Arte


La mia vita. Scritti autobiografici (1856-1869)

1854-1858

La musica rallegra anche l'animo e scaccia i pensieri tristi. Chi non si sente pervaso da una chiara e tranquilla serenità nell'ascoltare le semplici melodie di un Haydn? L'arte musicale con le sue note è spesso più eloquente della poesia con le parole, e tocca le più intime fibre del cuore. Ma tutto quanto Dio ci dona può risultarci giovevole soltanto se lo applichiamo rettamente e con saggezza. Così, il canto eleva il nostro spirito e lo guida verso il Bene e la Verità. Ma se la musica viene usata solo a fini di svago o di esibizione agli occhi degli uomini, allora è peccaminosa e nociva. Eppure queste caratteristiche sono così frequenti, anzi quasi tutta la musica moderna ne mostra le tracce. Altro fenomeno ben triste è che molti compositori moderni si sforzano di scrivere oscuramente. Ma proprio quelle frasi artificiose, che forse mandano in visibilio il conoscitore, lasciano freddo un orecchio sano. Soprattutto questa cosiddetta «musica del futuro» di un Liszt o di un Berlioz si studia di proporre i brani più stravaganti possibili.

La musica offre anche un piacevole passatempo, e preserva dalla noia chiunque la coltivi. Tutti gli uomini che la disprezzano sono da considerare creature prive di spirito, simili ad animali. Possa questo splendido dono di Dio accompagnarci sempre lungo il cammino della vita; io mi considero fortunato per averla presa ad amare. Cantiamo eterne lodi al Signore, che ci offre questo bel godimento! - -

La nascita della tragedia (1872)

Basilea, fine dell'anno 1871

1.

Ora, come il filosofo sta in rapporto con la realtà dell'esistenza, così l'uomo artisticamente eccitabile con quella del sogno; egli sta a guardare attentamente e volentieri: poiché da queste immagini egli si spiega la vita e con questi eventi si esercita per la vita.

5.

Lo scultore e insieme l'epico a lui affine sono sprofondati nella pura contemplazione delle immagini. Il musico dionisiaco è totalmente e unicamente, senza alcuna immagine, lo stesso dolore originario e l'eco originaria di esso. Il genio lirico sente scaturire dallo stato mistico di alienazione di sé e di unità un mondo di simboli e d'immagini, che ha una colorazione, una causalità e una velocità completamente diverse rispetto al mondo dello scultore e dell'epico. Mentre quest'ultimo vive in queste immagini e solo in esse si sente piacevolmente a proprio agio e non si stanca di contemplarle amorevolmente fin nei minimi particolari; mentre perfino l'immagine dell'irato Achille è per lui solo una immagine, la cui espressione irata egli gode con quella gioia del sogno per l'apparenza - così che da questo specchio dell'apparenza è difeso contro l'immedesimarsi e il confondersi nelle sue figure -, le immagini del lirico invece non sono nient'altro che lui stesso e per così dire soltanto diverse oggettivazioni di lui, ed è per questo motivo che egli, in quanto centro motore di quel mondo, può dire "io": solo che questa egoità non è la stessa di quella dell'uomo desto, empirico-reale, bensì l'unica egoità veramente sussistente ed eterna, riposante sul fondo delle cose, e attraverso le cui immagini il genio lirico penetra con lo sguardo appunto fino a quel fondo delle cose.

Noi affermiamo invece che tutto il contrasto secondo cui, come in base a un criterio di valore, lo stesso Schopenhauer suddivide ancora le arti, quello tra il soggettivo e l'oggettivo, non è proprio dell'estetica, poiché il soggetto, l'individuo che vuole e persegue i suoi fini egoistici, può essere pensato solo come avversario e non come origine dell'arte. In quanto però il soggetto è artista, esso è già liberato dalla sua volontà individuale, diventando per così dire un medium, attraverso cui l'unico soggetto che veramente è celebra la sua liberazione nell'apparenza. Poiché soprattutto questo deve esserci chiaro, a nostra umiliazione ed esaltazione, che tutta la commedia dell'arte non viene affatto rappresentata per noi, per una nostra edificazione ed educazione, anzi che noi non siamo minimamente i veri creatori di quel mondo dell'arte: al contrario, possiamo supporre di essere per il suo vero creatore immagini e proiezioni artistiche e di acquisire la nostra massima dignità significato di opere d'arte. poiché solo come fenomeni estetici l'esistenza e il mondo sono eternamente giustificati. - comunque la nostra coscienza di quel nostro significato è appena diversa da quella che i guerrieri dipinti sulla tela hanno della battaglia su di essa raffigurata. Quindi tutto il nostro sapere sull'arte è in fondo completamente illusorio, perché come esperti non siamo un'unica e identica cosa con l'essere che, come unico creatore e spettatore di quella commedia dell'arte si procura un eterno godimento. Dunque solo nell'atto della creazione artistica il genio si fonde con quell'artista originario del mondo, cogliendo qualcosa dell'essenza eterna dell'arte; poiché in quella situazione egli è meravigliosamente simile alla perturbante immagine della fiaba, che può girare gli occhi a guardare se stessa; allora egli è contemporaneamente soggetto e oggetto, contemporaneamente poeta, attore e spettatore...

6.

