Così parlò Zarathustra. Un libro per tutti e per nessuno

Il ruolo storico di Nietzsche

Prefazione di Zarathustra

9.

A lungo dormì Zarathustra e sul suo viso non passò solo l'aurora ma anche il mattino. Alla fine però aprì gli occhi: con stupore guardò Zarathustra nel bosco e nel silenzio, con stupore Zarathustra guardò in se stesso. E rapido si levò, come un navigante che a un tratto scorga la terra, ed esultò; giacché scorgeva una nuova verità. E così parlò allora al proprio cuore:

Una luce è spuntata in me: di compagni di viaggio ho bisogno, e viventi, non compagni morti e cadaveri che posso portare con me dove voglio.

Di compagni vivi ho bisogno, che mi seguono perché vogliono seguire se stessi e proprio là dove voglio andare io.

Una luce è spuntata in me: non al popolo deve parlare Zarathustra bensì a compagni! Zarathustra non deve diventare pastore e cane di un gregge.

Per staccare molti dal gregge per questo sono venuto. Adirarsi con me debbono popolo e gregge: un predone deve essere Zarathustra per i pastori.

Parte seconda

Sulle isole beate

I fichi cadono dagli alberi, sono buoni e dolci; e alla caduta la loro pelle rossa si spacca. Io sono un vento del nord per fichi maturi.

Parte terza

Di tavole antiche e nuove

25.

La società umana: è un esperimento, così io insegno, un lungo cercare.

La natura umana e l’organizzazione del comportamento (Istinto, Libertà, Fato)

Parte seconda

Sulle isole beate

Tutto ciò che è sensibile soffre in me ed è in prigione: ma il mio volere giunge sempre come liberatore e rasserenatore.

Volere libera: questa è la vera dottrina della volontà e della libertà così ve la insegna Zarathustra.

Non volere più e non valutare più e non creare più! Ah, che questa grande stanchezza sia sempre lungi da me!

Anche nel conoscere sento soltanto la gioia di generare e di divenire della mia volontà; e se la mia conoscenza è innocente, ciò accade perché in essa è volontà di generare.

Lontano da dio e dèi mi attrasse questa volontà; che ci sarebbe da creare, se ci fossero gli dèi!

Verso l'uomo mi spinge sempre di nuovo la mia ardente volontà di creare; così si sente spinto il martello verso la pietra.

Il profeta

Volontà così si chiama ciò che libera e dispensa gioia: così v'insegnai, amici! Ma ora imparate questo: la volontà stessa è una prigioniera.

Volere libera: ma come si chiama ciò che getta a sua volta in catene il liberatore?

"Fu": così si chiama il digrignar di denti della volontà e la mestizia più solitaria. Impotente contro ciò che è fatto è un cattivo spettatore di tutto il passato.

La volontà non può volere sul passato; non poter infrangere il tempo e la brama del tempo, ecco la più solitaria mestizia della volontà.

Volere libera: chi s'inventa da sé il volere, per gettare da sé la sua mestizia e ridersela del proprio carcere?

Ah, un pazzo diviene ogni prigioniero! Da pazza si redime anche la volontà prigioniera.

Che il tempo non torni indietro è il suo furore; "quello che fu" così si chiama il masso che essa non può smuovere.

E così smuove altri massi per furore e dispetto e si vendica di ciò che non prova come lei furore e dispetto.

Così la volontà, la liberatrice, divenne causa di sofferenza: e su tutto quello che può soffrire, si vendica di non poter tornare indietro.

Questa, solo questa è la vendetta stessa: la ripugnanza della volontà per il tempo e per il suo "fu".

In verità nella nostra volontà risiede una grande follia; e divenne maledizione per tutta l'umanità che questa follia imparasse lo spirito!

Lo spirito di vendetta: amici miei, questo fu finora sempre il modo migliore di riflettere degli uomini; e dov'era dolore, là doveva essere sempre castigo.

"Castigo" si chiama infatti la vendetta stessa: con una parola mendace dissimula a se stessa una buona coscienza.

E poiché anche in colui che vuole c'è dolore, dolore per non poter volere sul passato, così il volere stesso e tutta la vita dovrebbe essere castigo!

E allora nuvola su nuvola rotolò sullo spirito: fino a che la follia predicò: "Tutto passa, perciò tutto merita di passare!".

"E ciò stesso è la giustizia, quella legge del tempo, secondo cui il tempo deve divorare i suoi figli": così predicò la follia.

"Le cose sono moralmente ordinate secondo diritto e castigo. Oh, dov'è la redenzione dal flusso delle cose e dal castigo 'esistere'?" Così predicò la follia.

"Ci può essere redenzione, se c'è un diritto eterno? Ah, inamovibile è il masso 'fu': eterni devono essere anche tutti i castighi!" Così predicò la follia.

"Nessun'azione può essere distrutta: come potrebbe attraverso il castigo ritornare come non fatta! Questo, questo è l'eterno della pena 'esistere', che l'esistere dev'essere in eterno azione e colpa!

A meno che la volontà alla fine non redima se stessa e volere non diventi non volere ": ma voi la conoscete, fratelli, questa litania della follia!

Lontano vi condussi da questi canti, quando v'insegnai: "La volontà è una cosa che crea".

Tutto il "fu" è un frammento, un enigma, un atroce caso finché la volontà creante non dice: "Ma così volevo". Finché la volontà creante non dice: "Ma così voglio! Così vorrò!".

Ma essa parlò già così? E quando avverrà ciò? E la volontà già staccata dal carro della propria follia?

Fu mai la volontà a se stessa redentrice e dispensatrice di gioia? Dimenticò lo spirito di vendetta e tutto il digrignar di denti?

E chi le insegnò la conciliazione col tempo e cose più alte di ogni conciliazione?

Cose più alte di ogni conciliazione deve volere la volontà che è volontà di potenza : ma come può avvenire ciò? Chi le insegnò anche il volere sul passato?».

Parte terza

Di tavole antiche e nuove

9.

C'è un'antica fantasia e si chiama bene e male. Intorno a indovini e ad astrologi girò fino ad oggi la ruota di questa fantasia.

Un tempo si credeva a indovini e astrologi: e perciò si credeva: «Tutto è destino: tu devi, perché sei costretto! ».

Poi di nuovo si diffidò di tutti gli indovini e gli astrologi: e perciò si credette: «Tutto è libertà: tu puoi perché vuoi!».

Fratelli miei, delle stelle e del futuro fino ad oggi si è solo fantasticato e mai nulla saputo: perciò fino ad oggi si è solo fantasticato e mai nulla saputo del bene e del male!

Prima del levar del sole

Un po' di ragione, un seme di saggezza sparso da stella a stella, questo lievito è invero mescolato in tutte le cose: a causa della follia la saggezza è mescolata in tutte le cose!

Un po' di saggezza è anche possibile: ma in tutte le cose trovai questa beata sicurezza: che esse preferiscono danzare sui piedi del caso.

Coscienza e inconscio

Parte prima - I discorsi di Zarathustra

Degli spregiatori del corpo

Agli spregiatori del corpo voglio dire la mia parola. Non debbono imparare e insegnare l'opposto di quello che hanno imparato e insegnato finora, bensì dire addio al proprio corpo e quindi ammutolire.

«Io sono corpo e anima» così parla il bambino, e perché non si dovrebbe parlare come i bambini?

Ma l'uomo desto, l'uomo cosciente dice: Io sono tutto corpo e nulla fuori di questo; e anima è solo una parola per qualcosa che è nel corpo.

Il corpo è una grande ragione, una pluralità con un solo senso, una guerra e una pace, un gregge e un pastore.

Strumento del tuo corpo è anche la tua piccola ragione, fratello, che tu chiami «spirito», un piccolo strumento e zimbello della tua grande ragione.

«Io» dici e sei orgoglioso di questa parola. Ma la cosa più grande cui non vuoi credere è il tuo corpo e la sua grande ragione; questa non dice io, ma fa da io.

Quel che il senso percepisce, quel che lo spirito conosce, non ha mai in sé la sua fine. Ma senso e spirito vorrebbero persuaderti che essi sono la fine di tutte le cose: tanta è la loro vanità.

Strumento e zimbello sono senso e spirito: dietro di essi sta ancora il Se stesso. Il Se stesso è in cerca anche con gli occhi dei sensi ed è in ascolto anche con gli orecchi dello spirito.

Sempre è in ascolto il Se stesso e in cerca: confronta, costringe, conquista, distrugge. Domina ed è anche il dominatore dell'io.

Dietro i tuoi pensieri e sentimenti, fratello, sta un potente sovrano, un saggio sconosciuto si chiama Se stesso. Abita nel tuo corpo, è il tuo corpo.

C'è più ragione nel tuo corpo che nella tua migliore saggezza. E chissà mai perché il tuo corpo ha bisogno proprio della tua miglior saggezza?

Il tuo Se stesso ride del tuo io e dei suoi orgogliosi salti. «Che sono per me questi salti e voli del pensiero?» si dice «Un giro vizioso rispetto al mio scopo. Io tengo le fila dell'io e sono l'ispirazione dei suoi concetti.»

Il Se stesso dice all'io: «Qui prova dolore». E soffre e pensa come non soffrire più e a questo scopo deve appunto pensare.

Il Se stesso dice all'io: «Qui prova piacere». E si rallegra e pensa come rallegrarsi molte altre volte ancora e a questo scopo deve appunto pensare.

Parte quarta e ultima

Della scienza

E non sono coloro che guidano fuori dal pericolo che voi soprattutto amate, bensì quelli che vi sviano da qualunque via, i seduttori. Ma anche se una simile voglia in voi è reale, mi sembra ciononostante impossibile. La paura infatti è il sentimento ereditario e fondamentale dell'uomo; con la paura si spiega ogni cosa, il peccato originale e la virtù ereditata. Dalla paura nacque anche la mia virtù, cioè: la scienza. Infatti la paura delle bestie feroci è quella che più lungamente fu inculcata all'uomo, e comprende anche la paura della bestia che egli cela e teme dentro di sé: Zarathustra la chiama "la bestia interiore".

Psicologia e vissuti

Parte prima - I discorsi di Zarathustra

Dell'amore del prossimo

Vi affollate intorno al prossimo e avete belle parole per questo. Ma io vi dico: il vostro amor del prossimo è il vostro cattivo amore per voi stessi.

Sfuggite a voi stessi cercando il prossimo e vorreste farvene una virtù: ma io leggo nel vostro «altruismo».

Il tu è più vecchio dell'io; il tu è stato santificato, l'io non ancora: così l'uomo si spinge verso il prossimo.

Della libera morte

Ci sono invero mele aspre la cui sorte è di attendere l'ultimo giorno dell'autunno: ma nel frattempo diventano mature, gialle e rugose.

Ad altri invecchia prima il cuore, ad altri prima lo spirito. E certuni sono vecchi in gioventù: ma essere giovani tardi mantiene giovani a lungo.

A qualcuno la vita non riesce: un verme velenoso gli rode il cuore. Dia almeno l'impressione che il morire gli riuscirà per questo meglio.

Qualcuno non diventa mai dolce, marcisce già durante l'estate. Vita è quel che lo trattiene al suo ramo.

