Come l’Introduzione alla critica dell’economia politica, del 1857, anche Per la Critica dell’economia politica rappresenta una sorta di preparazione del Il Capitale, il cui primo libro è destinato a comparire nel 1867.
Marx comincia a scrivere il manoscritto nell’agosto del 1858 e ne porta a termine la stesura in gennaio del 1859. Egli invia il lavoro all’editore con ritardo perché non ha il denaro necessario per la spedizione, che riceverà poi da Engels.
Poche settimane dopo, invia all’editore anche la celebre Prefazione che contiene una formulazione classica dei principi della concezione materialistica della storia, che culmina nella celeberrima affermazione secondo la quale "non è la coscienza degli uomini che determina il loro essere, ma è, al contrario, il loro essere sociale che determina la loro coscienza." Ridicolizzata dai critici come esempio di un determinismo ambientale radicale che nega il ruolo attivo e costruttivo della coscienza, la frase, in realtà, è criticabile solo perché Marx adotta il linguaggio proprio della sua epoca. Tradotta nel linguaggio contemporaneo, essa suonerebbe così: "Non è la coscienza degli uomini che determina il loro modo di sentire, di pensare e di agire, ma è, al contrario, il contesto economico, sociale e culturale con cui essi interagiscono che orienta la loro coscienza a sentire, a pensare e ad agire in un certo modo piuttosto che in un altro (potenzialmente possibile)".
L'ambiente, è dunque, un vincolo, ma non deterministico. La possibilità che la coscienza, sul piano individuale e collettivo, vada al di là di tale vincolo, va data come scontata. La biografia stessa di Marx ne è una prova. Destinato dall'appartenenza familiare e dall'educazione alla carriera di professore universitario (hegeliano), egli ha scelto di fare il libero pensatore e il rivoluzionario.
E' evidente che oggi la formulazione della concezione materialistica della storia debba essere elaborata più dialetticamente, tenendo conto non già solo delle indefinite possibilità di interazione che si danno tra infrastruttura economica e sovrastruttura culturale, ma anche di ciò che si conosce sulla infratruttura biologica del cervello umano e sulla psicologia (inconscio compreso). Ciò nondimeno, essa rimane valida nella misura in cui impone di analizzare i fenomeni culturali senza mai prescindere dal contesto socio-economico entro il quale si realizzano.
Riguardo al saggio Engels ha scritto:
“In uno scritto come il presente non vi è luogo per una semplice critica frammentaria di singoli capitoli dell'economia politica, né per uno studio separato di questo o quel problema economico controverso. Esso tende piuttosto a dare una visione sistematica e complessiva di tutto l'assieme della scienza economica, a sviluppare in modo sistematico e complessivo le leggi della produzione borghese e dello scambio borghese. poiché gli economisti non sono altro che gli interpreti e gli apologisti di queste leggi, questo sviluppo è in pari tempo la critica di tutta la letteratura economica.”
La lettura conferma che Marx ha la pretesa di giungere a configurare l’economia come una disciplina scientifica, depurandola da tutti gli elementi ideologici che la caratterizzano. Questo spiega lo sforzo che Marx opera per analizzare in profondità categorie - merce, valore, denaro - che, a livello di senso comune e di economia classica, appaiono scontate.
Oggi, tale pretesa può apparire eccessiva, ma non si può non rimanere ammirati dalla tensione rigorosa con cui Marx la persegue.
La lettura conferma anche il perfezionismo di Marx, il suo procedere sulla base di un’imponente documentazione (che appare nelle note), la sua onnivora volontà di sapere tutto prima di operare una sintesi critica.
La tensione perfezionistica appesantisce il testo e rende la lettura particolarmente onerosa.
La prefazione e il primo capitolo, nella loro limpidezza e profondità, giustificano lo sforzo del lettore.
(Il corsivo nel testo è mio)
La presente traduzione italiana è condotta sul testo dell'edizione Dietz (Berlino), che si fonda sull'edizione del 1859 e tiene conto delle correzioni e delle note segnate da Marx sulla sua copia personale, nonché delle correzioni ritrovate in una copia dedicata da Marx a Wilhelm Wolff, che sono scritte da Wolff ma risalgono certamente a Marx, come prova il fatto che Engels ne tiene conto quando cita la Critica nel III libro del Capitale. Le fotocopie dei volumi annotati si trovano nell'archivio dell'Istituto per il marxismo-leninismo di Mosca.
L'edizione del 1859 non portava l'Introduzione redatta fra l'agosto e il settembre 1857, che era stata soppressa da Marx e uscì per la prima volta a cura di K. Kautsky nella Neue Zeit, XXI, 1, 1903. La traduzione compresa nel presente volume è condotta anch'essa sul testo Dietz, nel volume citato, che risale al manoscritto originale; essa è già apparsa in volume separato: K. Marx, Introduzione alla critica dell'economia politica, Roma, Edizioni Rinascita, 1954 (traduzione di Lucio Colletti) che contiene anche le lettere di Marx a Engels, Lassalle e Weydemeyer qui riprodotte.
Abbiamo aggiunto inoltre la recensione di Engels (una delle pochissime apparse, mentre la stampa tedesca accoglieva la Critica con un silenzio quasi generale) che uscì sul giornale Das Volk del 6 e 20 agosto 1859.
Le note con asterisco sono redazionali, le altre sono di Marx.
Trascritta per Internet da I. A., Ottobre 1999
Considero il sistema dell'economia borghese nell'ordine seguente: capitale, proprietà fondiaria, lavoro salariato; Stato, commercio estero, mercato mondiale. Nelle tre prime rubriche esamino le condizioni economiche d'esistenza delle tre grandi classi in cui si divide la moderna società borghese; il legame che unisce le altre tre rubriche salta agli occhi da sé. La prima sezione del libro primo, che tratta del capitale, consta dei seguenti capitoli: 1. la merce; 2. il denaro, la circolazione semplice; 3. il capitale in generale. I primi due capitoli formano il contenuto del presente fascicolo. Ho davanti tutto il materiale in forma di monografie da me buttate giù, a grande distanza di tempo l'una dall'altra, non per stamparle, ma per chiarire le cose a me stesso. La loro elaborazione complessiva, secondo il piano indicato, dipenderà dalle circostanze esteriori.
Sopprimo una introduzione generale che avevo abbozzato perché, dopo aver ben riflettuto, mi pare che ogni anticipazione di risultati ancora da dimostrare disturbi, e il lettore che avrà deciso di seguirmi dovrà decidere a salire dal particolare al generale. Mi sembra invece che trovino qui il loro posto alcuni accenni al corso dei miei studi politico-economici.
La mia specialità erano gli studi giuridici, ma io non li coltivavo se non come disciplina subordinata, accanto alla filosofia e alla storia. Nel 1842-43, come redattore della Rheinische Zeitung [*1], fui posto per la prima volta davanti all'obbligo, per me imbarazzante, di esprimere la mia opinione a proposito di cosiddetti interessi materiali. I dibattiti della Dieta renana sui furti forestali e sullo spezzettamento della proprietà fondiaria, la polemica ufficiale che il signor von Schaper, allora primo presidente della provincia renana, iniziò con la Rheinische Zeitung circa la situazione dei contadini della Mosella, infine i dibattiti sul libero scambio e sulla protezione doganale, mi fornirono le prime occasioni di occuparmi di problemi economici.
D'altra parte, in un'epoca in cui la buona volontà di "andare avanti" era di molto superiore alla competenza, si era potuta avvertire nella Rheinische Zeitung una eco, leggermente tinta di filosofia, del socialismo e comunismo francese. Mi dichiarai contrario a questo dilettantismo, ma nello stesso tempo, in una controversia con la Augsburger Allgemeine Zeitung [*2], confessai senza reticenze che gli studi che avevo fatto sino ad allora non mi consentivano di arrischiare un giudizio indipendente qualsiasi sul contenuto delle correnti francesi. Fui invece sollecito nell'approfittare dell'illusione dei gerenti della Rheinische Zeitung, i quali credevano di poter far revocare la condanna a morte caduta sul loro giornale dandogli una linea più moderata, per ritirarmi dalla scena pubblica nella stanza da studio.
Il primo lavoro intrapreso per sciogliere i dubbi che mi assalivano fu una revisione critica della filosofia del diritto di Hegel, lavoro di cui apparve l'introduzione nei Deutsch-französische Jahrbücher [*3] pubblicati a Parigi nel 1844.
La mia ricerca arrivò alla conclusione che tanto i rapporti giuridici quanto le forme dello Stato non possono essere compresi né per sé stessi, né per la cosiddetta evoluzione generale dello spirito umano, ma hanno le loro radici, piuttosto, nei rapporti materiali dell'esistenza il cui complesso viene abbracciato da Hegel, seguendo l'esempio degli inglesi e dei francesi del secolo XVIII, sotto il termine di "società civile"; e che l'anatomia della società civile è da cercare nell'economia politica. Avevo incominciato lo studio di questa scienza a Parigi, e lo continuai a Bruxelles, dove ero emigrato in seguito a un decreto di espulsione del sig. Guizot.
Il risultato generale al quale arrivai e che, una volta acquisito, mi servì da filo conduttore nei miei studi, può essere brevemente formulato così: nella produzione sociale della loro esistenza, gli uomini entrano in rapporti determinati, necessari, indipendenti dalla loro volontà, in rapporti di produzione che corrispondono a un determinato grado di sviluppo delle loro forze produttive materiali. L'insieme di questi rapporti di produzione costituisce la struttura economica della società, ossia la base reale sulla quale si eleva una sovrastruttura giuridica e politica e alla quale corrispondono forme determinate della coscienza sociale.
Il modo di produzione della vita materiale condiziona, in generale, il processo sociale, politico e spirituale della vita. Non è la coscienza degli uomini che determina il loro essere, ma è, al contrario, il loro essere sociale che determina la loro coscienza.
A un dato punto del loro sviluppo, le forze produttive materiali della società entrano in contraddizione con i rapporti di produzione esistenti, cioè con i rapporti di proprietà (che ne sono soltanto l'espressione giuridica) dentro i quali tali forze per l'innanzi s'erano mosse. Questi rapporti, da forme di sviluppo delle forze produttive, si convertono in loro catene. E allora subentra un'epoca di rivoluzione sociale. Con il cambiamento della base economica si sconvolge più o meno rapidamente tutta la gigantesca sovrastruttura.
Quando si studiano simili sconvolgimenti, è indispensabile distinguere sempre fra lo sconvolgimento materiale delle condizioni economiche della produzione, che può essere constatato con la precisione delle scienze naturali, e le forme giuridiche, politiche, religiose, artistiche o filosofiche, ossia le forme ideologiche che permettono agli uomini di concepire questo conflitto e di combatterlo. Come non si può giudicare un uomo dall'idea che egli ha di se stesso, così non si può giudicare una simile epoca di sconvolgimento dalla coscienza che essa ha di se stessa; occorre invece spiegare questa coscienza con le contraddizioni della vita materiale, con il conflitto esistente fra le forze produttive della società e i rapporti di produzione.
Una formazione sociale non perisce finché non si siano sviluppate tutte le forze produttive a cui può dare corso; nuovi e superiori rapporti di produzione non subentrano mai, prima che siano maturate in seno alla vecchia società le condizioni materiali della loro esistenza. Ecco perché l'umanità non si propone se non quei problemi che può risolvere, perché, a considerare le cose dappresso, si trova sempre che il problema sorge solo quando le condizioni materiali della sua soluzione esistono già o almeno sono in formazione.
A grandi linee, i modi di produzione asiatico, antico, feudale e borghese moderno possono essere designati come epoche che marcano il progresso della formazione economica della società. I rapporti di produzione borghese sono l'ultima forma antagonistica del processo di produzione sociale; antagonistica non nel senso di un antagonismo individuale, ma di un antagonismo che sorga dalle condizioni di vita sociali degli individui. Ma le forze produttive che si sviluppano nel seno della società borghese creano in pari tempo le condizioni materiali per la soluzione di questo antagonismo. Con questa formazione sociale si chiude dunque la preistoria della società umana.
Friedrich Engels, col quale, dopo la pubblicazione (nei Deutsch-französische Jahrbücher) del suo geniale schizzo di critica delle categorie economiche, mantenni per iscritto un continuo scambio di idee, era arrivato per altra via (si confronti la sua Situazione della classe operaia in Inghilterra [*4]), allo stesso risultato cui ero arrivato io, e quando nella primavera del 1845 si stabilì egli pure a Bruxelles, decidemmo di mettere in chiaro, con un lavoro comune, il contrasto tra il nostro modo di vedere e la concezione ideologica della filosofia tedesca, di fare i conti, in realtà, con la nostra anteriore coscienza filosofica. Il disegno venne realizzato nella forma di una critica della filosofia posteriore a Hegel.
Il manoscritto [*5], due grossi fascicoli in ottavo, era da tempo arrivato nel luogo dove doveva pubblicarsi, in Vestfalia, quando ricevemmo la notizia che un mutamento di circostanze non ne permetteva la stampa. Abbandonammo tanto più volentieri il manoscritto alla rodente critica dei topi, in quanto avevamo già raggiunto il nostro scopo principale, che era di veder chiaro in noi stessi.
Dei diversi lavori sparsi in cui esponemmo al pubblico in quel periodo, sotto questo o quell'aspetto, i nostri modi di vedere, menzionerò soltanto il Manifesto del Partito comunista, redatto in comune da Engels e da me, e un Discorso sul libero scambio da me pubblicato. I punti decisivi della nostra concezione vennero indicati per la prima volta in modo scientifico, benché soltanto in forma polemica, nel mio scritto Miseria della filosofia [*6], pubblicato nel 1847 e diretto contro Proudhon, ecc. La pubblicazione d'una dissertazione, scritta in lingua tedesca, sul Lavoro salariato [*7], in cui raccoglievo le conferenze tenute da me su questo argomento nella Associazione degli operai tedeschi di Bruxelles, venne interrotta dalla rivoluzione di febbraio e dalla mia espulsione dal Belgio che ne seguì.
La pubblicazione della Neue Rheinische Zeitung [*8] nel 1848 e nel 1849 e i successivi avvenimenti interruppero i miei studi economici, che poterono essere ripresi soltanto a Londra nel 1850. L'enorme quantità di materiali per la storia dell'economia politica che sono accumulati nel Museo britannico, il fatto che Londra è un punto favorevole per l'osservazione della società borghese, infine la nuova fase di sviluppo in cui questa società sembrava essere entrata con la scoperta dell'oro dell'Australia e della California, mi indussero a incominciare di nuovo dal principio, e a studiare a fondo, in modo critico, i nuovi materiali.
Questi studi mi portavano da sé, in parte, a discipline in apparenza molto lontane, sulle quali dovetti indugiare per un tempo più o meno lungo. In particolare, però, il tempo di cui disponevo mi venne ridotto dalla necessità imperiosa di lavorare per un guadagno. La mia collaborazione, che dura ormai da otto anni, al primo giornale anglo-americano, la New York Tribune [*9], provocò una straordinaria dispersione dei miei studi, dato che non mi occupo che per eccezione di giornalismo propriamente detto. Gli articoli che scrivevo sui principali avvenimenti economici in Inghilterra e sul continente formavano però una parte così importante del mio lavoro, che fui costretto a familiarizzarmi con dei particolari pratici che escono dal terreno della scienza dell'economia politica propriamente detta.
Questo schizzo nel corso dei miei studi nel campo dell'economia politica deve solamente servire a dimostrare che le mie concezioni, in qualsiasi modo si voglia giudicarle e per quanto coincidano ben poco con i pregiudizi interessati delle classi dominanti, sono il risultato di lunghe e coscienziose ricerche.
Sulla soglia della scienza, come sulla porta dell'inferno, si deve porre questo ammonimento:
Qui si convien lasciare ogni sospetto
Ogni viltà convien che qui sia morta.
Karl Marx
Londra, gennaio 1859
Note
*1. Gazzetta renana, quotidiano democratico uscito a Colonia dal 1° gennaio 1842 al 31 marzo 1843. Dal 15 ottobre 1842 Marx ne fu redattore capo.
*2. Gazzetta generale di Augusta. Quotidiano diretto da G. Kolb, ebbe più tardi una parte importante nella polemica Marx-Vogt.
*3. Annali franco-tedeschi. Uscirono a Parigi un anno dopo la soppressione della Rheinische Zeitung da parte del governo prussiano (1843). Per il dissidio tra Marx e Ruge, che ne erano gli editori, la pubblicazione cessò dopo il primo fascicolo.
*4. Pubblicata a Lipsia nel 1845.
*5. L'Ideologia tedesca. Per la traduzione italiana cfr., Roma, Editori Riuniti.
*6. Scritto in francese da Marx nel 1846-47.
*7. Lavoro salariato e capitale fu pubblicato in articoli editoriali dalla Neue Rheinische Zeitung a partire dal 4 aprile 1849.
*8. Nuova gazzetta renana, quotidiano democratico, uscito a Colonia sotto la direzione di Marx nel 1848-49.
*9. Organo democratico-borghese americano fondato nel 1841. Marx vi collaborò dal 1851 e, dal 1855, ne divenne l'unico corrispondente dall'Europa.
A un primo sguardo la ricchezza borghese appare come una enorme raccolta di merci e la singola merce come sua esistenza elementare. Ma ogni merce si presenta sotto il duplice punto di vista di valore d'uso e di valore di scambio [1].
La merce è in primo luogo, nel linguaggio degli economisti inglesi, "qualsiasi cosa necessaria, utile o gradevole alla vita", oggetto di bisogni umani, mezzo di sussistenza nel senso più ampio della parola. Questo esistere della merce come valore d'uso e la sua esistenza naturale tangibile coincidono. Il grano ad esempio è un valore d'uso particolare, differente dai valori d'uso cotone, vetro, carta, ecc.
Il valore d'uso ha valore solo per l'uso e si attua soltanto nel processo del consumo. Un medesimo valore d'uso può essere sfruttato in modo diverso. La somma delle sue possibili utilizzazioni si trova però racchiusa nel suo esistere quale oggetto dotato di determinate qualità. Questo valore d'uso, inoltre, è determinato non solo qualitativamente, bensì anche quantitativamente. Valori d'uso differenti hanno misure differenti secondo le loro naturali peculiarità, ad esempio un moggio di grano, una libbra di carta, un braccio di tela, ecc.
Qualunque sia la forma della ricchezza, i valori d'uso costituiscono sempre il suo contenuto, che in un primo tempo è indifferente nei confronti di questa forma. Gustando del grano, non si sente chi l'ha coltivato, se un servo della gleba russo, un contadino particellare francese o un capitalista inglese.
Sebbene sia oggetto di bisogni sociali e quindi si trovi in un nesso sociale, il valore d'uso non esprime tuttavia un rapporto di produzione sociale. Questa merce come valore d'uso sia ad esempio un diamante. Guardando il diamante, non si avverte che è merce. Là dove serve come valore d'uso, esteticamente o meccanicamente, al seno di una ragazza allegra o in mano a chi mola i vetri, è diamante e non merce. L'essere valore d'uso sembra presupposto necessario per la merce, ma l'essere merce sembra per il valore d'uso una definizione indifferente. Il valore d'uso in questa sua indifferenza verso la definizione della forma economica, ossia il valore d'uso quale valore d'uso, esula dal campo d'osservazione dell'economia politica [2]. Vi rientra solo là dove è esso medesimo definizione formale. In modo immediato, il valore d'uso è la base materiale in cui si presenta un determinato rapporto economico, il valore di scambio.
Il valore di scambio appare in primo luogo come un rapporto quantitativo, entro il quale valori d'uso sono intercambiabili. Entro questo rapporto essi costituiscono la medesima grandezza di scambio. Così, un volume di Properzio e 8 once di tabacco da fiuto possono essere un medesimo valore di scambio, nonostante la disparità dei valori d'uso tabacco ed elegia. Come valore di scambio, un valore d'uso vale esattamente quanto l'altro, purché sia presente nella dovuta proporzione. Il valore di scambio di un palazzo può essere espresso in un determinato numero di scatole di lucido da scarpe. Viceversa, i fabbricanti di lucido londinesi hanno espresso in palazzi il valore di scambio delle scatole sempre più numerose del loro prodotto. Astraendo quindi del tutto dal loro modo d'esistenza naturale e senza tener conto della natura specifica del bisogno per il quale sono valori d'uso, le merci si equivalgono in determinate quantità, si sostituiscono le une alle altre nello scambio, sono considerate equivalenti e in tal modo rappresentano la medesima unità malgrado la loro variopinta apparenza.
I valori d'uso sono direttamente mezzi di sussistenza. Ma viceversa questi mezzi di sussistenza sono essi stessi prodotti della vita sociale, sono risultato di forza umana spesa, sono lavoro oggettivato. In quanto materializzazione del lavoro sociale, tutte le merci sono cristallizzazioni di una medesima unità. Quello che ora dobbiamo considerare è il carattere determinato di questa unità, ossia del lavoro che si esprime nel valore di scambio.
Un'oncia d'oro, una tonnellata di ferro, un quarter di grano e venti braccia di seta siano, poniamo, valori di scambio uguali. In quanto sono tali equivalenti, in cui è cancellata la differenza qualitativa dei loro valori d'uso, essi rappresentano un volume uguale di uno stesso lavoro. Il lavoro che in essi uniformemente si oggettiva dev'essere esso stesso lavoro semplice, uniforme, indifferenziato, per il quale sia indifferente apparire nell'oro, nel ferro, nel grano, nella seta, allo stesso modo che è indifferente per l'ossigeno trovarsi nella ruggine del ferro, nell'atmosfera, nel succo dell'uva o nel sangue dell'uomo. Ma scavare oro, portar alla luce ferro, coltivare grano e tessere seta, sono tipi di lavoro che differiscono qualitativamente l'uno dall'altro. Infatti, ciò che oggettivamente appare come diversità dei valori d'uso, appare nel corso del processo come diversità dell'attività che produce i valori d'uso. Perciò, il lavoro che crea valore di scambio, in quanto è indifferente nei riguardi della particolare materia dei valori d'uso, lo è anche nei confronti della forma particolare del lavoro stesso. I differenti valori d'uso sono inoltre prodotti dell'attività di individui differenti, sono dunque il risultato di lavori individualmente differenti. Ma come valori di scambio rappresentano un lavoro uguale, indifferenziato, ossia lavoro in cui è cancellata l'individualità di chi lavora. Il lavoro che crea valore di scambio è quindi lavoro astrattamente generale.
Se un'oncia d'oro, una tonnellata di ferro, un quarter di grano e venti braccia di seta sono valori di scambio di uguale grandezza, ossia equivalenti, un'oncia d'oro, mezza tonnellata di ferro, tre bushel di grano e cinque braccia di seta saranno valori di scambio di grandezza del tutto differente, e questa differenza quantitativa è l'unica differenza di cui siano in genere suscettibili in quanto valori di scambio. Come valori di scambio di grandezza differente rappresentano un più o un meno, un quantitativo maggiore o minore di quel lavoro semplice, uniforme, astrattamente generale, il quale costituisce la sostanza del valore di scambio. Si tratta di vedere come misurare questi quantitativi. O piuttosto si tratta di vedere quale sia la esistenza quantitativa di quel lavoro stesso, poiché le differenze di grandezza delle merci come valori di scambio non sono che differenze di grandezza del lavoro in esse oggettivato.
Allo stesso modo che il tempo è l'esistenza quantitativa del movimento, il tempo di lavoro è l'esistenza quantitativa del lavoro. La diversità della propria durata è l'unica differenza di cui sia suscettibile il lavoro, presupposta come data la sua qualità. Come tempo di lavoro esso ottiene la propria scala di misura nelle naturali misure del tempo, ora, giornata, settimana, ecc. Il tempo di lavoro è l'esistenza vivente del lavoro, indipendentemente dalla sua forma, dal suo contenuto, dalla sua individualità; ne è l'esistenza vivente come esistenza quantitativa, e insieme è la misura immanente di questa esistenza.
Il tempo di lavoro oggettivato nei valori d'uso delle merci è la sostanza che fa dei valori d'uso valori di scambio e quindi merci, allo stesso modo che ne misura la determinata grandezza di valore. I quantitativi correlativi di valori d'uso differenti nei quali si oggettiva un medesimo tempo di lavoro, sono degli equivalenti, ossia tutti i valori d'uso sono degli equivalenti nelle proporzioni in cui contengono il medesimo tempo di lavoro consumato oggettivato. Come valori di scambio tutte le merci non sono che misure di tempo di lavoro coagulato.
Per comprendere la determinazione del valore di scambio in base al tempo di lavoro occorrerà tener fermi i seguenti punti di partenza principali: la riduzione del lavoro a lavoro semplice, per così dire privo di qualità; il modo specifico in cui il lavoro, che crea valore di scambio e quindi produce merci, è lavoro sociale; infine, la differenza che si ha fra il lavoro che ha per risultato valori d'uso e il lavoro che ha per risultato valori di scambio.
Per misurare i valori di scambio delle merci in base al tempo di lavoro in esse contenuto, i differenti lavori dovranno essi stessi essere ridotti a lavoro semplice, indifferenziato e uniforme, in breve al lavoro che qualitativamente è sempre uguale e si differenzia solo quantitativamente.
Questa riduzione sembra un'astrazione, ma è un'astrazione che nel processo sociale della produzione si compie ogni giorno. La riduzione di tutte le merci a tempo di lavoro è un'astrazione non maggiore, ma allo stesso tempo non meno reale, della riduzione di tutti i corpi organici in aria. Il lavoro, così misurato mediante il tempo, non appare infatti come lavoro di soggetti differenti, bensì i differenti individui che lavorano appaiono invece come semplici organi del lavoro. Ossia il lavoro, come si rappresenta in valori di scambio, potrebbe essere espresso come lavoro generalmente umano.
Questa astrazione del lavoro generalmente umano esiste nel lavoro medio che ogni individuo medio può compiere in una data società, è un determinato dispendio produttivo di muscoli, nervi, cervello, ecc. umani. E' lavoro semplice [3] al quale ogni individuo medio può essere addestrato e che esso deve compiere in una forma o nell'altra. Il carattere di questo lavoro medio varia esso stesso in paesi differenti e in epoche di civiltà differenti, ma si presenta come dato in una società esistente. Il lavoro semplice costituisce la massa di gran lunga maggiore di tutto il lavoro delle società borghesi, come ci si potrà convincere da tutte le statistiche. Che A durante 6 ore produca ferro e durante 6 ore tela, e che B allo stesso modo produca durante 6 ore ferro e durante 6 ore tela, o che A produca durante 12 ore ferro e B durante 12 ore tela, è evidente che si tratta semplicemente di un uso differente di un medesimo tempo di lavoro. Ma come si fa per il lavoro complesso che si eleva al di sopra del livello medio in quanto lavoro di più alta intensità, di maggiore peso specifico? Questo tipo di lavoro si riduce a lavoro semplice messo insieme, a lavoro semplice a potenza più elevata, cosicché ad esempio una giornata di lavoro complesso sarà uguale a tre giornate di lavoro semplice. Non è questo ancora il luogo di trattare delle leggi che regolano questa riduzione. Ma è chiaro che questa riduzione ha luogo: infatti, come valore di scambio, il prodotto del lavoro più complesso è in una determinata proporzione equivalente del prodotto del lavoro medio semplice, e quindi pari a un determinato quantitativo di questo lavoro semplice.
La determinazione del valore di scambio mediante il tempo di lavoro presuppone inoltre che in una determinata merce, ad esempio in una tonnellata di ferro, sia oggettivato lo stesso quantitativo di lavoro, non importa che sia il lavoro di A o di B o che individui differenti impieghino, per la produzione di uno stesso valore d'uso determinato qualitativamente e quantitativamente, un tempo di lavoro di uguale durata. In altre parole, si presuppone che il tempo di lavoro contenuto in una merce sia il tempo di lavoro necessario per la sua produzione, vale a dire il tempo di lavoro richiesto per produrre in date condizioni generali di produzione un nuovo esemplare di quella stessa merce.
Le condizioni del lavoro che crea valore di scambio, come risultano dall'analisi del valore di scambio, sono determinazioni sociali del lavoro oppure determinazioni del lavoro sociale, ma non sono sociali senz'altro, lo sono in un modo particolare. Si tratta di un modo particolare di socialità. In primo luogo la semplicità indifferenziata del lavoro è uguaglianza dei lavori di individui differenti, un reciproco riferirsi dei loro lavori l'uno all'altro come a lavoro uguale, e ciò mediante una reale riduzione di tutti i lavori a un lavoro di uguale specie. Il lavoro di ogni individuo, in quanto si presenta in valori di scambio, ha questo carattere sociale di uguaglianza, e si presenta nel valore di scambio solo in quanto è riferito al lavoro di tutti gli altri individui come a lavoro uguale.
Inoltre, nel valore di scambio, il tempo di lavoro del singolo individuo si presenta immediatamente come tempo di lavoro generale, e questo carattere generale del lavoro individuale si presenta come carattere sociale di quest'ultimo.
Il tempo di lavoro rappresentato nel valore di scambio è tempo di lavoro del singolo, ma del singolo indifferenziato dall'altro singolo, da tutti i singoli in quanto compiono un lavoro uguale, e quindi il tempo di lavoro richiesto per la produzione di una determinata merce è il tempo di lavoro necessario, che ogni altro impiegherebbe per la produzione di quella stessa merce. E' il tempo di lavoro del singolo, il suo tempo di lavoro, ma solo come tempo di lavoro comune a tutti, per il quale è indifferente di quale singolo individuo esso sia il tempo di lavoro. Come tempo di lavoro generale, esso si esprime in un prodotto generale, in un equivalente generale, in un determinato quantitativo di tempo di lavoro oggettivato; e quest'ultimo, astraendo dalla forma determinata del valore d'uso in cui appare immediatamente come prodotto dell'uno, è traducibile a piacere in qualsiasi altra forma di valore d'uso in cui si esprima come prodotto di qualsiasi altro. E' grandezza sociale soltanto in quanto è una tale grandezza generale.
Per risultare valore di scambio, il lavoro del singolo deve risultare equivalente generale, ossia rappresentazione del tempo di lavoro del singolo come tempo di lavoro generale o, ancora, rappresentazione del tempo di lavoro generale come tempo di lavoro del singolo. E' come se i diversi individui avessero messo insieme i loro tempi di lavoro e avessero espresso in valori d'uso diversi quantitativi diversi del tempo di lavoro a loro comune disposizione. Infatti, il tempo di lavoro del singolo è in tal modo il tempo di lavoro di cui la società ha bisogno per la espressione di un determinato valore d'uso, ossia per il soddisfacimento di un determinato bisogno. Ma qui si tratta soltanto della forma specifica in cui il lavoro acquisisce carattere sociale.
Poniamo che un determinato tempo di lavoro del filatore si oggettivizzi per esempio in cento libbre di filato di lino; e che cento braccia di tela di lino, prodotte dal tessitore, rappresentino un quantitativo uguale di tempo di lavoro. In quanto questi due prodotti rappresentano un quantitativo uguale di tempo di lavoro generale e sono quindi equivalenti per ogni valore d'uso che contenga un tempo di lavoro di uguale durata, essi sono equivalenti l'uno dell'altro. Solo per il fatto che il tempo di lavoro del filatore e il tempo di lavoro del tessitore si presentano come tempo di lavoro generale e i loro prodotti si presentano quindi come equivalenti generali, il lavoro del tessitore diventa qui per il filatore e il lavoro del filatore per il tessitore il lavoro dell'uno per il lavoro dell'altro, vale a dire per entrambi l'esistenza sociale dei loro lavori.
