Giovanni Reale, Dario Antiseri

Storia della Filosofia

Volume 9

 

NIETZSCHE: FEDELTÀ ALLA TERRA E TRASMUTAZIONE DI TUTTI I VALORI

Nietzsche interprete del proprio destino

Critico spietato del passato e «inattuale» profeta del futuro, dissacratore dei valori tradizionali e propugnatore dell'uomo che deve ancora venire, Friedrich Nietzsche (1844‑1900) fu ben consapevole del suo destino:

"Io conosco la mia sorte. Si legherà un giorno al mio nome il ricordo di una crisi, come non ce ne fu un'altra simile sulla terra, al più profondo conflitto di coscienza, a una decisione proclamata contro tutto ciò che sinora era stato creduto, richiesto, consacrato. Io non sono un uomo, sono una dinamite... Io contraddico come mai è stato contraddetto, e malgrado ciò sono l'antitesi di uno spirito negatore... Con tutto ciò sono necessariamente pure un uomo del destino. E infatti, se la verità entra in lotta con la menzogna di millenni, avremo tali scuotimenti, tali convulsioni di terremoto che mai erano state neppure sognate. Il concetto di politica è ora entrato completamente in una guerra tra spiriti, tutte le forme di dominio della vecchia società sono saltate in aria; esse riposano tutte sulla menzogna; ci saranno guerre come non ce ne sono state mai sulla terra. Solo da me comincia sulla terra la grande politica."

Nietzsche si interpreta come un uomo del destino, come colui che contraddice «come mai è stato contraddetto». Egli contraddice il positivismo e la sua fede nel fatto, e lo contraddice per la semplice ragione che

"il fatto è sempre stato stupido e in ogni tempo è sempre somigliato più a un vitello che a un Dio."

Contraddice l'entusiasmo degli idealisti e degli storicisti per un senso evidente e progressivo della storia:

"Il «progresso» è semplicemente un'idea moderna, cioè un'idea falsa."

Mina le pretese della verità delle scienze esatte. Contro tutti gli spiritualismi, proclama la morte di Dio. Dice che il cristianesimo «è un vizio», giacché

"nulla è più malsano, in mezzo alla nostra malsana umanità, della compassione cristiana. L...] Paolo è stato il più grande di tutti gli apostoli della vendetta."

Contro la «morale degli schiavi», Nietzsche esalta «la morale degli aristocratici»: mentre tutta la morale aristocratica sorge da un trionfante dir di sì a se stessi, la morale degli schiavi dice fin dall'inizio sì a un altro, sostiene il filosofo, cioè a un «non se stesso». Quindi:

"Trasvalutazione di tutti i valori!"

Nietzsche è dunque uno spirito che contraddice. Ma lo è perché pensa di avere qualcosa di grande e di nuovo da annunciare:

"Ve ne scongiuro, fratelli miei, rimanete fedeli alla terra e non prestate fede a coloro che vi parlano di speranze soprannaturali! Sono avvelenatori, coscienti o incoscienti. Sono spregiatori della vita, morituri, avvelenati essi stessi: la terra ne è stanca; ebbene, cacciateli per sempre!"

Fedeltà alla terra; e, connesso a questo, un altro insegnamento:

"Non cacciate più la testa nella sabbia delle cose celesti, ma portatela liberamente: una testa terrestre, che crea, essa, il senso della terra [. . .]. II superuomo è il senso della terra! La vostra volontà proclami: il superuomo sia il senso della terra."

Il destino di Nietzsche fu quello di un profeta del nazismo?

La filosofia di Nietzsche si pone dunque come inversione delle idee filosofiche e dei valori morali tradizionali. Ebbene, la natura dei temi trattati, la forte volontà provocatoria che si irradia nelle direzioni più disparate, lo stile aforistico e, infine, alcune vicissitudini legate alla pubblicazione della Volontà di potenza e dell'Epistolario, hanno fatto sì che le interpretazioni di Nietzsche fossero le più disparate e controverse.

Così, di volta in volta, si è visto in Nietzsche l'antipositivista che demolisce la fiducia nella scienza, o l'antidemocratico che disprezza il popolo, la «plebe» e la nuova classe emergente; lo si è interpretato come il rappresentante più persuasivo dell'irrazionalismo e del vitalismo; ne è stata offerta, agli inizi del secolo, l'immagine di artista aristocratico e decadente (nel senso di D'Annunzio o di Gide); è stato presentato come deciso materialista; di lui si è detto che è stato il primo vero esistenzialista; è certo che ha anticipato, in più di un importante punto, Freud; si è analizzato il suo influsso sulle avanguardie artistiche degli anni Venti (espressionismo tedesco e surrealismo francese) a motivo della sua critica alla cultura borghese; e fuor di dubbio è che egli ha influito su uomini come Rilke e Thomas Mann. E c'è poi tutto un filone interpretativo che ha visto in Nietzsche il profeta del nazismo, della violenza militaristica e della superiorità della razza ariana.

Ora, non è qui il caso di sottoporre a critica queste e altre interpretazioni. Ma, mentre occorre dire che l'interpretazione decadentistica di Nietzsche è sbagliata per la ragione che Nietzsche vide nella vita una profonda e crudele tragedia, non possiamo non fermarci un istante sulle vicende che hanno portato (per esempio nel lavoro di Alfred Baeumler: Nietzsche, il filosofo e il politico, Lipsia, 1931) all'interpretazione di Nietzsche come «profeta del nazismo», interpretazione che, tra altri, Lukács ancora nel 1954 accetta nel suo libro La distruzione della ragione. In realtà, quel che è accaduto è che la sorella di Nietzsche, Elizabeth Forster‑Nietzsche, custode gelosa dei manoscritti del fratello, spinta dall'idea di una palingenesi universale da affidare alla nazione tedesca, volle fare del fratello una guida spirituale di tale palingenesi. E con interventi arbitrari e tendenziosi sulle pagine manoscritte del fratello, pubblicò la Volontà di potenza dove idee quali quella di «superuomo» di «volontà di potenza» ecc. ‑ che nel contesto globale del pensiero di Nietzsche hanno ben altro significato ‑ appaiono come negazione di ogni umanitarismo e della democrazia, e come i fondamenti teorici della politica più violenta e aggressiva, dello stato totalitario e della razza «pura dei superuomini».

Senonché (e questo è confermato anche dall'edizione autentica dei suoi scritti), una siffatta interpretazione del «superuomo» di Nietzsche come profeta del nazismo è esclusa dal contesto della sua filosofia: il superuomo non è il nazista, ma è il filosofo che annunzia una nuova umanità, una umanità che, liberandosi da antiche catene, va «al‑dì‑là del bene e del male». E tra queste antiche catene Nietzsche annoverava anche l'idolatria dello Stato:

"«Stato» si chiama il più freddo di tutti i mostri. E freddo anche nel mentire; e la menzogna ch'esce dalla sua bocca è questa: «lo, lo Stato, sono il popolo!»."

"Sulla terra nulla è di me più grande; io sono il dito di Dio così rugge il mostro [...]. Lo Stato è là dove tutti, buoni e cattivi, si ubriacano di veleno: là dove tutti perdono se stessi: là dove il lento suicidio di tutti si chiama «vita»."

Lo Stato è un idolo che puzza:

"Il loro idolo male odora ‑ il freddo mostro ‑ e tutti puzzano, questi adoratori dell'idolo [... ]. Fuggite il cattivo odore! Fuggite l'idolatria degli uomini inutili [...]. Solo là dove lo Stato cessa di esistere incomincia l'uomo non inutile."

Queste cose fa dire Nietzsche a Zarathustra. E nel saggio Schopenhauer come educatore leggiamo ancora:

"Quindi subiamo [...] le conseguenze di quella dottrina predicata di recente da tutti i tetti, secondo cui il fine supremo dell'umanità sarebbe lo Stato e per un uomo non ci sarebbe più alto dovere del servire lo Stato: in ciò io non vedo una ricaduta nel paganesimo ma nella stupidità. [...] Lo Stato desidera che gli uomini possano idolatrarlo."

Ma, consiglia Nietzsche, «fuggite l'idolatria degli uomini inutili!» e ribadisce che «tutti puzzano, questi adoratori dell'idolo». Nel Crepuscolo degli idoli, inoltre, Nietzsche sostiene che «la cultura e lo Stato sono antagonisti».

La vita e le opere

Friedrich Nietzche nasce il 15 ottobre 1844 a Röcken presso Lutzen. Studia filologia classica a Bonn e a Lipsia dove ha per maestro Friedrich Ritschl. A Lipsia legge Il mondo come volontà e rappresentazione di Schopenhauer, ed è questa una lettura destinata a lasciare nel suo pensiero una impronta decisiva.

Intanto, nel 1869, a soli ventiquattro anni, Nietzsche viene chiamato a ricoprire la cattedra di filologia classica all'Università di Basilea. Qui stringe amicizia con il famoso storico Jakob Burckhardt.

È di questo periodo l'incontro con Richard Wagner, che in quei giorni viveva con Cosima von Bülow a Triebschen sul Lago dei Quattro Cantoni. Nietzsche si converte alla causa di Wagner, che sente come «il suo insigne precursore sul campo di lotta», e collabora con lui all'organizzazione del teatro di Bayreuth.

Nel 1872 esce La nascita della tragedia. Il libro suscita violente polemiche e viene ferocemente attaccato da Wilamowitz‑Moeilendorff.

Tra il 1873 e il 1876 Nietzsche scrive le quattro Considerazioni inattuali.

Nel frattempo, egli rompe con Wagner per motivi personali (Wagner è «un istrione» assetato di successo mondano) e per ragioni teoretiche (Wagner è tutt'altro che un rigeneratore della cultura). La testimonianza di tale rottura la troviamo in Umano, troppo umano (1878), dove l'autore prende le distanze anche dalla filosofia di Schopenhauer.

L'anno seguente, nel 1879, per ragioni di salute ma anche per cause più profonde (la filologia non era il suo «destino») si dimette dall'insegnamento e inizia il suo irrequieto pellegrinaggio da un luogo a un altro, tra la Svizzera, l'Italia e la Francia meridionale.

Nel 1881 pubblica Aurora dove prendono corpo le sue tesi fondamentali. Del 1882 è La gaia scienza, in cui il filosofo promette un nuovo destino per l'umanità. Questi due libri li scrive a Genova, dove ha anche l'occasione di ascoltare la Carmen di Bizet, di cui si entusiasma:

"Qui parla un'altra sensualità, un'altra sensibilità, un'altra serenità. Questa musica è serena [...], essa ha su di sé la fatalità, la sua felicità è breve, improvvisa, senza remissione [... ]. Anche quest'opera redime [...], con essa si prende congedo dall'umido Nord, da tutti i vapori dell'ideale wagneniano."

Sempre nel 1882 Nietzsche conosce Lou Salomé, una giovane russa di ventiquattro anni. La vuole sposare, ma Lou Salomé lo rifiuta e si unisce a Paul Rée, amico e discepolo di Nietzsche. Al fallimento del rapporto tra il filosofo e la giovane russa non fu estranea la sorella di Nietzsche, Elizabeth.

Nel 1883, a Rapallo, concepisce il suo capolavoro: Così parlò Zarathustra.