Troppi vivono e troppo a lungo restano sui loro rami.

Parte seconda

Delle tarantole

Ciò che il padre tacque, parla nel figlio; e spesso il figlio mi apparve il segreto denudato del padre.

Dell'autosuperamento

E la terza cosa che udii è: che comandare è più difficile che obbedire. E non solo che chi comanda porta il peso di tutti coloro che obbediscono e che questo peso è facile che lo schiacci.

Un tentativo e un azzardo scorsi in ogni comandare; e ogni volta che comanda, l'essere vivente azzarda se stesso.

- Anche quando comanda a se stesso: anche allora deve scontare il suo ordinare. Della propria legge deve diventare il giudice, il vincitore, e la vittima.

Come può avvenire ciò? Mi chiesi. Che cosa induce l'essere vivente ad obbedire e a comandare e a esercitare obbedienza anche nel comando stesso?

Udite solo una parola, saggi fra i saggi! Esaminate attentamente se io sia penetrato fino al cuore della vita e fino alle radici del suo cuore!

Dove trovai essere vivente, là trovai volontà di potenza; e anche nella volontà di chi serve trovai la volontà di essere padrone.

A credere che il più debole debba servire il più forte, il più debole è persuaso dalla sua stessa volontà, che vuole essere padrona di un più debole ancora: a questo solo piacere esso non può sottrarsi.

Parte terza

Il viandante

Mi trovo davanti al più alto dei miei monti e alla più lunga delle mie peregrinazioni: perciò devo scendere più in fondo di quanto non sia mai salito:

- più in fondo nel dolore di quanto non sia mai salito; fin dentro il suo flutto più nero! Così vuole il mio destino: orsù! Io sono pronto.

Di dove vengono le montagne più alte? chiesi una volta. Allora appresi che vengono dal mare.

Questa testimonianza è scritta nella loro pietra e nelle pareti delle loro vette. Dal più profondo deve ascendere la cosa più alta alla sua altezza.

Sull’uliveto

Questa è la saggia protervia e la retta volontà della mia anima, che essa non cela i suoi inverni e le sue gelide bufere; e non cela nemmeno i suoi geloni.

Mistificazione

Parte terza

Dello spirito di gravità

2.

E in verità, non è un comandamento per oggi e domani: imparare ad amarsi. piuttosto la più sottile, la più astuta, la più paziente, l'estrema di tutte le arti.

Tutto ciò che uno possiede è per lui che lo possiede ben nascosto: e di tutte le miniere preziose la propria è l'ultima ad essere scavata ed è opera dello spirito di gravità.

Siamo ancora nella culla e già ci danno parole e valori pesanti: «bene» e «male» così si chiama questo viatico. Grazie ad esso ci è perdonato che viviamo.

E con questo scopo si lasciano venire a sé i fanciulli, per proibir loro per tempo di amare se stessi: ed è opera dello spirito di gravità.

E noi - noi, ligi, ci portiamo dietro quello che ci danno, su spalle indurite e per aspre montagne! E se sudiamo, ci dicono: «Già, la vita è un pesante fardello!».

Ma soltanto l'uomo è a se stesso un pesante fardello! Perché porta sempre troppe cose estranee sulle proprie spalle. Come il cammello, s'inginocchia e si lascia caricare.

Soprattutto l'uomo forte, paziente, che ha in sé reverenza: troppe parole e valori estranei carica su di sé così la vita gli appare un deserto!

E in verità! Anche certe cose proprie sono pesanti da sopportare! E molto di quanto è dentro l'uomo somiglia all'ostrica, nauseabonda, viscida, e difficile da stringere in mano,

- cosicché lo scusa soltanto un nobile guscio nobilmente decorato. Ma anche quest'arte si deve imparare: avere un guscio e una bella apparenza e una cecità accorta!

E che il guscio sia troppo misero, o squallido o troppo guscio inganna su alcune cose dell'uomo. Molta bontà e forza nascoste non vengono scorte; i più saporiti bocconi non trovano buongustai!

Istinto del gregge: Costume, Morale, Diritto

Prefazione di Zarathustra

5.

Nessun pastore è un solo gregge. Ognuno vuole la stessa cosa, ognuno è uguale: chi sente in modo diverso, entra spontaneamente in manicomio.

«Un tempo tutto il mondo era pazzo» dicono i più sagaci, e ammiccano.

Si è intelligenti e si sa tutto quello che è accaduto: così lo scherno non ha fine. Si litiga ancora, ma ci si riconcilia presto altrimenti si guasta lo stomaco.

Si ha il proprio piacerucolo per il giorno e il proprio piacerucolo per la notte: ma si apprezza la salute.

«Noi abbiamo inventato la felicità» dicono gli ultimi uomini, e ammiccano.

9.

Eccoli i buoni e i giusti! Chi odiano più di tutti? Colui che infrange le loro tavole dei valori, il distruttore, lo sfregiatore: ma questi è il creatore.

Guarda i fedeli di tutte le fedi! Chi odiano più di tutti? Colui che infrange le loro tavole dei valori, il distruttore, lo sfregiatore: ma questi è il creatore.

Parte prima - I discorsi di Zarathustra

Delle mosche del mercato

Nel mondo le cose migliori non servono a nulla, se non v'è nessuno che le rappresenti: grandi uomini chiama il popolo questi rappresentatori.

Poco comprende il popolo la grandezza, cioè il creare. Ma è sensibile a tutti i rappresentatori e commedianti di grandi vicende.

Intorno agli inventori di nuovi valori ruota il mondo: ruota in modo invisibile. Ma intorno ai commedianti ruotano il popolo e la fama: questo è il «corso del mondo».

Spirito ha il commediante, ma poca coscienza dello spirito. Sempre crede in ciò con cui riesce a far credere gli altri più fortemente, far credere in lui stesso!

Domani avrà una nuova fede e dopodomani un'altra ancora. Ha i sensi pronti come il popolo e umori variabili.

Rovesciare significa per lui: dimostrare. Render folli significa per lui: convincere. E il sangue è per lui il migliore degli argomenti.

Una verità che penetra solo in orecchi fini egli la chiama menzogna e nulla. Infatti egli crede soltanto a dèi che suscitino gran frastuono nel mondo!

Pieno di solenni saltimbanchi è il mercato e il popolo si vanta dei suoi grandi uomini: questo sono per lui i padroni dell'ora.

Ma l'ora li incalza: così essi incalzano te. E anche da te vogliono un sì o un no. Ahimè, tu vuoi collocare la tua sedia fra il pro e il contro?

Del nuovo idolo

Da qualche parte ci sono ancora popoli e greggi, ma non più da noi, fratelli: da noi ci sono soltanto Stati.

Stato? Che cos'è? Orsù! Aprite gli orecchi, perché ora vi dico la mia parola sulla morte dei popoli.

Stato si chiama il più freddo di tutti i freddi mostri. Ed è freddo anche nel suo mentire; e dalla sua bocca striscia questa menzogna: «Io, lo Stato, sono il popolo».

Una menzogna! Creatori erano coloro che crearono i popoli e sospesero sopra di essi una fede e un amore: e così servivano la vita.

Distruttori sono coloro che tendono trappole per molti e le chiamano Stato: essi sospendono sopra di essi una spada e cento brame.

Dove c'è ancora popolo, esso non capisce lo Stato e lo odia come malocchio e peccato contro costumi e diritto.

Questo segno vi do: ogni popolo parla la sua lingua del bene e del male: il vicino non lo capisce. Si inventò la sua lingua in costumi e diritto.

Ma lo Stato mente in tutte le lingue del bene e del male; e qualunque cosa dica, mente e qualunque cosa abbia l'ha rubata.

Tutto in esso è falso; con denti rubati morde, il mordace. False sono persino le sue viscere.

Confusione delle lingue del bene e del male: questo segno vi do come segno dello Stato. In verità, questo segno indica la volontà di morte! In verità, esso richiama i predicatori della morte!

Troppi uomini nascono: per i superflui fu inventato lo Stato!

Guardate come li attrae a sé, i troppi. Come li fagocita e mastica e rimastica!

«Sulla terra non c'è nulla di più grande di me: io sono il dito ordinatore di Dio» così strepita la bestia. E non solo gli orecchiuti e i miopi cadono in ginocchio!

Ah, anche in voi, grandi anime, sussurra le sue tetre menzogne! Ah, egli indovina i cuori ricchi che si sperperano volentieri!

Sì, anche voi indovina, vincitori del vecchio dio! Vi ha stancato la lotta o ora la vostra stanchezza serve il nuovo idolo.

Di eroi e uomini d'onore vorrebbe circondarsi il nuovo idolo! Gli piace crogiolarsi al sole delle buone coscienze, la fredda bestia!

Tutto vi darà, se voi lo adorate, il nuovo idolo: così egli si compera il fulgore della vostra virtù e lo sguardo dei vostri occhi fieri.

Adescare i troppi vuole con voi! Sì, fu inventata una macchina infernale, un cavallo della morte tintinnante sotto la bardatura di onori divini!

Sì, una morte per molti fu allora inventata, che esalta se stessa come vita: in verità, un servizio inestimabile ai predicatori della morte!

Stato io chiamo quello dove tutti sono assuefatti al veleno, buoni e cattivi: Stato, dove tutti perdono se stessi, buoni e cattivi: Stato, dove il lento suicidio di tutti si chiama «la vita».

Guardate questi superflui! Rubano per sé le opere degli inventori e i tesori dei saggi: cultura chiamano il loro furto e tutto diventa per loro malattia e molestia!

Guardate questi superflui! Sono sempre ammalati vomitano la loro bile e lo chiamano giornale. S'inghiottono a vicenda e non riescono nemmeno a digerirsi.

Guardate questi superflui! Acquistano ricchezze e con esse diventano soltanto più poveri. Potenza vogliono e innanzi tutto il grimaldello della potenza, molto denaro, questi impotenti!

Guardatele arrampicarsi, queste agili scimmie! S'arrampicano una sull'altra e così una trascina l'altra nel fango e nell'abisso.

Vogliono arrivare tutte al trono: è la loro follia, come se sul trono fosse assisa la felicità! Spesso sul trono è assiso il fango anzi, spesso anche il trono sta sul fango.

Folli sono tutti per me e scimmie che si arrampicano e maniaci. Puzza per me il loro idolo, la fredda bestia: puzzano per me tutti quanti, questi adoratori di idoli.

Fratelli miei, volete dunque soffocare nell'alito dei vostri musi e delle loro voglie? Fareste meglio a infrangere le finestre e a balzare all'aperto.

Fuggite dal cattivo odore! Allontanatevi dell'idolatria dei superflui!

Fuggite dal cattivo odore! Fuggite l'esalazione di questi sacrifici umani.

Libera è ancor oggi per le anime grandi la terra. Vuote sono ancora molte sedi per i solitari e per coloro che sono in due nella solitudine, intorno alle quali aleggia il profumo di mari tranquilli.

Libera è ancora per le grandi anime una libera vita. In verità, chi poco possiede, tanto meno è posseduto: sia lodata la piccola povertà!

Là dove lo Stato cessa, là incomincia l'uomo che non è superfluo: là incomincia il canto del necessario, la melodia unica e insostituibile.

