F. Volpi

Nichilismo

Enciclopedia filosofica Bompiani
RCS, Milano 2010
NICHILISMO O NIHILISMO (nihlism, Nihilismus, nihilisme; nihilismo).

Il termine, che deriva dal lat. nihil: «nulla», indica in generale una dottrina filosofica o una concezione del mondo in cui tutto ciò che è (gli enti, le cose, il mondo e in particolare i valori e i principi) è negato e ridotto a nulla. La storia del concetto mette in luce come esso sia usato in modo sporadico nella trattatistica teologica ereticale, e riceva poi una prima definizione filosofica a cavallo tra Settecento e Ottocento nelle controversie che segnano la nascita dell'idealismo tedesco. Tuttavia, soltanto nella seconda metà dell'Ottocento esso si impone come termine generale per indicare un movimento di ribellione ideologica e sociale originatosi in Russia. Ancora più tardi, con Nietzsche, si ha la principale teorizzazione del nichilismo nell'accezione oggi più conosciuta, la quale ha esercitato una vasta influenza sul pensiero del Novecento, soprattutto tedesco ma anche francese e italiano. La presenza diffusa del termine - un tempo riservato a poche avanguardie intellettuali - fa capire che esso è l'espressione di un profondo malessere che tormenta la cultura contemporanea e fende come una crepa l'autocomprensione del nostro tempo: esso si accompagna, sul piano storico-sociale, ai processi di secolarizzazione e di razionalizzazione, cioè di disincanto e di frantumazione della nostra immagine del mondo, e ha provocato sul piano filosofico, in merito alle visioni del mondo e ai valori ultimi, il diffondersi del relativismo e dello scetticismo.

Sommario: I. Per una storia del problema e del concetto. - II. Le prime occorrenze. - III. Il concetto tra Settecento e Ottocento: nichilismo, romanticismo, idealismo. - IV. Il nichilismo ottocentesco: anarchismo e populismo nel pensiero russo. - V. Il nichilismo europeo: Nietzsche. - VI. Il nichilismo nel Novecento: 1. La «cultura della crisi» e il nichilismo estetico-letterario. - 2. Il nichilismo come essenza della metafisica: Heidegger. - 3. Oltre la linea del nichilismo: ]ünger versus Heidegger. - 4. Il nichilismo in Francia e in Italia.

I. Per una storia del problema e del concetto.

Il fenomeno del nichilismo, quale tentativo di sperimentare nella teoria e nella prassi la potenza del nulla, si impone con una evidenza che è pari alla difficoltà di comprenderlo in una definizione chiara e univoca, tanto più che le indagini storiche sulla genesi del termine hanno portato alla luce un intreccio multiforme di nomi, concetti ed eventi. Una prima definizione, suggerita dall'etimologia, invita a intendere il nichilismo come la forma di pensiero ossessionata dal nulla: in questo senso esso si ritrova un po' ovunque nella storia della filosofia occidentale, perlomeno in ogni filosofia in cui il nulla emerge come problema centrale. Il primo nichilista della storia occidentale sarebbe allora Gorgia, per la fulminea inferenza che di lui ci è tramandata (H. Diels -W. Kranz [a cura di], Die Fragmente der  Vorsokratiker, Berlin 1951-526, 82 B 3): nulla è; ma, anche fosse, non sarebbe conoscibile; e se anche fosse conoscibile, non sarebbe comunicabile (anermeneuton). In questa prospettiva una storia del nichilismo dovrebbe includere la lunga serie di trattazioni sul nulla che, come un'insopprimibile ombra, da sempre si sono accompagnate alla riflessione filosofica: per ottemperare al compito che la caratterizza, l'interrogazione intorno all'essere in quanto essere, la filosofia è chiamata a demarcare quest'ultimo dalla sua opposizione essenziale, cioè dal nulla. Una storia del nichilismo, tuttavia, deve necessariamente limitare il proprio campo d'indagine alle trattazioni del problema e del concetto di nichilismo in senso stretto, così come esso è emerso nel pensiero filosofico già dalla seconda metà del secolo scorso e poi soprattutto nel Novecento.

