Crepuscolo degli idoli |
Il ruolo storico di NietzscheDetti e frecce 15. Uomini postumi - io, per esempio - vengono compresi peggio di quelli contemporanei, ma uditi meglio. Più esattamente: non veniamo mai compresi - di qui la nostra autorità... L’uomo come essere naturaleScorribande di un inattuale 14. AntiDarwin. Per quanto riguarda la famosa «lotta per la vita», per ora essa mi sembra più asserita che dimostrata. Avviene, ma come eccezione; l'aspetto complessivo della vita non è lo stato di bisogno, lo stato di fame, bensì la ricchezza, l'opulenza, persino l'assurda dissipazione dove si lotta, si lotta per la potenza... Non si deve scambiare Malthus con la natura. Ma posto che questa lotta esista e in effetti, essa avviene , essa ha purtroppo un esito contrario a quel che si augura la scuola di Darwin, a quel che forse sarebbe lecito augurarsi con essa: ossia a sfavore dei forti, dei privilegiati, delle felici eccezioni. Le specie non crescono nella perfezione: i deboli hanno continuamente la meglio sui forti ciò avviene perché essi sono in gran numero, sono anche più accorti... Darwin ha dimenticato lo spirito (il che è inglese!), i deboli hanno più spirito... Si deve aver bisogno di spirito, per riceverne, lo si perde quando non se ne ha più bisogno. Chi ha la forza, fa a meno dello spirito ( «lascia correre!», si pensa oggi in Germania, «tanto ci resterà il Reich»...). Per spirito intendo, come si vede, la prudenza, la pazienza, l'astuzia, la simulazione, la grande padronanza di sé e tutto quel che è mimicry (a quest'ultima attiene una gran parte della cosiddetta virtù). La natura umana e l’organizzazione del comportamento (Istinto, Libertà, Fato)I quattro grandi errori 8. Nessuno è responsabile del fatto di esistere, di esser fatto in questo o in quel modo, di trovarsi in queste circostanze, in questo ambiente. La fatalità del suo essere non va scissa dalla fatalità di tutto ciò che fu e che sarà. Egli non è la conseguenza di una sua propria intenzione, di una volontà, di uno scopo, con lui non si tenta di raggiungere un «ideale di uomo» o un «ideale di felicità» o un «ideale di moralità», è assurdo voler far rotolare il suo essere verso un qualsiasi scopo. Coscienza e inconscioMorale come contronatura 3. Non diversamente ci comportiamo con il «nemico interiore»: anche qui abbiamo spiritualizzato l'inimicizia, anche qui abbiamo compreso il suo valore. Si è fertili solo a patto di esser ricchi di contrasti; si resta giovani solo a condizione che l'anima non si distenda, non desideri la pace... I quattro grandi errori 3. Il «mondo interiore» è pieno di chimere e fuochi fatui: la volontà è uno di questi. La volontà non muove più nulla, e di conseguenza non spiega nemmeno più nulla accompagna semplicemente gli avvenimenti, ma può anche mancare. 4. La maggior parte dei nostri sentimenti comuni - ogni sorta di inibizione, di pressione, di tensione, di esplosione nell'alterno gioco degli organi, come pure, in particolare, lo stato del nervus sympathicus - stimolano il nostro impulso di causalità: vogliamo avere un motivo di sentirci in questo e in quel modo, - di sentirci male o di sentirci bene. Non ci è mai sufficiente constatare puramente e semplicemente il fatto di sentirci in questo e in quel modo: noi ammettiamo questo fatto - ne diventiamo consapevoli -, solo quando gli abbiamo dato una sorta di motivazione. - Il ricordo, che a nostra insaputa entra in azione in questi casi, fa emergere stati analoghi precedenti e le interpretazioni causali loro connesse - non la loro causalità. Certamente la credenza che le rappresentazioni, i processi della coscienza che le accompagnano, siano stati le cause, viene provocata anche dal ricordo. Nasce così un'abitudine a una determinata interpretazione delle cause, che in verità ostacola, e persino esclude, una ricerca della causa. 5. Spiegazione psicologica di ciò. - Ricondurre qualcosa di non conosciuto a qualcosa di noto solleva, calma, soddisfa, dà inoltre un senso di potenza. Ciò che è ignoto equivale a pericolo, inquietudine, pena, -il primo istinto è quello di eliminare queste sgradevoli situazioni. Primo principio: meglio una spiegazione qualsiasi che nessuna spiegazione. Poiché in fondo si tratta solo della volontà di liberarsi da rappresentazioni opprimenti, non si guarda troppo per il sottile circa i mezzi per liberarsene: la prima rappresentazione con la quale l'ignoto si esplica come noto, fa tanto bene che la si «tiene per vera». Prova del piacere («della forza») come criterio della verità. - L'impulso di causalità è dunque condizionato e stimolato dal sentimento di paura. Il «perché» deve dare, se è possibile, non tanto la causa per se stessa quanto piuttosto una specie di causa una causa