Nell'industria contadina patriarcale invece, in cui filatore e tessitore abitavano sotto lo stesso tetto, in cui la parte femminile della famiglia filava e quella maschile tesseva, diciamo per il solo fabbisogno della famiglia, filato e tela erano prodotti sociali, filatura e tessitura erano lavori sociali entro i limiti della famiglia. Ma il loro carattere sociale non consisteva nel fatto che il filato si scambiava come equivalente generale con la tela come equivalente generale o entrambi reciprocamente come espressioni indifferenti ed equivalenti di uno stesso tempo di lavoro generale. Il nesso familiare, anzi, con la sua naturale e spontanea divisione del lavoro, imprimeva al prodotto del lavoro il suo peculiare timbro speciale.
Oppure, prendiamo i servizi in natura e le prestazioni in natura del Medioevo. I determinati lavori dei singoli nella loro forma naturale, la particolarità, non la generalità del lavoro costituiscono qui il legame sociale. Oppure prendiamo infine il lavoro in comune nella sua forma naturale spontanea, come lo troviamo alle soglie della storia di tutti i popoli civili [4]. Qui il carattere sociale del lavoro evidentemente non è dato dal fatto che il lavoro del singolo assume la forma astratta della generalità o che il suo prodotto assume la forma di equivalente generale. E' la comunità, il presupposto della produzione, ad impedire che il lavoro del singolo individuo sia il lavoro privato e il suo prodotto privato a far apparire invece il lavoro singolo direttamente come funzione di un membro dell'organismo sociale. Il lavoro che si esprime nel valore di scambio è presupposto come lavoro del singolo preso singolarmente: diventa sociale assumendo la forma del suo diretto opposto, la forma dell'astratta generalità.
Caratteristico del lavoro che crea valore di scambio è infine che il rapporto sociale delle persone si rappresenta per così dire rovesciato, cioè come rapporto sociale delle cose. Soltanto in quanto un valore d'uso si riferisce all'altro quale valore di scambio, il lavoro di persone diverse è riferito l'uno all'altro come a lavoro uguale e generale. Quindi, se è esatto dire che il valore di scambio è un rapporto fra persone [5], bisogna tuttavia aggiungere: un rapporto celato sotto il velo delle cose. Allo stesso modo che una libbra di ferro e una libbra d'oro rappresentano lo stesso quantitativo di peso malgrado le loro qualità fisiche e chimiche diverse, due valori d'uso di merci, in cui sia contenuto lo stesso tempo di lavoro, rappresentano lo stesso valore di scambio. Il valore di scambio appare in tal modo come determinazione naturale sociale dei valori d'uso, come determinazione che spetta a questo in quanto cose, e a causa della quale nel processo di scambio essi si sostituiscono a vicenda secondo determinati rapporti quantitativi, costituiscono equivalenti, allo stesso modo che le sostanze chimiche semplici si combinano secondo determinati rapporti quantitativi, costituendo equivalenti chimici.
E' soltanto l'abitudine della vita quotidiana che fa apparire come cosa banale, come cosa ovvia che un rapporto di produzione sociale assuma la forma di un oggetto, cosicché il rapporto fra le persone nel loro lavoro si presenti piuttosto come un rapporto reciproco fra cose e fra cose e persone. Nella merce questa mistificazione è ancor molto semplice. Tutti più o meno capiscono vagamente che il rapporto delle merci quali valori di scambio è piuttosto un rapporto fra le persone e la loro reciproca attività produttiva. Nei rapporti di produzione di più alto livello questa parvenza di semplicità si dilegua. Tutte le illusioni del sistema monetario derivano dal fatto che dall'aspetto del denaro non si capisce che esso rappresenta un rapporto di produzione sociale, se pure nella forma di una cosa naturale di determinate qualità. Presso gli economisti moderni i quali sdegnano sghignazzando le illusioni del sistema monetario, fa capolino questa medesima illusione, non appena essi maneggino categorie economiche superiori, ad esempio il capitale. Essa irrompe nella confessione di ingenuo stupore quando ora appare come rapporto sociale ciò che essi goffamente ritenevano di fissare come cosa, e ora li stuzzica di nuovo come cosa ciò che avevano appena finito di fissare come rapporto sociale.
Il valore di scambio delle merci, essendo infatti null'altro che il rapporto reciproco fra i lavori dei singoli individui come lavori uguali e generali, null'altro che l'espressione oggettuale di una forma specificamente sociale del lavoro, è una tautologia dire che il lavoro è l'unica fonte del valore di scambio e quindi della ricchezza in quanto consiste di valori di scambio. E la stessa tautologia è dire che la materia naturale come tale non contiene valore di scambio [6] perché non contiene lavoro e che il valore di scambio come tale non contiene materia naturale. Ma quando William Petty chiama "il lavoro il padre e la terra la madre della ricchezza", oppure quando il vescovo Berkeley domanda "se i quattro elementi e il lavoro dell'uomo applicato ad essi non siano la vera fonte della ricchezza" [7], o quando l'americano Th. Cooper spiega volgarizzando: "Togli da una pagnotta il lavoro applicatovi, il lavoro del fornaio, mugnaio, affittuario, ecc., e che cosa rimane? Alcuni granelli di erbe che crescono allo stato selvatico, inservibili ad ogni uso umano" [8] allora, in tutte queste vedute, non si tratta del lavoro astratto come fonte del valore di scambio, bensì del lavoro concreto come fonte di ricchezza materiale, in breve del lavoro in quanto produce valori d'uso.
Per il fatto che il valore d'uso della merce sia presupposto, è presupposta la particolare utilità, la determinata finalità del lavoro consumato in essa, ma con ciò, dal punto di vista della merce, è allo stesso tempo esaurita ogni considerazione del lavoro come lavoro utile. Nel pane, come valore d'uso, ci interessano le sue qualità come mezzo alimentare, non ci interessano affatto i lavori dell'affittuario, del mugnaio, del fornaio. Qualora per mezzo di qualche invenzione i 19/20 di questi lavori venissero meno, la pagnotta farebbe lo stesso servizio di prima. Qualora cadesse bell'e pronta dal cielo, non perderebbe un atomo del suo valore d'uso. Mentre il lavoro che crea valore di scambio si attua nell'uguaglianza delle merci come equivalenti generali, il lavoro, come attività produttiva conforme al fine, si attua nell'infinita varietà dei suoi valori d'uso. Mentre il lavoro che crea valore di scambio è lavoro astrattamente generale e uguale, il lavoro che crea valore d'uso è lavoro concreto e particolare che si scinde in modi di lavoro infinitamente vari a seconda della forma e della materia.
E' sbagliato dire che il lavoro, in quanto produce valori d'uso, sia l'unica fonte della ricchezza da esso prodotta, ossia della ricchezza materiale. Siccome il lavoro è l'attività svolta per adattare il materiale a questo o a quello scopo, il lavoro ha bisogno della materia come presupposto. In valori d'uso differenti la proporzione fra lavoro e materia naturale è molto differente, pure il valore d'uso contiene un substrato naturale. Come attività conforme allo scopo di adattare l'elemento naturale in una forma o nell'altra, il lavoro è condizione naturale dell'esistenza umana, è una condizione del ricambio organico fra uomo e natura. Il lavoro che crea valore di scambio è per contro una forma specificamente sociale del lavoro. Il lavoro del sarto ad esempio, nella sua proprietà materiale di particolare attività produttiva, produce l'abito, ma non il valore di scambio dell'abito. Quest'ultimo lo produce non in quanto lavoro di sarto, bensì in quanto lavoro astrattamente umano, e questo rientra in un nesso sociale che non è stato infilato dal sarto. In questo modo, nell'antica industria domestica le donne producevano l'abito, senza produrre il valore di scambio dell'abito. Il lavoro come fonte di ricchezza materiale era noto tanto a Mosè legislatore quanto all'impiegato di dogana Adam Smith [9].
Consideriamo ora alcune determinazioni più particolari che risultano dalla riduzione del valore di scambio a tempo di lavoro.
Come valore d'uso la merce agisce causalmente. Il grano ad esempio agisce come mezzo alimentare. Una macchina sostituisce il lavoro in determinate proporzioni. Quest'azione della merce, per la quale soltanto essa è valore d'uso, oggetto di consumo, può essere chiamata il suo servizio, il servizio che essa presta come valore di uso. Ma come valore di scambio la merce è sempre considerata soltanto dal punto di vista del risultato. Non si tratta del servizio che presta, bensì del servizio [10] che è stato prestato alla merce stessa durante la sua produzione. Così dunque il valore di scambio di una macchina, ad esempio, non è determinato dal quantitativo di tempo di lavoro che viene da essa sostituito, bensì dal quantitativo di tempo di lavoro che è stato consumato nella sua produzione ed è perciò richiesto per produrre una nuova macchina dello stesso tipo.
Se quindi il quantitativo di lavoro richiesto per la produzione di merci rimanesse costante, il loro valore di scambio sarebbe invariabile. Ma la facilità e la difficoltà della produzione variano costantemente. Se la forza produttiva del lavoro cresce, essa produrrà lo stesso valore d'uso entro un tempo più breve. Se la forza produttiva del lavoro diminuisce, si richiederà un tempo maggiore per la produzione di quello stesso valore d'uso. La grandezza del tempo di lavoro contenuto in una merce, quindi il valore di scambio di questa, varia dunque, aumenta o diminuisce in proporzione inversa dell'aumento o della diminuzione della forza produttiva del lavoro. La forza produttiva del lavoro che è impiegata nell'industria manifatturiera a un grado prestabilito, è condizionata, nell'agricoltura e nell'industria estrattiva, da condizioni naturali incontrollabili. Uno stesso lavoro darà un prodotto maggiore o minore di metalli differenti, a seconda della presenza relativamente più rara e più frequente di questi metalli nella crosta terrestre. Uno stesso lavoro potrà oggettivarsi con il favore della stagione in due bushel di grano, con lo sfavore della medesima in un bushel di grano. Rarità o abbondanza come condizioni naturali sembrano qui determinare il valore di scambio delle merci poiché determinano la forza produttiva di un particolare lavoro reale, vincolata a condizioni naturali.
Valori d'uso differenti contengono, in volumi disuguali, lo stesso tempo di lavoro ossia lo stesso valore di scambio. Quanto minore è il volume del valore d'uso in cui, a paragone di altri valori d'uso, una merce contiene un determinato quantitativo di tempo di lavoro, tanto maggiore è il suo valore di scambio specifico. Se in epoche di civiltà differenti, lontane l'una dall'altra, troviamo che certi valori d'uso costituiscono tra di loro una serie di valori di scambio specifici i quali, se pur non conservano il rapporto numerico esattamente uguale, conservano tuttavia l'uno nei confronti dell'altro il rapporto generale della superiorità e della inferiorità, come ad esempio oro, argento, rame, ferro, o grano, segala, orzo, avena, ne consegue semplicemente che il progressivo sviluppo delle forze di produzione sociali agisce uniformemente o quasi sul tempo di lavoro richiesto per la produzione di quelle differenti merci.
Il valore di scambio di una merce non si manifesta nel valore d'uso di questa merce. Ma come oggettivazione del tempo di lavoro generalmente sociale, il valore d'uso di una merce è posto in rapporto con i valori di uso di altre merci. Il valore di scambio di una delle merci si manifesta in tal modo nei valori d'uso delle altre merci. Un equivalente è infatti il valore di scambio di una merce espresso nel valore d'uso di un'altra merce. Se dico per esempio che un braccio di tela vale due libbre di caffè, il valore di scambio della tela è espresso nel valore d'uso caffè, e cioè in un determinato quantitativo di questo valore d'uso. Data questa proporzione, potrò esprimere in caffè ogni quantitativo di tela. E' chiaro che il valore di scambio di una merce, ad esempio della tela, non si esaurisce nella proporzione in cui un'altra merce particolare, p. es. il caffè, costituisce il suo equivalente. Il quantitativo di tempo di lavoro generale, la cui espressione è il braccio di tela, è contemporaneamente attuato in volumi infinitamente diversi di valori d'uso di tutte le altre merci. Nella proporzione in cui il valore d'uso di ogni altra merce rappresenta un tempo di lavoro di uguale grandezza, esso costituisce un equivalente del braccio di tela. Il valore di scambio di questa singola merce è perciò espresso esaurientemente soltanto nelle infinite equazioni nelle quali i valori d'uso di tutte le altre merci costituiscono il suo equivalente. Soltanto nella somma di queste equazioni o nella totalità delle differenti proporzioni in cui una merce è scambiabile con qualsiasi altra merce, essa è espressa esaurientemente come equivalente generale. Ad esempio, la serie delle equazioni:
1 braccio di tela = 1/2 libbra di tè,
1 braccio di tela = 2 libbre di caffè,
1 braccio di tela = 8 libbre di pane,
1 braccio di tela = 6 braccia di cotone,
può essere espressa come: 1 braccio di tela = 1/8 libbra di tè + 1/2 libbra di caffè + 2 libbre di pane + 1 1/2 braccio di cotone.
Quindi, se avessimo dinanzi a noi l'intera somma delle equazioni nelle quali il valore di un braccio di tela è espresso esaurientemente, potremmo raffigurare il suo valore di scambio in forma di serie. In realtà questa serie è infinita, poiché l'ambito delle merci non è mai chiuso in via definitiva, bensì si allarga costantemente. Ma misurando così una data merce il proprio valore di scambio nei valori d'uso di tutte le altre merci, i valori di scambio di tutte le altre merci, viceversa, si misurano nel valore d'uso di questa data merce che si misura in essi [11]. Se il valore di scambio di un braccio di tela si esprime in mezza libbra di tè o in due libbre di caffè o in sei braccia di cotone o in otto libbre di pane, ecc., ne consegue che caffè, tè, cotone, pane, ecc. sono uguali fra di loro nella proporzione in cui sono uguali a un terzo valore d'uso, alla tela, e che quindi la tela serve da misura comune dei loro valori di scambio. Ogni merce, come tempo di lavoro generalmente oggettivato, vale a dire come determinata quantità di tempo di lavoro generale, esprime il proprio valore di scambio in una serie di determinate quantità dei valori d'uso di tutte le altre merci, e i valori di scambio di tutte le altre merci si misurano, viceversa, nel valore d'uso di quest'unica merce esclusa.
Ma come valore di scambio, ogni merce è tanto la merce unica esclusa, che serve da misura comune dei valori di scambio di tutte le altre merci, quanto, d'altra parte, è semplicemente una delle numerose merci nel cui ambito complessivo ogni altra merce esprime in modo immediato il proprio valore di scambio.
La grandezza di valore di una merce non risente del fatto che all'infuori di essa esistano poche o molte merci di altra specie. Ma che la serie delle equazioni in cui il suo valore di scambio si attua, sia maggiore o minore, dipende dalla maggiore o minore varietà di altre merci. La serie delle equazioni in cui si esprime per esempio il valore del caffè esprime la sfera della sua scambiabilità, i limiti entro i quali funziona da valore di scambio. Al valore di scambio di una merce in quanto oggettivazione del tempo di lavoro generale sociale corrisponde l'espressione dell'equivalenza della merce in valori d'uso infinitamente differenti.
Abbiamo visto che il valore di scambio di una merce varia con il variare della quantità del tempo di lavoro contenuto in essa. Il suo valore realizzato, ossia espresso nei valori d'uso di altre merci, deve a sua volta dipendere dalla proporzione in cui varia il tempo di lavoro impiegato nella produzione di tutte le altre merci. Se ad esempio rimanesse uguale il tempo di lavoro necessario alla produzione di un moggio di grano, mentre il tempo di lavoro necessario alla produzione di tutte le altre merci raddoppiasse, il valore di scambio del moggio di grano, espresso nei suoi equivalenti, sarebbe diminuito della metà. Praticamente il risultato sarebbe uguale a quello che si avrebbe se il tempo di lavoro necessario alla produzione del moggio di grano fosse diminuito della metà e il tempo di lavoro necessario alla produzione di tutte le altre merci fosse rimasto invariato.
Il valore delle merci è determinato dalla proporzione in cui possono essere prodotte entro il medesimo tempo di lavoro. Per vedere a quali possibili variazioni sia esposta questa proporzione, poniamo il caso di due merci, A e B. Primo: supponiamo che il tempo di lavoro richiesto per la produzione di B rimanga invariato. In questo caso il valore di scambio di A, espresso in B, diminuisce o aumenta nella stessa proporzione in cui diminuisce o aumenta il tempo di lavoro necessario per la produzione di A. Secondo: Il tempo di lavoro richiesto per la produzione di A rimanga invariato. Il valore di scambio di A, espresso in B, diminuisce o aumenta nella proporzione inversa della diminuzione o dell'aumento del tempo di lavoro richiesto per la produzione di B. Terzo: Il tempo di lavoro richiesto per la produzione di A e B diminuisca o aumenti nella medesima proporzione. In tal caso l'espressione di equivalenza di A in B rimarrà invariata. Se a causa di una circostanza qualsiasi la forza produttiva di tutti i lavori diminuisse nella stessa misura, di modo che tutte le merci richiedessero in ugual proporzione un aumento del tempo di lavoro necessario alla loro produzione, sarebbe salito il valore di tutte le merci, l'espressione reale del loro valore di scambio sarebbe rimasta invariata, e la ricchezza reale della società sarebbe diminuita, poiché quest'ultima avrebbe bisogno di un tempo di lavoro maggiore per creare la medesima massa di valori d'uso. Quarto: Il tempo di lavoro richiesto per la produzione di A e B aumenti o diminuisca per entrambi, ma in grado disuguale, oppure aumenti il tempo di lavoro necessario per A mentre diminuisca quello per B, o viceversa. Tutti questi casi possono essere ridotti semplicemente al fatto che il tempo di lavoro richiesto per la produzione di una merce rimane invariato, mentre quello delle altre aumenta o diminuisce.
Il valore di scambio di ogni merce si esprime nel valore d'uso di ogni altra merce, sia in unità di questo valore o in sue frazioni. In quanto valore di scambio, ogni merce è altrettanto divisibile quanto lo stesso tempo di lavoro che in essa è oggettivato. L'equivalenza delle merci è indipendente dalla loro divisibilità come valori d'uso, allo stesso modo che per l'addizione dei valori di scambio delle merci non ha importanza quale reale mutamento di forma subiscano i valori d'uso di queste merci nella loro rifusione in una sola merce nuova.
Finora la merce è stata considerata da un duplice punto di vista, come valore d'uso e come valore di scambio, entrambe le volte unilateralmente. Ma come merce essa è immediatamente unità di valore d'uso e di valore di scambio; allo stesso tempo è merce soltanto in relazione alle altre merci. L'effettiva relazione reciproca delle merci è il loro processo di scambio. E' questo un processo sociale che gli individui stabiliscono indipendentemente l'uno dall'altro, ma lo stabiliscono soltanto come possessori di merci; la loro vicendevole esistenza dell'uno per l'altro è l'esistenza delle loro merci, e perciò in realtà non si presentano che come titolari consapevoli del processo di scambio.
La merce è valore d'uso, grano, tela, diamante, macchina, ecc., ma come merce allo stesso tempo non è valore d'uso. Se per il suo possessore fosse valore d'uso, ossia mezzo immediato per il soddisfacimento dei suoi bisogni, non sarebbe merce. Per lui la merce è invece non valore d'uso, cioè semplicemente depositario materiale del valore di scambio ossia semplice mezzo di scambio; come depositario attivo del valore di scambio, il valore d'uso diventa mezzo di scambio. Per il possessore la merce, è ormai valore d'uso soltanto in quanto valore di scambio [12]. Valore d'uso essa deve quindi cominciar a divenire, in primo luogo per altri. Siccome non è valore per il suo possessore, è valore d'uso per i possessori di altre merci. Se non lo è, il lavoro del possessore è stato inutile, il suo risultato quindi non è merce. D'altra parte, deve diventare valore d'uso per lui stesso, poiché al di fuori di essa, nei valori d'uso di merci altrui, esistono i suoi mezzi di sussistenza. Per diventare valore d'uso la merce deve trovarsi di fronte quel particolare bisogno per il quale essa è oggetto di soddisfacimento.
I valori d'uso delle merci diventano quindi valori d'uso cambiando posto in tutte le direzioni, passando dalla mano in cui sono mezzi di scambio alla mano in cui sono oggetti d'uso. Solo mediante questa generale alienazione delle merci, il lavoro in esse contenuto diventa lavoro utile. In questo progressivo riferirsi delle merci l'una all'altra in quanto valori d'uso, esse non acquisiscono alcuna nuova determinazione di forma economica. Scompare, anzi, la determinazione formale che le caratterizzava come merci. Il pane, ad esempio, passando dalla mano del fornaio in quella del consumatore, non muta la propria esistenza come pane. Viceversa, il consumatore è il primo che vi si riferisca come a valore d'uso, come a quel determinato mezzo alimentare, mentre nella mano del fornaio il pane era l'espressione di un rapporto economico, una cosa sensibilmente extrasensibile. L'unico mutamento formale, che le merci subiscono nel loro divenire come valori d'uso, è dunque l'abolizione della loro esistenza formale, in cui erano non valore d'uso per il loro possessore, valore d'uso per il loro non-possessore.
Il divenire delle merci come valori d'uso presuppone la loro generale alienazione, il loro entrare nel processo di scambio, ma la loro esistenza per lo scambio è la loro esistenza come valori di scambio. Per attuarsi quindi come valori d'uso, devono attuarsi come valori di scambio.
Se, dal punto di vista del valore d'uso, la singola merce in origine ci appariva come cosa autonoma, come valore di scambio era invece considerata fin da principio in relazione a tutte le altre merci. Questa relazione era però solo una relazione teorica, ideale. Solo nel processo di scambio essa si attua. D'altra parte, la merce è bensì valore di scambio in quanto in essa è consumata una determinata quantità di tempo di lavoro ed in quanto essa è quindi tempo di lavoro oggettivato. Ma, in modo immediato, è soltanto tempo di lavoro oggettivato individuale, di contenuto particolare, non è tempo di lavoro generale. Perciò non è valore di scambio in modo immediato, bensì deve divenire tale. In un primo tempo non può essere che oggettivazione del tempo di lavoro generale, alla maniera in cui esprime il tempo di lavoro in una determinata applicazione utile, dunque in un valore d'uso. Era questa la condizione materiale alla quale soltanto il tempo di lavoro contenuto nelle merci era presupposto come tempo di lavoro generale, sociale.
Se dunque la merce può divenire, come valore d'uso, soltanto attuandosi come valore di scambio, d'altra parte può attuarsi come valore di scambio soltanto affermandosi come valore d'uso al momento della sua alienazione. Una merce può essere ceduta come valore d'uso solo a colui per il quale essa è valore d'uso, ossia oggetto di un particolare bisogno. D'altra parte la merce viene ceduta solo in cambio di un'altra merce, ossia, ponendoci dalla parte del possessore dell'altra merce, anche costui può alienare la sua merce, realizzata, soltanto mettendola in contatto con il particolare bisogno di cui essa sia l'oggetto.
Nell'alienazione generale delle merci come valori d'uso, esse vengono riferite l'una all'altra a seconda della loro disparità materiale, in quanto cose particolari, le quali in virtù delle loro qualità specifiche soddisfano particolari bisogni. Ma in quanto tali semplici valori d'uso, le merci sono esistenze indifferenti l'una per l'altra, sono anzi prive di reciproche relazioni. In quanto valori d'uso possono essere scambiate soltanto in relazione a particolari bisogni. Ma sono scambiabili solo come equivalenti, e sono equivalenti solo come uguali quantitativi di tempo di lavoro oggettivato, cosicché ogni considerazione delle loro qualità naturali come valori d'uso, e quindi del rapporto delle merci con particolari bisogni, è cancellata.
Come valore di scambio una merce funziona invece sostituendo come equivalente una quantità comunque determinata di qualsiasi altra merce, non importa se per il possessore dell'altra merce essa sia valore d'uso o no. Ma per il possessore dell'altra merce essa diventa merce solo in quanto per lui è valore d'uso, e per il proprio possessore diventa valore di scambio solo in quanto è merce per l'altro. Questa relazione sarà quindi relazione delle merci in quanto grandezze essenzialmente uguali, differenti solo quantitativamente, sarà la loro equiparazione come materializzazione del tempo di lavoro generale e sarà allo stesso tempo la loro relazione come cose differenti qualitativamente, come valori d'uso particolari per bisogni particolari, in breve sarà la relazione che le differenzia come reali valori d'uso. Ma questa equiparazione e differenziazione si escludono a vicenda. Così appare non soltanto un circolo vizioso di problemi, presupponendo la soluzione dell'uno la soluzione dell'altro, bensì una somma di esigenze contraddittorie, essendo l'adempimento di una condizione vincolato immediatamente all'adempimento della condizione opposta.
Il processo di scambio delle merci deve essere sia lo svolgimento sia la soluzione di queste contraddizioni che in esso non possono tuttavia essere espresse in questo modo semplice. Abbiamo solo osservato come le merci stesse sono riferite reciprocamente l'una all'altra come valori d'uso, cioè come le merci entro il processo di scambio si presentano come valori d'uso. Il valore di scambio invece, come lo abbiamo considerato sin qui, era presente nella nostra astrazione soltanto, o, se si vuole, nell'astrazione del singolo possessore di merce che ha in magazzino la merce come valore d'uso e l'ha sulla coscienza come valore di scambio. Ma le merci stesse entro il processo di scambio devono esistere l'una per l'altra non soltanto come valori d'uso, bensì come valori di scambio, e questa loro esistenza apparirà come la loro propria relazione reciproca.
La difficoltà in cui subito abbiamo inciampato era questa: per potersi esprimere come valore d'uso, come lavoro oggettivato, la merce deve prima essere alienata come valore d'uso, dev'essere spacciata a qualcuno, mentre la sua alienazione come valore d'uso presuppone viceversa la sua esistenza come valore di scambio. Ma poniamo che questa difficoltà sia risolta. Poniamo che la merce si sia disfatta del proprio particolare valore d'uso e alienandolo abbia adempiuto la condizione materiale di essere lavoro socialmente utile invece che lavoro particolare di un uomo singolo per se stesso. Così dovrà poi, nel processo di scambio, come valore di scambio diventare equivalente generale, tempo di lavoro generale oggettivato, per le altre merci ed in tal modo acquisire non più soltanto l'effetto limitato di un particolare valore d'uso, bensì l'immediata capacità di essere espressa in tutti i valori d'uso quali suoi equivalenti. Ma ogni merce è la merce che in questo modo, mediante l'alienazione del proprio particolare valore d'uso, deve presentarsi come materializzazione diretta del tempo di lavoro generale. Ma d'altra parte nel processo di scambio si trovano di fronte soltanto merci particolari, lavori di individui privati, incarnati in particolari valori d'uso. Lo stesso tempo di lavoro generale è un'astrazione che come tale non esiste per le merci.
Se consideriamo la somma delle equazioni in cui il valore di scambio di una merce trova la sua espressione reale, ad esempio:
1 braccio di tela = 2 libbre di caffè,
1 braccio di tela = 1/2 libbra di tè,
1 braccio di tela = 8 libbre di pane, ecc.,
queste equazioni enunziano soltanto, è vero, che un tempo di lavoro sociale generale di uguale grandezza si oggettiva in un braccio di tela, 2 libbre di caffè, 1/2 libbra di tè, ecc. Ma in realtà i lavori individuali che si esprimono in questi particolari valori d'uso, diventano lavoro generale e, in questa forma, lavoro sociale, soltanto scambiandosi realmente reciprocamente in proporzione della durata del lavoro in essi contenuto. Il tempo di lavoro sociale esiste per così dire solo allo stato latente in queste merci e si manifesta soltanto nel processo del loro scambio. Non si parte dal lavoro degli individui in quanto lavoro comune, ma, viceversa, da lavori particolari di individui privati, lavori che soltanto nel processo di scambio, con l'abolizione del loro carattere originale, si affermano come lavoro sociale generale. Il lavoro generalmente sociale non è quindi il presupposto bell'e pronto, è bensì risultato in divenire. E così risulta la nuova difficoltà: da un lato le merci devono entrare nel processo di scambio come tempo di lavoro generale oggettivato, dall'altro lato l'oggettivazione del tempo di lavoro degli individui, come tempo di lavoro generale, è essa stessa null'altro che il prodotto del processo di scambio.
Mediante l'alienazione del proprio valore d'uso, quindi della originale esistenza, ogni merce deve acquisire la sua corrispondente esistenza come valore di scambio. Nel processo di scambio la merce deve dunque raddoppiare la propria esistenza. D'altra parte la sua seconda esistenza come valore di scambio, a sua volta, non può essere che un'altra merce, poiché nel processo di scambio si stanno di fronte soltanto merci. Come rappresentare una merce particolare quale tempo di lavoro generale oggettivato o, il che è la stessa cosa, come dare direttamente al tempo di lavoro individuale, oggettivato in una merce particolare, il carattere della generalità? L'espressione reale del valore di scambio di una merce, vale a dire di ogni merce in quanto equivalente generale, appare in una somma infinita di equazioni, come:
1 braccio di tela = 2 libbre di caffè,
1 braccio di tela = 1/2 libbra di tè,
1 braccio di tela = 8 libbre di pane,
1 braccio di tela = 6 braccia di cotone,
1 braccio di tela = ecc.
Questa espressione era teorica in quanto la merce era soltanto pensata come un quantitativo determinato di tempo di lavoro generale oggettivato. L'esistenza di una merce particolare come equivalente generale diventa per mera astrazione risultato sociale del processo di scambio stesso, mediante la semplice inversione della serie di equazioni sopra annotata. Quindi p. es.:
2 libbre di caffè = 1 braccio di tela,
1/2 libbra di tè = 1 braccio di tela,
8 libbre di pane = 1 braccio di tela,
6 braccia di cotone = 1 braccio di tela,
Mentre caffè, tè, pane, cotone, in breve tutte le merci, esprimono in tela il lavoro contenuto in esse, il valore di scambio della tela si manifesta, viceversa, in tutte le altre merci in quanto suoi equivalenti, e il tempo di lavoro oggettivato nella tela diventa immediatamente il tempo di lavoro generale che si esprime uniformemente in volumi differenti di tutte le altre merci. La tela diventa in questo caso equivalente generale in virtù dell'azione generale esercitata su di essa da tutte le altre merci. Come valore di scambio ogni merce è diventata misura dei valori di tutte le altre merci. Qui viceversa, misurando tutte le merci il proprio valore di scambio in una merce particolare, la merce esclusa diventa esistenza adeguata del valore di scambio, diventa l'esistenza di quest'ultimo quale equivalente generale. Per contro, la serie infinita ossia le equazioni infinite di numero, in cui si esprime il valore di scambio di ogni merce, si riducono a un'equazione unica di sole due componenti. 2 libbre di caffè = 1 braccio di tela, è ora l'espressione esauriente di valore di scambio del caffè, poiché la tela in questo momento appare direttamente come equivalente di un determinato quantitativo di ogni altra merce.