Là dove lo Stato cessa là guardate, fratelli miei! Non li vedete l'arco baleno e i ponti del superuomo?

Così parlò Zarathustra.

Parte seconda

Dei famosi saggi

Ma chi è inviso al popolo come un lupo ai cani: è lo spirito libero, il nemico dei vincoli, il nonadorante, colui che dimora nei boschi.

Nel deserto abitarono sempre i veraci, gli spiriti liberi, come signori del deserto; nelle città abitano i ben nutriti, i famosi saggi, le bestie da tiro.

Giacché sempre tirano, come asini il carro del popolo!

Dell'autosuperamento

Gli insipienti, invero, il popolo, sono come un fiume su cui naviga una barca: e nella barca stanno, solenni e travestite, le valutazioni.

Ma dove trovai essere vivente, là udii anche il discorso dell'obbedienza. Ogni essere vivente è qualcosa che obbedisce.

E questa è la seconda cosa: riceve comandi colui che non sa obbedire a se stesso. Tale è l'essenza dell'essere vivente.

Parte terza

Del passare oltre

Così, procedendo lentamente in mezzo al popolo e a molte svariate città, tornava Zarathustra, allungando la strada, alla sua montagna e alla sua spelonca. Ed ecco che senz'accorgersene giunse alle porte della grande città: e qui si gettò su di lui a braccia aperte un folle con la schiuma alla bocca e gli sbarrò la strada. Costui era lo stesso folle che il popolo chiamava «la scimmia di Zarathustra»: perché aveva preso qualcosa del ritmo e dell'intonazione del suo discorrere e volentieri attingeva anche al tesoro della sua saggezza. E così parlò il folle a Zarathustra:

«O Zarathustra, ecco la grande città: qui non hai niente da acquistare e tutto da perdere.

Perché mai guardi questo fango? Abbi compassione del tuo piede! Sputa piuttosto sulla porta della città e torna indietro!

Qui è l'inferno per i pensieri da eremita: qui i grandi pensieri vengono lessati vivi e cotti a pezzetti.

Qui si putrefanno tutti i grandi sentimenti: qui possono far sentire i loro passi stenti solo sentimentucci stenti e ossuti!

Non lo senti già l'odore dei macelli e delle bettole dello spirito? Non esala questa città i fumi dello spirito macellato?

Non vedi penzolare le anime come flosci e luridi stracci? Dì questi stracci fanno ancora giornali!

Non senti che qui lo spirito è diventato un gioco di parole? E butta fuori una ripugnante risciacquatura di parole! E di questa risciacquatura fanno ancora giornali.

Si aizzano a vicenda e non sanno contro che cosa. Si riscaldano a vicenda e non sanno perché. Fanno chiasso con la loro latta, tintinnano col loro oro.

Sono freddi e cercano calore nell'acquavite: sono riscaldati e cercano rinfresco presso spiriti congelati; sono tutti infermi e affetti da opinioni pubbliche.

Qui sono di casa tutte le voglie e tutti i difetti; ma ci sono anche dei virtuosi, c'è molta virtù servizievole e in servizio.

Molta virtù servizievole con dita scrivane e un deretano sodo, atto alla pazienza e all'attesa, virtù benedetta da piccole stelle sul petto e da figlie imbottite e senza didietro.

Anche qui c'è molta devozione e molto credulo leccare e adulare e un continuo sfornare lusinghe davanti al dio degli eserciti.

"Dall'alto" gocciolano giù la stella e la saliva della benevolenza; all'alto aspira ogni petto sguarnito di stelle.

La luna ha il suo alone, ovvero la sua corte, e la corte ha le sue escrescenze: ma a tutto ciò che viene dalla corte rivolge le sue preghiere il popolo mendico e ogni virtù mendica e servizievole.

"Io servo, tu servi, egli serve" così prega ogni virtù servizievole rivolta al suo principe: che la stella guadagnata sia alfine appuntata sull'esile petto!

Ma la luna ruota ancora intorno a quanto vi è di terrestre: così ruota anche il principe intorno a quanto v'è di più terrestre: ed è l'oro dei mercanti.

Il dio degli eserciti non è un dio dalle barre d'oro: il principe propone e il mercante dispone!

Per tutto quanto è luminoso e forte e buono in te, o Zarathustra! Sputa su questa città di mercanti e torna indietro!

Di tavole antiche e nuove

7.

Essere veri pochi lo possono! E chi lo può, non vuole ancora! Ma meno di tutto lo possono i buoni.

Oh, questi buoni! Uomini buoni non dicono mai la verità; così per lo spirito l'essere buoni è una malattia.

Cedono, questi buoni, si arrendono, il loro cuore ripete parole, il loro fondo obbedisce: ma chi obbedisce non ascolta se stesso!

Tutto quello che il buono chiama cattivo deve congiungersi, perché sia partorita una verità: o fratelli, siete poi abbastanza cattivi per questa verità?

L'audacia spericolata, la lunga diffidenza, il no crudele, il disgusto, l'immergere il coltello nel vivo come ciò si congiunge di rado! Ma solo da questo seme si concepisce la verità!

Accanto alla cattiva coscienza crebbe fino ad ora tutta la scienza! Rompete, rompetemi le antiche tavole, voi che avete la conoscenza!”

26.

Colui che crea odiano sopra ogni cosa: colui che infrange tavole e antichi valori, colui che infrange, lo chiamano delinquente.

Socialità

(amore, amicizia, compassione, ostilità, volontà di potenza)

Parte prima - I discorsi di Zarathustra

Del leggere e dello scrivere

E’ vero: amiamo la vita non perché siamo abituati alla vita, ma perché siamo abituati ad amare.

C'è sempre un po' di follia nell'amore. Ma c'è sempre un po’ di ragione nella follia.

Dell'amico

«Uno è sempre di troppo intorno a me» così pensa l'eremita. «Uno alla volta con l'andar del tempo fa due!.»

Io e Me sono sempre troppo assorbiti dalla conversazione: come resistere se non ci fosse un amico?

Per l'eremita l'amico è sempre il terzo: il terzo è il sughero che impedisce che la conversazione dei due scenda nel profondo.

Ah, ci sono troppe profondità per tutti gli eremiti. Per questo essi bramano un amico e la sua vetta.

La nostra fede negli altri tradisce ciò che ameremmo credere di noi stessi. La nostra brama di un amico è quella che ci tradisce.

E spesso con l'amore si vuole passare oltre l'invidia. E spesso si attacca e ci si fa un nemico per nascondere che si è attaccabili.

«Sii almeno il mio nemico!» così parla la vera reverenza, che non osa chiedere amicizia.

Se si vuol avere un amico, bisogna essere anche disposti per lui a muover guerra: e per muover guerra si deve poter essere nemico.

Nel proprio amico si deve onorare anche il nemico. Puoi accostarti al tuo amico senza passare dalla sua parte?

Nel proprio amico bisogna avere il proprio miglior nemico. Devi essergli più che mai vicino col cuore quando lo avversi.

Non vuoi portare abiti davanti al tuo amico? Dev'essere un onore per il tuo amico che tu ti dia a lui come sei? Ma lui ti manda al diavolo per questo!

Chi non fa più mistero di sé, rivolta: avete tanti motivi per temere la nudità! Certo, se foste dèi, allora potreste vergognarvi dei vostri abiti!

Per il tuo amico non ti farai mai bello abbastanza: poiché devi essere per lui freccia e anelito al superuomo.

Vedesti già il tuo amico dormire, per sapere che aspetto abbia? Che cos'è altrimenti il volto del tuo amico? E il tuo viso, riflesso in uno specchio rozzo e imperfetto.

Vedesti già il tuo amico dormire? Non ti spaventasti che il tuo amico avesse quell'aspetto? O, amico mio, l'uomo è qualcosa che deve essere superato.

Nell'indovinare e nel tacere l'amico dev'essere maestro: non tutto devi voler vedere. Il tuo sogno ti deve rivelare ciò che il tuo amico fa da sveglio.

Un indovinare sia la tua compassione: fa di sapere prima se il tuo amico vuole compassione. Forse egli di te ama l'occhio fermo e lo sguardo dell'eternità.

La compassione per l'amico si celi sotto una dura buccia: mordendo devi romperti un dente. Così avrà la sua finezza e la sua dolcezza.

Sei aria pura e solitudine e pane e medicina per il tuo amico? C'è chi non sa spezzare le proprie catene, eppure per l'amico è un liberatore.

Sei uno schiavo? Allora non puoi essere amico. Sei un tiranno? Allora non puoi avere amici.

Troppo a lungo nella donna è stato nascosto uno schiavo e un tiranno. Per questo la donna non è ancora capace di amicizia: essa conosce solo l'amore.

Nell'amore della donna c'è ingiustizia e cecità verso tutto ciò che essa non ama. E anche quando l'amore della donna è sapiente, accanto alla luce c'è pur sempre aggressione e folgore e notte.

La donna non è ancora capace di amicizia: gatti sono pur sempre le donne, e uccelli. O, nel migliore dei casi, vacche.

La donna non è ancora capace di amicizia. Ma ditemi, voi uomini, chi di voi è capace di amicizia?

Oh, la vostra povertà, uomini, e l'avarizia della vostra anima! Quel che voi date all'amico io lo darò al mio nemico e non mi troverò più povero.

C'è cameratismo: potesse esservi amicizia!

Così parlò Zarathustra.

Parte seconda

Dei compassionevoli

Se poi hai un amico che soffre, sii per il suo soffrire un luogo di riposo, ma al tempo stesso un letto duro, un letto da campo: così più che in un altro modo gli gioverai.

E se un amico ti fa qualcosa di male, digli: «Ti perdono quel che mi hai fatto; ma che tu l'abbia fatto a te, come potere perdonarlo!».

Così parla ogni grande amore: esso supera anche il perdono e la compassione.

Si deve tener saldo il proprio cuore; se si lascia andare, presto si perde anche la testa!

Ah, dove nel mondo accaddero stoltezze maggiori che presso i compassionevoli? E che cosa nel mondo causò più sofferenza delle stoltezze del compassionevole?

Guai a chi ama e non può collocarsi più in alto della propria compassione!

Così mi disse una volta il diavolo: «Anche Dio ha il suo inferno: è il suo amore per gli uomini».

E poco tempo fa gli sentii dire questa parola: «Dio è morto; Dio è morto della sua compassione per gli uomini».

Così guardatevi dalla compassione: di là s'aduna sugli uomini una nube cupa! In verità me ne intendo di segni meteorologici!

Ma ritenete anche questa parola: ogni grande amore è al di sopra di tutta la sua compassione: perché vuole ancora creare la cosa amata!

«Offro me stesso al mio amore, al mio prossimo come a me» così devono dire tutti i creatori.

Tutti i creatori sono duri.

Così parlò Zarathustra.

Maschile e femminile

Parte prima - I discorsi di Zarathustra

Di donnicciuole vecchie e giovani

Tutto nella donna è un enigma, e tutto nella donna ha una soluzione: si chiama gravidanza.

L'uomo è per la donna un mezzo: lo scopo è sempre il figlio. Ma che cos'è la donna per l'uomo?

Due cose vuole un vero uomo: pericolo e gioco. Perciò vuole la donna, che è il giocattolo più pericoloso.

