FRIEDRICH NIETZSCHE
E LA "VOLONTÀ DI POTENZA"
IL "SUPERUOMO" E LA VOLONTÀ DI POTENZA
Con il termine di "superuomo" (Übermensch), che si delinea nell'arco di tre opere, Così parlò Zarathustra, Al di là del bene e del male e La volontà di potenza, Nietzsche designa il suo messaggio circa l'uomo nuovo che deve venire, che deve spezzare le vecchie catene e creare un senso nuovo della terra. L'uomo deve inventare l'uomo nuovo, il superuomo esattamente, l'uomo che va "oltre" l'uomo, un uomo che - voltate le spalle alle chimere del "cielo" - tornerà alla sanità della terra, un uomo i cui valori sono la salute, la volontà forte, l'amore, l'ebbrezza dionisiaca e un nuovo orgoglio.
«Un nuovo orgoglio - dice Zarathustra - mi insegnò il mio Io, e io l'insegno agli uomini: non cacciate più la testa nella sabbia delle cose celesti, ma portatela liberamente: una testa terrestre, che crea essa stessa il senso della terra». Il superuomo fronteggia la vita accettandola con amor fati, annuncia la morte di Dio e la trasmutazione di tutti i valori di cui la tradizione ci ha caricato. Il superuomo è l'uomo che ha riconquistato lo spirito di Dioniso.
Il superuomo «ama la vita» ed è fedele al senso della terra da lui creato. Qui sta la sua volontà di potenza.
Ci sono stati interpreti che hanno visto nel superuomo di Nietzsche il perno dell'idea nazista della superiorità della razza ariana e, in Nietzsche quindi, un profeta del nazismo, ma tali interpretazioni sono errate. Fu la sorella di Nietzsche, Elisabeth Förster-Nietzsche, custode dei manoscritti del fratello e fautrice dell'idea di una palingenesi universale da affidare alla nazione tedesca, a intervenire pesantemente sulle pagine manoscritte de La volontà di potenza, facendo apparire il fratello come negatore dell'umanitarismo e della democrazia.
Il problema dell'interpretazione di Nietzsche non consiste però tanto nel dichiarare che egli non ha mai pensato o voluto ciò che, nel Novecento, è stato fatto in suo nome, né nell'appellarsi soltanto alla falsificazione dell'eredità, ma piuttosto nel domandarsi come mai ciò che si chiama tanto ingenuamente una falsificazione sia avvenuto proprio sul suo lascito, e non su altri; e perché l'unica istituzione di insegnamento che abbia avuto la tentazione di richiamarsi a Nietzsche sia stata quella nazista.
Per i teorici nazional-patriottici, Nietzsche divenne il mito vivente del Volk, era rappresentato come il filosofo che aveva trasceso la meschinità del modo di pensare dei suoi connazionali, assurgendo alla statura di Überdeutscher, di supremo modello tedesco. Nietzsche: ecco l'eroe che coraggiosamente continuava per la sua strada, lastricata di inevitabili orrori, indifferente ai pericoli che lo minacciavano da ogni parte, tendendo esclusivamente al proprio fine; quanto al suo antigermanesimo, lo si sarebbe letto in chiave di trascendenza della meschinità della Germania, in vista della realizzazione di un nuovo, grandioso mito tedesco. In Nietzsche si vedeva l'incarnazione della qualità del capo, necessario veicolo alla meritata grandezza nazionale. Il suo rifiuto delle cose quali sono, le sue affermazioni in merito alla crisi tedesca, erano interpretate quali proiezioni di una volontà di potenza che permetteva di trascendere le limitazioni storiche. Spesso il suo pensiero veniva ridotto ad un pugno di concetti sui poteri della volontà e sulla germinazione del superuomo dall'intima coscienza dell'elezione, in base alle alterazioni frutto delle interpolazioni fatte dalla sorella Elisabeth: Nietzsche era il grande veggente tedesco, il profeta della rinata razza degli eroi, non certo lo scettico sarcastico, l'annunciatore della morte di una religione e di una civiltà.
