LE INTERVISTE IMMAGINARIEMaurizio Ferraris > NietzscheBompiani, Milano 2010 |
Torino, piazza Carlo Alberto, 8 gennaio del 1888. Franz Overbeck mi ha chiesto di andare a prelevare il professore malato che in una lettera inviata a Jakob Burckhardt ha dichiarato di essere tutti i nomi della storia. Entro da via Carlo Alberto 6, salgo al terzo piano, e lo raggiungo nella stanza affittatagli da Davide Fino, che ha una edicola di giornali in piazza. Nietzsche è al pianoforte, suona, al muro c'è una foto di Wagner. Nietzsche smette di suonare, si volta. Nietzsche > Quello lì, io lo conoscevo. Maurizio Ferraris > Sì, lo so. Ma lui è morto da cinque anni. Noi non ci conosciamo, Overbeck non è potuto venire da Basilea, e mi ha chiesto se della faccenda — dello stato in cui si trova, voglio dire —potevo occuparmi io. Insomma, professore, come va? Negli ultimi mesi lei ha scritto libri eccessivi, si è autodivinizzato... Sinceramente, alla fine non le sembra di averla fatta un po' troppo grossa? Scrivere lettere al Kaiser, ad esempio, dire che il suo prossimo indirizzo sarebbe stato il Palazzo del Quirinale. Lei sembra piuttosto il pazzo del Quirinale... Ma come le è successo? N > Semplice: educazione repressiva, fallimento professionale, sindrome maniaco-depressiva, crisi della mezza età. Non dimentichi che ho 44 anni, solo un anno in più dell'età in cui Thomas Buddenbrook, cui le cose andavano infinitamente meglio che a me, si considerava un uomo finito. In sintesi, direi (e perdoni la battuta, come sa ultimamente sono appassionato di battute) la mia è una sindrome maniaco-repressiva con forti tratti di atavismo. Come ho scritto in Ecce homo, io sono già morto, come mio padre, e ancora vivo, come mia madre. Anzi, aspetti, le leggo il passo esatto, è proprio all'inizio: "La fatalità della mia esistenza ne ha fatto la felicità, le ha dato, forse, il suo carattere unico: io, parlando per enigmi, come mio padre sono già morto, come mia madre vivo ancora e invecchio. Questa doppia discendenza, come dire dal più alto e dal più basso germoglio sulla scala della vita, décadent e inizio al tempo stesso - questo solo, se mai, può spiegare quella neutralità, quella libertà da qualunque partito di fronte al problema generale della vita, che forse mi contraddistingue. Mai nessuno ha avuto un fiuto più fine del mio per i segni dell'ascesa e della caduta, io sono il maestro par excellence di tutto questo - conosco luna e l'altra cosa, sono luna e l'altra cosa". MF > Sarebbe a dire? N> Sarebbe a dire che mio padre era uno molto spirituale, uno molto raffinato, un debole però, ed è morto. A trentasei anni, proprio come Mozart. Rammollimento cerebrale, va' a capire, erano altri tempi ed era un'altra medicina, a parte che anch'io non ho trovato un solo medico capace di dirmi cosa fosse il mio male. Comunque, io ho retto di più, anzi, un buon pezzo della mia vita è stata spesa nel tentativo di sopravvivergli. Sa, nel 1879, esattamente all'età in cui era morto lui, stavo per morire anch'io, ero diventato un'ombra, non so se di me stesso o di mio padre. Ho dato le dimissioni da Basilea e, come un baby pensionato, ho incominciato a vagare, l'estate a St. Moritz, l'Engadina, l'inverno a Naumburg, da mia madre, che spavento. Per cui, mai più Naumburg, mai più, e d'inverno in giro per la riviera italiana e francese, in stanze mal riscaldate e a far colazione con vecchi che avevano trentanni più di me... MF > Purtroppo adesso a Naumburg ci dovrà tornare, dopo un po' di tempo in clinica. Tornerà dalla mamma, devo dire che non la invidio. Ma non è niente rispetto a quello che succederà dopo, con sua sorella che la porterà a Weimar, in una villa bellissima, ma la esporrà su un podio, come una specie di martire, come un Padre Pio in cui la pazzia prende il posto delle stigmate. N > Grottesco, certo. Ma ha un senso, sono anche quello, se vogliamo, perché nelle mie lettere degli ultimi giorni mi sono firmato anche "Il Crocifisso". Dunque, dicevo, mio padre era angelico, affascinava i contadini quando predicava. Sa, era di origine polacca, io sono un nobiluomo polacco pur sang! È la Sassonia... Nietzsche deriva da Nitzky, il distruttore. Non so se mi spiego... Aveva davvero ragione quel giornalista svizzero che ha detto che io non