Entro il processo di scambio le merci esistono dunque ora l'una per l'altra, o appaiono l'una all'altra come valori di scambio, nella forma della tela. Il fatto che tutte le merci siano riferite l'una all'altra come valori di scambio, semplicemente come quantità differenti di tempo di lavoro generale oggettivato, si presenta ora nel modo seguente: le merci, come valori di scambio, non rappresentano che quantità differenti di uno stesso oggetto, della tela. Il tempo di lavoro generale a sua volta quindi si esprime come una cosa particolare, una merce accanto e al di fuori di tutte le altre merci. Ma allo stesso tempo l'equazione, in cui una merce si rappresenta come valore di scambio di un'altra merce, p. es. 2 libbre di caffè = 1 braccio di tela, è ancora un'equiparazione da realizzarsi.
Solo mediante la propria alienazione come valore d'uso, la quale dipende dal suo affermarsi come oggetto di un bisogno nel processo di scambio, la merce si trasforma realmente dalla sua esistenza come caffè nella sua esistenza come tela, assumendo così la forma di equivalente generale e diventando realmente valore di scambio per tutte le altre merci. Viceversa, trasformandosi tutte le merci, mediante la loro alienazione in quanto valori d'uso, in tela, quest'ultima diventa la esistenza trasformata di tutte le altre merci; e solo come risultato di questa trasformazione di tutte le altre merci in essa tela, quest'ultima diventa direttamente oggettivazione del tempo di lavoro generale, ossia prodotto dell'alienazione generale, superamento dei lavori individuali.
Se in questo modo le merci raddoppiano la propria esistenza per apparire come reciproci valori di scambio, la merce esclusa in quanto equivalente generale raddoppia il proprio valore d'uso. Oltre al proprio valore d'uso particolare come merce particolare, acquisisce un valore d'uso generale. Quest'ultimo suo valore d'uso è esso stesso una determinatezza formale, vale a dire risulta dalla funzione specifica che essa esercita nel processo di scambio in virtù dell'azione generale esercitata su di essa dalle altre merci. Il valore d'uso di ogni merce, quale oggetto di un particolare bisogno, ha un valore differente in mani differenti, ad esempio ha valore differente in mano di colui che l'aliena da quello che ha in mano a colui che l'acquista. La merce esclusa in qualità di equivalente generale è ora oggetto di un bisogno generale derivante dallo stesso processo di scambio, e ha per ognuno il medesimo valore d'uso, di essere rappresentante del valore di scambio, cioè mezzo di scambio generale. Così, in quest'unica merce, è risolta la contraddizione racchiusa dalla merce come tale, di essere, come valore d'uso particolare, contemporaneamente equivalente generale e quindi valore d'uso per ognuno, di essere valore d'uso generale. Mentre dunque tutte le altre merci esprimono in un primo tempo il proprio valore di scambio come equazione ideale, non ancora realizzata, con la merce esclusa, in questa merce esclusa il valore d'uso, benché reale, nel processo stesso appare come una esistenza meramente formale, la quale è da realizzarsi appena compiuta la trasformazione in valori d'uso reali.
In origine la merce si presentava come merce in genere, come tempo di lavoro generale, oggettivato in un particolare valore d'uso. Nel processo di scambio tutte le merci si riferiscono alla merce esclusiva come merce in genere, come la merce, esistenza del tempo di lavoro generale in un valore d'uso particolare. Come merci particolari sono quindi in un rapporto antitetico con una merce particolare in qualità di merce generale [13]. Il fatto che i possessori di merci si riferiscono a vicenda ai propri lavori come lavoro sociale generale, appare quindi così: essi si riferiscono alle proprie merci come valori di scambio, la reciproca relazione fra le merci, l'una con l'altra come valori di scambio nel processo di scambio, appare come la loro generale relazione con una merce particolare quale espressione adeguata del loro valore di scambio, il che, viceversa, appare a sua volta come relazione specifica di questa merce particolare con tutte le altre merci, e quindi come carattere sociale di una cosa, determinato e per così dire naturale e spontaneo.
La merce particolare che in tal modo rappresenta l'esistenza adeguata del valore di scambio di tutte le merci, ossia il valore di scambio delle merci quale merce particolare, esclusiva, è - il denaro. E' una cristallizzazione del valore di scambio delle merci che esse determinano nello stesso processo di scambio. Quindi, mentre le merci, entro il processo di scambio, diventano l'una per l'altra, in quanto valori d'uso, liberandosi da ogni determinatezza di forma e riferendosi l'una all'altra nella loro figura materiale immediata, devono assumere una nuova determinatezza formale, devono procedere alla formazione di denaro per presentarsi reciprocamente come valori di scambio.
Come non è un simbolo la esistenza di un valore d'uso come merce, così non è simbolo il denaro. Il fatto che un rapporto di produzione sociale si presenti come un oggetto presente al di fuori degli individui, e che le determinate relazioni che questi allacciano nel processo di produzione della loro vita sociale si presentino come qualità specifiche di una cosa, questo rovesciamento, questa mistificazione non immaginaria, bensì prosaicamente reale, caratterizza tutte le forme sociali del lavoro creatore di valore di scambio. Nel denaro questa mistificazione appare semplicemente più evidente che nella merce.
Le qualità fisiche necessarie della merce particolare, nella quale deve cristallizzarsi l'essere denaro di tutte le merci, per quanto derivino direttamente dalla natura del valore di scambio, sono la divisibilità a piacere, l'uniformità delle parti e la identicità in tutti gli esemplari di questa merce. Come materializzazione del tempo di lavoro generale, questa merce deve essere materializzazione uniforme e capace di esprimere differenze puramente quantitative. L'altra qualità necessaria è la durevolezza del suo valore d'uso poiché la merce deve durare entro il processo di scambio. I metalli nobili posseggono queste qualità in misura eminente. Siccome il denaro non è un prodotto di una riflessione o di un accordo, ma è formato quasi istintivamente nel processo di scambio, merci differentissime, più o meno inadatte, si sono alternate nella funzione di denaro.
La necessità subentrante a un determinato grado dello sviluppo del processo di scambio, di distribuire polarmente sulle merci le determinazioni di valore di scambio e di valore d'uso in modo che una merce ad esempio figuri come mezzo di scambio, mentre l'altra è alienata come valore d'uso, comporta che dappertutto la merce o anche più merci del più generale valore d'uso abbiano in un primo momento per caso la funzione di denaro. Qualora non siano oggetto di un bisogno esistente direttamente, la loro esistenza come componente più importante della ricchezza dal punto di vista materiale, assicura ad esse un carattere più generale di quel che abbiano gli altri valori d'uso.
Il commercio di scambio immediato, forma spontanea del processo di scambio, rappresenta piuttosto l'iniziale trasformazione dei valori d'uso in merci che non quella delle merci in denaro. Il valore di scambio non acquisisce forma libera, è bensì ancora vincolato direttamente al valore d'uso. Questo risulta in due modi. La produzione stessa in tutta la sua costruzione è diretta al valore d'uso, non al valore di scambio, ed è quindi soltanto per l'eccedenza sulla misura in cui i valori d'uso sono richiesti per il consumo, che essi cessano qui di essere valori d'uso e diventano mezzi di scambio, merce. D'altra parte, diventano propriamente merci solo entro i limiti del valore d'uso diretto, sia pure distribuito polarmente, cosicché le merci da scambiarsi dai possessori devono essere per entrambi valori d'uso, ma ognuna di esse dovrà essere valore d'uso per il suo non-possessore.
In realtà, il processo di scambio delle merci in origine non si presenta in seno alle comunità [14] naturali e spontanee, bensì là dove queste finiscono, ai loro confini, nei pochi punti in cui entrano in contatto con altre comunità. Qui ha inizio il commercio di scambio e da qui si ripercuote sull'interno della comunità, con un'azione disgregatrice. I particolari valori d'uso che nel commercio di scambio fra le diverse comunità diventano merci, come lo schiavo, il bestiame, i metalli, costituiscono quindi per lo più il primo denaro in seno alle comunità stesse.
Abbiamo visto come il valore di scambio di una merce si esprima come valore di scambio in un grado tanto più elevato quanto più lunga è la serie dei suoi equivalenti o quanto maggiore è la sfera dello scambio per quella merce. La graduale estensione del commercio di scambio, l'aumento degli scambi e la moltiplicazione delle merci entranti nel commercio di scambio, evolvono quindi la merce in quanto valore di scambio, sollecitano la formazione del denaro e esplicano con ciò un'azione dissolvitrice sul commercio di scambio diretto.
Gli economisti sono soliti derivare il denaro dalle difficoltà esterne in cui si imbatte il commercio di scambio ampliatosi, ma così facendo dimenticano che queste difficoltà derivano dallo sviluppo del valore di scambio e quindi risalgono al lavoro sociale quale lavoro generale. Per esempio: le merci, in qualità di valori d'uso, non sono divisibili a piacere, come devono esserlo in qualità di valori di scambio. Oppure, la merce di A può essere valore d'uso per B, mentre la merce di B non è valore d'uso per A. Oppure, i possessori delle merci possono aver bisogno delle loro merci indivisibili, da scambiarsi a vicenda, in proporzioni di valore ineguali. In altre parole, con il pretesto di considerare il commercio di scambio semplice, gli economisti si rendono conto di certi lati della contraddizione avvolta nell'esistenza della merce come unità immediata di valore d'uso e valore di scambio. D'altra parte tengono fermo, coerentemente, al commercio di scambio come forma adeguata del processo di scambio delle merci, il quale sarebbe semplicemente legato a certi disagi tecnici per i quali il denaro sarebbe una via d'uscita intelligentemente escogitata. Da questo punto di vista, del tutto superficiale, un intelligente economista inglese ha quindi sostenuto giustamente che il denaro è uno strumento puramente materiale, come una nave o una macchina a vapore, ma non è l'espressione di un rapporto di produzione sociale e quindi non è una categoria economica. Soltanto abusivamente è trattato quindi nella economia politica, la quale infatti non ha nulla in comune con la tecnologia [15].
Nel mondo delle merci è presupposta una sviluppata divisione del lavoro, ossia quest'ultima si esprime, piuttosto, direttamente nella molteplicità dei valori d'uso che si stanno dinanzi come merci particolari e nei quali sono incorporati modi di lavoro altrettanto molteplici. La divisione del lavoro, in quanto totalità di tutti i modi particolari dell'occupazione produttiva, è la figura complessiva del lavoro solidale considerato nel suo lato materiale, considerato come lavoro che produce valori d'uso. Ma come tale la divisione del lavoro esiste, dal punto di vista delle merci e entro il processo di scambio, soltanto nel suo risultato, nella particolarizzazione delle merci stesse.
Lo scambio delle merci è il processo entro il quale il ricambio sociale, ossia lo scambio dei particolari prodotti di individui privati, è allo stesso tempo creazione di determinati rapporti della produzione sociale, nei quali gli individui entrano in questo ricambio. Le relazioni progressive fra le merci nei confronti dell'una con l'altra si cristallizzano come determinazioni differenziate dell'equivalente generale, e in tal modo il processo di scambio è allo stesso tempo processo di formazione del denaro. L'insieme di questo processo, che appare come il decorso di processi differenti, è la circolazione.
L'analisi della merce come lavoro in duplice forma, l'analisi del valore d'uso come lavoro reale o attività produttiva conforme allo scopo, l'analisi del valore di scambio come tempo di lavoro o lavoro sociale uguale, sono il risultato critico finale delle indagini compiute durante più di centocinquant'anni dall'economia classica, la quale ha inizio in Inghilterra con William Petty, in Francia con Boisguillebert [16] e ha termine in Inghilterra con Ricardo, in Francia con Sismondi.
Il Petty riduce il valore d'uso a lavoro, senza illudersi sulla determinatezza naturale del suo vigore creativo. Il lavoro reale, egli lo concepisce subito nella sua figura complessiva sociale, come divisione del lavoro [17]. Questa concezione della fonte della ricchezza materiale non rimane, come accade ad esempio al suo contemporaneo, Hobbes, più o meno sterile, lo conduce bensì alla aritmetica politica che è la prima forma in cui l'economia politica si distacchi come scienza autonoma. Il valore di scambio egli lo interpreta però, così come si presenta nel processo di scambio delle merci, come denaro, e il denaro stesso egli lo interpreta come merce esistente, come oro e argento. Legato alle idee del sistema monetario, egli definisce il tipo particolare di lavoro reale con cui vengono acquisiti oro e argento, come lavoro creatore di valore di scambio. Egli ritiene infatti che il lavoro borghese non debba produrre un valore d'uso immediato, bensì merce, valore d'uso capace di esprimersi mediante la sua alienazione nel processo di scambio come oro e argento, ossia come denaro, ossia come valore di scambio, ossia come lavoro generale oggettivato. Ma il suo esempio mostra in modo lampante che la conoscenza del lavoro come fonte della ricchezza materiale non esclude affatto il disconoscimento della determinata forma sociale, entro la quale il lavoro è fonte del valore di scambio.
Da parte sua, Boisguillebert riduce, anche se in modo inconsapevole, pure effettivamente, il valore di scambio di una merce in tempo di lavoro, determinando il "vero valore" (la juste valeur) mediante la esatta proporzione in cui il tempo di lavoro degli individui è ripartito sulle particolari branche industriali, e rappresentando la libera concorrenza come il processo sociale che creerebbe questa proporzione esatta. Ma allo stesso tempo e in contrasto con il Petty egli lotta fanaticamente contro il denaro, che con il suo intervento turberebbe il naturale equilibrio ossia la armonia dello scambio delle merci e, da fantastico Moloch, esigerebbe come sacrificio ogni ricchezza naturale. Ora, se da un lato questa polemica contro il denaro è connessa con determinate condizioni storiche, giacchè il Boisguillebert attacca la cieca e rovinosa bramosia d'oro della corte di un Luigi XIV, degli appaltatori delle sue finanze e della sua nobiltà [18], mentre il Petty celebra nella bramosia dell'oro l'impulso efficace che incita un popolo allo sviluppo industriale e alla conquista del mercato mondiale, risalta qui però allo stesso tempo l'antitesi di principio, più profonda, che si ripete come costante contrasto fra l'economia tipicamente inglese e quella tipicamente francese [19]. Il Boisguillebert ravvisa infatti soltanto il contenuto materiale della ricchezza, il valore d'uso, il godimento [20], e considera la forma borghese del lavoro, la produzione dei valori d'uso come merci e il processo di scambio delle merci come la forma sociale naturale in cui il lavoro individuale raggiungerebbe quello scopo. Quindi là dove gli si fa contro il carattere specifico della ricchezza borghese, come accade nel denaro, egli è convinto si tratti di un'interferenza di elementi estranei usurpatori, e si inalbera contro il lavoro borghese nell'una delle due forme, mentre allo stesso tempo lo trasfigura utopisticamente nell'altra [21]. Il Boisguillebert ci fornisce la dimostrazione del fatto che il tempo di lavoro può essere trattato quale misura della grandezza di valore delle merci, sebbene il lavoro oggettivato nel valore di scambio delle merci e misurato mediante il tempo venga scambiato per l'attività naturale diretta degli individui.
La prima analisi consapevole, quasi banalmente chiara, del valore di scambio come tempo di lavoro, si trova in un uomo del mondo nuovo, dove i rapporti di produzione borghesi, importati insieme con i loro rappresentanti, si svilupparono con straordinaria rapidità su di un terreno che equilibrava la propria deficienza di tradizione storica con un'eccedenza di humus. Quest'uomo è Benjamin Franklin il quale, nel suo lavoro giovanile scritto nel 1719, passato alla stampa nel 1721, formulò la legge fondamentale dell'economia politica moderna [22]. Egli ritiene sia necessario cercare una misura dei valori diversa dai metalli nobili. Questa misura sarebbe il lavoro. "Mediante il lavoro il valore dell'argento può essere misurato come quello di tutte le altre cose. Poniamo ad esempio un uomo che sia occupato nella produzione del grano mentre un altro scava e raffina l'argento. Alla fine dell'anno o dopo un qualsiasi altro determinato periodo di tempo, il prodotto pieno del grano e quello dell'argento saranno l'uno il prezzo naturale dell'altro, e se l'uno sarà di 20 bushels e l'altro di 20 once, in tal caso un'oncia d'argento avrà il valore del lavoro impiegato per la produzione di un bushel di grano. Ma se in virtù della scoperta di miniere più vicine, più accessibili e più ricche, un uomo potrà ora produrre 40 once d'argento con la stessa facilità con cui prima ne produceva 20, e se per la produzione di 20 bushels di grano rimarrà necessario il medesimo lavoro di prima, allora 2 once d'argento non avranno più lo stesso valore dello stesso lavoro impiegato nella produzione di 1 bushel di grano, e il bushel che prima valeva 1 oncia, ne varrà 2 ora, caeteris paribus. In tal modo la ricchezza di un paese sarà da stimarsi mediante la quantità di lavoro che i suoi abitanti sono in grado di comprare." [23] Il tempo di lavoro si presenta in Franklin subito in modo economicisticamente unilaterale come misura dei valori. La trasformazione dei reali prodotti in valori di scambio s'intende allora da sé, e si tratta quindi solo di trovare una misura della loro grandezza di valore. "Siccome - dice Franklin - il commercio, in genere, non è altro che lo scambio di lavoro con lavoro, il valore di tutte le cose sarà stimato nel modo più esatto mediante il lavoro." [24] Se qui poniamo al posto della parola lavoro il lavoro reale, scopriamo subito la mescolanza di lavoro in una forma con il lavoro nell'altra forma. Siccome il commercio per esempio consiste di uno scambio di lavoro di calzolaio, lavoro di miniera, lavoro di filatura, lavoro di pittura, ecc., il valore di stivali sarà stimato nel modo più esatto mediante il lavoro di pittura? Il Franklin riteneva viceversa che il valore di stivali, prodotti di miniera, filati, dipinti, ecc. è determinato mediante il lavoro astratto che non ha qualità particolare e quindi è misurabile mediante la semplice quantità [25]. Ma siccome svolge il lavoro contenuto nel valore di scambio, non come il lavoro sociale generalmente astratto, derivante dall'universale alienazione dei lavori individuali, egli disconosce necessariamente il denaro, supponendo che esso sia la forma immediata di esistenza di questo lavoro alienato. Il denaro e il lavoro che crea valore di scambio non hanno quindi per lui alcuna connessione interna, il denaro è bensì piuttosto uno strumento immesso dal di fuori nello scambio per ragioni di comodità tecnica [26]. L'analisi del valore di scambio fatta dal Franklin rimase senza influsso immediato sull'andamento generale della scienza, perché egli non trattava che problemi singoli dell'economia politica in determinate occasioni pratiche.
L'antitesi fra il lavoro realmente utile e fra il lavoro che crea valore di scambio agitava l'Europa durante il secolo XVIII nella forma del seguente problema: quale tipo particolare di reale lavoro è la fonte della ricchezza borghese? In tal modo si presupponeva che non ogni lavoro che si realizzi in valori d'uso o fornisca prodotti, per ciò stesso crei direttamente la ricchezza. Ma per i fisiocratici, come per i loro avversari, la questione scottante controversa non è tanto quale lavoro crei il valore, bensì quale lavoro crei il plusvalore. Perciò trattano il problema in una forma complessa prima di averlo risolto nella sua forma elementare, allo stesso modo che il corso storico di tutte le scienze conduce ai reali punti di partenza di queste solo attraverso una grande quantità di vie traverse e incrociate. A differenza di altri architetti, la scienza non soltanto disegna castelli in aria, ma costruisce qualche piano abitabile dell'edificio prima di gettarne le fondamenta. Non ci soffermeremo qui più a lungo sui fisiocratici e, tralasciando tutt'una serie di economisti italiani che, con idee più o meno calzanti, si avvicinano a una esatta analisi della merce [27], passeremo subito al primo economista britannico il quale abbia lavorato sul sistema complessivo dell'economia borghese, a Sir James Steuart [28]. Allo stesso modo che in lui le categorie astratte dell'economia politica appaiono ancora nel processo di distacco dal loro contenuto materiale, e quindi sfumate e oscillanti, così anche quelle del valore di scambio. In un punto egli determina il valore reale mediante il tempo di lavoro (what a workman can perform in a day [*10]), ma accanto a questa definizione figurano in modo confuso anche il salario e le materie prime [29]. In un altro punto la lotta con il contenuto materiale si manifesta in modo ancora più lampante. Egli chiama il materiale naturale contenuto in una merce, p. es. l'argento in un lavoro d'argento filigranato, il suo valore intrinseco (intrinsic worth), mentre chiama suo valore d'uso (useful value) il tempo di lavoro contenuto in essa. "Il primo - egli dice - è qualcosa di reale in sé... il valore d'uso invece deve essere stimato in base al lavoro che è costata la sua produzione. Il lavoro impiegato nella modificazione della materia rappresenta una porzione del tempo d'un uomo, ecc." [30] Quel che fa eccellere lo Steuart fra i suoi predecessori e successori, è la rigorosa differenziazione che egli fa fra il lavoro specificamente sociale, raffigurantesi nel valore di scambio, e il lavoro reale che produce valori d'uso. "Il lavoro, - egli dice, - che mediante la propria alienazione (alienation) crea un equivalente universale (universal equivalent), io lo chiamo industria." Il lavoro come industria è da lui distinto non soltanto dal lavoro reale, bensì anche dalle forme sociali del lavoro. Esso è per lui la forma borghese del lavoro in antitesi con le sue forme antiche e medievali. In particolare lo Steuart s'interessa dell'antitesi fra lavoro borghese e lavoro feudale, il quale ultimo, nella fase del suo tramonto, era stato da lui osservato sia nella stessa Scozia sia nei suoi estesi viaggi sul continente. Lo Steuart sapeva naturalmente benissimo che il prodotto acquisisce la forma di merce, e la merce la forma di denaro anche in epoche preborghesi, ma egli dimostra con molti particolari che la merce come forma fondamentale, elementare della ricchezza, e l'alienazione, come forma dominante dell'appropriazione, appartengono al periodo della produzione borghese soltanto, che il carattere del lavoro creatore di valore di scambio è quindi specificamente borghese [31].
Dopo che erano state proclamate vere fonti della ricchezza le forme particolari del lavoro reale, come l'agricoltura, la manifattura, la navigazione, il commercio, ecc., Adam Smith proclamò come fonte unica della ricchezza materiale, ossia dei valori d'uso, il lavoro in generale e cioè il lavoro nella sua figura complessiva sociale come divisione del lavoro. Mentre, dicendo questo, dimentica del tutto l'elemento naturale, questo lo persegue nella sfera della ricchezza puramente sociale, nella sfera del valore di scambio. Certo, Adam determina il valore della merce mediante il tempo di lavoro in essa contenuto, ma poi relega di nuovo la realtà di questa determinazione del valore nelle epoche preadamitiche. In altre parole, ciò che gli appare vero dal punto di vista della merce semplice, gli diventa oscuro non appena al posto di questa subentrino le forme più elevate e più complesse di capitale, lavoro salariato, rendita fondiaria, ecc. E questo lo esprime nel seguente modo: il valore delle merci veniva misurato mediante il tempo di lavoro in esse contenuto nel paradise lost [*11] della borghesia, quando gli uomini non stavano ancora l'uno di fronte all'altro come capitalisti, salariati, proprietari fondiari, affittuari, usurai, ecc., bensì come semplici produttori e scambiatori di merci. Egli scambia costantemente la determinazione del valore delle merci mediante il tempo di lavoro in esse contenuto, per la determinazione dei loro valori mediante il valore del lavoro, oscilla ovunque si tratti di chiarire i particolari e non si accorge dell'equiparazione obiettiva compiuta a forza dal processo sociale fra i lavori disuguali, allo scopo di creare la parità di diritti dei singoli lavori individuali [32]. Il passaggio dal lavoro reale al lavoro che crea valore di scambio, vale a dire al lavoro borghese nella sua forma fondamentale, egli cerca di ottenerlo mediante la divisione del lavoro. Ora, per quanto sia esatto dire che lo scambio privato è divisione del lavoro, altrettanto sbagliato è dire che la divisione del lavoro presuppone lo scambio privato. Fra i peruviani p. es., il lavoro era diviso a un grado straordinario, benché non avessero luogo scambi privati né scambi dei prodotti in qualità di merci.
In contrapposizione ad Adam Smith, David Ricardo elaborò nettamente la determinazione del valore della merce mediante il tempo di lavoro, ed egli mostra che questa legge domina anche i rapporti di produzione borghesi che in apparenza più la contraddicono. Le indagini di Ricardo si limitano esclusivamente alla grandezza di valore, e in relazione a questa egli per lo meno sospetta che l'attuazione della legge dipenda da determinati presupposti storici. Infatti dice che la determinazione della grandezza di valore mediante il tempo di lavoro vale soltanto per le merci, "che mediante l'industria possano essere aumentate a piacere e la cui produzione sia dominata da una concorrenza illimitata" [33]. In realtà ciò significa soltanto che la legge del valore, per giungere al suo pieno sviluppo, presuppone la società della grande produzione industriale e della libera concorrenza, ossia la moderna società borghese. Del resto Ricardo considera la forma borghese del lavoro come la forma naturale eterna del lavoro sociale. I primi pescatori e i primi cacciatori, secondo lui, si scambiano subito pesce e selvaggina in qualità di possessori di merci, e lo scambio avviene in proporzione del tempo di lavoro oggettivato in questi valori di scambio. In questo caso egli cade nell'anacronismo, poiché sembra che i primi pescatori e i primi cacciatori, per calcolare i loro strumenti di lavoro, consultino le tabelle degli interessi correnti per la Borsa di Londra nel 1817. I "parallelogrammi del signor Owen" sembrano essere l'unica formazione sociale che egli conoscesse al di fuori di quella borghese. Sebbene limitato entro questo orizzonte borghese, Ricardo seziona l'economia borghese, che nelle sue profondità ha un aspetto del tutto diverso da quello che presenta alla superficie, con tanto acume teorico che Lord Brougham poteva dire di lui: "Mr. Ricardo seemed as if he had dropped from an other planet" [*12]. In diretta polemica con Ricardo, il Sismondi da un lato pone in rilievo il carattere specificamente sociale del lavoro che crea valore di scambio [34], dall'altro indica quale "carattere del nostro progresso economico" la riduzione della grandezza di valore a tempo di lavoro necessario, alla "proporzione tra il fabbisogno dell'intera società e la quantità di lavoro sufficiente a soddisfare questo fabbisogno" [35]. Il Sismondi non è più impigliato nell'idea del Boisguillebert secondo cui il lavoro creatore di valore di scambio viene falsato dal denaro, ma, come Boisguillebert denunzia il denaro, così egli denunzia il grande capitale industriale. Se Ricardo porta decisamente l'economia politica alle sue ultime conseguenze, e così facendo la conclude, Sismondi completa questa conclusione rappresentando i dubbi che l'economia politica nutre nei riguardi di sé stessa.
Poiché Ricardo, portando a conclusione l'economia politica classica, ha formulato e svolto nel modo più netto la determinazione del valore di scambio mediante il tempo di lavoro, su di lui si concentra naturalmente la polemica sollevata da parte degli economisti. Prescindendo dalla forma per lo più goffa [36] con cui essa è stata condotta, questa polemica può riassumersi nei seguenti punti:
Primo. Il lavoro stesso ha valore di scambio, e lavori differenti hanno un valore di scambio differente. E' un circolo vizioso fare del valore di scambio la misura del valore di scambio, poiché il valore di scambio che misura ha a sua volta bisogno di una misura. Quest'obiezione si riduce al problema: dato il tempo di lavoro come misura immanente del valore di scambio, si svolga su questa base il salario. La teoria del lavoro salariato darà la risposta.
Secondo: Se il valore di scambio di un prodotto è uguale al tempo di lavoro in questo contenuto, il valore di scambio di una giornata lavorativa sarà uguale al prodotto di essa. Oppure, il salario del lavoro dovrà essere uguale al prodotto del lavoro [37]. Ma si verifica l'opposto. Ergo. Quest'obiezione si riduce al problema: come mai la produzione fondata sul valore di scambio determinato dal solo tempo di lavoro porta al risultato che il valore di scambio del lavoro è minore del valore di scambio del prodotto del lavoro? Questo problema lo risolveremo esaminando il capitale.
Terzo: Il prezzo di mercato delle merci diminuisce al di sotto o aumenta al di sopra del loro valore di scambio con il variare della proporzione fra domanda e offerta. Il valore di scambio delle merci è determinato quindi dalla proporzione fra domanda e offerta e non dal tempo di lavoro contenuto in esse. In realtà, in questa strana deduzione viene semplicemente sollevata la questione del come sulla base del valore di scambio si sviluppi un prezzo di mercato diverso da questo o, meglio, del come la legge del valore di scambio si realizzi soltanto nel proprio opposto. Questo problema sarà risolto nella teoria della concorrenza.
Quarto. Un'ultima contraddizione e apparentemente la più decisiva, a meno che non sia, come di consueto, proposta in forma di esempi strampalati: se il valore di scambio non è null'altro che il tempo di lavoro contenuto in una merce, com'è possibile che merci le quali non contengono lavoro abbiano valore di scambio o, in altre parole, di dove deriverebbe il valore di scambio di semplici forze naturali? Questo problema sarà risolto nella teoria della rendita fondiaria.
Note
1. Aristotele, De Republica, libro I, cap. 9 (edit. I. Bekkeri, Oxonii, 1837. [Opera, vol. X, p. 13 sgg.]). "poiché duplice è l'uso di ogni bene... L'uno è proprio della cosa come tale, l'altro non lo è, come accade per un sandalo che serve da calzatura e che è scambiabile. Entrambi sono valori d'uso del sandalo poiché anche colui il quale scambia il sandalo con quello che gli manca, p. es. il nutrimento, fa uso del sandalo. Ma non nella sua maniera d'uso naturale. poiché esso non esiste per amore dello scambio. Lo stesso accade anche per gli altri beni."
2. Questa è la ragione perché taluni compilatori tedeschi trattano con amore del valore d'uso fissato con il nome di "bene". Cfr. p. es. L. Stein, System der Staatswissenschaft [sistema di scienza politica], Stoccarda e Tubinga, 1852, vol. I, sezione dei "beni". Cose ragionevoli sui "beni" dovranno essere cercate in un "avviamento alla merceologia".
3. "Unskilled labour" [lavoro non qualificato] lo chiamano gli economisti inglesi.
4. E' un ridicolo pregiudizio, diffuso in epoca recente, che la forma della proprietà comune spontanea sia forma specificamente slava o addirittura esclusivamente russa. E' la forma originaria la cui esistenza possiamo comprovare presso romani, germani, celti, della quale si trova però tuttora tutto un campionario di saggi molteplici in India, sia pure allo stato di rovine. Uno studio più particolare delle forme di proprietà comune asiatiche, in particolare indiane, dimostrerebbe come dalle differenti forme della proprietà comune spontanea risultano differenti forme del suo dissolvimento. Così p. es. i differenti tipi originali della proprietà privata romana e germanica si possono derivare da differenti forme di proprietà comune indiana.
5. "La ricchezza è una ragione tra due persone." Galiani, Della Moneta, p. 221. Nel III vol. della Raccolta degli scrittori classici italiani di economia politica, parte moderna, Milano, 1803, del Custodi.
6. "Allo stato naturale la materia è sempre spoglia di valore" MacCulloch, Discours sur l'origine de l'économie politique ecc., trad. Prévost, Ginevra, 1825, p. 57. Si vede come perfino un MacCulloch sia superiore al feticismo di taluni "pensatori" tedeschi i quali definiscono elementi del valore la "materia" e una altra mezza dozzina di svariata roba. Cfr. p. es. L. Stein, System der Staatswissenschaft, cit., vol. I, p. 195.
