ARMANDO PLEBE
NIETZSCHE VOLGARIZZATO
Se nel decennio 1860-70 il fatto che un biologo come Darwin sostenesse la derivazione dell'uomo dalla scimmia aveva potuto costituire scandalo, appena vent'anni dopo lo scandalo darwiniano appariva cosa da nulla al confronto dei ben più sconvolgenti attacchi al senso comune che venivano susseguendosi. E bensì vero che all'epoca dell'«affare Darwin», Stuart Mill aveva detto che “la filosofia è lotta contro l'abitudine”; ma il modo in cui pensatori come Darwin, Mill, Spencer lottavano contro la maniera abituale di pensare restava ancora nei quadri di un pensiero ordinato, che rispettava le norme consuete di coerenza. Ma, a partire dal capolavoro di Friedrich Nietzsche, Così parlò Zaratustra (1884), si può dire che la filosofia diventa “lotta contro l'abitudine” in un senso ben più radicale: nel senso cioè di sconvolgere radicalmente tutta la maniera consueta di pensare, compiendo quella che Nietzsche definiva l’«inversione di tutti i valori» (Umwertung aller Werte), cioè il capovolgimento di ogni criterio di valutazione, per cui quello che tradizionalmente era buono diventa cattivo e viceversa. Si può dire che a partire da Nietzsche l'esaltazione dell'assurdo divenga un atteggiamento obbligato che s'accompagna costantemente alla storia del pensiero sino ai giorni nostri, così come alla letteratura, al teatro, all'arte: tanto che oggi, dopo almeno ottant'anni di filosofia dell'assurdo e di letteratura dell'assurdo, può esser più facilmente oggetto di meraviglia e di scandalo se appare una filosofia della coerenza che non se appare un'ennesima teoria dell'assurdità universale.
All'epoca di Nietzsche, però, questa tendenza non era ancora una moda sbiadita per l'uso e l'abuso, e Friedrich Nietzsche (1844-1900) fu certamente un grande iniziatore di questa grande svolta del pensiero che avviene a fine Ottocento. Dopo aver esordito come professore di filologia classica a Basilea dal 1869 al 1879, Nietzsche lasciò l'insegnamento per seguire una vita disordinata di viaggi in Svizzera e in Italia, tormentato da una malattia che lo condusse alla pazzia nel 1889. Le sue opere sono capolavori non soltanto della storia del pensiero, ma anche della storia della letteratura; e la sua visione del mondo, anche se è talmente esasperata da non poter essere quasi mai convincente, tuttavia è così ricca di umanità, di cultura (non soltanto greca, ma anche moderna: Nietzsche era studioso appassionato di Schopenhauer e attento e spietato critico di tutto l'illuminismo francese e dell'idealismo tedesco) e di arte (Nietzsche esordì come ammiratore di Wagner) che la lettura dei suoi libri risulta sempre avvincente.
Nota dominante degli scritti di Nietzsche è quello stesso gusto proibito che già aveva animato un secolo prima le opere del Marchese de Sade. Ma al di sotto di questo gusto del proibito sta in entrambi la radicata convinzione che la vita sia essenzialmente un'esplosione di potenza e di attività, per cui quanto più uno è potente e attivo tanto più è vitale; e che invece il sentimento, soprattutto nelle forme dell'amor del prossimo, della ripugnanza per il delitto, della compassione, non sia altro che una manifestazione di debolezza. Il lettore del secondo volume della nostra Storia ricorderà come per Sade l'individuo virtuoso si identificasse con l'individuo 'indolente e inattivo', il quale era quindi da lui considerato 'il più riprovevole' di fronte alla natura. Nietzsche, che pur non conosceva Sade, esalta in maniera analoga quella ch'egli denomina la volontà di potenza, cioè il prorompere di una volontà prepotente e sopraffattrice, caratteristica degli uomini forti, ch'egli identifica con la vita:
Pretendere dalla forza che essa non si manifesti come forza, che non sia volontà di sopraffare, di abbattere e di dominare, sete di nemici, di resistenza e di trionfi sarebbe tanto assurdo come chi volesse che la debolezza si manifestasse come forza.
Con un'immagine semiseria Nietzsche raffigura la personificazione dell'ozio nel diavolo della teologia, e sostiene che Dio stesso diventi diavolo allorché si stanca della sua attività e resta inoperoso:
Teologicamente parlando fu Dio stesso che, finito il suo lavoro e assunta la forma di serpente, si mise ai piedi dell'albero della conoscenza: così si riposò dell'esser Dio... Il diavolo non è altro che l'ozio di Dio, ogni sette giorni.
Naturalmente, il vero Dio non può essere, per Nietzsche, quello del cristianesimo o delle altre religioni praticate, in quanto sia il cristianesimo che le altre religioni condannano la prepotenza ed esaltano l'umiltà. Per Nietzsche il Dio di tali religioni ormai “è morto”, mentre l'unica divinità che s'identifica con la vita è l'antico Dioniso, che esprimeva quello che Nietzsche denomina il 'grande circolo' e 'l'eterno ritorno' alla vita, cioè l'eterna alternanza della nascita con la morte, che egli denota simbolicamente con la figura dei serpente attorcigliato su se stesso. E siccome il serpente è la figura impiegata tradizionalmente dalla teologia cristiana per designare il diavolo, Nietzsche intende con essa fare dell'antico diavolo, simbolo del peccato e del proibito, la nuova divinità: se da un lato il diavolo, nel suo aspetto passivo, è l'ozio del Dio tradizionale allorché cessa la sua attività, d'altro lato, siccome il Dio tradizionale per Nietzsche è morto, il diavolo, o, com'egli lo definisce (e definisce se stesso), l'Anticristo, risorge a nuova divinità come simbolo di un'attività meramente vitale, al di sopra dei vincoli della morale.
Uno dei massimi romanzieri del Novecento, Thomas Mann, volle riprodurre, nel suo romanzo «Doktor Faustus», la vicenda umana e filosofica di Nietzsche immaginando che il suo protagonista, Adrian Leverkühn, ammalatosi anch'egli per un'infezione venerea e avviandosi a poco a poco verso la pazzia, sfrutti il suo lento cammino verso la pazzia allo scopo di creare un'arte disumana (che nella fattispecie è la musica dodecafonica) e tragga impulso da ciò proprio con lo stringere un patto col diavolo, alla maniera del Faust della leggenda. E il diavolo descritto da Thomas Mann è proprio il diavolo di Nietzsche, che esige dai suoi adepti soprattutto una cosa: il non lasciarsi trascinare dal sentimento; si veda appunto la condizione che egli pone al patto con Adrian Leverkühn:
L'amore ti è vietato in quanto riscalda. La tua vita dev'essere fredda, perciò non devi amare alcuna creatura umana... Freddo ti vogliamo, tanto freddo che le fiamme della produzione basteranno appena a scaldarti.
Così dipingendo, in via romanzesca, la figura di Nietzsche come l'espressione della disumanità, Mann non andava lontano dal vero. Nietzsche stesso, infatti, finì col denominare 'superuomo' (Übermensch) l'ideale di individuo da lui teorizzato come al di sopra dei sentimenti che legano fra loro gli uomini, indicando con tale termine ch'egli intendeva ripudiare i sentimenti umani insiti in ogni individuo e porsi “al di sopra” di essi. La teorizzazione del 'superuomo' fu realizzata da Nietzsche nella sua opera principale, Così parlò Zaratustra, nella quale egli, rievocando la figura del mistico, antico sacerdote persiano, si esprime in termini sacrali e in un linguaggio metaforico e arduo a intendersi. In tale libro Nietzsche scrive appunto che “l'uomo è una corda, tesa tra il bruto e il superuomo”.
La teoria dei 'superuomo' costituì un precedente pericoloso, e di questo l'umanità non può certo esser grata a Nietzsche: il miraggio del sentirsi 'al di sopra' degli altri, ai di fuori delle comuni norme della convivenza civile sarà uno dei veleni più dannosi che intossicheranno il mondo del primo e soprattutto del secondo Novecento, a partire dalle fazioni politiche ispirate alla violenza degli 'exlege' sino a giungere al fanatismo spicciolo per i supermen dei fumetti infantili e non infantili. Tuttavia v'è pure un altro aspetto dell'immoralismo di Nietzsche, che trae invece le sue radici da un'acuta analisi dei comportamenti umani, e che costituisce tuttora una diagnosi importante, i cui sviluppi saranno talora assai positivi e di notevole peso nell'etica novecentesca: cioè la sua teoria del risentimento. Il 'risentimento', ovvero quello che Nietzsche denomina pure come 'la morale degli schiavi' è l'atteggiamento di quei deboli, o incapaci, o falliti, i quali anziché desiderare di riscattarsi, cercano di ostacolare la libera attività di chi è forte e capace, condannandolo attraverso una morale ispirata all'istinto di vendetta contro i forti e i capaci. Ricordando ciò che non ha fruito in passato e presagendo di non fruirne mai in avvenire l'uomo dal temperamento di 'schiavo' condanna le virtù attive che sorgono dall'accettazione della vita ed esalta soltanto le virtù passive, quali la rassegnazione, la pazienza, la diligenza, la compassione:
Lo schiavo guarda con occhio torvo le virtù del potente: egli è diffidente e sospettoso, ed è raffinato nella diffidenza contro tutto quello che dai potenti è rispettato e tenuto in conto di 'buono': egli vorrebbe illudere se stesso sforzandosi a credere che anche la felicità di cui essi godono non sia autentica. Invece farà risaltare e metterà in luce le virtù adatte a rendere sapportabile l'esistenza dei reietti; per cui terrà in onore la pietà, [...] la pazienza, l'assiduità, l'affabilità.
