S. J. Gould

La struttura della teoria dell’evoluzione
Codice edizioni, Torino 2003

Cap. XI pp. 1516-1521

Sapevo che non avrei mai potuto avanzare una pretesa di originalità pei miei vari scritti sul principio chiave, strutturale e storico, delle differenze intrinseche tra l'utilità attuale e le cause di origine, e sulla conseguente impossibilità di inferire i motivi della costruzione evoluzionistica solo dai ruoli adattativi attuali... Ho scritto su quest'argomento per più di trent'anni e con un crescente sforzo sistematico, muovendo dalla mia distinzione ingenua, anche se accurata, tra rilevanza "immediata" e rilevanza "retrospettiva" in Ontogenesi e filogenesi (1977b), per arrivare ai Pennacchi di San Marco (Gould e Lewontin, 1979) e alla codificazione dell'exaptation come termine mancante nella scienza della forma (Gould eVrba,, 1982). Solo il mio lavoro sugli equilibri punteggiati ha attirato più citazioni ed ebbi l'ardire di sperare, almeno, di avere presentato un'analisi più ricca e sistematica per dimostrare la centralità di questo principio sottovalutato, che opera in maniera tanto efficace da baluardo per le prospettive strutturaliste della teoria evoluzionistica, stabilendo così la collocazione dell'argomento all'interno di questo libro. (Nel 1982, sintetizzando il significato di questo tema per l'argomento generale del vincolo come convogliatore strutturale dell'adattamento Gould e Vrba, 1982, p. 13 ‑ scrissi: "Le possibilità exattative definiscono il contributo 'interno' che gli organismi danno al proprio futuro evolutivo").

In seguito, nel 1998, grazie alla visione più ampia della mia (allora) laureanda Margaret Yacobucci, scoprii che Friedrich Nietzsche aveva brillantemente delucidato questo principio, con la sua valanga di implicazioni, in una delle sue opere più celebri, Genealogia della morale, pubblicata per la prima volta nel 1887.

Durante la sua carriera, Nietzsche (1844‑1900) si sforzò di identificare e di definire i motivi alla radice delle nostre credenze convenzionali sulla moralità, la filosofia e la religione nelle tradizioni occidentali. Egli considerò queste credenze come espressioni secondarie e funzionali di una fonte primaria, generativa: "l'essenza della vita, la sua volontà di potenza" (1967, p. 6). E riconobbe che non comprenderemmo mai la natura e il carattere di questa fonte primaria se analizzassimo solamente l'utilità attuale delle sue manifestazioni secondarie.

Nietzsche ha ricevuto un'ingiusta condanna dalla storia, per motivi che chiaramente stanno al di là della sua intenzione o del suo controllo. Identificando le credenze tradizionali come espressioni secondarie di una volontà di potenza, egli non vuole negare la loro potenza o il loro valore, ma solo effettuare una separazione logica appropriata cosicché le loro fonti di origine, che devono essere anch'esse comprese se desideriamo raggiungere una piena comprensione della loro storia e della loro condizione, potessero essere dissociate dalla loro utilità attuale. La successiva rilettura di Nietzsche in chiave fascista cercò di convalidare il valore, e promuovere la pura espressione, di una volontà di potenza su nessun'altra base che quella della sua mera esistenza: un passo molto illogico, che Nietzsche analizzò in modo estremamente chiaro nell'opera considerata in questa sezione.

Nietzsche divenne mentalmente incapace nel 1889 e visse gli ultimi anni della sua vita assistito dalla sorella. Quest'ultima divenne in seguito una fervente seguace del nazismo e sfruttò il proprio controllo sul patrimonio letterario di Nietzsche per i propri scopi; tra le altre cose pubblicò alcune note che Nietzsche aveva scartato e persino qualche contraffazione secondaria di suo pugno. Noi dobbiamo a Nietzsche un rispetto e un'ammirazione molto maggiori di quanto non ne riceva da coloro che lo conoscono solo per il comune malinteso generato dalla sua concezione di Ubermensch o "superuomo" (che non si riferisce alla difesa hitleriana del dominio da parte del più forte, ma alla descrizione ascetica di Nietzsche di una persona in grado di accettare la totale ripetizione ‑ "eterno ritorno", nella sua terminologia ‑ della vita, con tutti i suoi orrori, piuttosto che desiderarne una versione rivista); e da coloro che possono nutrire sentimenti ambivalenti nei confronti del poema sinfonico di Richard Strauss su Also sprach Zarathustra (il trattato di Nietzsche sull' Ubermensch), l'opera da cui Stanley Kubrick trasse lo splendido tema di apertura del film 2001‑ Odissea nello spazio, e un po' di timore per la sua apparente glorificazione di una trascendenza che potrebbe non sempre essere gentile nei confronti della maggioranza lasciata indietro.