7. Berkeley, The Querist [L'interrogante], Londra, 1750, p. l, "Whether the four elements, and man's labour therein, be not the true source of wealth?" [Se non siano i quattro elementi, ivi compreso il lavoro dell'uomo, la vera fonte della ricchezza].
8. Th. Cooper, Lectures on the Elements of Political Economy, Londra, 1831 (Columbia, 1826), p. 99.
9. F. List, il quale non riuscì mai a comprendere la differenza fra il lavoro che coopera alla creazione di cosa utile, di un valore d'uso, e il lavoro che crea una determinata forma sociale di ricchezza, il valore di scambio, allo stesso modo che la comprensione era in generale estranea al suo intelletto interessatamente pratico, vide perciò negli economisti inglesi moderni semplici plagiari dell'egiziaco Mosè.
10. Si capisce quale "servizio" debba rendere la categoria "servizio" (service) a una specie di economisti come J. B. Say e F. Bastiat la cui intelligenza raziocinante astrae ovunque dalla specifica definizione formale dei rapporti economici, come già fu osservato giustamente dal Malthus.
11. "Ma, perché egli è proprio ancora delle misure d'aver sì fatta relazione colle cose misurate, che in certo modo la misurata divien misura della misurante." Montanari, Della Moneta [La Zecca in consulta di Stato], p. 48, nella raccolta del Custodi, vol. III, parte antica.
12. E' in questa definizione che Aristotele (vedi il passo citato all'inizio del capitolo) interpreta il valore di scambio.
13. La medesima espressione si trova in Genovesi. [Nota nella copia personale].
14. Aristotele osserva la stessa cosa circa la famiglia privata in quanto comunità primigenia. Ma la forma primigenia della famiglia è essa stessa famiglia tribale dalla cui analisi storica appena si svolge la famiglia privata. "poiché nella comunità originaria (ma questa è la famiglia) evidentemente non esisteva alcuna necessità di questo (cioè lo scambio)" De Republica [ed. cit., vol. X, p. 14].
15. "Il denaro in realtà non è che lo strumento per l'attuazione di compera e vendita" (ma che cosa intende Ella, per favore, per compera e vendita?), "e la sua considerazione non costituisce parte della scienza dell'economia politica come non la costituisce la considerazione di navi o macchine a vapore, e di qualsiasi altro strumento applicato per la facilitazione della produzione e per la distribuzione della ricchezza" (Th. Hodgskin, Popular Political Economy ecc., Londra, 1827, pp. 178, 179).
16. Un lavoro comparativo sugli scritti e sui caratteri del Petty e del Boisguillebert sarebbe, astraendo dalla viva luce gettata così sul contrasto sociale tra Inghilterra e Francia alla fine del Seicento e all'inizio del Settecento, l'esposizione genetica del contrasto nazionale fra l'economia politica inglese e quella francese. Il medesimo contrasto si ripeterà in modo conclusivo in Ricardo e in Sismondi.
17. Il Petty ha svolto la divisione del lavoro anche come forza produttiva, e precisamente con più vasto respiro che non Adam Smith. Vedi An Essay concerning the Multiplication of Mankind ecc., 3 ed., 1686, pp. 35, 36. Qui egli mostra i vantaggi della divisione del lavoro per la produzione, non soltanto citando la fabbricazione di un orologio da tasca, come farà più tardi Adam Smith rispetto alla fabbricazione di un ago, bensì considerando al contempo una città e un paese intero dal punto di vista di grandi officine di fabbricazione. Lo Spectator del 26 novembre 1711 si riferisce a questa "illustration of the admirable Sir William Petty". Il MacCulloch sbaglia perciò supponendo che lo Spectator scambi il Petty con uno scrittore di 40 anni minore. Vedi MacCulloch, The Literature of Political Economy, a classified catalogue, Londra, 1845, p. 105. Il Petty si sente fondatore di una scienza nuova. Il suo metodo, dice, "non è quello tradizionale". Invece di intrecciare una serie di parole superlative e di argomenti speculativi, egli avrebbe intrapreso a parlare in terms of number, weight or measure [in cifre, pesi o misure], a servirsi di argomenti dedotti unicamente dalla esperienza dei sensi e a considerare soltanto le cause as have visible foundations in nature [che abbiano basi visibili in natura]. Alla considerazione altrui egli lascerebbe le cause dipendenti dai mutable minds, opinions, appetites and passions of particular men [dalle menti, dalle opinioni, dagli istinti e dalle passioni mutevoli di singoli uomini], Political Arithmetic ecc., Londra, 1699, prefazione. La sua geniale audacia si manifesta ad es. nella proposta di trasportare tutti gli abitanti e i beni mobili d'Irlanda e dell'Alta Scozia nel resto della Gran Bretagna. In tal modo si risparmierebbe tempo di lavoro, la forza produttiva del lavoro verrebbe aumentata, e "il re e i suoi sudditi diventerebbero più ricchi e più forti" (Political Arithmetic, cap. 4, p. 225). Oppure nel capitolo della sua aritmetica politica in cui, in un'epoca che vedeva ancor l'Olanda come nazione commerciale sempre preminente e la Francia in procinto di diventare la potenza commerciale dominante, dimostra la missione dell'Inghilterra di conquistare il mercato mondiale: That the king of England's subjects have stock competent and convenient to drive the trade of the whole commercial world [che i sudditi del re d'Inghilterra hanno un capitale adeguato e adatto per trattare gli affari dell'intero mondo commerciale], (ivi, cap. 10, p. 272). "That the impediments of England's greatness are but contingent and removeable" [che gli ostacoli della grandezza d'Inghilterra non sono che contingenti ed eliminabili] (p. 247 sgg,). Un originale senso umoristico pervade tutti i suoi scritti. Così p. es. egli comprova come sia stato effetto dell'ordine naturale delle cose che l'Olanda, che allora era il paese modello degli economisti inglesi, proprio come oggi lo è l'Inghilterra per gli economisti del continente, abbia conquistato il mercato mondiale "without such angelical wits and judgements, as some attribute to the Hollanders" [senza quel celestiale (angelical) spirito e intelletto che taluni attribuiscono agli olandesi] (ivi, pp. 175-176). Egli difende la libertà di coscienza in quanto condizione del commercio, "perché i poveri sono industriosi e considerano il lavoro e l'operosità un dovere verso Dio, purché si consenta loro di pensare che essi, aventi meno ricchezze, hanno più spirito e intelletto nelle cose divine, cosa che considerano proprietà particolare dei poveri". Il commercio non sarebbe quindi "vincolato a una qualsiasi specie di religione, ma sempre piuttosto alla parte eterodossa dell'insieme" (ivi, pp. 183-186). Egli è favorevole a particolari tributi pubblici per i malandrini perché ritiene sia meglio per il pubblico tassare se stesso per i malandrini che non lasciarsi tassare da questi (ivi, p. 199). Per contro egli respinge le imposte che trasferiscono la ricchezza da mani industriose a coloro che "non fanno altro che mangiare, bere, cantare, suonare, ballare e coltivare la metafisica". Gli scritti del Petty sono quasi rarità librarie ed esistono soltanto dispersi in vecchie edizioni cattive, cosa tanto più strana in quanto William Petty non è soltanto il padre della economia politica inglese, bensì anche l'antenato di Henry Petty ossia del marchese di Lansdowne, nestore dei whigs inglesi. La famiglia Lansdowne, tuttavia, difficilmente potrebbe curare una edizione completa delle opere del Petty senza introdurla con la sua biografia, e qui vale quello che vale della maggior parte delle origines delle grandi famiglie whig, the less said of them the better [meno se ne parla e meglio è]. Questo chirurgo militare dal pensiero audace, ma dal carattere assolutamente frivolo, il quale era disposto a saccheggiare l'Irlanda sotto l'egida di Cromwell come a strisciare davanti a Carlo II per ottenere il titolo di baronetto necessario al saccheggio, è un ritratto di avo poco adatto a esporre in pubblico. Inoltre, nella massima parte degli scritti da lui pubblicati in vita, il Petty cerca di dimostrare che il periodo della massima fioritura inglese è quello del regno di Carlo II, cosa che costituisce un parere eterodosso per gli sfruttatori ereditari della "glorious revolution".
18. In contrapposizione all'"arte nera delle finanze" di quell'epoca, il Boisguillebert dice: "L'arte delle finanze non è che la conoscenza approfondita degli interessi dell'agricoltura e del commercio" (Le detail de la France, 1697. Ed. di Eugène Daire degli Economistes financiers du XVIIIième siècle, Parigi, 1843, vol. I, p. 241).
19. Non l'economia dei paesi latini, poiché gli italiani delle due scuole, la napoletana e la milanese, ripetono il contrasto fra economia inglese ed economia francese, mentre gli spagnuoli dell'epoca antecedente sono mercantilisti semplicemente, e dei mercantilisti modificati, come Uztariz o come Jovellanos (vedi le sue Obras, Barcellona, 1839-l840), tengono come Adam Smith il "giusto mezzo".
20. "La vera ricchezza... è il perfetto godimento non soltanto dei bisogni della vita, ma anche della sovrabbondanza e di tutto quello che può recar gioia ai sensi" (Boisguillebert, Dissertation sur la nature de la richesse ecc., ivi, p. 403). Ma mentre il Petty era un avventuriero frivolo, dedito al saccheggio e privo di carattere, il Boisguillebert, sebbene fosse uno dei sovraintendenti di Luigi XIV, interveniva tanto con spirito quanto con audacia per le classi oppresse.
21. Il socialismo francese di foggia proudhoniana soffre del medesimo male ereditario nazionale.
22. Franklin B., The Works of ecc., ed. I. Sparks, vol. II, Boston, 1836: A modest Inquiry into the Nature and Necessity of a Paper Currency.
23. Ivi, p. 265. "Thus the riches of a country are to be valued by quantity of labour its inhabitants are able to purchase".
24. "Trade in general being nothing else but the exchange of labour for labour, the value of all thing is, as I have said before, most justly measured by labour" (ivi, p. 267).
25. Cfr. Remarks and Facts relative to the American Paper Money [Osservazioni e fatti relativi alla carta moneta americana], 1764.
26. Vedi Papers on American Politics: Remarks and Facts, cit.
27. Vedi p. es. Galiani, Della Moneta, cit. "La fatica - egli dice - è l'unica che dà valore alla cosa", p. 74. Il nome di fatica dato al lavoro è caratteristico del meridionale.
28. L'opera dello Steuart, An Inquiry into the Principles of Political Economy, being an essay on the science of domestic policy in free nations uscì per la prima volta nel 1767 in due volumi in quarto a Londra, dieci anni prima del Wealth of Nations di Adam Smith. Cito dall'edizione di Dublino del 1770.
*10. Ciò che un lavoratore può compiere entro una giornata.
29. Steuart, ivi, vol. I, pp. 181-183.
30. Steuart, ivi, vol. I, pp. 361-362: "represents a portion of a man's time".
31. Egli dichiara quindi che l'agricoltura patriarcale, indirizzata direttamente alla creazione di valori d'uso per il possessore della terra, è un "abuso", non precisamente a Sparta o a Roma o nemmeno ad Atene, bensì nei paesi industriali del Settecento. Questa "abusive agriculture" non sarebbe un "trade" [affare], ma "semplice mezzo di sussistenza". Allo stesso modo che l'agricoltura borghese ripulirebbe il paese di bocche superflue, la manifattura borghese ripulirebbe la fabbrica di braccia superflue.
*11. Paradiso perduto. Allusione al poema di J. Milton.
32. Così dice p. es. Adam Smith: "Quantità eguali di lavoro devono in tutti i tempi e in tutti i luoghi aver valore eguale per colui il quale lavora. Al suo stato normale di salute, forza e attività e con il grado medio di abilità che possa avere, egli dovrà sempre dare la medesima porzione di riposo, libertà e di felicità. Qualunque sia quindi la quantità di merci che egli riceve a compenso del suo lavoro, il prezzo che egli paga, sarà sempre il medesimo. Questo prezzo potrà, è vero, acquistare ora una quantità minore, ora una quantità maggiore di questa merce, ma soltanto perché varia il valore della merce, non il valore del lavoro, che la compera. Il lavoro soltanto dunque non muta mai il proprio valore. Esso è perciò il prezzo reale delle merci, ecc." (Wealth of Nations, libro I, cap. 5, ed. Wakefield, Londra, 1835-39, vol. I, p. 104 sgg.).
33. David Ricardo, On the Principles of Political Economy and Taxation, 3 ed., Londra, 1821, p. 3.
*12. Il signor Ricardo sembrava caduto da un altro pianeta.
34. Sismondi, Etudes sur l'èconomie politique, Bruxelles, 1838, vol. II. "E' il contrasto fra valore d'uso e valore di scambio sul quale il commercio ha ridotto tutta la faccenda", p. 162.
35. Sismondi, ivi, pp. 163-166 sgg.
36. Nel modo più goffo si può dire si presenti nelle annotazioni di J. B. Say alla traduzione francese di Ricardo a cura di Constancio e nel modo più pedantemente presuntuoso nella recente Theory of Exchange, Londra, 1858, del signor Macleod.
37. Questa obiezione a Ricardo, fatta da parte di economisti borghesi, fu ripresa in seguito da parte socialista. Presupposta la esattezza teorica della formula, si accusò la prassi di contraddire la teoria e si intimò alla società borghese di trarre in pratica la presunta conseguenza del suo principio teorico. In questo modo per lo meno taluni socialisti inglesi si valsero della formula ricardiana del valore di scambio contro l'economia politica. Rimase destinato al signor Proudhon di proclamare non soltanto il principio fondamentale della vecchia società come principio della nuova, bensì di proclamare se stesso come inventore della formula in cui Ricardo ha riassunto il risultato complessivo dell'economia classica inglese. E' stato dimostrato che perfino l'interpretazione utopistica della formula ricardiana era già scomparsa senza eco in Inghilterra allorchè il signor Proudhon la "scoprì" al di là della Manica (Cfr. nel mio scritto Misère de la Philosophie ecc., Parigi, 1847, il paragrafo sulla valeur constituée [trad. it., cit., p. 37 sgg.]).
In un dibattito parlamentare sulle leggi bancarie di Sir Robert Peel del 1844 e del 1845, Gladstone osservava che nemmeno l'amore aveva fatto impazzire tanti uomini quanti ne erano impazziti scervellandosi sulla natura del denaro. Parlava di inglesi a inglesi. Gli olandesi, invece, gente che, malgrado i dubbi del Petty, avevano da sempre posseduto uno "spirito celeste" per la speculazione monetaria, non hanno mai perso il loro spirito nella speculazione teorica sulla moneta.
La difficoltà principale dell'analisi del denaro è superata non appena la sua origine è concepita partendo dalla merce stessa. Con questo presupposto si tratterà semplicemente di afferrare nettamente le sue peculiari proprietà formali, cosa che in un certo modo viene resa più difficile perché tutti i rapporti borghesi appaiono dorati o argentati, appaiono come rapporti di denaro, e perché la forma di denaro sembra quindi avere un contenuto infinitamente vario che è estraneo ad essa stessa.
Nell'indagine che segue è da ricordare che si tratta solo di quelle forme del denaro che emergono direttamente dallo scambio delle merci, non però di quelle sue forme legate a uno stadio più elevato del processo di produzione, come ad esempio la moneta di credito. Per semplicità l'oro è sempre presupposto come la merce-denaro.
Il primo processo della circolazione è per così dire un processo teorico che prepara la reale circolazione. Le merci, esistenti come valori d'uso, si creano in un primo momento la forma nella quale appaiono l'una all'altra idealmente come valori di scambio, come determinati quantitativi di tempo di lavoro generale oggettivato. Il primo atto necessario di questo processo è, come vediamo, questo: le merci escludono una merce specifica, diciamo l'oro, quale materializzazione immediata del tempo di lavoro generale ossia quale equivalente generale. Ritorniamo per un momento alla forma nella quale le merci trasformano l'oro in denaro.
1 tonnellata di ferro = 2 once d'oro,
1 quarter di grano = 1 oncia d'oro,
1 quintale di caffè = 1/4 oncia d'oro,
1 quintale di soda = 1/2 oncia d'oro,
1 tonnellata di legno brasiliano = 1 1/2 once d'oro,
Y merce = X once d'oro.
In questa serie di equazioni, il ferro, il grano, il caffè, la soda, ecc. appaiono l'uno all'altro come materializzazione di lavoro uniforme, cioè di lavoro materializzato in oro, lavoro in cui siano cancellate in pieno tutte le particolarità dei reali lavori, rappresentati nei loro differenti valori d'uso. Come valore sono identiche, sono materializzazione del medesimo lavoro, ossia sono la medesima materializzazione del lavoro, oro. Come materializzazione uniforme dello stesso lavoro manifestano una sola differenza, di carattere quantitativo, ossia appaiono come grandezze di valore differenti, poiché nei loro valori d'uso è contenuto un tempo di lavoro disuguale. Come tali singole merci, esse sono in rapporto fra di loro anche come oggettivazione del tempo di lavoro generale, riferendosi al tempo di lavoro generale come a una merce esclusa, all'oro. Quella stessa relazione progressiva per la quale si presentano come valori di scambio l'uno per l'altro, esprime il tempo di lavoro contenuto nell'oro come tempo di lavoro generale, di cui un dato quantitativo si esprime in quantità differenti di ferro, grano, caffè, ecc., in breve, nei valori d'uso di tutte le merci, ossia si svolge direttamente nella serie infinita degli equivalenti-merci. Le merci esprimendo generalmente i propri valori di scambio in oro, l'oro esprime il proprio valore di scambio direttamente in tutte le merci. Le merci, dandosi reciprocamente la forma del valore di scambio, dànno all'oro la forma dell'equivalente generale ossia del denaro.
Poiché tutte le merci misurano in oro i propri valori di scambio nella proporzione in cui una determinata quantità d'oro e una determinata quantità di merce contengono la medesima quantità di tempo di lavoro, l'oro diventa la misura dei valori; e in un primo momento è soltanto per questa sua definizione di misura dei valori per la quale il suo valore si misura direttamente nella cerchia complessiva degli equivalenti-merci, che l'oro diventa equivalente generale ossia denaro. D'altra parte, il valore di scambio di tutte le merci si esprime ora in oro. E in questa espressione occorre distinguere un elemento qualitativo e un elemento quantitativo. Il valore di scambio delle merci esiste come materializzazione di un medesimo e uniforme tempo di lavoro; la grandezza di valore della merce è rappresentata in modo esauriente poiché le merci sono equiparate l'una all'altra nella proporzione in cui si sono equiparate all'oro. Da un lato appare il carattere generale del tempo di lavoro contenuto in esse, dall'altro appare la quantità di questo nel suo equivalente aureo. Il valore di scambio delle merci, espresso in tal modo come equivalenza generale e allo stesso tempo come grado di questa equivalenza in una merce specifica, oppure in un'unica equazione fra le merci e una merce specifica, è il prezzo. Il prezzo è la forma mutata nella quale appare il valore di scambio delle merci in seno al processo di circolazione.
Quindi, mediante il medesimo processo con cui esprimono i propri valori come prezzi in oro, le merci esprimono l'oro come misura dei valori e perciò come denaro. Se misurassero generalmente i propri valori in argento o grano o rame, e quindi li esprimessero come prezzi in argento, grano o rame, l'argento, il grano, il rame diventerebbero misura dei valori e con ciò diventerebbero equivalente generale. Per apparire come prezzi nella circolazione, le merci, rispetto alla circolazione, sono presupposte come valori di scambio.
L'oro diventa misura dei valori soltanto perché tutte le merci stimano il proprio valore di scambio in esso oro. La generalità di questo riferimento progressivo, dalla quale soltanto nasce il suo carattere di misura, presuppone però che ogni singola merce si misuri in oro in proporzione del tempo di lavoro contenuto in entrambi, che quindi misura reale fra merce e oro sia il lavoro stesso, ossia che merce e oro siano equiparati l'una all'altro come valori di scambio attraverso il diretto commercio di scambio. Come avvenga praticamente questa equiparazione non potrà essere discusso nella sfera della circolazione semplice. Ma è chiaro per lo meno che, in paesi produttori di oro e argento, un determinato tempo di lavoro si incorpora direttamente in una determinata quantità di oro e di argento, mentre in paesi che non siano produttori di oro e argento, questo stesso risultato viene raggiunto per via traversa, mediante lo scambio diretto o indiretto delle merci del paese, ossia di una determinata porzione del lavoro medio nazionale, con una determinata quantità del tempo di lavoro materializzato in oro e argento dei paesi possessori di miniere.
Per poter servire da misura dei valori, l'oro deve essere virtualmente un valore variabile perché soltanto come materializzazione del tempo di lavoro può diventare l'equivalente di altre merci, e perché uno stesso tempo di lavoro si realizza però, variando le forze produttive del lavoro reale, in volumi ineguali dei medesimi valori d'uso. Come per l'espressione del valore di scambio di ogni merce nel valore d'uso di altra merce, così, nella valutazione di tutte le merci in oro, è semplicemente presupposto che l'oro in un dato momento esprima una data quantità di tempo di lavoro. Rispetto alla variazione del suo valore vale la legge dei valori di scambio che abbiamo svolta sopra.
Se il valore di scambio delle merci rimane invariato, un aumento generale dei loro prezzi in oro sarà possibile soltanto se diminuirà il valore di scambio dell'oro. Se il valore di scambio dell'oro rimane invariato, un aumento generale dei prezzi in oro sarà possibile soltanto se aumenteranno i valori di scambio di tutte le merci. Il contrario accade nel caso di una diminuzione generale dei prezzi delle merci. Se il valore di un'oncia d'oro diminuisce o aumenta a causa di una variazione del tempo di lavoro richiesto per la sua produzione, il suo valore diminuirà o aumenterà uniformemente per tutte le altre merci, rappresenterà perciò ora come prima per tutte le merci un tempo di lavoro di grandezza data. Valori di scambio uguali si stimano ora in quantità d'oro maggiori o minori di prima, ma si stimano in proporzione delle loro grandezze di valore, essi conservano quindi l'uno rispetto all'altro la stessa proporzione di valore. La proporzione 2:4:8 rimane uguale a quella di 1:2:4 o 4:8:16. La mutata quantità d'oro in cui i valori di scambio si stimano con un valore-oro mutante, non impedisce la funzione dell'oro come misura dei valori, come il valore dell'argento, quindici volte minore di quello dell'oro, non impedisce all'argento di soppiantare l'oro in questa sua funzione. Siccome il tempo di lavoro è la misura fra oro e merce, e siccome l'oro diventa misura dei valori soltanto in quanto tutte le merci si misurano in esso, si tratta di semplice apparenza del processo di circolazione, se il denaro sembra rendere commensurabili le merci [38]. E' invece semplicemente la commensurabilità delle merci quale tempo di lavoro oggettivato che rende l'oro denaro.
La figura reale con cui le merci entrano nel processo di scambio è quella dei loro valori d'uso. Reale equivalente generale esse diventeranno soltanto mediante la loro alienazione. La determinazione del loro prezzo è la loro trasformazione meramente ideale nell'equivalente generale, equazione con l'oro che è ancora da realizzarsi. Ma siccome le merci, nei loro prezzi, sono trasformate in oro solo idealmente ossia in oro puramente immaginario, e siccome il loro essere denaro non è ancora realmente separato dal loro essere reale, l'oro ancora non è trasformato che in denaro ideale, è ancora semplice misura dei valori, e determinate quantità d'oro funzionano ancora, in realtà, semplicemente come denominazioni per determinate quantità di tempo di lavoro. Dal modo determinato in cui le merci esprimono l'una per l'altra il proprio valore di scambio, dipenderà ogni volta la determinatezza formale in cui l'oro si cristallizza come denaro.
Le merci si contrappongono ora come duplici esistenze, realmente come valori d'uso, idealmente come valori di scambio. La duplice forma del lavoro contenuto in esse, la esprimono ora l'una per l'altra mediante la reale presenza del lavoro particolarmente reale quale loro valore d'uso, mentre il tempo di lavoro astratto generale acquisisce nel loro prezzo una presenza immaginaria, nella quale le merci sono materializzazioni uniformi e solo quantitativamente differenti di una medesima sostanza di valore.
La differenza fra valore di scambio e prezzo appare da un lato come differenza soltanto nominale, così come Adam Smith dice che il lavoro è il prezzo reale delle merci e il denaro ne è il prezzo nominale. Invece di stimare un quarter di grano trenta giornate lavorative, ora lo si stima un'oncia di oro, qualora un'oncia d'oro sia il prodotto di trenta giornate lavorative. D'altra parte, la differenza è tanto poco una semplice differenza nominale che in essa sono concentrate invece tutte le intemperie che minacciano la merce nel reale processo di circolazione. Trenta giornate lavorative sono contenute nel quarter di grano ed esso non dovrà quindi essere espresso prima in tempo di lavoro. Ma l'oro è una merce diversa dal grano, e nella circolazione soltanto potrà effettivamente risultate se il quarter di grano diventa realmente un'oncia d'oro, come è stato anticipato nel suo prezzo. Questo dipenderà dal fatto che il quarter di grano si affermi o meno come valore d'uso, che la quantità di tempo di lavoro in esso contenuta si affermi o meno come la quantità di tempo di lavoro richiesta dalla società come necessaria per la produzione di un quarter di grano.
La merce come tale è valore di scambio, ha un prezzo. In questa differenza fra valore di scambio e prezzo si vede che il lavoro individuale particolare, contenuto nella merce, deve essere espresso soltanto mediante il processo dell'alienazione come il proprio opposto, come lavoro privo di individualità, astrattamente generale, e sociale solo in questa forma, ossia come denaro. Sembra dipendere dal caso che il lavoro sia suscettibile di tale espressione o no. Quindi, sebbene il valore di scambio della merce acquisisca nel prezzo solo idealmente un'esistenza distinta dalla merce, e sebbene la duplice esistenza del lavoro in essa contenuto esista ormai soltanto come diverso modo di espressione, e d'altra parte la materializzazione del tempo di lavoro generale, l'oro, si contrapponga ormai alla merce reale solo come misura di valore immaginaria, nell'esistenza del valore di scambio come prezzo, o dell'oro come misura di valore, è contenuta in via latente la necessità dell'alienazione della merce in cambio di oro sonante, la possibilità della sua non-alienazione, in breve è contenuta in modo latente l'intera contraddizione; questa deriva dal fatto che il prodotto è merce, ossia che il lavoro particolare del singolo individuo, per avere effetto sociale deve esprimersi come il proprio immediato opposto, come lavoro astrattamente generale. Gli utopisti che vogliono la merce, ma non il denaro, che vogliono la produzione basata sullo scambio privato senza le condizioni necessarie di questa produzione, sono perciò coerenti quando "distruggono" il denaro, non soltanto nella sua forma tangibile, bensì già nella sua forma aerea ed arzigogolata di misura dei valori. Nella misura indivisibile dei valori sta in agguato la dura moneta.
Presupposto il processo per il quale l'oro è diventato la misura dei valori, e il valore di scambio è diventato prezzo, tutte le merci nei loro prezzi ormai non sono che immaginarie quantità d'oro di grandezza diversa. In quanto tali quantità diverse di una medesima cosa, dell'oro, le merci si assomigliano, si raffrontano e si misurano l'una con l'altra, e in tal modo si sviluppa tecnicamente la necessità di riferirle a una determinata quantità d'oro come unità di misura, la quale è bene sviluppata ulteriormente fino a diventare una scala di misura mediante la sua suddivisione in parti aliquote e la suddivisione di queste, a loro volta, in altre parti aliquote [39]. Ma le quantità d'oro come tali si misurano mediante il peso. La scala delle misure si trova quindi già presente nelle misure generali dei pesi dei metalli che in ogni circolazione metallica servono quindi realmente in origine da misure dei prezzi. Le merci non riferendosi più l'una all'altra come valori di scambio da misurarsi mediante il tempo di lavoro, bensì come grandezze di uguale denominazione, misurate in oro, l'oro da misura dei valori si trasforma in scala dei prezzi.
Il confronto dei prezzi delle merci fra di loro come quantità diverse d'oro si cristallizza in tal modo nelle figurazioni che sono iscritte in una quantità immaginaria di oro e esprimono questa come scala di parti aliquote. L'oro, come misura dei valori e come scala di misura dei prezzi, ha una determinatezza formale del tutto distinta, e lo scambiare l'una con l'altra ha provocato il sorgere delle teorie più pazzesche. Misura dei valori l'oro è in quanto tempo di lavoro oggettivato, scala di misura dei prezzi l'oro è in quanto sia un determinato peso metallico. Misura dei valori l'oro diventa quando, come valore di scambio, è riferito alle merci come valori di scambio; nella scala di misura dei prezzi una determinata quantità di oro serve come unità per altre quantità d'oro. L'oro è misura di valore perché il suo valore è variabile; è scala di misura dei prezzi perché è fissato come unità di peso invariabile. Qui, come in tutte le determinazioni di misura di grandezze di uguale denominazione, la fissità e la determinatezza delle proporzioni di misura diventano decisive.
La necessità di fissare una quantità d'oro come unità di misura e di fissare parti aliquote come suddivisioni di quest'unità, ha fatto nascere l'idea che una determinata quantità d'oro, che naturalmente ha valore variabile, sarebbe messa in un rapporto fisso di valore nei confronti dei valori di scambio delle merci; dicendo questo ci si dimentica però che i valori di scambio delle merci sono trasformati in prezzi, in quantità d'oro, prima che l'oro si sviluppi come scala di misura dei prezzi. Comunque varii il valore dell'oro, quantità diverse d'oro rappresentano l'una nei confronti dell'altra sempre lo stesso rapporto di valore. Se il valore dell'oro diminuisse del mille per cento, dodici once d'oro avrebbero pur sempre un valore dodici volte maggiore di quello di un'oncia d'oro, e nei prezzi si tratta soltanto del rapporto reciproco fra quantità di oro diverse. D'altra parte, siccome un'oncia d'oro non cambia affatto il proprio peso con la diminuzione o con l'aumento del proprio valore, non cambia nemmeno il peso delle sue parti aliquote, e in tal modo l'oro come scala fissa di misura dei prezzi compie sempre lo stesso servizio per quanto varii il suo valore [40].
A un processo storico che spiegheremo più avanti risalendo alla natura della circolazione metallica, dobbiamo il fatto che per un peso costantemente variante e discendente di metalli nobili, nella loro funzione di scala di misura dei prezzi, venisse conservata la stessa denominazione di peso. Così la lira sterlina inglese esprime meno di un terzo del suo peso originario, la lira sterlina scozzese anteriore a l'Unione designa ora soltanto 1/36, la livre francese 1/74, il maravedi spagnuolo meno di 1/1000, il re portoghese designa una proporzione di gran lunga minore di quest'ultima. Così le denominazioni monetarie dei pesi metallici si sono scisse storicamente dalle loro denominazioni generali di peso [41]. Siccome da una parte la determinazione dell'unità di misura, delle sue parti aliquote e delle loro denominazioni, è puramente convenzionale, e d'altra parte essa deve avere entro la circolazione il carattere della generalità e della necessità, essa dovette diventare determinazione legale. L'operazione puramente formale toccò quindi ai governi [42].