Dal settembre 1893 Elisabeth assume la gestione delle opere del fratello (ormai incapace di intendere): incomincia qui un'egemonia durata fino alla morte di lei, nel 1935. Più di quarant'anni di ininterrotto anche se non incontrastato dominio bastano a gettare sulle spalle di chiunque responsabilità onerose, specie se questi anni vanno dall'età di Guglielmo II a quella di Hitler. Proprio per questo si è innescato, al di là delle oggettive colpe di Elisabeth, il meccanismo della donna-parafulmine che attira su di sé l'aggressività suscitata dall'uomo cui sta a fianco, diagnosticato da Nietzsche (che pensava forse a Cosima Wagner) nell'aforisma 430 di Umano, troppo umano. Ora il problema sarebbe soltanto di sapere se davvero il Nietzsche eroico è una pura invenzione di Elisabeth o se questa autocomprensione così grave non sia già in lui, di modo che il giudizio contro Elisabeth non sarebbe in fondo che un giudizio antinietzschiano - o almeno il tentativo di obiettivare in Elisabeth ciò che non si riesce a sopportare nel fratello. Bisogna anche notare che quando, il 25 e 26 settembre 1892, D'Annunzio pubblica sul "Mattino" La bestia elettiva, riprendendo e banalizzando l'aristocratismo di Nietzsche la sorella maledetta è fuori portata, in Paraguay. Oppure che Julius Langbehn, nel 1890 (cioè sempre con Elisabeth lontana dalla Germania) si poteva rifare a Nietzsche in un suo libro in cui si propugnava una rivoluzione conservatrice tedesco-ellenica. Tutto questo non attenua le responsabilità di Elisabeth, ma vieta i processi sommari.
Ma che cosa ha fatto veramente Elisabeth per attirarsi l'accusa dominante e canonizzata di falsaria, nazista e antisemita? Elisabeth e Peter Gast nel 1906 hanno ordinato in modo tematico, appoggiandosi al piano abbozzato da Nietzsche nel marzo 1887, ciò che in buona regola filologica avrebbe dovuto essere disposto cronologicamente, hanno accorpato frammenti di epoche diverse ed eliminato altri che risultassero incompleti, o ripetitivi, o "poco filosofici".
Si tratta prima di tutto di distinguere tra l'attività di Elisabeth come editrice del Wille zur Macht assieme a Gast, e il suo operato in qualità di biografa del fratello, di editrice di lettere e di direttrice dell'Archivio Nietzsche. Abbiamo più di un motivo per denunciare le alterazioni e i falsi nelle lettere, le ricostruzioni interessate in chiave biografica, la gestione dispotica dell'Archivio. Ma questo non investe ancora la questione del testo del 1906. In quest'ultimo settore dell'attività di Elisabeth, la versione più ingenua si immagina una sorella maledetta intenta ad aggiungere inni antisemiti o protonazisti al discorso del fratello che viene consegnato inerme a una tradizione infamante; ma un'altra versione più accorta stima invece che, pur non avendo aggiunto, Elisabeth potrebbe benissimo avere falsificato per omissione.
Ogni lettore che si accosti al Wille zur Macht conoscendone la leggenda non può che meravigliarsi nel vedere i tedeschi trattati da teste di paglia e gli antisemiti da falliti, o nel leggere gli elogi di Heine. Dunque Elisabeth, oltre a non aver aggiunto nulla di suo, nemmeno ha censurato delle affermazioni che potessero spiacere a Hitler (che nel 1906 aveva 17 anni). Non lo ha fatto e nemmeno avrebbe potuto farlo, visto che sono tesi note di Nietzsche, così come non ha aggiunto delle frasi aggressive o aristocratico-sanguinarie.
Ma allora che cosa ha fatto Elisabeth? Un esempio è l'aforisma 88, in cui viene omessa l'ultima parte del frammento in questione, e che non è certo un'inezia: «Valore delle forme complesse, del mosaico psichico e perfino della disordinata e trascurata economia dell'intelletto. Il cristianesimo omeopatico, quello dei curati di campagna protestanti. Il protestantesimo immodesto, quello dei predicatori di corte e degli speculatori antisemiti». Dunque è facile sospettare quali motivi abbiano potuto indurre Gast ed Elisabeth alla soppressione di un brano che crocifigge gli agitatori antisemiti, ossia Bernhard Förster, marito di Elisabeth.
Si conosce la circostanza edipica in cui Elisabeth abbraccia il partito del Förster: la madre avversava il suo matrimonio così come aveva fatto in precedenza con Nietzsche. Nella specie, cercò di appoggiarsi al figlio contro la figlia, e in effetti è a partire dal 1883 che Nietzsche diventa iperbolicamente filosemita: Elisabeth ascrive dunque tutto il suo momento antisemita alla rissa in famiglia e alla volontà di rivalersi contro la madre e il fratello. Ma ciò non impedì che, in seguito, per la pubblicazione delle opere di Nietzsche si servisse di finanziamenti di banchieri ebrei. Anche ammesso che Elisabeth cambiasse opinione per opportunismo, resta che all'epoca della compilazione del Wille zur Macht non aveva alcun motivo per essere antisemita.