che tranquillizzi, liberi, rassereni. Che qualcosa di già noto, vissuto, inscritto nella memoria sia stabilito come causa è la prima conseguenza di questo bisogno. Il nuovo, il non vissuto, l'estraneo, viene escluso come causa. Conseguenza: una specie di ordinamento causale prevale sempre più, si concentra in sistema e alla fine si presenta come predominante, vale a dire escludendo semplicemente altre cause e spiegazioni. - Il banchiere pensa subito agli «affari», il cristiano al «peccato», la fanciulla al suo amore. Psicologia e vissutiPrefazione Conservare la propria serenità in una faccenda fosca e di smisurata responsabilità non è abilità da poco: eppure, che cosa sarebbe più necessario della serenità? Nulla riesce, se la baldanza non vi ha la sua parte. Solo un eccesso di forza è la dimostrazione della forza. Detti e frecce 35. Ci sono casi in cui siamo come cavalli, noi psicologi, e ci prende l'irrequietezza: vediamo la nostra ombra ondeggiare su e giù davanti a noi. Lo psicologo deve prescindere da sé, per poter in genere vedere. Scorribande di un inattuale 7. Morale per psicologi. Non fare della psicologia da venditori ambulanti! Mai osservare per osservare! Ciò dà una falsa ottica, uno strabismo, qualcosa di forzato e di esagerato. Vivere un'esperienza per voler vivere un'esperienza - non porta a nulla. Vivendo un'esperienza, non è lecito guardare a sé, ogni sguardo diventa allora «malocchio». Uno psicologo nato evita per istinto di vedere per vedere; lo stesso vale per il pittore nato. Egli non lavora mai «secondo la natura», - lascia al suo istinto, alla sua camera obscura, di filtrare ed esprimere il «caso», la «natura», l'«esperienza vissuta»... Solo dell'universale egli diviene cosciente, della conclusione, del risultato: quell'arbitrario astrarre dal singolo caso egli non lo conosce. Cosa succede se ci si comporta diversamente? Se per esempio, al modo dei romanciers parigini, si fa in grande e in piccolo una psicologia da venditori ambulanti? In questo modo si tendono per così dire agguati alla realtà, in questo modo si porta a casa ogni sera una manciata di cose curiose... Ma si guardi solo a che cosa ne viene fuori alla fine - un mucchio di scarabocchi, nel migliore dei casi un mosaico, in ogni caso qualcosa di addizionato insieme, di inquieto, di stridente. 26. Non ci stimiamo più abbastanza quando apriamo il nostro cuore. Le nostre vere e proprie esperienze vissute non sono affatto loquaci. Non potrebbero comunicare se stesse neppure se volessero. Questo perché manca loro la parola. Le cose per le quali troviamo parole, sono anche quelle che abbiamo già superato. In ogni discorso c'è un granello di disprezzo. La lingua, a quanto sembra, è stata inventata soltanto per ciò che è mediocre, medio, comunicabile. Con il linguaggio, chi parla già si volgarizza. - Da una morale per sordomuti e altri filosofi. MistificazioneLa «ragione» nella filosofia 6. Favoleggiare di un mondo «altro» da questo non ha senso, presupponendo che non sia potente in noi l'istinto di diffamare, sminuire, render sospetta la vita: nel qual caso ci vendichiamo della vita con la fantasmagoria di una vita «altra», «migliore». Tipologie di carattereforza/debolezza Detti e frecce 8. Dalla scuola di guerra della vita. Quello che non mi ammazza mi rende più forte. passione/ragione Il problema di Socrate 11. Ho fatto capire come Socrate affascinava: egli appariva come un medico, come un salvatore. E’ ancora necessario indicare l'errore insito nel suo credere alla «razionalità a ogni costo»? I filosofi e i moralisti ingannano se stessi se credono di uscire dalla décadence per il solo fatto di combatterla. L'uscirne fuori va oltre le loro forze: quello che essi scelgono come rimedio, come salvezza, è a sua volta soltanto una ulteriore espressione della décadence - essi trasformano la sua espressione, ma non la eliminano. Socrate fu un equivoco; l'intera morale del miglioramento, anche quella cristiana, fu un equivoco... La più abbagliante luce diurna, la razionalità a ogni costo, la vita chiara, fredda, cauta, cosciente, senza istinto, in opposizione agli istinti, fu essa stessa soltanto una malattia, un'altra malattia - e niente affatto un ritorno alla «virtù», alla «salute», alla felicità... Dover combattere gli istinti ecco la formula della décadence, sino a che la vita si innalza, felicità è uguale a istinto. Morale come contronatura 1. Tutte le passioni hanno un tempo in cui sono soltanto funeste, e con il peso della stupidità trascinano in basso la loro vittima e un tempo più tardo, assai più tardo, in cui si sposano con lo spirito, si «spiritualizzano». Una volta, a causa della stupidità insita nella passione, si faceva guerra alla passione stessa: si congiurava