Il metallo determinato che serviva da materiale del denaro era dato socialmente. In paesi diversi la scala di misura legale dei prezzi è naturalmente diversa. In Inghilterra p. es. l'oncia come peso metallico è suddivisa in pennyweights, grains e carats troy, ma l'oncia d'oro come unità di misura del denaro è suddivisa in 3 7/8 di sovereigns, il sovereign in venti scellini, lo scellino in dodici pence, così che cento sterline in oro a ventidue carati (1.200 once) sono pari a 4.672 sovereigns e dieci scellini. Sul mercato mondiale, tuttavia, dove scompaiono i confini nazionali questi caratteri nazionali delle misure del denaro scompaiono nuovamente e cedono il posto alle misure di peso generali dei metalli.
Il prezzo di una merce, ossia la quantità d'oro in cui è idealmente trasformata, si esprime quindi ora nelle denominazioni monetarie della scala di misura dell'oro. Perciò, invece di dire che il quarter di grano è pari a un'oncia d'oro, in Inghilterra si direbbe che è pari a 3 lire sterline 17 scellini 10 1/2 pence. Tutti i prezzi si esprimono in tal modo nella stessa denominazione. La forma peculiare che le merci conferiscono al proprio valore di scambio è mutata in denominazioni monetarie con cui si dicono l'una all'altra quanto valgono. Il denaro a sua volta diventa moneta di conto [43].
La trasformazione della merce in moneta di conto, fatta mentalmente, sulla carta, a voce, avviene tutte le volte che una qualsiasi specie di ricchezza viene fissata dal punto di vista del valore di scambio [44]. Per questa trasformazione occorre il materiale dell'oro, ma soltanto come materiale immaginario. Per stimare il valore di mille balle di cotone in un determinato numero di once d'oro e per esprimere questo numero d'once a sua volta nelle denominazioni di conto dell'oncia, in lire sterline, scellini, pence, non occorre neanche un atomo di oro reale. Così, in Scozia prima delle leggi bancarie emanate da Sir Robert Peel nel 1845, non circolava alcuna oncia d'oro, benché l'oncia d'oro, espressa come misura di conto inglese in 3 lire sterline 17 scellini 10 1/2 pence, servisse da misura legale dei prezzi. Così, l'argento serve da misura dei prezzi nello scambio delle merci fra Siberia e Cina, benché il commercio sia in realtà commercio di scambio e nient'altro. E' quindi indifferente per il denaro come moneta di conto che la sua stessa unità di misura o le suddivisioni di questa siano realmente coniate. In Inghilterra, all'epoca di Guglielmo il Conquistatore, esistevano 1 lira sterlina, allora 1 libbra di argento puro, e lo scellino, 1/20 di una libbra, soltanto come moneta di conto, mentre il penny, 1/240 di libbra d'argento, era la moneta d'argento più grande che esistesse. Viceversa, nell'Inghilterra d'oggi, non esistono scellini e pence benché siano denominazioni di conto legali per parti determinate di un'oncia d'oro. Il denaro come moneta di conto può in genere esistere solo idealmente, mentre il denaro esistente realmente è coniato secondo tutt'altra scala di misura. Così, in molte colonie inglesi dell'America del Nord fino al secolo XVIII inoltrato il denaro circolante consisteva di monete spagnuole e portoghesi, mentre la moneta di conto era dappettutto la stessa che si aveva in Inghilterra [45].
Siccome l'oro, come scala di misura dei prezzi, si presenta nelle stesse denominazioni di conto dei prezzi delle merci, e dunque un'oncia d'oro è espressa in 3 lire sterline 17 scellini 10 1/2 pence, proprio come lo è una tonnellata di ferro, queste sue denominazioni di conto si sono chiamate il suo prezzo monetario. Perciò è nata la strana idea che l'oro sia stimato nel suo proprio materiale, e che riceva un prezzo fisso, a differenza di tutte le altre merci, per ragioni di Stato. La fissazione di denominazioni di conto per determinati pesi d'oro si riteneva erroneamente fosse la fissazione del valore di questi pesi [46].
L'oro, là dove serve da elemento della determinazione del prezzo e quindi da moneta di conto, non soltanto non ha un prezzo fisso, ma in generale non ha prezzo alcuno. Per avere un prezzo, cioè per esprimersi come equivalente generale in una merce specifica, quest'altra merce dovrebbe avere nel processo di circolazione quella stessa funzione esclusiva che vi ha l'oro. Ma due merci che escludano tutte le altre merci si escludono a vicenda. Perciò, là dove l'oro e l'argento esistono l'uno accanto all'altro, legalmente, come denaro, cioè come misura del valore, si è sempre compiuto il vano tentativo di trattarli come una sola e medesima materia. Presupposto che il medesimo tempo di lavoro si oggettivi immutabilmente nella medesima proporzione di argento e oro, in realtà è presupposto che l'argento e l'oro siano la medesima materia, e che l'argento, metallo meno pregiato, sia una frazione invariabile di oro.
Dal regno di Edoardo III all'epoca di Giorgio II, la storia delle finanze inglesi si smarrisce in una continua serie di perturbazioni derivanti dalla collisione fra la fissazione legale del rapporto di valore fra l'oro e l'argento e le reali oscillazioni del loro valore. Ora si stimava troppo alto l'oro, ora l'argento. Il metallo stimato troppo poco veniva sottratto alla circolazione, fuso ed esportato. Il rapporto di valore fra i due metalli veniva poi modificato di nuovo legalmente, ma il nuovo valore nominale ben presto entrava in conflitto con il rapporto reale del valore, come era accaduto per quello vecchio. Nell'epoca nostra, la lievissima e passeggera caduta del valore dell'oro in confronto a quello dell'argento, dovuto alla domanda d'argento da parte dell'India e della Cina, ha prodotto su scala massima quello stesso fenomeno in Francia, esportazione dell'argento e sua cacciata dalla circolazione da parte dell'oro. Durante gli anni, 1855, 1856, 1857 l'eccedenza dell'importazione di oro nei confronti dell'esportazione ammontava in Francia a 41.580.000 lire sterline, mentre l'eccedenza dell'esportazione d'argento nei confronti dell'importazione era di lire sterline 14.704.000. Infatti, in paesi come la Francia, nei quali tutte e due i metalli sono per legge misura di valore e devono essere accettati in pagamento entrambi, ma ognuno può a suo piacere pagare nell'uno o nell'altro dei due metalli, il metallo che aumenta di valore gode di un aggio e misura, come ogni altra merce, il proprio valore nel metallo sopravvalutato, mentre quest'ultimo soltanto serve da misura di valore. Tutte le esperienze storiche si riducono in questo campo al semplice fatto che là dove per legge due merci hanno la funzione di misura di valore, di fatto è sempre una sola che riesce a mantenersi [47].
Il fatto che le merci come prezzi sono trasformate in oro solo idealmente e quindi l'oro è trasformato solo idealmente in denaro, ha dato origine alla teoria della unità di misura ideale del denaro. Siccome nella determinazione del prezzo funzionano solo oro o argento immaginari, e l'oro e l'argento funzionano solo come moneta di conto, è stato affermato che le denominazioni di sterlina, scellino, pence, tallero, franco, ecc., invece di disegnare parti di peso d'oro o d'argento o un lavoro oggettivato comunque sia, designano piuttosto atomi ideali di valore. Perciò, se p. es. il valore di un'oncia d'argento aumentasse, essa conterrebbe un maggior numero di questi atomi e dovrebbe quindi essere calcolata e coniata in un maggior numero di scellini. Questa dottrina, riaffermata durante l'ultima crisi commerciale inglese e perfino presentata in parlamento da due rapporti particolari acclusi al rapporto del comitato bancario riunito nel 1858, risale alla fine del secolo XVII.
All'epoca dell'avvento al trono di Guglielmo III il prezzo della moneta inglese corrispondente a un'oncia d'argento ammontava a 5 scellini 2 pence, ossia 1/62 di un'oncia di argento era chiamato penny e 12 di questi pence erano chiamati scellino. Secondo questa scala di misura un peso d'argento di 6 once, p. es., veniva monetato in 31 pezzi dal nome di scellino. Il prezzo di mercato dell'oncia d'argento saliva però al di sopra del suo prezzo monetario, da 5 scellini e 2 pence a 6 scellini 3 pence, ossia per comprare un'oncia di argento grezzo bisognava dare 6 scellini e 3 pence. Com'era possibile che il prezzo di mercato di un'oncia d'argento salisse al di sopra del suo prezzo monetario se quest'ultimo era semplicemente la denominazione di conto per parti aliquote di un'oncia d'argento? Ma l'enigma si risolse con semplicità. Delle 5.600.000 lire sterline di moneta argentea allora in circolazione, quattro milioni erano logori e limati. Risultò a una prova che 57.200 lire sterline in argento, che avrebbero dovuto pesare 220.000 once, ne pesavano soltanto 141 mila. La zecca coniava sempre secondo la stessa misura, ma gli scellini leggeri, realmente circolanti, rappresentavano parti aliquote dell'oncia minori di quel che pretendesse la loro denominazione. Un quantitativo piuttosto notevole di questi scellini rimpiccioliti dovette quindi essere pagato sul mercato per un'oncia di argento grezzo. Quando, in seguito alla perturbazione così sorta, fu decisa una monetazione generale nuova, Lowndes, il secretary to the treasury, sostenne che il valore dell'oncia d'argento era aumentato e che quindi in avvenire l'oncia d'argento doveva essere monetata in 6 scellini 3 pence invece che in 5 scellini 2 pence, come si faceva prima. Di fatto sosteneva dunque che, essendo aumentato il valore dell'oncia, era diminuito il valore delle sue parti aliquote. Ma la sua falsa teoria era un semplice coonestamento di un giusto scopo pratico. I debiti dello Stato erano contratti in scellini leggeri, dovevano forse essere ripagati in scellini pesanti? Invece di dire, ripagate 4 once d'argento là dove avete ricevuto 5 once nominalmente ma in realtà soltanto 4, egli diceva viceversa: ripagate nominalmente 5 once, ma riducetele a 4 once, secondo il contenuto metallico, e chiamate scellino quello che prima chiamavate 4/5 di scellino. Lowndes teneva dunque in realtà fermo al contenuto metallico, mentre in teoria teneva fermo alla denominazione di conto. I suoi avversari, che tenevano fermo alla semplice denominazione di conto e quindi dichiaravano che uno scellino con un difetto di peso del 25-30 per cento era identico a uno scellino dal peso esatto, sostenevano viceversa di tener fermo al solo contenuto metallico. John Locke, il quale sosteneva la nuova borghesia in tutte le sue forme, gli industriali contro le classi lavoratrici e gli impoveriti, gli imprenditori commerciali contro gli usurai all'antica, l'aristocrazia della Finanza contro i debitori dello Stato, Locke, il quale in una sua opera dimostrò perfino che l'intelletto borghese è l'intelletto umano normale, raccolse anche il guanto di sfida lanciato da Lowndes. La vittoria toccò a John Locke, e il denaro, preso a prestito a 10 o 14 scellini la ghinea, veniva restituito in ghinee da 20 scellini [48]. Sir James Steuart riassume ironicamente tutta la transazione con queste parole: "Il governo realizzò un notevole guadagno sulle imposte, i creditori sul capitale e sugli interessi, e la nazione, unica vittima della truffa, era allegra come una pasqua perché il suo standard (la scala di misura del proprio valore) non era stato abbassato" [49]. Lo Steuart era dell'opinione che in una fase ulteriore di sviluppo commerciale la nazione si sarebbe mostrata più astuta. Sbagliava. Circa 120 anni dopo si ripetè lo stesso quid pro quo.
Era una cosa del tutto naturale che il vescovo Berkeley, rappresentante di un mistico idealismo nella Filosofia inglese, desse al principio dell'unità di misura ideale del denaro un indirizzo teorico, cosa che il pratico "secretary to the treasury" aveva trascurato di fare. Egli domanda: "Non sono i nomi di livre, lira sterlina, corona, ecc. da considerarsi semplici nomi di proporzione?" (cioè proporzioni del valore astratto come tale). "L'oro, l'argento o la carta sono forse più che semplici biglietti o marche per il suo computo, la sua registrazione e il suo controllo" (della proporzione del valore). "Il potere di comandare l'industriosità altrui" (il lavoro sociale) "non è forse ricchezza? Ed è il denaro realmente altro che una marca o un simbolo del trasferimento o della registrazione di tale potere, ed è forse di grande importanza in che cosa consista il materiale di queste marche?" [50]. Qui vediamo che da un lato la misura dei valori è scambiata per la scala di misura dei prezzi, dall'altro oro o argento come misura sono scambiati per oro e argento come mezzo di circolazione. Siccome tutti i metalli nobili, all'atto della circolazione, possono essere sostituiti con marche, il Berkeley ne deduce che queste marche non rappresentano nulla, ossia rappresentano il concetto del valore astratto.
La teoria dell'unità di misura ideale del denaro è svolta così a fondo in Sir James Steuart che i suoi successori - successori inconsapevoli in quanto non lo conoscono - non trovano una nuova espressione di linguaggio e nemmeno un nuovo esempio. "La moneta di conto - egli dice - non è altro che una scala di misura arbitraria di parti uguali, inventata per misurare il valore relativo di cose vendibili. La moneta di conto è del tutto diversa dal denaro-moneta che è prezzo [51], e potrebbe esistere benché non ci fosse una sostanza al mondo capace di restituire l'equivalente proporzionale di tutte le merci. La moneta di conto compie per il valore delle cose lo stesso servizio che compiono gradi, minuti, minuti secondi, ecc. per gli angoli o compiono scale di misura per le carte geografiche, ecc. In tutte queste invenzioni è sempre presupposta come unità la stessa denominazione. Come l'utilità di tutte queste funzioni è semplicemente limitata all'indicazione della proporzione così avviene per l'unità di denaro. Questa non può quindi avere una proporzione determinata invariabilmente nei confronti di una parte qualsiasi del valore, ossia non può essere fissata in un qualsiasi quantitativo determinato d'oro, argento o di un'altra qualsiasi merce. Una volta data l'unità, si potrà salire al valore massimo soltanto mediante la moltiplicazione.
Siccome il valore delle merci dipende da una generale confluenza di circostanze, che agiscono su di esse, e di capricci degli uomini, il valore delle merci dovrebbe essere considerato mutevole soltanto nelle loro reciproche relazioni. Qualsiasi cosa che turbi o confonda l'accertamento della variazione nelle proporzioni mediante una scala di misura generale determinata e immutabile, non potrà che agire in modo dannoso sul commercio. Il denaro è una scala di misura puramente ideale di parti uguali. Se taluno domanda che cosa debba essere l'unità di misura del valore di una parte, io rispondo con quest'altra domanda: che cos'è la grandezza normale di un grado, di un minuto, di un minuto secondo? Essi non ne hanno, ma non appena è determinata una parte, la natura di una scala vuole che segua in maniera proporzionata tutto il resto. Esempi di questo denaro ideale sono la moneta bancaria di Amsterdam o la moneta dell'Angola per la costa sudafricana." [52]
Lo Steuart si limita semplicemente all'apparizione del denaro nella circolazione come scala di misura dei prezzi e come moneta di conio. Se merci diverse sono elencate nel listino prezzi a 15 scellini, 20 scellini, 36 scellini, in realtà, per il raffronto delle loro grandezze di valore non mi interessa né il contenuto argenteo né la denominazione dello scellino. Le proporzioni numeriche di 15, 20, 36, ora dicono tutto, e il numero 1 è diventato l'unica unità di misura. Espressione puramente astratta di una proporzione è in genere soltanto la stessa proporzione numerica astratta. Per essere conseguente, lo Steuart doveva quindi lasciar andare non soltanto l'oro e l'argento, bensì anche i loro nomi di battesimo legali. Siccome egli non capisce la trasformazione della misura dei valori in scala di misura dei prezzi, egli crede naturalmente che la determinata quantità d'oro che serve da unità di misura, sia riferita come misura non ad altre quantità d'oro, bensì a valori come tali, poiché le merci, mediante la trasformazione dei loro valori di scambio in prezzi, appaiono come grandezze di una stessa denominazione, egli nega la qualità della misura che le rende uguali di denominazione, e siccome, in questo raffronto di quantità d'oro diverse, la grandezza della quantità d'oro adibita a unità di misura è convenzionale, egli nega che essa debba in genere essere fissata. Invece di chiamare grado la 360ª parte di un circolo, egli potrebbe chiamare grado la 180ª parte; in tal caso l'angolo retto verrebbe misurato da 45 gradi invece che da 90, e gli angoli acuti e ottusi in misura corrispondente. Ciò nondimeno la misura dell'angolo rimarrebbe sempre in primo luogo una figura matematica qualitativamente determinata, il circolo, e in secondo luogo una sezione del circolo quantitativamente determinata.
Quanto agli esempi economici dello Steuart, questi si batte da sé con l'uno e non dimostra nulla con l'altro. Il denaro bancario di Amsterdam in realtà non era che una denominazione di conto per i doppioni spagnuoli i quali conservavano il loro pieno peso di grasso stando pigramente immagazzinati nelle volte della banca, mentre la laboriosa moneta corrente era dimagrita nel duro attrito con il mondo esterno. Ma quanto agli idealisti africani, dovremo abbandonarli al loro destino fino a che descrittori critici di viaggi non ci avranno dato dei particolari sul loro conto [53]. Denaro quasi-ideale, nel senso dello Steuart, potrebbe essere definito l'assegnato francese: "Proprietà nazionale, Assegnato di franchi 100". In questo caso, è vero, era specificato il valore d'uso che l'assegnato doveva rappresentare, cioè la proprietà fondiaria confiscata, ma la determinazione quantitativa dell'unità di misura era dimenticata, e il "franco" era quindi un termine senza senso. Infatti la quantità grande o piccola di terra che un franco d'assegnato rappresentava, dipendeva dal risultato dell'asta pubblica. In pratica però il franco-assegnato circolava come simbolo di valore per il denaro argenteo, e con questa scala di misura dell'argento si misurava quindi il suo deprezzamento.
L'epoca della sospensione dei pagamenti in contanti da parte della Banca d'Inghilterra fu appena appena più fertile di bollettini di guerra che di teorie sul denaro. Il deprezzamento delle banconote e l'aumento del prezzo di mercato dell'oro al di sopra del suo prezzo monetario ridestarono per alcuni difensori della Banca la dottrina della misura ideale del denaro. L'espressione classicamente confusa di questa opinione confusa la trovò Lord Castlereagh designando l'unità di misura del denaro come "a sense of value in reference to currency as compared with commodities" [*13]. Allorchè le circostanze, alcuni anni dopo la pace di Parigi, consentirono la ripresa dei pagamenti in contanti, si fece sentire in forma quasi identica quello stesso problema che Lowndes aveva sollevato sotto Guglielmo III. Un enorme debito dello Stato e una massa di debiti privati, di obbligazioni fisse, ecc. accumulati durante più di vent'anni, erano contratti in banconote deprezzate. Dovevano essere ripagati in banconote delle quali 4.672 sterline 10 scellini rappresentavano, non nominalmente, ma obiettivamente, 100 sterline di oro a 22 carati? Thomas Attwood, banchiere di Birmingham, entrò in scena come un Lowndes redivivo. Nominalmente i creditori dovevano riavere lo stesso numero di scellini di quelli nominalmente dati, ma se in base al vecchio conio si chiamava scellino all'incirca 1/78 d'oncia d'oro, ora doveva essere battezzato scellino, diciamo, l/90. I seguaci dell'Attwood sono noti come scuola di Birmingham dei "little shilling-men" [*14]. Il litigio sulla misura ideale del denaro, cominciato nel 1819, perdurava sempre ancora nel 1845 fra Sir Robert Peel e l'Attwood; la sapienza di quest'ultimo, in quanto si riferisce alla funzione del denaro come misura, è riassunta in modo esauriente nella seguente citazione: "Sir Robert Peel domanda nella sua polemica con la camera di commercio di Birmingham: che cosa rappresenterà il vostro biglietto da una sterlina? Che cosa è una sterlina?... Viceversa, che cosa si deve intendere allora per l'attuale unità di misura del valore?... 3 sterline 17 scellini 10 1/2 pence, significano un'oncia d'oro o il valore di questa? Se significano l'oncia stessa, perché non chiamare le cose con il loro nome e non dire, invece di lira sterlina, scellino, penny, piuttosto oncia, penny-weight e gran? In tal caso torneremo al sistema del commercio di scambio diretto... Oppure significano il valore? Se un'oncia = 3 lire sterline 17 scellini 10 1/2 pence, perché in epoche diverse valeva ora 5 lire sterline 4 scellini, ora 3 lire sterline 17 scellini 9 pence?... L'espressione lira sterlina (Lst.) si riferisce al valore, ma non al valore fissato in una invariabile frazione di peso d'oro. La lira sterlina è un'unità ideale... Il lavoro è la sostanza alla quale si riducono i costi di produzione, e il lavoro conferisce all'oro il suo valore relativo, come lo conferisce al ferro. Qualsiasi denominazione di conto si usi quindi per designare il lavoro giornaliero o settimanale di un uomo, questa denominazione esprimerà il valore della merce prodotta" [54].
Nelle ultime parole l'idea nebulosa della misura ideale del denaro si dilegua ed erompe il suo vero e proprio contenuto di pensiero. Le denominazioni di conto dell'oro, sterlina, scellino, ecc. devono essere denominazioni per determinate quantità di tempo di lavoro, poiché il tempo di lavoro è sostanza e misura immanente dei valori, quelle denominazioni raffigurerebbero reali proporzioni di valore. In altre parole, il tempo di lavoro è dichiarato vera unità di misura del denaro. Con questo abbandoniamo la scuola di Birmingham, ma osserveremo così di passaggio che la dottrina della misura ideale del denaro ebbe una nuova importanza nella polemica sulla convertibilità o inconvertibilità dei biglietti di banca. Se la carta ha la sua denominazione dall'oro o dall'argento, la convertibilità del biglietto di banca, ossia la possibilità di scambiarla con oro o argento, rimane legge economica, quale sia la legge giuridica. In tal modo un tallero-carta prussiano, benché legalmente inconvertibile, sarebbe subito deprezzato qualora nei rapporti d'uso valesse meno di un tallero-argento e quindi fosse inconvertibile praticamente. I sostenitori coerenti della carta moneta inconvertibile si rifugiarono quindi in Inghilterra nella misura ideale del denaro. Se le denominazioni di conto del denaro, lira sterlina, scellino ecc., sono denominazioni di una determinata somma, sono atomi di valore dei quali una merce assorbe o cede nello scambio con altre merci ora una maggiore quantità ora una minore, un biglietto inglese da 5 sterline p. es. sarà indipendente dal suo rapporto con l'oro proprio come lo è dal rapporto con il ferro o il cotone. Siccome il suo titolo avrebbe cessato di equipararlo in teoria a una determinata quantità d'oro o di qualsiasi altra merce, l'esigenza della sua convertibilità, ossia della sua pratica equiparazione a una determinata quantità di una cosa specificata, sarebbe esclusa dal suo stesso concetto.
La dottrina del tempo di lavoro quale unità di misura diretta del denaro è stata svolta sistematicamente per la prima volta da John Gray [55]. Questi fa accertare da una banca centrale nazionale, per mezzo delle sue banche filiali, il tempo di lavoro consumato nella produzione delle diverse merci. In cambio della merce il produttore riceve un certificato ufficiale del valore, ossia una quietanza per la quantità di tempo di lavoro che è contenuta nella sua merce [56], e questi biglietti di banca da 1 settimana lavorativa, da 1 giornata lavorativa, da 1 ora lavorativa, ecc. servono allo stesso tempo come biglietto di credito per un equivalente in tutte le altre merci immagazzinate nei recinti della banca [57]. Questo è il principio fondamentale, elaborato accuratamente nei particolari e sempre appoggiato a istituzioni inglesi esistenti. Con questo sistema, dice il Gray, "sarebbe in tutti i tempi reso facile vendere per denaro come è facile ora comprare con denaro; la produzione sarebbe la fonte uniforme, mai esaurentesi, della domanda" [58]. I metalli nobili perderebbero il loro "privilegio" nei confronti di altre merci e "verrebbero a occupare il posto spettante loro sul mercato accanto al burro, alle uova, al panno e al cotone, e il loro valore non ci interesserebbe più di quello dei diamanti" [59]. "Dovremmo immaginare la nostra misura immaginaria dei valori, l'oro, e incatenare in tal modo le forze produttive del paese, oppure dovremmo avvicinarci alla misura naturale dei valori, al lavoro, e lasciare libero giuoco alle forze produttive del paese?" [60]
Siccome il tempo di lavoro è la misura immanente dei valori, perché avere accanto ad esso un'altra misura esterna? perché il valore di scambio diviene prezzo? perché tutte le merci stimano il proprio valore in una merce esclusiva, che in tal modo viene trasformata nell'esistenza adeguata del valore di scambio, in denaro? Questo era il problema che il Gray doveva risolvere. Invece di risolverlo, egli si immaginava che le merci potessero riferirsi l'una all'altra direttamente in quanto prodotti del lavoro sociale. Ma le merci si possono riferire l'una all'altra solo in quanto sono quello che sono. Le merci sono in modo immediato prodotti di singoli lavori privati indipendenti, i quali mediante la propria alienazione nel processo dello scambio privato, devono confermarsi come lavoro sociale generale, ovvero il lavoro sulla base della produzione mercantile diventa lavoro sociale soltanto attraverso la generale alienazione dei lavori individuali. Ma se il Gray presuppone il tempo di lavoro contenuto nelle merci come tempo di lavoro immediatamente sociale, egli lo presuppone come tempo di lavoro comune ossia come tempo di lavoro di individui direttamente associati. Così, infatti, una merce specifica come l'oro e l'argento, non potrebbe contrapporsi alle altre merci come incarnazione del lavoro generale, il valore di scambio non diventerebbe prezzo, ma non diventerebbe neanche valore di scambio il valore d'uso, il prodotto non diventerebbe merce, e in tal modo sarebbe eliminata la base della produzione borghese. Ma non è affatto questa l'opinione del Gray. I prodotti dovrebbero essere prodotti come merci, ma non scambiati come merci. Il Gray incarica dell'esecuzione di questo pio desiderio una banca nazionale. Da un lato la società, nella forma di banca, rende i singoli individui indipendenti dalle condizioni dello scambio privato, e dall'altro fa che essi continuino a produrre sulla base dello scambio privato. La coerenza interna spinge tuttavia il Gray a negare una dopo l'altra le condizioni della produzione borghese, sebbene egli intenda "riformare" solo il denaro derivante dallo scambio delle merci. Così egli trasforma il capitale in capitale nazionale [61], la proprietà fondiaria in proprietà nazionale [62], e guardando la sua banca un po' più, da vicino, si trova non soltanto che con una mano riceve merci e con l'altra distribuisce i certificati del lavoro consegnato, bensì che essa regola la produzione stessa. Nel suo ultimo scritto Lectures on Money nel quale cerca timorosamente di presentare il suo denaro-lavoro come riforma puramente borghese, il Gray si confonde in assurdità ancora più stridenti.
Ogni merce è direttamente denaro. Questa era la teoria del Gray, derivata dalla sua analisi della merce incompleta e quindi errata. La costruzione "organica" del "denaro-lavoro" e della "banca nazionale" e dei "magazzini di merci" è solo una chimera in cui il dogma è fatto apparire come legge dominante il mondo. Il dogma che la merce è direttamente denaro e che il lavoro particolare dell'individuo privato in essa contenuto è direttamente lavoro sociale, non diventa vero naturalmente per il fatto che una banca vi creda e operi in base ad esso. Il fallimento si assumerebbe in tal caso piuttosto la parte della critica pratica. Quello che nel Gray rimane celato e rimane in particolare un segreto per lo stesso Gray, ossia che il denaro-lavoro è una frase dal suono economico per il pio desiderio di liberarsi del denaro, insieme con il denaro del valore di scambio, insieme con il valore di scambio della merce, e insieme con la merce della forma borghese della produzione, è detto a chiare parole da alcuni socialisti inglesi i quali hanno scritto in parte prima del Gray in parte dopo [63]. Ma rimase privilegio del signor Proudhon e della sua scuola di predicare seriamente come nocciolo del socialismo la degradazione del denaro e l'ascensione in cielo della merce e di ridurre in tal modo il socialismo a un elementare malinteso circa il necessario nesso fra merce e denaro [64].
Note
38. Aristotele vede, è vero, che il valore di scambio delle merci è presupposto ai prezzi delle merci: "Che... vi fosse lo scambio prima che esistesse il denaro, è cosa evidente; infatti non fa alcuna differenza che cinque giacigli valgano una casa o tanto denaro quanto ne valgano cinque giacigli". D'altra parte, siccome le merci posseggono l'una per l'altra la forma del valore di scambio soltanto nel prezzo, egli le fa diventare commensurabili mediante il denaro. "Tutto deve avere un prezzo; poiché in tal modo vi saranno sempre scambi e di conseguenza vi sarà sempre una società. Il denaro, pari ad una misura, rende di fatto commensurabili ( le cose per equipararle poi reciprocamente, poiché non vi è società senza scambio, ma lo scambio non può esservi senza parità e la parità non può esservi senza commensurabilità." Egli non si nasconde che queste cose differenti misurate dal denaro siano grandezze assolutamente incommensurabili. Quello che egli cerca è l'unità delle merci in quanto valori di scambio, la quale egli da greco antico non poteva trovare. Si toglie dall'imbarazzo facendo diventar commensurabile mediante il denaro quello che di per sé è incommensurabile, nella misura necessaria per i bisogni pratici. "E' bensì impossibile in verità che cose così differenti siano commensurabili, ma per il bisogno pratico questo avviene" (Aristotele, Ethica Nicomachea, libro V, cap. 8, ed. Bekkeri, Oxonii, 1837. [Opera, vol. IX, p. 99 sgg.]).
39. Lo strano fatto che l'oncia d'oro, in Inghilterra, come unità di misura del denaro non sia suddivisa in parti aliquote, si spiega nel modo seguente: "La nostra monetazione in origine era adattata solo all'uso dell'argento, perciò un'oncia d'argento può sempre essere suddivisa in un numero corrispondente di monete; ma siccome l'oro fu introdotto solo più tardi nel sistema monetario adattato al solo argento, un'oncia d'oro non può essere coniata in un numeno corrispondente di monete" (Maclaren, History of the Currency, Londra, 1858, p. 16).
40. "Il denaro può oscillare costantemente nel valore eppure essere una misura del valore altrettanto bene che se rimanesse invariato in pieno. Poniamo p. es. sia diminuito di valore. Prima della diminuzione una ghinea avrebbe comprato tre bushels di grano ossia il lavoro di 6 giorni; in seguito comprerebbe soltanto due bushels di grano ossia il lavoro di 4 giorni. In entrambi i casi, date le proporzioni fra grano e lavoro, e denaro dall'altra parte, potrà essere dedotta la loro proporzione reciproca; in altri termini, potremo venir a sapere che un bushel di grano vale due giornate lavorative. Questo è tutto quello che è implicito nella misurazione dei valori e sarà fatto, dopo una diminuzione, in modo liscio come prima. La distinzione di una cosa come misura di valore è del tutto indipendente dalla variabilità del suo valore" (Bailey, Money and its Vicissitudes, Londra, 1837, pp. 9, 10).
41. "Le monete le quali oggi sono ideali sono le più antiche d'ogni nazione, e tutte furono un tempo reali" (quest'ultima cosa è inesatta in questa estensione), "e perché erano reali con esse si contava" (Galiani, Della Moneta, cit., p. 153).