Vi è, in questa denunzia della morale del risentimento, un indubbio fondo di verità. Troppe volte la morale si è indirizzata sostanzialmente a predicare la rinunzia all'azione anziché incoraggiare gli uomini ad agire. E il rifiutare la 'morale della rinunzia' comporta sovvertire davvero molti valori tradizionali, come era negli intenti dell' 'inversione dei valori' auspicata dallo Zaratustra di Nietzsche:
chi vuoi essere un creatore nel bene e nel male, dev'essere prima un distruttore e spezzare dei valori.
Senonché il distruggere per il distruggere è ingenuo e sterile tanto quanto quel conservare per il conservare, tipico della 'morale della rinunzia' contro cui combatteva Nietzsche. E il gusto gratuito del distruggere è appunto il limite del pensiero di Nietzsche, scintillante e geniale nelle sue denunzie demolitrici, ma alla fine ingenuo nel significato ch'egli dà alle sue distruzioni. In tal senso appare quasi un'illuminata autocritica la teoria delle 'tre metamorfosi' che Nietzsche avanza nel suo Zaratustra. In essa egli auspica il passaggio dell'uomo dallo stadio del cammello a quello del leone e infine a quello del fanciullo. Lo stadio del cammello è quello tradizionale dello spirito pigro, la cui virtù essenziale è l'obbedienza; ad esso subentra, nella metamorfosi che Nietzsche intendeva promuovere, lo stadio del leone, che rappresenta la libertà negativa del coraggio di dir di no. Ma, per Nietzsche, lo stadio del leone non è quello conclusivo: ad esso deve subentrare uno stadio finale in cui l'individuo 'oblia' le sue precedenti debolezze e comincia una vita autentica con la purezza del fanciullo. La psicanalisi chiarirà molto di quest'inconscia metamorfosi, auspicata da Nietzsche, del distruttore nel fanciullo; ma forse ad essa non fu estranea, già nella sua formulazione originaria, un'oscura consapevolezza, da parte di Nietzsche, del carattere infantilistico dello spirito puramente distruttore, alla vigilia del nostro secolo, tanto tormentato.
Giorgio Locchi
Nietzsche e i suoi "recuperatori"
Ne parlano le gazzette parigine. «Sull'orizzonte filosofico contemporaneo», afferma Combat (14/05/1972), si stagliano «tre figure: Marx, Freud, Nietzsche”, la cui «influenza marca tutte le ricerche contemporanee». E dato che Nietzsche è stato sinora un «po' trascurato», è lui sopratutto che si ha cura di «rivisitare». Più precisamente, come rilevava ingenuamente il cronista del Figaro a proposito ella trasmissione televisiva recentemente consacrata a Zarathustra, si recupera Nietzsche.
Dire che si è “trascurato” Nietzsche nel corso degli ultimi anni è un puro eufemismo. La cultura ufficiale della società del dopoguerra l'aveva semplicemente bandito, messo all'Indice. L'accaduto è d'altronde molto banale. I filosofi e gli ideologi del Terzo Reich si erano richiamati a Nietzsche e alla sua opera. Avevano esaltato nel nazionalsocialismo hitleriano il movimento che il visionario di Sils-Maria aveva invocato con tutte le sue forze. Meglio (o peggio) ancora, numerosi autori ben noti, avversari dichiarati del nazionalsocialismo, riconosciuto la fondatezza di queste dichiarazioni, o non avevano avanzato al riguardo che riserve marginali. Tale è stato il caso, per non citarne altri, di Karl Lövith, autore di una celebre opera, Da Hegel a Nietzsche (Europa-Verlag, Zurigo 1941, versione francese Gallimard 1969), del marxista Georg Lukàcs, impegnatosi ad illustrare la «distruzione della ragione, da Nietzsche a Hitler» (Von Nietzsche zu Hitler, Fischerer Bücherei, Frankfürt 1966, estratto da Die Zerstörung der Vernunft, Herman Luchterhand, Neuwied-Berlin 1962) o ancora di padre Valentini, S.J., che credeva di riconoscere nella Hakenkreuz della bandiera rossa-nera-bianca il simbolo dell'eterno divenire, dell'Eterno Ritorno dell'identico. Era dunque ineluttabile che per Nietzsche, come per il suo Sternenfreundi Richard Wagner, venisse il tempo di Norimberga. Questo periodo è tuttavia terminato. Oggi, si “recupera” Nietzsche, come non si smette di tentare di “recuperare” Wagner.
Il primo obbiettivo di tale recupero, obbiettivo non sempre esplicito, è di ordine puramente politico. Si tratta innanzitutto di dimostrare che i legami di parentela tra tra l'opera di Nietzsche e l'impresa politica nazionalsocialista sono inesistenti, e che unicamente una interpretazione abusiva e volgare può condurre a riscontrare una derivazione nietzschana nel movimento hitleriano; non sarebbe infatti possibile riconoscere al nazionalsocialismo un'origine tanto “nobile” quanto il pensiero di Nietzsche. Dopodiché, i “recuperatori” grazie ad una rilettura “nuova” e “legittima”, sperano di poter rendere l'opera di Nietzsche disponibile per un'integrazione nel patrimonio culturale delle ideologie di moda (democratiche, socialiste, o “contestatarie”).
Tale sforzo è semplicemente ridicolo, e depone a favore o di un'accecante stupidità filosofica, o di una flagrante disonestà intellettuale.
Certo, è possibile, ed è forse inevitabile, interrogarsi sulle reazioni che avrebbe effettivamente avuto Nietzsche di fronte ad un fenomeno come il nazionalsocialismo. Per contro, è del tutto sicuro che, confessatamente, e per poco che ci si dia la pena di lasciarlo parlare, Nietzsche si sia posto come avversario dichiarato di tutte le correnti che oggi, come del resto avveniva ai suoi tempi, dominano la nostra società e la nostra “cultura”.
Nietzsche non è un filosofo come gli altri. Non vuole esserlo, e lo proclama ai quatto venti. Ormai, afferma, il compito del filosofo non si limita più ad una semplice riflessione sul passato, né ad un'organizzazione del sapere. Il filosofo deve essere un artista che fa dell'uomo stesso la sua materia prima. Deve essere colui che assegna dei fini agli uomini e, grazie alla sua opera, li costringe a ricercare i mezzi per raggiungerli. Nietzsche proclama così la fine della vecchia filosofia. Annuncia l'avvento di un pensiero che è finalmente sfuggito alla “Circe dei filosofi”, di un pensiero sottratto al pregiudizio “morale”.
Si è fatto di Nietzsche un martire della “ricerca della verità”. Strano destino postumo, che egli aveva d'altronde previsto e ricusato in anticipo, giacché la “ricerca della verità” cui Nietzsche si è dedicato ad un dato momento della sua speculazione, consiste innanzitutto nel rifiutare e distruggere una certa verità, che è stata storicamente “voluta” e affermata dalla “morale cristiana”, ovvero “degli schiavi”. Inoltre, sul piano strettamente gnoseologico, tale “ricerca” porta a compimento la critica kantiana della Ragione.
Kant aveva mostrato i limiti invalicabili della Ragion pura. Ma, osserva Nietzsche, ha immediatamente ristabilito i diritti dell'assoluto, riconoscendo alla Ragion pratica la possibilità di attingere alla “verità” e di dare risposta alle “questioni ultime”. Una tale procedura, agli occhi di Nietzsche, corrisponde ad uccidere Dio per cadere in adorazione di fronte all'Asino-che-dice-Sì. E' qui che la speculazione nietzschana prende assume un carattere critico. Nietzsche si sforza di dimostrare i limiti della Ragion pratica. Non può esserci una “verità assoluta”: il vero e il falso non sono che punti di vista “interessati”. Ogni affermazione è vera e falsa al tempo stesso; tutto è arbitrario. La ragione non è che un mezzo, uno strumento. Non pone giammai il principio, il punto di partenza del discorso e dell'azione. Al contrario, essa riceve questo principio, che sempre è anche un fine implicito. In breve, il suo compito consiste nel chiarire la via che permette di raggiungere tale fine, e di riaffermare il principio in ogni circostanza, contro ogni opposizione.
Questo Irrationalismus, questa “distruzione della ragione” per cui il marxista Lucàcs (seguito da vari altri) biasimava Nietzsche, non appaiono come tali che rimanendo nella prospettiva che Nietzsche stesso pretende di aver storicamente superato. In realtà, Nietzsche non fa che rimettere la Ragione al suo posto. La considera esattamente come noi oggi potremmo considerare un “cervello elettronico”, come una macchina logica destinata a servirci, che riceve da noi le sue informazioni, e non può fornire che le risposte contenute in potenza nelle informazioni fornitegli; giacché non è l'uomo che è al servizio di una Ragione astratta, universale e trascendente; è la ragione, la facoltà di pensare ed agire logicamente, che è posta al servizio dell'uomo e della sua volontà. In questo senso, ogni affermazione è effettivamente arbitraria, in quanto è umana ed in quanto ogni uomo rappresenta una prospettiva unica aperta sull'universo delle cose.
L'uomo ha bisogno nondimeno di affermare, e di affermarsi. Qui Nietzsche è il contrario di un certo tipo di relativista, di un nichilista. Se cadesse nella illusione egualitaria, potrebbe essere una cosa o l'altra: l'equivalenza delle prospettive condurrebbe fatalmente all'anarchia ed alla paralisi. Ma Nietzsche è sovrumanista. Per lui, una prospettiva vale sempre più di un'altra; è necessario che valga più di un'altra. La sorte dell'intera umanità, in ciascun momento storico, è governata dalla prospettiva più vasta, più alta, quella che ingloba le altre e le organizza gerarchicamente nel proprio seno. Questa prospetta è quella dell'uomo superiore. Ed è solo nella misura in cui trionfassero definitivamente l'egualitarismo ed il livellamento, nella misura in cui si producesse l'avvento dell'ultimo uomo, che non vi sarebbe più, in effetti, che una sola prospettiva, una “verità assoluta”. Ma una verità miserabile.