II. Le prime occorrenze.

Se si prescinde da una primissima, ma non meglio attestata occorrenza in Agostino, che apostrofa come nihilisti coloro che negano Dio, il termine compare per la prima volta nella variante nihilianismus in Gualtiero di San Vittore, che lo usa per indicare l'eresia cristologica che nega la natura umana di Cristo. Solo molto più tardi compare la forma nihilismus nel trattato di F.L. Goetzius De nonismo et nihilismo in theologia (1733). Nelle lingue moderne, la prima occorrenza si trova in francese, nella pamphletistica della Rivoluzione. L'attributo nihiliste o rienniste fu impiegato allora per qualificare chi non era «né per, né contro la Rivoluzione». A. Cloots - membro della Convenzione nazionale che fu poi ghigliottinato - affermava che «la Repubblica dei diritti dell'uomo non è né teista né atea, è nichilista» (discorso del 27 dicembre 1793). Occorrenze molto precoci del termine si riscontrano anche in italiano. P. Galluppi lo impiega incidentalmente nelle Considerazioni filosofiche sull'idealismo trascendentale e sul razionalismo assoluto (1845) per definire la posizione filosofica di Zenone di Elea che nega il movimento. Anche C. Cattaneo lo usa all'incirca negli stessi anni, sia pure solo come designazione spregiativa. Ma è soprattutto F. De Sanctis che se ne serve per qualificare la posizione filosofica di Leopardi che eleva il nulla a principio di tutte le cose. Mettendo in rilievo la contraddizione tra lo struggimento poetico di Leopardi nel nulla, da un lato, e il suo radicamento nel razionalismo illuministico, dall'altro, egli afferma del grande poeta: «La sua volontà debole e scissa non lo lascia venire a conclusione stabile a coerenza filosofica, sospeso e scisso tra un nichilismo assoluto e disperato e velleità individuali e umanitarie».

III. Il concetto tra Settecento e Ottocento: nichilismo, Romanticismo, Idealismo.

Un primo vero uso filosofico del termine si registra verso la fine del XVIII secolo nelle controversie intorno all'idealismo. Nella contrapposizione dell'idealismo al realismo e al dogmatismo, esso è impiegato - in senso positivo o negativo, a seconda dei punti di vista - per caratterizzare l'operazione filosofica mediante la quale l'idealismo intende «annullare», nella riflessione, l'oggetto del senso comune e mostrare che esso è il prodotto di una invisibile e inconscia attività del soggetto. Il nichilismo significa allora, nell'accezione positiva, la distruzione filosofica di ogni presupposto. In quella negativa, invece, la distruzione delle evidenze e delle certezze del senso comune e l'annientamento della realtà oggettiva. F.H. Jacobi accusa in questo senso l'idealismo di essere un nichilismo. La prima esplicita occorrenza del termine è contenuta in una sua missiva a Fichte, stesa nel marzo e pubblicata nell'autunno del 1799, nella quale egli confessa: «In verità, mio caro Fichte, non deve infastidirmi se Lei, o chicchessia, vuole chiamare chimerismo quello che io contrappongo all'idealismo, a cui muovo il rimprovero di nichilismo» (F.H. Jacobi an Fichte in Jena. Eutin 3.-21. März 1799, in J.G. Fichte, Gesamtausgabe der Bayerischen Akademie der Wissenschaften, a cura di R. Lauth - H. lacobs - H. Gliwitzky, Stuttgart - Bad Cannstatt 1962 ss., serie III, vol. III: Briefe 1796-1799, ivi 1972, pp. 222-281, qui 245; cfr. anche 223). Che il termine entrasse allora in circolazione, lo conferma il fatto che esso è usato anche da altri autori dell'età romantica. Per esempio da F. Schlegel e lean Paul. Soprattutto quest'ultimo, nella Clavis Fichtiana seu Leibgeberiana (1800) e poi in un intero capitolo della Vorschule der Ästhetik (1804), critica i «nichilisti Poetici», cioè gli artisti romantici: ebbri del loro io, radicalmente «egoisti», essi celebrano unicamente il libero gioco della fantasia, cioè l’attività spontanea dell'io creatore, e finiscono per annientare ogni non-io, la materia, l'intero universo, Dio compreso, nelle «onde leteiche dell'eterno nulla». Ma siffatto ateismo spezza l'intero universo in una miriade di io isolati, senza unità e connessione, in cui ognuno sta solo di fronte a quel Nulla al cui cospetto perfino Cristo deve disperare dell'esistenza di Dio-padre - come Jean Paul immagina in Rede des toten Christus, vom Weltgebäude herab, daβ kein Gott sei (1796). Il termine ricorre anche nel giovane Hegel, nel saggio Glauben and Wissen (1802). Qui egli prende posizione in merito alla controversia tra Jacobi e Fichte e li critica entrambi, assieme a Kant, come dualisti, in quanto non riescono a risolvere completamente l'essere nel pensiero e dunque mantengono una dicotomia ontologica. In questo contesto Hegel afferma - contro Jacobi - che il «nichilismo della filosofia trascendentale» di Fichte è un passo metodologico inevitabile, ma al tempo stesso - contro Fichte - che il suo nichilismo è meramente relativo ed è incapace di giungere a quel pensiero puro in cui l'opposizione all'essere è completamente superata. «Primo compito della filosofia», «compito del nichilismo», è di arrivare a «conoscere il nulla assoluto», cioè giungere alla «compiutezza del vero nulla». Va notato che, a differenza di quanto accadrà nella Wissenschaft der Logik (1812), in questo scritto è il nulla, non l'essere, a fungere da punto di partenza. Ha qui la sua origine la diagnosi nichilistica della transizione al mondo moderno che Hegel sviluppa in termini di «morte di Dio», «ateismo», «fatalismo», «pessimismo», «egoismo», «atomismo», e così pure la convinzione che la dialettica debba attraversare la negatività e il nichilismo, cioè il «sentimento che Dio è morto», pur considerandolo solo come uno dei momenti della vita dello spirito.