sono un uomo, sono dinamite. La faccenda del polacco, esotica e antitedesca, anche un po' romantica con quell'alone da Maria Walewska recitata da Greta Garbo, ha attirato anche l'attenzione di Mussolini, in un discorso alla Camera il 26 maggio 1984, quando si è proclamato "discepolo di Federico Nietzsche polacco germanico". Il film con Greta Garbo è del 1987, dunque come epoca siamo lì. E io, come sempre, ho anticipato le tendenze. MF > Su questo torniamo tra poco. Mi parli un momento di sua madre. Sa, devo preparare una breve anamnesi per darla allo psichiatra che l'aspetta a Basilea, di cognome fa "Wille", tutto un programma. N > Mia madre, ecco il problema. Lui, mio padre, appunto, è morto, lasciandomi il suo fantasma angelico e potente. E io mi son trovato a crescere con mia madre e mia sorella, che sono quel che sono. Mia madre scema, lo dicono tutti, c'è anche nella cartella clinica del manicomio di Jena, dove mi hanno portato dopo Basilea. Fa impressione perché sembra proprio quello che scrivo in Ecce homo: "La madre vive, poco dotata". Sempre nella cartella dicono che mia sorella Elisabeth è sana, ma non è mica vero: è pestifera. Alla fine le ho mandate a quel paese, ecco quello che ho scritto di loro, all'ultimo, in Ecce homo, proprio in un'aggiunta mandata all'editore in extremis, e che mia sorella si è guardata bene dal pubblicare: "Se cerco qual è la più profonda antitesi di me stesso, la incalcolabile volgarità degli istinti, ritrovo sempre mia madre e mia sorella, — credermi imparentato con una tale canaille sarebbe un bestemmiare la mia divinità. Il trattamento che io ho subito da parte di mia madre e di mia sorella, fino al momento presente, mi ispira un indicibile orrore: qui opera una perfetta macchina infernale, che conosce con infallibile sicurezza in quale momento mi si può ferire a sangue, nei miei momenti supremi... perché allora manca qualsiasi forza per difendersi contro i vermi velenosi... La contiguità fisiologica rende possibile una tale disharmonia praestabilita... Ma confesso che la più profonda obiezione contro L'eterno ritorno', il mio pensiero propriamente abissale, è sempre mia madre e mia sorella". MF > Mi rendo conto. Ma non pensa che con una eredità del genere non poteva che andarle male? È già tanto se è riuscito a tener duro sino a questa crisi. N > Tener duro? Come se fossi un pensionato per davvero? Ma figuriamoci. Io ho trasvalutato tutti i valori, e fatto della mia vita un capolavoro. Lasci che prenda questa lettera che ho scritto a mia madre il 21 dicembre: "In fondo la Tua vecchia creatura adesso è un animale straordinariamente famoso: non proprio in Germania, dato che i tedeschi sono troppo stupidi e ordinari per l'altezza del mio spirito e hanno sempre fatto brutte figure di fronte a me, ma da qualsiasi altra parte. Tra i miei ammiratori ho solo nature elette; tutte persone altolocate e influenti, a San Pietroburgo, a Parigi, a Stoccolma, a Vienna, a New York. Ah, se tu sapessi con quali parole i personaggi più importanti mi esprimono la loro devozione, le signore più affascinanti, non esclusa una Madame la princesse Tenicheff. Ho autentici geni tra i miei estimatori — non c'è nome, oggi, che venga onorato e rispettato come il mio. — Vedi, questo è il capolavoro: senza un nome, senza rango, senza ricchezze, io vengo trattato come un piccolo principe da qualsiasi persona, giù giù fino alla miabfruttivendola, che non ha pace finché non ha trovato per me il più dolce tra i suoi grappoli d'uva (che adesso costa 28 centesimi alla libbra)". MF > Sarà anche un capolavoro, ma il genere è difficile da capire. Sa cosa scriverà Gottfried Benn? "Mentre la nobile muffa d'Europa / di Pau, Bayreuth ed Epsom si nutriva, / lui abbracciava due ronzini, /finché il padrone non lo trasse a casa". Alla fine lei è diventato celebre anzitutto per questa crisi tragicomica. Una volta Derrida, sa, il filosofo francese che ha scritto anche su di lei, doveva venire a fare una conferenza da me a Torino, e mi ha detto che in famiglia, la sera prima, gli hanno raccomandato di fare attenzione... Come se l'aria di Torino facesse male ai filosofi. E tutto grazie a lei! A lei che va in manicomio, e non saprei se ci vada perché le è andata male o perché incomincia ad andarle