42. Il romantico A. Müller dice: "Secondo le nostre idee ogni sovrano indipendente ha il diritto di denominare il denaro metallico, di attribuirgli un valore nominale, rango, categoria e titolo sociali" (A. Müller, Die Elemente der Staatskunst, Berlino, 1809, vol. II, p. 288). Quanto al titolo, il signor consigliere aulico ha ragione; egli si dimentica però del contenuto. Quanto fossero confuse le sue "idee", risulta p. es. dal seguente passo: "Ognuno capisce quanto sia importante la vera determinazione del monetaggio, specialmente in un paese come l'Inghilterra dove il governo con grandiosa liberalità conia gratuitamente (il signor Müller sembra credere che il personale di governo inglese provveda di tasca propria privata alle spese di monetazione), dove non riscuote alcun monetaggio, ecc., e quindi se il governo fissasse il prezzo monetario dell'oro sensibilmente più alto del prezzo di mercato, se invece di pagare ora un'oncia d'oro con 3 lire sterline 17 scellini 10 1/2 pence, fissasse come prezzo monetario di un'oncia d'oro 3 sterline 19 scellini, tutto il denaro affluirebbe alla zecca, l'argento ricevutovi verrebbe cambiato sul mercato con l'oro che vi si trova a minor prezzo, e in tal modo di nuovo portato alla zecca, e tutto il sistema monetario verrebbe gettato nel disordine" (pp. 280, 281, ivi). Per mantenere l'ordine alla zecca inglese, il Müller si getta nel "disordine". Mentre lo scellino e i pence sono semplicemente dei nomi, denominazioni di determinate parti di un'oncia d'oro, rappresentate da marche di argento e di rame, egli si immagina che l'oncia d'oro sia stimata in oro, argento e rame, facendo agli inglesi omaggio di un triplice standard of value [trimetallismo]. Certo l'argento come misura di denaro accanto all'oro fu abolito formalmente soltanto nell'anno 1816 da 56 Giorgio III, c. 68 [la 68ª legge del 56º anno di regno di Giorgio III]. Legalmente era di fatto già abolito. Due furono le circostanze che in modo particolare resero A. Müller capace di una cosiddetta concezione superiore dell'economia politica. Da un lato la sua diffusa ignoranza dei fatti economici, dall'altro il suo rapporto esaltato, puramente dilettantesco, con la filosofia.
43. "Quando chiesero ad Anacarsi a che scopo gli elleni avessero bisogno del denaro, egli rispose: "per contare"" (Athenaeus, Deipnosophistai, libro IV, 49, vol. II, p. 120, ed. Schweighäuser, 1802).
44. G. Garnier, uno dei vecchi traduttori francesi di Adam Smith, ebbe la curiosa trovata di fissare una proporzione fra l'uso di denaro di conto e l'uso di denaro reale. La proporzione è di 10 a l (Garnier G., Histoire de la monnaie depuis les temps de la plus haute antiquité ecc., vol. I, p. 78).
45. L'Atto del Maryland del 1723, in virtù del quale il tabacco fu fatto moneta legale, ma il suo valore fu ridotto al denaro-oro inglese, ossia un penny per libbra di tabacco, ricorda le leges barbarorum nelle quali, viceversa, determinate somme di denaro sono equiparate a buoi, vacche, ecc. In questo caso il materiale reale del denaro di conto non erano né oro né argento, bensì il bue e la vacca.
46. Così leggiamo per esempio nei Familiar words del signor David Urquhart: "Il valore dell'oro deve essere misurato in se stesso; come può una materia qualsiasi essere la misura del proprio valore in altre cose? Il valore dell'oro deve essere constatato mediante il suo peso, con una denominazione falsa di questo peso, e un'oncia dovrà valere tante sterline e frazioni di sterline. Questa è falsificazione di una misura e non è stabilire un livello di misura" [Londra, 1856, pp. 104-105 sgg.].
47. "Il denaro, come misura del commercio, dovrebbe essere mantenuto il più possibile costante. Questo è impossibile se il vostro denaro consiste di due metalli, il cui rapporto di valore varia costantemente" (John Locke, Some Considerations on the Lowering of Interest ecc., 1691, p. 65 nei suoi Works, 7ª ed., Londra 1768, vol. II).
48. Locke dice fra l'altro: "Chiamate corona quello che prima si chiamava mezza corona, il valore rimane determinato dal contenuto metallico. Se voi potete tosare una moneta di 1/20 del peso d'argento, senza diminuirne il valore, potrete altrettanto bene tosarla di 19/20 del suo peso d'argento. In base a questa teoria un farthing, se chiamato corona. dovrebbe comprare la stessa quantità di spezie, sete o altre merci che compera una moneta da una corona la quale contiene una quantità d'argento 60 volte maggiore. Tutto quello che potete fare è di dare a una quantità inferiore d'argento l'impronta e la denominazione di una quantità superiore. Ma è l'argento che paga i debiti e compera le merci, non sono le denominazioni. Se un rialzo del valore monetario non significa altro che denominare a piacere le parti aliquote di una moneta d'argento, p. es. denominare penny l'ottava parte di un'oncia di argento, voi potrete di fatto fissare il denaro all'altezza che vorrete". Locke risponde al contempo al Lowndes che l'aumento del prezzo di mercato al di sopra del prezzo monetario non proviene dall'"aumento del valore dell'argento, bensì dalla perdita di peso della moneta d'argento". 77 scellini ben tosati non peserebbero più di 62 scellini a peso pieno. Infine mise in rilievo a ragione che, astraendo dalla perdita d'argento subita dalla moneta circolante, il prezzo di mercato dell'argento grezzo in Inghilterra può salire in una certa misura al di sopra del prezzo monetario perché l'esportazione dell'argento grezzo è permessa e quella della moneta d'argento è vietata. Vedi Some Considerations, cit., pp. 54-116 passim). Locke si guardò molto bene dal toccare la bruciante questione dei debiti di Stato, come evitò con ogni cautela di entrare nel delicato problema economico. Quest'ultimo era il seguente: il corso dei cambi, come anche il rapporto fra argento grezzo e moneta d'argento, dimostrarono che il denaro circolante non era affatto deprezzato in proporzione della sua reale perdita d'argento. Ritorneremo sulla questione in forma generale nel capitolo sul mezzo di circolazione. Nicholas Barbon in A Discourse Concerning Coining the new money ligther, in answer to Mr. Locke's Considerations ecc., Londra, 1696, tentò, invano di attirare Locke su di un terreno difficile.
49. Steuart, An Inquiry into the Principles of Political Economy, cit., vol. II, p. 154.
50. The Querist [Londra, 1750, pp. 3, 4] I Queries on Money [Quesiti riguardanti il denaro] sono del resto spiritosi. Fra l'altro il Berkeley osserva a ragione che proprio lo sviluppo delle colonie dell'America del Nord "rende chiaro come la luce del sole il fatto che oro e argento non sono così necessari per la ricchezza di una nazione come se lo immagina la plebe di tutti i ceti".
51. Prezzo significa qui equivalente reale, come presso gli scrittori di economia inglesi del secolo XVII.
52. Steuart, An Inquiry into the Principles of Political Economy, cit., vol. II, pp. 102-107.
53. In occasione della più recente crisi commerciale fu elogiato enfaticamente in Inghilterra da una certa parte il denaro ideale africano, dopochè la sua sede quella volta dalle coste si fu spostata nel cuore della Berberia. Dalla unità di misura ideale dei loro bar si dedusse il fatto che i berberi fossero esenti da crisi commerciali e industriali. Non sarebbe stato più semplice dire che commercio e industria sono la conditio sine qua non di crisi commerciali e industriali?
*13. Un senso di valore in riferimento al circolante raffrontato alle merci.
*14. Uomini dello scellino piccolo.
54. The Currency Question, the Gemini Letters, Londra, 1844, pp. 266-272. passim.
55. John Gray, The Social System. A Treatise on the Principle of Exchange, Edimburgo, 1831. Cfr. di questo stesso scrittore: Lectures on the Nature and Use of Money, Edimburgo, 1848. Dopo la rivoluzione di febbraio il Gray inviò un memoriale al governo provvisorio francese in cui gli spiegava che la Francia non aveva bisogno di una "organisation of labour", bensì di una "organisation of exchange" il cui piano si trovava elaborato in tutti i particolari nel sistema monetario da lui escogitato. Il bravo John non aveva alcun presentimento che sedici anni dopo la pubblicazione del Social System sarebbe stato richiesto un brevetto per la medesima scoperta dall'ingegno inventivo di Proudhon.
56. John Gray, The Social System, cit., p. 63: "Il denaro dovrebbe essere semplicemente una ricevuta, una prova del fatto che il suo possessore abbia contribuito con un determinato valore alla ricchezza nazionale esistente (to the national stock of wealth). oppure abbia ottenuto dei diritti su detto valore da una qualsiasi persona abbia contribuito con esso".
57. "Si faccia depositare in una banca un prodotto che prima ottenga un valore di stima e lo si faccia ritirare in qualunque momento occorra; basterà semplicemente che per accordo generale venga stabilito che colui il quale deposita nella banca nazionale progettata una qualsiasi specie di proprietà, possa ritirarne un valore eguale in qualunque cosa la banca contenga, invece di essere costretto a toglierne la cosa medesima che vi aveva depositata" (John Gray, The Social System, cit., pp. 67-68).
58. Ivi, p. 16.
59. John Gray, Lectures on Money, cit., p. 182.
60. Ivi, p. 169.
61. "Gli affari di ogni paese dovrebbero essere condotti sulla base di un capitale nazionale" (John Gray, The Social System, cit., p. 171).
62. "La terra deve essere trasformata in proprietà nazionale" (ivi, p. 298).
63. Vedi per esempio, W. Thompson, An Inquiry into the Distribution of Wealth ecc., Londra, 1824. Bray, Labour's Wrongs and Labour's Remedy, Leeds, 1839.
64. Compendio di questa teoria melodrammatica del denaro potrà essere considerato Alfred Darimon, De la réforme des banques, Parigi, 1856.
Dopo che, nel processo della fissazione del prezzo, la merce ha ottenuto la forma atta alla circolazione e l'oro ha ottenuto il suo carattere di denaro, la circolazione presenterà e allo stesso tempo risolverà le contraddizioni racchiuse nel processo di scambio delle merci. Il reale scambio delle merci, ossia il processo di ricambio organico sociale, avviene in un mutamento di forma nel quale si dispiega la duplice natura della merce quale valore d'uso e quale valore di scambio, ma in cui il mutamento di forma della merce si cristallizza allo stesso tempo in determinate forme del denaro. La rappresentazione di questo mutamento di forma è la rappresentazione della circolazione. Come abbiamo visto che la merce non è che valore di scambio dispiegato, così la circolazione presuppone generali atti di scambio e il costante fluire del loro rinnovarsi. Secondo presupposto è che le merci entrano nel processo di scambio come merci definite nel prezzo o appaiono entro lo stesso l'una per l'altra come duplici esistenze, realmente come valori d'uso, idealmente - nel prezzo - come valori di scambio.
Nelle vie più frequentate di Londra un magazzino si affolla accanto all'altro, e dietro i loro vuoti occhi di vetro pompeggiano tutte le ricchezze del mondo, scialli d'India, revolvers americani, porcellane cinesi, busti di Parigi, per illicce russe e spezie dei tropici, ma tutte queste cose graziosamente mondane recano in fronte fatali cartellini biancastri in cui sono incise cifre arabe con i laconici caratteri Lst. s. d. Questa è l'immagine della merce che appare nella circolazione.
Considerato più da vicino il processo di circolazione manifesta due forme diverse di cicli. Chiamando M la merce e D il denaro potremo esprimere queste due forme come:
M - D - M
D - M - D
In questa sezione ci occuperemo esclusivamente della prima forma ossia della forma immediata della circolazione delle merci.
Il ciclo M - D - M si divide nel movimento M - D, scambio di merce con denaro ossia vendita; nel movimento opposto D - M, scambio di denaro con merce ossia compera, e nell'unità di questi due movimenti M - D - M, scambio di merce con denaro, per scambiare denaro con merce, ossia vendere per comprare. Ma come risultato in cui il processo si estingue, abbiamo M - M, scambio di merce con merce, il reale ricambio organico.
M - D - M, partendo dall'estremità della prima merce, rappresenta la sua trasformazione in oro e la sua ritrasformazione da oro in merce, ossia un movimento con il quale la merce esiste prima come particolare valore di uso, poi abbandona quest'esistenza e acquista un'esistenza distaccata da ogni nesso con la sua esistenza naturale, un'esistenza come valore di scambio o equivalente generale, abbandona a sua volta questa e infine rimane ferma come reale valore d'uso per singoli bisogni. In quest'ultima forma dalla circolazione cade nel consumo. L'insieme della circolazione M - D - M è quindi la serie complessiva delle metamorfosi che ogni singola merce percorre per diventare valore d'uso immediato per il proprio possessore. La prima metamorfosi si compie nella prima metà della circolazione M - D, la seconda nell'altra metà D - M, e la circolazione intera costituisce il curriculum vitae della merce. Ma la circolazione M - D - M è la metamorfosi complessiva di una merce singola, soltanto essendo allo stesso tempo la somma di determinate metamorfosi unilaterali di altre merci, poiché ogni metamorfosi della prima merce è la sua trasformazione in un'altra merce, quindi trasformazione dell'altra merce in essa, dunque una trasformazione da entrambe le parti che si compie nello stesso stadio della circolazione. Dovremo in primo luogo considerare isolatamente ognuno dei due processi di scambio in cui si divide la circolazione M - D - M.
M - D ossia vendita: M, la merce, entra nel processo di circolazione non soltanto come valore d'uso particolare, p. es. come tonnellata di ferro, bensì come valore d'uso di un determinato prezzo, diciamo di 3 sterline 17 scellini 10 1/2 pence, ossia di una oncia di oro. Questo prezzo che da un lato è l'esponente della quantità di tempo di lavoro contenuta nel ferro, vale a dire della sua grandezza di valore, esprime allo stesso tempo il pio desiderio del ferro di diventare oro, vale a dire di dare al tempo di lavoro contenuto in esso la figura del tempo di lavoro generalmente sociale. Se questa transustanziazione non riesce, la tonnellata di ferro cessa di essere non soltanto merce bensì prodotto, poiché è merce soltanto perché è valore non d'uso per il suo possessore, ossia il lavoro di questo lavoro reale solo in quanto lavoro utile per altri; ed è un lavoro utile per lui soltanto come lavoro astrattamente generale. E' quindi compito del ferro o del suo possessore di scovare quel punto del mondo delle merci in cui il ferro attira l'oro. Ma questa difficoltà, il salto mortale [*15] della merce, è superata quando la vendita, come è presupposto qui nell'analisi della circolazione semplice, avviene realmente. La tonnellata di ferro, realizzandosi come valore d'uso per mezzo della sua alienazione, vale a dire mediante il suo passaggio dalla mano in cui è valore non d'uso nella mano in cui è valore d'uso, realizza allo stesso tempo il proprio prezzo, e da oro soltanto immaginario diventa oro reale. Al posto del nome oncia d'oro, ossia 3 sterline 17 scellini 10 1/2 pence, è ora subentrata un'oncia di oro reale, ma la tonnellata di ferro ha abbandonato il suo posto. Mediante la vendita M - D non soltanto la merce, che nel suo prezzo era idealmente trasformata in oro, è realmente trasformata in oro, bensì, mediante lo stesso processo l'oro che, come misura dei valori, era solo oro ideale e di fatto figurava solo come denominazione di denaro delle merci stesse, viene trasformato in oro reale [65]. Come l'oro era diventato idealmente equivalente generale, perché tutte le merci misuravano in esso i propri valori, così ora diventa la merce assolutamente alienabile, denaro reale, in quanto prodotto della alienazione generale delle merci in cambio di esso oro, e la vendita M - D è il processo di questa alienazione generale. Ma l'oro diventa realmente denaro solo nella vendita, perché i valori di scambio delle merci erano, nei prezzi, già idealmente oro.
Nella vendita M - D, come nella compera D - M, si trovano di fronte due merci, due unità di valore di scambio e di valore d'uso, ma nella merce il valore di scambio esiste solo idealmente come prezzo, mentre nell'oro, benché sia valore d'uso reale, il valore d'uso esiste solo come depositario del valore di scambio e quindi solo come valore formale, non riferito a un reale bisogno individuale. Il contrasto fra valore d'uso e valore di scambio si suddivide quindi polarmente sulle due estremità di M - D, così che la merce, nei confronti dell'oro, è un valore d'uso che deve prima realizzare nell'oro il suo valore di scambio ideale, il prezzo, mentre l'oro, nei confronti della merce, è un valore di scambio che materializza il suo valore d'uso formale soltanto nella merce. Soltanto mediante questa duplicazione della merce in merce e oro, e mediante la relazione a sua volta duplice e opposta in cui ogni estremità è idealmente quello che il suo opposto è realmente, ed è realmente quello che il suo opposto è idealmente, dunque soltanto mediante la rappresentazione delle merci come antitesi di duplice polarità si risolvono le contraddizioni contenute nel processo di scambio delle merci.
Finora abbiamo considerato M - D come vendita, come trasformazione di merce in denaro. Ma se ci poniamo dall'altra parte dell'estremità, questo medesimo processo appare invece come D - M, come compera, dunque come trasformazione di denaro in merce. La vendita è necessariamente insieme il proprio opposto, compera, è l'una delle cose, se si considera il processo da un lato, ed è l'altra, se la si considera dall'altro lato. Ossia, in realtà il processo differisce solo perché in M - D l'iniziativa parte dall'estremità della merce ossia del venditore, e in D - M parte dall'estremità del denaro ossia del compratore. Noi presentiamo dunque la prima metamorfosi della merce, la sua trasformazione in denaro, come risultato del percorso del primo stadio della circolazione M - D, presupponiamo dunque allo stesso tempo che un'altra merce si sia già trasformata in denaro, si trovi dunque già nel secondo stadio della circolazione, D - M. Così andiamo a finire in un circolo vizioso di presupposti. La circolazione stessa è questo circolo vizioso. Se in M - D non consideriamo subito D come metamorfosi di un'altra merce, estromettiamo l'atto di scambio dal processo di circolazione. Ma fuori di questo scompare la forma M - D, e si stanno di fronte ormai semplicemente due diverse M, diciamo ferro e oro, il cui scambio non è un atto particolare della circolazione, bensì del commercio di scambio immediato. L'oro alla fonte della sua produzione è una merce come tutte le altre. Il suo valore relativo e quello del ferro, o quello di qualsiasi altra merce, si esprimono nelle quantità in cui essi si scambiano reciprocamente. Ma nel processo di circolazione quest'operazione è presupposta, nei prezzi delle merci è già dato il valore proprio dell'oro. Nulla potrà essere quindi più errato dell'idea che entro il processo di circolazione oro e merce entrino nel rapporto del commercio di scambio immediato e che quindi il loro valore relativo venga ritrovato mediante il loro scambio in quanto merci semplici. Allorchè pare che nel processo di circolazione l'oro venga scambiato con altre merci come semplice merce, questa parvenza deriva semplicemente dal fatto che, nei prezzi, una determinata quantità di merce è già equiparata a una determinata quantità d'oro, ossia è già riferita all'oro come denaro, equivalente generale, e quindi è direttamente scambiabile con esso. In quanto il prezzo di una merce si realizza in oro essa si scambia con questo come merce, come materializzazione particolare del tempo di lavoro, ma in quanto l'oro è il prezzo della merce che si realizza in esso oro, la merce si scambia con l'oro come denaro e non come merce, vale a dire con l'oro in quanto materializzazione generale del tempo di lavoro. In entrambe le relazioni però, la quantità di oro con cui la merce si scambia entro il processo di circolazione, non è determinata dallo scambio, bensì lo scambio è determinato dal prezzo della merce, cioè dal suo valore di scambio stimato in oro [66].
Entro il processo di circolazione, l'oro si presenta in ogni mano come risultato della vendita M - D. Ma siccome M - D, la vendita, è insieme D - M, compera, risulta che, mentre M, la merce da cui parte il processo, compie la sua prima metamorfosi, l'altra merce che le sta di fronte come estremità D, compie la sua seconda metamorfosi, e quindi percorre la seconda metà della circolazione, mentre la prima merce si trova ancora nella prima metà del suo corso.
Come risultato del primo processo della circolazione, della vendita, si ha il punto di partenza del secondo processo, il denaro. Al posto della merce nella sua prima forma è subentrato il suo equivalente in oro. Questo risultato potrà in un primo tempo costituire un punto di sosta, poiché la merce ha, in questa sua seconda forma, una propria esistenza perdurante. La merce che in mano al suo possessore non è valore d'uso, è presente ora in forma costantemente utile in quanto costantemente scambiabile, e dipenderà dalle circostanze in quale momento e in quale punto della superficie del mondo delle merci essa ritornerà in circolazione. Il suo imbozzolamento aureo costituisce una sezione autonoma della sua vita in cui essa potrà soffermarsi per un periodo più o meno lungo. Mentre nel commercio di scambio, lo scambio di un particolare valore d'uso è legato direttamente allo scambio di altro particolare valore d'uso, il carattere generale del lavoro creatore di valore di scambio appare nella separazione e nel distacco definitivo dell'atto di compera e dell'atto di vendita.
D - M, la compera, è il movimento inverso di M - D ed è al tempo stesso la seconda metamorfosi o metamorfosi conclusiva della merce. Come oro, oppure nella sua esistenza quale equivalente generale, la merce è direttamente raffigurabile nei valori d'uso di tutte le altre merci le quali, nei loro prezzi, tendono nel contempo tutte all'oro quasi loro aldilà, ma contemporaneamente indicano la nota con cui dovrà risuonare affinché i loro corpi, i valori d'uso, balzino dalla parte del denaro, ma la loro anima, il valore di scambio, entri con un balzo nell'oro stesso. Il prodotto generale dell'alienazione delle merci è la merce alienabile in assoluto. Non esiste un limite qualitativo, bensì solo un semplice limite quantitativo alla trasformazione dell'oro in merce, il limite che è posto all'oro dalla sua quantità o grandezza di valore. "Tutto si può avere per denaro contante." Mentre la merce, nel movimento M - D, mediante alienazione del valore d'uso, realizza il proprio prezzo e il valore d'uso del denaro altrui, nel movimento D - M, mediante la sua alienazione quale valore di scambio, la merce realizza il proprio valore d'uso e il prezzo dell'altra merce. Se la merce, realizzando il proprio prezzo, trasforma al contempo l'oro in denaro reale, mediante la sua ritrasformazione, essa trasforma l'oro nella sua propria esistenza di denaro che si dilegua semplicemente. Siccome la circolazione delle merci presuppone una divisione del lavoro sviluppata, quindi una unilateralità dei bisogni del singolo individuo in proporzione inversa dell'unilateralità del suo prodotto, la compera D - M ora si esprimerà in una equazione con un equivalente-merce, ora si scinderà in una lunga serie di equivalenti-merce, circoscritta dalla cerchia dei bisogni del compratore e dall'ammontare della sua somma di denaro. Allo stesso modo che la vendita è al contempo compera, la compera è al contempo vendita, D - M è al contempo M - D, ma l'iniziativa spetta qui all'oro ossia al compratore.
Torniamo ora alla circolazione complessiva M - D - M. Risulterà che in essa una merce percorre la serie complessiva delle sue metamorfosi. Ma allo stesso tempo che essa inizia la prima metà della circolazione e compie la prima metamorfosi, una seconda merce entra nella seconda metà della circolazione, compie la sua seconda metamorfosi e abbandona la circolazione, e, viceversa, la prima merce entra nella seconda metà della circolazione, compie la sua seconda metamorfosi e abbandona la circolazione, mentre una terza merce entra nella circolazione, percorre la prima metà del suo corso e compie la prima metamorfosi. La circolazione complessiva M - D - M, quale metamorfosi complessiva di una merce, è quindi sempre al contempo la fine della metamorfosi complessiva di una seconda merce e l'inizio della metamorfosi complessiva di una terza merce, è quindi una serie senza inizio e senza fine. Segniamo, per chiarezza, per distinguere le merci, M in modo diverso nei due estremi, p. es. M' - D - M''. In realtà, il primo termine M' - D presuppone D quale risultato di un altro M - D, è dunque a sua volta semplicemente l'ultimo termine di M - D - M', mentre il secondo termine D - M'' è nel suo risultato M'' - D, si rappresenta quindi esso stesso come primo termine di M'' - D - M''', ecc. Inoltre si vede che l'ultimo termine D - M, benché D sia risultato di una sola vendita, può esprimersi come D - M' + D - M'' + D - M''' + ecc., può quindi scindersi in una massa di vendite, ossia in una massa di primi termini di nuove metamorfosi complessive di merci. Se dunque la metamorfosi complessiva di una singola merce appare non soltanto come termine di una catena di metamorfosi priva di inizio e di fine, bensì di molte di queste catene, il processo di circolazione del mondo delle merci, giacchè ogni singola merce percorre la circolazione M - D - M, appare come un intrico di catene intrecciate all'infinito di questo movimento che ha costantemente fine e costantemente inizio in punti infinitamente differenti. Ma ogni singola vendita o compera esiste allo stesso tempo come atto indifferente e isolato, il cui atto integrativo può essere da questo separato nel tempo e nello spazio, e quindi non occorre che gli sussegua immediatamente come continuazione. Ogni particolare processo di circolazione M - D o D - M costituisce, in quanto trasformazione di una merce in valore d'uso e trasformazione dell'altra in denaro, come primo e secondo stadio della circolazione, un punto fermo autonomo in due direzioni, ma siccome d'altra parte tutte le merci iniziano la loro seconda metamorfosi sotto l'aspetto dell'equivalente generale, comune ad esse, dell'oro, e si pongono al punto di partenza della seconda metà della circolazione, nella circolazione reale un qualsiasi D - M si colloca accanto a un qualsiasi M - D, e il secondo capitolo della carriera di una merce si colloca accanto al primo capitolo della carriera dell'altra. A vende p. es. ferro per 2 lire sterline, compiendo quindi M - D ossia la prima metamorfosi della merce ferro, ma rimanda la compera ad epoca posteriore. Allo stesso tempo B, che quindici giorni prima aveva venduto 2 quarter di grano per 6 lire sterline, compera con queste giacca e pantaloni da Mosè e Figlio, compie quindi D - M, ossia la seconda metamorfosi della merce grano. Questi due atti D - M e M - D appaiono qui semplicemente come anelli di una catena, perché in D, nell'oro, una merce ha lo stesso aspetto dell'altra, e nell'oro non è possibile riconoscere se si tratti di ferro in metamorfosi o di grano. Nel processo della circolazione reale, M - D si esprime dunque come giustapposizione e successione infinitamente casuale di anelli di metamorfosi complessive differenti frammischiati alla cieca. Il processo della circolazione reale appare quindi non come metamorfosi complessiva della merce non come suo movimento attraverso fasi opposte, bensì come semplice aggregato di molte compere e vendite che casualmente si giustappongono o si succedono. In tal modo è cancellata la determinatezza formale del processo, e lo sarà in modo tanto più completo in quanto ogni singolo atto della circolazione, ad esempio la vendita, è al contempo il proprio opposto, la compera, e vicevera. D'altra parte, il processo di circolazione è il movimento delle metamorfosi del mondo delle merci e deve quindi anche rispecchiarle nel proprio movimento complessivo. Il modo in cui riflette quel movimento, lo considereremo, nella sezione seguente. Qui ci limiteremo a osservare che in M - D - M i due estremi M non si trovano nel medesimo rapporto formale con D. Il primo M è in rapporto con D in quanto merce particolare in rapporto alla merce generale, mentre il denaro in quanto merce generale è in rapporto con il secondo M in quanto questo è merce singola. M - D - M potrà quindi essere ridotto in modo astrattamente logico alla forma conclusiva P - G - S, nella quale la particolarità costituisce il primo estremo, la generalità il centro di unione e la singolarità costituisce l'ultimo estremo.
I possessori di merci sono entrati nel processo di circolazione come semplici custodi di merci. All'interno del processo l'uno di fronte all'altro nella forma contrastante di compratore e di venditore, l'uno pan di zucchero personificato, l'altro oro personificato. Allo stesso modo che il pan di zucchero ora diventa oro, il venditore diventa compratore. Questi caratteri sociali determinati non derivano dunque in alcun modo dall'individualità umana in genere, bensì dai rapporti di scambio di uomini, i quali producono i loro prodotti nella forma determinata di merci. Tanto poco sono i rapporti puramente individuali quelli che si esprimono nel rapporto fra compratore e venditore, che questi due entrano in questo rapporto solo in quanto il loro lavoro individuale viene negato, diventa cioè lavoro di nessun individuo singolo, diventa denaro. E come è sciocco dunque intendere questi caratteri - dal punto di vista economico, borghese - del compratore e del venditore come forme sociali eterne dell'individualità umana, altrettanto sbagliato è piangerli come abolizione dell'individualità [67]. Essi sono una necessaria espressione dell'individualità sulla base di un determinato stadio del processo di produzione sociale. Nella contraffazione di compratore e venditore la natura antagonistica della produzione borghese si esprime per giunta ancora in modo così superficiale e formale che questa contrapposizione si trova anche in forme sociali preborghesi, giacchè essa richiede semplicemente che gli individui si riferiscano l'uno all'altro come possessori di merci.
Se ora consideriamo il risultato di M - D - M, esso si riduce al ricambio organico M - M. Merce è stata cambiata con merce, valore d'uso con valore d'uso, e la trasformazione in denaro della merce, ossia la merce come denaro, non serve che alla mediazione di questo ricambio. In tal modo il denaro appare come semplice mezzo di scambio delle merci, ma non come mezzo di scambio in generale, bensì come mezzo di scambio caratterizzato dal processo di circolazione, vale a dire come mezzo di circolazione [68].
Voler dedurre che fra compera e vendita esiste solo l'unità e non il distacco, dal fatto che in M - M il processo di circolazione delle merci svanisce e quindi appare come commercio di scambio semplicemente mediato dal denaro, o per il fatto che in generale M - D - M non si scinde soltanto in due processi isolati, ma ne rappresenta al contempo la loro unità in movimento, è un modo di pensare che spetta criticare non all'economia bensì alla logica. Allo stesso modo che il distacco che si ha fra compera e vendita nel processo di scambio, spezza limiti del ricambio organico sociale localmente radicati dal tempo resi sacri dalla lunga tradizione o da uno sciocco sentimento, esso è al contempo la forma generale della rottura e separazione di tutti gli elementi che in esso erano uniti e della loro definizione reciproca, in una parola è la possibilità generale delle crisi commerciali, ma questo soltanto perché l'antitesi merce e denaro è la forma astratta e generale di tutte le antitesi contenute nel lavoro borghese. La circolazione del denaro può avvenire quindi senza crisi, ma non possono esservi crisi senza la circolazione del denaro. Questo significa però semplicemente che, laddove il lavoro basato sullo scambio privato non è ancora giunto nemmeno alla formazione del denaro, esso potrà naturalmente produrre ancora un numero piuttosto piccolo di fenomeni che presuppongano il pieno sviluppo del processo di produzione borghese. Si potrà quindi giudicare della profondità di quella critica che intende eliminare gli "inconvenienti" della produzione borghese abolendo il "privilegio" dei metalli nobili e inaugurando un cosiddetto "sistema monetario razionale". Come saggio dell'apologetica degli economisti basterà un ragionamento che ha fama di essere straordinariamente acuto. James Mill, padre del noto economista inglese John Stuart Mill, dice: "Non può mai esserci mancanza di compratori per tutte le merci. Chiunque offra in vendita una merce, esige di riceverne un'altra in cambio, ed è quindi compratore per il solo fatto di essere venditore. Compratori e venditori di tutte le merci presi nel loro insieme, devono quindi equilibrarsi in virtù di una necessità metafisica. Perciò, se vi sono più venditori che compratori di una merce, dovranno esserci più compratori che venditori di un'altra merce" [69]. Mill stabilisce l'equilibrio trasformando il processo di circolazione in commercio di scambio diretto, immettendo però di contrabbando nel commercio di scambio diretto di nuovo le figure del compratore e del venditore mutuate dal processo di circolazione. Per usare il suo linguaggio confuso, vi sono, nei momenti in cui tutte le merci sono invendibili, come ad esempio a Londra e ad Amburgo durante certi momenti della crisi commerciale del 1857-58, realmente più compratori che venditori di una merce, del denaro, e più venditori che compratori di tutto il restante denaro, delle merci. L'equilibrio metafisico delle compere e delle vendite si limita al fatto che ogni compera è una vendita e ogni vendita è una compera, il che non costituisce un gran conforto per i custodi delle merci, i quali non riescono a vendere e quindi neanche a comprare [70].