Nietzsche non esclude tale eventualità. Ciò può succedere, dice. Bisogna dunque impedirlo. E' per questo che Nietzsche vuole che la sua opera sia anche (e sopratutto) una gigantesca impresa di provocazione e seduzione, che essa susciti, per mezzo della poesia, un nuovo tipo d'uomo, un “uomo superiore”, eternamente «teso verso il superuomo», capace di assicurare di per ciò stesso all'umanità un eterno divenire storico, un'eterna creazione e ri-creazione di se stessa.
Nietzsche non si nasconde l'“immoralità” del suo progetto. Ma, così come ogni verità è anche menzogna, egli afferma già che ogni morale è anche “immorale”. Per lui, la vita non ha un senso, se non estetico. L'uomo, scrive, ha tratto sinora la forza di vivere solo dalla convinzione che esistesse un fine ultimo, tale da realizzare il Bene e la Verità assoluti. Ora, sa ormai che «Dio è morto», che non vi sono fini ultimi. Non gli resta più dunque che assumere lui stesso il ruolo che attribuiva precedentemente a Dio, che trarre «dalla terra», e non più dall'«Altro Mondo» la forza di vivere di cui ha bisogno, che dare un senso alla sua propria esistenza e un obbiettivo all'umanità pur sapendo che tale obbiettivo, una volta raggiunto, svanirà nel nulla, e che sarà allora necessario, una volta di più, ridefinire un senso e ristabilire un fine. Mito di Sififo? Niente affatto. Perché Sisifo non voleva la sua pena: vi era costretto dalla malevolenza di un dio. Non si metteva in gioco; era posto in scena. Per Nietzsche, Sififo rappresenta «lo spaventoso dominio dell'assurdo e del caso che ha, sinora, portato il nome di Storia, di cui la formula assurda del più gran numero non è che l'espressione più recente».
E', se si preferisce, l'eroe-vittima di un caso cui è stato dato il nome di Dio, o di suffragio universale, o di primato morale del proletariato. Il vero eroe, che Nietzsche invoca con tutte le sue forze, è l'antitesi di Sisifo. E' colui che non accetta più, coscientemente, che di essere al tempo stesso vittima e boia di se stesso: che è capace di volere «la sua propria sconfitta affinché il superuomo viva». «Bisognerà», scrive Nietzsche, «insegnare all'uomo che l'avvenire dipende dalla sua volontà, che tale avvenire dipende dal volere umano; bisognerà preparare grandi esperienze collettive di disciplina e selezione. [...] Avremo bisogno un giorno di una nuova sorta di filosofi e di capi, la cui immagine farà impallidire e ripiegare tutto ciò che la terra ha mai visto di spiriti secreti, temibili e benevolenti».
Nelle sue linee fondamentali, il progetto di Nietzsche, ciò che viene talora chiamata la sua “Grosse Politik”, è dunque perfettamente chiara, e non si presta ad alcun equivoco. Nietzsche non cessa di precisare a cosa si oppone e cosa vuole. Dichiara espressamente guerra all'egualitarismo in tutte le sue forme storiche (che assimila d'altronde nel suo disprezzo): al cristianesimo, che, con la formula dell'uguaglianza degli uomini davanti a Dio, inoculò la dottrina egualitaria al mondo greco-romano, al “liberalismo” esplicitato dalla rivoluzione del 1789, alla democrazia ed alla «tirannia del suffragio universale», al socialismo, al comunismo, all'anarchismo, etc.
Osservando la sua epoca, Nietzsche vede tutte le forme di egualitarismo convergere già verso un nichilismo più o meno consapevole, e la «democratizzazione degli spiriti» tradursi, in Europa, nella costituzione di un'immensa «massa di schiavi». Prevede l'amalgama e il livellamento dei popoli europei. Indovina anche che gli imperativi economici scateneranno il movimento d'unificazione dell'Europa. Considera il «partito della pace», il «movimento dell'ultimo uomo» come un fenomeno praticamente irreversibile, che il nichilismo non smetterà di rafforzare. Nietzsche non intende opporsi a questo movimento di “massificazione”. Al contrario, consiglia ai “suoi” di accelerarlo. Ma invoca un altro movimento, il “suo” movimento, che vede costituersi ed espandersi al tempo stesso. Questo movimento, è il «partito della guerra». Un giorno verrà, dice, quando la «razza padrona», la «casta dei signori», di cui tale partito è il mezzo d'esprimersi, farà della massa il proprio strumento, le darà di per ciò stesso un senso, e instaurerà, a partire dall'Europa, il dominio del mondo in una terra planetarizzata dal progresso tecnico.
E' inutile decrivere ed analizzare qui ulteriormente il progetto nietzschano. Per ignorarlo, o negarlo, bisogna non aver letto Nietzsche – o pretendere che Nietzsche intendesse il contrario di ciò che ha scritto, come non si esita a fare. Si tratta, in fin dei conti, di un progetto risolutamente antiegualitario, che si oppone all'egualitarismo sin nei suoi aspetti più attuali.
In tali condizioni, parrebbe molto improbabile, per un qualsiasi avversario dell'egualitarismo, che l'opera di Nietzsche possa mai essere “recuperata”. Tuttavia, in ogni tempo ed oggi più che mai, i nemici naturali di Nietzsche hanno tentato di annetterselo, a beneficio dei loro sforzi. Abbiamo dunque diritto di chiederci come una tale manovra sia concepibile, in cosa consista, e sopratutto, tenuto conto del pericolo che esiste, per gli egualitaristi, a “maneggiare” il progetto nietzschano, quali ne sono le ragioni.
La risposta a tale ultima domanda è senza dubbio la più agevole. Se gli ideologi alla moda si ritengono costretti a tentare di “recuperare” Nietzsche, è perché non riescono ad impedirgli di parlare. L'opera di Nietzsche è là, e provoca e seduce a dispetto degli ostracismi di cui possa essere fatta oggetto. Inoltre, come un mostruoso ruminante, la nostra civilizzazione non riesce a proibirsi le droghe e gli eccitanti più pericolosi; al massimo, può sperare di mitridatizzarsi contro di essi. Il mondo egualitario tenta perciò di intorbidire con il suo proprio rumore questa voce che lo disturba e lo inquieta. Si sforza per questo di porre un vetro deformante (ma che pretende invece “chiarificatore”) tra un'opera “impossibile da leggere” e il lettore dalla vista corta. Di consequenza, falsifica.
I metodi impiegati in tale impresa non sono nuovi. Uno di questi, il più antico forse, consiste nell'operare una distinzione cronologica nell'opera di Nietzsche. Vi sarebbe così un periodo di immaturità, quello del Nietzsche romantico e wagneriano; poi un periodo di maturità, considerato come l'unico “valido”; infine un terzo periodo (quello della formazione definitiva di ciò che noi sappiamo essere il suo progetto), in cui si esprimerebbe un pensiero influenzato da una follia ancora sotterranea, ma già operante. In conseguenza di che converrebbe non prendere mai sul serio le “stravaganze” dell'ultimo periodo, le quali, del resto, sarebbero in contraddizione con il pensiero “autentico” del filosofo “ancora sano”.
Questa critica ha il vantaggio di basarsi su un'analisi che in effetti fa riferimento all'autore. Ma essa non riguarda che gli oggetti successivi della speculazione nietzschana. Non ci dice nulla sui contenuti e sulle conclusioni della stessa. In realtà, Nietzsche non ha mai smesso di volere la stessa cosa, e questo sin dall'inizio della sua riflessione. Lo rimarcava lui stesso, non senza trarne motivo di orgoglio, prefacendo di nuovo le sue opere (in Ecce Homo) poco prima di sprofondare nella follia. Certo, vi è in Nietzsche un'evoluzione, ma tale evoluzione è solo quella di una progressiva presa di coscienza, sempre più spinta, della volontà che lo anima e, di per ciò stesso, di tutto ciò che si oppone a tale volontà, e dei mezzi da impiegare per combatterlo. La “trasvalutazione di tutti i valori” è già proposta, implicitamente, in La nascita della tragedia. Il Nietzsche wagneriano, che invoca l'apparizione di Sigfrido, è già il Nietzsche che annuncia l'uomo superiore e la “razza padrona”, e che propone a tal fine il mito dell'Eterno Ritorno.
Un altro metodo volto al suo “recupero”, dalle varianti innumerevoli, consiste nel decretare che l'opera di Nietzsche (definita per l'occasione “frammentaria”, “discontinua”, “aforistica”, etc.) nasconderebbe il suo “vero significato” dietro il velo dei “segni”, delle “cifre” o delle “metafore”, così che l'apparenza del discorso si distruggerebbe da se stessa mano mano che esso si sviluppa. E' il modello stesso dell'intorbidamento: se l'evidenza non è bella, è perché essa significa tutt'altro. Ciò che si “dimostra”, proclamando a piena voce che la “nudità dell'imperatore” va ignorata.
Di fatto, agli occhi di colui che vede, una siffatta procedura testimonia unicamente della incapacità costituzionale di accogliere il testo nietzschano. Meglio ancora, essa attesta la bisogno, per un certo tipo di lettore, d'ignorare la realtà di un testo di cui sente confusamente che l'offende e lo umilia nel suo essere più profondo. Non è neppure possibile, in effetti, prendere a pretesto la difficoltà di leggere e capire il discorso di Nietzsche. Certamente, in un testo come Also sprach Zarathustra, Nietzsche dà alla sua trattazione la forma del Mito, al fine di far esplodere la “razionalità” del linguaggio filosofico della sua epoca, che non è altro che la razionalità del discorso del discorso egualitario imposto da una storia secolare. Ma ci ha ugualmente consegnato, sopratutto nelle sue ultime opere, le chiavi che permettono un'interpretazione autentica del Mito. Molto di più: ha esplicitato la natura e la genesi del Mito, che ha consapevolmente concepito come «una dottrina che, scatenando il pessimismo più mortale, produrrà la selezione dell'elemento più forte» e che «farà perire l'umanità ad eccezione di coloro che la sopporteranno».