Lo ridiventerà dopo, con l'ascesa del nazismo? È famoso l'incontro del 2 novembre 1933 in cui Hitler si reca in visita all'Archivio Nietzsche, riceve in dono da Elisabeth un bastone appartenuto al fratello ed esce tra due ali plaudenti di folla, non prima che Elisabeth gli abbia letto, per certificare i sentimenti della famiglia, un messaggio che Bernhard Förster aveva indirizzato a suo tempo a Bismarck protestando il dilagare dello spirito ebraico in Germania. Si ha materia sufficiente per ricostruire tutta la storia di Elisabeth col Führer il primo incontro nel 1932 al teatro di Weimar dove si rappresenta Campo di maggio, il dramma di Mussolini su Napoleone, il nuovo incontro a teatro per il cinquantennario della morte di Wagner, le visite di Hitler all'Archivio, insieme a Rosenberg, a Frank, alle volte a Speer (per costruire un tempio nietzscheano di cui poi non si fece nulla), poi il disinteresse di Hitler dopo il settembre 1939. Il topos è comunque la visita del novembre 1933. Questo aneddoto è sempre citato ed ha il vantaggio di essere documentato da foto che possediamo ancora.
Dopo il 1933, con Hitler ormai saldamente al potere, si moltiplicano gli studi su Nietzsche e il nazismo. Il problema principale è ovviamente quello di far quadrare l'aristocraticismo e gli atteggiamenti filosemiti in un orizzonte plebeo e razzista; impresa non semplice. Si sostenne che, nonostante l'amicizia per ebrei, Nietzsche fosse un convinto antisemita e che proprio nel rifiuto del germanesimo sarebbe stato autenticamente tedesco.
Però, come nel Secondo Reich, anche nel Terzo Nietzsche era difficile da assimilare. Le fonti ideologiche del nazismo sono piuttosto Moeller van der Buck, Spengler, Gobineau, Chamberlain, Wagner, Lagarde, Langbehn, la concezione di Stato in Hegel. La denazificazione a oltranza di Nietzsche incomincia già nell'età di Hitler e per opera dei nazisti: il senso ultimo del valore è nella comunità, per cui la vita ha un valore intrinsecamente politico, la comunità è un dato originario che ha il primato sui singoli, di qui una condanna dell'individualismo nietzscheano; Nietzsche è un decadente come George, Mann, i neokantiani; è il filosofo dell'età di Guglielmo II - imparziale, sovranazionale, espressione dello spirito giudaico.
Ma dire che incomincia la denazificazione significa ovviamente, al tempo stesso, sostenere che continua la nazificazione - ossia il tentativo di imputare a Nietzsche l'aggressività tedesca o imperialistica.
«"Ni Dieu ni maître" - lo volete anche voi: e allora 'evviva la legge della natura!' - non è vero? Ma, come già si è detto, questa è interpretazione, non testo; e potrebbe venire qualcuno che con un'interpretazione e con un'arte interpretativa diametralmente opposte sapesse desumere dalla lettura della stessa natura e in relazione agli stessi fenomeni proprio un'affermazione, dispoticamente spregiudicata e spietata, di rivendicazioni di potenza, - un interprete che vi mettesse sotto gli occhi la perentorietà e l'assolutezza insite in ogni "volontà di potenza"».
FRIEDRICH NIETZSCHE, Al di là del bene e del male
Il verbo di Nietzsche mi ripugna profondamente; stento a trovarvi un'affermazione che non coincida con il contrario di quanto mi piace pensare; mi infastidisce il suo tono oracolare; ma mi pare che non vi compaia mai il desiderio della sofferenza altrui. L'indifferenza sì, quasi in ogni pagina, ma mai la Schadenfreude, la gioia per il danno del prossimo, né tanto meno la gioia del far deliberatamente soffrire. Il dolore del volgo, degli Ungestalten, degli informi, dei non-nati-nobili, è un prezzo da pagare per l'avvento del regno degli eletti; è un male minore, comunque sempre un male; non è desiderabile in sé. Ben diversi erano il verbo e la prassi hitleriani.
PRIMO LEVI, I sommersi e i salvati
TESTI
La volontà di potenza
Come si conduce la virtù al dominio
304.