Nella Genealogia della morale, Nietzsche, nella dodicesima sezione dedicata alla natura e al significato della punizione, si occupa delle differenze tra origine storica e utilità attuale. Inizia evidenziando le varie opinioni dei filosofi della morale sulla funzione, o fine, della punizione nella società attuale:" ad esempio, vendetta o intimidazione" (trad. it. p. 65) o più specificamente "come neutralizzazione di pericolosità, come impedimento di un ulteriore danno […] come risarcimento del danno al danneggiato, in qualsivoglia forma (anche in quella di una compensazione d'affetti) . . . come isolamento di un'alterazione di equilibrio" (trad. it. p. 69).

Nietzsche non nega la forza di queste utilità attuali (e le può ben approvare come questione di moralità personale o pubblica). Piuttosto, vuole risolvere la questione diversa dell'origine storica della punizione nell'evoluzione umana (una ricerca evidenziata dal titolo del libro, Genealogia della morale). Riconosce come la confusione tra il problema dell'origine storica, che lui affronta, e la documentazione indiscussa dell'utilità attuale costituisca il più grande ostacolo verso una soluzione. La frase di apertura di questa sezione definisce il problema: "Ancora una parola, a questo punto, sull'origine e lo scopo della pena ‑ due problemi che si dissociano o dovrebbero andare dissociati: purtroppo vengono spesso rifusi in un solo problema. Come hanno proceduto, in questo caso, i genealogisti della morale sino a oggi? Ingenuamente, come sempre hanno fatto, scoprono nella pena un qualsivoglia 'scopo', per esempio vendetta o intimidazione, e indi, ingenuamente, collocano questo scopo all'origine, come causa fiendi della pena, e la cosa è fatta. Ma 'il fine del diritto' è fra tutti l'ultimo elemento utilizzabile per la storia genetica del diritto" (trad. it. pp. 65‑66).

Non metterei in evidenza in modo così marcato, in questo libro, questa disanima precisa di un problema che è altrettanto centrale nella biologia evoluzionistica ‑ la distinzione tra origine storica e utilità attuale ‑ se Nietzsche non l'avesse generalizzato come tema centrale di ogni studio storico e se non ne avesse spiegato tanto chiaramente sia i significati biologici che le implicazioni per l'analisi adattazionista.

Nietzsche definisce la necessità di distinguere l'origine storica dall'utilità attuale come "il punto di vista principale della metodologia storica" (trad. it. p. 68). "Per ogni tipo di storia non esiste alcun principio più importante" aggiunge, poco prima di presentare la sua dichiarazione più esplicita sul problema generale (trad. it. p. 66): "Il principio, cioè, che la causa genetica di una cosa e la sua finale utilità, nonché la sua effettiva utilizzazione e inserimento in un sistema di fini, sono fatti toto caelo disgiunti l'uno dall'altro; che qualche cosa d'esistente, venuta in qualche modo a realizzarsi, è sempre nuovamente interpretata da una potenza a essa superiore in vista di nuovi propositi, nuovamente sequestrata, manipolata e adattata a nuove utilità".

Per risolvere il suo particolare problema, Nietzsche ha bisogno di operare questa separazione perché desidera collocare l'origine della punizione nella manifestazione quasi inevitabile di una primaria volontà di potenza. Ma se commettiamo l'errore di equiparare un'utilità moderna accettata ed efficace (nella deterrenza o nella risoluzione del debito, ad esempio) con la ragione dell'origine, non capiremo mai la genealogia della morale. Ancora una volta, e contrariamente al frainteso comune, Nietzsche non vuole richiamarsi all'origine storica come a una fonte di convalida. Al contrario, sostiene che dobbiamo comprendere le ragioni dell'origine, se vogliamo analizzare la fonte e la forza della motivazione sottostante (qualunque sia la sua utilità attuale), e avere così una comprensione migliore delle nostre azioni e della nostra natura.

In un passo affascinante, Nietzsche utilizza poi l'esempio biologico dell'occhio e della mano per sostenere la propria idea specifica di punizione e per introdurre una graduatoria relativa, in cui l'adattamento dell'utilità attuale è considerato come un'impronta secondaria su una fonte originale più fondamentale:

Per bene che si sia compresa l'utilità di un qualsiasi organo fisiologico (o anche di un'istituzione giuridica, di un costume sociale, di un uso politico, di una determinata forma nelle arti o nel culto religioso), non è perciò stesso ancora compreso nulla relativamente alla sua origine: comunque ciò possa suonare molesto e sgradevole [...]. Da tempo immemorabile, infatti, si è creduto dì comprendere nello scopo comprovabile, nell'utilità di una cosa, di una forma, di un'istituzione, anche il suo fondamento d'origine, e così l'occhio sarebbe stato fatto per vedere, la mano per afferrare. Così ci si è figurata la pena come fosse stata inventata per castigare. Ma tutti gli scopi, tutte le utilità sono unicamente indizi del fatto che una volontà di potenza ha imposto la sua signoria su qualcosa di meno potente (ibid.).