In una accezione diversa il termine è impiegato poi da F. von Baader nell'articolo Űber Katholicismus (1824), in cui egli sostiene che il protestantesimo avrebbe prodotto, da un lato, un «nichilismo scientifico, distruttivo» e, dall'altro, un «pietismo (misticismo) non scientifico, separatista», e che il cattolicesimo deve combattere entrambe le tendenze per ripristinare «il concetto di autorità in senso ecclesiastico, politico e scientifico contro ogni dubbio o protesta, antichi o nuovi». Due anni dopo, nella prolusione accademica Uber die Freiheit der Intelligenz (1826), egli definisce il nichilismo come l'«abuso dell'intelligenza distruttivo per la religione» e lo contrappone all’«oscurantismo», cioè alla «altrettanto riprovevole inibizione del suo uso derivante in parte dal timore per il sapere, in parte dal disprezzo del sapere». Nichilismo e oscurantismo, identificati rispettivamente con l'uso troppo libero o troppo inibito della ragione, sono entrambi stigmatizzati come sintomi della degenerazione della vita religiosa, sociale e civile. Il nichilismo è dunque ormai diventato una categoria per l'analisi e la critica della società, e tale accezione si afferma con chiarezza in Donoso Cortés. Nell'Ensayo sobre el catolicismo, el liberalismo y el socialismo (1851) egli considera il nichilismo come una delle perversioni del razionalismo, cioè dell'illuminismo, affermando che bisogna combatterne gli effetti disgregatori che portano alla negazione del governo divino e umano del mondo. Sta invece a sé, e viene sostanzialmente ignorato dai suoi contemporanei, il nichilismo nomade di M. Stirner: il suo capolavoro Der Ein-zige und sein Eigentum (1844) ha un esito apertamente nichilistico, anche se il termine non vi compare mai come tale. Compendiando la sua posizione nella massima: «Io non ho fondato la mia causa su nulla», Stirner si scaglia con furore iconoclastico contro tutte le concezioni, le astrazioni e le idee che pretendono di rappresentare l'individuo, rivendicando il diritto inalienabile alla sua ineffabile unicità.

