesimo, forma finora insuperata di odio a morte contro la realtà. Il «popolo santo», che non aveva conservato per ogni cosa che valori sacerdotali, parole di sacerdote, con una coerenza logica terrificante si era allontanato da tutto ciò che era ancora potente sulla Terra, definendolo «profano», «mondo», «peccato»; questo popolo elaborò per i propri istinti un'ultima formula, coerente fino all'autonegazione: come cristianesimo negò persino l'ultima forma della realtà, il «popolo santo», il «popolo eletto», la stessa realtà ebraica. Il caso è di primissimo ordine, il piccolo movimento di ribellione, che viene battezzato con il nome di Gesù di Nazareth, è ancora una volta l'istinto ebraico, in altre parole l'istinto sacerdotale che non può più tollerare il sacerdote come realtà, l'invenzione di una forma di esistenza anche più astratta, di una visione del mondo anche più irreale di quella che determina l'organizzazione di una Chiesa organizzata. Il cristianesimo nega la Chiesa...

Non vedo contro che cosa fosse diretta questa rivolta, di cui si pensò, o si fraintese, che Gesù fosse il propugnatore, se non contro la Chiesa ebraica, la «Chiesa» presa proprio nel senso in cui l'intendiamo oggi. Fu una rivolta contro i «buoni» e i «giusti», contro i «santi d'Israele», contro la gerarchia sociale, non contro la corruzione di questi ma contro la casta, il privilegio, l'ordine, la formula; fu la sfiducia negli «uomini superiori», un no pronunciato contro tutto ciò che concerneva preti e teologi. Ma la gerarchia che per questo venne messa in dubbio, sebbene solo momentaneamente, fu la palafitta sulla quale solamente il popolo ebraico continuò a esistere in mezzo all'«acqua», l'ultima possibilità faticosamente acquistata di sopravvivere, il residuum della sua esistenza politica autonoma: un attacco contro di essa era un attacco al più profondo istinto di un popolo, contro la più tenace volontà di vivere di un popolo mai esistita sulla Terra.

Questo santo anarchico che innalzò gli umili, i reietti e i «peccatori», Ciandala all'interno del giudaismo fino a contrastare l'ordine dominante, in un linguaggio che, se si deve credere ai Vangeli, porterebbe ancora oggi in Siberia, era un criminale politico, per quanto fossero possibili i criminali politici in una società assurdamente apolitica. Questo lo portò alla croce: prova ne è l'iscrizione apposta su di essa. Morì per sua colpa e manca ogni fondamento per affermare che morì per i peccati degli altri.

XXX

L'odio istintivo per la realtà: conseguenza di una estrema capacità di soffrire, di un'estrema irritabilità che in genere non vuole più essere «toccata» poiché avverte ogni contatto con troppa intensità. L'esclusione istintiva di ogni avversione, di ogni inimicizia, di ogni limite e distanza nel sentimento: conseguenza di una estrema capacità di soffrire, di un'estrema irritabilità che, in ogni resistenza, in ogni necessità di resistenza, provoca come un dispiacere insopportabile (cioè come qualcosa di dannoso, come qualcosa che l'istinto di conservazione disapprova) e che conosce la beatitudine (il piacere) soltanto nel non resistere più a niente, a nessuno, né al male, né al cattivo: l'amore come sola e ultima possibilità di vita...

Queste sono le due realtà fisiologiche sulle quali e a partire dalle quali si è sviluppata la dottrina della redenzione. Io la intendo come una sublime evoluzione dell'edonismo su basi assolutamente patologiche. Il suo parente più prossimo, anche se con una considerevole aggiunta di vitalità greca e di energia nervosa, è l'epicureismo, la dottrina della redenzione del paganesimo. Epicuro è un tipico décadent: io per primo l'ho giudicato tale. La paura del dolore, persino di quello che è infinitamente piccolo, non può sfociare in niente altro che in una religione dell'amore...

XXXIII

Nell'intera psicologia del Vangelo è assente il concetto di colpa e di punizione, e allo stesso modo manca quello di ricompensa. Il «peccato», ogni rapporto di distacco tra Dio e l'uomo, viene abolito, è proprio questa la «buona novella». La beatitudine non viene promessa, non è legata ad alcuna condizione: è la sola realtà, il resto è solo un complesso di segni per parlare di essa...