L'uomo dev'essere educato alla guerra e la donna al ristoro del guerriero: tutto il resto è sciocchezza.

Frutti troppo dolci non piacciono al guerriero. Per questo gli piace la donna; amara è anche la donna più dolce.

La donna comprende i bambini meglio di quanto li comprenda un uomo, ma l'uomo è più infantile della donna.

Nel vero uomo è nascosto un bambino: che vuole giocare. Orsù, donne, scoprite il bambino nell'uomo!

Un giocattolo sia la donna, puro e raffinato come pietra preziosa, irradiato dalle virtù di un mondo che non c'è ancora.

Religione

Parte seconda

Dei grandi eventi

Così parlai al cane di fuoco: ed egli m'interruppe ringhioso e domandò: «Chiesa? Che cos'è?».

«Chiesa?» risposi io «E’ una specie di Stato, la specie più bugiarda. Ma taci tu, cane ipocrita! Tu conosci il tuo essere meglio di tutti!

Come te lo Stato è un cane ipocrita; come te parla volentieri con fumo e strepito, in modo da far credere, come te, che parli dal ventre delle cose.

Poiché vuole essere l'animale più importante della terra, lo Stato; e viene anche creduto.»

Introversione

Parte prima

Delle mosche del mercato

Fuggi, amico mio, nella mia solitudine! Io ti vedo stordito dal rumore dei grandi uomini e trafitto dai pungiglioni dei piccoli.

Con dignità sanno tacere con te bosco e rupe. Assomiglia di nuovo all'albero che ami, dalle ampie fronde: silenzioso e in ascolto si protende sul mare.

Dove cessa la solitudine, là incomincia il mercato e dove incomincia il mercato, là incomincia anche il rumore dei grandi commedianti e il ronzio delle mosche velenose.

Nel mondo le cose migliori non servono a nulla, se non v'è nessuno che le rappresenti: grandi uomini chiama il popolo questi rappresentatori.

Poco comprende il popolo la grandezza, cioè il creare. Ma è sensibile a tutti i rappresentatori e commedianti di grandi vicende.

Intorno agli inventori di nuovi valori ruota il mondo: ruota in modo invisibile. Ma intorno ai commedianti ruotano il popolo e la fama: questo è il «corso del mondo».

Spirito ha il commediante, ma poca coscienza dello spirito. Sempre crede in ciò con cui riesce a far credere gli altri più fortemente, far credere in lui stesso!

Domani avrà una nuova fede e dopodomani un'altra ancora. Ha i sensi pronti come il popolo e umori variabili.

Rovesciare significa per lui: dimostrare. Render folli significa per lui: convincere. E il sangue è per lui il migliore degli argomenti.

Una verità che penetra solo in orecchi fini egli la chiama menzogna e nulla. Infatti egli crede soltanto a dèi che suscitino gran frastuono nel mondo!

Pieno di solenni saltimbanchi è il mercato e il popolo si vanta dei suoi grandi uomini: questo sono per lui i padroni dell'ora.

Ma l'ora li incalza: così essi incalzano te. E anche da te vogliono un sì o un no. Ahimè, tu vuoi collocare la tua sedia fra il pro e il contro?

Lenta è l'esperienza per le fontane profonde: a lungo debbono aspettare prima di sapere che cosa è caduto nel profondo.

Parte seconda

II canto notturno

E’ notte: ora parlano più forte tutte le fontane zampillanti. E anche la mia anima è una fontana zampillante.

E’ notte: solo ora si destano tutti i canti degli amanti. E anche la mia anima è il canto di un amante.

In me è qualcosa d'inappagato e d'inappagabile: vuole prender voce. Una brama d'amore è in me che parla la lingua dell'amore.

Luce io sono: ah, fossi notte! Ma questa è la mia solitudine, essere cinto di luce.

Ah, fossi scuro e notturno! Come succhierei i semi della luce!

E benedirei anche voi, piccole stelle sfavillanti e lucciole lassù! e sarei beato dei vostri doni di luce.

Ma io vivo nella mia propria luce, ringhiotto le fiamme che da me si sprigionano.

Non conosco la felicità di chi prende; e spesso sognai che rubare dev'essere ancor più beato che prendere.

Questa è la mia povertà, che la mia mano non riposi mai dal donare; questa è la mia invidia, vedere occhi in attesa e le illuminate notti del desiderio.

O infelicità di tutti coloro che donano! O eclissi del mio sole! O brama di bramare! O fame nella sazietà!

Essi prendono da me: ma tocco io ancora la loro anima? C'è un abisso fra il dare e il prendere; e il più piccolo abisso è l'ultimo ad essere superato.

Fame nasce dalla mia bellezza; vorrei far male a quelli cui faccio luce, derubare, quelli cui donai: tanta fame ho di cattiveria.

La mia pienezza escogita tale vendetta: dalla mia solitudine sgorga questa malizia.

La mia felicità di donare morì nel donare, la mia virtù si stancò di se stessa per la propria sovrabbondanza!

Il pericolo di chi sempre dona è che perda il pudore; la mano di chi sempre distribuisce ha i calli per il troppo distribuire.

Il mio occhio non si riempie più di lacrime davanti alla vergogna di chi chiede; la mia mano diventò troppo dura per il tremito di mani colme.

Dov'è andata la lacrima del mio occhio e la tenera piuma del mio cuore? O solitudine di tutti quelli che danno! O muto silenzio di tutti quelli che fanno luce!

Molti soli ruotano nello spazio vuoto: a tutto quello che è scuro parlano con la loro luce, con me tacciono.

Ingiusto nel profondo del cuore contro ogni cosa che fa luce, freddo verso i soli così cammina ogni sole.

Come tempeste volano i soli per le loro strade, questo è il loro camminare. Seguono la propria volontà inesorabile: questa è la loro freddezza.

Oh, siete solo voi, voi scuri, voi notturni che create calore da ciò che fa luce! Voi soli a bere latte e refrigerio dalle mammelle della luce!

Ah, ghiaccio è intorno a me, la mia mano si brucia su cose di ghiaccio! Ah, sete è in me, che langue e brama la vostra sete!

E’ notte: ah, dover essere luce! E sete di cose notturne! E solitudine!

E’ notte: come una sorgente ora sgorga da me il mio desiderio, desiderio di parlare.

E’ notte: ora parlano forte tutte le fontane zampillanti. E anche la mia anima è una fontana zampillante.

E’ notte: solo ora si destano tutti i canti degli amanti. E anche la mia anima è il canto di un amante.

Così cantò Zarathustra.

Dei dotti

Sono troppo caldo e arso dai miei pensieri: spesso mi tolgono il respiro. Allora devo uscire all'aperto e allontanarmi da tutte le stanze polverose

Dei grandi eventi

Libertà è il vostro strepito preferito: ma io disimparai la fede nei grandi avvenimenti non appena intorno a loro si leva strepitio e fumo.

Ma credimi, amico Frastuono Infernale! I massimi avvenimenti non sono le nostre ore più rumorose, ma le nostre ore più silenziose.

Non intorno agli inventori di nuovo frastuono: intorno agli inventori di nuovi valori ruota il mondo; e ruota inudibile.

Della redenzione

Questo è il meno che mi sia capitato da quando sono tra gli uomini: vedere che: "A costui manca un occhio e a quello un orecchio e a un terzo la gamba, e ci sono altri che perdettero la lingua o il naso o la testa".

Vedo e vidi di peggio e certe cose così orripilanti che non posso parlare di ognuna e non voglio nemmeno tacere di alcune: e cioè uomini a cui manca tutto tranne una sola cosa che hanno invece in sovrabbondanza, uomini che non sono null'altro che un grande occhio e una grande bocca o un grande ventre o qualcosa di grande, disgraziati alla rovescia io li chiamo.

E quando io uscii dalla mia solitudine e percorsi per la prima volta questo ponte, non credevo ai miei occhi, e guardavo e guardavo, e alla fine dissi: "Questo è un orecchio! Un orecchio grande come un uomo!". Guardai meglio: e in realtà sotto l'orecchio si muoveva ancora qualcosa, piccolo e misero e macilento da far pietà. In verità, l'enorme orecchio posava su esilissimo gambo, ma il gambo era un uomo! Chi si fosse messo una lente davanti all'occhio avrebbe potuto riconoscere anche un visetto invidioso; e che sul gambo penzolava anche un'animuccia enfiata. Ma il popolo mi disse che il grande orecchio non era soltanto un uomo, bensì un grand'uomo, un genio. Ma io non credetti mai al popolo, quando parlava di grandi uomini e continuai a credere che si trattasse di un disgraziato alla rovescia, che aveva troppo poco di tutto e troppo di una sola cosa».

Quando Zarathustra ebbe così parlato al gobbo e a quelli di cui questi era lingua e portavoce si volse con profondo scontento ai suoi discepoli e disse:

«In verità, amici miei, io vado tra gli uomini come tra frammenti e membra di uomini

Questo è spaventoso per il mio occhio: trovare gli uomini spezzettati e sparsi come su un campo di battaglia o in un macello.

E se il mio occhio fugge dall'oggi a un tempo trova sempre lo stesso: frammenti e membra e atroci casi, ma niente uomini!

Io vado tra gli uomini come tra frammenti del futuro: quel futuro che io vedo.

Questo è tutto il mio fare e bramare; poter riunire e ricomporre in unità ciò che è frammento ed enigma e atroce caso.

E come sopporterei di essere uomo, se l'uomo non fosse anche poeta e scioglitore di enigmi e redentore del caso!

Redimere i passati e trasformare tutto il "fu" in un "così l'ho voluto" questa sola per me si chiamerebbe redenzione!

Dei sublimi

Calmo è il fondo del mio mare: chi immaginerebbe che nascondesse mostri faceti!

Imperturbabile è la mia profondità: ma vi nuotano luccicanti enigmi e risate.

Dell'accortezza verso gli uomini

Non l'altezza: la china è terribile!

La china dove lo sguardo precipita in basso e la mano si aggrappa in alto. Allora il cuore prova le vertigini davanti alla sua doppia volontà.

Ah, amici, indovinate anche la doppia volontà del mio cuore?

Questa è la mia china e il mio pericolo, che il mio sguardo precipiti e che la mia mano si tenga e voglia appoggiarsi all'abisso!

Agli uomini si aggrappa la mia volontà, con catene mi lego all'uomo, perché sono trascinato in alto verso il superuomo: perché là tende l'altra mia volontà.

E perciò vivo cieco tra gli uomini: come se non li conoscessi: perché la mia mano non perda del tutto la sua fede in qualcosa di saldo.

Io non vi conosco, uomini: questa tenebra e consolazione calano spesso su di me.

Seggo presso la porta principale, esposto ad ogni briccone e chiedo: chi mi vuole ingannare?

Questa è la mia prima accortezza verso gli uomini, farmi ingannare per non dovermi guardare dagli ingannatori.

Ah, se mi guardassi dall'uomo: come potrebbe l'uomo essere un'ancora per il mio pallone? Troppo facilmente sarei rapito in aria e lontano!

Questa provvidenza domina il mio destino: dover vivere senza prudenza.