Ma il canto popolare vale per noi soprattutto come specchio musicale del mondo, come primordiale melodia, che poi cerca per sé una parallela apparenza di sogno e la esprime nella poesia. La melodia è dunque l'elemento primario e universale, che perciò può sopportare in sé anche più oggettivazioni, in molteplici testi. Essa è anche l'elemento di gran lunga più importante e necessario nella ingenua valutazione del popolo. La melodia genera da sé la poesia, cioè la genera sempre di nuovo; nient'altro vuoi dirci la forma strofica del canto popolare: fenomeno che osservai sempre con stupore, finché finalmente ho trovato questa spiegazione.

8.

La metafora non è per il vero poeta una figura retorica, bensì un'immagine sostitutiva che gli si presenta concretamente al posto di un concetto. Il carattere non è per lui qualcosa di simile a un tutto composto da singoli tratti cercati qua e là e riuniti, bensì una persona insistentemente viva davanti ai suoi occhi, che si differenzia dalla stessa visione del pittore solo per il suo continuo vivere ed operare. Perché Omero descrive con maggior rilievo di tutti gli altri poeti? Perché guarda e intuisce molto di più. Noi parliamo così astrattamente della poesia perché siamo tutti soliti essere dei cattivi poeti. In fondo il fenomeno estetico è semplice; si abbia solo la capacità di vedere ininterrottamente un vivo gioco e di vivere attorniati da schiere di spiriti, allora si è poeti; si senta solo l'impulso a trasformare se stessi e di parlare trasfusi in altri corpi e anime, e si è allora drammaturghi.

David Strauss. L’uomo di fede e lo scrittore (Considerazioni inattuali I, 1873)

9.

Di solito già dal primo abbozzo scritto si può capire se l'autore ha concepito una visione d'insieme e se ha trovato l'andamento generale e le giuste misure in conformità con questa visione. Una volta assolto questo importantissimo compito, e innalzato l'edificio stesso in felici proporzioni, resta però sempre parecchio da fare: quanti piccoli difetti da correggere, quante lacune da colmare, qua e là ci si è dovuti contentare di un tramezzo provvisorio o di un controsoffitto, ci sono polvere e calcinacci dappertutto, e dovunque tu guardi, vedi i segni del travaglio e del lavoro; nell'insieme la casa è ancora inabitabile e sgradevole; le pareti sono nude, e dalle finestre aperte sibila il vento.

Richard Wagner a Bayreuth (Considerazioni inattuali IV, 1876)

3.

E’ pericoloso e disperato il percorso di vita di ogni vero artista che sia stato destinato a nascere nei tempi moderni. Egli può giungere in molti modi alla gloria e al potere, tranquillità e soddisfazione gli si offrono in molti modi, però sempre nella forma in cui le conosce l'uomo moderno, e nella quale esse inevitabilmente diventeranno esalazioni soffocanti per l'artista onesto. Nella tentazione a ciò, e così pure nel rifiuto di questa tentazione stanno i suoi pericoli, nella ripugnanza per i mezzi moderni di ottenere piacere e considerazione, nella rabbia per ogni egoistico benessere così come lo intende l'uomo moderno. Si provi a immaginarlo in un impiego come Wagner, che dovette ricoprire la carica di direttore d'orchestra nei teatri di città e di corte; si comprenda come l'artista più serio voglia ottenere con la forza la serietà là dove le istituzioni moderne sono sistematicamente costruite con leggerezza ed esigono leggerezza; come questo gli riesca in parte e sempre fallisca nell'insieme; come la nausea gli si avvicini ed egli voglia fuggire, e non trovi nessun luogo dove fuggire, e ogni volta egli debba tornare tra gli zingari e i proscritti della nostra cultura, come uno dei loro. Strappandosi da una situazione, raramente riesce a raggiungerne una migliore, e talvolta cade nella più profonda indigenza.

4.

Già per comprendere quanto la posizione delle nostre arti rispetto alla vita sia un simbolo della degenerazione di questa vita, quanto i nostri teatri siano un'ignominia per chi li costruisce e per chi li frequenta, bisogna disimparare tutto e riuscire finalmente a vedere il solito e il banale come qualcosa di assai insolito e complesso. Strano offuscamento del giudizio, mal dissimulata smania di diletto, di divertimento ad ogni costo, saccenti considerazioni, boria e istrionismo con la seriosità dell'arte da parte degli esecutori, brutale avidità di guadagno da parte degli impresari, vacuità e leggerezza di una società che pensa al popolo solo in quanto esso possa tornarle utile o pericoloso, e frequenta teatri e concerti senza che al riguardo le vengano mai ricordati dei doveri l'insieme di tutto questo forma l'atmosfera torpida e rovinosa della nostra odierna situazione artistica: ma se ci si è avvezzi, come lo sono le nostre persone di cultura, ci si illude di aver bisogno di quest'atmosfera per la propria salute, e ci si sente male se, per una qualche costrizione, è necessario farne temporaneamente a meno. In realtà sì ha un solo mezzo per convincersi rapidamente di quanto siano volgari, o meglio di quanto stranamente e ridicolmente volgari siano le nostre istituzioni teatrali: basta metterle a raffronto con la realtà del teatro greco antico!