[...] Voglio persino dimostrare che per volere questo - che la virtù domini - non è lecito, per ragioni di principio, volere altro: e proprio per ciò si rinuncia a diventare virtuosi. [...] E alcuni fra i massimi moralisti hanno corso un rischio così grande. Ossia, da costoro fu già conosciuta e anticipata la verità che questo trattato deve insegnare per la prima volta: cioè che si può conseguire il dominio della virtù unicamente con i medesimi mezzi con cui si conquista in genere un regno, non in ogni caso per mezzo della virtù... [...]
305.
Con la virtù non si fonda il regno della virtù: con la virtù si rinuncia alla potenza, si perde la volontà di potenza.
306.
La vittoria di un ideale morale si ottiene con i medesimi mezzi "immorali" con cui si ottiene ogni vittoria: violenza, menzogna, calunnia, ingiustizia.
315.
La morale nella valutazione delle razze e dei ceti. Considerando che gli affetti e gli istinti fondamentali in ogni razza e in ogni ceto esprimono alcunché delle loro condizioni di esistenza [...], esigere che siano "virtuosi" significa esigere:
che costoro cambino carattere, escano dalla propria pelle e cancellino il proprio passato;
ossia, che cessino di differenziarsi;
ossia, che diventino simili a tutti gli altri nei loro bisogni e nelle loro aspirazioni - o, più chiaramente: che vadano in malora...
La volontà di una morale si rivela dunque essere la tirannia di quella specie a cui tale morale cade a pennello: è la distruzione o l'uniformazione di altre specie, a favore della dominante (sia per non venirne minacciate, sia per sfruttarle). "Abolizione della schiavitù": si pretende che sia un tributo reso alla "dignità dell'uomo", ma in realtà è l'annientamento di una specie fondamentalmente diversa (si minano così i suoi valori e la sua felicità).
Ciò che fa la forza di una razza avversa o di un ceto avverso viene interpretato come ciò che hanno di peggiore, di più cattivo: perché con quelle qualità ci danneggiano (le loro "virtù" vengono calunniate, se ne cambia il nome).
Si fa valere come obiezione contro un uomo o contro un popolo il fatto che ci nuocciano: ma, dal loro punto di vista, noi siamo loro graditi, perché siamo tali che da noi costoro riescono a trarre un vantaggio.
Esigere la "umanizzazione" (credendo molto ingenuamente di possedere la formula che dice "che cosa è umano") è una tartuferia di cui si avvale una determinata specie di uomini per cercare di giungere al dominio: più esattamente, è un istinto ben determinato, l'istinto del gregge. "Uguaglianza degli uomini": che cosa si nasconde sotto la tendenza a rendere uguali sempre più uomini, in quanto uomini. [...]
La calunnia delle cosiddette cattive qualità
369.
Non c'è egoismo che rimanga fermo presso di sé, senza attaccare, quindi non esiste quell'egoismo "lecito", "moralmente indifferente", di cui voi parlate.
"Si promuove il proprio io e sempre a spese degli altri"; "la vita vive sempre a spese di un'altra vita" - chi non lo comprende, non ha ancora fatto il suo primo passo verso l'onestà.
373.
Origine dei valori morali. L'egoismo vale tanto quanto vale dal punto di vista fisiologico colui che lo possiede.
Ogni singolo individuo è, insieme, l'intera traiettoria dell'evoluzione (e non soltanto, come lo concepisce la morale, un essere che comincia con la nascita). Se rappresenta il tratto ascendente della linea uomo, il suo valore è davvero straordinario e bisogna avere un'estrema cura nel conservarne e favorirne la crescita. (È prendersi cura dell'avvenire che in lui è promesso e che dà all'individuo ben riuscito un così straordinario diritto all'egoismo). Se rappresenta una linea discendente, la decadenza, la malattia cronica, gli spetta poco valore; e la prima giustizia consiste in ciò: tolga quanto meno è possibile spazio, forza e luce del sole ai ben riusciti. [...]
La volontà di potenza come vita. L'uomo
668.
"Volere" non è "aspirare", mirare, desiderare; da questi il volere si distingue in virtù nell'inclinazione al comando.
Non c'è un "volere", ma solo un volere qualcosa; non si deve scindere lo scopo dallo stato d'animo, come fanno i teorici della conoscenza. Il "volere", come lo intendono loro, non appare mai, così come il "pensare": è una pura finzione.
Appartiene alla volontà il fatto che una cosa venga comandata (naturalmente con ciò non è detto che la volontà venga "effettuata"). [...]
679.