Altri due aspetti della straordinaria analisi di Nietzsche mostrano come avesse compreso compiutamente questo principio chiave della spiegazione storica con tutte le sue implicazioni di ampia portata, ciascuna delle quali riveste uguale importanza nella biologia evoluzionistica. In primo luogo, egli riconosce (come fece Darwin) che svincolare l'utilità attuale dall'origine storica determina il campo della contingenza e dell'imprevedibilità nella storia: infatti se qualche organo, durante la sua storia, subisce una serie di singolari cambiamenti nella sua funzione, allora non possiamo né predirne il prossimo utilizzo a partire da un valore corrente né lavorare comodamente a ritroso per chiarire le ragioni sottostanti all'origine di quel tratto. Si noti, nel passo seguente, come Nietzsche si riferisca alla catena di utilità secondarie come ad "adattamenti"; come egli specifichi che i passi nella sequenza delle utilità si susseguano "a caso" (nel senso proposto da Eble, 1999, di essere slegati, e impredicibii da, stati precedenti, e non nel senso strettamente matematico); e come egli riconosca chiaramente il significato di questo principio per fugare ogni speranza di poter interpretare una storia filetica come "progresso verso una meta", un'altra somiglianza quasi sovrannaturale con la concezione di Darwin del significato della contingenza nell'evoluzione:

L'intera storia di una "cosa", di un organo, di un uso può essere in tal modo un'ininterrotta catena di segni che accenna a sempre nuove interpretazioni e riassestamenti, le cui cause non hanno neppure bisogno di essere in connessione tra loro, anzi talvolta si susseguono e si alternano in guisa meramente casuale. "Evoluzione" di una "cosa", di un uso, di un organo, quindi, è tutt'altro che il suo progressus verso una meta, e ancor meno un progressus logico e di brevissima durata, raggiunto con un minimo dispendio di forza e di beni ‑ bensì il susseguirsi di processi di assoggettamento pretesi su tale cosa, più o meno spinti in profondità, più o meno indipendenti uno dall'altro (trad. it. pp. 66‑67).

In secondo luogo, Nietzsche promulga un ordine di importanza, fornendo ragioni per considerare l'origine come primaria in senso più che puramente temporale e le utilità attuali come serie di "adattamenti" (sua descrizione) secondari con uno statuto solo transitorio e minore influenza (rispetto alla forza duratura dell'origine primaria) su ogni condizione futura. Non difenderei questa graduatoria per applicarla alla teoria evoluzionistica, se non altro perché la "volontà di potenza" formativa di Nietzsche identifica una forza persistente che deve influenzare anche ogni adattamento successivo, mentre il contesto originale di un carattere fenotipico evoluto non ha bisogno di esercitare una simile presa continuativa sulla storia. Però, apprezzo il punto di vista di Nietzsche che può essere tradotto in termini evoluzionistici come fonte originaria di vincolo. La ragione originaria continua a esercitare una presa sulla storia mediante il vincolo strutturale che incanala gli utilizzi posteriori. Allorché le piume si sono originate allo scopo della termoregolazione, la forma di ogni successiva utilità per il volo sarà influenzata da caratteri costruiti per il contesto originario.

Pertanto, Nietzsche critica quei "genealogisti" che scambiano un'utilità attuale per una fonte di origine, perché questo ragionamento errato "mette in primo piano l'adattamento', vale a dire un'attività di second'ordine, una semplice reattività [...J. Ma viene misconosciuta, in tal modo, l'essenza della vita, la sua volontà di potenza; ci si lascia sfuggire la priorità di principio che hanno le forze spontanee, aggressive, sormontanti, capaci di nuove interpretazioni, di nuove direzioni e plasmazioni, alla cui efficacia l' 'adattamento' viene solo dietro" (trad. it. p. 68).

Infine, Nietzsche riafferma l'analogo biologico della mano per rafforzare le sue graduatorie e per sottolineare ancora una volta l'importanza di comprendere l'origine storica e di stabilire criteri per separare le origini dai successivi utilizzi (di fronte alle difficoltà delineate alla fine della citazione) in qualsiasi studio che si voglia definire veramente storico:

La procedura stessa sarà qualcosa di più antico, di anteriore alla sua utilizzazione in rapporto alla pena; che quest'ultima è stata dapprima introdotta e interpretata all'interno della procedura (già da un pezzo esistente, ma usata in un altro senso); insomma che le cose non stanno così come le hanno fino a oggi ammesse i nostri ingenui genealogisti della morale e del diritto, che si immaginavano tutti quanti la procedura come fosse escogitata ai fini della pena, così come ci si immaginava, una volta, la mano escogitata allo scopo d'afferrare. Per quanto concerne quell'altro elemento della pena, quello fluido, il suo "significato", il concetto di "pena" non presenta più, in realtà, in uno stato molto tardo della civiltà (per esempio nell'Europa odierna), un unico significato, bensì un'intera sintesi di "significati"; la precedente storia della pena in generale, la storia della sua utilizzazione ai fini più diversi finisce per cristallizzarsi in una sorta di unità, che è difficile a risolversi (trad. it. pp. 68‑69).