L'opera fu ultimata, tra Roma e Nizza, due anni dopo. Nel 1886 dà alle stampe Al di là del bene e del male. La Genealogia della morale è del 1887 e l'anno successivo compone: Il caso Wagner, Il crepuscolo degli idoli, L'Anticristo, Ecce homo. Dello stesso periodo è Nietzsche contra Wagner.

Legge Dostoevskij e intanto gli sembra di aver trovato una dimora soddisfacente a Torino, «la città che si è rivelata come la mia città».

A Torino lavora alla sua ultima opera, la Volontà di potenza, che però non riesce a portare a termine. Infatti, il 3 gennaio del 1889 viene colto da una crisi di follia in pubblico, gettandosi al collo di un cavallo che il padrone stava bastonando non lontano dalla sua abitazione torinese. Dapprima viene affidato alla madre e, morta costei, alla sorella.

Muore a Weimar, immerso nelle tenebre della pazzia, il 25 agosto del 1900, senza potersi rendere conto del successo che ormai stavano avendo quei libri che egli aveva fatto stampare a sue spese.

Certo, esistono anche in Nietzsche punti vulnerabili, e soprattutto la polemica aggressiva e acre in lui non sempre rende la dovuta giustizia ai suoi avversari. In ogni caso, dopo tanti anni dalla sua morte, è fuori di discussione il suo influsso non solo in letteratura, psicanalisi, estetica e filosofia, ma anche sulla riflessione morale e sulla filosofia della religione. E vero che un cristiano potrebbe rispondere a Nietzsche con le stesse parole che il giovane Nietzsche inviava, per lettera, a un suo amico:

Ma, mio caro, le visioni della vita non sono né create né annullate dalla logica! Io mi trovo bene in quest'aria, tu in un'altra. Rispetta il mio naso come io rispetto il tuo!

Questo è vero. Ma è altrettanto vero che un'etica seria e una fede consapevole non possono e non debbono evitare la prova del fuoco della sfida di Nietzsche.

Il dionisiaco, l'apollineo e il problema Socrate

A Lipsia Nietzsche legge II mondo come volontà e rappresentazione di Schopenhauer e ne rimane affascinato. Più tardi scriverà:

"Trovai il libro nell'antiquariato del vecchio Rohn [.. .]; a casa mi gettai sul sofà [...] e lasciai che quel genio energico e tenebroso cominciasse ad agire su di me. A ogni pagina: rinuncia, rifiuto, rassegnazione levavano alta la voce: avevo davanti a me uno specchio nel quale vidi [.. .] il mondo, la vita e il mio stesso animo. Qui, simile al sole, mi fissava il grande occhio dell'arte, staccato da tutto; qui io vedevo malattia e guarigione, esilio e rifugio, inferno e paradiso."

La vita, pensa Nietzsche sulla scia di Schopenhauer, è crudele e cieca irrazionalità, dolore e distruzione. Solo l'arte può offrire all'individuo la forza e la capacità di fronteggiare il dolore della vita, dicendo sì alla vita. E, ne La nascita della tragedia, che è del 1872, Nietzsche cerca di far vedere come la civiltà greca presocratica esploda in un vigoroso senso tragico che è accettazione ebbra della vita, coraggio dinanzi al fato, esaltazione dei valori vitali. L'arte tragica è un coraggioso e sublime dir sì alla vita. Con ciò Nietzsche rovescia l'immagine romantica della civiltà greca. Tuttavia, la Grecia di cui parla Nietzsche non è la Grecia della scultura classica e della filosofia di Socrate, Platone e Aristotele, ma è la Grecia dei presocratici (VI sec. aC.), quella della tragedia antica in cui il coro era la parte essenziale, se non forse tutto.

Ebbene, il segreto di questo mondo greco Nietzsche lo individua nello spirito di Dioniso. Dioniso è l'immagine della forza istintiva e della salute, è ebbrezza creativa e passione sensuale, è il simbolo di un'umanità in pieno accordo con la natura. Accanto al dionisiaco, lo sviluppo dell'arte greca è legato, dice Nietzsche, all'apollineo, che è visione di sogno, tentativo di esprimere il senso delle cose nella misura e nella moderazione e che si esplicita in figure equilibrate e limpide:

"Lo sviluppo dell'arte è legato alla dicotomia dell'apollineo e del dionisiaco, nel modo medesimo come la generazione viene dalla dualità dei sessi in continua contesa tra loro e in riconciliazione meramente periodica [...]. Sulle loro [dei greci] due divinità artistiche, Apollo e Dioniso, è fondata la nostra teoria, che nel mondo greco esiste un enorme contrasto, enorme per l'origine e per il fine, tra l'arte figurativa, quella di Apollo, e l'arte non figurativa della musica, che è propriamente quella di Dioniso. I due istinti, tanto diversi tra loro, vanno l'uno accanto all'altro, per lo più in aperta discordia [...] fino a quando, in virtù di un miracolo metafisico della «volontà» ellenica, compaiono in ultimo accoppiati l'uno con l'altro, e in questo accoppiamento finale generano l'opera d'arte, altrettanto dionisiaca che apollinea, che è la tragedia attica."

Tuttavia, allorché con Euripide si tenta di eliminare dalla tragedia l'elemento dionisiaco a favore degli elementi morali e intellettualistici, allora la chiara luminosità nei confronti della vita si trasforma in superficialità sillogistica: sorge Socrate con la sua folle presunzione di capire e dominare la vita con la ragione e, con ciò, la vera decadenza:

"Socrate e Platone sono sintomi del decadimento, gli strumenti della dissoluzione greca, gli pseudogreci, gli antigreci. [...] La dialettica può essere soltanto un'estrema risorsa nelle mani di chi non ha più armi[ Quel che si limita a lasciarsi dimostrare ha poco calore."

"I filosofi e i moralisti ingannano se stessi, credendo di uscire dalla décadence per il semplice fatto che muovono guerra contro di essa [...] quel che essi scelgono come rimedio, come àncora di salvezza, è esso stesso nient'altro che una nuova espressione della décadence; essi trasformano la sua espressione, ma non la eliminano. Socrate fu un equivoco: tutta quanta la morale del perfezionamento, anche quella cristiana, è stata un equivoco. La più cruda luce diurna, la razionalità a ogni costo, la vita chiara, prudente, cosciente, senza istinti, in contrasto agli istinti, era essa stessa soltanto una malattia diversa e in nessun modo un ritorno alla «virtù», alla «salute», alla «felicità»."

Socrate fu di fatto «a lungo malato». Fu ostile alla vita, «volle morire». Disse di no alla vita; ha aperto un'epoca di decadenza che schiaccia anche noi. Socrate ha combattuto il fascino dionisiaco. Tuttavia

"il fascino dionisiaco non ripristina solamente i vincoli tra uomo e uomo: anche la natura, straniata o ostica o soggiogata, celebra la festa di riconciliazione col suo figliol prodigo, l'uomo. La terra getta di buon grado i suoi doni, e le belve rapaci delle rupi e dei deserti si avvicinano in pace. Il carro di Dioniso è coperto di fiori e ghirlande; la pantera e la tigre avanzano sotto il suo giogo. Si tramuti l'«inno alla gioia» di Beethoven in un quadro dipinto, e non si ponga freno alla propria immaginazione quando milioni di esseri vadano fremendo nella polvere, percossi dal prodigio: solo così possiamo approssimarci a ciò che è la fascinazione dionisiaca. Ecco che lo schiavo è libero, ecco che tutti infrangono le rigide, nemiche barriere, che il bisogno, l'arbitrio o «la moda insolente» hanno piantato tra gli uomini. Ecco che nel Vangelo dell'armonia universale ognuno si sente non solo riunito, riconciliato, fuso col suo prossimo, ma si sente fatto uno con lui, quasi che il celo di Maya fosse squarciato e svolazzato non più che in brandelli davanti al mistero dell'uno primigenio."

I fatti sono stupidi e la saturazione di storia è un pericolo

La nascita della tragedia fu scritta sotto l'influsso delle idee di Schopenhauer, ma anche delle idee wagneriane. In Wagner, infatti, Nietzsche scorgeva il prototipo dell'<artista tragico» destinato a rinnovare la cultura contemporanea. A Wagner egli dedica La nasci
ta della tragedia, e alla fine della dedica scrive:

"Io considero l'arte come il compito supremo e come l'attività metafisica propria della nostra vita, secondo il pensiero dell'uomo, al quale intendo dedicare quest'opera come al mio insigne precursore sul campo di lotta."

In ogni caso, appena uscita, l'opera di Nietzsche, benché difesa dallo stesso Wagner e da Erwin Rohde, fu violentemente attaccata, in nome della serietà della scienza filologica, dal grande filologo Ulrich von Wilamowitz‑Moellendorff, il quale scrisse che «col Nietzsche apostolo e metafisico non intendo aver nulla da fare» e lo accusò dì «ignoranza e scarso amor di verità».

Ma contro l'esaltazione della scienza e della storia Nietzsche scrive, tra il '73 e il '76, le Considerazioni inattuali. Qui il vecchio hegeliano David Friedrich Strauss, insieme a Feuerbach e a Comte, passa per l'incarnazione del filisteismo e della mediocrità: egli «autore di un vangelo da birreria» è l'uomo voluto e inventato da Socrate. Simultaneamente viene esaltato Schopenhauer come precorritore della nuova cultura «dionisiaca».

Ma qui Nietzsche combatte anche quella che chiama la saturazione di storia. Non che Nietzsche neghi l'importanza della storia. Egli piuttosto combatte l'idolatria del fatto, da una parte, e le illusioni storicistiche, dall'altra, con le implicazioni politiche che queste comportano.

a Innanzitutto, secondo Nietzsche, i fatti sono sempre stupidi: hanno bisogno dell'interprete, e per questo sono solo le teorie a essere intelligenti.

b In secondo luogo, chi crede nella potenza della storia «si farà esitante e insicuro, e non può credere in sé».

c E non credendo in sé, costui sarà ‑ in terzo luogo ‑ succube dell'esistente, «sia esso un governo, un'opinione pubblica, una maggioranza numerica»:

"[In realtà,] se ogni successo contiene in sé una necessità razionale, se ogni evento è la vittoria, del «logico» o dell'«idea» ‑ ebbene, ci si inginocchi subito e si percorra inginocchiati tutta la scala dei «successi».

Sono precisamente tre gli atteggiamenti che Nietzsche distingue di fronte alla storia.

a C'è la storia monumentale, ed è la storia di chi cerca nel passato modelli e maestri in grado di soddisfare le sue aspirazioni.

b C'è la storia antiquaria ed è la storia di chi comprende il passato della propria città (i muri, le feste, le ordinanze municipali ecc.) come fondamento della vita presente; la storia antiquaria cerca e conserva i valori costitutivi stabili su cui si radica la vita presente.

e C'è, infine, la storia critica, e questa è la storia di chi guarda al passato con gli intenti del giudice che abbatte e condanna tutti quegli elementi che sono di ostacolo per la realizzazione dei propri valori. Quest'ultimo è stato l'atteggiamento di Nietzsche di fronte alla storia. E questa è la ragione per cui egli combatte l'eccesso o saturazione di storia:

"da questo eccesso gli istinti del popolo vengono turbati, e al singolo non meno che alla totalità viene impedito di maturare; da questo eccesso viene istillata la credenza sempre dannosa nella vecchiaia dell'umanità, la credenza di essere frutti tardivi ed epigoni; per questo eccesso un'epoca cade nei pericoloso stato d'animo dell'ironia su se stessa, e da esso in quello più pericoloso ancora del cinismo."