per annientarla tutti i vecchi mostri della morale sono unanimi sul fatto che «il faut tuer les passions». La formula più famosa di questo è nel Nuovo Testamento, in quel Discorso della Montagna in cui, detto tra parentesi, le cose non vengono affatto considerate dall'alto. Ad esempio vi si dice, riferendosi alla sessualità, «se il tuo occhio ti molesta, strappalo»: fortunatamente nessun cristiano agisce secondo questo precetto. Annientare le passioni e i desideri unicamente per prevenire la loro stupidità e le spiacevoli conseguenze della loro stupidità, oggi ci appare soltanto come una forma acuta di stupidità. Non ammiriamo più i dentisti che strappano i denti affinché non dolgano più... La «ragione» nella filosofia 5. Contrapponiamo infine il modo diverso in cui noi (- dico noi per cortesia...) guardiamo al problema dell'errore e dell'apparenza. Una volta si considerava la trasformazione, il mutamento, il divenire in genere come prova dell'apparenza, come segno che doveva esserci qualcosa ad indurci in errore. Oggi invece, nell'esatta misura in cui il pregiudizio della ragione ci costringe a stabilire unità, identità, durata, sostanza, causa, materialità, essere, ci vediamo in certo qual modo irretiti nell'errore, necessitati all'errore; per quanto siamo sicuri, in base a una rigorosa verifica con noi stessi, che qui stia l'errore. Accade esattamente come per i movimenti di un grande astro: lì l'errore ha per costante avvocato il nostro occhio, e qui il nostro linguaggio. Il linguaggio appartiene, secondo la sua origine nel tempo, alla forma più rudimentale di psicologia: se prendiamo coscienza dei presupposti fondamentali della metafisica del linguaggio - in parole più chiare, della ragione penetriamo in un rozzo feticismo. Esso vede ovunque autore e atto: crede nella volontà come causa in generale; crede nell'«io», nell'io come essere, nell'io come sostanza, e proietta la fede nell'io-sostanza su ogni cosa solo così crea il concetto di «cosa»... L'essere viene penetrato col pensiero, interpolato ovunque come causa; solo dalla concezione dell'«io» segue, come derivato, il concetto di «essere»... All'inizio sta la grande sciagura dell'errore per cui la volontà è qualcosa che agisce, - per cui la volontà è una facoltà... Oggi noi sappiamo che è solo una parola... Solo molto più tardi, in un mondo mille volte più illuminato, i filosofi si accorsero con sorpresa della sicurezza, della soggettiva certezza nell'adoperare le categorie della ragione: essi conclusero che queste non potevano derivare dall'empiria, anzi, che tutta quanta l'empiria era in contraddizione con esse. Da dove provenivano dunque? E tanto in India quanto in Grecia si commise lo stesso errore: «già una volta abbiamo dimorato in un mondo superiore ( anziché in uno assai inferiore: il che sarebbe stata la verità!), dobbiamo essere stati divini, giacché abbiamo la ragione!»... Istinto del gregge: Costume, Morale, DirittoMorale come contro natura 4. - Formulo un principio. Ogni naturalismo nella morale, ossia ogni morale sana, è dominata da un istinto della vita, - un certo precetto della vita è adempiuto con un determinato canone di «devi» e «non devi», un certo ostacolo e una certa ostilità sulla via della vita viene in tal modo tolto di mezzo. La morale contronatura, ossia quasi ogni morale che sino ad oggi sia stata insegnata, venerata e predicata, si volge invece proprio contro gli istinti della vita, è una condanna ora nascosta, ora sfrontata e aperta, di quegli istinti. Dicendo «Dio guarda il cuore», dice no ai più bassi e ai più alti desideri della vita, e intende Dio come nemico della vita... Il santo in cui Dio si compiace è il castrato ideale... La vita finisce là dove inizia il «regno di Dio»... 6. Consideriamo infine anche quale ingenuità sia dire: «l'uomo dovrebbe essere così e così!». La realtà ci mostra una incantevole ricchezza di tipi, il rigoglio di un dissipante gioco e mutamento di forme: e un qualche miserabile fannullone di moralista dice: «no! l'uomo dovrebbe essere diverso»! Sa persino come dovrebbe essere, questo bigotto e piagnone; dipinge se stesso sulla parete e dice «ecce homo!»