E chi non vuole morire di sete fra gli uomini, deve imparare a bere in tutti i bicchieri; e chi vuole rimanere puro fra gli uomini deve saper lavarsi anche con l'acqua sporca.

E così spesso parlai a me stesso per conforto: «Orsù! Avanti! Vecchio cuore! Una sfortuna ti è fallita: godi di ciò come della tua fortuna!».

Ma questa è l'altra mia accortezza verso gli uomini: risparmio i vanitosi più degli orgogliosi.

La vanità offesa non è forse la madre di tutte le tragedie? Ma dove è ferito l'orgoglio, cresce qualcosa di ancor migliore dell'orgoglio.

Perché la vita sia gradevole a vedersi, il suo gioco dev'essere giocato bene: ma per questo ci vogliono buoni commedianti.

Buoni commedianti mi apparvero tutti i vanitosi: recitano e vogliono che si stia volentieri a guardarli, tutto il loro spirito è in questa volontà.

Essi rappresentano se stessi, si inventano; vicino a loro amo stare a guardare la vita, ciò guarisce dalla malinconia.

Perciò risparmio i vanitosi, perché sono medici alla mia malinconia e mi tengono stretto all'uomo come a uno spettacolo.

E poi: chi misura nel vanitoso tutta la profondità della sua modestia! Provo benevolenza e compassione per la sua modestia.

Da voi egli vuole imparare la sua fede in se stesso; si nutre dei vostri sguardi, viene a mangiare la lode nelle vostre mani.

Alle vostre menzogne crede ancora se voi mentite bene su di lui: poiché nel profondo il suo cuore sospira: «Che cosa sono io!».

E se la giusta virtù è quella che non sa di se stessa: ebbene, il vanitoso non sa della propria modestia!

Ma questa è la mia terza accortezza verso gli uomini, non lasciarmi avvelenare la vista dei malvagi dalla vostra pavidità.

Sono beato al vedere i miracoli che il sole ardente matura: tigri e palme e serpenti a sonagli.

Anche tra gli uomini c'è una bella prole maturata dal sole ardente e molte cose strabilianti nei malvagi.

Davvero, come i più saggi tra voi non apparvero poi così saggi: così trovai la malvagità umana inferiore alla sua fama.

E spesso chiesi scuotendo il capo: perché suonare ancora, serpenti a sonagli?

In verità, anche per il male c'è un futuro! E il più caldo meridione non è stato ancora scoperto per l'uomo.

Ora si chiama già estrema perfidia ciò che è largo solo dodici piedi e lungo tre mesi! Ma verranno al mondo draghi ben più grandi.

Infatti perché al superuomo non manchi il suo drago, il superdrago che sia degno di lui: per questo deve splendere ancora molto sole ardente sulle umide foreste vergini!

I vostri gatti selvatici devono prima diventare tigri e i vostri rospi velenosi diventare coccodrilli: perché il buon cacciatore deve fare una buona caccia!

E davvero, voi buoni e giusti! Molto è ridicolo in voi, soprattutto la vostra paura di ciò che finora si chiamò «demonio»!

Nell'anima vostra siete così estranei alla grandezza che il superuomo sarebbe per voi terribile nella sua bontà!

E voi, saggi e sapienti, fuggireste dall'ardore solare della saggezza in cui il superuomo bagna con voluttà la sua nudità!

Voi, uomini più grandi che il mio occhio mai incontrò! Questo è il mio dubbio verso di voi e il mio riso nascosto: io sospetto che chiamereste il mio superuomo demonio.

Ah, io mi stancai di questi uomini migliori e superiori: lontano dalla loro «altezza» mi sentii attratto, in alto, fuori via, verso il superuomo!

Ebbi un brivido d'orrore quando vidi nudi questi migliori: allora mi spuntarono le ali per volare via verso lontani futuri.

In più lontani futuri, in più meridionali meridioni che mai artista abbia sognato: laggiù, dove gli dèi si vergognano di tutti gli abiti!

Ma voi voglio vedervi travestiti, voi prossimi e vicini, e ben lustrati, e vanitosi e dignitosi, come i «buoni e giusti».

E travestito voglio sedere io stesso tra voi, che mi sconosca me e voi: questa è infatti la mia ultima accortezza verso gli uomini.

Così parlò Zarathustra.

L'ora più silenziosa

Che mi accade, amici? Mi vedete smarrito, scacciato, docile controvoglia, pronto ad andare, ah, ad andare via da voi!

Sì, ancora una volta Zarathustra deve tornare alla sua solitudine: ma questa volta malvolentieri rientra l'orso nella sua spelonca!

Che mi accade! Chi me lo ordina? Ah, la mia adirata signora vuole così, me lo ha detto; vi ho mai fatto il suo nome?

Ieri verso sera mi parlò la mia ora più silenziosa: ecco il nome della mia terribile signora.

Allora di nuovo sentii parlarmi senza voce: «Che importi tu? Non sei ancora abbastanza umile. L'umiltà ha la pelle più dura di tutto».

E io risposi: «Che cosa non sopportò già la pelle della mia umiltà! Abito ai piedi della mia altezza: come sono alte le mie cime? Nessuno ancora me lo disse. Ma conosco bene le mie valli».

Allora di nuovo sentii parlarmi senza voce: «O Zarathustra, chi ha da spostare montagne sposta anche valli e bassure».

E io risposi: «La mia parola non spostò ancora nessuna montagna e quel che dissi non giunse fino agli uomini. Andai sì dagli uomini, ma non giunsi ancora a loro».

Allora di nuovo sentii parlarmi senza voce: «Che sai tu di questo! La rugiada piove sull'erba proprio quando la notte è più taciturna».

E io risposi: «Essi mi schernirono quando trovai e presi la mia strada; e in verità allora mi tremarono le gambe.

E così mi parlarono: disimparasti la via, ora disimpari anche a camminare!».

Allora di nuovo sentii parlarmi senza voce: «Che importa il loro scherno! Tu sei uno che ha disimparato ad obbedire: ora devi comandare!

Non sai chi è il più necessario di tutti? Chi comanda cose grandi.

Compiere cose grandi è difficile: ma più difficile è comandare cose grandi.

Questo è quel che meno di tutto si può perdonarti: tu hai il potere e non vuoi dominare».

E io risposi: «Mi manca la voce del leone per comandare».

Allora di nuovo sentii parlarmi con un bisbiglio: «Le parole più silenziose sono quelle che suscitano la tempesta. Pensieri che vengono su piedi di colomba, dirigono il mondo.

O Zarathustra, tu devi andare come un'ombra di ciò che ha a venire: così comanderai e comandando precederai gli altri».

E io risposi: «Mi vergogno».

Allora di nuovo sentii parlarmi senza voce: «Devi tornare bambino e senza vergogna.

L'orgoglio della gioventù grava ancora su dite, sei entrato tardi nella giovinezza: ma chi vuole diventare bambino, deve superare ancora la sua giovinezza».

E io meditai a lungo e tremai. Ma alla fine dissi quel che avevo detto all'inizio: «Non voglio».

Allora sentii ridere intorno a me. Ahimè, come mi straziò le viscere e mi spaccò il cuore questo riso!

E per l'ultima volta sentii parlarmi: «O Zarathustra, i tuoi frutti sono maturi, ma tu non sei maturo per i tuoi frutti!

Così devi tornare alla solitudine: perché devi ancora ammorbidirti».

Parte terza

Il viandante

lo sono un viandante e uno scalatore, disse egli al proprio cuore; io non amo le pianure e, a quanto pare, non posso starmene a lungo tranquillo.

E qualunque destino o esperienza mi tocchi, in essi sarà sempre un peregrinare e un salire sulle montagne: alla fine non si esperimenta che se stessi.

E ancora una cosa so: ora mi trovo davanti alla mia ultima vetta e davanti a ciò che più a lungo mi fu risparmiato. Ah, debbo salire la più dura delle mie vette! Ah, ho incominciato la più solitaria delle mie peregrinazioni! Chi però è della mia specie non sfugge a tale ora: all'ora che gli dice: «Solo adesso vai per la tua strada di grandezza! Vetta e abisso sono compresi in uno.

Prima del levar del sole

O cielo sopra di me, tu puro! Tu profondo! Tu abisso di luce! Contemplando rabbrividisco di divine brame.

Precipitami nella tua altezza questa è la mia profondità! Celarmi nella tua purezza questa è la mia innocenza!

Il dio si ammanta della sua bellezza: così tu celi le tue stelle. Tu non parli: così mi manifesti la tua saggezza.

Muto sul mare spumeggiante oggi ti sei levato, il tuo amore e il tuo pudore parlano rivelazione alla mia anima spumeggiante.

Che tu venisti a me così bello, ammantato nella tua bellezza, che tu mi parli tacendo, manifesto nella tua saggezza.

Oh, come potrei non indovinare tutto il pudore della tua anima! Prima del sole venisti a me, al più solitario fra tutti.

Noi siamo amici da sempre: abbiamo in comune mestizia e orrore e fondo: anche il sole abbiamo in comune.

Non parliamo fra noi, perché sappiamo troppo : ci scambiamo silenzio, ci comunichiamo sorridendo il nostro sapere.

Non sei tu la luce per il mio fuoco? Non hai tu l'animasorella della mia contemplazione?

Insieme apprendemmo ogni cosa; insieme apprendemmo a salire al di sopra di noi verso di noi e a sorridere senza nubi:

- a guardar in basso sorridendo senza nubi, con occhi luminosi e da lontananze di miglia, quando sotto di noi come pioggia fumante sono costrizione e scopo e colpa.

E solo peregrinai: di che era affamata la mia anima nelle notti e sulle strade sbagliate? E quando salivo per i monti, chi cercavo mai, se non te, sui monti?

E tutto il mio peregrinare e scalare: era solo una necessità e un aiuto provvisorio per lo sprovvisto di aiuto: volare soltanto era tutta la mia volontà, volare dentro di te!

E chi odiavo più delle nuvole che passano e di tutto ciò che ti contamina? E poi odiavo il mio stesso odio perché esso ti contaminava!

Con le nuvole che passano sono adirato, con questi indolenti rapaci felini: sottraggono a te e a me ciò che abbiamo in comune, l'immane smisurato «dire sì e amen».

Con questi mediatori e rimescolatori siamo adirati, con le nuvole che passano: con questi mezzoemezzi che non imparano a benedire, ma nemmeno a maledire dal profondo.

Meglio per me stare sotto un cielo sbarrato, nella botte, meglio per me stare senza cielo, nell'abisso, che vedere te, cielo di luce, contaminato da nuvole che passano!

E spesso provai la voglia di infilzarle con gli aurei fili seghettati della folgore e, come il tuono, di suonare il tamburo sulla pentola del loro ventre:

un furibondo suonatore di tamburo, perché essi mi rubano il tuo «sì! e amen!», tu cielo, sopra di me, tu puro! Luminoso! Abisso di luce! perché ti rubano il mio «sì! e amen!».

Giacché io preferisco rumore e tuono e le maledizioni del temporale a questa circospetta e dubbiosa quiete felina: e anche fra gli uomini odio soprattutto quelli che camminano senza rumore e i mezzoemezzi e le dubbiose e titubanti nuvole che passano.