Il distacco da Schopenhauer e da Wagner

Nel frattempo, però, Nietzsche veniva maturando il suo distacco da Schopenhauer e ancor più da Wagner. Tale distacco è testimoniato da opere come Umano, troppo umano, l'Aurora e La gaia scienza. Due sono i tipi di pessimismo: il primo è quello romantico, cioè «il pessimismo dei rinunciatari, dei falliti e dei vinti»; l'altro è quello di chi accetta la vita pur conoscendone la dolorosa tragicità.

E proprio in nome di quest'ultimo pessimismo Nietzsche rifiuta il primo, quello di Schopenhauer, che da ogni parte gronda rassegnazione e rinuncia, che è fuga dalla vita piuttosto che «volontà di tragicità». Egli, cioè Schopenhauer, è «null'altro che l'erede dell'interpretazione cristiana»:

"Oh come diversamente parlò a me Dioniso! Oh, quanto era allora lungi da me proprio codesto spirito di rassegnazione!"

D'altro canto, il distacco da Wagner fu per Nietzsche un evento ancor più significativo e doloroso. Nell'arte di Wagner egli aveva visto lo strumento della rigenerazione, ma presto dovette ammettere di essersi illuso. Leggiamo ne Il caso Wagner:

"Wagner lusinga ogni istinto nichilistico(-buddhistico) e lo camuffa con la musica, blandisce ogni cristianità, ogni forma di espressione religiosa della décadence [. . .]. Tutto quanto sia mai allignato sul terreno della vita immiserita, tutta quanta la coniazione di monete false della trascendenza e del mondo ultraterreno ha nell'arte di Wagner la sua più sublime difesa."

Wagner è una malattia; «egli ammala tutto ciò che tocca ‑ egli ha ammalato la musica». Wagner è «un genio istrionico»; egli «est une névrose».

L'allontanamento di Nietzsche dai suoi due grandi maestri ha significato per lui molto di più che lo svanire di un fascino e la rottura di un'amicizia. Ha voluto piuttosto dire allontanamento e distacco critico dal romanticismo con il suo falso pessimismo, con la rassegnazione e l'ascesi quasi cristiana di Schopenhauer, con la retorica di quel «romantico disperato divenuto marcio» che è Wagner.

Ha voluto dire distacco e critica di quelle pseudo‑giustificazioni e di quei camuffamenti metafisici dell'uomo e della sua storia che sono l'idealismo (che crea un «antimondo»), il positivismo (la cui pretesa di ingabbiare in modo saldo la tanto vasta realtà nelle sue povere reti teoriche è ridicola e assurda), i redentorismi socialisti delle masse o attraverso le masse, e anche l'evoluzionismo, tra l'altro, più asserito che provato:

"Le specie non crescono nella perfezione: i deboli tornano sempre di nuovo a soverchiare i forti [...]. Darwin ha dimenticato ‑ questo è inglese ‑ lo spirito, i deboli hanno più spirito."

In questo modo, Nietzsche pare innestare le proprie riflessioni su radici illuministiche, e in effetti è così. La sfiducia nelle metafisiche, l'apertura nei riguardi delle possibili «infinite» interpretazioni del mondo e della storia e quindi l'eliminazione dell'atteggiamento dogmatico, il riconoscimento del limite e della finitezza umana, la critica alla religione, sono tutti elementi che fanno dire a Nietzsche in Umano, troppo umano:

"Possiamo portare avanti di nuovo la bandiera dell'illuminismo."

Ovviamente, questo illuminismo di Nietzsche che viene dopo il romanticismo sarà meno entusiastico e superficiale del vecchio illuminismo. Esso sarà piuttosto la lucida consapevolezza di una tragedia a cui si va incontro con un grido di sfida. Non si tratterà più, quindi, di quell'ottimismo superficiale che, nei confronti della vita, ha spesso caratterizzato gli illuministi; ma non si tratterà nemmeno della rassegnazione di Schopenhauer o dei falsi rimedi di Wagner.

L'annuncio della morte di Dio

La critica all'idealismo, all'evoluzionismo, al positivismo e al romanticismo non si arresta. Queste teorie sono cose «umane, troppo umane» che si presentano come verità eterne e assolute che occorre smascherare.

E qui Nietzsche va più in profondità, giacché proprio in nome dell'istinto dionisiaco, in nome di quel sano uomo greco del VI secolo a.C. «che ama la vita» e che è totalmente terrestre, da una parte annuncia «la morte di Dio», dall'altra conduce un attacco a fondo contro il cristianesimo, la cui vittoria sul mondo antico e sulla concezione greca dell'uomo ha avvelenato l'umanità, e dall'altra ancora va alla radice della morale tradizionale, ne fa la genealogia, e scopre che essa è la morale degli schiavi, dei deboli e dei vinti risentiti contro tutto ciò che è nobile, bello e aristocratico.

Ne La gaia scienza l'uomo pazzo annuncia agli uomini che Dio è morto.

"Che ne è di Dio? Io ve lo dirò. Noi l'abbiamo ucciso ‑ io e coi. Noi siamo i suoi assassini!"

La civiltà occidentale si è venuta via via, e per diverse ragioni, staccando da Dio: è così che l'ha ucciso. Ma «uccidendo» Dio, si eliminano tutti quei valori che sono stati a fondamento della nostra vita, e si perde di conseguenza ogni punto di riferimento:

"Che facemmo sciogliendo la terra dal suo sole? Dove va essa, ora? Dove andiamo noi, lontani da ogni sole? Non continuiamo a precipitare: e indietro e dai lati e in avanti? C'è ancora un alto e un basso? Non andiamo forse errando in un infinito nulla? [...] Dio è morto! Dio resta morto! E noi l'abbiamo ucciso!"

Abbiamo eliminato con il mondo del soprannaturale qualsiasi altro fundamentumitnconcussum,, ma ciò facendo abbiamo infranto anche la tavola di quei valori, di quegli ideali, a esso connessi. E così ci troviamo senza un punto di riferimento: Dio l'abbiamo ucciso e con lui è scomparso l'uomo vecchio, ma l'uomo nuovo non è ancora apparso. Dice il pazzo della Gaia scienza:

"Vengo troppo presto, non è ancora il mio tempo. Questo evento mostruoso è tuttora in corso e non è ancor giunto alle orecchie degli uomini."

La morte di Dio è un fatto del quale non ce ne fu più grande. È un evento che divide la storia dell'umanità. Non la nascita di Cristo, ma la morte di Dio divide la storia dell'umanità:

"chiunque nascerà dopo di noi apparterrà per ciò stesso a una storia più alta di ogni altra trascorsa."

E questo evento, la morte di Dio, annunzia Zarathustra, il quale sulle ceneri di Dio innalzerà poi l'idea del superuomo, dell'uomo nuovo, impastato dell'ideale dionisiaco che «ama la vita» e che, voltando le spalle alle chimere del «cielo», tornerà alla sanità della «terra»:

"Oh, fratelli miei ‑ predica, dunque, Zarathustra ‑, quel Dio che io creai era ablle opera d'un uomo, come sono tutti gli dèi [...]. La stanchezza, che d'un sol balzo ‑ con un salto mortale vorrebbe raggiungere il culmine, la povera stanchezza ignorante, che più non sa nemmeno volere: essa creò tutti gli dèi e il soprannaturale.

Coloro che predicano mondi soprannaturali sono «predicatori della morte», perché «morti son tutti gli dei».

L'Anticristo, ovvero il cristianesimo come vizio

La morte di Dio è un evento cosmico, di cui gli uomini sono responsabili, e che li libera dalle catene di quel soprannaturale che essi stessi avevano creato. Parlando dei preti, Zarathustra afferma:

"Mi fanno pena questi preti, [...]per me essi sono dei prigionieri e dei marchiati. Colui che essi chiamano redentore li caricò di ceppi. Di ceppi di falsi calori e di folli parole! Ah, se qualcuno potesse redimerli dal loro redentore!"

Ebbene, proprio questo è lo scopo che Nietzsche vuoi raggiungere con L'Anticristo, che è una «maledizione del cristianesimo».

Per Nietzsche, pervertito è un animale, una specie, un individuo «quando esso perde i suoi istinti, quando sceglie, quando preferisce quel che gli è nocivo». Ma cosa ha fatto il cristianesimo, si chiede Nietzsche, se non difendere tutto ciò che è nocivo all'uomo? Il cristianesimo ha considerato peccato tutti quelli che sono i valori e i piaceri della terra:

"Il cristianesimo ha preso le parti di tutto quanto è debole, abietto, rnalriuscito; della contraddizione contro gli istinti di conservazione della vita forte ha fatto un ideale; ha guastato persino la ragione delle nature intellettualmente più forti, insegnando a sentire i supremi calori dell'intellettualità come peccaminosi, come fonti di traviamento, come tentazioni. L'esempio più deprecabile è la rovina di Pascal, che credeva al corrompimento della sua ragione a causa del peccato originale, mentre era stato soltanto il suo cristianesimo a corromperla!"

Il cristianesimo è la religione della compassione:

"Ma si perde forza quando si ha compassione […]; la compassione intralcia in blocco la legge dello sviluppo che è la legge della selezione. Essa conserva ciò che è maturo per il tramonto, oppone resistenza in favore dei diseredati e dei condannati dalla vita."

Ora, per Nietzsche, la compassione è la vera praxis del nichilismo, e

"nulla è più malsano, in mezzo alla nostra malsana umanità, della compassione cristiana."

Nel Dio cristiano Nietzsche scorge «la divinità degli infermi»:

"un Dio degenerato fino a contraddire la vita, invece di esserne la trasfigurazione e l'eterno sì. In Dio è dichiarata inimicizia alla vita, alla natura, alla volontà di vivere! Dio, la formula di ogni calunnia dell'«al di qua», di ogni menzogna dell'«al di là»! In Dio è divinizzato il nulla, è consacrata la volontà del nulla!"

Anche il buddhismo è una religione della decadenza, eppure Nietzsche lo trova «cento volte più realistico del cristianesimo»: il buddhismo, infatti, non lotta contro il peccato ma contro il dolore. Inoltre,

"un clima molto mite, una grande pacatezza e liberalità di costumi, nessun militarismo sono i presupposti del buddhismo."

Nonostante tutto ciò, Nietzsche è catturato dalla figura del Cristo:

"Cristo è l'uomo più nobile; […] il simbolo della croce è il più sublime che sia mai esistito."

E opera una netta distinzione fra Gesù e il cristianesimo:

"Il cristianesimo è qualche cosa di profondamente diverso da quello che il suo fondatore volle e fece."

Cristo è morto per indicare come si deve vivere:

"La pratica della vita è ciò che egli ha lasciato in eredità agli uomini: il suo contegno dinanzi ai giudici, agli sgherri, agli. accusatori e a ogni specie di calunnia e di scherno, il suo contegno sulla croce [...]. Le parole rivolte al ladrone sulla croce racchiudono in sé l'intero Vangelo."