... Ma persino quando il moralista si rivolge soltanto al singolo e gli dice «tu dovresti essere così e così!», non cessa di rendersi ridicolo. L'individuo è un frammento di fato da cima a fondo, una legge in più, una necessità in più per tutto ciò che viene e che sarà. Dirgli «cambiati» significa pretendere che tutto si cambi, persino alI’indietro... E in realtà ci furono moralisti conseguenti che volevano l'uomo diverso, ossia virtuoso, lo volevano a propria immagine, ossia bigotto: a tale scopo negarono il mondo! Una follia non da poco! Una specie di immodestia niente affatto modesta!... La morale, nella misura in cui essa condanna, in sé, non sotto i riguardi, le considerazioni, le intenzioni della vita, è un errore specifico di cui non si deve aver pietà, una idiosincrasia di degenerati, che ha provocato danni indicibili!... Noi altri, noi immoralisti, abbiamo invece spalancato il nostro cuore a ogni sorta di comprensione, di intendimento, di approvazione. Non neghiamo facilmente, e cerchiamo il I «miglioratori» dell’umanità 5. Con una formula si potrebbe dire: tutti i mezzi grazie ai quali sinora l'umanità ha dovuto esser resa morale, erano fondamentalmente immorali.- Scorribande di un inattuale 36. Morale per medici. - II malato è un parassita della società. In certe condizioni non è decoroso vivere più a lungo. Continuare a vegetare in una imbelle dipendenza dai medici e dalle pratiche mediche, dopo che è andato perduto il senso della vita, il diritto alla vita, dovrebbe suscitare nella società un profondo disprezzo. I medici dal canto loro dovrebbero essere i portatori di questo disprezzo, - non ricette, ma ogni giorno una nuova dose di disgusto per il loro paziente... Creare una nuova responsabilità, quella del medico, per tutti quei casi in cui l'interesse supremo della vita, della vita che ascende, esiga il reprimere e lo spinger da parte, senza alcun riguardo, la vita che degenera responsabilità, ad esempio, per il diritto alla procreazione, per il diritto di nascere, per il diritto di vivere... Sull’educazioneQuel che manca ai Tedeschi 5. Occorrono educatori che siano essi stessi educati, spiriti superiori, nobili, provati tali in ogni momento, provati tali dalla parola e dal silenzio, culture diventate mature, dolci non i dotti tangheri che il ginnasio, e l'università offrono oggi alla gioventù come «superiori nutrici». Mancano gli educatori, a parte le eccezioni delle eccezioni, la condizione prima dell'educazione: di qui la decadenza della cultura tedesca. - Quello che le «scuole superiori» della Germania effettivamente ottengono è un brutale addestramento per rendere utilizzabili, sfruttabili per il servizio statale, con la minor perdita di tempo, un numero esorbitante di giovani. «Educazione superiore» e numero esorbitante è sin dal principio una contraddizione. Ogni educazione superiore appartiene solo all'eccezione: si deve essere privilegiati, per aver diritto a un così alto privilegio. Tutte le cose grandi e belle non possono mai essere patrimonio comune: pulchrum est paucorum hominum. - Che cosa determina la decadenza della cultura tedesca? Il fatto che l'«educazione superiore» non sia più un privilegio - il democratismo della «cultura» divenuta «generale», comune... Nessuno è ormai più libero, nella Germania di oggi, di dare ai propri figli una buona educazione: le nostre scuole «superiori» sono organizzate tutte sulla più equivoca mediocrità quanto a insegnanti, a programmi, a finalità educative. E ovunque regna una fretta indecorosa, come se andasse perduto qualcosa se il giovane a 23 anni non ha ancora «finito», non sa ancora rispondere alla «questione principale»: quale professione? - Una specie superiore di uomini, con licenza parlando, non ama le «professioni», appunto perché si sa designata... Ha tempo, prende tempo, non pensa affatto a «finire» a trent'anni si è, nel senso di un'alta cultura, un principiante, un fanciullo. - I nostri ginnasi strapieni, i nostri insegnanti ginnasiali sovraccarichi, instupiditi, sono uno scandalo. Maschile e femminileDetti e frecce 27. Sì ritiene che la donna sia profonda - perché? perché con essa non si giunge mai al fondo. La donna non è nemmeno piatta. 28. Quando la donna ha virtù virili, c'è da scappare; e se non ha alcuna virtù virile, è lei stessa a scappare. ReligioneDetti e frecce 7. E che? l'uomo è soltanto un errore di Dio? Oppure Dio è soltanto un errore dell'uomo? – 18. Chi non sa porre la propria volontà nelle cose, vi pone almeno un senso: crede, cioè, che in esse esista già una volontà (principio della «fede»). Cristianesimo e MisticismoI «miglioratori» dell’umanità 2. Un primo esempio, e del tutto provvisorio. In ogni tempo si sono voluti «render migliori» gli uomini: soprattutto questo portava il nome di morale. Ma sotto una stessa parola stan nascoste le tendenze più diverse. Sia l'addomesticamento della bestia uomo, che l'allevamento di una determinata specie di uomini sono stati chiamati «miglioramento»: solo questi termini zoologici esprimono delle realtà - realtà, invero, di cui il «miglioratore» tipico, il prete, nulla sa nulla vuole sapere... Definire l'addomesticamento di un animale il suo «miglioramento», ai nostri orecchi suona quasi come uno scherzo. Chi conosce quel che succede nei serragli, dubita che proprio lì la bestia