IV. Il nichilismo ottocentesco: anarchismo e populismo nel pensiero russo.

Nella Russia della seconda metà dell'Ottocento il nichilismo diventò la denominazione per indicare un importante movimento di ribellione sociale. A rivendicare la paternità del termine in questa accezione fu I.S. Turgenev, che nel romanzo Padri e figli (1862) definisce «nichilista» il personaggio di Bazarov. Costui incarna la figura del giovane ribelle che non crede in nulla e lotta contro l'ordine inveterato e i vecchi princìpi dei padri. Sa di dover negare, di dover calpestare le credenze e i valori tradizionali ormai in frantumi, per poter affermare il nuovo. Nella figura di Bazarov - scrive Turgenev - «si compendiava ai miei occhi quell'insieme di princìpi che fu poi chiamato nichilismo. |...| Della parola da me creata: "nichilista", si sono valsi allora molti che non attendevano che l'occasione, il pretesto per arrestare il movimento da cui era trascinata la società russa» {Memorie letterarie, ed. it. a cura di E. Damiani, Firenze 1992, p. 198). Effettivamente il nichilismo diventò un fenomeno di portata generale che impregnò l'atmosfera culturale dell'intera epoca. Fuoriuscendo dall'ambito delle discussioni filosofiche, esso si innestò nel tessuto della società, fondendosi a componenti anarchiche e libertarie, e mettendo in moto un vasto e profondo processo di trasformazione. I teorici del nichilismo russo (N.A. Dobroljubov, D. Pisarev, S.G. Necaev, MA. Bakunin) si impegnarono in una rivolta anti-romantica e antimetafisica dei «figli contro i padri», contestando l'autorità e l'ordine esistente, specialmente i valori della religione, della metafisica e dell'estetica tradizionali, considerate come illusioni e «nullità» che andavano distrutte L'elaborazione letteraria più alta della problematica nichilista si ebbe con Dostoevskij. Scrittore universale, destinato a influire non solo in Russia ma su tutta la letteratura europea, egli diede corpo nelle figure e situazioni esistenziali create dai suoi romanzi - specialmente Delitto e castigo (1863), 1 demoni ( 1873 ) e I fratelli Karamazov (1879-80) - a intuizioni e motivi filosofici che misero in circolazione l'esperienza nichilistica e, insieme a Nietzsche, la trasmisero al pensiero novecentesco.

V. Il nichilismo europeo: Nietzsche.

È nell'opera di Nietzsche, in particolare nei frammenti degli anni ottanta pubblicati postumi nella dubbia compilazione Der Wille zur Macht (1901, seconda edizione più che raddoppiata 1906), che il nichilismo diventa oggetto di una esplicita riflessione filosofica. Da un punto di vista storico, in quegli anni, dopo gli attentati in Russia che avevano fatto emergere nell'opinione pubblica l'equiparazione di nichilismo e terrorismo, in tutta Europa si parlava del fenomeno. Ma ciò che spinse Nietzsche a occuparsene intensamente in una prospettiva filosofica furono, oltre a Padri e figli di Turgenev, soprattutto due letture: gli Essais de psychologie contemporaine (1883) di P. Bourget, nei quali il nichilismo è descritto come «male del secolo», come effetto concomitante della decadente vita cosmopolitica moderna; e Dostoevskij, che Nietzsche scoperse molto tardi, solo nel 1877, nel pieno del febbrile lavoro alla progettata Volontà di potenza. Nel chiedersi che cosa sia propriamente il nichilismo, egli risponde con una sentenza lapidaria: «Nichilismo: manca il fine; manca la risposta al "perché?"; che cosa significa nichilismo? - che i valori supremi si svalutano» (cfr. Opere, a cura di G. Colli - M. Montinari, Milano 1964 ss. 1 in seguito Opere], voi. 8, t. 2, p. 12). Il nichilismo è dunque il processo storico nel corso del quale i supremi valori tradizionali - Dio, la verità, il bene - perdono la loro forza e periscono. Tale processo segna nel profondo la storia del pensiero europeo come storia di una decadenza, anzi, è la logica stessa della decadenza: il suo atto originario è la fondazione della dottrina dei due mondi a opera di Socrate e Platone, vale a  dire la postulazione di un mondo ideale, trascendente, in sé, che in quanto mondo vero è sovraordinato al mondo sensibile, considerato invece come mondo apparente. Si produce così una frattura che spacca l'essere in due e  innesca una tensione in seguito alla quale il mondo vero, ideale, finisce per perdere progressivamente il suo valore, fino a essere annullato e distrutto.