meglio. Magari l'euforia di questi giorni dipende dal fatto che Brandes e Strindberg, e forse Taine, l'hanno riconosciuta, le hanno dato un minimo retta. Ma di qui a credersi Dio... La lettera che lei ha scritto a Burckhardt il 6 gennaio 1889 fa impressione. Senta qui: "Caro signor Professore, in fin dei conti sarei stato molto più volentieri professore a Basilea piuttosto che Dio; ma non ho osato spingere il mio egoismo privato al punto da tralasciare per colpa sua la creazione del mondo. Vede, comunque e dovunque si viva, è necessario fare dei sacrifici". Fin qui, tanto quanto, è lo spirito di una barzelletta anche divertente, ed è per questo che Breton ha incluso la lettera nell'Antologia dello humour nero. Ma quello che è più impressionante, secondo me, anche più dell'affermazione secondo cui lei sarebbe "tutti i nomi della storia", è quando in quella lettera fatale mitizza la sua attività di corrispondente con la storia universale, una corrispondenza che ricorda da vicino quella di un maniaco che manda mail alla Casa Bianca e al Vaticano: "L'ufficio postale è a 5 passi da qui, imbuco io stesso le lettere per comunicare con i grandi elzeviristi del grande [sic!] monde". N> Ma non è forse quello che è successo? Perché alla fine la strategia si è realizzata alla perfezione, e questa umiliazione, il manicomio, sarà anche l'origine del mio trionfo. Proprio come l'umiliazione della croce sta all'origine del cristianesimo. E proprio come le strategie mediatiche postmoderne. Io l'ho capito questo mondo, l'ho capito meglio di tutti, anche se non sembra, anche se pare che io sia un professore in pensione, e di filologia classica, per giunta. Ma io ho capito tutto, Wagner si presenta come un santo e mette su il suo show a Bayreuth, io faccio ancora di più, solletico il nervosismo antiborghese, l'uomo del sottosuolo (ne è pieno il mondo), al limite il radical chic, e gli dico che può giocarsi la carta della raffinatezza assoluta, la rivoluzione di Zarathustra. "Un libro per tutti e per nessuno", non le pare il magnifico ritratto del superuomo di massa? E per il lancio cosa di meglio di questo scandalo senza nome, di questa storia da uomo del sottosuolo, compreso l'abbracciare un cavallo? Che cos'è a questo punto Anita Ekberg nella Fontana di Trevi? MF > Però la sua, almeno stando a quello che lei dice, è filosofia. E in filosofia non è questione di scandali, ma di contenuti. Ora, quali sarebbero i suoi contenuti? N > Lei è antico. Anche in filosofia — e grazie alla mia rivoluzione — quello che conta non sono i contenuti, quello che conta è lo stile. Lo ha detto, e proprio riferendosi a me, Derrida: "Nietzsche ha scritto quello che ha scritto. E ha scritto che la filosofia non è originariamente soggetta al logos e alla verità": la filosofia è una questione di stile. Un grande stile, dico io, lo stile puro, ma in realtà il mix che ho praticato in tutte le mie opere: tra filosofia e filologia, tra antico e moderno, tra alto e basso. Sono un filosofo dell'avvenire. I miei interlocutori non saranno più quattro dotti, saranno masse estasiate, folle da concerto rock, o magari da adunata nazista. MF > Siamo sempre alle forme e all'auditel. Ma i filosofi —su questo punto non sono d'accordo con il mio maestro Derrida — si giudicano dai contenuti e dagli argomenti (0, almeno, anche da quelli), e lei, sinora, non è che me ne abbia tirati fuori più di tanti, ha parlato più che altro come un impresario teatrale. Ho l'impressione che lei abbia subito davvero un po' troppo l'influenza di Wagner. N > Ma la forma è il contenuto, ed è per l'appunto il mix. La ricetta è semplice, e la si vede già nel mio primo libro, La nascita della tragedia. Prendi qualcosa di greco, di antico, nella fattispecie la contesa tra Apollo e Dioniso, il conflitto tra la forma e l'informe. Poi ornala con un qualcosa di moderno, la musica di Wagner. Aggiungi qualcosa di modernissimo, il mito della giovinezza e la lotta contro la repressione. Mescola a dovere, Apollo e Dioniso diventano straordinariamente sexy, altro che la noia mortale di una tragedia antica. Si fa capire alla gente che i Greci non erano affatto composti, anzi, erano un popolo di sporcaccioni desideranti, con orge e feste, balli e vino, un club Mediterranée mescolato col