La separazione fra vendita e compera rende possibile, con il commercio vero e proprio, una quantità di apparenti transazioni prima dello scambio definitivo fra produttori di merci e consumatori di merci. In tal modo questa separazione consente a una massa di parassiti di insinuarsi nel processo di produzione e di sfruttare il distacco. Ma questo a sua volta significa semplicemente che con il denaro, quale forma generale del lavoro borghese, è data la possibilità dello sviluppo delle contraddizioni del lavoro borghese.
La circolazione reale si presenta in un primo momento come una massa di compere e di vendite casualmente parallele. Nella compera, come nella vendita, merce e denaro si stanno di fronte sempre nella medesima relazione, il venditore dalla parte della merce, il compratore dalla parte del denaro. Il denaro come mezzo di circolazione appare quindi sempre come mezzo di acquisto, nel quale le sue differenti definizioni nelle fasi opposte della metamorfosi delle merci sono diventate irriconoscibili.
Il denaro passa nelle mani del venditore nello stesso atto in cui la merce passa in quelle del compratore. Merce e denaro si muovono quindi in direzione opposta, e questo cambiamento di posti nel quale la merce passa da una parte e il denaro dall'altra, si compie contemporaneamente in un numero indeterminato di punti su tutta la superficie della società borghese. Ma il primo passo con cui la merce entra in circolazione, è allo stesso tempo il suo ultimo [71]. Sia che essa lasci il suo posto, perché l'oro è attratto da essa (M - D), sia perché venga attratta dall'oro (D - M), con quel solo movimento, con quell'unico cambiamento di posto, la merce passa dalla circolazione nel consumo. La circolazione è un movimento costante di merci, ma di merci sempre differenti, e ogni merce si muove una volta sola. Ogni merce inizia la seconda metà della propria circolazione non come la medesima merce, bensì come un'altra merce, come oro. Quella medesima moneta o quel medesimo individuo-oro, che nell'atto M - D ha cambiato posto una volta con una merce, si presenta viceversa di nuovo come punto di partenza di D - M e in tal modo cambia posto per la seconda volta, con un'altra merce. Allo stesso modo che la moneta passa dalle mani del compratore B nelle mani del venditore A, essa passa ora dalle mani di A, divenuto compratore, nelle mani di C. Il movimento formale di una merce, la sua trasformazione in denaro e la sua ritrasformazione dal denaro, ossia il movimento della metamorfosi complessiva della merce, si esprime dunque come il movimento esterno di una medesima moneta, la quale cambia due volte posto con due merci differenti. Per quanto frazionate e casuali si giustappongono compere e vendite, nella circolazione reale a un compratore si contrappone sempre un venditore, e il denaro che prende il posto della merce venduta, prima di capitare nelle mani del compratore, deve già aver cambiato posto una volta con un'altra merce. D'altra parte, presto o tardi, passa di nuovo dalle mani del venditore, diventato compratore, in quelle di un nuovo compratore, e in questa sua frequente ripetizione del cambiamento di posto esprime la concatenazione delle metamorfosi delle merci. Le stesse monete si spostano dunque, sempre in direzione opposta a quella delle merci in movimento, l'una più spesso, l'altra meno spesso, da un posto della circolazione all'altro, e descrivono quindi un arco di circolazione più o meno lungo. Questi movimenti differenti di una medesima moneta possono susseguirsi solo nel tempo, allo stesso modo che, viceversa, la molteplicità e il frazionamento delle compere e delle vendite si presentano nel simultaneo cambiamento di posto delle merci e del denaro, parallelo nello spazio e compiuto una volta tanto.
La circolazione della merce M - D - M, nella sua forma semplice, si compie nel passaggio del denaro dalle mani del compratore in quelle del venditore, e dalle mani del venditore, divenuto compratore, in quelle di un nuovo venditore. In tal modo è terminata la metamorfosi della merce, e di conseguenza è terminato il movimento del denaro in quanto ne è l'espressione. Ma siccome sempre nuovi valori d'uso vengono prodotti come merci e di conseguenza devono essere gettati nella circolazione, M - D
- M si ripete e si rinnova da parte dei medesimi possessori di merci. Il denaro che questi hanno speso come compratori, ritorna nelle loro mani non appena si presentino di nuovo come venditori di merci. Il costante rinnovo della circolazione delle merci si riflette in tal modo nel fatto che il denaro non soltanto scivola costantemente da una mano nell'altra, ma allo stesso tempo percorre una somma di difrerenti piccoli cicli partendo da punti infinitamente differenti e tornando a questi stessi punti per ripetere di bel nuovo il medesimo movimento.
Se il cambiamento formale delle merci appare come semplice cambiamento di posto del denaro e se la continuità del movimento circolatorio sta interamente dalla parte del denaro per il fatto che la merce fa sempre un solo passo in direzione opposta a quella del denaro, mentre il denaro invece fa sempre il secondo passo per la merce e dice B là dove la merce ha detto A, in tal modo l'intero movimento sembra partire dal denaro, sebbene la merce all'atto della vendita allontani il denaro dal suo posto e quindi metta in circolazione il denaro allo stesso modo che è messa in circolazione dal denaro all'atto della compera. Siccome inoltre il denaro le si contrappone sempre nella medesima relazione come mezzo d'acquisto e come tale tuttavia muove le merci solo realizzando il loro prezzo, l'intero movimento della circolazione si presenta in questo modo: il denaro cambia posto con le merci realizzando i loro prezzi sia in particolari atti di circolazione che si verifichino contemporaneamente l'uno accanto all'altro, sia in successione, quando la medesima moneta realizzi prezzi di merci differenti l'uno dopo l'altro. Se consideriamo p. es. M - D - M' - D - M'' - D - M''' ecc., astraendo dagli elementi qualitativi che nel processo di circolazione reale diventano irriconoscibili, risulta soltanto una medesima operazione monotona. D, realizzato il prezzo di M, realizza successivamente i prezzi di M' - M'' ecc., e le merci M' - M'' - M''' ecc. subentrano sempre al posto abbandonato dal denaro. Pare dunque che il denaro metta in circolazione le merci realizzando i loro prezzi. In questa funzione di realizzazione dei prezzi esso stesso circola costantemente, ora cambiando semplicemente di posto, ora percorrendo un arco circolatorio, ora descrivendo un piccolo circolo in cui i punti di partenza e il punto di ritorno coincidono. Come mezzo di circolazione il denaro ha la sua propria circolazione. Il movimento formale delle merci in movimento appare quindi come il suo proprio movimento, mediatore dello scambio delle merci di per sé prive di movimento. Il movimento del processo di circolazione delle merci si esprime quindi nel movimento del denaro in quanto mezzo di circolazione nella circolazione del denaro.
Allo stesso modo che i possessori di merci presentavano i prodotti dei loro lavori privati come prodotti di lavoro sociale, trasformando un oggetto, l'oro, in un'esistenza immediata del tempo di lavoro generale e con ciò in denaro, ora si contrappone ad essi il loro proprio movimento onnilaterale col quale mediano il ricambio organico dei loro lavori, come movimento peculiare di un oggetto, come circolazione dell'oro. Il movimento sociale stesso è per i possessori di merci da un lato necessità esterna, dall'altro un processo mediatore semplicemente formale, che ad ogni singolo individuo dà la facoltà di estrarre dalla circolazione in cui getta il valore d'uso, altri valori d'uso per un medesimo volume di valore. Il valore d'uso della merce ha inizio con la sua uscita dalla circolazione, mentre il valore di uso del denaro come mezzo di circolazione è la circolazione stessa del denaro. Il movimento della merce nella circolazione è solo un movimento che scompare, mentre l'ininterrotto aggirarsi nella circolazione diventa la funzione del denaro. Questa sua peculiare funzione all'interno del processo di circolazione, dà al denaro come mezzo di circolazione una nuova determinatezza formale che ora dovremo svolgere in modo più particolare.
In un primo momento si comprende facilmente che la circolazione del denaro è un movimento infinitamente frazionato poiché vi si rispecchiano l'infinito frazionamento del processo circolatorio in compere e in vendite e l'indifferente distaccarsi delle fasi integrantisi della metamorfosi delle merci. Nei cicli brevi percorsi dal denaro, nei quali punto di partenza e punto di ritorno coincidono, si manifesta, è vero, un movimento di ripiego, un reale movimento circolare ma ci sono purtuttavia tanti punti di partenza quante sono le merci, e già per la loro indeterminata numerosità, questi cicli si sottraggono ad ogni controllo, ad ogni misura e ad ogni calcolo.
E inoltre non è determinato il tempo fra allontanamento dal punto di partenza e ritorno ad esso. Ed è anche indifferente che in un dato caso venga percorso uno di questi cicli o meno. Nessun fatto economico è noto più generalmente di questo: si può spendere del denaro con l'una delle mani senza che con l'altra lo si riprenda di nuovo. Il denaro parte da punti infinitamente differenti e ritorna in punti infinitamente differenti ma la coincidenza del punto di partenza e del punto di ritorno è casuale, perché nel movimento M - D - M la ritrasformazione del compratore in venditore non è condizione necessaria. E ancora meno, la circolazione del denaro rappresenta un movimento che si irradi da un centro verso tutti i punti della periferia e da tutti i punti della periferia a quello stesso centro. Il cosidetto corso circolatorio del denaro, come immagine dinanzi ai nostri occhi, si limita al fatto che in tutti i punti si scorgono la sua comparsa e la sua scomparsa, il suo ininterrotto cambiamento di posto. In una forma mediatrice più elevata della circolazione del denaro, p. es. nella circolazione dei biglietti di banca, troveremo che le condizioni del dispendio del denaro implicano le condizioni del suo riaffluire. Per la circolazione semplice del denaro è per contro un caso che il medesimo compratore diventi di nuovo venditore. Là dove si manifestano costantemente reali movimenti circolatori, questi non sono che un semplice riflesso di processi di produzione più profondi. L'industriale prende p. es. il denaro dal proprio banchiere il venerdì, lo paga il sabato ai suoi operai, questi ne pagano la massima parte subito ai bottegai, ecc., e quest'ultimi, il lunedì, lo riportano al banchiere. Abbiamo visto che il denaro realizza contemporaneamente una data massa di prezzi nelle compere e vendite che nello spazio corrono parallelamente alla rinfusa, e che una volta soltanto cambia il posto con le merci. Ma d'altra parte, in quanto nel suo movimento appaiono il movimento delle metamorfosi complessive delle merci e la concatenazione di queste metamorfosi, una medesima moneta realizza i prezzi di merci differenti e compie in tal modo un numero maggiore o minore di circolazioni. Se prendiamo dunque il processo di circolazione di un paese in un dato periodo di tempo, in un giorno p. es., la massa d'oro necessaria per la realizzazione dei prezzi e quindi per la circolazione, sarà determinata dal duplice elemento della somma complessiva di questi prezzi da un lato, e dall'altro dal numero medio delle circolazioni delle medesime monete. Questo numero delle circolazioni, ossia la velocità della circolazione del denaro, è a sua volta di nuovo determinata, ossia esprime semplicemente la velocità media con la quale le merci percorrono le differenti fasi della loro metamorfosi, nelle quali queste metamorfosi si prolungano in una catena e nelle quali le merci che hanno compiuto le loro metamorfosi, sono sostituite nel processo di circolazione da merci nuove. Mentre dunque nella fissazione del prezzo il valore di scambio di tutte le merci è trasformata idealmente in una quantità d'oro di identica grandezza di valore, e nei due atti isolati della circolazione D - M e M - D la stessa somma di valore esisteva in duplice modo, da una parte in merce, dall'altra in oro, l'esistenza dell'oro quale mezzo di circolazione non è determinata dal suo riferimento isolato alle singole merci in riposo, bensì dalla sua movimentata esistenza nel mondo delle merci in movimento; ed è determinata dalla sua funzione di esprimere, nel proprio cambiamento di posto, la velocità del cambiamento formale delle merci. La sua reale esistenza nel processo di circolazione, vale a dire la massa reale di oro alla quale circola, è ora dunque determinata dalla sua esistenza funzionante nello stesso processo complessivo.
Presupposto della circolazione del denaro è la circolazione delle merci; e cioè, il denaro fa circolare merci che hanno prezzi, ossia sono già equiparate idealmente a determinate quantità d'oro. Nella determinazione dei prezzi delle merci stesse, la grandezza di valore della quantità d'oro presa come unità di misura, ossia il valore dell'oro, è presupposto come dato. Partendo da questo presupposto la quantità di oro necessaria alla circolazione è dunque determinata in primo luogo dalla somma complessiva dei prezzi delle merci da realizzarsi. Questa somma complessiva è essa stessa però determinata 1) dal grado del prezzo, dai relativamente alti o bassi valori di scambio delle merci stimati in oro e 2) dalla massa delle merci circolanti a determinati prezzi, dunque dalla massa delle compere e delle vendite a prezzi dati [72]. Se un quarter di grano costa 60 scellini, occorrerà una doppia quantità d'oro per farlo circolare o per realizzare il suo prezzo che non quando il quarter costa soltanto 30 scellini. Per la circolazione di 500 quarter a 60 scellini occorrerà una doppia quantità d'oro che non per la circolazione di 250 quarter allo stesso prezzo. Infine, per la circolazione di 10 quarter a100 scellini basterà metà dell'oro necessario per la circolazione di 40 quarter a 50 scellini. Ne consegue quindi che la quantità di oro necessaria per la circolazione delle merci può diminuire malgrado l'aumento dei prezzi, nel caso che la massa delle merci in circolazione diminuisca in proporzione maggiore dell'aumento della somma complessiva dei prezzi, e che, per contro, la massa dei mezzi di circolazione può aumentare qualora diminuisca la massa delle merci in circolazione, ma la somma dei loro prezzi aumenti in proporzione maggiore. Alcune belle ricerche particolari compiute da inglesi hanno così ad esempio dimostrato che in Inghilterra, nei primi stadi di una carestia di grano, la massa del denaro circolante aumenta, perché la somma dei prezzi della massa di grano diminuita è maggiore di quella che era la somma dei prezzi della massa di grano maggiore, ma che contemporaneamente, per un certo tempo, la circolazione della massa rimanente delle merci continua e ai prezzi vecchi. In uno stadio ulteriore della carestia del grano, la massa del denaro circolante diminuisce invece, o perché, accanto al grano, un minore numero di merci è venduto ai prezzi vecchi o perché altrettante merci sono vendute a prezzi più bassi.
Ma la quantità del denaro circolante, come abbiamo visto, non è determinata soltanto dalla somma complessiva dei prezzi delle merci da realizzarsi, bensì al contempo dalla velocità con la quale il denaro circola ossia compie in un dato periodo di tempo la funzione di questa realizzazione. Se una stessa sovrana in uno stesso giorno fa dieci compere, ogni volta di una merce del prezzo di una sovrana, dunque cambiando di mano dieci volte, questa sovrana compirà esattamente la stessa funzione che compirebbero 10 sovrane, delle quali ognuna circolasse solo una volta al giorno [73]. La velocità nella circolazione dell'oro può quindi sostituirne la quantità, ossia l'esistenza dell'oro nel processo di circolazione non è determinata soltanto dalla sua esistenza come equivalente accanto alla merce, bensì anche dalla sua esistenza entro il movimento della metamorfosi della merce. La velocità della circolazione del denaro sostituisce, tuttavia, la sua quantità solo fino a un certo grado, poiché compere e vendite infinitamente frazionate si trovano, in ogni dato momento, parallele nello spazio.
Se i prezzi complessivi delle merci in circolazione aumentano, in proporzione minore però della velocità della circolazione del denaro, la massa dei mezzi di circolazione diminuirà. Se, viceversa, la velocità della circolazione diminuisce in proporzione maggiore che non il prezzo complessivo della massa di merci in circolazione, la massa dei mezzi di circolazione aumenterà. Quantità crescente dei mezzi di circolazione con prezzi generalmente in diminuzione, quantità dei mezzi di circolazione in diminuzione con prezzi generalmente in aumento, ecco uno dei fenomeni più largamente constatati nella storia dei prezzi delle merci. Ma le cause le quali determinano l'aumento del grado dei prezzi e allo stesso tempo un aumento anche maggiore nel grado della velocità di circolazione del denaro, come anche il movimento opposto, non rientrano nella considerazione della circolazione semplice. Come esempio si potrà ricordare che, fra l'altro, in epoche di predominio del credito, la velocità della circolazione del denaro cresce più rapidamente che non i prezzi delle merci, mentre, in casi di credito in diminuzione, i prezzi delle merci diminuiscono più lentamente che non la velocità della circolazione. Il carattere superficiale e formale della circolazione semplice del denaro si manifesta per l'appunto nel fatto che tutti gli elementi determinanti l'ammontare dei mezzi di circolazione, come la massa delle merci circolanti, i prezzi, il loro aumento o diminuzione, il numero delle compere e delle vendite, la velocità della circolazione del denaro, dipendono dal processo della metamorfosi del mondo delle merci, il quale a sua volta dipende dal carattere complessivo del modo di produzione, dalla densità della popolazione, dal rapporto fra città e campagna, dallo sviluppo dei mezzi di trasporto, da una maggiore o minore divisione del lavoro, dal credito, ecc., in breve da circostanze che si trovano tutte al di fuori della circolazione semplice del denaro e che vi si riflettono semplicemente.
Presupposta la velocità della circolazione, la massa dei mezzi di circolazione è dunque semplicemente determinata dai prezzi delle merci. I prezzi non sono quindi alti o bassi perché circola più o meno denaro, bensì circola più o meno denaro perché i prezzi sono alti o bassi. E' questa una delle più importanti leggi economiche, la cui dimostrazione particolareggiata in base alla storia dei prezzi costituisce forse l'unico merito dell'economia postricardiana. Se ora l'esperienza mostra che il livello della circolazione metallica, ossia la massa dell'oro o argento in circolazione in un determinato paese, è, sì, esposto ad alti e bassi temporanei e talvolta ad alti e bassi [74] molto tempestosi, che però per periodi di tempo piuttosto lunghi rimane eguale, e le deviazioni dal livello medio si riducono solo a deboli oscillazioni, questo fenomeno si spiega semplicemente con la natura antitetica delle circostanze che determinano la massa del denaro circolante. La loro modificazione simultanea paralizza il loro effetto e lascia ogni cosa al punto di prima.
La legge per la quale, data la velocità di circolazione del denaro e data la somma dei prezzi delle merci, è determinata la quantità del medio circolante, si può anche formulare dicendo che, dati i valori di scambio delle merci e la velocità media delle loro metamorfosi, la quantità dell'oro circolante dipenderà dal valore dell'oro stesso. Quindi, se il valore dell'oro, ossia il tempo di lavoro necessario per la sua produzione, aumentasse o diminuisse, i prezzi delle merci aumenterebbero o diminuirebbero in proporzione inversa, e a questo aumento o a questa diminuzione generale dei prezzi, restando invariata la velocità della circolazione, corrisponderebbe una massa maggiore o minore dell'oro richiesto per la circolazione di quella stessa massa di merci. Il medesimo cambiamento si avrebbe, qualora la vecchia misura del valore fosse soppiantata da un metallo più prezioso o meno prezioso. Così l'Olanda, quando per un delicato riguardo verso i creditori dello Stato e per timore degli effetti delle scoperte in California e in Australia, sostituì la moneta d'oro con la moneta d'argento, ebbe bisogno di una quantità d'argento 14-15 volte maggiore di quella d'oro di cui si serviva prima per far circolare la identica massa di merci.
Siccome la quantità d'oro circolante dipende dalla somma variabile dei prezzi delle merci e dalla variabile velocità della circolazione, ne consegue che la massa dei mezzi di circolazione metallici deve essere suscettibile di contrazione e di espansione, in breve che l'oro, corrispondente al fabbisogno del processo di circolazione, dovrà ora entrare nel processo come mezzo di circolazione, ora uscirne di nuovo. Vedremo più tardi in che modo lo stesso processo di circolazione realizzi queste condizioni.
Nella sua formazione di mezzo di circolazione, l'oro acquista un aspetto particolare, diventa moneta. Affinché la sua circolazione non sia ostacolata da difficoltà tecniche, l'oro è coniato in corrispondenza della scala di misura della moneta di conio. Pezzi d'oro la cui coniazione e figura indichi che contengono frazioni di peso d'oro espresse nelle denominazioni di conto del denaro, lire sterline, scellini, ecc., sono monete. Allo Stato compete sia la definizione del prezzo monetario, sia l'attività tecnica della coniazione. Tanto come moneta di conto quanto come moneta, il denaro acquista carattere locale e politico, parla linguaggi ufficiali differenti e porta uniformi nazionali differenti. La sfera entro la quale il denaro circola come moneta si distacca quindi come circolazione delle merci interna, circoscritta ai confini di una comunità, dalla circolazione generale del mondo delle merci.
Tuttavia, l'oro in verghe e l'oro come moneta non sono più differenziati di quel che lo siano la sua denominazione monetaria e la sua denominazione di peso. Quella che in quest'ultimo caso è differenza di denominazione, appare ora come semplice differenza di figura. La moneta d'oro può essere gettata nel crogiuolo e con ciò essere ritrasformata in oro sans phrase, allo stesso modo che basterà mandare semplicemente il lingotto alla zecca per ottenere la forma monetaria. La trasformazione e ritrasformazione da una figura nell'altra appare come operazione puramente tecnica.
Per 100 libbre ossia 1.200 once troy di oro a 22 carati si ottengono in moneta inglese 4.672 1/2 sterline o sovrane oro e, posando queste sovrane su un piatto della bilancia e 100 libbre di oro in lingotti sull'altro, essi avranno il peso uguale, e in tal modo è fornita la prova che la sovrana è null'altro che la frazione di peso d'oro indicata con questa denominazione nel prezzo della moneta inglese, con figura e impronta proprie. Le 4.672 1/2 sovrane oro sono gettate nella circolazione da punti differenti, e afferrate da questa, compiono in un giorno un determinato numero di percorsi, una sovrana di più e l'altra di meno. Se il numero medio dei percorsi giornalieri di un'oncia fosse 10, le 1.200 once d'oro realizzerebbero una somma complessiva di prezzi di merci dell'ammontare di 12.000 once ossia di 46.725 sovrane. Un'oncia d'oro si potrà voltare e rivoltare come si vuole non peserà mai 10 once di oro. Ma qui nel processo di circolazione un'oncia pesa di fatto 10 once. L'esistenza della moneta entro i limiti del processo di circolazione equivale alla quantità d'oro in essa contenuta, moltiplicata per il numero dei suoi percorsi. Oltre alla propria esistenza reale come singolo pezzo d'oro di un peso determinato, la moneta acquisisce dunque un'esistenza ideale derivante dalla sua funzione. Tuttavia, che la sovrana circoli una volta o dieci volte, in ogni singola compera o vendita essa agirà soltanto come singola sovrana. E' lo stesso caso di un generale che il giorno della battaglia, mediante una tempestiva apparizione in 10 punti differenti, sostituisce 10 generali eppure in ogni singolo punto è lo stesso identico generale. L'idealizzazione del mezzo di circolazione, la quale nasce nella circolazione del denaro dalla sostituzione della quantità mediante la velocità, riguarda soltanto l'esistenza funzionale della moneta nei limiti del processo di circolazione, ma non si estende all' esistenza della moneta singola.
Ma la circolazione del denaro è movimento esterno, e la sovrana benché non olet, si aggira in compagnia piuttosto discutibile. Soffregandosi con ogni specie di mani, borse, tasche, salvadanai, sacchetti, casse e armadi, la moneta si consuma, lascia attaccato un atomo d'oro qua, un altro là, perdendo in tal modo, con il limarsi nella circolazione del mondo, sempre più del suo contenuto interno. La moneta si logora per lo stesso fatto che la si usa. Tratteniamo ora la sovrana in un momento in cui il suo carattere naturalmente serio e composto appare ancora a mala pena intaccato. "Un fornaio che oggi riceve fresca fresca dalla banca una sovrana nuova di zecca e la dà via l'indomani per pagare il mugnaio, non paga la stessa, vera (veritable) sovrana; questa sarà più leggera di quel che era al momento in cui l'aveva ricevuta." [75] "E' chiaro che la moneta, per la natura stessa delle cose, debba scivolare nel deprezzamento pezzo per pezzo in seguito alla azione pura e semplice dell'ordinaria e inevitabile usura. E' cosa fisicamente impossibile escludere del tutto dalla circolazione in un momento qualsiasi, foss'anche per un sol giorno, monete leggere." [76] Jacob calcola che dei 380 milioni di lire sterline, esistenti nel 1809 in Europa, nel 1829, in un periodo cioè di vent'anni, 19 milioni di lire sterline erano completamente scomparsi a causa dell'usura [77]. Quindi, come la merce al suo primo passo entro la circolazione esce da questa, così la moneta dopo alcuni passi entro la circolazione rappresenta un peso metallico maggiore di quello che ha. Quanto più a lungo la moneta circola, restando invariata la velocità della circolazione, oppure, quanto più vivace si fa la sua circolazione in quello stesso periodo di tempo, tanto più la sua esistenza quale moneta si distacca dalla sua esistenza aurea o argentea. Quello che rimane è magni nominis umbra. Il corpo della moneta ormai non è più che un'ombra. Mentre in origine la moneta diventava più pesante per effetto del processo, ora diventa più leggera per lo stesso effetto, ma continua, in ogni singola compera o vendita, a valere la originaria quantità d'oro. La sovrana continua a compiere la funzione della moneta d'oro legittima come sovrana apparente, come oro apparente. Mentre altri esseri, nell'attrito con il mondo esterno, perdono il loro idealismo, la moneta è idealizzata dalla pratica, e trasformata in semplice esistenza apparente del suo corpo aureo o argenteo. Questa seconda idealizzazione del denaro metallico, attuata dallo stesso processo di circolazione, ossia la scissione fra il suo contenuto nominale e il suo contenuto reale, è sfruttata, parte da governi, parte da avventurieri privati, in falsificazioni monetarie di tutti i colori. Tutta la storia della monetazione dall'inizio del medioevo fino al Settecento inoltrato si risolve nella storia di queste falsificazioni bilaterali e antagonistiche, e i molti volumi della raccolta di economisti italiani del Custodi in buona parte si aggirano intorno a questo punto.
L'esistenza apparente dell'oro, entro la sua funzione, entra però in conflitto con la sua esistenza reale. Una moneta d'oro ha perduto nella circolazione più del suo contenuto metallico, l'altra meno, e una sovrana vale quindi ora realmente più dell'altra. Ma siccome nella loro esistenza funzionale come moneta hanno il medesimo valore, la sovrana, che è un quarto di oncia, non più di quella che appare come un quarto di oncia, le sovrane a peso pieno in mano a possessori privi di coscienza vengono assoggettate a operazioni chirurgiche, e si compie su di esse artificialmente quello che la circolazione stessa ha compiuto in via naturale sulle loro sorelle. Vengono tosate e ritosate, e il loro superfluo grasso d'oro se ne va a finire nel crogiuolo. Se 4.672 1/2 sovrane oro posate su una bilancia pesano in media non più di 800 once invece di 1.200, portate sul mercato dell'oro, compreranno ormai sole 800 once d'oro, oppure il prezzo del mercato dell'oro salirebbe al di sopra del suo prezzo di moneta. Ogni moneta, anche se a peso pieno, avrebbe minor valore nella sua forma di moneta che nella sua forma di verga. Le sovrane a peso pieno verrebbero ritrasformate in verghe, forma in cui una maggiore quantità d'oro ha maggior valore che non ne abbia una quantità minore d'oro. Non appena questo calo al di sotto del contenuto metallico si fosse esteso a un numero di sovrane sufficiente per determinare un costante aumento del prezzo di mercato dell'oro al di sopra del suo prezzo di moneta, le denominazioni di conto della moneta rimarrebbero le stesse, ma in avvenire indicherebbero una minore quantità di oro. In altre parole, la scala di misura del denaro sarebbe modificata, e l'oro in avvenire verrebbe monetato in base a questa nuova scala di misura. Per effetto della sua idealizzazione come mezzo di circolazione, l'oro avrebbe, reagendo, modificato i rapporti legalmente stabiliti, nei quali era scala di misura dei prezzi. La medesima rivoluzione si ripeterebbe dopo un certo periodo, e in tal modo l'oro sarebbe soggetto a un costante cambiamento sia nella sua funzione come scala di misura dei prezzi sia come mezzo di circolazione, di modo che il cambiamento nell'una delle forme produrrebbe quello nell'altra e viceversa. Così si spiega il fenomeno accennato prima, cioè che nella storia di tutti i popoli moderni, a un contenuto metallico in costante diminuzione sia rimasta sempre la stessa denominazione di denaro. La contraddizione fra l'oro come moneta e l'oro come scala di misura dei prezzi diventa altresì contraddizione fra l'oro come moneta e l'oro come equivalente generale, forma in cui circola non soltanto entro i confini del paese, ma anche sul mercato mondiale. Come misura dei valori l'oro è sempre stato di peso pieno perché serviva semplicemente come oro ideale. Come equivalente nell'atto isolato M - D, dalla sua esistenza in movimento ricade subito nella sua esistenza statica , ma come moneta la sua sostanza naturale entra in continuo conflitto con la sua funzione. Non è possibile evitare interamente la trasformazione della sovrana d'oro in oro apparente, ma la legislazione cerca di impedire la sua fissazione come moneta, eliminandola a un determinato grado di ammanco di sostanza. Secondo la legge inglese per esempio, una sovrana che abbia perduto più di 0,747 grani di peso, non è più una sovrana legale. La Banca d'Inghilterra, la quale nei soli anni fra il 1844 e il 1848 ha pesato 48 milioni di sovrane d'oro, possiede nella bilancia da oro del signor Cotton una macchina, che non soltanto avverte la differenza di 1/100 di grani fra due sovrane, ma, come un essere raziocinante, fa balzare la sovrana manchevole di peso su di un'asse da cui va a finire in un'altra macchina che la frantuma con crudeltà orientale.