Confrontato all'opera di Nietzsche, l'uomo che crede ancora alla Verità e al Bene assoluti, non vuole, non può riconoscere come evidente un discorso che si situa in una nuova dimensione della coscienza storica. Passa letteralmente attraverso questa dimensione, e se ne esclude. Così, l'evidenza rivoluzionaria che Nietzsche ha creato resta inaccessibile agli avversari del suo progetto, pur permettendo loro di pervenire ad un sottofondo che li affascina, e che dovrebbe condurli alla perdizione. Questo sottofondo costituisce l'aspetto filosofico (e di conseguenza critico) dell'opera, nel suo modo di portare a compimento la speculazione di Immanuel Kant. Quanto all'“evidenza invisibile”, al “giardino in cui gli Altri non possono penetrare”, essi sono l'intera opera nella sua “poeticità”, poieticità, ovvero, al tempo stesso, la proposta del Mito, un discorso psicologicamente attiv (creatore di un nuovo tipo d'uomo), schizzo di un progetto di “grande politica”, e la messa in cantiere dei mezzi necessari alla sua realizzazione.
ll fascino che l'opera di Nietzsche, nei suoi aspetti critici, può esercitare sul mondo egualitario cristiano, si spiega non meno agevolmente, ma sotto un aspetto particolare. Questa critica, Nietzsche lo dichiara apertamente, costituisce in effetti il prolungamento storico della speculazione egualitaria cristiana; si esercita a partire dalla prospettiva finale dell'egualitarismo cristiano. Goethe diceva che per distruggere un'idea è sufficiente «pensarla sino in fondo». Specie nel suo secondo periodo, Nietzsche si fa carico di pensare sino in fondo l'idea egualitaria, la morale cristiana del Bene e del Male, al fini di distruggerle portandole sino al punto in cui esse basculano nel proprio contrario.
Hannah Arendt ha rimproverato a Nietzsche di essere, come Marx e Freud, ricaduto nella illusione, dopo aver «distrutto la tradizione». Ma si tratta di un ulteriore errore. Contrariamente a Kant, Marx o Freud, Nietzsche non pretende di aver trovato la vera risposta alla “questioni ultime”. Del tutto al contrario, e in modo sovrano, egli dà la sua risposta alle sue proprie domande. All'arbitrario del tipo d'uomo che trionfa nella sua epoca, e che egli disprezza, oppone consapevolmente il suo arbitrario e il suo Geschmack (“gusto”). Il Mito che propone non è, e non vuole essere, che un'opera d'arte: mira a sedurre, a provocare. Il linguaggio quotidiano direbbe ingenuamente che tale opera è un'azione di propaganda. Nietzsche, sotto la maschera di Zarathustra, si fa predicatore.
E' davvero rimarchevole come Nietzsche, per tutta la sua vita, non abbia mai cessato di stabilire una comparazione tra se stesso, da un lato, e Socrate o Gesù il Nazareno dall'altro. Nella sua opera, Socrate è presentato come il filosofo che, per mezzo della sua riflessione dialettica, ha dischiuso al virus egualitario le porte del mondo pagano, che veniva così surrettiziamente privato dei mezzi per difendersene. Gesù, e con lui Paolo di Tarso, passando attraverso tale porta socchiusa, hanno inoculato al mondo pagano la malattia egualitaria. Nietzsche, da parte sua, si propone di essere per il mondo egualitario ciò che Socrate e Gesù, nel complesso, sono stati per il mondo pagano europeo. Da qui il doppio aspetto della sua opera: critico e distruttivo, quando si attribuisce il ruolo socratico; poetico e creatore del Mito, quando assume, all'inverso, quello di Gesù.
E' del tutto naturale che i partigiani dell'impresa egualitaria cristiana si sforzino di trarre partito dalla critica nietzschana, e che si accorgano sempre di più che non saprebbero privarsene. Nietzsche, ripetiamolo, ha pensato il loro mondo sino in fondo. Hanno dunque molto da imparare da lui su se stessi. Parimenti, al livello più terra-terra della propaganda quotidiana, è altrettano comprensibile che essi moltiplichino i loro sforzi per cancellare ogni traccia della “parentela” che potrebbe legare al fenomeno nazionalsocialista questo pensiero sempre presente e sempre affascinante, a cui sono incapaci di negare i suoi titoli di nobiltà. Questa parentela è nondimeno innegabile, bisogna pur riconoscerlo.
Il che, tuttavia, non permette di trarre alcun argomento significativo, né contro Nietzsche, né a favore del nazionalsocialismo.
Di fatto, per abbordare con qualche consistenza il problema, bisogna innanzitutto interrogarsi sul senso che all'interno di un discorso di quest'ordine viene dato alla parola “parentela”. Così, si potrebbe sostenere, in modo del tutto legittimo, che Paolo di Tarso avrebbe falsificato la predicazione del Cristo, o che il Cristo non si sarebbe “riconosciuto” nel “cristianesimo” di Paolo (o almeno non più di quanto Marx si sarebbe riconosciuto nel “marxismo” di un Lenin, di un Trozsky o di un Mao Zedong). Ma questa dichiarazione, per interessante che possa essere da un punto di vista intellettuale, risulta storicamente insignificante. In effetti, la forza e la grandezza dei Vangeli consiste precisamente nel fatto che hanno storicamente generato tutti i cristianesimi, e che continuano, non meno storicamente, a riassorbirli perpetuamente nel proprio seno. Nello stesso modo, ogni “lettura”, ogni interpretazione (ivi compresa quella di Nietzsche da parte del movimento hitleriano) possono essere giudicate e dichiarate “abusive”. Ma un giudizio di questo tipo, indipendentemente dalla sua fondatezza o meno, non ha alcun reale significato. E' astrazione pura, deriva da quel regno dell'assoluto in seno al quale non vi è “comunicazione” possibile. Giacché ciò che conta, dal punto di vista storico, non è il fatto che San Paolo abbia o meno “tradito” la parola di Cristo. E' il fatto che egli vi si richiama, e che non è inteso che per il fatto di richiamarvisi. Così Lenin, o Trotzky, in rapporto a Marx. Il genio del fondatore di una religione, di un maestro del pensiero o del creatore di una scuola, si misura dall'abbondanza dei “prodotti” che andranno a situarsi da se stessi all'interno del suo discorso, e pretenderanno di essere tale discorso. E' esistita una moltitudine di sette cristiane, di cui ciascuna ha forse realizzato un aspetto del progetto proposto da Cristo, ma di cui solo alcune hanno acquisito il peso storico suscettibile, in fin dei conti, di decidere ciò che il cristianesimo effettivamente sia, ovvero ciò che il Cristo è divenuto nella sua posterità.
Nietzsche, all'immagine di Cristo, pretende di essere l'iniziatore di un movimento storico. Questo movimento ha generato delle tendenze e delle scuole di pensiero che l'hanno forse oggettivamente tradito, ma che dal punto di vista strettamente storico si sono presentate tutte come la sua realtà e la sua continuazione. E' questo che bisogna prendere in conto se si vuol parlare in modo appena coerente dei rapporti tra Nietzsche e nazionalsocialismo. Nell'opera La rivoluzione conservatrice in Germania, Armin Mohler ha messo in evidenza il brulicare di sette filosofiche, politiche e letterarie che dopo la prima guerra mondiale si richiamavano al Mito nietzschano. Queste sette si collocavano le une in rapporto alle altre, e si giudicano l'un l'altra nello stesso modo di quanto fanno tra di loro le sette marxiste. Esse adottarono, di fronte al nazionalsocialismo, atteggiamenti molto variati. Così, se è vero che il nazionalsocialismo fu “nietzschano”, poiché si situava all'interno della dialettica antiegualitaria di cui Nietzsche ha contribuito a precisare i lineamenti, è falso che qualsiasi “nietzschanesimo” sia nazionalsocialista. Allo stesso modo in cui le “aberrazioni gosciste” non compromettono Marx agli occhi dei comunisti ortodossi, allo stesso modo il nazionalsocialismo non saprebbe “compromettere” o esaurire in alcun modo il progetto nietzschano.
Francesco Boco
Nietzsche e la critica della Verità
Il problema della verità in filosofia parte in primo luogo dalla forma del testo stesso. Il tipo di testo è determinante, e nel caso in cui si faccia ricorso a immagini e metafore nell’argomentazione si esce dalla logica comunemente intesa.
È determinante porsi il problema se la scrittura sia solamente un mezzo oppure se essa stessa crei la filosofia; sono importanti anche le strategie testuali, e non soltanto quello che emerge direttamente all’attenzione del lettore.
Il testo filosofico è stato codificato spesso secondo un canone (dal greco κάνον, kanon – è il bastone che indica la via, ma è anche il bastone dell’autorità) che ne ha determinato le forme più comuni: trattato e dialogo platonico. Tuttavia sono emerse differenti forme di testo filosofico non aderenti al canone, come ad esempio il saggio o l’aforisma.
Il fatto che con Kant, Hegel e Wittgenstein si pensi che la filosofia non appartenga ad un genere letterario è un errore, poiché la filosofia è nonostante tutto un discorso codificato, e quindi è pur sempre letteratura. Il Trattato di Wittgenstein, che si vuole un testo assolutamente oggettivo, in realtà rivela un grande studio retorico, un forte impegno nella costruzione del testo, al quale l’autore intese dare un aspetto “oggettivo” appunto. Ma questo artificio è pur sempre una scelta letteraria fatta dall’autore stesso.