Privé del Billionaire, e quello è Dioniso. E che questa grande forza desiderante è stata rimossa da Apollo, proprio come la gente, adesso, patisce da morire la repressione della vita borghese e non vede l'ora che inventino la psicoanalisi. Ma io ho fatto qualcosa di molto meglio. Senta la fine della Nascita della tragedia: "Sì, amici miei, cedete con me alla vita dionisiaca e alla rinascita della tragedia. Il tempo dell'uomo socratico è finito: inghirlandatevi di edera, prendete in mano il tirso e non vi meravigliate che la tigre e la pantera si accovaccino carezzevolmente ai vostri ginocchi. Ora osate essere uomini tragici: giacché sarete liberati. Accompagnerete il corteo dionisiaco dall'India alla Grecia! Armatevi a dura lotta, ma credete ai miracoli del vostro dio!" Siamo oltre Freud, è già la rivoluzione desiderante di Deleuze e Guattari. MF > A questo punto, però, uno potrebbe dire che aveva ragione Wilamowitz a stroncare La nascita della tragedia: "Che il signor Nietzsche mantenga la parola! Afferri il tirso e (come Dioniso) vada in corteo dall'India alla Grecia! Scenda però dalla cattedra, dove dovrebbe impartire un insegnamento scientifico! Raccolga pure tigri e pantere intorno alle sue ginocchia, ma non la gioventù filologica tedesca che, attraverso l'ascesi di un lavoro svolto con abnegazione, deve imparare a cercare ovunque nient'altro che la verità". Se l'è tirata, ammetterà. . N > A me della gioventù filologica cosa vuole che mi importasse, a quel punto! La mia rivoluzione andava a toccare tutti altri settori, e il capolavoro, se vuole, è che in tanti non se ne sono accorti (o hanno fatto finta di non capire), continuando a insegnare i miei libri come se fossero normale materiale accademico. Mentre io puntavo da tutta un'altra parte, una parte che occupa tutto il Novecento, il mondo in cui lei è nato, cresciuto e invecchiato. Il mondo pop con il suo misto di pruderie e di pornografia. Il mondo dei concerti rock, di Woodstock, di Monterey, che la appassionavano quando incominciava a sfogliare le mie opere, e riconosceva i miei baffoni sulle copertine degli Oscar Mondadori. E prima che lei nascesse c'erano state le parate naziste a Norimberga. E prima ancora "Giovinezza, giovinezza, primavera di bellezza". E tutto l'inno alla giovinezza che parte con il Jugendstil e la Jugendbewegung, e trionfa con il pop e Jim Morrison, e ancora le ingiunzioni a essere giovani (per gli imperativi della vita) che oggi la infastidiscono, perché nel frattempo lei non è più giovane. Un mondo in cui io, Nietzsche, il filologo di Basilea, quello che nelle lettere alla madre si definisce come una "vecchia creatura", sono ancora qui con voi, perché ho riconosciuto e risvegliato il nesso tra giovinezza, morte, tragedia decenni e decenni prima di Élvis Presley e di James Dean. E non è solo Apollo e Dioniso, ho anche un sacco di altri effetti speciali. Per esempio l'eterno ritorno. Una idea grandiosa — al pieno della modernità e del progresso, del tempo lineare della creazione - riproporre il tempo arcaico e circolare dei Greci, in cui tutto ritorna eternamente, e in cui dunque non c'è né inizio né fine. E, notate bene, il colpo di genio è doppio o triplo. Primo, prendo per l'appunto l'idea greca arcaica, il pensiero primordiale, anteriore al creazionismo e al cristianesimo: tutto tornerà eternamente, per aggregazione e disgregazione di atomi; il tempo, alla fine, non esiste, è semplice apparenza, perché a ben vedere nel ciclo tutto si ferma. Poi però questa idea la ammoderno, la metto al passo coi tempi, con i dibattiti sui principi della termodinamica. E sottoscrivo l'ipotesi di Thomson secondo cui il mondo non ha inizio né fine. Così il mito greco riceve credibilità dalla fisica moderna, e la fisica moderna riceve prestigio dal mito greco. È un po' come il gioco tra la tragedia e Wagner. Qui però c'è la terza mossa, quella di cui personalmente vado più fiero. Tutta questa costruzione tra l'antico e il moderno, tra i libri di filologia, i manuali di filosofia e i libri di divulgazione scientifica, la presento come una mia personalissima invenzione, come una esperienza esistenziale che mi è accaduta sul lago di Silvaplana, a tremila piedi al di sopra dello spazio, del tempo e degli uomini. Tutta la