L'individuazione, giudicata dal punto di vista della teoria dell'ereditarietà, mostra il costante scindersi dell'uno nel due e l'altrettanto costante sparizione di individui a vantaggio di pochi che continuano lo sviluppo: la stragrande maggioranza si estingue ogni volta ("il corpo").
Il fenomeno fondamentale: innumerevoli individui sacrificati a vantaggio di pochi: per rendere possibili i pochi. Non bisogna lasciarsi ingannare: le cose stanno esattamente così con i popoli e con le razze: questi formano un "corpo" per produrre singoli individui di valore altissimo, i quali continuano il grande processo.
Società e Stato
717.
Lo Stato o l'immoralità organizzata; all'interno: come polizia, diritto penale, ceti, commercio, famiglia; all'esterno: come volontà di potenza, di guerra, di conquista, di vendetta.
Come avviene che un grande numero di uomini compie azioni alle quali l'individuo non acconsentirebbe mai? Mediante la ripartizione delle responsabilità, del comando e dell'esecuzione; mediante la frapposizione delle virtù dell'obbedienza, del dovere, dell'amore della patria e del principe; mediante la conservazione della fierezza, della severità, della forza, dell'odio, della vendetta - insomma, di tutti i tratti tipici che contrastano con il tipo gregario.
720.
Il più terribile e fondamentale desiderio dell'uomo, il suo impulso alla potenza - lo si chiama "libertà" - deve essere tenuto a freno il più a lungo possibile. Perciò sinora l'etica, con i suoi inconsapevoli istinti pedagogici e disciplinari, è servita a imbrigliare la brama di potenza: essa vitupera l'individuo tirannico e sottolinea, glorificando il servizio della comunità e l'amor di patria, l'istinto di potenza del gregge.
729.
La conservazione dello Stato militare è il mezzo estremo sia per riallacciarsi alla grande tradizione, sia per salvaguardarla in vista del tipo supremo, dell'uomo, del tipo forte. E tutti i concetti che perpetuano l'inimicizia e la differenza di rango tra gli Stati devono apparire sanciti su questa base (per esempio il nazionalismo, il protezionismo).
734.
Anche un comandamento dell'amore verso gli uomini. Ci sono casi in cui generare un figlio sarebbe un delitto, come nel caso di malati cronici o di nevrastenici di terzo grado. Che fare allora? [...] La società, come grande mandataria della vita, deve rispondere di ogni vita mancata di fronte alla vita stessa e deve anche scontarla: quindi la deve impedire. La società in numerosi casi deve prevenire la procreazione: a tal fine tener pronte, senza riguardo all'origine, al rango e allo spirito, le più dure misure di costrizione, privazioni di libertà, in certi casi la castrazione. Il comandamento biblico "non uccidere!" è un'ingenuità rispetto al divieto di vivere opposto ai décadents: "non procreare!"... La vita stessa non riconosce nessuna solidarietà, nessuna "uguaglianza di diritti" fra le parti sane di un organismo e quelle degenerate: queste ultime devono essere amputate - oppure l'insieme va in rovina. Avere compassione dei décadents, concedere uguaglianza di diritti anche ai falliti, sarebbe la più profonda immoralità, sarebbe l'antinatura posta come morale.
La dottrina della gerarchia
861.
È necessario che gli uomini superiori dichiarino guerra alla massa! Non c'è luogo in cui i mediocri non si radunino per diventare padroni! Tutto ciò che rammollisce, addolcisce, valorizza il "popolo" o il "femminino", agisce a favore del suffrage universel, ossia del dominio degli uomini inferiori. [...]
862.
C'era bisogno di una dottrina abbastanza forte per produrre effetti di selezione e disciplina: rafforzatrice per i forti, paralizzante e distruttrice per gli stanchi del mondo.
L'annientamento delle razze decadenti. Decadenza dell'Europa. L'annientamento delle valutazioni servili. Il dominio sulla terra, come mezzo per produrre un tipo superiore. [...] L'annientamento del suffrage universel, cioè del sistema grazie al quale le nature inferiori si impongono alle superiori a norma di legge. L'annientamento della mediocrità e del suo valore.
I forti e i deboli
872.
I diritti che un uomo si prende sono proporzionali ai doveri che si impone, ai compiti rispetto a cui si sente all'altezza. La maggioranza degli uomini non ha diritto all'esistenza, ma costituisce una disgrazia per gli uomini superiori.
884.
Händel, Leibniz, Goethe, Bismarck - sono caratteristici della forte maniera tedesca. Vissero fra contraddizioni senza darsene pensiero, furono pieni di quell'agile forza che si difende dalle convinzioni e dalle dottrine usandole l'una contro l'altra e conservando la propria libertà.