Nietzsche distingue diverse forme di nichilismo. 1 ) Il nichilismo incompleto, nel quale i vecchi valori vengono distrutti, ma i nuovi vanno a occupare il medesimo posto dei precedenti, cioè conservano un carattere soprasensibile, ideale. Non scompare dunque la distinzione tra mondo vero e mondo apparente, e rimane ancora operante una fede: per rovesciare i valori si deve ancora credere in un ideale, c'è ancora un «bisogno di verità». Come forme di nichilismo incompleto Nietzsche nomina: a) in ambito politico il nazionalismo, lo chauvinismo, il socialismo e l'anarchismo; b) in ambito scientifico lo storicismo e il positivismo; e) in ambito artistico il naturalismo e l'esteticismo francesi. 2) Il nichilismo completo, nel quale con i vecchi valori è distrutto anche il luogo che essi occupavano, cioè il mondo vero, ideale, soprasensibile. Tale nichilismo può essere: a) un nichilismo passivo, come il pessimismo e il buddhismo, che è segno di un «declino e regresso della potenza dello spirito», incapace di raggiungere i fini finora perseguiti; b) oppure un nichilismo attivo, che manifesta la «cresciuta potenza dello spirito» la quale si esplica nel promuovere e nell'accelerare il processo di distruzione (cfr. Opere, voi. 8, t. 2, pp, 12-13). Nietzsche chiama inoltre estrema la forma di nichilismo attivo che toglie di mezzo non solo i valori tradizionali, ma anche il luogo soprasensibile da loro occupato (cfr. Opere, vol. 8, t. 2, pp. 13-14). Solo con l'abolizione di tale luogo ideale si apre lo spazio per una nuova posizione di valori: in riferimento al fatto che in tal modo il nichilismo estremo crea spazio e «viene fuori» allo scoperto, Nietzsche parla pure di nichilismo estatico (cfr. Opere, vol. 7, t. 3, p. 222). Il carattere negativo che connota il nichilismo come tale assume qui un senso positivo, nella misura in cui esso consente la nuova posizione di valori basata sul riconoscimento della volontà di potenza quale carattere fondamentale di tutto ciò che è. Il nichilismo supera allora definitivamente la sua incompletezza e diventa nichilismo classico. È questo il nichilismo che Nietzsche rivendica come proprio quando dice di essere «il primo perfetto nichilista d'Europa, che però ha già vissuto in sé fino in fondo il nichilismo stesso - che lo ha dietro di sé, sotto di sé, fuori di sé» (cfr. Opere, vol. 8, t. 2, pp. 392-393).

VI. Il nichilismo nel Novecento.

1. La «cultura della crisi» e il nichilismo estetico-letterario. - La diagnosi del nichilismo come decadenza dei valori e la lungimirante previsione delle sue conseguenze resero Nietzsche un autore di successo, tanto che egli giunse a occupare nell'anima tedesca il posto che prima di lui, e nella sua stessa formazione intellettuale, era stato di Schopenhauer. In tal modo la sua opera ha allungato la sua ombra su gran parte del pensiero e della cultura di fine Ottocento e dei primi decenni del Novecento, e anche in seguito non ha cessato di tormentare l'autocom-prensione filosofica del nostro tempo. Nella scia di Nietzsche si collocano figure come G. Simmel, che da Nietzsche ricava il motivo del Kulturpessimismus e della «tragedia della cultura», ma soprattutto O. Spengler, che funse da punto di riferimento, in positivo e in negativo, per un'intera serie di critiche della civiltà o di «filosofie della crisi» che caratterizzarono l'atmosfera culturale tra le due guerre, e che furono accompagnate da una copiosa letteratura di analoghe tendenze, nella quale è sovente riconoscibile l'esigenza di superare le patologie nichilistiche della modernità. Per segnalare solo alcuni tra i nomi e i titoli che si potrebbero nominare al riguardo: Die Seele und die Formen ( 1911 ) di G. Lukàcs; Zur Kritìk der Zeli (1912) e Von kommenden Dingen (1917) di W. Rathenau; Die Krise der europaischen Kultur (1917) di R. Pannwitz; Geschichte als Sinnge-bung des Sinnlosen (1919) e Die verfluchte Kultur (1921) di T. Lessing; Gestaltwandel der Götter (1920) del neognostico L. Ziegler; Verfall und Wiederaufbau der Kultur (1923) di A. Schweitzer; Briefe vom Corner See. Cedanken über Tech-nik (1927) di R. Guardini; Das Spektrum Europas (1927) di H. Keyserling; Das Unbehagen in der Kultur (1929) di S. Freud, Der Gcist als WidersacherderSeele (1929-32) dello psicologo, mitologo e grafologo L. Klages. In campo filosofico, uscite dalla crisi nichilistica sono prospettate da E. Bloch in Erbschafl dieser Zeit (1918), da Lukàcs in Geschichte und Klassen-bewuβtsein (1923), da M. Scheler in Der Mensch im Zeitalter des Ausgleichs ( 1929), da Jaspers in Die geistige Situation der Zeit ( 1931 ), da Husserl in Die Krisis der europäischen Wissenschaften (1936), da Horkheimer e Adorno in Dialektìk der Aufklärung (1947). II fenomeno non è peraltro limitato all'ambito culturale di lingua tedesca, ma si manifesta in tutta Europa: nella Francia di P. Valéry (La Crise de l'ésprit, 1919) e |. Benda (La Trahison des clercs, 1927), ma anche in quella degli emigrati russi L.  Šestov (La Philosophie de la tragedie, 1926) e N. Berdiaev (Un nouveau Moyen Age, 1927) e di R. Guénon (La Crise du monde moderne, 1927); nella Spagna di J. Ortega y Gasset (La rebelión de las masas, 1930); nell'Olanda di J. Huizinga con In de schaduwen van morgen (1935) e Geschonden wereld (1945). Nella generale sfiducia nei confronti degli ideali ottimistici del progresso si avvertiva sempre più l'ingombrante presenza di una forza che - comunque la si chiamasse, volontà di potenza (Nietzsche), élan vital (Bergson), Erlebnis (Dilthey) o Leben (Simmel, Klages), es o inconscio (Freud), archetipico (lung), demoniaco (T. Mann) - non appariva più governabile dalla ragione, anzi, sembrava asservirla alle proprie cieche finalità. Veniva allora quasi spontaneo il ricorso alle risorse ancora praticabili in alternativa alla razionalità, prima fra tutte l'arte. La letteratura della crisi pullula di fermenti speculativi che mirano ad attraversare il nichilismo sfruttando il potenziale emancipatorio dell'arte. R. Musil, H. Broch, ma soprattutto G. Benn e E. Jünger fanno ricorso alle risorse estetico-letterarie della creazione, della forma e dello stile, recependo la diagnosi nietzscheana della decadenza. La quale, almeno in ambito tedesco, s'impose con tale vigore da caratterizzare in maniera significativa l'esperienza di un'intera generazione e da attrarre persino autori educati ai valori dell'umanesimo classico, come i fratelli Mann.