Nietzsche disse che ogni testualità non è che una rappresentazione, non c’è corrispondenza con le cose in sé, ma è l’uomo a scegliere e a nominare quello che è il vero.
Nel testo del 1873 intitolato Su verità e menzogna fuori del senso morale (nella traduzione Adelphi è tradotto con in senso extramorale, ma è una sfumatura che a mio avviso rende meno chiaro quel che Nietzsche vuole dirci) il filosofo tedesco muove da un assunto hegeliano che separa rigidamente verità e finzione (cioè metafora e poesia) con l’intenzione di dimostrare che in realtà quella che comunemente viene chiamata verità altro non è che una grande costruzione retorica e artificiosa, di cui però si è dimenticata la natura illusoria.
Il testo in questione si apre quasi come un racconto, ed effettivamente tutto il testo sembra un racconto, la storia di come l’uomo inventò la conoscenza per garantirsi la sopravvivenza in un mondo ostile e come attraverso essa abbia separato verità e menzogna.
Nietzsche sferra un attacco alla comune concezione antropocentrica del mondo che eleva l’uomo a misura di tutte le cose, e dice che in realtà «ci furono eternità, in cui esso non c’era; e quando sarà finito di nuovo, non sarà successo nulla.».
La figura dell’uomo riacquista il posto che realmente le compete nel mondo e perde l’unicità del punto di vista assegnatole, poiché, afferma Nietzsche, anche una formica si pone al centro del suo mondo e secondo la propria prospettiva lo misura: come si può ritenere una delle due prospettive – quella dell’uomo o quella dell’insetto – più vera dell’altra?
La superbia dell’uomo sulle cose lo porta a sopravvalutare la coscienza ed il proprio intelletto; questo, «che è uno strumento di conservazione dell’individuo, dispiega le sue forze maggiori nella finzione; perché questa è il mezzo, attraverso cui si conservano gli individui più deboli, i poco robusti, come coloro ai quali è interdetto condurre una lotta per l’esistenza con corna o con morsi aguzzi di animali da preda. Nell’uomo quest’arte della finzione giunge al suo apice».
Lo scrivere di Nietzsche, come si può notare, ha un incedere incalzante, pone il lettore davanti a brevi frasi che non lasciano spazio a dubbi; già in questo breve testo emergono temi che verranno sviluppati in scritti successivi.
Ma ancora l’uomo non è giunto a stabilire cosa siano verità e menzogna, questa necessità sorge dalla debolezza dell’uomo e dalla volontà di fuoriuscire da una condizione di conflitto di tutti contro tutti, combattuto per far prevalere la propria verità.
La verità è un impulso che spinge gli uomini ad un accordo, «viene inventata una designazione delle cose uniformemente valida e vincolante nel mentre la legislazione del linguaggio offre altresì le prime leggi della verità; si istituisce dunque qui per la prima volta il contrasto tra verità e menzogna […] Gli uomini poi non fuggono tanto l’essere ingannati, quanto l’essere danneggiati dall’inganno.» L’uomo infatti «desidera della verità le conseguenze piacevoli, quelle che conservano la vita, di fronte alla conoscenza pura, senza conseguenze, è indifferente, di fronte alle verità tanto dannose e distruttive ha un atteggiamento finanche ostile.»
Ciò che però l’uomo chiama “verità” è una scelta arbitraria, che niente ha a che vedere con un’autentica verità; l’uomo attua delle delimitazioni arbitrarie e ciò che risulta dalla sua comprensione diviene dunque menzogna, falsità, negazione della verità. Ma perché, chiede Nietzsche, se l’uomo è così proteso alla verità, esistono tante e diversissime lingue? Insomma la verità, per come viene intesa e studiata, non ha nulla a che vedere con l’essenza delle cose.
Scriverà Jünger: «L’umanità adora troppi dèi, in ogni dio la verità si manifesta in una forma particolare.»
E dunque, se ciò che siamo soliti chiamare “verità” mostra tutta la sua fragilità nella pretesa dell’uomo di porsi quale punto di vista privilegiato ed unico, quale solo metro di misurazione sulla molteplicità della natura e della vita, cos’è allora la verità? “Verità”, afferma Nietzsche, è un esercito di metonimie, metafore, antropomorfismi a tal punto e così a lungo retoricamente impreziosito da divenire credenza consolidata e scontata nei rapporti umani, «le verità sono illusioni, di cui si è dimenticato, che sono tali; metafore, che sono state abusate e private della forza di senso; monete, che hanno perduto la loro effige e che pertanto vengono considerate metallo e non più monete.»
Sorge pertanto la necessità di mentire, di tenere viva la verità stabilita allo scopo di conservare l’esistenza; questa menzogna finisce nella dimenticanza e la convenzione stabilita diviene nel tempo la sola verità morale e razionale da rispettare: morale è allora l’uomo veritiero, il mentitore è chi, contro la morale comune, dice il falso e nega la verità riconosciuta, egli è perciò immorale.
Nonostante Nietzsche riconosca il notevole sforzo compiuto dall’uomo di costruirsi una verità praticamente sul nulla di fondamenti instabili, edificando da sé coi concetti, diversamente da quello che fanno le api con la cera, fornita loro dalla natura, è però costretto ad ammettere che non esiste “il vero in sé” indipendente dall’uomo, «il ricercatore di verità cerca in fondo soltanto la metamorfosi del mondo nell’uomo; egli lotta per la comprensione del mondo come di una cosa a dimensione umana e nel migliore dei casi consegue il sentimento di un’assimilazione.[…] così un tale ricercatore considera il mondo intero intrecciato all’uomo, come l’eco infinitamente interrotta di un suono originario dell’uomo, come la copia moltiplicata di un’unica immagine originaria, dell’uomo. Il suo procedimento è di ritenere l’uomo misura di tutte le cose».
Il fatto che le metafore che costituiscono la verità vengano indurite e si irrigidiscano non significa che esse siano necessarie e conclusive, semmai ne dimostra la dimenticanza di cui sopra e la degenerazione: non c’è metro di osservazione oggettivo, non si può parlare di leggi di natura poiché in natura non vi è alcuna regolarità razionale e ciò che noi chiamiamo leggi di natura sono soltanto relazioni con altre leggi, che a loro volta sono relazioni.
«Tutte le misure normative, che ci s’impongono nel corso degli astri e dei processi chimici, in fondo coincidono con ogni proprietà che noi stessi immettiamo nelle cose, così che ce le imponiamo noi stessi.»
Quando Gentile disse che non si scopre nessuna verità, ma essa dev’essere costruita, creata, si inseriva dunque pienamente nel solco della nietzscheana volontà di potenza e della trasmutazione di tutti i valori.
La seconda sezione di questo breve ma “martellante” saggio si apre sotto il segno luminoso ed eterno della Grecia classica, coi suoi miti e la sua dimensione di sogno e stupore del mondo; se il linguaggio crea i concetti e le astrazioni che fanno la verità di metafore morte, è il mito che invece rasserena e ritempra pienamente l’intelletto umano e l’intuizione creatrice: «la parola non è fatta per queste cose [le astrazioni], l’uomo, se le vede ammutolisce, o parla in metafore sonoramente vietate ed in accostamenti di concetti inauditi, per essere creativamente conforme all’impressione delle potenti intuizioni attuali, distruggendo e schernendo almeno i vecchi limiti concettuali.»
Intervista ad Angelo Sabatini
Vita e pensiero: il caso di Nietzsche
1. Professor Angelo Sabatini, per comprendere alcuni autori sembra necessario conoscere gli avvenimenti che hanno segnato la loro vita; la biografia serve dunque a fornire spunti utilissimi per l'individuazione del nucleo centrale del loro pensiero. Quanto conta per un filosofo come Nietzsche l'attenzione rivolta alla sua condizione esistenziale?
Questa è una questione di storiografia filosofica rispetto a cui si sono delineate posizioni contrastanti: c'è chi ritiene che la speculazione abbia, come luogo di crescita, il confronto con altre forme di pensiero e che si sviluppi in un ambiente di pura rarefazione intellettuale. Altri invece ritengono che, per cogliere l'humus più vero, cioè per cercare di capire quale sia la genesi reale di un pensiero, occorra conoscere l'autore, il pensatore, nella sua realtà esistenziale. Noi per capire meglio in cosa consiste questa differenza di posizione, possiamo prendere due classici della filosofia, Hegel da una parte e Nietzsche dall'altra. Cosa dice Hegel? C'è una sua affermazione, molto significativa: "Tutto ciò che di personale c’è nella mia opera, deve essere ritenuto falso". All’opposto c'è la dichiarazione di Nietzsche: "Io ho sempre messo nelle mie opere tutto il mio corpo e tutta la mia vita. Non so cosa siano i problemi puramente intellettuali". Del resto anche a non volere fare una scelta di tipo storiografico, se vogliamo capire Nietzsche o molti altri pensatori, di scrittori, sarebbe un disastro non avere notizie nella loro vita quotidiana di uomini, di individui. Possiamo noi capire, cogliere, il significato vero della filosofia di Pascal o di Kierkegaard o dello stesso Nietzsche? Questa consapevolezza di guardare al nucleo "spermatico" della genesi del pensiero filosofico è stato poi accolto come un criterio di base fondamentale nella tradizione della filosofia esistenzialistica. L'esistenzialismo fa propria questa esigenza e cerca non solo di riuscire a cogliere il rapporto tra pensiero ed esistenza, ma anche di riconoscere ai pensatori quella forza di "persuasione", che dipende proprio dall'aver guardato all'esistenza nel tentativo di spiegarla.