Della beatitudine non voluta

- Ah, pensiero abissale, che sei il mio pensiero! Quando troverò la forza di sentirti scavare, senza più tremare? In gola mi balza il cuore, quando ti sento scavare! Il tuo silenzio mi vuole soffocare, tu abisso taciturno!

Della virtù che rimpicciolisce

2.

Questo è il nuovo silenzio che appresi: il loro rumore intorno a me stende un mantello sui miei pensieri.

3.

Io sono Zarathustra, il senza dio: ancora mi cuocio qualsiasi caso fortuito nella mia pentola. E solo quando è giunto a cottura, gli do il benvenuto come mio cibo.

II ritorno in patria

O solitudine! Tu patria mia, solitudine! Troppo a lungo vissi selvaggio in selvaggi paesi stranieri, per non tornare a te con le lacrime!

Ora minacciami solo col dito, come minacciano le madri, ora sorridimi, come sorridono le madri, ora dimmi: «Chi fu che come un vento impetuoso se ne andò da me?

che partendo gridò: troppo a lungo rimasi con la mia solitudine, e disimparai il silenzio! Questo ora l'hai imparato?

O Zarathustra, io so tutto: anche che tra i molti tu, l'uno, eri più abbandonato di quanto fossi mai stato insieme con me!

Una cosa è l'abbandono, altra è la solitudine: questo ora l'hai imparato? E che tra gli uomini sarai sempre selvaggio e straniero:

selvaggio e straniero anche quando essi ti amano: giacché come prima cosa essi vogliono essere risparmiati da ognuno!

Ma qui sei in casa tua; qui puoi manifestare tutto e sfogare tutti i motivi, nulla si vergogna di sentimenti nascosti e ostinati.

O solitudine! Tu patria mia, solitudine! Come mi parla tenera e beata la tua voce!

Non ci interroghiamo l'un l'altro, non ci accusiamo, passiamo insieme, aperti, per porte aperte.

Giacché con te tutto è aperto e chiaro; e anche le ore camminano su piedi più leggeri. Nell'oscurità il tempo pesa infatti più che alla luce.

Qui mi si dischiudono le parole e gli scrigni di parole di tutto l'essere: qui tutto l'essere vuole diventare parola, qui tutto il divenire vuole imparare a parlare da me.

Laggiù invece tutto il parlare è invano! Laggiù, dimenticare e passare oltre è la miglior saggezza: questo ho imparato adesso!

Chi volesse capire tutto fra gli uomini, dovrebbe toccare tutto. Ma a ciò sono troppo pure le mie mani.

Non posso nemmeno respirare il loro alito: ah, aver vissuto così a lungo nel loro frastuono e nei loro alito cattivo!

O beato silenzio intorno a me! Come puro respira dal profondo petto questo silenzio!

Ma laggiù tutto parla e tutto resta inudito. Si può diffondere la propria sapienza con il frastuono delle campane: i mercanti sul mercato lo copriranno con tintinnio di spiccioli.

Tutto fra loro parla, nessuno sa più intendere. Tutto è un buco nell'acqua, nulla cade più in profonde sorgenti.

Tutto fra loro parla, nulla riesce più a giungere al fine. Tutto starnazza: chi vuole più starsene in silenzio nel suo nido a covare uova?

Tutto fra loro parla, tutto viene sbriciolato a forza di parole. E quel che ieri era ancora troppo duro per il tempo e per il suo dente: ecco, penzola rosicchiato e scarnificato dalle bocche degli odierni.

Tutto fra loro parla, tutto viene rivelato. E quel che si chiamava segreto e intimità di anime profonde oggi appartiene agli strombazzatori di strada e ad altre farfalle.

O natura umana, o stupefacente! Tu, frastuono per vie buie! Ora ti ho lasciata di nuovo alle mie spalle: mi sono lasciato alle spalle il mio maggior pericolo!

Nel risparmiare e compassionare consistette sempre il mio più grande pericolo; e ogni natura umana vuoi essere risparmiata e sopportata.

Con verità trattenute, con mano di folle e cuore infatuato e ripieno delle piccole bugie della compassione: così vissi sempre fra gli uomini.

Travestito stavo tra loro, pronto a misconoscere me stesso, per sopportare loro, e cercando spesso di convincermi: «Tu stolto, tu non conosci gli uomini! ».

Si disimparano gli uomini, quando si vive tra gli uomini: c'è troppa superficie in tutti gli uomini a che servono occhi che vedono lontano, che cercano lontano!

E quando mi disconoscevano: io, folle, proprio per questo lì risparmiavo più di me stesso: abituato alla durezza verso me stesso e spesso vendicandomi di questa clemenza.

Dello spirito di gravità

1.

Nutrito di cose innocenti e di poco, pronto e impaziente di volare, di volare via ecco il mio essere: come potrebbe non aver qualcosa dell'uccello!

Tanto più che sono nemico dello spirito di gravità: questo è l'essere dell'uccello: davvero, nemico mortale, nemico giurato, nemico primordiale! Oh, dove non volò, dove non si smarrì volando la mia inimicizia!

Potrei cantarne già una canzone e voglio cantarla: sebbene io sia solo in una casa vuota e debba cantarla alle mie proprie orecchie.

Ci sono, è vero, altri cantori a cui solo la casa piena ammorbidisce l'ugola, rende la mano feconda, l'occhio espressivo, e vivo il cuore: ma io non somiglio a loro.

Delle tre cose cattive

1.

In sogno, nell'ultimo sogno del mattino, mi trovavo oggi su un promontorio, al di là del mondo, e reggevo una bilancia e pesavo il mondo.

Oh, troppo presto venne per me l'aurora: col suo ardore mi svegliò, la gelosa! E sempre gelosa degli ardori dei miei sogni del mattino.

Misurabile per chi ha tempo, pesabile per un buon pesatore, raggiungibile in volo da robuste ali, indovinabile da divini solutori di enigmi: così il mio sogno trovava il mondo:

Il mio sogno, audace veleggiatore, metà nave, metà turbine, muto come farfalle, impaziente come girifalco: come poteva avere oggi pazienza e tempo di pesare il mondo!

Forse gli parlò di nascosto la mia saggezza, la mia desta e ridente saggezza diurna, che schernisce tutti i «mondi infiniti»? Poiché essa dice: «Dov'è forza, là anche il numero è padrone: esso ha più forza».

Con quanta sicurezza guardava il mio sogno questo mondo finito, non curioso del nuovo, non amante del vecchio, senza timore, senza preghiera:

- come se si fosse offerta alla mia mano una mela rotonda, una mela matura, dorata, dalla fresca tenera buccia di velluto: così mi si offerse il mondo:

- come se un albero mi avesse chiamato, un albero dalle lunghe fronde, dalla forte volontà curvata a spalliera e a pedana per lo stanco viandante: così stava il mondo sul mio promontorio:

- come se leggiadre mani mi avessero teso uno scrigno, uno scrigno aperto per la delizia di occhi pudichi e adoranti: così oggi mi si offerse il mondo:

- non abbastanza enigma per respingere l'amore per gli uomini, non abbastanza soluzione per addormentare la saggezza umana: una cosa umanamente buona mi apparve oggi il mondo di cui si dice tanto male!

Come ringrazio il mio sogno del mattino di avermi fatto, oggi all'alba, pesare il mondo! Venne a me come una cosa umanamente buona questo sogno e questo consolatore del cuore!

Il convalescente

2.

Com'è bello che esistano parole e suoni: parole e suoni non sono forse arcobaleni e ponti apparenti tra cose eternamente disgiunte?

Ad ogni anima appartiene un mondo diverso; per ogni anima l'altra anima è un mondo dietro il mondo.

E’ tra le cose più simili fra loro che l'apparenza tesse gli inganni più belli; poiché la più piccola lacuna è anche la più difficile a varcarsi.

Per me come potrebbe esserci un fuoridime? Non c'è nessun fuori! Ma ad ogni suono ce ne dimentichiamo; com'è dolce che dimentichiamo!

Non sono dati alle cose nomi e suoni perché l'uomo trovi ristoro nelle cose? E una bella follia il parlare: con essa l'uomo danza su tutte le cose.

Com'è dolce tutto il discorrere e tutto il mentire dei suoni! Con suoni il nostro amore danza su variopinti arcobaleni.»

Parte quarta e ultima

L'uomo più brutto

«Che strani interlocutori trovai! Voglio masticare a lungo le loro parole come dei buoni semi; il mio dente deve triturarle e ridurle in poltiglia, finché esse mi fluiscano nell'anima come un latte! »

Meriggio

Silenzio! Silenzio! Non divenne or ora perfetto il mondo? Che mi succede?

Come un leggiadro soffio di vento, non veduto, danza sul mare liscio, spianato, lieve come una piuma: così danza il sonno su di me.

Non mi chiude gli occhi, mi lascia l'anima desta. leggero, in verità! Lieve come una piuma.

Mi persuade, non so come, mi tocca dentro, qua e là, con mano carezzevole, mi costringe. Sì, mi costringe a distendere la mia anima:

- come mi diventa lunga e stanca, la mia anima strana! Forse la sorprese la sera di un settimo giorno proprio nel meriggio? Errò già troppo a lungo beata fra cose buone e mature?

Si distende per lungo, lungo, più lungo! Giace silenziosa la mia anima strana. Troppe cose buone ha già gustato, questa è la dorata tristezza che la opprime, ed essa storce la bocca.

- Come una nave rientrata nella sua placida baia: così essa si abbandona per terra, stanca dei lunghi viaggi e dei mari malsicuri. La terra non è più fedele?

Come si accosta alla terra, come si stringe ad essa una simile nave: basta che un ragno dalla terra tessa un filo sino a lei. Non le occorrono più robusti cavi.

Come una nave stanca nella più placida baia: così io mi riposo, vicino alla terra, fedele, fiducioso, in attesa, legato a lei dai più sottili fili.

O felicità! O felicità! Vuoi cantare forse, o anima mia? Sei sdraiata nell'erba. Ma questa è l'ora segreta, solenne, in cui nessun pastore tocca il suo flauto.

Guardatene! L'ardente meriggio dorme nella campagna. Non cantare! Taci! Il mondo è perfetto.

Non cantare, uccello di prato, anima mia! Non bisbigliare! Guarda silenziosa! Il vecchio meriggio dorme, muove la bocca: sta bevendo una goccia di felicità

- una vecchia goccia bruna di felicità d'oro, di vino d'oro? Qualcosa fruscia sopra di lui, la sua felicità ride. Così ride un dio. Silenzio!

- «Alla felicità, basta così poco alla felicità!» Così dicevo una volta e mi credevo accorto. Ma era una bestemmia: l'ho imparato ora. Accorti pazzi parlano meglio.

Proprio la cosa più piccola, più sommessa, più lieve, il fruscio di una lucertola, un soffio, un guizzo, uno sbatter di occhi. Di poco è fatta la miglior felicità. Silenzio!

- Che mi è accaduto: ascolta! E volato via il tempo? Non cado? Non sono caduto ascolta! Nella fontana dell'eternità?

- Che mi accade? Silenzio! Mi trafigge ahi il cuore? Il cuore! Oh, spezzati, spezzati, cuore, dopo tale felicità, dopo tale trafittura.