venga «migliorata». Essa viene indebolita, resa meno nociva, attraverso il sentimento depressivo della paura, attraverso il dolore, le ferite, la fame, essa diviene una bestia malaticcia. - Non diversamente stanno le cose con l'uomo addomesticato, che il prete ha «reso migliore». Nei primo Medioevo, quando in effetti la Chiesa era innanzitutto un serraglio, si dava ovunque la caccia ai più begli esemplari della «bionda bestia» si «miglioravano» ad esempio i nobili Germani. Ma come appariva poi un tale Germano «migliorato», sedotto al chiostro? Come una caricatura d'uomo, come un aborto: era diventato «peccatore», stava in una gabbia, lo si era rinserrato tra idee semplicemente terribili... Ora se ne stava lì, malato, meschino, incattivito contro se stesso: pieno di odio verso gli impulsi alla vita, pieno di sospetto per tutto quanto fosse ancora forte e felice. Insomma, un «cristiano»... Per dirla in termini fisiologici: nella lotta con la bestia, renderla malata può essere l'unico mezzo per indebolirla. La Chiesa lo ha capito: essa ha guastato l'uomo, lo ha indebolito ma ha preteso di averlo «reso migliore»... L’uomo comuneDetti e frecce 39. Parla il deluso. - Cercavo grandi uomini, e ho trovato sempre e soltanto le scimmie del loro ideale. Introversione Quel che manca ai Tedeschi 6. - Imparare a vedere - abituare l'occhio alla calma, alla pazienza, al lasciar giungere a sé le cose; rimandare il giudizio, imparare a rigirare e ad abbracciare il singolo caso da ogni lato, questa la prima introduzione alla spiritualità: non reagire subito a uno stimolo, ma padroneggiare gli istinti che inibiscono, che isolano. Imparare a vedere, così come l'intendo io, è all'incirca ciò che il linguaggio non filosofico chiama forte volontà: l'essenziale in esso è appunto non «volere», saper sospendere il giudizio. Ogni mancanza di spiritualità, ogni bassezza poggiano sulla incapacità di resistere a uno stimolo - si deve reagire, si segue ogni impulso. In molti casi un tale «dovere» è già uno stato di malattia, è già decadenza, sintomo di esaurimento, quasi tutto quello che la rozzezza non filosofica indica con il nome di «vizio», è soltanto quella incapacità fisiologica di non reagire. - Un'applicazione pratica dell'aver imparato a vedere: come allievi si sarà diventati lenti, diffidenti, riluttanti. Si lascerà dapprima avvicinare a noi l'estraneo, il nuovo di ogni specie in silenzio ostile - se ne ritrarrà la mano. Lo stare con tutte le porte aperte, il deferente chinar la schiena di fronte a ogni piccolo fatto, l'esser sempre pronti a balzare, a precipitarsi dentro questa e quella cosa, insomma la famosa «obiettività» moderna è cattivo gusto, è non nobile par excellence. – Scorribande di un inattuale 17. Gli uomini più spirituali, premesso che siano i più coraggiosi, vivono anche le tragedie di gran lunga più dolorose: ma onorano la vita, appunto perché essa oppone loro la sua più forte ostilità. 45. Il delinquente e ciò che gli è affine. - Il tipo del delinquente è il tipo dell'uomo forte in condizioni avverse, un uomo forte reso malato. Gli mancano i luoghi selvaggi, una certa natura e una forma di esistenza più libera e pericolosa, in cui sia legittimo tutto ciò che nell'istinto dell'uomo forte è arma e difesa. Le sue virtù sono messe al bando dalla società; gli impulsi più vivi che egli ha ancora con sé, presto si deformano a contatto di affetti deprimenti, del sospetto, del timore, del disonore. Ma questa è press'a poco la ricetta della degenerazione fisiologica. Chi deve fare di nascosto, con lunga tensione, cautela, astuzia, le cose che sa far meglio, le cose che farebbe più volentieri, diventa anemico; e poiché dai suoi istinti egli miete solo pericolo, persecuzione, sciagura, anche il suo sentimento verso questi istinti si stravolge - li sente come una fatalità. E’ la società, la nostra società mansuefatta, mediocre, castrata, il luogo in cui un uomo genuino, che proviene dai monti o dalle avventure sul mare, necessariamente degenera in criminale. O quasi necessariamente, perché ci sono casi in cui un uomo simile si dimostra più forte della società: il corso Napoleone è il caso più famoso. Per il problema che qui si presenta, è significativa la testimonianza di Dostoevskij Dostoevskij, l'unico psicologo, tra l'altro, dal quale ho imparato qualcosa: lo annovero tra i più bei casi fortunati della mia vita, ancor più della scoperta di Stendhal. Quest'uomo profondo, che ebbe dieci volte ragione a disprezzare la superficialità dei Tedeschi, ha percepito in modo assai diverso da quanto egli stesso si aspettava i deportati siberiani, in mezzo ai quali visse a lungo, tutti criminali incalliti per i quali non esisteva più alcuna via di ritorno nella società li ha