2. Può ricordare i momenti più significativi della vita di Nietzsche, su cui il biografo deve indirizzare l'attenzione per cogliere la presenza concreta del nesso di vita e pensiero, di biografia e opera?
Se dobbiamo rispondere alla raccomandazione che Nietzsche stesso ci fa, tutti i momenti della sua vita sono importanti. È anche vero però che la lettura di un autore ci porta a cogliere quelli che sono i suoi "momenti essenziali". Poiché riteniamo necessario guardare al pensiero di Nietzsche, alla sua riflessione, attraverso la sua esistenza, ci rendiamo conto che ci sono momenti di questa che hanno più rilevanza rispetto ad altri. Intanto l'ambiente familiare: non va dimenticato che Nietzsche nasce in una famiglia luterana, fondamentalmente religiosa. Il padre era un pastore protestante, la madre, Franziska Holler era figlia di un pastore e lo stesso Nietzsche viene destinato dalla madre, dopo la morte del padre, a fare il pastore. La realtà familiare serve per capire la sua formazione religiosa, il suo atteggiamento nei confronti del Cristianesimo, ma anche per capire il suo atteggiamento nei confronti delle donne. Nietzsche vive tra donne: la madre, Franziska, la sorella, Elisabeth, le due zie, la nonna, Erdmund. È evidente che il rapporto con il mondo femminile, è un fatto da considerare con attenzione. Poi ci sono gli studi a Pforta, che rappresentano un altro elemento decisivo nella formazione della personalità di Nietzsche. Vi è inoltre l'ambiente intellettuale, in mezzo a cui vive, che è pieno di scrittori, storici, filologi, intellettuali, filosofi, con cui ha una familiarità quotidiana. Tra essi vi sono alcuni personaggi importanti della cultura tedesca, ma anche europea, dell'Ottocento. Bisogna quindi considerare l'influenza che questi hanno su Nietzsche e l’influenza che egli esercita su di loro. Altri personaggi avranno un ruolo importante nel quadro della formazione nietzscheana, tra cui Burckhardt, Rhode, Gersdorff. Non si deve dimenticare anche l’insegnamento all'università, come professore di filologia classica, e occorre considerare di conseguenza il modo in cui Nietzsche vive l'esperienza universitaria; in ciò vengono fuori alcuni elementi che danno maggiore concretezza alla comprensione del suo carattere, del suo temperamento. L'insegnamento verrà poi abbandonato e tale abbandono lo porta a girare per l'Italia, la Svizzera, la Germania. Non è un fatto secondario perché dà l’idea del disagio intellettuale, esistenziale di Nietzsche e della sua insoddisfazione nei confronti della propria cultura.
Ci sono comunque due avvenimenti di grandissimo rilievo nella vita di Nietzsche: il primo è l'incontro con Richard Wagner e la relativa storia del loro rapporto di amicizia, che è assolutamente eccezionale. Questo rapporto di amicizia darà vita ad un comune progetto culturale e quindi anche alla profonda delusione finale di Nietzsche, la quale causerà la violenta interruzione dei suoi rapporti con Wagner. Ugualmente importante è il suo rapporto con Lou Salomè; questa donna - un’emigrata russa - ha avuto un ruolo fondamentale per quanto concerne il modo nietzscheano di concepire, in generale, la donna e il suo mondo. Non ultimo, tra gli eventi che segnano la vita di Nietzsche, è la sua malattia e la sua follia. Non dimentichiamo che nel 1888 diventa folle e vive undici anni, dal 1889 fino al 1900, anno in cui muore, in uno stato di desolazione morale e mentale. Questi credo sono i punti di riferimento sui quali va posta l'attenzione proprio per capire, in Nietzsche, quel particolare nesso che sussiste tra vita e pensiero.
3. Parliamo ora della follia di Nietzsche. Il malessere fisico, che ha segnato l'esistenza di Nietzsche fin dall'infanzia e che lo ha condotto fino alla catastrofe mentale, all’insorgere della follia, ha condizionato alcune scelte radicali, con conseguenze importanti, non solo nell'organizzazione della propria vita quotidiana, ma anche suscitando in lui un profondo sentimento di solitudine. Che ruolo riveste precisamente tale sentimento nella sua opera?
Il sentimento della solitudine è conseguente a due fattori: uno di questi è il male fisico che segna la crescita e la maturità di Nietzsche, e ne determina poi la condizione di malato; l’altro è la sua concezione della vita e la difficoltà ad instaurare con gli altri un rapporto e un sentimento duraturo. Dentro di lui matura il germe di quello che poi verrà considerata l'espressione della sua filosofia, cioè il nichilismo. Il nichilismo non è solo una teoria della condizione umana, ma è anche un "sentimento" personale. Per quanto riguarda la malattia ricordiamo che Nietzsche ogni tanto era costretto a sospendere la propria attività quotidiana, per vivere in una specie di "solitudine fisica". Ad esempio, nel periodo trascorso nel collegio di Pforta, soffriva spesso di emicrania, di mal di stomaco, di male agli occhi, e gli veniva consentito di non fare lezione proprio per poter superare i momenti di sofferenza fisica. Questa si verifica in età infantile e adolescenziale e non scompare negli anni, ma si rinnova continuamente e diventa un elemento decisivo, che conduce, tra l’altro, all'abbandono dell'insegnamento universitario. Lo stato di malattia percorre l'intera esistenza di Nietzsche fino a sfociare nella malattia mentale; da questa non possiamo prescindere per poter cogliere appunto la peculiare condizione psico-fisica in cui egli si trovò a vivere. Si genera così una situazione che possiamo definire paradossale: il teorico del "Superuomo" vive, al contrario, in modo "umano troppo umano" - per riprendere il titolo di una sua opera -, in un atmosfera di continua debolezza e solitudine. Questa situazione, come dicevo, sarà il fattore determinante nell'abbandono dell'insegnamento a Basilea, a cui del resto Nietzsche teneva molto. Egli si concesse anche una pausa, prese un permesso e cominciò a girare per l'Italia, per trovare un clima ideale che potesse contribuire a curare il suo malessere, ma, quando tornò si accorse che questo non era passato e si decise a lasciare definitivamente l'insegnamento.
Negli anni, sia nel suo peregrinare, ma anche poi nel momento di maggiore produttività intellettuale, specialmente nell'‘88, che è anche la vigilia della malattia mentale, lo sforzo fisico e intellettuale esercitato - aggiunto alla condizione di debolezza, tipica del malato cronico -, sarà, in qualche modo, il preambolo di quell'atto fatale che è la follia. Il sentimento di solitudine lo si ritrova continuamente. Basta leggere le sue opere Al di là del bene e del male, Genealogia della morale, Ecce homo, ma anche altre opere successive, per capire quanta importanza Nietzsche attribuisca alla solitudine. La solitudine viene avvertita come la condizione in cui è costretto a vivere, ma in qualche modo è anche la condizione ideale a cui egli aspira: una vita distante da un mondo in cui non si ritrova più, nonostante questo stesso mondo venga esaltato attraverso i principi stessi della filosofia nietzscheana, tra cui la "volontà di potenza" e l’idea del "Superuomo".
4. L'educazione religiosa, pietistica di Nietzsche subisce nel tempo una crisi radicale, che sfocia nella condanna del Cristianesimo, che troviamo espressa nell’opera L'Anticristo. Cosa può aver determinato questa evoluzione e quale ruolo ha giocato, nella produzione intellettuale di Nietzsche, il suo rapporto con il Cristianesimo?
Il problema del rapporto di Nietzsche con il Cristianesimo è un tema su cui gli storici e gli interpreti pongono molta attenzione. Tenendo presente l’intero sviluppo dell'esistenza di Nietzsche, assistiamo al contrasto radicale tra il forte spirito religioso che lo caratterizza e l'odio per il Cristianesimo. Credo - anche sulla base di alcune interpretazioni, per esempio quelle del Valadier, il quale ha scritto un grande volume Nietzsche e il Cristianesimo - che l'odio verso il Cristianesimo, che si manifesta nel periodo finale della sua speculazione, sia piuttosto da intendere come una "partita" che Nietzsche non finisce mai di giocare con il Cristianesimo stesso. Egli, attraverso gli studi di filologia e poi attraverso il passaggio alla filosofia, assume un sentimento pagano della vita, perché attraverso la filologia guarda al mondo greco, si innamora del periodo presocratico, del periodo arcaico, che lui considera, con enfasi e con entusiasmo, come il momento più forte della valorizzazione del sentimento vitale. Due elementi fondamentali sono allora l'acquisizione di questo concetto della vitalità, come fondamento dell’esistenza e del mondo - sulla base della valorizzazione del principio del "dionisiaco", che emerge in particolare ne La nascita della tragedia - e il passaggio dalla filologia alla filosofia. Abbandonata la teologia, Nietzsche, dopo aver studiato filologia a Bonn, a Lipsia, entra nel regno della riflessione sul profondo, che si differenzia radicalmente dallo studio dei dati, dei documenti, e acquisisce l’amore "pagano" per lo spirito del dionisiaco: ciò coincide con un evidente allontanamento dal Cristianesimo.
Nietzsche si allontana dal Cristianesimo, finendo poi con l'addebitare ad esso tutti i mali possibili della civiltà occidentale; nel cristianesimo il filosofo individua il responsabile della decadenza della civiltà europea, la cui origine, il cui primo movimento è nei Greci, in Socrate. Con un conseguente e forte richiamo all'elemento pagano, all'elemento laico, considererà il Cristianesimo come la causa della mortificazione della vera vita dell'uomo. La morale cristiana è la "morale degli schiavi", implica la sottomissione a un principio che non è nella natura intrinseca dell'uomo, in quanto rappresenta piuttosto una sovrapposizione alla natura stessa. Un elemento molto utile per comprendere l’atteggiamento di Nietzsche nei confronti della religione e del Cristianesimo, emerge nell’analisi del suo rapporto con Wagner. La fine di questa amicizia avviene proprio quando in Wagner si riaccende l’interesse per gli elementi religiosi del Cristianesimo. Nietzsche però non si libererà mai del tutto della questione del significato del Cristianesimo. È una partita che non riesce a concludere, tant'è vero che nelle lettere e nei fogli scritti nel periodo della follia, tra la fine del 1888 e l’inizio del 1889, si ritrova questa firma: "il crocifisso".