898.
I forti dell'avvenire. Ciò che in parte la necessità, in parte il caso hanno ottenuto sporadicamente, cioè le condizioni per la produzione di una specie più forte, possiamo ora comprenderlo e volerlo scientemente: noi possiamo creare le condizioni in cui una simile elevazione sia possibile.
[...] Tanto più dovremmo porci un simile compito, quanto più comprendessimo come la forma presente della società si trovi in una fase di forte trasformazione: cioè sulla via che potrà un giorno portarla a non esistere più per se stessa, ma soltanto come un mezzo nelle mani di una razza più forte.
Il crescente rimpicciolimento dell'uomo è precisamente la forza che spinge a pensare all'allevamento di una razza più forte, una razza i cui tratti eccessivi sarebbero proprio quelli in cui la specie rimpicciolita diventerebbe sempre più debole (cioè volontà, responsabilità, sicurezza, facoltà di porsi degli scopi). [...]
L'aristocrazia
942.
C'è soltanto una nobiltà di nascita, una nobiltà del sangue. (Qui non parlo della particella "von" e dell'Almanacco di Gotha: osservazione parentetica per gli asini.) Là dove si parla di "aristocrazia dello spirito", di solito non mancano motivi per celare qualcosa: come è noto, questa è una locuzione comune fra gli ebrei ambiziosi. Lo spirito da solo, infatti, non nobilita; ci vuole piuttosto, prima, qualcosa che nobiliti lo spirito. Di che cosa c'è bisogno a tale scopo? Del sangue.
I signori della terra
954.
[...] non sarebbe tempo, oggi, mentre in Europa si sviluppa sempre più il tipo dell'"animale gregario", sperimentare un allevamento metodico, artificiale e consapevole del tipo opposto e delle sue virtù? E non sarebbe una specie di meta, di soluzione e di giustificazione per lo stesso movimento democratico se venisse qualcuno che se ne servisse - affinché finalmente trovi una via per dare una forma nuova e sublime alla schiavitù (questo deve finire per essere la democrazia europea) la specie superiore degli spiriti dominatori e cesarei, affinché si collochi sopra la democrazia, si attenga a lei, si elevi per mezzo di lei? La via per nuove vedute, lontane, finora impossibili e proprie di quella specie? Per i suoi compiti?
960.
A partire da adesso ci saranno condizioni preliminari favorevoli a più vaste strutture di dominio, quali mai si videro finora. E questa non è ancora la cosa più importante: diventa possibile il sorgere di leghe internazionali fra le stirpi che si impongano il compito di allevare una razza di dominatori, i futuri "signori della terra" - una aristocrazia nuova, prodigiosa, edificata sulla più spietata legislazione di sé, in cui venga dato di durare millenni alla volontà di filosofi violenti e di artisti tiranni: una specie di uomini superiore che grazie al suo prevalere in volontà, sapienza, ricchezza e influenza si serva dell'Europa democratica come del proprio strumento più docile e flessibile, allo scopo di prendere in mano i destini della terra, per foggiare artisticamente l'"uomo". Basta: giunge il tempo in cui si cambierà idea sulla politica.
Giulia Sapi
CONTRIBUTI DELLA FILOSOFIA NIETZSCHIEANA ALL'IDEOLOGIA NAZISTA
Nietzsche, il più grande critico della tradizione rivoluzionaria: cancellare due millenni di storia
Quella tra Nietzsche e il nazionalsocialismo è per molti un'associazione istintiva; spesso egli è stato definito "un precursore del fascismo". In realtà la teoria della razza, il cardine delle concezioni hitleriane, era profondamente estranea a Nietzsche; e in innumerevoli passi egli polemizza con l'antisemitismo. Egli infatti, pur essendo un critico implacabile del giudaismo, denunciato come sovversivo per lo meno sul piano religioso e culturale, vede in esso uno stadio meno avanzato della malattia rivoluzionaria rispetto al cristianesimo; assurdo e repellente risulta l'antisemitismo, poiché non fa altro che esprimere il "risentimento" dei falliti contro i benriusciti, contro le posizioni di prestigio professionale occupate dagli ebrei.
Si è trattato più che altro di un tentativo dei nazisti di assimilare concetti come "violenza del superuomo", "volontà di potenza" e via dicendo, all'ideologia del nazionalsocialismo.