- Come? Non divenne or ora perfetto il mondo? Rotondo e maturo? Oh, il rotondo anello d'oro dove sta volando? Gli corro dietro! Svelto!

Silenzio

Individuazione

Parte prima - I discorsi di Zarathustra

Delle gioie e delle passioni

Fratello, se hai una virtù ed è la tua virtù, non ce l'hai in comune con nessuno.

E di certo vuoi chiamarla per nome e accarezzarla; vuoi vellicarle l'orecchio e spassartela con lei.

Invece, ecco! Ora hai il suo nome in comune col popolo e sei diventato popolo e gregge, con la tua virtù.

Faresti meglio a dire: «E’ impronunciabile e senza nome ciò che fa il tormento e la dolcezza della mia anima ed è anche la fame delle mie viscere».

La tua virtù sia troppo in alto per la confidenza dei nomi: e se devi parlare di lei, non ti vergognare se balbetti.

Parla dunque, e balbetta: «Questo è il mio bene, questo io amo, così mi piace interamente, solo così io voglio il bene.

Non lo voglio come una legge di Dio, non lo voglio come precetto e necessità umana: non sia per me un segnavia per sovramondi e paradisi.

Una virtù terrena sia quella che amo: in essa è poco intelligenza e meno che mai la ragione di tutti.

Ma quest'uccello edificò il suo nido presso di me: per questo lo amo e lo accarezzo, ora cova presso di me le sue uova d'oro».

Così devi balbettare e lodare la tua virtù.

Un tempo avevi passioni e le chiamavi cattive. Ma ora hai soltanto le tue virtù: sono scaturite dalle tue passioni.

Rendesti cara a queste passioni la tua meta più alta: così esse divennero le tue virtù e le tue gioie.

E che tu fossi della stirpe degli iracondi o di quella dei libidinosi o dei fanatici o dei vendicativi.

Alla fine tutte le tue passioni diventarono virtù e tutti i tuoi diavoli angeli.

Un tempo avevi cani feroci nella tua cantina: ma alla fine si trasformarono in uccelli e in soavi canterine.

Del leggere e dello scrivere

Ho imparato a camminare: da allora faccio in modo di correre. Ho imparato a volare: da allora non aspetto di essere urtato per muovermi dal mio posto.

Della guerra e dei guerrieri

Vedo molti soldati: potessi vedere molti guerrieri! «Uniforme» si chiama ciò che indossano: possa non essere uniforme quel che celano sotto di essa!

Del cammino del creatore

Vuoi, tu, fratello mio, andare nell'isolamento? Vuoi cercare il cammino verso te stesso? Indugiati ancora un poco e ascoltami.

«Chi cerca va facilmente perduto. Ogni isolamento è colpa»: così parla il gregge. E tu lungo tempo appartenesti al gregge.

La voce del gregge risuonerà ancora in te. E quando dirai: «Non ho più una coscienza in comune con voi», ci saranno lamenti e dolore.

Ecco, questo dolore fu generato ancora dalla coscienza in comune: e l'ultimo bagliore di questa coscienza è riflesso ancora nella tua amarezza.

Ma tu vuoi andare per il cammino della tua amarezza, che è il cammino verso te stesso? Mostrami allora se hai il diritto e la forza di fare ciò!

Sei una nuova forza e un nuovo diritto? L'inizio di un movimento? Una ruota che gira su se stessa? Sai costringere anche le stelle a ruotare intorno a te?

Ah, c'è tanta cupidigia di vette! C'è spasimo di ambizione! Mostrami che non sei uno di questi libidinosi e ambiziosi!

Ah, ci sono tanti grandi pensieri che non fanno altro che da mantice: gonfiano e rendono più vuoti.

Ti chiami libero? II tuo pensiero dominante voglio udire e non che ti sei sottratto a un giogo.

Sei uno cui è lecito sottrarsi a un giogo? V'è chi gettò via il suo ultimo valore quando gettò via la sua subordinazione.

Libero da che? Che importa a Zarathustra? Limpido deve annunciarmi il tuo occhio: libero a che scopo?

Sai darti da te il tuo male e il tuo bene e sospendere sopra dite il tuo volere come una legge? Sai essere giudice dite stesso e vindice della tua legge?

Terribile è l'essere soli col giudice e vindice della propria legge. Così una stella viene scagliata fuori nello spazio deserto e nel respiro di ghiaccio della solitudine.

Oggi soffri ancora a causa dei molti, tu uno: oggi hai ancora tutto il tuo coraggio e le tue speranze.

Ma verrà il momento in cui la solitudine ti stancherà, la tua fierezza si piegherà, e il tuo coraggio scricchiolerà. Griderai allora: «Sono solo!».

Non vedrai più la tua altezza e troppo vicina vedrai la tua bassezza; il sublime stesso ti incuterà paura come uno spettro. Griderai allora: «E tutto falso!».

Ci sono sentimenti che vogliono uccidere il solitario; se non vi riescono, sono costretti a morire loro! Ma sei tu capace di questo, di essere assassino?

Conosci già, fratello, la parola «disprezzo»? E il tormento della tua giustizia, di essere giusto con quelli che ti disprezzano?

Tu costringi molti a cambiare opinione al tuo riguardo; essi te ne fanno una grave colpa. Giungesti vicino a loro ma passasti oltre: non te lo perdoneranno mai.

Tu li sorpassi: ma più in alto sali, più piccolo ti vede l'occhio dell'invidia. Più di tutti è odiato chi vale.

«Come potreste voi essere giusti con me!» devi dire «io mi scelgo la vostra ingiustizia come la parte a me dovuta.»

Ingiustizia e sozzura gettano essi sul solitario: ma se vuoi essere una stella, fratello, non devi per questo risplendere oro più debolmente!

E guardati dai buoni e dai giusti. Essi crocifiggono volentieri quelli che si inventano la propria virtù, odiano il solitario.

Guardati anche dalla santa semplicità! Tutto è per lei impuro quel che non è semplice, le piace anche giocare col fuoco dei roghi.

E guardati anche dagli assalti del tuo amore! Troppo facilmente il solitario tende la mano a chi incontra.

A certuni non devi dar la mano, ma soltanto la zampa: e io voglio che la tua zampa abbia anche artigli.

Ma il peggior nemico che puoi incontrare sarai sempre tu stesso; tu tendi insidia a te stesso in boschi e caverne.

Solitario, tu sei in cammino verso te stesso! E passa davanti a te il tuo cammino, e ai tuoi sette demoni.

Eretico sarai per te stesso e strega e indovino e buffone, un dubbioso e un impuro e un malvagio.

Devi volerti bruciare dentro la tua fiamma: come vuoi rinnovarti se non sei ridotto in cenere!

Solitario, tu vai per la strada di colui che crea: un dio vuoi crearti dai tuoi sette demoni.

Solitario, tu vai per la strada di colui che ama: te stesso ami e per questo ti disprezzi, come solo chi ama sa disprezzare.

Creare vuole chi ama, poiché disprezza! Che ne sa dell'amore chi non ha dovuto disprezzare proprio ciò che amava!

Col tuo amore va' nell'isolamento e col tuo creare, fratello, e solo più tardi la giustizia ti seguirà arrancando.

Con le mie lacrime va' nell'isolamento, fratello mio. Io amo chi vuoi creare al di sopra di se stesso e così perisce.

Così parlò Zarathustra.

Parte terza

Il viandante

Chi si è sempre troppo risparmiato, alla fine si ammala del suo essersi troppo risparmiato. Sia lodato ciò che rende duri! Io non lodo il paese dove burro e miele scorrono a fiumi!

Imparare a non vedere in dipendenza da quel che siamo è necessario per vedere molto: questa durezza è necessaria ad ogni scalatore.

Ma chi, come uomo della conoscenza, è con gli occhi indiscreto, come potrebbe vedere in tutte le cose al di là dei loro primi piani!

Ma tu, o Zarathustra, volevi contemplare il fondo o lo sfondo di tutte le cose; così devi salire sopra te stesso, avanti, più in alto, finché avrai sotto dite anche le tue stelle!».

Sì! Guardate dall'alto su di me e anche sulle mie stelle: questo sì sarebbe la mia vetta, questo mi è ancora rimasto come la mia ultima vetta!

Dello spirito di gravità

2.

L'uomo è difficile da scoprire e più difficile che mai da scoprire a se stesso; spesso lo spirito mente nei riguardi dell'anima. Ed è opera dello spirito di gravità.

Ma ha scoperto se stesso colui che dice: questo è il mio bene e male: così ha ridotto al silenzio la talpa e il nano che dice «Buono per tutti, cattivo per tutti».

In verità, io non amo quelli per cui ogni cosa è buona e questo mondo è addirittura il migliore possibile. Io chiamo costoro i sempre contenti.

Contentezza perenne, che sa gustare ogni cosa: ma non è il gusto migliore. Io venero i palati e gli stomaci difficili e caparbi, che impararono a dire «io» e «sì» e «no».

Ma masticare e digerire tutto questo è proprio da maiali! A dire sempre di sì questo io imparò soltanto l'asino e chi è come lui!

Il giallo profondo e il rosso ardente: questo vuole il mio gusto, che mescola sangue a tutti i colori. Ma chi dipinge di bianco la propria casa, tradisce un'anima dipinta di bianco.

Di mummie innamorati gli uni, gli altri di spettri; ed entrambi egualmente avversi a ciò che è carne e sangue oh, come sono entrambi contrari al mio gusto! Poiché io amo il sangue.

E non voglio abitare e sostare là dove ognuno sputa e vomita: questo è appunto il mio gusto, preferisco allora vivere tra ladri e spergiuri. Nessuno ha l'oro in bocca.

Ma ancora più ripugnanti sono per me tutti i leccapiedi; e l'animale umano più ripugnante che abbia mai trovato l'ho battezzato parassita: non voleva amare, ma vivere d'amore.

Sciagurati chiamo tutti quelli che hanno soltanto una scelta: diventare cattivi animali o cattivi domatori: vicino a loro non mi edificherei la capanna.

Sciagurati chiamo anche quelli che devono sempre attendere sono contrari al mio gusto: tutti gli esattori, i mercanti e i re e gli altri custodì di paesi e di negozi.

In verità, imparai anche ad attendere e fino in fondo, ma solo ad attendere me stesso. Ma sopra ogni cosa imparai a star fermo e a camminare e a correre e ad arrampicarmi e a danzare.

Ma questa è la mia dottrina: chi vuol imparare a volare, deve prima imparare a stare fermo e ad andare e a correre e ad arrampicarsi: il volo non si conquista di un volo!

Con scale di corda imparai ad arrampicarmi su più di una finestra, con agili gambe giunsi fino in cima ad alti alberi di nave; starmene appollaiato su alti alberi della conoscenza non mi sembrò poca beatitudine, come fiammella guizzare su alti alberi di nave: piccola luce, invero, ma grande conforto a naviganti e naufraghi sperduti!

Per svariate vie e modi pervenni alla mia verità: non su un'unica scala raggiunsi la cima di dove il mio occhio spazia nelle mie lontananze.

E sempre malvolentieri domandavo la strada era sempre contrario al mio gusto! Preferivo interrogare io stesso le strade e tentarle.