L'individuo ritrova dappertutto la sua personale insufficienza, la sua semiimpotenza e impotenza: con quale coraggio dovrebbe combattere, se non fosse stato prima consacrato a qualcosa di sovrapersonale? I suoi più grandi dolori, la mancanza di un sapere comune a tutti gli uomini, l'incertezza delle conoscenze ultime e la disuguaglianza delle capacità, tutto ciò lo rende bisognoso d'arte.

L'arte non è certo maestra ed educatrice per l'agire immediato; l'artista non è mai un educatore e un consigliere in tal senso; gli oggetti ai quali aspirano gli eroi tragici, non sono mai cose senz'altro desiderabili di per sé. Sinché ci sentiamo presi dall'incantesimo dell'arte, la valutazione delle cose è diversa, come nel sogno: ciò che allora consideriamo tanto desiderabile, da consentire con l'eroe tragico quando preferisce morire piuttosto che rinunciarvi raramente ha uguale valore per la vita reale e merita pari energia: appunto per questo l'arte è l'attività di colui che si prende un riposo. Le lotte che essa presenta sono semplificazioni delle reali lotte della vita; i suoi problemi sono abbreviazioni del conto infinitamente complicato dell'agire e del volere umano. Ma proprio in questo sta la grandezza e l'indispensabilità dell'arte, nel suscitare l'apparenza di un mondo più semplice, di una più rapida soluzione dell'enigma della vita.

Nessuno che soffra della vita può fare a meno di questa apparenza, come nessuno può fare a meno del sonno. Quanto più ardua diventa la conoscenza delle leggi della vita, tanto più ardentemente desideriamo l'apparenza di quella semplificazione, fosse solo per pochi istanti, e tanto più grande diventa la tensione tra la conoscenza generale delle cose e la facoltà spiritualemorale dell'individuo. Perché l'arco non si spezzi: per questo esiste l'arte.

5.

In questo mondo delle forme e del voluto misconoscimento appaiono ora le anime colmate dalla musica, a quale scopo? Si muovono secondo l'andamento del grande, libero ritmo, con nobile decoro, con una passione che è sovrapersonale, ardendo del fuoco della musica, pacato nella sua possanza, che in loro sgorga alla luce da inesauribili profondità, tutto questo a quale scopo?

Attraverso queste anime la musica aspira alla sua simmetrica sorella, la ginnastica, come alla sua necessaria configurazione nel regno del visibile: nel cercarla e nel desiderarla essa diventa giudice di tutto il fallace mondo odierno dell'esibizione e dell'apparenza.

6.

E qui improvvisamente diventa chiaro anche il compito dell'arte moderna: ottusità o ebbrezza! Addormentare o stordire! Portare la coscienza all'ignoranza, nell'un modo o nell'altro! Aiutare l'anima moderna a superare il senso di colpa, non aiutarla a ritrovare l'innocenza! E questo almeno per qualche attimo! Difendere l'uomo da se stesso, portandolo entro se stesso al dover tacere, al non poter udire!

9.

Se l'arte non è che la capacità di comunicare ad altri ciò che si è sperimentato, ogni opera d'arte che non riesce a farsi capire contraddice se stessa.

E' assolutamente fuori luogo considerare il buono dell'arte scisso da ogni altro fenomeno buono e cattivo. Lo spirito moderno, ovunque nasconde in sé dei pericoli, avverte con l'occhio della diffidenza anche il pericolo dell'arte. Spacca e seziona l'edificio della nostra civilizzazione e non si lascia sfuggire niente di marcio, niente di raffazzonato: se scopre muri che hanno resistito alle intemperie e fondamenta stabili e solide studia subito il modo per farne sostegni e tetti protettivi per la propria arte. Vive come un fuggiasco che cerca di salvare non se stesso ma un segreto; come una sventurata donna che vuoi salvare la vita del bambino che porta in grembo, non la propria: vive, come Siglinda, «per amore».

Infatti essere precari e spaesati in un mondo al quale si deve parlare e chiedere, che si deve disprezzare ma del quale non si può fare a meno significa vivere fra mille tormenti e vergogne, questo è il vero tormento dell'artista del futuro che non può, come il filosofo, andare a caccia della conoscenza in un angolo buio: perché a garanzia del suo futuro, per gettare un ponte fra l'oggi e il domani, ha bisogno quali mediatrici di anime umane e di istituzioni pubbliche. La sua arte non può venir caricata sulla barca delle cose scritte, come quella del filosofo: per essere tramandata l'arte ha bisogno di persone che la capiscono, non di note e segni grafici.

Abbiamo dovuto imparare, e indovinarlo era impossibile, che può esistere un'arte tanto calda e solare da essere in grado sia di illuminare coi suoi raggi i piccoli e i poveri di spirito sia di dissolvere la boria dei sapienti. Ma nello spirito di chi ne fa la conoscenza essa non può non sconvolgere i concetti di educazione e cultura; costui avrà l'impressione che gli abbiano sollevato la tenda che celava un futuro nel quale non esisteranno sommi beni e somma felicità non comuni ai cuori di tutti. Allora il disprezzo oggi riservato alla parola «comune» finalmente cadrà.