messa in scena di una rivelazione, quasi di una apparizione, come se fossi Abramo che si imbatte nel roveto ardente. MF > Non c'è che dire, la mossa è di sicuro effetto, e ci sono cascati (o sembrano esserci cascati) anche lettori come Klossowski o Deleuze. Ma non dimentichi che quando lei ha raccontato il più profondo e segreto dei suoi pensieri a Lou Salomé, lei lo ha ridetto scherzando a Paul Rèe. E sembra che i due, dopo essere scappati a Berlino lasciandola sola a Lipsia, si facessero delle matte risate sulla sua idea massimamente profonda. N > Loro hanno riso, ma altri no. Lei ha citato Klossowski e Deleuze, io aggiungo Heidegger, che ha dedicato un corso intero a commentare l'eterno ritorno, e prima di lui lo ha fatto il più intelligente dei suoi allievi, Lowith. Forse, un po', ci ha scherzato Borges nella Storia dell'eternità, dando ragione a Cantor contro Zarathustra. Ma si sa che è il suo stile. E poi, restando sui contenuti a cui lei tiene tanto, che cosa ne dice della volontà di potenza? Le leggo il mio manoscritto che costituirà la conclusione del libro che hanno pubblicato Elisabeth e Gast, ma ovviamente è farina del mio sacco, quei due non ci sarebbero mai riusciti: "E sapete voi che cosa è per me 'il mondo'? Devo mostrando nel mio specchio? Questo mondo è un mostro di forza, senza principio, senza fine, una quantità di energia fissa e bronzea, che non diventa né più grande né più piccola, che non si consuma, ma solo si trasforma [...]. Questo mio mondo dionisiaco che si crea eternamente, che distrugge eternamente se stesso, questo mondo misterioso di voluttà ancipiti, questo mio 'al di là del bene e del male' [...] per questo mondo volete un nome? Una soluzione per tutti i suoi enigmi? E una luce anche per voi, i più nascosti, i più forti, i più impavidi, o uomini della mezzanotte? Questo mondo è la volontà di potenza —e nient'altrol E anche voi siete questa volontà di potenza — e nient'altro! " Anche qui, come in Apollo e Dioniso, o come nell'eterno ritorno, ho fatto lo stesso gioco. Una idea di senso comune, l'idea che si vuole dominare, anticata riportandola ai Greci e ammodernata mettendoci dentro studi sulle comete e sulla biologia, sulla lotta tra le amebe — e poi il tutto presentato come qualcosa di intimamente mio, di solo mio, come una rivelazione che mi ha assalito a un certo punto. E non finisce qui, con la mitizzazione... MF > In che senso? N > "Duemila anni e nessun nuovo dio", si lamentava Hólderlin all'inizio dell'Ottocento, prendendosela con l'aridità della ragione, e cercando una nuova mitologia. Era non avere occhi e orecchi, visto che scriveva, per esempio, all'epoca di Napoleone. Ecco quello che ho capito io, e che non hanno capito i vecchi romantici. Ho capito che il mondo moderno è tutto un mitizzare! Io sono stato come Warhol, l'ho anticipato, preceduto e previsto. Altro che uomo nascosto, altro che uomo del sottosuolo: io volevo essere celebre, come lei e come tutti, compresa Paris Hilton. Mi spiace che ai miei tempi non ci fosse Google, avrei passato il mio tempo a controllare il numero di citazioni legate al mio nome, e le vendite dei miei libri. MF > Sì, ho sempre pensato, in effetti, che lei fosse un maniaco della pubblicità, e del resto i conti che faceva per le sue opere andavano proprio in quella direzione. Come in questa lettera del 26 novembre al suo vecchio amico Paul Deussen: "La mia 'Trasvalutazione di tutti i valori', sotto il titolo capitale l’ANTICRISTO, è pronta. Nei prossimi due anni devo fare i passi per far tradurre l'opera in 7 lingue; la prima edizione in ogni lingua, circa un milione di esemplari". Non le nascondo che fa un certo effetto vederla proseguire chiedendo un prestito di diecimila talleri. N > Ma intanto, oggi, se lei va nel settore libri di un supermercato o di un autogrill, che cosa trova? Lo Zarathustra, l'Anticristo, magari La volontà di potenza. Ho capito che il mondo dello show business e della pubblicità, del postmoderno e del populismo, non è il contrario del sacro, la "secolarizzazione" di cui parlavano certi professori del Novecento. No, Hollywood è un Holywood, un bosco sacro. Il sacro e il divino si ottengono con un semplice espediente: mettere qualcosa in luce, sotto osservazione, sotto gli occhi di