Si può persino dire che, per molti aspetti, si assiste in Nietzsche ad una vittoria della religione. È il suo spirito, fondamentalmente religioso, che gli dà la possibilità di vivere e di farsi assertore del nichilismo, perché è la grande volontà di trovare fondamenti assoluti e l'incapacità di poterli cogliere, che porta a questa forma estrema di critica. La volontà di affermare principi, valori, assoluti e universali è, in ultima analisi, un elemento proprio di una impostazione filosofica di natura religiosa.
5. Parliamo ora, Professor Sabatini, dell'atmosfera intellettuale nella quale visse Nietzsche. Egli ha stretto rapporti di amicizia con personaggi del mondo degli studi e della cultura. Come si configurano tali rapporti e quanto incidono nello sviluppo del pensiero Nietzsche e sulla sua psicologia?
L'amicizia intellettuale per Nietzsche è una aspirazione, anche questa, costante. Egli vorrebbe così rinchiudersi con gli scrittori, gli storici, i filosofi del suo tempo - quelli che sono suoi amici e che stima realmente - in una specie di comunità religiosa, in un convento. Scrive spesso a questi suoi amici: "Cercate un convento, un luogo, dove possiamo riunirci, per vivere questo grande compito della intellettualità, della vita spirituale". Nietzsche compie la scelta degli amici unicamente in prospettiva della aggregazione di questi intellettuali intorno ad un progetto e nella convinzione di poter ricavare dai loro contributi la forza necessaria al progetto stesso. Bisogna ricordare anche che spesso le amicizie di Nietzsche subiscono una flessione proprio a causa del confronto con l’altro che è in esse implicito e in cui egli vuole essere sempre vincente. Per citare solo alcuni dei grandi personaggi che intrattengono rapporti con Nietzsche, ricordiamo il nome di Friedrich Wilhelm Ritschl, che è il suo maestro nel campo degli studi filologici e che egli segue da Bonn a Lipsia, dove Ritschl si trasferisce. Nietzsche originariamente amava di più un altro grande studioso e docente, Otto Jan, perché questi era anche uno storico della musica e musicologo. Nietzsche si occupava di musica non solo in vista della definizione del suo senso nell'ambito della vita spirituale, ma anche direttamente in quanto era compositore; egli ha addirittura creduto di poter, se non competere, almeno mettersi a fianco di Wagner. Inizialmente quindi Nietzsche vorrebbe stare con Otto Jan, ma poi sceglie Ritschl perché è nato in lui un profondo interesse per la filologia. Rispetto agli altri filologi, Ritschl era un filologo molto "aperto"; pur facendo parte della "scuola storica" non era legato esclusivamente ad un’indagine di tipo documentaristico, ma guardava alle questioni che si trovavano nelle profondità dei testi studiati. Tutto questo aveva una forte influenza su Nietzsche.
L'altra grande figura intellettuale che ha un notevole ascendente su Nietzsche è quella di Jakob Burckhardt. Questi che si può definire uno storico della cultura in tutte le sue forme, era più vecchio di lui essendo nato nel 1818. Da Burckhardt Nietzsche assume due elementi molto importanti: l'amore per l'estetica e per l'arte, e l'amore per i Greci. L'amore per la cultura greca antica è decisivo per lui come lo è per Wagner e per tutta la cultura tedesca, a partire dalla lezione di Winckelmann alla fine del Settecento. Winckelmann ha riscoperto l’enorme valore dell'arte greca e romana, e in seguito a ciò si è imposto quel mito della grecità, che ha avuto anche una notevole rilevanza nella sfera della dottrina politica: la Grecia ha rappresentato idealmente il momento in cui l'uomo ha affermato se stesso nella propria, e più vera, totalità. Non dobbiamo dimenticare, tra i personaggi che sono stati vicini a Nietzsche, Erwin Rohde, Paul Deussen - entrambi docenti universitari -, con i quali lui ha un rapporto quotidiano di amicizia e di scambio intellettuale. Si deve ricordare anche Paul Rèe, che è un personaggio centrale all’interno del rapporto di Nietzsche con Lou Salomè.
6. Nietzsche matura un giudizio sulla Grecia arcaica di forte apprezzamento e giunge a farne un modello culturale, utilizzabile nella interpretazione del corso della civiltà occidentale. Può parlarci di questo aspetto della filosofia nietzschiana?
Esiste effettivamente nella cultura tedesca un "mito della Grecia", che però si configura in modi diversi: c'è chi esalta la Grecia dell'età di Pericle, del V secolo a.C., e chi invece, come Nietzsche, esalta il momento arcaico, il momento in cui il dionisiaco è l’elemento centrale della espressione della vita nel mondo greco; ciò comporta l’alto valore attribuito alla musica. Sulla base di questa convinzione e dei rapporti con Burckhardt, ma anche degli studi filologici, Nietzsche considera necessario lo sguardo rivolto al dionisiaco, perché solo cogliendo il significato e il valore del sentimento del tragico possiamo liberarci dal condizionamento, in cui l'uomo del proprio tempo, l'uomo moderno, si è trovato a vivere, a causa dello sviluppo di una società che è la negazione proprio di questo spirito tragico. Nietzsche, come Wagner, del resto, vede nel suo tempo, nella società a lui contemporanea, la caduta della tensione spirituale, che è dovuta alla diffusione delle attività commerciali, alla nascita dell'industrialismo, alla società di massa: tutti questo sono elementi che derivano dal razionalismo del mondo moderno. La conquista dei diritti umani, come espressione della razionale valorizzazione dell'uomo è per lui un tradimento.
La nascita della tragedia, che nasce come un'opera filologica, ma che è in verità la sconfessione della filologia classica, crea un certo imbarazzo sia in Ritschl, il suo maestro, sia in scrittori come Burckhardt perché trascura la documentaristica, i dati documentali, per impostare una critica filologica che sia anche "filosofica". I documenti, in questa prospettiva, vanno collocati all'interno di un humus, di una realtà, di cui bisogna cogliere l'essenza. Quindi la nascita della tragedia è uno studio della cultura greca, ma attraverso l'individuazione del senso spirituale del mondo greco. Nietzsche quindi arriva a quella distinzione - che poi è diventata molto famosa - tra dionisiaco e apollineo: questo rappresenta la glorificazione della forma, della struttura, della nitidezza, mentre il dionisiaco è l'espressione della vitalità. Interviene in seguito l'influenza, molto importante, della filosofia di Schopenhauer, perché questi è il pensatore che fornisce un sostegno speculativo alla rivoluzione nietzscheana nel campo della ricerca filologica e storica. Da Schopenhauer Nietzsche trae un elemento metafisico fondamentale; la "volontà di potenza" è in fondo l’affermazione dello spirito vitale.
7. Nietzsche vede in Wagner l'interlocutore privilegiato per promuovere la rinascita dello spirito tragico della musica. Che valore ha allora l'incontro con Wagner e quali sono le ragioni della frattura, che si venne poi a determinare in un rapporto cercato da Nietzsche con ostinazione, e poi miseramente concluso?
È proprio attraverso la prospettiva schopenhauriana che emerge un progetto comune con Wagner, il quale andava alla ricerca di strumenti intellettuali e di progetti culturali, per ridare all'uomo il principio della totalità, per rendere possibile la riconquista di quell'"uomo totale", che era stato l'uomo greco. Nasce così l'incontro entusiasmante di Nietzsche con Wagner; il primo era così esaltato e convinto di avere scoperto l'uomo che poteva dare l’aiuto decisivo per l'attuazione del proprio progetto, che è disponibile anche a queste forme di sottomissione. Bisognerebbe fornire una precisa descrizione psicologica del particolare sentimento che anima Nietzsche, ma in ogni caso l’elemento che accomuna l'uno e l'altro è, in ultima istanza, la ricerca del dionisiaco. Nel momento però in cui Nietzsche scopre che il dionisiaco che era nel Tristano e Isotta mancava invece nel Parsifal, in cui c’è un avvicinamento di Wagner allo spirito cristiano, pensa ad un tradimento ideale. A ciò si aggiungono altri fatti e situazioni. Per esempio il carattere troppo forte, "dittatoriale" di Wagner. La frattura si acuisce quando, nel contesto del grande progetto del teatro di Bayreuth, che doveva essere il tempio della musica wagneriana, Nietzsche ravvisa in Wagner un interesse eccessivo e deleterio per la vita di società. Bisogna in ogni caso dire che Wagner intervenne a favore di Nietzsche nella sua polemica con Wilamovitz Moellendorf, il quale accusava Nietzsche di non essere un filologo e riteneva La nascita della tragedia un cumulo di falsità e di vaneggiamenti. Nel deterioramento dei rapporti con Wagner ha inciso anche, in seguito, la malattia di Nietzsche e il bisogno di solitudine, che naturalmente contrastava molto con la vita mondana che era nata intorno al progetto wagneriano di Bayreuth. Il punto culminante della storia si ha con il Nietzsche contra Wagner, in cui Nietzsche esprime intellettualmente il senso della sua distanza da Wagner e il suo disagio: questo disagio è però - non si deve dimenticarlo - principalmente di natura esistenziale.