Se il presentimento osa spingersi così lontano, la consapevole constatazione coglierà la sinistra insicurezza sociale dei nostro presente e non si nasconderà i pericoli di un'arte che sembra non avere radici se non in quel lontano futuro, e che ci pone sotto gli occhi i suoi rami fioriti invece della base, del tronco da cui nasce. Come salvare quest'arte senza patria fino a quel futuro, come arginare la piena della rivoluzione, che appare ovunque inevitabile, affinché il molto che è destinato al tramonto, e che merita di tramontare, non venga privato anche di quanto anticipa e garantisce un futuro migliore, un'umanità più libera?

Umano, troppo umano. Un libro per spiriti liberi (1878)

Volume I

146.

Il senso di verità dell’artista. - In rapporto alla conoscenza della verità, l’artista ha una moralità più debole del pensatore; non vuole assolutamente che lo si privi delle profonde e brillanti interpretazioni della vita, e si ribella ai metodi e al risultati semplici e freddi. Apparentemente egli lotta per una maggiore dignità e un più alto significato dell’uomo; in effetti, non vuol rinunciare ai presupposti più efficaci della sua arte, ossia al mitico, al fantastico, all’incerto, all’estremo, al senso del simbolico, alla sopravvalutazione della persona, alla credenza nella miracolosità del genio: ritiene dunque il permanere del suo modo di creare più importante della dedizione scientifica al vero in ogni forma, per quanto semplice questa possa apparire.

148.

I poeti come alleviatori della vita. - I poeti, in quanto anch’essi vogliono alleviare la vita degli uomini, o distolgono lo sguardo dal tormentato presente oppure, con una luce che fanno promanare dal passato, danno a questo nuovi colori. Per poter far ciò, debbono essi stessi essere, per qualche verso, rivolti all’indietro: sicché li si può utilizzare come ponti gettati verso epoche e idee lontanissime, verso religioni o culture estinte o in via di estinzione. Essi sono, propriamente, sempre e necessariamente epigoni. In verità, sui loro sistemi per alleviare la vita c’è da dire qualcosa di sfavorevole: acquietano e sanano solo temporaneamente, solo per il momento, e addirittura trattengono gli uomini dal lavorare a un reale miglioramento delle loro condizioni, eliminando e scaricando con palliativi proprio la passione degli insoddisfatti, i quali sollecitano all’azione.

152.

Arte dell’anima brutta. - Si pongono all’arte barriere troppo anguste, se si pretende che in essa possa esprimersi solo l’anima ordinata, che si muove nell’equilibrio morale. Come nelle arti figurative, così anche nella musica e nella poesia esiste, accanto all’arte dell’anima bella, anche un’arte dell’anima brutta; e forse proprio ad essa sono meglio riusciti i più potenti effetti dell’arte: spezzare le anime, muovere le pietre e rendere umani gli animali.

153.

L’arte rende pesante il cuore del pensatore. - Quanto forte sia il bisogno metafisico, e quanto alla fine anche per la natura si renda difficile separarsi da esso, lo si può rilevare dal fatto che anche nello spirito libero, che si sia sbarazzato di ogni metafisica, i più alti effetti dell’arte producono facilmente una risonanza della corda metafisica, da gran tempo ammutolita e anzi spezzata, come ad esempio quando, a un determinato passaggio della nona sinfonia di Beethoven, egli si sente sospeso sopra la terra, in una cattedrale di stelle, con in cuore il sogno dell’immortalità: sembra che intorno gli brillino tutti gli astri, e che la terra sprofondi sempre più in basso. - Se diviene cosciente di questo stato, egli prova una profonda fitta al cuore, e sospira l’uomo che gli riponi l’amata perduta, si chiami essa religione o metafisica. In tali istanti vien messo alla prova il suo carattere intellettuale.

162.

Culto del genio per vanità. - Poiché pensiamo bene di noi, ma non per questo ci aspettiamo di poter mai fare l’abbozzo di un quadro di Raffaello o una scena come quella di un dramma shakespeariano, ci convinciamo che una simile capacità sia grandemente meravigliosa, un caso quanto mai raro - oppure, se siamo ancora religiosi, che sia una grazia dall’alto. Così la nostra vanità, il nostro amor proprio incrementano il culto del genio: infatti solo quando è pensato lontanissimo da noi, come un miraculum, esso non ci offende (persino Goethe, privo com’era di invidia, chiamava Shakespeare la sua stella della più remota altezza; e a questo proposito si può ricordare il verso: «non si bramano le stelle»). Ma, a parte queste suggestioni della vanità, l’attività del genio non appare fondamentalmente diversa da quella dell’inventore di meccanismi, dell’astronomo o dello storico, del maestro di tattica. Tutte queste attività si spiegano se ci si rappresentano uomini il cui pensiero è attivo in una direzione, che tutto utilizzano come materiale, che guardano con zelo assiduo alla vita interiore propria e altrui, che dappertutto scorgono esempi e incitamenti, e non si stancano di combinare i loro mezzi.

Anche il genio altro non fa che imparare dapprima a porre le pietre, poi a costruire, a cercar sempre materiale e a plasmarlo continuamente. Ogni attività dell’uomo, e non solo del genio, è complicata in modo sorprendente:, ma nessuna è un «miracolo».”

164.