Cristo fu un «libero spirito», ma con Cristo morì il Vangelo; anche il Vangelo «restò sospeso alla "croce"», o, meglio, si trasformò in Chiesa, in cristianesimo, cioè in odio e risentimento contro tutto ciò che è nobile e aristocratico:

"Paolo è stato il più grande fra tutti gli apostoli della vendetta."

il cristiano, dal primo all'ultimo (che Nietzsche pensa di arrivare a conoscere), è un combattente per i diritti uguali per tutti:

"[ogni cristiano] è per profondissimno istinto un ribelle contro tutto quanto è privilegiato ‑ egli vive, combatte sempre per «diritti uguali»."

Nel Nuovo Testamento Nietzsche trova solo un personaggio degno di venir onorato, e questi è Ponzio Pilato a motivo del suo sarcasmo nei confronti della «verità».

Più tardi, nella storia della nostra civiltà, il rinascimento tentò la trasvalutazione dei calori cristiani, cercò di portare alla vittoria i valori aristocratici, i nobili istinti terrestri. Cesare Borgia papa sarebbe stato una grande speranza per l'umanità. Ma a quel punto ci fu un evento decisivo:

"Un monaco tedesco, Lutero, venne a Roma. Questo monaco, con dentro il petto tutti gli istinti di vendetta d'un prete malriuscito, a Roma si indignò contro il rinascimento [...]. Lutero vide la corruzione del papato, mentre si poteva toccare con mano esattamente il contrario: sul seggio papale non stava più l'antica corruzione, il peccatum originale, il cristianesimo! Sibbene la vita! Sibbene il trionfo della vita! Sibbene il grande sì a ogni cosa elevata, bella, temeraria!... E Lutero restaurò nuovamente la Chiesa [.. .].
Ah, questi Tedeschi, quanto ci sono costati!."

Di tal natura sono dunque le ragioni che spingono Nietzsche a condannare il cristianesimo:

"La Chiesa cristiana non lasciò nulla d'intatto nel suo pervertimento, essa ha fatto di ogni valore un disvalore, di ogni verità una menzogna, di ogni onestà un'abiezione dell'anima. [...] Con il suo ideale clorodico della «santità» [la Chiesa] va bevendo fino all'ultima goccia ogni sangue, ogni amore, ogni speranza di vita."

L'al di là è la negazione di ogni realtà e la croce è una congiura «contro salute, bellezza, costituzione ben riuscita, valentia di spirito, bontà dell'anima, contro la vita stessa». Cosa dobbiamo quindi augurarci se non che questo sia l'ultimo giorno del cristianesimo? E da oggi? Da oggi, risponde Nietzsche, trasvalutazione di tutti i calori.

La genealogia della morale

Insieme al cristianesimo, anzi condannando il cristianesimo, Nietzsche sottopone a una critica serrata la morale. Questa è «la grande guerra» che Nietzsche ingaggia in nome della «trasformazione dei valori che hanno dominato fino a oggi».

E tale rivolta contro il sentimento consueto dei valori egli la esplicita specialmente in quei due volumi che sono Al di là del bene e del male e Genealogia della morale. Scrive Nietzsche:

"Fino a oggi non si è neppure acuto il minimo dubbio o la minima esitazione nello stabilire il «buono» come superiore, in valore, al «malvagio» […]. Come? e se la verità fosse il contrario? Come? e se nel bene fosse insito anche un sintomo di regresso, come pure un pericolo, una seduzione, un veleno?"

Questo è il problema della Genealogia della morale. Ed è qui che Nietzsche va a indagare i meccanismi psicologici che illuminano la genesi dei valori: la comprensione della genesi psicologica dei valori sarà di per sé sufficiente a metterne in dubbio la pretesa assolutezza e indubitabilità.

Ebbene, innanzitutto la morale è una macchina che viene costruita per dominare gli altri, e, in secondo luogo, dobbiamo subito distinguere tra la morale aristocratica dei forti e quella degli schiavi. Questi sono i deboli, i malriusciti. E, come dice il proverbio, coloro che non possono dare cattivi esempi danno buoni consigli. È così che i costitutivamente deboli agiscono per soggiogare i forti:

"Mentre ogni morale aristocratica cresce da una trionfale affermazione di sé, la morale degli schiavi oppone sin dal principio un no a ciò che non fa parte di se stessa, a ciò che è differente da sé ed è il suo non‑io; ed è il suo atto creatore. Questo capovolgimento [...] appartiene in proprio al risentimento."

È il risentimento contro la forza, la salute, l'amore alla vita che fa diventare dovere e virtù ed eleva al rango di bene comportamenti come il disinteresse, il sacrificio di sé, la sottomissione.

Così, per esempio, se esaminiamo la psicologia dell'asceta, all'apparenza questi mostrerà un profondo disinteresse per le cose e i successi di questo mondo; tuttavia, una analisi appena più approfondita paleserà in lui una forte volontà di dominio sugli altri. La sua morale è l'unico modo e il solo strumento con cui egli può soggiogare gli altri. E frutto del risentimento.

La morale dei forti o dei signori è la morale della fierezza, della generosità e dell'individualismo; la morale degli schiavi è, invece, la morale dei «filistei» risentiti, è la morale della democrazia e del socialismo.

E questa morale degli schiavi è legittimata da metafisiche che la supportano con basi presunte «oggettive» senza avvedersi che tali metafisiche sono solo «mondi superiori» inventati per poter calunniare e insudiciare questo mondo che esse vogliono ridurre a
mera apparenza:

"Guardateli i buoni e i giusti! Chi odiano essi più di ogni altro? Colui che spezza le tavole dei valori, il violatore, il corruttore. Ma questi è colui che crea. Guardateli i credenti di tutte le religioni! Chi odiano essi più di ogni altro? Colui che spezza le loro tavole dei valori, il violatore, il corruttore. Ma questi è colui che crea."

E questo odio, che ha proibito gli istinti più sani, vale a dire gli istinti che legano l'uomo alla terra (che è la gioia, la salute, l'amore, l'intellettualità superiore ecc.), ha fatto sì che questi istinti «si volgessero a ritroso, si rivolgessero contro l'uomo stesso».

Fu così che l'uomo, invece di svilupparsi all'esterno e creare un mondo di bellezza e di opere grandi, si sviluppò all'interno e nacque «l'anima»: ma un'anima malata di una malattia «la più grave e oscura».

Nietzsche e il nichilismo

Dice Nietzsche:

"Il nichilismo è la conseguenza necessaria del cristianesimo, della morale e del concetto di verità della filosofia."

Quando le illusioni perdono la maschera, allora ciò che resta è niente, l'abisso del nulla:

"Il nichilismo come stato psicologico subentra di necessità, in primo luogo, quando abbiamo cercato in tutto l'accadere un «senso» che in esso non c'è, sicché alla fine a chi cerca viene a mancare il coraggio."

Quel «senso» poteva essere la realizzazione o l'accrescimento di un valore morale (amore, armonia nei rapporti, felicità ecc.). Ma quel che dobbiamo coraggiosamente constatare è che la delusione su questo preteso fine è «una causa del nichilismo».

Si è, in secondo luogo, «postulata una totalità, una sistematizzazione e addirittura un'organizzazione in tutto l'accadere e alla sua base». Senonché, si è visto che questo universale, che l'uomo aveva costruito per poter credere nel proprio valore, non c'è! Che cosa è accaduto, in fondo?

"Si raggiunse il sentimento della mancanza di valore, quando si comprese che non è lecito interpretare il carattere generale dell'esistenza né col concetto di «fine», né col concetto di «unità», né col concetto di «verità»."

Cadono «le menzogne di vari millenni» e l'uomo resta sì senza gli inganni delle illusioni, ma resta solo. Non ci sono valori assoluti, anzi i valori sono disvalori; non esiste nessuna struttura razionale e universale che possa sostenere l'impegno dell'uomo; non c'è nessuna provvidenza, nessun ordine cosmico:

"La condizione generale del mondo è, per tutta l'eternità, il caos, non come assenza di necessità, ma nel senso di una mancanza di ordine o di struttura, di forma, di bellezza, di saggezza."

Il mondo non ha un senso:

"Io ho trovato in tutte le cose questa certezza felice: esse preferiscono danzare sui piedi del caso."

Non c'è un ordine, non c'è un senso. Ma c'è una necessità: il mondo ha in sé la necessità della volontà. Il mondo, sin dall'eternità, è dominato dalla volontà di accettare se stesso e di ripetersi.

E’ questa la dottrina dell'eterno ritorno che Nietzsche riprende dalla Grecia e dall'Oriente. Il mondo non procede in maniera rettilinea verso un fine (come crede il cristianesimo), né il suo divenire è progresso (come pretende lo storicismo hegeliano e post‑hegeliano), ma

"tutte le cose eternamente ritornano e noi con esse, e noi fummo già eterne volte e tutte le cose con noi."

Ogni dolore e ogni piacere, ogni pensiero e ogni sospiro e ogni cosa indicibilmente piccola e grande ritornerà:

"tornerà anche questa tela di ragno e questo chiaro di luna tra gli alberi, e anche questo identico momento, e io stesso."

La dottrina dell'amor fati

Il mondo che accetta se stesso e che si ripete: è questa la dottrina cosmologica di Nietzsche. A essa Nietzsche collega l'altra sua dottrina dell'amor fati: amare il necessario, accettare questo mondo e amarlo.

L'uomo scopre che l'essenza del mondo è volontà, vede che esso è eterno ritorno, e si riconcilia volontariamente con il mondo: riconosce nella propria volontà di accettazione del mondo la stessa volontà che accetta se stessa. Egli segue volontariamente la via che gli altri uomini hanno seguito ciecamente, approva questa via e non cerca più di fuggirla come fanno i malati e i decrepiti. Questo insegna Zarathustra.

"Tutto ciò che fu è framrnento, enigma, caso spaventevole, finché la volontà creatrice aggiunge: così io volevo che fosse, così io voglio che sia, così io vorrò che sia."

L'amor fati è accettazione dell'eterno ritorno, è accettazione della vita. In esso non bisogna però vedere l'accettazione dell'uomo, ma il desiderio di costruire un uomo superiore a quello comune, ossia un «superuomo».

Il superuomo è il senso della terra

Il messaggio fondamentale di Zarathustra sta infatti proprio in questo: nell'insegnare il superuomo:

"Il superuomo è il senso della terra! La vostra volontà proclami: il superuomo sia il senso della terra. Ve ne scongiuro, fratelli miei, rimanete fedeli alla terra e non prestate fede a coloro che vi parlano di speranze soprannaturali! [... ] Altre volte il delitto contro Dio era il maggiore dei malefici, ma Dio è morto […]. La cosa più triste è ora peccare contro il senso della terra!"

E’ l'uomo, l'uomo nuovo che deve creare un senso nuovo della terra, abbandonare le vecchie catene e infrangere gli antichi ceppi. L’uomo deve inventare l'uomo nuovo, cioè il superuomo l'uomo che va oltre l'uomo e che è l'uomo che ama la terra e i cui valori sono la salute, la volontà forte, l'amore, l'ebbrezza dionisiaca e un nuovo orgoglio. Dice Zarathustra:

"Un nuovo orgoglio mi insegnò il mio Io, e io l'insegno agli uomini: non cacciate più la testa nella sabbia delle cose celesti, ma portatela liberamente: una testa terrestre, che crea essa stessa il senso della terra."