In effetti nel Terzo Reich il giudizio su questo filosofo era abbastanza complesso: tra gli ideologi del nazionalsocialismo, infatti, alcuni cercavano di acquisirlo alla loro concecezione del mondo, per altri risultava del tutto inaccettabile. Si viene a formare, così, un Nietzsche-Bild (immagine di Nietzsche) positivo (nella prospettiva nazionalsocialista) e uno negativo. Ma ufficialmente è prevalso il Nietzsche-Bild positivo.
Chi -nel campo degli ideologi del Terzo Reich- ha maggiormente contribuito all'annessione di Nietzshe all'hitlerismo è Alfred Bäumler, la cui critica si è mossa nella direzione dell'adattamento del filosofo alle "istanze del giorno", alle "tendenze" di politica culturale che sorgevano in quegli anni nella morente repubblica di Weimar, risultando una novità per il pubblico intellettuale dei primi anni trenta.
In realtà non mancano ammonimenti contro la politicizzazione della filosofia di Nietzsche; il più notevole è contenuto nel Rendiconto parigino di Thomas Mann del 1927: "Il germanesimo elevato e formativo di Nietzsche conosceva, come quello di Goethe, altre vie per esprimersi che non sono quelle del grande ritorno alla matrice mitico-storico-romantica".
Per poter sostenere la sua tesi Bäumler ha dovuto tralasciare numerosi aspetti delle opere del filosofo; egli ha bisogno di un Nietzsche "più forte, più semplice, più incolto, più imperioso, più tirannico", cioè esattamente ciò che lo stesso afferma a proposito dei sistemi e dei sistematici in una prefazione della Volontà di potenza. Nietzsche è per Bäumler l'ateo radicale, appassionato; a differenza dei filosofi come Platone, egli ha il coraggio della realtà; come Eraclito, Nietzsche sarebbe un filosofo del divenire e della lotta, della volontà di potenza.
Bäumler è addirittura costretto a far sparire dalla sua sistematizzazione del pensiero nietzscheano la conoscenza fondamentale su cui si regge Così parlò Zarathustra: la teoria dell'eterno ritorno dell'identico, sebbene essa dovesse diventare quella prevalente nella Volontà di potenza. In un frammento leggiamo cha "la massima volontà di potenza è volere l'eterno ritorno".
Possiamo concludere con una citazione da Ecce homo a proposito del presunto germanesimo di Nietzsche: "I Tedeschi … non avranno mai l'onore di annoverare fra i rappresentanti dello spirito tedesco quel primo spirito retto nella storia dello spirito [ Nietzsche parla di se stesso] , quello spirito con il quale la verità è pervenuta a giudicare la falsa moneta di quattro millenni. Lo spirito tedesco è aria viziata per me…".
Importante è dunque analizzare il pensiero di Nietzsche in relazione al contesto storico. Per esempio La nascita della tragedia, apparsa nel 1872, non può essere compresa senza la Comune di Parigi e la guerra franco-prussiana che immediatamente precedono la sua pubblicazione. Così egli nella Nascita della tragedia si esprime a proposito della Comune di Parigi: a causa dell'"ottimismo"-ogni movimento rivoluzionario o di rinnovamento della società sembra implicare una fede in un futuro migliore- la civiltà va incontro a un "orrenda distruzione"; la "fede nella felicità terrena di tutti" fa tremare la società "fin nei più profondo strati", seminando lo scontento in "una classe barbarica di schiavi", che, sedotta da idee utopistiche, avverte ora "la sua esistenza come un'ingiustizia" ed esplode in rivolte incessanti. A tale ondata distruttiva è affiancato anche il cristianesimo, lo stesso cristianesimo "pelagianizzato" e dimentico del peccato originale era già stato denunciato da Schopenauer, a cui Nietzsche, in questa sua prima fase, è molto vicino, e al quale egli stesso attribuisce il merito di avergli "tolto dagli occhi le bende dell'ottimismo". Il filosofo propone quindi il rimedio della grecità, ma non intesa alla maniera dei neo-classici, solo nel suo aspetto apollineo; la verità è invece quella dionisiaca, espressa dalla sentenza del seguace di Dioniso Sileno. Con Socrate ha dunque inizio quel ciclo rivoluzionario che giunge sino alle vicende coeve a Nietzsche della Francia e della Germania. Il contrasto tra ottimismo e spirito dionisiaco, tra alessandrinismo e visione tragica della vita, si configura in questo momento come contrasto tra Francia e Germania.