tutti. E in un attimo eccolo lì fra voi, il nuovo dio. Ha funzionato con Hitler, con Maradona, con quelli che vuole lei. L'apoteosi viene dalla luce, dal fascio di luce, dal riflettore, e Zarathustra questo riflettore lo ha avuto molto presto: pensi, nel 1896 Strauss ha composto una sinfonia su di lui, con cui ha girato il mondo, e alla fine l'abbiamo trovata sulle stelle, in 2001: Odissea nello spazio. Spero che a questo punto abbia capito che tutto quel parlare di crepuscolo degli idoli, alla fine, era solo un invito ai vecchi dèi di farsi un po' più in là, che arrivavo io, che avevo elaborato una nuova strategia per creare idoli e mandarli in orbita. Anch'io ho avuto le mie V2?. Anch'io sono stato "Il dio che viene", atteso, sognato dai romantici. Sono proprio, e alla lettera, un uomo arrivato, non crede? MF > Sì, ma Hitler? N > Cosa c'entro io? MF > Lei non c'entra proprio niente, dal punto di vista legale: lei non c'era. Ma moralmente c'entra eccome. Lasci che legga quello che ha scritto in Al di là del bene e del male: "Trattenerci reciprocamente dall'offesa, dalla violenza, dallo sfruttamento, stabilire un'eguaglianza tra la propria volontà e quella dell'altro: tutto questo può, in un certo qual senso grossolano, divenire una buona costumanza tra individui, ove ne siano date le condizioni (vale a dire la loro effettiva somiglianza in quantità di forza e in misure di valore, nonché la loro mutua interdipendenza all'interno di un unico corpo). Ma appena questo principio volesse guadagnare ulteriormente terreno, addirittura, se possibile, come principio basilare della società, si mostrerebbe immediatamente per quello che è: una volontà di negazione della vita, un principio di dissoluzione e di decadenza. Su questo punto occorre rivolgere radicalmente il pensiero al fondamento e guardarsi da ogni debolezza sentimentale: la vita è essenzialmente appropriazione, offesa, sopraffazione di tutto quanto è estraneo e più debole, oppressione, durezza, imposizione di forme proprie, un incorporare o per lo meno, nel più temperato dei casi, uno sfruttare". Prima, come tanti, pensavo alle falsificazioni della sorella, ma non le dico cosa mi è successo quando ho scoperto, quasi vent'anni fa, nel 1992, preparando una edizione della Volontà di potenza, il segreto di Pulcinella, ossia che Elisabeth e Gast non avevano aggiunto un bel niente alle cose irricevibili che c'erano in quel libro. E poi, ragionandoci un attimo, ho anche considerato che le cose peggiori non si trovavano in quegli scritti postumi ricuciti da sorella e allievo, ma nei libri che lei aveva pubblicato nel pieno dei suoi spiriti, per esempio e per l'appunto Al di là del bene e del male. Dunque, non è così come si diceva, non è vero che le cose peggiori non sono sue: sono tutte sue, altro che la sorella cattiva... N > Potrei risponderle come rispondeva Goethe a chi gli rimproverava i suicidi sull'onda del Werther: e quelli che muoiono nelle miniere inglesi? Che cosa ci posso fare? Le mie sono solo idee, e non ho mai saputo niente del nazismo, se non altro perché oggi è l'8 gennaio 1889 e Hitler nascerà solo il 20 aprile. MF > Sì, ma lei ha voluto un mondo hitleriano molto più di quanto Goethe abbia voluto un mondo wertheriano. Legga qui: "Conosco la mia sorte. Un giorno sarà legato al mio nome il ricordo di qualcosa di enorme — una crisi quale mai si era vista sulla terra, la più profonda collisione della coscienza, una decisione evocata contro tutto ciò che finora è stato creduto, preteso, consacrato. Io non sono un uomo, sono dinamite". E poi ancora: "Un qualche giorno si sentirà il bisogno di istituzioni che permettano di vivere e insegnare come io intendo il vivere e l'insegnare: e forse allora saranno istituite delle cattedre dedicate alla interpretazione dello Zarathustra". Ora, queste cattedre ci sono state, nella quantità da lei desiderata, solo in Germania, tra il i1933 e il 1945. N > Bene, ma io ho detto questo e quest'altro, proprio come dicevo all'inizio di Ecce homo: non prendetemi per un altro. MF > A proposito. Chi ha scritto di lei questo? "La sua volontà mi sembrava a volte semplice e senza freni come quella di un bambino di sei anni, che nulla riesce a scoraggiare o a stancare [...]