Le conseguenze di questo stato si riflettono in una nuova pratica, l'autentica pratica evangelica. Non è la «fede» che distingue il cristiano: il cristiano agisce, distinguendosi per un diverso modo di agire. Non ripaga né con le parole né con il cuore colui che gli arreca del male. Non fa distinzione fra straniero e indigeni, tra ebrei e non ebrei (il «prossimo» è propriamente il compagno di fede, l'ebreo). Non si adira con alcuno, non disprezza alcuno. Non si presenta nei tribunali né si avvale di essi («Non prestare giuramento»). In nessuna circostanza, nemmeno in caso di provata infedeltà, divorzia da sua moglie. Tutto questo è in fondo un solo principio, tutto è conseguenza di un solo istinto.

La vita del Redentore non fu altro che questa pratica, anche la sua morte non fu alcunché di diverso...

Non aveva più bisogno di formule, né di riti per il suo rapporto con Dio, neppure della preghiera. Egli ha chiuso con tutte le dottrine ebraiche della penitenza e del perdono; sa che solamente con la pratica di vita ci si può sentire «divini», «benedetti», «evangelici», in ogni momento «figli di Dio». Né la «penitenza», né la «preghiera per il perdono» sono le vie verso Dio: solo la pratica evangelica porta a Dio, è proprio Dio! Ciò che venne abolito con il Vangelo fu il giudaismo dei concetti di «peccato», «remissione dei peccati», «fede», «redenzione per mezzo della fede», l'intero insegnamento ecclesiastico ebraico fu negato nella «buona novella». Il profondo istinto di come si debba vivere per sentirsi «in cielo», per sentirsi «eterni», mentre con qualsiasi altra condotta non ci si sente «in cielo»: solo questa è la realtà psicologica della «redenzione».

Un nuovo modo di vivere, non una nuova fede...

XXXIV

Niente è più acristiano delle grossolanità ecclesiastiche, di un Dio come persona, di un «regno di Dio» che deve venire, di un «regno dei Cieli» nell'aldilà, di un «figlio di Dio», la seconda persona della Trinità. Tutto ciò, mi si perdoni l'espressione, è un pugno nell'occhio, oh in che occhio!...

Quello del Vangelo: un cinismo della storia del mondo nella beffa del simbolo...

Ma è del tutto ovvio (non così ovvio per tutti, lo ammetto) ciò a cui si allude con i simboli di «padre» e «figlio»: con la parola «figlio» si esprime l'introduzione nel sentimento della trasfigurazione generale di tutte le cose (la beatitudine), con la parola «padre» questo stesso sentimento, il sentimento di eternità e di compimento. Mi vergogno di ricordare quello che la Chiesa ha fatto di questo simbolismo: non ha forse posto una sorta d'Anfitrione alla soglia della «fede» cristiana? E un dogma dell'«immacolata concezione» per giunta?... Ma proprio in questo modo ha macchiato la concezione.

Il «regno dei Cieli» è una condizione del cuore, non qualcosa che sia «sopra la Terra» o viene «dopo la morte». Nel Vangelo manca ogni concetto di morte naturale: la morte non è un ponte, né un passaggio, manca perché appartiene a un mondo apparente, del tutto diverso, utile soltanto per i segni. L'«ora della morte» non è un concetto cristiano, l'«ora», il tempo, la vita fisica e le sue crisi, non esistono nemmeno per il maestro della «buona novella»...

Il «regno di Dio» non è qualcosa che si attende; non ha né ieri né domani, non viene «tra mille anni», è un'esperienza di cuore; è ovunque e in nessun luogo...

Questo «messaggero della buona novella» morì come aveva vissuto, e come aveva insegnato, non per «redimere gli uomini», ma per mostrare come si deve vivere. Ciò che lasciò in eredità all'umanità è la pratica: il suo contegno dinanzi ai giudici, alle guardie, agli accusatori e a ogni sorta di calunnia e derisione, il suo contegno sulla croce. Non reagisce, non difende il proprio diritto, non fa un solo passo per respingere da sé il peggio, anzi, lo provoca... Prega, soffre, ama con quelli e in quelli che gli fanno del male. Le parole al ladrone sulla croce contengono l'intero Vangelo: «Costui era davvero un uomo divino, un figlio di Dio!» dice il ladrone. «Se lo credi - risponde il redentore, - tu sei in paradiso, anche tu sei figlio di Dio». Non difendersi, non andare in collera, non attribuire responsabilità... Non resistere neppure al malvagio, ma amarlo…