Anche nella seconda fase, che vede il suo distacco dalla filosofia shopenaueriana, evidente appare il suo conservatorismo nella persistente giustificazione della schiavitù -nella Nascita della tragedia egli aveva sostenuto che ogni civiltà "ha bisogno, per poter esistere durevolmente, di una classe di schiavi"-; leggiamo nella Gaia scienza: "Laddove si esercita un dominio, esistono masse: laddove esistono masse: ivi c'è un bisogno di schiavitù".
La crudeltà è, secondo Nietzsche, "uno dei più antichi e ineluttabili fondamenti della civiltà", dunque grottesco appare il "risentimento" degli schiavi nei confronti dei padroni, così come la compassione appare come l'inizio dell'abdicazione delle classi superiori.
Ma quando è iniziata la parabola rovinosa della modernità? In primo luogo con il cristianesimo: nel "concetto dell'uguaglianza delle anime di fronte a Dio" è da vedere "il prototipo di tutte le teorie della parità dei diritti", quelle che poi si sono espresse politicamente nella rivoluzione francese e nel movimento socialista. Esso non solo rappresenta il momento in cui giunge a compimento la sovversione di un'antichità classica, ma per un altro verso si configura come una rivolta servile all'interno del mondo giudaico; Gesù appare come un "santo anarchico", "un delinquente politico, nella misura in cui erano possibili delinquenti politici in una società assurdamente impolitica". Ma l'ebraismo a cui Gesù si ribella era a sua volta una degenerazione rispetto all'ebraismo pre-esilico, prodotto dalla ribellione degli "agitatori sacerdotali" che, per la prima volta, avanzano l'idea di un "ordinamento etico del mondo". E' con loro, e poi con quegli "agitatori cristiani" che sono i "Padri della Chiesa" che inizia il ciclo di rivolta servile, che abbraccia due millenni di storia.
Ebraismo e cristianesimo si caratterizzano per il loro antropocentrismo, ma questo continua a essere ben presente nella rivoluzione francese che, con la sua teoria dei diritti dell'uomo, attribuisce centralità e dignità di fine in sé anche agli esseri più mediocri e miserabili. E' il filo conduttore della fede progressista e rivoluzionaria in un processo del mondo tendente a realizzare la felicità per tutti e l'armonia universale.
La fiduciosa attesa nella quale vivono cristiani e socialisti viene liquidata da Nietzsche mediante la contrapposizione alla visione unilaterale del tempo, propria della tradizione ebraico-cristiana, della tesi, mutuata dall'antichità classica, dell'eterno ritorno dell'identico.
Si fa grave danno all'autore se lo si isola dal contesto storico e politico: l'atmosfera culturale e politica della fine dell'Ottocento è carica dell'idea del ricorso a misure "eugenetiche" che, in alcuni casi, possono pericolosamente confinare col genocidio; il filosofo esige la "castrazione" per i delinquenti, "per i malati cronici e nevrastenici di terzo grado", per i "sifilitici": bisogna insomma impedire la procreazione "in tutti i casi in cui un figlio sarebbe un delitto" e "mettere un figlio al mondo sarebbe peggio che togliere una vita".
Il filosofo è dunque da interpretare in virtù della sua celebrazione della schiavitù e del suo appello all'annientamento dei malriusciti? In questa direzione si muovono Lukács e di opposte idee politiche Nolte.
Una delle strutture portanti dell'interpretazione lukacsiana di Nietzsche è "l'apologia indiretta" della società borghese. Tale metodo consiste nella diffamazione di ogni agire sociale, in particolare della tendenza a cambiare la società. I rappresentanti dell'apologia indiretta del sistema borghese (Schopenauer, Kierkegaard e Nietzsche) isolano l'individuo e -criticando apparentemente la società esistente- pongono ideali talmente alti e in contrasto con la realtà da dispensare l'individuo stesso dalla loro attuazione, e indurlo a lasciare tutto com'è: la critica si risolve dunque nell'accettazione del sistema esistente.
Lukács vuole dimostrare che l'opera di Nietzsche non è altro che una continua polemica contro il marxismo, anche se Nietzsche non ha mai letto una riga di Marx e di Engels. Egli conosceva assai male il movimento socialista del suo tempo, principalmente condivideva i pregiudizi del limitato ambiente, prima luterano-provinciale della Sassonia, poi accademico di Lipsia e Basilea. Per questo non stupisce che per lui il socialismo si riduca fondamentalmente al concetto di "eguaglianza".
M. Montinari in Su Nietzsche critica a Lukacs proprio il fatto che il bersaglio primario della polemica antiegualitaria fosse, non il socialismo, ma il cristianesimo.