percepiti quasi fossero intagliati nel legno, nel legno migliore, più duro e pregiato che cresca in terra russa. Generalizziamo il caso del delinquente: immaginiamo nature alle quali, per un qualche motivo, manchi il comune consenso, le quali sappiano di non esser ritenute benefiche, utili, - quel sentimento-ciandala di non esser considerate come uguali, ma come reiette, indegne, contaminatrici. Tutte le nature di questo genere hanno nei loro pensieri e nelle loro azioni il colore del sottosuolo; in esse tutto diventa più smorto che in coloro sulla cui esistenza si posa la luce del giorno. Ma quasi tutte le forme di esistenza che noi oggi elogiamo hanno vissuto una volta in questa aria semisepolcrale: lo scienziato, l'artista, il genio, lo spirito libero, l'attore, il commerciante, il grande scopritore... Quel che debbo agli antichi 1. Per finire, una parola su quel mondo per il quale ho cercato accessi, per il quale ho forse trovato un nuovo accesso il mondo antico. Il mio gusto, che forse è l'opposto di un gusto tollerante, anche in questo caso è lontano dal dire sì in blocco: in genere non dice volentieri sì, preferisce dir no, e più ancora non dir nulla... Ciò vale per intere culture, ciò vale per i libri, ciò vale anche per luoghi e paesaggi. In fondo, il numero di libri antichi che contano nella mia vita è assai limitato; e i più famosi non sono tra essi. Il mio senso per lo stile, per l'epigramma come stile si destò quasi all'improvviso nell'accostarmi a Sallustio. Non ho dimenticato lo stupore del mio venerato maestro Corssen quando dovette dare il voto più alto al suo peggior latinista , avevo finito in un lampo. Conciso, rigoroso, con il massimo possibile di sostanza alla base, con una fredda cattiveria verso la «bella parola», e anche verso il «bel sentimento» in questo io indovinai me stesso. Si riconoscerà in me, sin dentro il mio Zarathustra, una ambizione assai seria di stile romano, per ciò che nello stile è «aere perennius». - Non altrimenti mi successe al mio primo contatto con Orazio. Sino ad ora non ho provato con nessun altro poeta lo stesso rapimento artistico che mi diede sin dall'inizio un'ode di Orazio. Ciò che essa raggiunge, in certe lingue non lo si può nemmeno volere. Questo mosaico di parole, in cui ogni parola espande la sua forza come suono, come posizione, come concetto, a destra e a sinistra e sopra il tutto, questo minimum nell'estensione e nel numero dei segni e questo maximum così ottenuto nell'energia dei segni tutto ciò è romano e, se mi si vuol credere, aristocratico par excellence. Al suo confronto tutta l'altra poesia diventa qualcosa di troppo popolare, una mera loquacità del sentimento... IndividuazionePrefazione La guerra è sempre stata la grande saggezza di tutti gli spiriti divenuti troppo interiori, troppo profondi; persino nella ferita v'è ancora una forza risanatrice. Da molto tempo il mio motto preferito è un detto, la cui origine tengo celata alla curiosità erudita: Un'altra guarigione, da me talvolta ancor più desiderata, è nell'auscultare gli idoli... Al mondo ci sono più idoli che realtà: è questo il mio «cattivo sguardo» per questo mondo, e questo è anche il mio «cattivo orecchio»... Porre qui, per una volta, domande col martello e, forse, udire per risposta quel famoso suono cupo che parla di visceri enfiati che delizia per uno che, dietro le orecchie, ha ancora altre orecchie - per me vecchio psicologo e acchiappatopi, davanti a cui deve trovar voce proprio ciò che vorrebbe restare in silenzio.. Detti e frecce 21. Mettersi solo in situazioni ove non si debbano possedere false virtù, ma in cui piuttosto, come il funambolo sulla corda, o si cade o si sta fermi oppure se ne viene fuori... 37. Corri avanti? - Lo fai come pastore? o come eccezione? Un terzo caso sarebbe: come l'evaso... Primo problema di coscienza. 38. Sei schietto? o solo un attore? uno che rappresenta qualcosa? o la stessa cosa rappresentata? - Alla fine sei semplicemente la scimmiottatura di un attore... Secondo problema di coscienza. 41. Vuoi andare con gli altri? o andare avanti? o andartene per conto tuo?... Si deve sapere che cosa si vuole e che lo si vuole. - Quarto problema di coscienza. 