Rischio e guadagno nel culto del genio. - La credenza in spiriti grandi, superiori, fecondi è legata, non necessariamente ma molto spesso, a quella superstizione, in tutto o in parte religiosa, secondo cui quegli spiriti avrebbero origine sovrumana e possiederebbero doti miracolose, grazie alle quali acquisirebbero le loro conoscenze per vie affatto diverse da quelle degli altri uomini. Si attribuisce loro una visione diretta nell’essenza del mondo, come attraverso un buco nel manto dell’apparenza e si crede che, senza la fatica e il rigore della scienza, grazie a questa prodigiosa veggenza essi possano comunicare qualcosa di decisivo e di definitivo sull’uomo e sul mondo…

Per gli spiriti grandi è probabilmente più utile prender chiara coscienza della propria forza e dell’origine di essa, capire cioè quali doti prettamente umane siano confluite in loro, e quali circostanze favorevoli vi abbiano contribuito: dunque, innanzitutto, una persistente energia, la risoluta dedizione a scopi particolari, un grande coraggio personale; e poi la fortuna di un’educazione che ha offerto per tempo i maestri, i modelli e i metodi migliori.”

Volume II

99.

Il poeta come battistrada del futuro. - Tutta l'eccedente forza poetica che ancora esiste tra gli uomini d'oggi e non viene consumata per plasmare la vita dovrebbe, senza che nulla ne venga distolto, consacrarsi a un solo scopo, non quindi a ritrarre il presente e non a far rivivere e mettere in versi il passato, bensì ad indicare la strada del futuro: - e questo non nel senso che il poeta, simile a un fantastico economista nazionale, dovrebbe anticipare l'immagine di migliori condizioni popolari e sociali e le loro possibilità di realizzazione. Piuttosto, come in antico gli artisti sviluppavano poeticamente le immagini degli dèi, egli dovrebbe sviluppare poeticamente la bella immagine dell'uomo e intuire i casi in cui, in mezzo al nostro mondo e alla nostra realtà moderna, senza artificiosamente rifiutarli e fuggirli, sia ancora possibile l'anima grande e bella, là dove essa può ancora incarnarsi in situazioni di proporzionata armonia e da queste riceve visibilità, durata ed esemplarità e dove dunque, stimolando emulazione e invidia, essa aiuta a creare l'avvenire.

111.

Ai poeti delle grandi città. - Nei giardini della poesia d'oggi si nota che le cloache della grande città son troppo vicine: al profumo dei fiori si mescola qualcosa che tradisce nausea e putrefazione. - Con dolore io chiedo: avete tanto bisogno, voi poeti, di invitar sempre come padrini lo scherzo e la sporcizia, se dovete tenere a battesimo qualche sentimento bello e innocente? Dovete proprio imporre alla vostra nobile dea un berretto da pagliaccio e da diavolo: Ma da dove viene questa necessità, questo dovere: - Appunto dal fatto che abitate troppo vicini alla cloaca.

151.

Occhio di vetro. - La tendenza del talento per soggetti, persone e motivi morali, per l'anima bella dell'opera d'arte, è talvolta solo l'occhio di vetro che si applica un artista che manca di anima bella: con la conseguenza, assai rara, che quest'occhio diventa alla fine natura viva, seppure una natura dallo sguardo un po' atrofizzato - ma con la conseguenza frequente che tutto il mondo crede di vedere natura dove c'è freddo vetro.

169.

Bisogno artistico di second'ordine. - Il popolo possiede sì qualcosa di ciò che possiamo chiamare bisogno artistico, ma esso è scarso e facile da soddisfare. In fondo per questo bastano i rifiuti dell'arte: bisogna ammetterlo sinceramente. Si pensi, per esempio, quali melodie e canzoni procurino oggi vera gioia agli strati più robusti, incorrotti e genuini della nostra popolazione, si viva tra pastori, montanari, contadini, cacciatori, soldati, marinai e si dia una risposta. E nella piccola città, proprio nelle case che sono la sede dell'antica virtù borghese, non viene forse amata, anzi vezzeggiata, la musica peggiore che oggi si produca?

Chi, riferendosi al popolo, come esso è, parla di bisogni profondi, di insoddisfatto desiderio d'arte, o vaneggia o mente. Siate sinceri! - Solo in uomini d'eccezione esiste oggi un bisogno artistico in grande stile - poiché in generale l'arte è in una nuova fase di regresso, e le forze e le speranze umane si sono temporaneamente rivolte ad altre cose. - Inoltre, al di fuori del popolo, esiste ancora un bisogno artistico più vasto ed esteso, ma di second'ordine, negli strati superiori e più elevati della società: qui è possibile qualcosa come una comunità artistica, di intenti sinceri. Ma consideriamone gli elementi!

Sono in genere gli insoddisfatti un po' raffinati, che di per sé non giungono a una vera gioia: l'uomo colto che non è diventato tanto libero da fare a meno dei conforti religiosi e tuttavia trova che i loro oli non profumano abbastanza; il nobile a metà, troppo debole per infrangere con un'eroica conversione o una rinuncia l'errore fondamentale della sua vita o la perniciosa tendenza del suo carattere; l'uomo ricco di doti, che pensa troppo bene di sé per rendersi utile con una modesta attività ed è troppo pigro per un lavoro grande e pieno di sacrificio; la ragazza che non sa crearsi una sufficiente cerchia di doveri; la donna che si è legata con una matrimonio leggero o sacrilego e si sa non abbastanza legata; il dotto, il medico, il commerciante, il funzionario che si sono ritirati troppo presto nel particolare e non hanno mai concesso libero sfogo alla loro natura, ma che in compenso svolgono il loro sia pur diligente lavoro con un tarlo nel cuore; e poi tutti gli artisti non del tutto compiuti - sono essi, oggi, quelli che hanno ancora veramente bisogno dell'arte!