Al tu‑devi va sostituito io‑voglio

Ai vecchi doveri il superuomo sostituisce la propria volontà:

"C'è un drago immane che lo spirito non vuole più oltre chiamare suo padrone e suo Dio? Si chiama: «Tu devi». Ma contro di lui lo spirito del leone avventa le parole: «Io voglio»."

Ci sono i predicatori della morte, che sono poi i predicatori della vita eterna e di mondi soprannaturali, ma Zarathustra vuoi essere «la voce del corpo ridonato alla salute». E’ la voce del coraggio e della fierezza: si vuole l'amore del prossimo, ma «non la vostra compassione, bensì il vostro valore ha finora salvato chi era in pericolo».

"L'uomo è una corda tesa, tesa tra il bruto e il superuomo, una corda tesa su di una voragine."

E non lontano è il momento del trapasso dal vecchio uomo abbrutito dai suoi disvalori e con la testa nella sabbia delle cose celesti, all'uomo che crea il senso della terra, cioè nuovi valori tutti terrestri:

"E’ il grande meriggio della vita risplenderà quando l'uomo si troverà nel mezzo del suo cammino tra il bruto e il superuomo e celebrerà il suo tramonto quale la sua maggior speranza; giacché il suo tramonto sarà l'annuncio di una nuova aurora. Il perituro benedirà allora se stesso, lieto d'esser uno che passa oltre: il sole della sua conoscenza splenderà di luce meridiana. «Morti son tutti gli dèi: ora vogliamo che il superuomo viva».

È ben vero che «il popolo e la gloria girano intorno ai commedianti», ma è altrettanto vero che

"il mondo gira intorno agli inventori dei nuovi valori."

L'uomo dovrà essere misura di tutte le cose

Come per Protagora, anche per Nietzsche l'uomo ha da essere misura di tutte le cose; ha da creare nuovi valori, porli in essere. L'uomo abbrutito ha la schiena piegata dinanzi alle illusioni crudeli del soprannaturale. Il superuomo ama la vita e crea il senso della terra e a questo è fedele. Qui sta la sua volontà di potenza:

"Oramai Dio è morto! O uomini superiori, quel Dio era il vostro pericolo più grave. Soltanto ora che egli giace nel suo sepolcro, voi potete dirvi resuscitati. Ora è vicino il grande meriggio: ora soltanto l'uomo superiore diventa padrone! Comprendete voi queste parole, o fratelli? Voi siete atterriti: v'incolse forse la vertigine? L'abisso ci si apre forse dinanzi spalancato? Forse il cane infernale abbaia contro di coi? Ebbene! Orsù! O uomini superiori! Ora soltanto la montagna dell'avvenire umano s'agita nelle doglie del parto. Dio morì: ora noi vogliamo che viva, il superuomo."

Così parlò Nietzsche‑Zarathustra.

SUL CONCETTO DI NICHILISMO PROFETIZZATO DA NIETZSCHE. IMPLICAZIONI E CONSEGUENZE

Nietzsche profeta e teorico del nichilismo

Riteniamo qui opportuno approfondire il problema del nichilismo, poiché per l'uomo contemporaneo è diventato un problema determinante e ‑ sotto certi aspetti ‑ il problema più grave, e richiamare alcuni punti‑chiave dell'interpretazione che Martin Heidegger ha fornito nel magistrale saggio La parola di Nietzsche «Dio è morto» contenuto in Holzwege.

In effetti, proprio Nietzsche è stato il filosofo che ha compreso a fondo questo punto cardine della storia dell'Occidente, e lo ha descritto con tratti di notevole profondità teoretica, anche se, poi, ha cercato invano un esito positivo del nichilismo stesso con la sua dottrina della «volontà di potenza», che in realtà è un vicolo cieco. Nietzsche stesso non è riuscito a portare a compimento questa sua dottrina, se non in modo alquanto frammentario e problematico. Ma le sue analisi, condotte con stile tagliente e con quelle frasi ben mirate, che colpiscono l'obiettivo da varie parti fino a giungere al cuore del problema, si impongono tuttora come ciò che di meglio si è scritto sull'argomento.

Come abbiamo spiegato nel primo volume, il sofista Gorgia è stato il primo teorico del nichilismo. Ricordiamo che, nel suo scritto Sulla natura o sul non‑essere, sosteneva le seguenti tesi: a) non esiste l'essere, cioè nulla esiste; b) se anche l'essere esistesse, esso non sarebbe comprensibile; c) anche ammesso che fosse comprensibile, esso non sarebbe comunicabile né spiegabile agli altri.

Ma la sua dottrina non ebbe successo. Era sostenuta con grande abilità dialettica, ma era ristretta nell'ambito del pensiero dei sofisti, e non rispecchiava un comune sentimento.

Nietzsche, invece, proprio nella individuazione e nella descrizione del nichilismo, ha compreso di svolgere il ruolo di un profeta, ossia di spiegare ciò che in larga misura si era già verificato e che andava svolgendosi in assai larga misura, e di indicare con sicurezza precisi tratti della storia che doveva venire. Egli ha fatto questo sulla base di una approfondita comprensione di ciò che era accaduto in passato e stava accadendo nel presente, e che stava diventando un sentire comune degli uomini europei. In un frammento del 1887 scriveva:

"Per quanto mi riguarda, io che sento a volte in me il ridicolo di un profeta, so che non troverò mai in tutto questo la charité d'un médicin. Perduto in questo mondo miserabile, coudoyé par les foules, sono come un uomo stanco che, guardando all'indietro, non vede niente altro che désabusement et amertume in lunghi anni profondi, e davanti a sé una tempesta in cui non c'è niente di nuovo, ne dottrina né dolore."

In un altro frammento, in cui tracciava alcune idee di quella che avrebbe dovuto essere la prefazione della sua opera Volontà di potenza, in modo assai chiaro precisava:

"Descrivo ciò che verrà: l'avvento del nichilismo. Posso descriverlo ora perché si produce ora qualcosa di necessario ‑ i segni di ciò sono dappertutto, ormai non mancano per questi segni che gli occhi. Qui io non esalto né biasimo il fatto che ciò avvenga: credo che ci sia, nelle crisi più grandi, un momento in cui l'uomo si ripiega su se stesso nel modo più profondo; che poi l'uomo si riprenda, che riesca a uscire da queste crisi, è una questione di forza: è possibile... ‑ L'uomo moderno crede sperimentalmente ora a questo, ora a quel valore, per poi lasciarlo cadere; il circolo dei valori superati e lasciati cadere è sempre più vasto; si avverte sempre più il vuoto e la povertà di valori; il movimento è inarrestabile ‑ sebbene si sia tentato in grande stile di rallentarlo

‑ Alla fine l'uomo osa una critica dei valori in generale; ne riconosce l'origine; conosce abbastanza per non credere più in nessun valore, ecco il pathos, il nuovo brivido... ‑ Quella che racconto è la storia dei prossimi due secoli…"

E ribadiva in modo accentuato:

"Ciò che racconto è la storia dei prossimi due secoli. Descrivo ciò che verrà, ciò che non potrà più venire diversamente: l'avvento del nichilismo. Questa storia può essere raccontata già oggi, poiché qui è all'opera la necessità stessa. Questo futuro parla già con cento segni, questo destino si annuncia dappertutto; tutte le orecchie sono già ritte per questa musica del futuro. Tuttavia la nostra cultura europea si muove già da gran tempo con una tensione torturante che cresce di decennio in decennio, come se si avviasse verso una catastrofe: inquieta, violenta, precipitosa; come un fiume che vuole sfociare, ma che non si rammenta più, che ha paura di rammentare."

In che cosa consiste l'essenza del nichilismo

Richiamiamo le risposte nietzschiane, che, per molti aspetti, raggiungono il massimo dell'essenzializzazione. In un frammento, sempre del 1887 (anno cruciale in cui Nietzsche ha portato a maturazione questa problematica), leggiamo:

"Nichilismo: manca il fine; manca la risposta al «perché?»; che cosa significa il nichilismo? che i valori supremi si svalorizzano."

I presupposti del nichilismo sono:

"Che non ci sia una verità; che non ci sia una costituzione assoluta delle cose, una «cosa in sé»."

Ed ecco una violenta sottolineatura di questo concetto:

"Contro la supposizione che un «in sé delle cose» dovesse essere necessariamente buono, beato, vero, uno, l'interpretazione di Schopenhauer dell'«in sé» come volontà era stato un passo essenziale; però egli non aveva saputo divinizzare questa volontà: era rimasto fermo all'ideale morale cristiano. ‑ Schopenhauer era ancora a tal punto dominato dai valori cristiani, da essere costretto a vedere la cosa in sé (dopo che essa non risultò più per lui «Dio») come cattiva, stupida, assolutamente da rifiutare. Non aveva compreso che ci possono essere infinite forme del poter‑ essere ‑altro e finanche del poter‑essere‑Dio. Maledizione di quella limitata dualità: bene e male."

Esplicitando i punti‑chiave di queste precisazioni, potremmo dire che il nichilismo porta alla svalorizzazione e alla negazione dei seguenti principi:

a) principio primo, Dio; b) fine ultimo; c) essere; d) bene; e) verità.

Per Nietzsche, il nichilismo può essere visto secondo un aspetto «di cresciuta potenza dello spirito», ossia come «nichilismo attivo», in quanto ha la forza distruttiva della fede nei valori che hanno perduto senso, anche se si tratta di una forza che non ha ancora sufficiente energia per porsi come creativa di un nuovo fine e di una nuova fede. Ma esso può essere visto anche nel suo aspetto «passivo», negativo, e, quindi, come segno di debolezza. In effetti, la forza che è propria dello spirito a un certo punto si sente stanca, esaurita, in conseguenza del fatto che i fini che fino a un certo momento erano stati creduti validi, vengono sentiti come inadeguati, e, di conseguenza cadono in discredito. In particolare, avviene che:

"la sintesi dei valori e dei fini (su cui si posa ogni forte cultura) si scioglie, in modo che i singoli valori si fanno la guerra: disgregamento; tutto ciò che ristora, guarisce, tranquillizza, stordisce, sarà in primo piano, sotto diversi travestimenti, religiosi o morali o politici o estetici ecc."

Nietzsche ha riassunto l'essenza del nichilismo, in senso globale, nella formula «Dio è morto», di cui abbiamo già sopra parlato, ma che è opportuno spiegare in maniera più dettagliata.