Soltanto noi, spiriti emancipati, possediamo le basi per comprendere qualcosa che è stato frainteso per diciannove secoli, questa integrità divenuta istinto e passione che fa guerra alla «sacra menzogna» più che a ogni altra... Si era indicibilmente lontani dalla nostra benevola e cauta neutralità, da quella disciplina dello spirito con la quale solamente diventa possibile indovinare cose tanto strane e sottili: in ogni tempo si è voluto con sfacciato egoismo cercare in queste cose soltanto il proprio vantaggio; si è costruita la Chiesa in contraddizione con il Vangelo. Chiunque cercasse la prova di un'ironica divinità all'opera dietro al grande dramma universale troverebbe un non piccolo appiglio nell'enorme punto interrogativo che si chiama cristianesimo. L'umanità si inginocchia davanti all'opposto di ciò che era l'origine, il significato, il diritto del Vangelo; ha santificato nel concetto di «Chiesa» proprio ciò che il «messaggero della buona novella» considerava al di sotto di sé, dietro di sé. Invano si cerca una formula più importante di ironia della storia del mondo.”

XXXVIII

Ciò che un tempo era soltanto malato oggi è diventato indecente, essere cristiani oggi è indecente. Ed è qui che ha inizio il mio disgusto. Mi guardo attorno: non una parola è rimasta di ciò che un tempo si chiamava «verità», non sopportiamo neppure più che un sacerdote pronunci la parola «verità». Sia pure secondo le più modeste esigenze di rettitudine, oggi bisogna sapere che un teologo, un sacerdote o un papa, a ogni frase che pronuncia non è solo in errore, ma mente; che non è più libero di mentire «innocentemente», per «ignoranza». Il sacerdote sa come chiunque altro che non v'è più né «Dio», né «peccatore», né «Redentore»; che il «libero arbitrio» e 1'«ordine morale del mondo» sono menzogne; la serietà e la radicale vittoria spirituale su di sé non permettono più ad alcuno di essere ignorante su questo aspetto...

Tutti i concetti della Chiesa sono riconosciuti per quello che sono: le più perfide falsificazioni che esistano, allo scopo di svalutare la natura e i valori naturali: il sacerdote stesso è riconosciuto per quello che è: la specie più pericolosa di parassita, il vero ragno velenoso della vita...

Sappiamo, la nostra coscienza lo sa, quanto valgano oggi e a che servivano queste sinistre invenzioni dei sacerdoti e della Chiesa, con le quali è stato raggiunto quello stato di autoprofanazione dell'umanità, la cui vista può suscitare disgusto: i concetti di «aldilà», «giudizio finale», «immortalità dell'anima», di «anima» stessa, sono strumenti di tortura, sistemi di crudeltà di cui si servirono i sacerdoti per diventare e rimanere padroni...

Lo sanno tutti: eppure tutto rimane immutato. Dove è dunque andato a finire l'ultimo senso di decoro e di rispetto di sé, quando persino i nostri uomini di stato, un razza di uomini assai spregiudicata, di fatto completamente anticristiani, si definiscono ancora oggi cristiani e prendono parte all'eucaristia?...

Un giovane principe alla testa dei suoi reggimenti, magnifica espressione dell'egoismo e dell'orgoglio del suo popolo, ma che senza alcuna vergogna si professa cristiano!...

Chi nega dunque questo cristianesimo? Che cosa è per esso il «mondo»? L'essere soldato, giudice, patriota; il difendersi; il custodire il proprio onore; il volere il proprio vantaggio; l'essere orgoglioso...

Tutta la prassi di ogni momento, di ogni istinto, di ogni valutazione che diventa azione oggi sono anticristiani: che mostro di falsità deve essere l'uomo moderno, che nonostante tutto non si vergogna di chiamarsi ancora cristiano!

XXXIX

Perciò non sottovalutiamo il cristiano: il cristiano, falso fino all'innocenza, sorpassa di molto la scimmia; per quanto concerne i cristiani, una nota teoria sulla discendenza diviene una pura benevolenza...

XLIII

Se si pone il baricentro della vita non nella vita, ma nell'«aldilà», nel nulla, si è privata la vita del suo centro di gravità. La grande menzogna dell'immortalità personale distrugge ogni razionalità, ogni natura dell'istinto; tutto ciò che negli istinti vi è di benefico, di vitale; tutto ciò che negli istinti promette il futuro, ora suscita diffidenza. Vivere in modo tale da non avere «senso» per vivere: questo ora diventa il «significato» della vita...

LXII

Con ciò arrivo alla conclusione e pronuncio il mio giudizio. Condanno il cristianesimo, sollevo contro la Chiesa cristiana l'accusa più terribile che abbia mai levato un accusatore.