2. Il nichilismo come essenza della metafisica-. Heidegger. - Fra coloro che nel Novecento si sono confrontati a fondo con l'esperienza del nichilismo, un posto di primo piano spetta a M. Heidegger. Anche per lui fu decisivo l'incontro con Nietzsche, iniziato con la lettura giovanile della Volontà di potenza. In Sein und Zeit (1927) tale interesse diventa più esplicito, e verso la fine degli anni venti si consolida ulteriormente, specie nelle lezioni del 1929-30 (ora in GA, voli. 29-30). Nei suoi scritti un uso preciso del termine nichilismo compare tuttavia soltanto negli anni trenta, quando lo studio di Nietzsche si combina con l'attenzione per la negatività che contrassegna l'epoca moderna, interpretata nel quadro della storia dell'essere. Solo a questo punto il nichilismo diventa una delle categorie privilegiate per interpretare il lato notturno dell'Occidente. L'intrecciarsi di questi due motivi è segnalato da una citazione apparentemente occasionale nel celebre discorso di rettorato Die Selbstbehauptung der deutschen Universität (1933, ora in GA, voi. 16), in cui Heidegger ricorda la tesi nietzscheana sulla morte di Dio come radicale denuncia della condizione di spaesatezza e di abbandono dell'uomo odierno. Colpito da tale sentenza, Heidegger intende pensare fino in fondo l'esperienza moderna della negatività, confrontandosi sia con la prospettiva di Hegel, che respinge come non sufficientemente radicale, sia con Nietzsche, con cui ingaggia un pluriennale confronto durante il quale affronta in modo esplicito la questione del nichilismo. La prima rilevante occorrenza del termine si incontra nelle lezioni su Schelling del 1936; un passo espunto nella versione da Heidegger stesso rielaborata per la pubblicazione [Schllings Abhandlung über das Wesen der menschlichen Freiheit (1809, Tubingen 1971, p. 28, e ora reintegrato in GA, vol. 42, pp. 40-41) lascia supporre che all'approfondimento della questione del nichilismo abbiano concorso motivazioni legate agli eventi dell'epoca e all'uso strumentale del concetto da parte di ideologi del movimento nazionalsocialista, che avevano bollato la filosofia di Heidegger come «un esplitico ateismo e un nichilismo metafisico» (E. Krieck).