. La sua religione era Der grosse Zufall, il caso fortunato. Il suo metodo era il potenziamento di sé attraverso l'autosuggestione. Quanto più gli avvenimenti cercavano di metterlo con le spalle al muro, tanto più fortemente reagiva con la certezza dell'avvenire". N > Non ricordo esattamente. Forse Lou, e credo proprio che avesse ragione. MF > Questo lo ha scritto Speer, parlando di Hitler. N > Io sono anche il divino buffone, non l'ho forse teorizzato? Non ho forse fatto tante buffonate che mi fanno torcere la faccia? MF > Sì, certo, potrà sempre rispondere così. Ma adesso lasci che io faccia l'avvocato del diavolo. C'è qualcosa di persino peggiore, e non è l'effetto-Faustus del dittatore hitleriano ma l'effetto-Krull del populista mediatico. Dunque, nemmeno questa è davvero una via d'uscita, anche se è meno truculenta della prima. Non le pare che questa mascherata sia riuscita sin troppo bene? N > Sì, non c'è dubbio, la mascherata è realizzata alla perfezione. Ma ora mi permetta di ritornare a me, cosa ne so io dei populisti mediatici e delle adunate oceaniche? L'ho sempre detto, tutti parlano di me, ma nessuno pensa a me. Bene, ora pensi per un momento a me, a quelle giornate che fanno stringere il cuore, a quella educazione che fa star male. Non crede che un po' di pagliacciate costituiscano una eccellente alternativa? Guardi qua, ho sottomano un po' di scritti autobiografici, li ho riletti per Ecce homo. Questo è del 1863: "Come pianta sono nato vicino al camposanto, come uomo in una canonica [...]. Dentro il villaggio si aprono grandi stagni, separati da sottili lingue di terra; intorno macchie verdeggianti e salici nodosi. Un po' più in alto sorgono la canonica e la chiesa, la prima circondata di giardini e di alberi. Vicinissimo il camposanto, pieno di lapidi e di croci ormai sprofondate. La casa parrocchiale è ombreggiata da tre alte acacie dall'ampia chioma. Qui nacqui il 15 ottobre 1844 e ricevetti, conformemente al giorno della mia nascita, il nome 'Friedrich Wilhelm'. Il primo evento che colpì la mia coscienza che si risvegliava fu la malattia di mio padre". E questo è del 1859, ed è — lo ammetterà - un perfetto racconto gotico, più che in Sassonia ci si sente in Transilvania: "Alcuni mesi dopo fui colpito da un'altra sventura, che io avevo previsto in uno strano sogno. Mi parve di sentire un cupo suono d'organo venire dalla vicina chiesa. Sorpreso aprii la finestra, che dava sulla chiesa e sul cimitero. La tomba di mio padre si apre, una bianca figura ne esce e scompare nella chiesa. I suoni cupi, minacciosi continuano; la bianca figura ricompare, portando sottobraccio qualcosa che non riesco a distinguere. Il tumulo si apre, la figura vi entra, l'organo ammutolisce — io mi sveglio. Il mattino dopo, il mio fratellino più piccolo, un bambino vivace e intelligente, viene colpito da convulsioni e nel giro di mezz'ora muore. Venne sepolto a fianco della tomba di mio padre". Ma non è niente rispetto a questa pagina del diario di un ragazzino che racconta una sua giornata in collegio, il 14 agosto 1859, la vigilia di Ferragosto: "In estate, la domenica la si trascorre così: sveglia al mattino alle sei, e alle sette meno un quarto c'è la preghiera. Poi ricreazione in giardino fino alle otto. Dopo c'è ripetizione, fino a quando suonano le campane della messa. Allora ci si mette in fila nel chiostro e si va in chiesa [...]. Poi di nuovo ricreazione in giardino, e lo stesso dopo il pranzo, che consiste di minestra, fricassea, arrosto e insalata, fino all'ora della siesta che inizia all'una e mezzo. Poi fino alle tre bisogna di nuovo studiare, fino alle quattro si può stare in giardino, ma subito dopo la merenda inizia l'agognata passeggiata, che dura fino alle sei. Fino alle sette ancora un'ora di lavoro. Poi il giorno si conclude come al solito con la cena, la ricreazione in giardino e la preghiera". Adesso veniamo al 1872, al ragazzino cresciuto e diventato professore. Al libro che gli è costato più o meno il posto, cioè il premio di tutta la fatica fatta in quelle scuole dell'orrore. Senta qui: "L'antica leggenda narra che il re Mida inseguì a lungo nella foresta il saggio Sileno, seguace di Dioniso, senza prenderlo. Quando quello gli cadde infine fra le mani, il re domandò quale fosse la cosa migliore e più desiderabile