E che cosa propriamente desiderano dall'arte? Essa deve allontanare da loro, per qualche ora o qualche istante, il disagio, la noia, la coscienza mediocre e, possibilmente, dare al difetto della loro vita e del loro carattere il significato più alto di difetto del destino universale ben diversamente dai greci, che nella loro arte sentivano il traboccare e lo straripare del loro benessere e della loro salute e amavano vedere ancora una volta fuori di sé la loro perfezione: - li portava all'arte il godimento di sé, mentre questi nostri contemporanei vi sono portati - dal fastidio di sé.

132.

Ai grandi dell'arte. - Quell'entusiasmo per una causa che tu, grande, porti nel mondo, rende storpio l'intelletto di molti. Sapere ciò umilia. Ma l'entusiasta porta la sua gobba con piacere e orgoglio: in tal senso hai la consolazione di aver fatto aumentare la felicità nel mondo.

142.

Libri freddi. - Il buon pensatore conta su lettori capaci di sentire anch'essi la felicità insita nel pensar bene: sicché un libro che sembra freddo e sobrio, agli occhi giusti può apparire circonfuso dal sole della serenità spirituale e come una vera consolazione dell'anima.

148.

Come un'epoca viene adescata all'arte. - Si insegni agli uomini, avvalendosi di tutte le malie degli artisti e dei pensatori, a sentir venerazione per i loro difetti, per la loro povertà spirituale, per i loro insensati accecamenti e passioni - e ciò è possibile -; del delitto e della follia si mostri solo il lato sublime, e della debolezza degli abulici e dei ciecamente devoti solo ciò che in tale stato commuove e parla al cuore - e anche questo è accaduto abbastanza spesso -: si è così usato il mezzo di ispirare anche a un'epoca affatto aliena da arte e filosofia un amore entusiastico per filosofia e arte (soprattutto per gli artisti e i pensatori come persone) e, in cattive circostanze, forse l'unico mezzo per preservare l'esistenza di prodotti così delicati e minacciati.

Aurora (1881)

53.

Abuso dei coscienziosi. I coscienziosi e non gli incoscienti erano coloro che dovevano così terribilmente soffrire sotto l'oppressione delle prediche penitenziali e delle paure per l'inferno, soprattutto se contemporaneamente erano degli uomini di fantasia. La vita dunque è stata maggiormente offuscata per coloro che abbisognavano di serenità e di immagini gradevoli - non solo per ritemprare e risanare se stessi, ma perché così l'umanità potesse rallegrarsi di loro e potesse accogliere in sé un raggio della loro bellezza. Oh, quanta superflua crudeltà e bestiale tormento è derivato da quelle religioni che hanno inventato il peccato! E da quegli uomini che attraverso di esse vollero provare il massimo godimento della loro potenza!

La gaia scienza (1882)

Prefazione

4. No, se noi guariti abbiamo bisogno di un’arte, si tratta di un’arte diversa ― un’arte beffarda, fugace, divinamente indisturbata, che divampi come una fiamma chiara in un cielo senza nubi! Soprattutto: un’arte per gli artisti, soltanto per gli artisti! Dopo ci capiremo meglio su quanto è estremamente necessario, l’allegria, ogni allegria, amici miei, anche come artista: vorrei dimostrarvelo. Adesso sappiamo alcune cose troppo bene, noi sapienti: oh come impariamo anche a dimenticare, a non sapere, in quanto artisti!

78. Per che cosa dobbiamo essere grati.

Soltanto gli artisti, e in particolare quelli del teatro, hanno conferito agli esseri umani occhi e orecchie per udire e vedere con un certo piacere quello che ciascuno è, vive, vuole; soltanto essi ci hanno insegnato ad apprezzare l'eroe che è nascosto in ciascuno di questi uomini quotidiani e l'arte di considerarsi eroi, da lontano, per così dire semplificati e trasfigurati - l'arte di «mettersi in scena» davanti a se stessi. Soltanto così possiamo trascurare alcuni dettagli sgradevoli che sono in noi! Senza quell'arte diventiamo un niente in primo piano e viviamo completamente schiavi di quell'ottica che ci fa sembrare quel che è più vicino e comune come immensamente grande, come la realtà in sé.

Forse esiste un merito simile in quella religione che imponeva di vedere la peccaminosità di ogni singolo con la lente di ingrandimento e faceva di ogni peccatore un criminale grande e immortale: descrivendo intorno a lui prospettive eterne, insegnava all'uomo a vedersi da lontano e come qualcosa di passato, come un tutto.