È verosimile che l'impiego tanto rozzo di un concetto filosofico alto come metafisica, associato al termine nichilismo, che pullulava nei testi di Nietzsche ma il cui significato più profondo era ancora da definire, rappresentasse per Heidegger una provocazione. Sta di fatto che nella seconda metà degli anni trenta il termine nichilismo assume sempre più nel suo pensiero il ruolo di categoria centrale per capire la metafisica e la logica del suo sviluppo storico. In particolare, dal 1936-37 egli inizia una impressionante serie di lezioni - in gran parte edite nel 1961 nei due volumi intitolati Nietzsche (ora in GA, voi. 6, tt. 1 e 2) - interamente dedicate a Nietzsche e ai suoi cinque capisaldi filosofici: il nichilismo, la trasvalutazione dei valori, la volontà di potenza, l'eterno ritorno dell'uguale e il superuomo. Questo corpo a corpo con Nietzsche occupò il decennio forse più drammatico nella vita di Heidegger, segnato dalla delusione per l'esperienza del rettorato e da una grave crisi esistenziale che si acuì nel 1938 - alla conclusione della grande opera apparsa postuma Beiträge zur Philosophie (Vom Ereignis) (ora in GA, vol. 65) - e che si ripete nell'immediato dopoguerra per la pesante situazione personale in cui egli si era venuto a trovare. La serie di corsi su Nietzsche - culminati con le lezioni del secondo trimestre 1940 Nietzsche-. Der europäische Nihilismus (ora in GA, vol. 48) - sono la base per capire le ulteriori meditazioni heideggeriane sul problema, vale a dire il saggio inedito Das Wesen des Nihilismus del 1946-48 (ora edito insieme al trattato del 1938/39 Die Uberwindung der Metaphysik, in GA, vol. 67) e il confronto negli anni cinquanta con Jünger (cfr. infra). Da tutti questi scritti emerge che il nichilismo non è per Heidegger soltanto quella spettrale ma contingente ombra che accompagna la storia europea tra Ottocento e Novecento, e che la grande letteratura - specialmente con Turgenev e Dostoevskij - ha tentato di catturare, ma è assai di più. È un movimento che inerisce all'essenza stessa della metafisica occidentale e che, in ultima istanza, è riconducibile alla storia dell'essere, ovvero alla dinamica di donazione e sottrazione, dedizione e rifiuto, manifestatone e occultamento, presenza e latenza, che caratterizza il suo «evento» (Ereignis).

Oltre la linea del nichilismo, Jünger versus Heidegger. - Un memorabile confronto sul nichilismo e sulle possibilità di superarlo, ebbe luogo tra Jüinger e Heidegger. Spetta al primo, con l’intervento Űber die Linie (1950), offerto a Heidegger in occasione del suo sessantesimo compleanno, il merito di avere attirato l'attenzione sul problema. Al secondo, con la sua risposta in occasione dei sessant'anni di Jünger (1955), quello di esservi ritornato sopra richiamando a una maggiore radicalità speculativa. Oggetto del contendere è la «linea» del nichilismo, cioè il limite a cui l'epoca contemporanea è giunta. È il «meridiano zero» oltre il quale non valgono più i vecchi strumenti di navigazione e dove, sottoposto a un'accelerazione tecnologica sempre più veloce, lo spirito del nostro tempo è disorientato. Mentre per Jünger le élites spirituali debbono avere il coraggio di andare in avanscoperta e oltrepassare la linea - Űber die Linie significa per lui trans lineam - Heidegger non crede che ciò sia già possibile, e invita quindi «coloro che pensano» a riflettere con maggior prudenza sulla linea del nichilismo - il titolo vuol dire per lui de linea - cercando di sondarne i fondamenti metafisici, Jünger sviluppa così una penetrante fenomenologia del nichilismo come processo dell'ormai onnipervasivo «svanimento dei valori» e, azzardando una terapia della malattia nichilistica, raccomanda la difesa dei ristretti ma inviolabili spazi dell'interiorità individuale e delle rare oasi di libertà - l'eros, l'arte, l'amicizia, la morte - in cui rifugiarsi per resistere al «vortice de! nichilismo». Al contrario, Heidegger - che di Jünger si era intensamente occupato fin dai primi anni trenta (cfr. GA, vol. 90) - ritiene che, prima di voler superare il nichilismo, sia indispensabile coglierne l'essenza, e ciò significa capire che esso non è una «macchinazione» dovuta alla cattiva volontà dell'uomo, bensì un evento che appartiene alla storia stessa dell'essere, al suo donarsi e sottrarsi nelle diverse aperture storico-epocali della metafisica. Le tracce di questo movimento di «donazione» e «sottrazione» dell'essere possono essere riconosciute nei tratti fondamentali della storia della metafisica, da Platone fino alla tecnica moderna. Quest'ultima porta a compimento il nichilismo in quanto considera e tratta esclusivamente l'ente dimenticando l'essere come tale: il nichilismo è il destino epocale in cui «dell'essere non è niente» (cfr. GA, vol. 6, t. 2, p. 304; tr. it. a cura di F. Volpi, Nietzsche, Milano 1994, p. 812). Per Heidegger si tratta allora di compiere un passo indietro: non stimolare la volontà di oltrepassare il nichilismo, né allestire alla meglio una nuova strumentazione per procedere nella navigazione a ogni costo, ma pensare a una «topologia» del nichilismo e individuare nella storia dell'essere il luogo essenziale in cui si decide il destino del nichilismo. La sola disposizione in grado di corrispondere a ciò non è la volontà di superarlo, ma la Celassenheit, l'«abbandono».