La celebre pagina de La gaia scienza in cui Nietzsche dichiara: Dio è morto

Uno dei passi iconoclastici più violenti e più drammatici è certamente quello contenuto nell'opera La gaia scienza, che reca il titolo Il folle, di cui abbiamo già sopra richiamato alcune frasi, ma che è necessario riportare e leggere per esteso:

"Non avete udito di quel folle che accese una lanterna in pieno mattino, si recò al mercato e si mise a gridare incessantemente: «Cerco Dio! Cerco Dio!». ‑ Poiché proprio là si trovavano insieme molti che non credevano in Dio, il folle suscitò grandi risa. «Si è forse perduto?», disse uno. «Si è smarrito come un bambino?», disse l'altro. «Oppure se ne sta nascosto? Ha paura di noi? Si è imbarcato? E’ emigrato?», così gridavano e ridevano
alla rinfusa. Il folle balzò in mezzo a loro e, fulminandoli con lo sguardo, urlò: «Dov'è Dio? Voglio dirvelo! Noi l'abbiamo ucciso ‑ voi e io! Noi tutti siamo i suoi assassini! Ma come abbiamo potuto farlo? Come abbiamo potuto bere tutto il mare? Chi ci ha dato la spugna per cancellare via l'intero orizzonte? Quale atto abbiamo compiuto per sciogliere questa terra dalla catena del suo sole? Per dove si muove ora la terra? Per dove ci muoviamo noi? Via da tutti i soli? Non continuiamo a precipitare? E all'indietro e di lato e in avanti, per tutti i lati? C'è ancora un sopra e un sotto? Non andiamo errando come per un Nulla infinito? Non alita su di noi lo spazio vuoto? Non si è fatto più freddo? Non continua a venire la notte, e sempre più notte? Non bisogna accendere lanterne di mattina? Non udiamo ancora nulla dello strepito dei becchini che seppelliscono Dio? Non sentiamo ancora il puzzo della putrefazione divina? anche gli dèi putrefanno! Dio è morto! Dio resta morto! E noi l'abbiamo ucciso!

Come ci consoleremo noi, gli assassini di tutti gli assassini? Ciò che il mondo aveva finora posseduto di più sacro e di più potente, si è dissanguato sotto i nostri coltelli ‑ chi monderà da noi questo sangue? Con quale acqua potremo purificarci? Quali riti espiatori, quali giochi sacri dovremo inventare? Non è troppo grande per noi la grandezza di questo atto? Non dovremo noi stessi divenire dèi, per apparire almeno degni di essa? Non c'è mai stato atto più grande, ‑ e, in virtù di questo atto, chiunque pur sempre nascerà dopo di noi apparterrà a una storia più elevata di ogni altra storia accaduta finora!». ‑ A questo punto il folle tacque e fissò nuovamente i suoi uditori; anch'essi tacevano e lo guardavano stupiti. Infine gettò a terra la sua lanterna, che andò in frantumi e si spense. «Vengo troppo presto», disse allora, «non è ancora il mio tempo. Questo evento immane è ancora in viaggio ‑ non è ancora giunto alle orecchie degli uomini. Lampo e tuono abbisognano di tempo, la luce delle stelle abbisogna di tempo, gli atti abbisognano di tempo anche dopo esser stati compiuti, per essere visti e uditi. Questo atto, per gli uomini, è pur sempre ancora più lontano della più lontana delle stelle ‑ e tuttavia sono stati loro stessi a compierlo!»

Si narra ancora che il folle, in quello stesso giorno, abbia fatto irruzione in diverse chiese e vi abbia intonato il suo Requiem aeternam deo. Cacciato fuori e interrogato, si dice non abbia replicato altro che questo: «Cosa sono ormai queste chiese, se non le tombe e i sepolcri di Dio?»."

Il passo si presta a essere frainteso (ed è stato e continua a essere non poche volte frainteso), soprattutto se lo si legge senza entrare in quel circolo ermeneutico nietzschiano, che ha il suo centro appunto nel concetto di nichilismo. Un passo parallelo, che si trova nella stessa opera, può portare ancor più fuori strada. Nietzsche, infatti, ribadisce che il più grande evento dei tempi recenti è «che Dio è morto» e precisa che la fede nel Dio cristiano è diventata inattendibile.

II fraintendimento consisterebbe nel credere che le affermazioni lette esprimano un mero ateismo, e, quindi, la precisa presa di posizione di un non credente, e, per di più, di un non credente quale fu Nietzsche, che ‑ tra l'altro ‑ morì come folle, proprio come il personaggio simbolico in bocca al quale viene messa l'affermazione iconoclastica «Dio è morto». Qual è, allora, il significato di questa affermazione?

L'interpretazione di Heidegger dell'affermazione di Nietzsche «Dio è morto» come azzeramento di tutti i valori

Il significato dell'affermazione della morte di Dio ha una portata ben più vasta di quella esprimente una forma di comune ateismo. Heidegger scrive:

"Si potrebbe supporre che la parola «Dio è morto» esprima un'opinione dell'ateo Nietzsche, e sia perciò solo una presa di posizione personale e pertanto unilaterale, e quindi anche facilmente confutabile: basterebbe rinviare al fatto che oggi ovunque ci sono molti uomini che frequentano le chiese e affrontano le pene della vita con una fede in Dio cristianamente determinata. Resta però la questione se quella parola di Nietzsche sia soltanto il parere esaltato di un pensatore che ‑ come si può correttamente asserire ‑ è finito con il diventare pazzo. Resta in questione se qui Nietzsche non esprima piuttosto la parola che viene già sempre inespressamente detta all'interno della storia metafisicamente determinata dell'Occidente. Prima di qualsiasi presa di posizione avventata, dobbiamo tentare di pensare la parola «Dio è morto» così come essa è intesa. Faremo quindi bene ad astenerci da ogni sventato fraintendimento che subito s'impone quando udiamo questa terribile parola."

Per la verità Nietzsche stesso ha scritto che l'affermazione «Dio è morto» indica che «la fede nel Dio cristiano è diventata inaffidabile». Ma che cosa intende Nietzsche per «Dio cristiano»? Ecco la risposta di Heidegger:

"Da questa frase risulta chiaro che la parola di Nietzsche sulla morte di Dio intende il Dio cristiano. Ma è non meno certo ‑ e va anzi pensato in prima istanza che nel pensiero di Nietzsche i nomi «Dio» e «Dio cristiano» vengono usati per designare il mondo soprasensibile in generale. «Dio» è il nome per l'ambito delle idee e degli ideali. A partire da Platone ‑ o più esattamente: dall'interpretazione tardo‑greca e da quella cristiana della filosofia platonica ‑ questo ambito del soprasensibile vale come il mondo vero e autenticamente reale. A differenza di esso, il mondo sensibile è solo il mondo di qua, il mondo alterabile e perciò meramente parvente, irreale. Il mondo di qua è la valle di lacrime, in contrapposizione al monte dell'eterna beatitudine nell'aldilà. Se chiamiamo il mondo sensibile come il mondo fisico nel senso più ampio (così accade ancora in Kant), allora il mondo soprasensibile è il mondo metafisico. La parola «Dio è morto» significa: il mondo soprasensibile è senza forza efficiente. Non dispensa vita. La metafisica (cioè, per Nietzsche, la filosofia occidentale intesa come platonismo) è alla fine. Nietzsche intende la sua propria filosofia come il contromovimento contro la metafisica (cioè, per lui, contro il platonismo).

In quanto mero contromovimento, tuttavia, la filosofia nietzschjana resta necessariamente attaccata, così come ogni «anti‑», all'essenza di ciò contro cui si rivolge. Il contromovimento antimetafisico di Nietzsche, in quanto mero contraltare della metafisica, è l'irretimento senza scampo entro la metafisica stessa, e precisamente nel senso che questa si slaccia dalla sua propria essenza e non è mai in grado, in quanto metafisica, di pensare la sua propria essenza. Perciò alla metafisica, e per mezzo di essa, resta nascosto ciò che propriamente accade entro essa e che accade come essa stessa. Se Dio, come fondamento soprasensibile e come meta di ogni reale, è morto, se il mondo soprasensibile delle idee ha perduto la sua forza vincolante, e soprattutto la sua forza esortativa e costruttiva, allora non resta più nulla a cui l'uomo possa attenersi e in base a cui possa orientarsi. Ecco perché nel brano che abbiamo letto c'è la domanda: «Non andiamo errando come per un Nulla infinito?». La parola «Dio è morto» implica la constatazione che questo Nulla sta diffondendosi. «Nulla» significa qui: assenza di un mondo soprasensibile, vincolante. Il nichilismo, «il più inquietante degli ospiti», è alle porte."

Heidegger precisa ulteriormente, in una pagina che è opportuno riportare e leggere con particolare attenzione come la precedente, perché giunge al nocciolo del problema:

"Il nichilismo è un movimento storico, non una visione o una dottrina qualsiasi sostenuta da qualcuno. Il nichilismo muove la storia, e lo fa in quanto è un processo fondamentale, appena avvertito, nel destino dei popoli occidentali. Il nichilismo non è perciò neppure un fenomeno storico fra altri, non è soltanto una corrente spirituale che, all'interno della storia occidentale, si presenti accanto ad altre ‑ accanto al cristianesimo, all'umanesimo e all'illuminismo.

Il nichilismo, pensato nella sua essenza, è piuttosto il movimento fondamentale della storia dell'Occidente. Sul suo fondale esso mostra un andamento sussultorio così possente, che il suo compiuto dispiegamento potrà avere ormai per conseguenza solo catastrofi mondiali. Il nichilismo è il movimento storico mondiale dei popoli della terra trascinati nell'ambito di potenza dell'Età moderna. Ecco perché il nichilismo non è solamente un fenomeno del tempo presente, e neppure soltanto il prodotto del XIX secolo, sebbene proprio allora si sia destato uno sguardo più acuto nei suoi riguardi e anche il nome «nichilismo» sia divenuto usuale. Né tantomeno il nichilismo è soltanto il prodotto di singole nazioni i cui pensatori e scrittori parlano esplicitamente di esso. Quelle che se ne credono libere, ne promuovono forse il dispiegamento nello strato più profondo.

Nell'inquietanza di questo ospite estremamente inquietante è insito che esso non possa nominare la sua propria provenienza. Il nichilismo non domina anzitutto là dove il Dio cristiano viene negato e il cristianesimo combattuto, e neppure solo dove dei sedicenti liberi pensatori predicano un ateismo triviale. Finché guardiamo esclusivamente a questa miscredenza distaccantesi dal cristianesimo e alle varie forme in cui essa si manifesta, il nostro sguardo resta rivolto alle facciate esteriori e caduche del nichilismo. Il discorso del folle dice appunto che la parola «Dio è morto» non ha nulla in comune con le opinioni meramente superficiali e confuse di coloro che «non credono in Dio». Alle orecchie di coloro che sono miscredenti in questo modo, il nichilismo non è ancora affatto arrivato come destino della loro propria storia. Finché prendiamo la parola «Dio è morto» soltanto come la formula della miscredenza, la intendiamo in maniera teologico‑apologetica e rinunciamo a ciò che per Nietzsche è l'importante, ossia rinunciamo alla meditazione che ripensa a fondo quanto è già accaduto alla verità del mondo soprasensibile e al suo rapporto con l'essenza dell'uomo."

La «morte di Dio», pertanto, significa lo smarrimento della dimensione della trascendenza, l'azzeramento totale dei valori a essa connessi, la perdita dì tutti gli ideali.