Un tentare e interrogare fu sempre il mio andare: e in verità si deve imparare anche a rispondere a questi interrogativi! Ma questo è il mio gusto:

non è né buono né cattivo: è soltanto il mio gusto, di cui né più mi vergogno né faccio più mistero.

«Questa è ora la mia strada, dov'è la vostra?» così rispondevo a quelli che mi chiedevano «la strada».

La strada infatti non c'è!

Così parlò Zarathustra.

Spiriti liberi e Superuomo

Prefazione di Zarathustra

4.

Ma Zarathustra guardò il popolo e si meravigliò. Poi disse:

L'uomo è una fune sospesa tra l'animale e il superuomo, una fune sopra l'abisso.

Un pericoloso passare dall'altra parte, un pericoloso esser per via, un pericoloso guardarsi indietro, un pericoloso inorridire e arrestarsi.

Quel che è grande nell'uomo è che egli è un ponte e non una meta: quel che si può amare nell'uomo è che egli è transizione e tramonto.

Io amo coloro che non sanno vivere se non per tramontare, perché sono coloro che passano dall'altra parte.

Io amo i grandi spregiatori, perché sono i grandi veneratori e frecce del desiderio verso l'altra sponda.

Io amo coloro che non cercano oltre le stelle una ragione per tramontare e sacrificarsi: bensì si sacrificano alla terra perché divenga un giorno del superuomo.

Io amo colui che vive per conoscere e che vuole conoscere perché un giorno viva il superuomo.

Così egli vuole il proprio tramonto.

Io amo colui che lavora e inventa per edificare la casa al superuomo e preparargli terra animali e piante: perché così egli vuole il proprio tramonto.

Io amo tutti coloro che sono come gocce grevi, che cadono ad una ad una dalla nube oscura sospesa sopra gli uomini: essi annunziano che viene la folgore, e periscono come annunziatori.

Ecco, io sono un annunziatore della folgore e una goccia greve della nube: ma questa folgore si chiama superuomo. –

Io vi dico: si deve avere ancora del caos dentro di sé per poter generare una stella che danza.

Parte prima - I discorsi di Zarathustra

Della virtù che dona

2.

Mille sentieri ci sono, per cui nessuno è ancora andato, mille salvezze e isole nascoste di vita. Inesauribili e inesplorati sono tuttora uomo e terra dell'uomo.

Vegliate e state in ascolto, solitari! Dal futuro giungono venti dal battito d'ala segreto; e a orecchi fini perviene una buona novella.

Voi solitari di oggi, voi che vi appartate, dovrete diventare un popolo: da voi, che scegliete voi stessi, deve nascere un popolo eletto: e da esso il superuomo.

In verità, un luogo di guarigione deve diventare la terra! Già l'avvolge un nuovo profumo, un profumo di salvezza, e una nuova speranza.

Parte seconda

Una volta si diceva Dio, quando si guardavano mari lontani; ma io v'insegnai a dire: superuomo.

Dio è una supposizione: ma io voglio che il vostro supporre non arrivi più lontano della vostra volontà creatrice.

Potreste creare un dio? Allora non parlatemi di dèi! Potreste però creare il superuomo.

Forse non voi stessi, fratelli! Ma potreste trasformarvi in padri e antenati del superuomo: e questo sia il vostro miglior creare!

Dio è una supposizione: ma io voglio che il vostro supporre resti nei limiti della pensabilità.

Potreste pensare un dio? Ma questo significhi per voi volontà di verità, che tutto si trasformi in umanamente pensabile, in umanamente visibile, in umanamente sensibile! Dovete pensare fino in fondo i vostri sensi!.

Parte quarta e ultima

La cena

2.

Davanti a Dio! Ma ora questo dio è morto! Uomini superiori, questo era il massimo pericolo per voi.

Dacché è nella tomba, siete risorti. Solo ora viene il grande meriggio, solo ora l'uomo superiore diventerà padrone!

Comprendete queste parole, o fratelli? Siete spaventati: il vostro cuore si sente mancare? Vi si spalanca davanti l'abisso? Davanti a voi spalanca le fauci il cane infernale?

Orsù! Orsù! Uomini superiori! La montagna del futuro umano ha già le doglie. Dio è morto ora noi vogliamo che viva il superuomo.

3.

I più preoccupati oggi domandano: «Come sopravviverà l'uomo?». Ma Zarathustra è il primo e l'unico a chiedere: «Come sarà l'uomo superato?».

Il superuomo mi sta a cuore, egli è la prima ed unica cosa che io abbia, e non l'uomo: non il prossimo, non il più povero, non il più sofferente, non il migliore.

O fratelli, ciò che mi riesce d'amare nell'uomo è il suo essere transizione e tramonto. E anche in voi molto mi fa amare e sperare.

Che voi abbiate disprezzato, uomini superiori, mi fa sperare. I grandi dispregiatori sono infatti i grandi veneratori.

Che abbiate disperato è segno di molto onore. Poiché non imparaste come arrendervi, non imparaste le piccole accortezze.

Oggi infatti la gente piccina è diventata padrona: essa predica rassegnazione e limitazione e accortezza e diligenza e riguardo e il lungo eccetera delle piccole virtù.

Tutto quello che è femmineo e di origine servile e soprattutto l'intruglio plebeo: questo oggi vuole diventare padrone di ogni destino umano o disgusto! Disgusto! Disgusto!

Questo domanda e domanda e non si stanca di domandare: «Come fa l'uomo a mantenersi nel modo migliore, più piacevole e il più a lungo possibile?». Così costoro sono i padroni di oggi.

Superate i padroni di oggi, fratelli, questa gente piccina: essa è il massimo pericolo per il superuomo!

Superate, uomini superiori, le piccole virtù, le piccole accortezze, i riguardi da granelli di sabbia, il brulicare come formiche, i piaceri meschini, la «felicità dei più»!

E preferite disperare che arrendervi. E, in verità, io vi amo perché non sapete vivere oggi, uomini superiori! E così infatti che voi vivete nel modo migliore!

5.

«L'uomo è cattivo» così mi dicevano per confortarmi tutti i più saggi. Ah, se fosse ancora vero oggi! Poiché la cattiveria è l'energia migliore dell'uomo.

«L'uomo deve diventare migliore e più cattivo» così insegno io. La massima cattiveria è necessaria al meglio del superuomo.

Poteva andar bene per quel predicatore della gente piccina soffrire e scontare il peccato dell'uomo. Ma io mi rallegro del grande peccato come di una mia grande consolazione.

Ma non sono queste cose dette per gli orecchi lunghi. Non si conviene ogni parola ad ogni bocca. Sono cose sottili e remote: e verso di esse non devono spingersi zampe di pecora!

Filosofi, Filosofia e Conoscenza

Parte prima - I discorsi di Zarathustra

Della virtù che dona

3.

Si ripaga male un maestro se si rimane sempre soltanto discepolo.

Parte terza

Della virtù che rimpicciolisce

2.

Io vado in mezzo a questo popolo e tengo gli occhi aperti: sono diventati più piccini e diventano sempre più piccini: ma questo è dovuto alla loro dottrina di felicità e di virtù.

Essi infatti sono modesti anche nella virtù perché vogliono il benessere. Ma col benessere si accorda solo una virtù modesta.

Essi imparano, sì, a modo loro, a camminare e ad avanzare: questo io lo chiamo il loro zoppicare . Così sono di intralcio a chiunque abbia fretta.

E qualcuno di loro avanza, ma avanzando si guarda indietro, con la nuca irrigidita: e uno così mi piace investirlo.

Piede ed occhio non devono mentire né smentirsi a vicenda. Ma c'è molta menzogna presso la gente piccina.

Alcuni di loro vogliono, ma i più sono soltanto voluti. Alcuni di loro sono autentici, ma i più sono soltanto cattivi attori.

Ci sono tra loro attori incoscienti e attori involontari , gli autentici sono sempre rari, e rari sono soprattutto gli attori autentici.

C'è poca virilità: per questo si virilizzano le loro donne. Giacché soltanto chi è uomo abbastanza redimerà la donna nella donna.

E questa simulazione trovai la peggiore di tutte: che anche quelli che comandano simulano le virtù di quelli che servono.

«Io servo, tu servi, noi serviamo» così prega anche la simulazione di quelli che dominano,.e guai, quando il primo signore è soltanto il primo servitore!

Ah, anche nelle loro simulazioni si smarrì la curiosità del mio occhio; e io indovinai bene tutta la loro felicità di mosche e il loro ronzare su vetri caldi di finestre soleggiate.

Tanta bontà, altrettanta debolezza vedo. Tanta giustizia e compassione, altrettanta debolezza.

Rotondi, giusti e benevoli sono l'uno con l'altro, come i granelli di sabbia sono rotondi, giusti e benevoli con i granelli di sabbia.

Abbracciare umilmente una piccola felicità questa essi la chiamano «rassegnazione»! E intanto sbirciano già umilmente verso una nuova piccola felicità.

In fondo essi vogliono ingenuamente una cosa soprattutto: che nessuno faccia loro male. Così prevengono ognuno e gli fanno del bene.

Ma questa è viltà: sebbene si chiami «virtù».

E anche se capita che parli rudemente, questa piccola gente: io non odo in ciò che la loro afonia, giacché ogni corrente d'aria li rende afoni.

Sono accorti, le loro virtù hanno dita accorte. Ma mancano loro i pugni, le loro dita non sanno nascondersi dentro il pugno.

Virtù è per loro ciò che rende umili e miti: così fecero del lupo un cane e dell'uomo stesso il miglior animale domestico dell'uomo.

«Noi collochiamo la nostra sedia nel mezzo mi dice il loro sorriso soddisfatto a uguale distanza da gladiatori morenti e da scrofe appagate.»

Ma questa è mediocrità: sebbene sia chiamata misura.

Arte

Parte seconda

Sulle isole beate

Creare questa è la grande liberazione dal dolore e l'alleggerirsi della vita. Ma poiché il creatore sia, è necessario dolore e molta trasformazione.

Nichilismo

Parte seconda

Il profeta

«e io vidi una grande tristezza venire sugli uomini. I migliori si stancarono delle proprie opere.

Si diffuse una dottrina e accanto le correva una fede: "Tutto è vuoto, tutto è uguale, tutto è stato!".

E da tutte le colline riecheggiò: "Tutto è vuoto, tutto è uguale, tutto è stato! ".

Abbiamo raccolto bene, ma perché tutti i frutti ci marcirono e divennero bruni? Che cosa piovve dalla luna malefica l'ultima notte quaggiù?

Vano fu tutto il lavoro, velenoso è diventato il nostro vino, il malocchio bruciò e ingiallì i nostri campi e i nostri cuori.

Secchi divenimmo; e se cade fuoco su di noi, andiamo in cenere: perfino il fuoco stancammo.

Tutte le fonti si asciugarono davanti a noi, anche il mare si ritirò. Ogni suolo vuole squarciarsi, ma il profondo non vuole inghiottire!

"Ah, dov'è ancora un mare in cui poter annegare": tale echeggia il nostro lamento per depresse paludi.

In verità, siamo già troppo stanchi per morire; siamo ancora desti e continuiamo a vivere in camere mortuarie! »