A mio parere essa, la più grande corruzione che si possa immaginare, ha avuto la volontà dell'ultima corruzione possibile. La Chiesa cristiana non ha lasciato nulla di intatto nella sua corruzione, ha reso ogni valore un disvalore, ogni verità una menzogna, ogni integrità una bassezza d'animo. E si osi ancora parlarmi dei suoi benefici «umanitari»! Abolire una condizione di miseria era contrario al suo più profondo vantaggio: ha vissuto sulla miseria, ha creato miserie per fare eterna se stessa...

LEGGE CONTRO IL CRISTIANESIMO

Data nel giorno della salvezza, nel primo giorno dell'anno uno (- il 30 settembre 1888 della falsa cronologia)

Guerra mortale contro il vizio: il vizio è il cristianesimo

Prima proposizione. - Viziosa ogni specie di contronatura. La varietà di uomo più viziosa il prete: lui insegna la contronatura. Contro il prete non si hanno ragioni, si ha il carcere.

Seconda proposizione. - Ogni partecipazione a un servizio divino è un attentato al buon costume. Si deve essere più duri contro i protestanti che contro i cattolici, più duri contro i protestanti liberali che contro i protestanti di stretta osservanza. L'elemento criminale nell'essere cristiani aumenta nella misura in cui ci si avvicina alla scienza. Il criminale dei criminali perciò è il filosofo.

Terza proposizione. - Il luogo maledetto dove il cristianesimo ha covato le sue uova di basilisco sia raso al suolo e atterrisca tutta la posterità, in quanto luogo nefando della terra. Vi si allevino serpenti velenosi.

Quarta proposizione. - La predica della castità è un pubblico incitamento alla contronatura. Ogni disprezzo della vita sessuale, ogni insozzamento della medesima mediante il concetto di «impuro» il vero e proprio peccato contro lo spirito santo della vita.

Quinta proposizione. - Chi mangia allo stesso tavolo con un prete sia messo al bando: con ciò costui si scomunica dalla retta società. Il prete - il nostro Ciandala - sia proscritto, affamato, cacciato in ogni specie di deserto.

Sesta proposizione. - La storia «sacra» sia chiamata con il nome che merita: storia maledetta; le parole «Dio», «salvatore», «redentore», «santo» siano usate come insulti, come marchi d'infamia.

Settima proposizione. - Il resto segue da ciò.

L'Anticristo

Crepuscolo degli idoli; o come si filosofa col martello (1888)

I «miglioratori» dell’umanità

2.

Un primo esempio, e del tutto provvisorio. In ogni tempo si sono voluti «render migliori» gli uomini: soprattutto questo portava il nome di morale. Ma sotto una stessa parola stan nascoste le tendenze più diverse. Sia l'addomesticamento della bestia uomo, che l'allevamento di una determinata specie di uomini sono stati chiamati «miglioramento»: solo questi termini zoologici esprimono delle realtà - realtà, invero, di cui il «miglioratore» tipico, il prete, nulla sa nulla vuole sapere...

Definire l'addomesticamento di un animale il suo «miglioramento», ai nostri orecchi suona quasi come uno scherzo. Chi conosce quel che succede nei serragli, dubita che proprio lì la bestia venga «migliorata». Essa viene indebolita, resa meno nociva, attraverso il sentimento depressivo della paura, attraverso il dolore, le ferite, la fame, essa diviene una bestia malaticcia.

- Non diversamente stanno le cose con l'uomo addomesticato, che il prete ha «reso migliore». Nei primo Medioevo, quando in effetti la Chiesa era innanzitutto un serraglio, si dava ovunque la caccia ai più begli esemplari della «bionda bestia» si «miglioravano» ad esempio i nobili Germani. Ma come appariva poi un tale Germano «migliorato», sedotto al chiostro? Come una caricatura d'uomo, come un aborto: era diventato «peccatore», stava in una gabbia, lo si era rinserrato tra idee semplicemente terribili...

Ora se ne stava lì, malato, meschino, incattivito contro se stesso: pieno di odio verso gli impulsi alla vita, pieno di sospetto per tutto quanto fosse ancora forte e felice. Insomma, un «cristiano»...

Per dirla in termini fisiologici: nella lotta con la bestia, renderla malata può essere l'unico mezzo per indebolirla. La Chiesa lo ha capito: essa ha guastato l'uomo, lo ha indebolito ma ha preteso di averlo «reso migliore»...