Precise conferme di Nietzsche che la morte di Dio coincide con l'azzeramento di tutti i valori e con la perdita di tutti gli ideali

E che l'esegesi di Heidegger non sia un ripensamento teoretico del messaggio di Nietzsche, ma una vera e propria chiarificazione di carattere ermeneutico oggettivo, lo provano alcune precise affermazioni di Nietzsche stesso. In un frammento già in precedenza riportato si dice chiaramente che il nichilismo consiste nel fatto che «i valori supremi si svalorizzano». In un altro frammento, leggiamo:

"l'ideale è stato finora la vera e propria forza calunniatrice del mondo e dell'uomo, il soffio velenoso sulla realtà, la grande seduzione che porta al nulla."

In un altro frammento ancora, che porta il titolo Diario del nichilista, viene addirittura esplicitato il concetto di «ateismo» nel senso del nichilismo:

"Tutto esiste, ma non ci sono fini. ‑ L'ateismo come mancanza di ideali."

E infine:

"L'assoluto cambiamento che interviene con la negazione di Dio ‑. Non abbiamo assolutamente più nessun Signore sopra di noi; il vecchio mondo dei valori è teologico ‑ esso risulta rovesciato."

In conclusione, l'affermazione «Dio è morto» è la formula emblematica del nichilismo e significa che ha perso ogni consistenza e ogni rilevanza il mondo metasensibile (il mondo metafisico) degli ideali e dei valori supremi, concepito come essere in sé, come causa e come fine, ossia come ciò che dà senso a tutte le cose sensibili, in generale e alla vita degli uomini, in particolare.

Il nichilismo compiuto e la trasvalutazione di tutti i valori proposta da Nietzsche sulla base della volontà dì potenza

Nietzsche, come abbiamo già in precedenza accennato, si rende ben conto che, anche dopo che si sia compiuto l'azzeramento di tutti quelli che sono stati in passato considerati supremi ideali e valori, la vita del mondo e dell'uomo continuano. Ma è evidente che i valori sono una condizione tolta la quale la vita diventa assurda.

Vediamo in breve quali sono le sue conclusioni, e cerchiamo di approfondire ulteriormente quanto abbiamo già detto nel precedente capitolo sulla «trasvalutazione di tutti i valori».

I valori non si fondano sull'essere e sul vero, non sono qualcosa «in sé e per sé», ma sono punti di vista, sono ciò che secondo una precisa visuale si impone come condizione di conservazione e di accrescimento della vita.

II divenire e la vita sono «volontà di potenza», e i valori si connettono strettamente appunto con tale «volontà di potenza», che si impone come cespite di tutti i valori «trasvalutati». Scrive Nietzsche:

"I valori e il loro variare stanno in rapporto con la crescita della potenza di chi pone i valori; la misura di incredulità, di una riconosciuta «libertà dello spirito» come espressione della crescita di potenza; «nichilismo» come ideale di suprema potenza dello spirito, di vita straricca: in parte distruttivo, in parte ironico."

La trasvalutazione dei valori proposta da Nietzsche comporta pertanto un rovesciamento degli antichi valori e una loro traslocazione dalla sfera della trascendenza alla sfera della volontà di potenza.

Ma questa espressione può facilmente trarre in inganno: essa ha infatti un significato assai più complesso di quello che essa avrebbe se si assumessero i significati che, nel comune linguaggio, hanno i termini «volontà» e «potenza». Come i più acuti interpreti del nostro filosofo hanno ben chiarito, la «volontà» in senso nietzschiano va intesa come un autoimporsi e comandare, e, precisamente, come un imporsi per un accrescimento di se stessa. Leggiamo uno dei passi più eloquenti di Nietzsche:

"Si riassorbisca di nuovo colui che fa nel fare, dopo che lo si è concettualmente estratto, svuotando in tal modo il fare. Si riprenda di nuovo nel fare il far qualcosa, la «meta», l'«intenzione», il «fine», dopo che dal fare si è estratto artificialmente il fine, svuotando in tal modo il fare. Tutti gli «scopi», le «mete», i «significati» non sono che espressioni
e metamorfosi dell'unica volontà che inerisce a ogni accadere, la volontà di potenza; l'avere scopi, mete, intenzioni, il valore in generale equivalgono a un voler diventare più forti, a un voler crescere, e in più a volere anche i mezzi; l'istinto più universale ed elementare, in ogni fare e volere, è rimasto il più conosciuto e nascosto proprio per il fatto che, in pratica, noi segniamo sempre il suo comando, per il fatto che siamo questo comando... Tutti i giudizi di valore sono solo conseguenze e ristrette prospettive al servizio dì quest'unica volontà; il giudicare stesso è solo questa volontà di potenza; una critica dell'essere in base a uno qualunque di questi valori è qualcosa come un controsenso e un equivoco; anche nel caso che in tutto questo si introducesse un processo di decadenza, questo processo servirebbe ancora a quella volontà."

L'attuarsi della volontà di potenza nelle sue varie possibilità e le maniere in cui essa si autocostituisce, in vario modo strutturandosi e articolandosi, è l'arte, la quale viene quindi a imporsi come una sorta di valore supremo.

E per «arte» Nietzsche intende non solo l'arte nel comune significato moderno del termine (l'arte dei diversi «artisti» operanti all'interno della sfera della ricerca del bello), bensì quella forza stessa della volontà di potenza, che la stimola e la spinge a dispiegarsi in senso cosmico a tutti i livelli. In tal senso l'«arte» viene a essere, oltre che il cespite, l'attuarsi stesso della possibilità della vita.

Un passo che esprime una cifra emblematica del pensiero nietzschiano, e che reca il titolo La volontà di potenza. Tentativo di una trasvalutazione di tutti i valori, riassume in modo perfetto i concetti base di cui stiamo parlando, e conviene leggerlo per esteso:

"La concezione del mondo in cui ci si imbatte sullo sfondo di questo libro è singolarmente fosca e spiacevole; fra i tipi di pessimismo finora conosciuti sembra che nessuno abbia raggiunto lo stesso grado di cattiveria. Qui manca la contrapposizione fra un mondo vero e uno apparente: c'è solo un mondo, ed è falso, crudele, contraddittorio, corruttore, senza senso... Un mondo così fatto è il vero mondo...

Noi abbiamo bisogno della menzogna per vincere questa realtà, questa «verità», cioè per vivere... Che la menzogna sia necessaria per vivere, anche ciò fa parte di questo terribile e problematico carattere dell'esistenza... La metafisica, la morale, la religione, la scienza ‑ in questo libro vengono prese in considerazione solo come diverse forme di menzogna: col loro sussidio si crede nella vita. «La vita deve ispirare fiducia»: il compito, così posto, è immenso. Per assolverlo, l'uomo dev'essere già per natura un mentitore, dev'essere prima di ogni altra cosa un artista... E anche lo è: metafisica, morale, religione, scienza ‑ sono nient'altro che creature della sua volontà d'arte, di menzogna, di fuga davanti alla «verità», di negazione della «verità». Questa stessa facoltà, grazie alla quale egli violenta la realtà con la menzogna, questa facoltà artistica per eccellenza dell'uomo ‑ egli l'ha in comune con tutto ciò che è; egli stesso è anzi una parte di realtà, di verità e di natura ‑ egli stesso è anche una parte del genio della menzogna...

Che il carattere dell'esistenza venga misconosciuto è il profondissimo e supremo fine recondito della scienza, della religiosità, della tendenza artistica. Molte cose non vederle mai, molte cose vederle falsamente e vederne molte altre che non ci sono... Oh, come si è accorti anche nelle situazioni in cui si è ben lungi dal ritenersi accorti! L'amore, l'entusiasmo, «Dio» ‑ tutte finezze di un estremo inganno di sé, tutte seduzioni che spingono a vivere! Nei momenti in cui l'uomo diventa l'ingannato, in cui crede nuovamente alla vita, in cui ha raggirato se stesso: oh, come allora egli si gonfia! Che delizia! Che senso di potenza! Quanto trionfo dell'artista c'è nel senso della potenza!...

L'uomo ha affermato ancora una volta la sua sovranità sulla «materia» la sua sovranità sulla verità!... E ogni volta che l'uomo si allieta, è sempre lo stesso nella sua gioia: si allieta come artista, gode se stesso come potenza. La menzogna è la potenza... L'arte e nient'altro che l'arte. Essa è la grande creatrice della possibilità di vivere, la grande seduttrice alla vita, il grande stimolante per vivere…"

A questo capovolgimento di tutti i valori in funzione della volontà di potenza, con tutte le sue implicanze, si connette strettamente anche il significato del «superuomo» nel suo senso tecnico, che non è una sorta di superspecie di uomo, bensì viene a essere quel tipo di uomo che si pone sulla base appunto della volontà di potenza, e agisce secondo le strutture e le articolazioni di essa.

Il pensiero e la vita di Nietzsche come nichilismo portato alle estreme conseguenze

Di fronte a passi come quelli che abbiamo letto, viene da chiedersi se Nietzsche abbia davvero rovesciato i valori con un qualche positivo guadagno, oppure se la posizione da lui assunta non sia altro che il nichilismo stesso distruttivo, portato alle sue conseguenze estreme.

Heidegger ha dato risposte esemplari, le quali si impongono anche al di fuori delle sue ben note posizioni teoretiche, che in larga misura le sorreggono. Leggiamo i tre passi più significativi al riguardo.

Nel primo passo Heidegger precisa bene quanto segue:

"Nietzsche, nonostante ogni suo capovolgere e trasvalorizzare la metafisica, rimane nell'orbita ininterrotta delle tradizioni metafisiche quando dà semplicemente il nome di «essere» o di «essente» o di «verità» a ciò che la volontà di potenza è in potere di determinare e fissare per la propria conservazione. In conformità a ciò, la verità è una condizione posta e istituita entro l'essenza della volontà di potenza, e precisamente la condizione della conservazione di potenza. La verità, in quanto condizione di questo tipo, è un valore. Poiché però la volontà può volere solo avendo a disposizione una riserva costante, allora la verità è quel valore che, a partire dall'essenza della volontà di potenza, è necessario per la stessa volontà di potenza. Il nome «verità» non significa ora né l'inascosità dell’essente, né la concordanza di una conoscenza con l'oggetto, e neppure la certezza come l'acceduto e perspicace notificare e trasporre al sicuro il pro-posto, il rappresentato. Verità è ora ‑ e invero in una provenienza storico‑essenziata dalle suddette modalità della sua essenza ‑ la persistente circostanziante assicurazione della sussistenza della riserva costante di quella cerchia a partire da cui la volontà di potenza vuole se stessa."

Nel secondo passo Heidegger approfondisce ulteriormente i suo rilievi nel modo che segue:

"Che ne è dell'Essere? Dell'Essere ne è nulla. E se proprio in ciò si annunciasse l'essenza finora celata del nichilismo? Il nichilismo puro sarebbe allora il pensare per valori? Ma Nietzsche concepisce la metafisica della volontà di potenza proprio come il superamento del nichilismo. In effetti, finché il nichilismo viene inteso soltanto come la devalorizzazione dei valori supremi, e la volontà di potenza viene pensata come il principio della trasvalorizzazione di tutti i valori per via di una nuova istituzione di valori supremi, la metafisica della volontà di potenza è senz'altro un superamento del nichilismo. Però in questo superamento del nichilismo viene elevato a principio il pensare per valori, il pensiero assiologico.