79. Fascino dell'imperfezione.

Vedo qui un poeta che, come alcuni uomini, esercita più fascino con la sua incompiutezza che con tutto quello che prende forma sotto la sua mano: sì, i suoi vantaggi e la sua fama gli derivano molto di più dalla sua incapacità che dalla sua forza. La sua opera non esprime mai completamente quello che egli vorrebbe esprimere e avervi visto: sembra che si sia pregustato una visione, senza averla mai davvero contemplata - ma nella sua anima è rimasta un'immane cupidigia di quella visione, da cui nasce l'immane eloquenza del suo desiderio e della sua fame. Così egli solleva colui che lo ascolta al di sopra della sua opera e di tutte le «opere», e gli dà ali per volare, per salire così in alto dove altrimenti gli ascoltatori non salgono: e così, divenuti essi stessi poeti e visionari, tributano all'artefice della loro felicità una grande ammirazione, come se li avesse condotti direttamente alla contemplazione del suo ultimo sancta sanctorum, come se avesse raggiunto il suo scopo e avesse davvero contemplato e comunicato la sua visione. E un bene, per la sua fama, che egli non abbia raggiunto il suo scopo.

85. Il bello e il buono.

Gli artisti non fanno altro che magnificare quelle condizioni e quelle cose che hanno la fama di rendere l'uomo buono, o grande, o ebbro, o allegro, o benevolo o saggio. Oggetto dell'interesse degli artisti sono proprio quelle cose e condizioni elette il cui valore per la felicità umana si considera attestato con certezza: se ne stanno sempre appostati nella speranza di scoprirle e trascinarle nel campo dell'arte. Voglio dire: non sono essi stessi i legislatori della felicità e del felice, ma si spingono sempre nei pressi di questi legislatori, con grande curiosità e brama di sfruttare immediatamente le loro valutazioni. Così, giacché oltre all'impazienza hanno anche polmoni da araldo e piedi da corridore, saranno sempre tra i primi a magnificare il nuovo bene, e spesso sembrerà anche che siano stati loro i primi a definirlo e valutano buono. Ma questo è un errore, come abbiamo detto: sono solo più veloci e più chiassosi dei veri legislatori. Ma chi sono questi? Sono i ricchi e i potenti.

87. Della vanità degli artisti.

Io credo che spesso gli artisti ignorino le loro migliori possibilità perché sono troppo vani e hanno orientato la loro sensibilità verso qualcosa di più superbo che apparire simili a quelle pianticelle che riescono a crescere sul loro terreno in uno stato di vera perfezione, nuove, strane e belle. Quel che c'è davvero di buono nel loro giardino e nella loro vigna, essi in genere lo guardano dall'alto in basso, e il loro amore e il loro discernimento non sono dello stesso livello. C'è un musicista che più di ogni altro musicista è maestro nel trovare le note nel regno delle anime sofferenti, oppresse e martirizzate; nel dare voce anche agli animali muti. Nessuno gli è pari nei colori del tardo autunno, nella felicità indescrivibilmente commovente di un piacere ultimo, brevissimo e irripetibile; egli conosce il vibrare di quelle mezzanotti dell'anima, misteriose e inquietanti, in cui causa ed effetto sembrano usciti dai binari e in ogni istante può nascere qualcosa «dal nulla»; attinge in modo felicissimo dal fondale più basso della gioia umana e, per così dire, dal suo calice già vuotato, dove le gocce più amare e ripugnanti si sono confuse con quelle più dolci; conosce quello stanco trascinarsi dell'anima che non sa più né saltare, né volare, e neppure camminare; ha lo sguardo ritroso del dolore celato, della comprensione senza conforto, dell'addio senza ammissione; sì, in quanto Orfeo di ogni miseria nascosta è più grande di chiunque, e sicuramente per mezzo suo all'arte è stato aggiunto qualcosa che sinora era inesprimibile e dell'arte pareva persino indegno, perché le parole l'avrebbero soltanto contaminato e non comunicato, alcuni accenti piccolissimi e microscopici dell'anima: sì, è il maestro del piccolissimo. Ma non vuole esserlo! Il suo carattere preferisce le grandi pareti e le audaci pitture murali! Gli sfugge il fatto che il suo spirito ha un gusto e una tendenza diversi, e preferisce starsene nei cantucci di case decrepite: è là, nascosto, nascosto a se stesso, che dipinge i suoi veri capolavori, tutti molto brevi, lunghi spesso soltanto una battuta; allora diviene bravissimo, grande e perfetto, forse soltanto allora. Ma egli non lo sa! E troppo vanitoso per saperlo.

369. La nostra convivenza.

Non dobbiamo ammettere, noi artisti, che in noi esiste una misteriosa differenza per cui il nostro gusto e d'altra parte la nostra energia creativa sono stranamente a sé stanti, rimangono a sé stanti e conoscono una crescita propria, - con gradi e tempi completamente diversi quanto a vecchiaia, a giovinezza, maturità, docilità, pigrizia? Così un musicista, ad esempio, potrebbe creare per tutta la vita cose che contraddicono quanto il suo viziato orecchio di ascoltatore apprezza, gradisce, predilige; può anche darsi che non se ne renda conto, di questa contraddizione! E’possibile, come insegna un'esperienza quasi penosamente regolare, che il proprio gusto conosca un'evoluzione che supera quella della propria energia, senza che essa ne risulti paralizzata e ostacolata nel procedere; può però verificarsi anche il contrario, - ed è proprio su questo che vorrei attirare l'attenzione dell'artista. Una persona che crei di continuo, una «madre» di uomo nel senso pieno della parola, uno che non sappia né senta più niente delle gravidanze e delle culle del suo spirito, che non abbia il tempo di riflettere su se stesso e sulla sua opera, di operare confronti, che non voglia più neppure esercitare il suo gusto e si limiti a dimenticano, cioè a lasciarlo stare in piedi o per terra o cadere: forse costui produrrà alla fine opere tali che da tempo il suo giudizio non è più alla loro altezza e si troverà quindi a dire su di sé e su di loro delle grandi sciocchezze, - a dirle e a pensarle. Mi sembra che questo sia un comportamento quasi normale negli artisti fecondi - nessuno conosce un figlio peggio dei suoi genitori - e sia confermato addirittura, tanto per rifarsi a un esempio imponente, da tutto il mondo poetico e artistico dei Greci: esso non ha mai «saputo» che cosa ha fatto...