4. Il nichilismo in Francia e in Italia. - Il nichilismo non è stato appannaggio del pensiero tedesco, ma si è riflettuto su di esso anche altrove, in particolare nell'esistenzialismo francese, in J.-P. Sartre e A. Camus, nei quali il fondersi di esistenzialismo e nichilismo ha dato un contributo importante alla chiarificazione della condizione umana. In L'Etre et le néant (1943), per esempio, senza che il concetto sia esplicitamente tematizzato, si avverte ovunque la presenza di un nichilismo quasi ostentato, nella misura in cui il nulla e la negatività svolgono una funzione centrale nel cogliere e nel definire il carattere radicalmente libero dell'esistenza umana, del per-sé, nella sua contrapposizione all'opacità delle cose, all'in-sé. Lo stesso vale per Camus, che ha sviluppato il tema del nichilismo lungo il filo conduttore dei due motivi che lo ossessionano: l'assurdo e la rivolta metafisica della finitudine, fornendo in L'Homme revolté ( 1951) una delle analisi più illuminanti e profonde del fenomeno. La tematica del nichilismo ha attecchito anche in altri luoghi e momenti del pensiero francese contemporaneo. A dare un'idea della sua diffusa presenza sono sufficienti, per il loro valore di paradigma e per le suggestioni che evocano, due nomi: G. Bataille ed E.M. Cioran. L'opera del primo è attraversata da cima a fondo dalla lucida consapevolezza che il nichilismo è un'ombra costante che inevitabilmente ci accompagna quando pensiamo in assenza di dei o quando ci sforziamo di portare al linguaggio la negatività, il limite, l'alterità. Negli scritti del secondo vengono alla luce in maniera quasi abbagliante la disperazione e insieme la lucidità dalle quali è sostenuto il suo nichilismo metafisico, la malinconia e l'accanimento di cui esso si nutre, l'empietà e al tempo stesso la devozione con cui Cioran si slancia verso quella «versione più pura di Dio» che è per lui il Nulla.

Anche la cultura filosofica italiana è stata particolarmente sensibile al problema del nichilismo e ha offerto contributi di rilievo alla sua analisi. Negli anni settanta e ottanta si è registrata una vera e propria efflorescenza di letteratura nichilistica, nella quale è riconoscibile l'esigenza di un superamento del nichilismo stesso. Ciò vale soprattutto per pensatori come L. Pareyson e A. Caracciolo, che hanno riflettuto su tale problema partendo da una spiccata sensibilità per la dimensione del sacro e del religioso. Ma vale, sia pure in senso diverso, anche per G. Vattimo, che ha inteso valorizzare le potenzialità emancipative del nichilismo, e per E. Severino, il quale accusa di nichilismo l'intera filosofia occidentale in quanto essa, ammettendo il tempo e il divenire delle cose, cioè il loro «non essere ancora» e «non essere più», pensa l'ente come se fosse un niente.