42. Erano gradini per me, li ho saliti - a tal fine ho dovuto oltrepassarli. Ma quelli credevano che volessi riposarmi su di loro... 44. Formula della mia felicità: un sì, un no, una linea retta, una meta… Vita attiva e vita contemplativa Detti e frecce 40. Sei uno che sta a guardare? o che interviene? - o che guarda da un'altra parte, si fa da parte... Terzo problema di coscienza. Filosofi, Filosofia e ConoscenzaLa «ragione» nella filosofia 1. Mi chiedete tutto quel che è idiosincrasia nei filosofi... Per esempio la loro mancanza di senso storico, il loro odio per l'idea stessa del divenire, il loro egizianesimo. Credono di rendere onore a una cosa destoricizzandola, sub specie aeterni, - facendo di essa una mummia. Tutto quello che i filosofi hanno avuto tra le mani per millenni, erano mummie di concetti; nulla di reale uscì vivo dalle loro mani. Questi signori idolatri del concetto, quando adorano, uccidono, imbalsamano - diventano un pericolo mortale per ogni cosa, quando adorano. La morte, il mutamento, la vecchiaia, così come la procreazione e la crescita, per loro sono obiezioni addirittura confutazioni. Ciò che è, non diviene; ciò che diviene, non è... allora credono tutti, addirittura con disperazione, a ciò che è. Ma giacché non arrivano a possederlo, cercano le ragioni per cui ne vengono privati. «Dev'esserci una finzione, un inganno, nel fatto che non percepiamo ciò che è; dove si nasconde l'ingannatore?» - «Lo abbiamo», gridano beati, «è la sensibilità! Questi sensi, per altro sempre così immorali, ci ingannano sul vero mondo. Morale: liberarsi dall'inganno dei sensi, dal divenire, dalla storia, dalla menzogna, la storia non è altro che fede nei sensi, fede nella menzogna. Morale: dire no a tutto ciò che presta fede ai sensi, a tutto il resto dell'umanità: questo è tutto "popolo". Essere filosofi, essere mummie, rappresentare il monotonoteismo con mimica da becchini! - E soprattutto basta con il corpo, questa miserevole idée fixe dei sensi! affetto da tutti gli errori della logica che esistano, confutato, persino impossibile, eppure tanto impudente da atteggiarsi a reale!...» Detti e frecce 3. Per vivere soli bisogna essere o un animale o un dio dice Aristotele. Manca il terzo caso: bisogna essere l'uno e l'altro, un filosofo... 5. Voglio, una volta per tutte, non sapere molto. - La saggezza pone dei limiti anche alla conoscenza. 11. Può un asino essere tragico? - Perire sotto un peso che non si può né portare né gettar via?... Il caso del filosofo. Scienza Scorribande di un inattuale 15. Casistica di psicologi. - Quello è un conoscitore di uomini: a che scopo in realtà egli studia gli uomini? Vuole arraffare piccoli vantaggi su di loro, o anche grandi, - è un politico!... Anche quell'altro è un conoscitore di uomini: e voi dite che non vuole nulla per sé, che è un grande «impersonale». Guardate meglio! Forse vuole addirittura un vantaggio anche peggiore: sentirsi superiore agli uomini, poterli guardare dall'alto, non confondersi più con loro. Questo «impersonale» è uno che disprezza gli uomini: e quel primo è la specie più umana, nonostante ogni apparenza. Egli almeno si mette alla pari, almeno ci si mette dentro... ArteScorribande di un inattuale 8. Sulla psicologia dell'artista. - Perché esista arte, perché esista un qualsiasi fare e contemplare artistico, è indispensabile un presupposto fisiologico: l'ebbrezza. L'ebbrezza deve prima aver accresciuto l'eccitabilità dell'intera macchina: altrimenti non si giunge all'arte. Tutte le specie di ebbrezza, per quanto diversamente condizionate, possiedono la forza di far ciò: soprattutto l'ebbrezza dell'eccitazione sessuale, la più antica e originaria forma di ebbrezza. Ugualmente l'ebbrezza che sopraggiunge al seguito di tutte le grandi brame, di tutti i forti affetti; l'ebbrezza della festa, della gara, del pezzo di bravura, della vittoria, di ogni commozione estrema; l'ebbrezza della crudeltà; l'ebbrezza della distruzione; l'ebbrezza prodotta da determinati influssi meteorologici, per esempio l'ebbrezza della primavera; oppure dall'influsso dei narcotici; infine l'ebbrezza della volontà, di una volontà sovraccarica e turgida. - L'essenziale nell'ebbrezza è il senso dell'aumento di forza e della pienezza. Da questo si comunicano sentimenti alle cose, le si costringe a prendere da noi, le si violenta questo processo vien detto idealizzare. Sbarazziamoci qui di un pregiudizio: l'idealizzare non consiste, come comunemente si crede, nel togliere o eliminare ciò che è piccolo, secondario. Quel che importa è piuttosto spinger fuori, grandiosamente, i tratti principali in modo che gli altri scompaiano. 