Così parlò Zarathustra. Un libro per tutti e per nessuno (1885)

Parte seconda

Sulle isole beate

Creare questa è la grande liberazione dal dolore e l'alleggerirsi della vita. Ma poiché il creatore sia, è necessario dolore e molta trasformazione.

La volontà di potenza. Scritti postumi per un progetto (1887-1888)

321.

Riconduco il particolare tormento che mi procura l'ascolto della musica wagneriana al fatto che questa musica somiglia a un dipinto che non mi consente di restare nello stesso punto... al fatto che per capire l'occhio deve costantemente essere regolato diversamente: ora come miope perché non gli sfugga la raffinatissima cesellatura del mosaico, ora per gli affreschi audaci e brutali che devono essere visti molto da lontano. Il non saper mantenere fissa una determinata ottica costituisce lo stile della musica Wagneriana. Qui stile è usato nel senso di incapacità di stile.

Crepuscolo degli idoli; o come si filosofa col martello (1888)

Scorribande di un inattuale

8.

Sulla psicologia dell'artista. Perché esista arte, perché esista un qualsiasi fare e contemplare artistico, è indispensabile un presupposto fisiologico: l'ebbrezza. L'ebbrezza deve prima aver accresciuto l'eccitabilità dell'intera macchina: altrimenti non si giunge all'arte. Tutte le specie di ebbrezza, per quanto diversamente condizionate, possiedono la forza di far ciò: soprattutto l'ebbrezza dell'eccitazione sessuale, la più antica e originaria forma di ebbrezza. Ugualmente l'ebbrezza che sopraggiunge al seguito di tutte le grandi brame, di tutti i forti affetti; l'ebbrezza della festa, della gara, del pezzo di bravura, della vittoria, di ogni commozione estrema; l'ebbrezza della crudeltà; l'ebbrezza della distruzione; l'ebbrezza prodotta da determinati influssi meteorologici, per esempio l'ebbrezza della primavera; oppure dall'influsso dei narcotici; infine l'ebbrezza della volontà, di una volontà sovraccarica e turgida.

L'essenziale nell'ebbrezza è il senso dell'aumento di forza e della pienezza. Da questo si comunicano sentimenti alle cose, le si costringe a prendere da noi, le si violenta questo processo vien detto idealizzare. Sbarazziamoci qui di un pregiudizio: l'idealizzare non consiste, come comunemente si crede, nel togliere o eliminare ciò che è piccolo, secondario. Quel che importa è piuttosto spinger fuori, grandiosamente, i tratti principali in modo che gli altri scompaiano.

9.

In questa condizione si arricchisce tutto della propria pienezza: quel che si vede, quel che si vuole, lo si vede rigonfio, compresso, forte, sovraccarico di forza. In questa condizione l'uomo trasforma le cose, sino a che non riflettano la sua potenza, sino a che non divengano riflessi della sua perfezione. Questo dover trasformare in qualcosa di perfetto è arte. Anche tutto quello che egli non è, diviene tuttavia per lui piacere di sé; nell'arte l'uomo gode se stesso come perfezione. Sarebbe lecito immaginarsi una condizione opposta, una specifica antiartisticità dell'istinto, un modo di essere che impoverisca, assottigli, intisichisca tutte le cose. E in effetti la storia è ricca di simili antiartisti, di simili affamati della vita: che di necessità debbono ancora prendere le cose per come sono in sé, logorarle, renderle più misere.

Detti e frecce

33.

Quanto poco ci vuole per essere felici! Il suono di una zampogna. Senza musica la vita sarebbe un errore. Il tedesco pensa che persino Dio canti delle canzoni.

Nietzsche contra Wagner. Documenti di uno psicologo (1889)

Torino, Natale 1888

Noi antipodi

Ogni arte, ogni filosofia può essere riguardata come rimedio e ausilio di una vita che cresce o che declina: esse presuppongono sempre sofferenze e sofferenti. Ma esistono due specie di sofferenti, quelli che soffrono per una sovrabbondanza di vita, e vogliono un'arte dionisiaca e così pure un'intelligenza e una prospettiva tragiche della vita e poi quelli che soffrono per l'impoverimento della vita, e che esigono da arte e filosofia la calma, il silenzio, un mare placido, oppure l'ebbrezza, lo spasimo, lo stordimento. La vendetta sulla vita stessa la più voluttuosa specie di ebbrezza per questi esseri impoveriti!...