Ma tuttavia, se il valore non lascia che l'Essere sia l'Essere che esso è in quanto è l'Essere stesso, allora il presunto superamento sarà prima di tutto il compimento finale del nichilismo. Adesso, infatti, non solo la metafisica non pensa l'Essere stesso, ma questo non‑pensare l'Essere si avvolge nel velo della parvenza di pensare l'Essere nel modo più degno proprio valutandolo come valore, così che divenga e rimanga superflua ogni messa in questione dell'Essere. Se tuttavia, pensato in riferimento all'Essere stesso, è nichilismo il pensiero che pensa tutto per valori, allora perfino l'esperienza nietzschiana del nichilismo ‑ secondo cui esso sarebbe la devalorizzazione dei calori supremi ‑ è già un'esperienza nichilistica. L'interpretazione del mondo soprasensibile, l'interpretazione di Dio in termini di valori supremi non è pensata in base all'Essere stesso. L'ultimo colpo contro Dio e contro il mondo soprasensibile consiste nel fatto che Dio, l 'Essente degli essenti, viene privato di dignità e svalutato con l'abbassamento a valore supremo. Il colpo più duro contro Dio non consiste nel ritenerlo inconoscibile, né nel dimostrare come indimostrabile la sua esistenza, ma nell'elevare il Dio ritenuto reale al rango di valore supremo. Infatti questo colpo non viene inferto dai vagabondi che stanno attorno al folle, i quali non credono in Dio, ma dai credenti e dai loro teologi: costoro parlano del più Essente di tutti gli essenti senza mai farsi venire in mente di pensare all'Essere stesso, senza quindi rendersi conto che, dal punto di vista della fede, questo pensare e quel parlare, nel caso si mescolino alla teologia della fede, sono la pura e semplice bestemmia di Dio."

Ed ecco le affermazioni conclusive che Heidegger fa al riguardo di questo problema:

"L'assicurare, in quanto procurare sicurezza, si fonda nella istituzione di valori. L'istituire valori ha sottomesso ogni essente‑in‑sé, e con ciò lo ha tolto di mezzo, lo ha ucciso, come essente‑per‑sé. Questo ultimo colpo per l'uccisione di Dio è inferto dalla metafisica, la quale, in quanto metafisica della volontà di, potenza, trae a compimento il pensiero nel senso del pensare per valori, del pensiero assiologico. Ma questo ultimo colpo, con cui l'Essere è abbattuto e abbassato a mero valore, lo stesso Nietzsche non lo riconosce più come quel colpo che esso è quando viene pensato con riguardo all'Essere stesso. Ma non è lo stesso Nietzsche a dire: «Noi tutti siamo i suoi assassini! ‑ voi e io!»? Certamente. In conformità a ciò Nietzsche concepisce anche la metafisica della volontà di potenza come nichilismo. Senza dubbio. Ma per Nietzsche ciò vuol dire soltanto che essa, in quanto contromovimento nel senso di trasvalorizzazione di tutti i valori durati finora, trae più nettamente ‑ perché definitivamente a compimento la precedente «devalorizzazione di tutti i valori finora supremi»."

Non c'è dubbio: il traslocamento dei valori dalla sfera dell'essere e della trascendenza alla sfera immanente della volontà di potenza e la connessa trasvalutazione radicale dei supremi valori costituiscono la tappa conclusiva e compiuta del nichilismo qual è stato da Nietzsche stesso descritto e interpretato.

La strada da percorrere che egli indicava era senza via d'uscita e addirittura portava verso un baratro. E la follia finale di Nietzsche è come l'incarnazione emblematica di questo esito della strada del nichilismo.

Lo stato intermedio del nichilismo e il nichilismo incompleto

Fra lo stato caratterizzato dalla distruzione dei valori supremi tradizionali e la trasvalutazione compiuta di questi valori c'è uno stato intermedio. Scrive Nietzsche:

"I supremi valori, per servire quali l'uomo dovrebbe vivere, in particolare quando dominassero su di lui in maniera molto gravosa e dispendiosa: questi valori sociali sono stati edificati al fine di rafforzarne il tono, sopra l'uomo, quasi fossero comandamenti di Dio, come «realtà», come mondo «vero», come speranza e mondo futuro. Ora che si fa chiara la meschina derivazione di tali valori, l'universo ci appare perciò divenuto privo di valore, «privo di senso»... ma questo è solo uno stato intermedio."

Ora, questo stato intermedio può dare origine (e anzi dà origine in maniera cospicua) a un nichilismo incompleto, che cerca di sfuggire alle conseguenze del nichilismo stesso, con travestimenti vari dei valori supremi di vario tipo, che vanno dal sapere scientifico alla prassi sociale, con tutta una gamma di sfumature. Nietzsche scrive:

"Proposizione principale. In che senso il perfetto nichilismo è la necessaria conseguenza degli ideali finora coltivati. ‑ Il nichilismo incompleto, sue forme: noi ci viviamo in mezzo. ‑I tentativi di sfuggire al nichilismo senza trasvalutare quei valori: producono il contrario, acutizzano il problema."

E ancora, esprimendo uno dei suoi categorici «no» ai travestimenti degli antichi valori, afferma:

"Il mio riconoscimento e la mia enucleazione dell'ideale tradizionale, quello cristiano, anche là dove si è fatta piazza pulita della forma dogmatica del cristianesimo. La pericolosità dell'ideale cristiano si nasconde nei suoi sentimenti di valore, in ciò che può fare a meno dell'espressione concettuale: mia lotta contro il cristianesimo latente (per esempio in musica, nel socialismo)."

Il senso del richiamo al socialismo è ben chiaro; il richiamo musicale è al Parsifal di Wagner, che ripropone il mistero della Pasqua.

Una riconferma di Heidegger

Anche questo punto è stato assai ben compreso e chiarito da Heidegger, nel passo seguente:

"Certo, davanti allo scuotimento del dominio dei valori precedenti si può tentare anche di fare altro. Se infatti Dio, nel senso del Dio cristiano, è svanito dal suo posto nel mondo soprasensibile, allora il posto rimane pur sempre, è ancora mantenuto, sebbene sia divenuto vuoto. Questo ambito divenuto vuoto del mondo soprasensibile e del mondo ideale può essere ancora saldamente tenuto. Anzi, il posto vuoto addirittura pretende di essere ricostituito, rioccupato, e intima di sostituire con un altro Dio il Dio destituito. Si erigono nuovi ideali. Secondo la concezione di Nietzsche (Volontà di potenza, af. 1021, anno 1887), ciò avviene con le dottrine della felicità universale e con il socialismo, come pure con la musica wagneriana, cioè ovunque il «cristianesimo dogmatico» «ha chiuso bottega». Sorge così il «nichilismo incompleto». In proposito Nietzsche dice (Volontà di potenza, af. 8, anno 1887): «Il nichilismo incompleto, le sue forme: viviamo in mezzo a esse. I tentativi di sfuggire al nichilismo, senza trasvalorizzare i valori precedenti: producono il contrario, acuiscono il problema».

Possiamo formulare in modo più perspicuo e acuto l'idea nietzschiana del nichilismo incompleto dicendo così: Il nichilismo incompleto sostituisce, sì, i precedenti valori con altri, ma questi ultimi li istituisce mettendoli pur sempre al vecchio posto, il quale viene per così dire tenuto libero come l'ambito ideale del soprasensibile. Il nichilismo completo, invece, deve eliminare perfino il posto stesso dei valori ‑ il soprasensibile in quanto ambito ‑ e, conformemente a ciò, deve istituire i valori in modo diverso e trasvalorizzarli. Ne segue chiaramente che il nichilismo completo, compiuto e quindi classico, implica sì la «trasvalorizzazione di tutti i valori, precedenti», ma la trasvalorizzazione non è una mera sostituzione dei vecchi valori con valori nuoci. Il trasvalorizzare diviene il travolgimento e capovolgimento del tipo e della modalità dei valorizzare. La istituzione di valori ha bisogno di un nuovo principio, ossia di un nuovo posto da cui partire e in cui mantenersi. La istituzione di valori ha bisogno di un altro ambito. Il principio non può più essere il mondo del soprasensibile, divenuto privo di vita. Il nichilismo mirante alla trasvalorizzazione così intesa, pertanto, sarà alla ricerca di ciò che è massimamente vivente. Ii nichilismo diviene così esso stesso «l'ideale della vita ultraricca» (Volontà di potenza, af. 14, anno 1887). In questo nuovo valore supremo si nasconde una diversa valutazione della vita, ossia di ciò in cui riposa l'essenza determinante di ogni vivente. Resta perciò da chiedere che cosa Nietzsche intenda per «vita»."

Ma questo ideale di una vita ultraricca, come abbiamo già detto, finisce con l'essere la morte.

Un senso che può avere quel folle di cui parlava Nietzsche

Ancora Heidegger ha fornito alla domanda che abbiamo posto nel paragrafo la seguente risposta, che merita di essere ben meditata:

"Per tenerlo in debito conto e imparare a dargli conto, può già esserci sufficiente ripensare per una volta a ciò che il folle dice della morte di Dio e al modo in cui lo dice. Forse allora non faremo più sventatamente finta di non udire ciò che viene detto all'inizio dei brano, ossia che il folle «si mise a gridare incessantemente: "Cerco Dio! Cerco Dio!"». In che senso quest'uomo è folle? Egli è stra‑vagante. Ha infatti divagato dal piano dell'uomo durato finora, è fuori da quel piano su cui gli ideali divenuti irreali del mondo soprasensibile vengono spacciati per il reale, mentre si realizza il loro contrario. Quest'uomo stra‑vagante vaga al di là dell'uomo durato finora. Nondimeno, in questo modo egli non ha fatto altro che girovagare completamente dentro l'essenza predestinata dell'uomo durato finora: essere l'animal rationale. Quest'uomo in tal senso stra‑vagante, perciò, non ha nulla in comune con quel tipo di vagabondi pubblici «che non credono in Dio». Costoro sono infatti non‑credenti non perché Dio, in quanto Dio, sia divenuto per loro indegno di fede, ma perché essi stessi, non essendo più in grado di cercare Dio, hanno rinunciato alla possibilità della fede. Non sono più in grado di cercare perché non pensano più. I vagabondi pubblici che attorniano l'uomo pazzo hanno abolito il pensiero, e lo hanno sostituito con la chiacchiera che fiuta nichilismo ovunque opina sia in pericolo il suo proprio opinare. Questo sempre più. crescente autoaccecarnento nei confronti del nichilismo autentico tenta in tal modo di ovviare alla propria angoscia davanti al pensiero. Ma questa angoscia è l'angoscia davanti all'angoscia. Il folle invece, come risulta univocamente dalle prime frasi del brano ‑ e ancora più univocamente, per chi è capace di udire, dalle ultime frasi ‑, è colui che cerca Dio gridando «Dio» a gran voce. Forse un pensante ha realmente gridato qui de profundis? E l'orecchio del nostro pensiero? Continua ancora a non udire il grido? Il grido continuerà a non essere udito finché non si inizierà a pensare. Ma il pensiero inizierà solo quando avremo esperito che la ragione, glorificata da secoli, è la più accanita avversaria del pensiero."