per l'uomo. Rigido e immobile, il demone tace; finché, costretto dal re, esce da ultimo fra stridule risa in queste parole: 'Stirpe miserabile ed effimera, figlio del caso e della pena, perché mi costringi a dirti ciò che per te è vantaggioso non sentire? Il meglio è per te assolutamente irraggiungibile: non essere nato, non essere, essere niente. Ma la cosa in secondo luogo migliore per te è — morire presto'". MF > My only friend, the end. Qui c'è l'elemento che unisce il nibelungico con il pop, Sigfrido e Morrison. Era tutto quello che la appassionava in Wagner, non ricorda? Questo lo ha scritto lei, in una sua lettera a Rohde, da Lipsia, l'8 ottobre 1868, poco prima di conoscere Wagner in persona: diceva che in lui, come in Schopenhauer, la appassionavano "il soffio etico, il profumo faustiano, la croce, la morte, la tomba". Ed è anche il motivo della passione che ha sempre esercitato su di lei l'incisione di Diirer II cavaliere, la morte, il diavolo. Si ricorda la descrizione che ne dà nella Nascita della tragedia? "Il cavaliere con l'armatura, dallo sguardo di bronzo, duro, che sa prendere il suo cammino terribile, imperturbato dai suoi orrendi compagni, e tuttavia privo di speranza, solo col destriero e col cane". Lei sa bene che proprio questo spirito che ama la morte, il tramonto — questa voglia di farla finita, proprio come i Nibelunghi travolti da Attila — era ciò che lei ha visto nel nesso tra grecità e pessimismo che è il sottotitolo della Nascita della tragedia. Ora, lei ha ragione, lei non ha mai avuto in comune nulla di nulla con Hitler quando era potente, ma sicuramente ha anticipato e quasi voluto quello che è successo tra il 794,4 e il 1945. Vada a vedere, oggi è facilissimo, su YouTube, i filmati della Deutsche Wochenschau, il cinegiornale di Goebbels, di quel periodo: pura volontà di potenza, proprio nel senso di pura volontà di scontro inutile, di lotta senza speranza. La svastica, la morte, la tomba: anche Hitler voleva il tramonto, esattamente come lei, anche Hitler, proprio come nella saga dei Nibelunghi, alla fine, desiderò soccombere di fronte a quello che per lui era Attila. Lo sa? Il suo ultimo messaggio alle truppe, il 16 aprile 1945, quando inizia l'attacco di Zukov sull'Oder, dice proprio: "L'ultimo attacco dell'Asia fallirà". Non è andata così. Per fortuna hanno vinto i Russi, e sono sicuro che lei non avrebbe affatto voluto che vincessero i Tedeschi. Ma sono certo che lei avrebbe amato da morire quella lotta mortale, ci avrebbe visto il simbolo della sua filosofia. Naufragium feci, bene navigavi è un detto che le è capitato di citare. Il naufragio, nella fattispecie, ha luogo in un fiume. Qui siamo a Torino, siamo sul Po, non sull'Oder, sul Congo, o sul Mekong, ma adesso, dopo tanti anni che vengo dietro a lei, mi sembra di essere Marlow. E mi sembra anche che — nel male come nel bene: mi creda, c'è anche quello — tutto ciò che riesco a dire è quello che dice lui alla fine del libro di Conrad, o magari nel film di Coppola, Apocalypse now. Lei ha letto molto durante questa conversazione. Anch'io, magari troppo, ma vorrei leggerle un'ultima cosa, è Marlow che parla di Kurtz in Cuore di tenebra di Conrad uscito nel 1002, un anno dopo la prima edizione della Volontà di potenza, e due anni dopo la sua morte: "Una sera, entrando da lui con una candela accesa, trasalii nel sentirgli dire con voce un po' tremolante: 'Giaccio qui nella tenebra aspettando la morte'. La luce era a due passi dai suoi occhi. Feci uno sforzo per mormorargli: 'Non dica sciocchezze!' e rimasi curvo sopra di lui come inchiodato. Non avevo mai visto, e spero di non rivederlo mai, niente di paragonabile al cambiamento che si era operato sui suoi lineamenti. Oh, non ero impietosito. Ero affascinato. Era come se fosse stato strappato un velo. Su quel volto d'avorio vidi l'espressione di un torvo orgoglio, di un potere spietato, di un terrore codardo, e anche di una disperazione immensa e senza rimedio. Stava rivivendo la sua vita in ogni particolare dei suoi desideri, le tentazioni, le capitolazioni, in quel supremo momento di conoscenza completa? Due volte, con voce bassa, lanciò verso non so quale immagine, quale visione, un grido che non era che un soffio: 'Che orrore! Che orrore!'" |