8. Veniamo ad analizzare l'ambiente familiare, in cui è vissuto Nietzsche. Che ruolo ha svolto Elisabeth nella vita di Nietzsche e a che cosa è dovuto questo alternarsi di amore e risentimento verso il comportamento di lei?
In quella famiglia di donne, Elisabeth era una figura molto forte, quasi "maschile" e tra lei e Friedrich, fin dai dall’infanzia di lui, si era instaurato un forte rapporto. Questo rapporto cresce nel tempo. Ciò che invece determina un’alterazione di questo profondo legame sentimentale è la decisione della sorella, di Elisabeth, di sposare Bernhard Forster, che tra l’altro era nemico degli ebrei. Nietzsche non amava molto quest’uomo e avrebbe voluto che la sorella non lo sposasse, perché l’antisemitismo gli dava molto fastidio. Per inciso, questo è un elemento da tenere presente, quando si parla dell'antisemitismo di Nietzsche: egli è stato sempre un ammiratore degli ebrei anche se ciò non toglie che criticasse decisamente alcuni caratteri peculiari del loro modo di vita e della loro cultura. Non aveva nei confronti degli ebrei il rapporto che aveva con i tedeschi; anche nei confronti dei tedeschi, verso il "tedesco" come rappresentazione di un tipo culturale, non è stato poi molto tenero. La sorella Elisabeth comunque, dopo aver sposato Bernard Forster, parte con lui per andare in Paraguay, a creare una colonia che veniva chiamata la "Nuova Germania". Sembrava quindi che Forster, con questa iniziativa, voler realizzare anche un progetto culturale e politico-sociale. In verità Forster era un buon colonizzatore, un commerciante, che nei confronti appunto delle popolazioni del Paraguay non si comportò in modo esemplare. Da qui l'attenuarsi del forte rapporto sentimentale che legava Nietzsche alla sorella Elisabeth. Ma c'è un'altra ragione: ella si intrometteva nelle vicende sentimentali del fratello, in modo particolare quando nacque l’interesse per Lou Salomè. Elisabeth, che non aveva una buona considerazione, dal punto di vista morale e religioso, di Lou Salomè, cercava in tutti i modi di avversare il loro rapporto, e ciò dava fastidio a Friedrich. Ci fu quindi una conseguente interruzione del legame che univa Nietzsche alla sorella, il quale verrà ripreso, quando, nel momento della follia di Nietzsche, Elisabeth tornò dal Paraguay proprio per occuparsi del fratello malato. In realtà cercò di purificare l'immagine di Nietzsche di quelle contaminazioni, che potevano farlo apparire come un uomo mortale, "umano". Sia per quel che concerne il lavoro di cura dell'edizione delle opere del fratello, che affidò poi a degli studiosi, sia per lo sforzo che ha compiuto di trovare le radici e le ragioni della malattia, cercò di presentare il fratello non come malato di mente, ma come genio. La sorella Elisabeth non voleva nemmeno che si dicesse che il fratello era diventato pazzo, che aveva cioè subìto una qualche alterazione cerebrale, a seguito della contrazione della "lue", della sifilide; questo è uno dei temi di cui si discute sempre quando si cerca di capire l’origine della malattia di Nietzsche. In ultima analisi, la sorella ha avuto un ruolo estremamente importante nella sua vita; lei stessa creò a Weimar l'Archivio-Nietzsche, con molta pomposità, e con l’intenzione di ripetere i fasti dell'Archivio- Goethe.
9. Un'altra figura importante nella vita di Nietzsche è indubbiamente quella di Lou Salomè. Che cosa ha rappresentato nei rapporti di Nietzsche con le donne, l'entrata in scena nella sua vita di questa giovane russa?
Nietzsche ha avuto con le donne diverse occasioni di incontri. Possiamo ricordarne cinque o sei, che hanno una notevole importanza. Pensiamo a Resa von Schirnhofer, una studentessa austriaca, a Meta von Salis, una femminista, che non poteva assolutamente condividere quello che Nietzsche diceva sulle donne, e a Nathalie Herzen. Merita ancora di essere ricordata Mathilde Trampedacke, che disse apertamente a Nietzsche che non era interessata a lui. L'incontro più importante fu tuttavia quello con Lou Salomè. Lou Salomè che era una donna, particolarmente intelligente, interessata alla cultura, cresciuta nell'ambito della cultura tedesca, si trovava a Roma in un vacanza con la madre. Nietzsche giunse a Roma, dove era già arrivato il suo amico Paul Rée. Su invito di Paul Rée, Nietzsche, si recò a Roma e qui incontrò Lou nella chiesa di San Pietro; come entrò e la vide, ella gli disse: "Noi in fondo siamo due stelle, cadute dal cielo, che dobbiamo coesistere". Nietzsche quindi propose anche a lei, in qualche modo, un’unione, su cui però bisogna riflettere. C'è stata la tendenza a vedere il rapporto tra Lou Salomè, Paul Rée e Nietzsche come un amore a tre; bisogna dire che ciò in parte è vero e in parte è falso. È vero che loro tre pensavano di poter creare una condizione di vita comune, ma non è vero che questa doveva implicare poi un rapporto d'amore a tre. Era volontà sia di Lou Salomè, che di Nietzsche e di Paul Rée, costruire un progetto culturale insieme; nelle lettere, che si scrivono in diverse circostanze, nell’idea di andare a Parigi per poter vivere l’intensa vita culturale di questa città, emerge sempre questo intento. Ci sono momenti però in cui la prospettiva di un progetto culturale si traduce anche nella volontà di creare un legame strettamente sentimentale, anche d'ordine erotico e sessuale; però l'abilità di Lou Salomè fu quella di non creare mai una condizione che potesse essere identificata come una relazione d'amore. Il rapporto lentamente si rompe, perché nasce , tra Paul Rée e Nietzsche un sentimento di gelosia, a causa di Lou Salomè. Nietzsche, che l’aveva descritta come la donna più interessante - fa comunque dei tentativi per poter continuare ad avere con lei un rapporto di natura sentimentale -, alla fine, scrivendo a Malwida von Meysenbug, a proposito di Lou Salomè, dichiara che lei ha tradito il progetto di realizzare una grande unione spirituale. Questa storia finì come tutte le altre, anche se ebbe una durata maggiore e un carattere diverso. Tutto ciò è la prova che Nietzsche in effetti non sapeva esattamente cosa volesse da un rapporto sentimentale con le donne.
10. In conclusione, soffermiamoci sulla malattia mentale che ha trascinato Nietzsche in una condizione di degrado psichico per undici anni; ciò ha dato luogo a una serie di interrogativi sulle causa dell'insorgenza del male. Quali interpretazioni vengono fornite e quale è da considerarsi la più plausibile?
È stata tenuta in forte - e forse anche eccessiva - considerazione l’ipotesi della sifilide come causa della malattia mentale di Nietzsche. Non si hanno elementi certi, anche se lo stesso Nietzsche credeva di aver contratto una malattia venerea in una casa di appuntamenti. È indubbio comunque che la condizione fisica di Nietzsche, che è una costante di tutta la sua esistenza, abbia in qualche modo, se non determinato, avuto almeno un’influenza nel condurre Nietzsche in uno stato di "crisi fisiologica". Se si aggiunge il fatto che nell'ultimo anno, nel 1888, quand'era a Torino, egli si è sottoposto ad uno sforzo intellettuale enorme, si capisce anche come si sia verificata una decadenza fisica. Che sia, appunto, la "lue", la sifilide, l'origine di questa malattia, viene però messo in dubbio da studiosi e da psichiatri. Come interpretare allora la malattia? Tra le moltissime interpretazioni, due sono da ritenere particolarmente significative: una è quella di Karl Jaspers, che è psichiatra e anche filosofo e che quindi era indicato nel cogliere le cause e il "senso" della malattia di Nietzsche. La risposta di Jaspers è che è comprensibile che la malattia abbia influenzato il suo pensiero, e che il suo pensiero, cioè lo sforzo intellettuale, abbia avuto una forte importanza e un forte rilievo nel determinare una crisi fisica. Per Jaspers bisogna considerare con molta cautela questi elementi e cercare di ricostruire attentamente ciò che poi effettivamente è accaduto. C'è invece la tesi di Paul Julius Moebius, che è appunto uno specialista in malattie nervose, il quale afferma che Nietzsche è morto di paralisi progressiva del sistema nervoso a seguito della contrazione della "lue". La convinzione che mi sono fatto, cercando di ricostruire la biografia di Nietzsche è che sulla sua condizione umana, fisica e mentale, tutti questi elementi abbiano avuto un ruolo importante e che quindi non si possa individuare in uno solo di essi la causa della malattia di Nietzsche.
Bisogna entrare all'interno dell'evoluzione della vita di Nietzsche e considerare insieme tutti gli elementi, e soltanto allora si può capire che questo filosofo, pensatore e scrittore, ha assunto su di sé, un peso veramente sovrumano. Essere critico di tutta la tradizione occidentale, del Cristianesimo, della morale corrente, della società borghese, dello sviluppo e dell'emergere della società di massa, farsi promotore del nichilismo, non poteva non portarlo ad una caduta, che era la caduta di una corda che si è spezzata e che doveva inevitabilmente portarlo a questa condizione di decadenza fisica e psichica. Noi certamente per capire Nietzsche dobbiamo avere uno sguardo d’insieme, ma se vogliamo cogliere il nucleo del suo pensiero ci fermiamo al 1888, prima cioè dell’insorgere di quel male, che lo ridusse - questo è molto importante - in una condizione disumana; quando era a Jena, nella clinica psichiatrica, viveva infatti quasi da animale. In ultima analisi, abbiamo di fronte a noi con Nietzsche la rappresentazione veramente tragica di un uomo che si era fatto difensore dello spirito tragico dei Greci e che poi vissuto e subìto tutta la forza della tragedia moderna.