9. In questa condizione si arricchisce tutto della propria pienezza: quel che si vede, quel che si vuole, lo si vede rigonfio, compresso, forte, sovraccarico di forza. In questa condizione l'uomo trasforma le cose, sino a che non riflettano la sua potenza, sino a che non divengano riflessi della sua perfezione. Questo dover trasformare in qualcosa di perfetto è arte. Anche tutto quello che egli non è, diviene tuttavia per lui piacere di sé; nell'arte l'uomo gode se stesso come perfezione. - Sarebbe lecito immaginarsi una condizione opposta, una specifica antiartisticità dell'istinto, - un modo di essere che impoverisca, assottigli, intisichisca tutte le cose. E in effetti la storia è ricca di simili antiartisti, di simili affamati della vita: che di necessità debbono ancora prendere le cose per come sono in sé, logorarle, renderle più misere. Detti e frecce 33. Quanto poco ci vuole per essere felici! Il suono di una zampogna. Senza musica la vita sarebbe un errore. Il tedesco pensa che persino Dio canti delle canzoni. EsteticaScorribande di un inattuale 10. Che cosa significano i concetti antitetici, da me introdotti nell'estetica, di apollineo e dionisiaco, ambedue intesi come specie dell'ebbrezza? L'ebbrezza apollinea tiene soprattutto eccitato l'occhio, sicché esso riceve la forza della visione. Il pittore, lo scultore, l'epico sono visionari par excellence. Nello stato dionisiaco viene invece eccitato e potenziato l'intero sistema degli affetti: sicché questo scarica in una volta tutti i suoi mezzi espressivi e allo stesso tempo fa venir fuori la forza del rappresentare, del riprodurre, del trasfigurare, del trasformare, ogni specie di mimica e di teatralità. L'essenziale rimane la facilità della metamorfosi, l'incapacità di non reagire ( come avviene per certi isterici, i quali a un cenno qualunque entrano in qualunque ruolo). Per l'uomo dionisiaco è impossibile non capire una qualsiasi suggestione, egli non si lascia sfuggire alcun segno dell'affetto, possiede nel grado più alto l'istinto di comprendere e indovinare, così come possiede, nel grado più alto, l'arte di comunicare. Egli entra in ogni pelle, in ogni affetto: si trasforma continuamente. La musica, così come l'intendiamo noi oggi, è ugualmente un'eccitazione e una scarica totale degli affetti, tuttavia è solo il residuo di una sfera espressiva dell'affetto molto più piena, un semplice residuum dell'istrionismo dionisiaco. Per rendere possibile la musica come arte particolare, si sono messi a tacere una quantità di sensi, soprattutto il senso muscolare (almeno relativamente: poiché in un certo grado ogni ritmo parla ancora ai nostri muscoli): sicché l'uomo non imita e non rappresenta più, subito con il proprio corpo, tutto ciò che sente. Tuttavia è questo il normale stato veramente dionisiaco, O comunque lo stato originario; la musica è la sua specificazione, lentamente raggiunta a spese delle facoltà più affini. 19. Bello e brutto. - Nulla è più condizionato, diciamo anche più limitato, del nostro senso del bello. Chi volesse pensarlo scevro del piacere che l'uomo prova per l'uomo, perderebbe subito il terreno sotto i piedi. Il «bello in sé» è soltanto una parola, non è neppure un concetto. Nel bello l'uomo si pone come misura di perfezione: in determinati casi egli vi adora se stesso. Una specie non può far altro che consentire in tal guisa soltanto a se stessa. Il suo istinto più basso, quello della conservazione e dell'accrescimento di sé, si irradia anche in queste sublimità. L'uomo crede il mondo stesso sovraccarico di bellezza, egli dimentica di esserne la causa. Lui soltanto gli ha fatto dono della bellezza, ah!, solo di una bellezza umana, troppo umana... 20. Nulla è bello, soltanto l'uomo è bello: su questa ingenuità si basa ogni estetica, essa è la sua prima verità. Aggiungiamoci subito anche la sua seconda: nulla è brutto, tranne l'uomo che degenera, - così viene circoscritto l'ambito del giudizio estetico. - A una verifica fisiologica, ogni bruttezza indebolisce e affligge l'uomo. Essa gli ricorda la decadenza, il pericolo, l'impotenza; l'uomo ci perde realmente in forza. Si può misurare l'effetto del brutto con il dinamometro. Quando l'uomo in genere viene avvilito, allora fiuta la vicinanza di qualcosa di «brutto». Il suo senso di potenza, la sua volontà di potenza, il suo coraggio, il suo orgoglio questo con il brutto cade, con il bello si potenzia... Nell'uno come nell'altro caso traiamo una conclusione: le sue premesse sono accumulate in enorme quantità nell'istinto. Il brutto viene inteso come segno e sintomo di degenerazione: quel che sia pure alla lontana ricorda la degenerazione, provoca in noi il giudizio di «brutto». Ogni segno di esaurimento, di pesantezza, di vecchiaia, di stanchezza, ogni specie di non libertà, come il crampo, la paralisi, soprattutto l'odore, il colore, la forma del disfacimento, della putrefazione, sia pure nella loro estrema rarefazione in simbolo tutto ciò provoca un'identica reazione, il giudizio di valore «brutto». Un odio qui insorge: che cosa odia allora l'uomo? Ma non esiste dubbio: il tramonto del suo tipo. Egli qui odia dal più profondo istinto della specie; in questo odio c'è brivido, preveggenza, profondità, lungimiranza, - è l'odio più profondo che esista. E a causa sua l'arte è profonda...
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