Ma in queste condizioni la moneta d'oro non potrebbe circolare in genere, se la sua circolazione non fosse limitata a certi ambienti della circolazione, entro i cui confini essa ha un'usura meno rapida. In quanto una moneta d'oro nella circolazione è considerata un quarto d'oncia, mentre ormai non pesa più che 1/5, essa è diventata realmente un semplice segno o simbolo di 1/20 d'oncia d'oro, e in tal modo ogni moneta d'oro per effetto dello stesso processo di circolazione viene più o meno trasformata in un semplice segno o simbolo della propria sostanza. Ma nessuna cosa può essere simbolo di se stessa. Uva dipinta non è il simbolo di un'uva reale, bensì è uva apparente. Ma ancor meno una sovrana leggera potrà essere il simbolo di una sovrana di peso pieno, come un cavallo dimagrito non potrà essere simbolo di un cavallo grasso. Siccome dunque l'oro diventa simbolo di se stesso, ma non può servire da simbolo di se stesso, negli ambienti della circolazione nei quali la sua usura è la più rapida, ossia negli ambienti in cui compere e vendite in proporzioni minime sono costantemente rinnovate, l'oro acquisisce un'esistenza simbolica, d'argento o di rame, staccata dalla sua esistenza aurea. In questi ambienti circolerebbe sempre come moneta una determinata proporzione del complessivo denaro aureo, benché non le stesse identiche monete d'oro. In questa proporzione l'oro è sostituito da marche d'argento o di rame. Quindi, mentre entro i confini di un paese una sola merce specifica può funzionare da misura dei valori e con ciò da denaro, merci differenti possono servire da moneta accanto al denaro. Questi mezzi di circolazione sussidiari, p. es. marche d'argento o di rame, rappresentano entro la circolazione determinate frazioni della moneta d'oro. Il loro contenuto d'argento o di rame non è quindi determinato dal rapporto di valore fra argento e rame nei confronti dell'oro, ma è stabilito a piacere dalla legge. Esse possono essere spese solo nelle quantità in cui le frazioni diminutive della moneta d'oro, da esse rappresentate, circolerebbero costantemente sia per il cambio di monete d'oro più alte, sia per la realizzazione di prezzi di merci di corrispondente esiguità. All'interno della circolazione al minuto delle merci, le marche di argento e di rame rientreranno di nuovo in particolari ambienti. Secondo la natura della cosa, la loro velocità di circolazione è in proporzione inversa del prezzo che realizzano in ogni singola compera e vendita, ossia della grandezza di frazione della moneta d'oro che rappresentano. Considerando la mole enorme del piccolo traffico giornaliero in un paese come l'Inghilterra, la proporzione relativamente insignificante della quantità complessiva delle monete sussidiarie in circolazione manifesta la velocità e la continuità della loro circolazione. In una relazione parlamentare pubblicata poco tempo fa, vediamo per esempio che nel 1857 la zecca inglese ha monetato oro per un ammontare di 4.859.000 lire sterline, argento per un valore nominale di 373.000 lire sterline e per un valore metallico di 363.000 lire sterline. L'ammontare complessivo dell'oro monetato, nei dieci anni decorsi in data 31 dicembre 1857, era di 55.239.000 lire sterline e di sole 2.434.000 sterline in argento. La moneta di rame nel 1857 ammontava soltanto a un valore nominale di 6.720 lire sterline con un valore in rame di 3.492 sterline (di cui 3.136 sterline in pence, 2.464 in mezzi pence e 1.120 in farthings). Il valore complessivo della moneta di rame coniata in dieci anni era di 141.477 lire sterline con un valore metallico di 73.503 lire sterline. Allo stesso modo che alla moneta d'oro s'impedisce di fissarsi nella sua funzione di moneta, stabilendo legalmente la sua usura metallica che la smonetizza alle marche d'argento e di rame, viceversa, s'impedisce di passare dalle sfere di circolazione nella sfera di circolazione della moneta d'oro, stabilendo il grado del prezzo che esse realizzano legalmente. Così p. es. in Inghilterra si deve accettare in pagamento rame soltanto fino all'ammontare di 6 pence e argento solo fino all'ammontare di 40 scellini. Se le marche d'argento e di rame fossero spese in quantità maggiori di quelle richieste dai bisogni delle loro sfere di circolazione, i prezzi delle merci non salirebbero per questo, si avrebbe bensì un'accumulazione di queste marche presso i venditori al minuto, i quali alla fine sarebbero costretti a venderle come metallo. Così, nel 1798, monete di rame inglesi, spese da privati, si erano accumulate per un ammontare di 20.350 lire sterline presso piccoli bottegai che invano cercavano di rimetterle in circolazione e alla fine dovettero gettarle come merce sul mercato del rame [78].
Le marche d'argento e di rame, rappresentanti la moneta d'oro in determinate sfere della circolazione interna, hanno un contenuto d'argento e di rame legalmente stabilito, ma, afferrate dalla circolazione, si logorano come la moneta d'oro e si idealizzano, a seconda della velocità e continuità della loro circolazione, in modo ancor più rapido, fino a diventare semplici ombre di corpi. Ora se si dovesse tracciare di nuovo una linea limite della loro smetallizzazione, oltre la quale le marche d'argento e di rame perderebbero il loro carattere di moneta, esse dovrebbero, entro determinati ambienti della propria sfera di circolazione, essere sostituite a loro volta da altro denaro simbolico, p. es. dal ferro e dal piombo, e questa raffigurazione di denaro simbolico, per mezzo di altro denaro simbolico, sarebbe un processo all'infinito. In tutti i paesi a circolazione sviluppata, quindi, la necessità stessa della circolazione del denaro costringe a rendere il carattere monetario delle marche d'argento e di rame indipendente da ogni grado della loro usura. In questo appare quanto stava nella natura della cosa, cioè che queste marche sono simboli della moneta d'oro non perché siano simboli fatti d'argento o di rame, non perché abbiano un valore, bensì in quanto non ne hanno.
Cose relativamente prive di valore come carta possono dunque funzionare da simboli del denaro aureo. Il fatto che la moneta sussidiaria consista di marche metalliche, argento, rame, ecc. risale in gran parte a questo: nella massima parte dei paesi, i metalli meno pregiati circolavano in qualità di denaro, come in Inghilterra l'argento, nell'antica repubblica romana, in Svezia, Scozia, ecc. il rame, prima che il processo di circolazione li avesse degradati a moneta divisionale e li avesse sostituiti mediante un metallo più pregiato. Del resto sta nella natura della cosa che il simbolo del denaro, che nasce direttamente dalla circolazione metallica, sia a sua volta di nuovo un metallo. Allo stesso modo che la porzione di oro che dovrebbe sempre circolare come moneta divisionale è sostituita da marche metalliche, la porzione d'oro che è sempre assorbita come moneta dalla sfera della circolazione interna, e deve quindi circolare costantemente, può essere sostituita da marche prive di valore. Il livello, al di sotto del quale la massa della moneta circolante non scende mai, è dato in ogni paese dall'esperienza. La differenza fra il contenuto nominale e il contenuto metallico della moneta metallica, in origine appena percettibile, può dunque aumentare fino al distacco assoluto. La denominazione monetaria del denaro si distacca dalla sua sostanza ed esiste al di fuori di questa in cedole di carta prive di valore. Così come il valore di scambio delle merci si cristallizza in denaro aureo mediante il loro processo di scambio, il denaro aureo nella circolazione si sublima a proprio simbolo, prima nella forma della propria moneta aurea logorata, poi nella forma delle monete metalliche sussidiarie e infine nella forma della marca priva di valore, nella forma della carta, del segno di valore puro e semplice.
Ma la moneta aurea ha generato i propri sostituti, dapprima metallici, e poi cartacei, soltanto perché, malgrado la sua perdita di metallo, ha continuato a funzionare da moneta. Non ha circolato perché si logorava, bensì si è logorata a simbolo perché continuava a circolare. Solo in quanto all'interno del processo lo stesso denaro aureo diventa mero segno del proprio valore, meri segni di valore potranno sostituirlo.
Nella misura in cui il movimento M - D - M è unità dinamica dei due momenti M - D, D - M trasformantisi direttamente l'uno nell'altro, ossia nella misura in cui la merce percorre il processo della sua metamorfosi complessiva, essa realizza il proprio valore di scambio nel prezzo e nel denaro per superare subito di nuovo questa forma e ridiventare merce o, piuttosto, valore d'uso. Essa procede dunque a una autonomizzazione solo apparente del proprio valore di scambio. Abbiamo visto d'altra parte che l'oro, in quanto funziona solo come moneta, ossia si trova costantemente in circolazione, di fatto non rappresenta che la concatenazione delle metamorfosi delle merci e il loro essere denaro semplicemente dileguantesi, che realizza il prezzo di una merce soltanto per realizzare il prezzo dell'altra, ma che in nessun punto appare come esistenza in riposo del valore di scambio o come la stessa merce in riposo. La realtà che il valore di scambio delle merci acquisisce in questo processo e che l'oro rappresenta nella propria circolazione, è soltanto quella di una scintilla elettrica. benché sia oro reale, funziona soltanto come oro apparente e quindi può essere sostituito in questa sua funzione da simboli di se stesso.
Il segno di valore, diciamo la carta che funzioni da moneta, è il simbolo della quantità d'oro espressa nella sua denominazione monetaria, è dunque segno d'oro. Allo stesso modo che una determinata quantità d'oro in sé non esprime un rapporto di valore, non lo esprimerà nemmeno il segno che subentra al suo posto. In quanto una determinata quantità d'oro come tempo di lavoro oggettivato possiede una determinata grandezza di valore, il segno dell'oro rappresenta valore. La grandezza di valore da esso rappresentata dipenderà però ogni volta dal valore della quantità d'oro da esso rappresentata. Nei confronti delle merci il segno di valore rappresenta la realtà del loro prezzo, è signum pretii ed è segno del loro valore soltanto perché il loro valore è espresso nel loro prezzo. Nel processo M - D - M, in quanto questo si presenti solo come unità in movimento ossia reciproca trasformazione diretta delle due metamorfosi - e così si presenta nella sfera della circolazione in cui funziona il segno di valore -, il valore di scambio delle merci acquisisce nel prezzo un'esistenza meramente ideale, meramente immaginaria, nel denaro, un'esistenza simbolica. Il valore di scambio appare in tal modo soltanto come valore immaginato o rappresentato nella cosa, ma non possiede realtà al di fuori delle merci stesse, in quanto in questo è oggettivata una determinata quantità di tempo di lavoro. Pare quindi che il segno di valore rappresenti direttamente il valore delle merci in quanto si presenta non come segno dell'oro, bensì come segno del valore di scambio che nel prezzo è semplicemente espresso, ma esiste nella merce soltanto. Ma questa parvenza è falsa. Il segno di valore è direttamente solo segno del prezzo, dunque segno dell'oro, e solo per via indiretta è segno del valore della merce. L'oro non ha venduto la propria ombra come Peter Schlemihl, bensì compra mediante la propria ombra. Il segno di valore agisce quindi soltanto in quanto all'interno del processo rappresenta il prezzo di una merce nei confronti dell'altra o nei confronti di ogni possessore di merci rappresenta l'oro. Una determinata cosa, relativamente priva di valore, un pezzo di cuoio, una cedola, ecc. diventa in un primo tempo per consuetudine segno del materiale del denaro, ma si afferma come tale solo in quanto la sua esistenza come simbolo è garantita dalla volontà generale dei possessori di merci, ossia in quanto ottiene un'esistenza legalmente convenzionale e quindi corso forzoso. La carta moneta di Stato a corso forzoso è la forma compiuta del segno di valore, ed è l'unica forma di carta moneta che nasca direttamente dalla circolazione metallica ossia dalla stessa circolazione semplice delle merci. La moneta di credito fa parte di una sfera superiore del processo di produzione sociale ed è regolata da tutt'altre leggi. La carta moneta simbolica in realtà non differisce affatto dalla moneta metallica sussidiaria, agisce semplicemente in una sfera di circolazione più vasta. Se già il semplice sviluppo tecnico della scala di misura dei prezzi o del prezzo monetario e, ancora, la trasformazione esteriore dell'oro grezzo in moneta aurea hanno provocato la ingerenza dello Stato, e con ciò la circolazione interna si è distaccata visibilmente dalla circolazione generale delle merci, questo distacco viene portato a termine dalla evoluzione della moneta a segno di valore. In generale, come semplice mezzo di circolazione, il denaro può rendersi indipendente soltanto entro la sfera della circolazione interna.
La nostra esposizione ha mostrato come la esistenza monetaria dell'oro, quale segno di valore distaccato dalla sostanza aurea stessa, nasca dallo stesso processo di circolazione, non da accordi o dall'ingerenza dello Stato. La Russia offre un esempio lampante dell'origine spontanea del segno di valore. All'epoca in cui per illi e per illicce servivano colà come denaro, la contraddizione fra questo materiale deteriorabile e malagevole e la sua funzione di mezzo di circolazione creò la consuetudine di sostituirlo con piccoli pezzi di cuoio bollato, i quali in tal modo diventavano assegni pagabili in per illi e per illicce. In seguito divennero, sotto il nome di copechi, semplici segni per frazioni del rublo d'argento e si conservarono in talune località con quest'uso fino al 1700, allorchè Pietro il Grande ordinò di cambiarli con piccole monete di rame emesse dallo Stato [79]. Scrittori antichi che avevano potuto osservare solo i fenomeni della circolazione metallica, interpretano già la moneta aurea come simbolo o segno di valore. Così Platone [80] e Aristotele [81]. In paesi senza alcuno sviluppo del credito, come in Cina, la carta moneta a corso forzoso si trova già in tempi remoti [82]. In vecchi autori che hanno già trattato della carta moneta, si fa espressamente riferimento alla trasformazione della moneta metallica in segno di valore come cosa nota dallo stesso processo di circolazione. Così in Benjamin Franklin [83] e negli scritti del vescovo Berkeley [84]. Quante risme di carta, tagliuzzate in cedole, potranno circolare come denaro? Posto in tal modo, il quesito sarebbe assurdo. Le marche prive di valore sono segni di valore solo in quanto entro il processo di circolazione sostituiscono l'oro, e lo sostituiscono solo in quanto l'oro stesso entrerebbe nel processo di circolazione come moneta, quantità, determinata dal valore dell'oro stesso quando fossero dati i valori di scambio delle merci e la velocità delle loro metamorfosi. Cedole dalla denominazione di 5 lire sterline potrebbero circolare solo in un numero di cinque volte minore che cedole della denominazione di 1 lira sterlina, e se tutti i pagamenti si facessero in cedole di scellini, dovrebbero circolare 20 volte più cedole di scellini che cedole di lire sterline. Se la moneta aurea fosse rappresentata da cedole di denominazione diversa, p. es. cedole da 5 sterline, 1 sterlina, 10 scellini, la quantità di queste diverse specie di segni di valore sarebbe determinata non dalla quantità d'oro necessaria per la circolazione complessiva, bensì da quella necessaria per l'ambito di circolazione di ogni specie particolare. Se 14 milioni di lire sterline (è questo il presupposto della legislazione bancaria inglese, ma non per la moneta, bensì per la moneta di credito) fossero il livello al di sotto del quale la circolazione di un paese non scendesse mai, potrebbero circolare 14 milioni di cedole, ognuna segno di valore per 1 lira sterlina. Se il valore dell'oro salisse o scendesse perché fosse diminuito o aumentato il tempo di lavoro necessario per la sua produzione, restando invariato il valore di scambio della medesima massa merci, il numero delle cedole da 1 lira sterlina in circolazione aumenterebbe o diminuirebbe in proporzione inversa del variare del valore dell'oro. Se l'oro fosse sostituito, come misura dei valori, dall'argento, e se il rapporto di valore fra argento e oro fosse l:15, se in avvenire ogni cedola rappresentasse la medesima quantità d'argento che prima rappresentava di oro, in tal caso invece dei 14 milioni dovrebbero in avvenire circolare 210 milioni di cedole da 1 sterlina. La quantità delle cedole è dunque determinata dalla quantità di denaro aureo che esse sostituiscono nella circolazione, ed essendo soltanto segni di valore in quanto lo sostituiscono, il loro valore è semplicemente determinato dalla loro quantità. Quindi, mentre la quantità dell'oro circolante dipende dai prezzi delle merci, il valore delle cedole circolanti, viceversa, dipende esclusivamente dalla loro quantità.
L'ingerenza dello Stato il quale emette la carta moneta a corso forzoso - e noi trattiamo solo di questa specie di carta moneta - sembra abolire la legge economica. Lo Stato, il quale nel prezzo monetario ha dato a un determinato peso d'oro un solo nome di battesimo, e nella monetazione ha semplicemente impresso il proprio timbro all'oro, sembra ora, per effetto della magia del suo timbro, trasformare carta in oro. Siccome le cedole hanno corso forzoso, nessuno può impedire allo Stato di immettere nella circolazione un numero di esse elevato quanto gli piacerà e di iscrivervi le denominazioni monetarie che vorrà, come 1 lira sterlina, 5 lire sterline, 20 lire sterline, ecc. E' impossibile scacciare dalla circolazione le cedole una volta che vi si trovino, poiché da un lato i pali di confine del paese ostacolano il loro corso, e dall'altro, esse perdono ogni valore, valore d'uso come anche valore di scambio, al di fuori della circolazione. Distaccate dalla loro esistenza funzionale, si trasformano in spregevoli pezzi di carta. Ma questo potere dello Stato è semplice parvenza. Lo Stato potrà gettare nella circolazione una qualsivoglia quantità di cedole con qualsivoglia denominazione monetaria, ma con questo atto meccanico cessa il suo controllo. Afferrato dalla circolazione, il segno di valore ossia la carta moneta si trova soggetto alle leggi immanenti della circolazione.
Se 14 milioni di lire sterline fossero la somma d'oro necessaria per la circolazione delle merci, e se lo Stato gettasse nella circolazione 210 milioni di cedole, ognuno con la denominazione di 1 lira sterlina, questi 210 milioni sarebbero trasformati in rappresentanti di oro per l'ammontare di 14 milioni di lire sterline. Si avrebbe lo stesso effetto che si avrebbe, se lo Stato avesse reso le cedole da 1 lira sterlina rappresentanti di un metallo 15 volte meno pregiato o di una frazione di peso d'oro 15 volte minore di prima. Nulla sarebbe cambiato se non la denominazione della scala dei prezzi che è naturalmente convenzionale, sia che essa avvenga direttamente mediante modifica della monetazione o indirettamente mediante l'aumento delle cedole in una quantità richiesta per una scala di misura nuova, più bassa. Siccome la denominazione di lira sterlina indicherebbe ora una quantità d'oro 15 volte minore, tutti i prezzi delle merci aumenterebbero 15 volte e allora 210 milioni di biglietti da 1 lira sterlina sarebbero di fatto altrettanto necessari quanto prima lo erano 14 milioni. Nella stessa misura in cui sarebbe aumentata la somma complessiva dei segni di valore, sarebbe diminuita la quantità d'oro che ognuno di essi rappresenta singolarmente. L'aumento dei prezzi sarebbe soltanto la reazione del processo di circolazione, il quale equipara forzosamente i segni di valore alla quantità di oro che essi pretendono di sostituire nella circolazione.
Nella storia delle falsificazioni monetarie inglesi e francesi ad opera dei governi, troviamo ripetute volte che i prezzi non erano saliti nella misura in cui la moneta d'argento era stata falsificata. Semplicemente perché la proporzione in cui la moneta veniva aumentata non corrispondeva alla proporzione in cui era falsificata, vale a dire, siccome della composizione metallica inferiore non era emessa la massa corrispondente, i valori di scambio delle merci per il futuro dovevano essere valutati in questa come misura dei valori ed essere realizzati mediante monete corrispondenti a questa unità di misura inferiore. E così si risolve la difficoltà insoluta nel duello fra Locke e Lowndes. La proporzione in cui il segno di valore, si tratti di carta e di oro e argento falsificato, sostituisce pesi d'oro e di argento calcolati in conformità del prezzo monetario, dipende non dal valore del segno, bensì dalla sua quantità in circolazione. La difficoltà di comprensione di questo rapporto nasce dal fatto che il denaro, nelle sue due funzioni di misura dei valori e di mezzo di circolazione, è soggetto a leggi non soltanto invertite, ma apparentemente contraddittorie nei confronti del contrasto fra le due funzioni. Per la sua funzione come misura dei valori, in cui il denaro serve solo come moneta di conto, e l'oro serve solo come oro ideale, tutto dipende dal materiale naturale. Valutati in argento o come prezzi in argento, i valori di scambio appaiono naturalmente del tutto diversi dai prezzi in oro. Viceversa, nella sua funzione di mezzo di circolazione in cui il denaro non è soltanto immaginario, ma deve essere presente come cosa reale accanto alle altre merci, il suo materiale diventa indifferente, mentre tutto dipenderà dalla sua quantità. Per l'unità di misura è cosa decisiva ch'essa sia una libbra di oro, d'argento o di rame; mentre la semplice quantità rende la moneta realizzazione corrispondente di ognuna di queste unità di misura, qualunque sia il materiale della moneta. Ma è cosa contraria al comune buonsenso che per il denaro puramente immaginario tutto dipenda dalla sua sostanza materiale, e per la moneta percettibilmente presente tutto dipenda da un ideale rapporto numerico.
L'aumento o la diminuzione dei prezzi delle merci insieme con l'aumento o la diminuzione della massa delle cedole - quest'ultimo caso là dove le cedole costituiscono il mezzo di circolazione esclusivo - non sono dunque altro che l'applicazione forzosa, ad opera del processo di circolazione, della legge violata meccanicamente dall'esterno, che la quantità dell'oro circolante è determinata dai prezzi delle merci e la quantità dei segni di valore circolanti è determinata dalla quantità della moneta aurea che sostituiscono nella circolazione. D'altra parte, ogni e qualsiasi massa di cedole è perciò assorbita e per così dire digerita dal processo di circolazione, perché il segno di valore, qualunque sia il titolo aureo con cui entri nella circolazione, entro quest'ultima è compreso a segno della quantità d'oro che potrebbe circolare al suo posto.
Nella circolazione dei segni di valore, tutte le leggi della reale circolazione del denaro sembrano invertite e capovolte. Mentre l'oro circola perché ha valore, la carta ha valore perché circola. Mentre con un valore di scambio delle merci dato, la quantità dell'oro circolante dipende dal valore di questo ultimo, il valore della carta dipende dalla sua quantità circolante. Mentre la quantità dell'oro circolante aumenta o sale insieme con l'aumento o con la diminuzione dei prezzi delle merci, i prezzi delle merci sembrano aumentare o diminuire insieme con il variare della quantità di carta circolante. Mentre la circolazione delle merci può assorbire solo una determinata quantità di moneta aurea, e quindi l'alternarsi della contrazione e dell'espansione del denaro circolante si manifesta come legge necessaria, la carta moneta sembra entrare nella circolazione in ogni e qualsiasi estensione. Mentre lo Stato falsifica la moneta d'oro e d'argento e quindi turba la loro funzione come mezzo di circolazione, anche se dovesse emettere la moneta con solo 1/100 di grano al di sotto del suo contenuto nominale, esso compie un'operazione del tutto giusta emettendo cedole prive valore che nulla hanno del metallo se non la denominazione monetaria. Mentre la moneta d'oro apparentemente rappresenta soltanto il valore delle merci in quanto questo è esso stesso valutato in oro o espresso come prezzo, il segno di valore sembra rappresentare il valore della merce direttamente. E' chiaro quindi perché osservatori, i quali studiavano i fenomeni della circolazione del denaro unilateralmente in base alla circolazione della carta moneta a corso forzoso, dovevano misconoscere tutte le leggi immanenti della circolazione del denaro. In realtà queste leggi, nella circolazione dei segni di valore, non soltanto appaiono invertite, bensì radiate, poiché la carta moneta, se emessa nella giusta quantità, compie movimenti che le sono peculiari non in quanto segno di valore, mentre il suo movimento particolare, di risalire direttamente alla metamorfosi delle merci, nasce dalla violazione della sua giusta proporzione nei confronti dell'oro.
Note
*15. In italiano nel testo.
65. "Di due sorte è la moneta, ideale e reale; e a due diversi usi è adoperata, a valutare le cose e a comperarle. Per valutare è buona la moneta ideale, così come la reale e forse anche più. L'altro uso della moneta è di comperare quelle cose istesse, ch'ella apprezza... i prezzi e i contratti si valutano in moneta ideale e si eseguiscono in moneta reale" (Galiani, Della Moneta, cit., p. 112 sgg.).
66. Ciò non toglie naturalmente che il prezzo di mercato delle merci possa stare al di sopra o al di sotto del loro valore. Ma questa considerazione è estranea alla circolazione semplice e rientra in una sfera del tutto differente, da esaminarsi in seguito, dove indagheremo il rapporto fra valore e prezzo di mercato.
67. Come ferisca nell'intimo le anime belle anche la forma del tutto superficiale dell'antagonismo espresso in compera e vendita, mostra il seguente estratto dalle Lecons sur l'industrie et les finances, Parigi, 1832, del signor Isaac Péreire. Il fatto che questo stesso Isacco sia al contempo il lupo della Borsa parigina, famigerato come inventore e dittatore del Crédit mobilier, mostra in che cosa consista la critica sentimentale dell'economia. Il signor Péreire, a quei tempi apostolo di Saint-Simon, dice: "poiché gli individui sono isolati, gli uni separati dagli altri, sia nei loro lavori, sia rispetto al consumo, si ha fra di essi uno scambio dei prodotti dei loro rispettivi mestieri. Dalla necessità dello scambio nasce la necessità di determinare il valore relativo degli oggetti. Le idee del valore e dello scambio sono quindi strettamente connesse, e entrambe esprimono nella loro forma reale l'individualismo e l'antagonismo... Si può stabilire il valore dei prodotti soltanto perché vi è vendita e compera, in altri termini, perché vi è antagonismo fra i diversi membri della società. Là soltanto ci si poteva occupare del prezzo, del valore, dove vi era vendita e compera, vale a dire dove ogni individuo era costretto a lottare per procurarsi gli oggetti necessari per la conservazione della vita" (ivi, pp. 2, 3 passim).
68. "Il denaro non è che il mezzo e l'avvio, mentre le merci utili alla vita sono il fine e lo scopo" (Boisguillebert, Le détail de la France, 1697, in Eugène Daire, Economistes financiers du XVIIIième siècle, vol. I, Parigi, 1843, p. 210).
69. Nel novembre 1807 uscì in Inghilterra uno scritto di William Spence dal titolo: Britain Independent of Commerce, il cui principio fu svolto ulteriormente da William Cobbett nel suo Political Register nella forma più drastica di "Perish Commerce" (abbasso il commercio). Contro questo scritto James Mill pubblicò nel 1808 la sua Defence of Commerce nella quale già si trova l'argomento mutuato nel nostro testo dai suoi Elements of Political Economy. Polemizzando con il Sismondi e il Malthus, J. B. Say si appropriò la graziosa trovata ed essendo impossibile dire di quale nuova trovata questo buffo "prince de la science" avrebbe arricchito l'economia politica - il suo merito consisteva piuttosto in un obiettivo e uniforme fraintendimento dei suoi contemporanei Malthus, Sismondi e Ricardo - i suoi ammiratori continentali hanno strombazzato a tutti i venti la sua gloria di scopritore del tesoro dell'equilibrio metafisico delle compere e vendite.
70. La maniera nella quale gli economisti raffigurano le differenti definizioni formali della merce si può vedere dai seguenti esempi:
"In possesso di denaro ci occorrerà fare soltanto uno scambio per ottenere l'oggetto del nostro desiderio, mentre con altri prodotti in più ne dovremo fare due, dei quali il primo (procurarsi il denaro) è infinitamente più difficile del secondo" (G. Opdyke, A Treatise on Political Economy, New York, 1851, pp. 287-288).
"La maggiore vendibilità del denaro è l'effetto esatto o la naturale conseguenza della minore vendibilità delle merci" (Th. Corbet, An Inquiry into the Causes and Modes of the Wealth of Individuals ecc., Londra, 1841, p. 117), "Il denaro ha la proprietà di essere sempre scambiabile con la cosa che esso misura" (Bosanquet, Metallic, Paper and Credit Currency ecc., Londra, 1842, p.100).
"Il denaro può sempre comperare altre merci, mentre altre merci non sempre possono comperare denaro" (Th. Tooke, An inquiry into the Currency Principle, 2. Ed., Londra, 1844, p.10).
71. Una medesima merce può essere comprata e rivenduta più volte. In tal caso non circola come semplice merce, bensì in una determinazione che dal punto di vista della circolazione semplice, del contrasto semplice fra merce e denaro, non esiste.
72. La massa del denaro è indifferente, "presupposto che ve ne sia a sufficienza per mantenere i prezzi dati dalle merci". Boisguillebert, Le détail de la France, cit., p. 209. "Se la circolazione di merci per 400 milioni di lire sterline richiede una massa d'oro di 40 milioni e se questa proporzione di 1/10 era il livello adeguato, allora, aumentando il valore delle merci circolanti per ragioni naturali a 450 milioni, la massa dell'oro, per rimanere al proprio livello, dovrebbe aumentare a 45 milioni." W. Blake, Observations on the Effects produced by the Expenditure of Government ecc., Londra, 1823, pp. 80, 81.
73. "E' la velocità del giro del denaro, non la quantità dei metalli che fa apparir molto o poco il denaro" (Galiani, Della Moneta, cit., p. 99).
74. Un esempio di una straordinaria discesa della circolazione metallica al di sotto del suo livello medio fu offerto dall'Inghilterra nell'anno 1858, come si vedrà dal seguente estratto dell'Economist di Londra: "Dalla natura della cosa (cioè dal carattere frazionato della circolazione semplice) non si possono ottenere dati molto esatti sulla quantità del denaro costante che circola sul mercato e nelle mani delle classi non connesse con banche. Ma forse si ha l'indice più esatto delle variazioni di quella quantità nell'attività e nella inattività delle zecche delle grandi nazioni commerciali. Ne sarà prodotto molto quando vi sarà bisogno di molto, e poco quando ne basterà poco... Nella zecca inglese la coniatura ammontava nell'anno 1855 a 9.245.000 lire sterline; nel 1856 a 6.476.000 lire sterline; nel 1857 a 5.293.858 lire sterline. Durante l'anno 1858 la zecca non aveva quasi da fare" (Economist, 10 luglio, p. 754 sgg). Ma contemporaneamente nei sotterranei della Banca giacevano circa 18 milioni di lire sterline in oro.
75. Dodd, Curiosities of Industry ecc,. Londra, 1854, p. 16.
76. The Currency Question reviewed ecc. by a Banker ecc., Edimhurgo, 1845, p. 69 ecc. "Se un tallero un pò consumato fosse considerato di un valore un pò minore di un tallero del tutto nuovo, la circolazione si troverebbe costantemente intralciata, e non un solo pagamento verrebbe fatto senza contestazioni". (G. Garnier, Histoire de la monnaie ecc., vol. I, p. 24).
77. Jacob W., An Historical Inquiry into the Production annd Consumption of the Precious Metals, Londra, 1831, vol. II, cap. XXVI, p. 322.
78. David Buchanan, Observations on the Subjects treated of in Doctor Smith's Inquiry on the Wealth of Nations ecc., Edimburgo, 1814, p. 31.
79. Henry Storch, Cours d'économie politique ecc. con note di J. B. Say, Parigi, 1823, vol. IV, p. 79. Lo Storch pubblicò la sua opera in francese a Pietroburgo. J. B. Say organizzò subito una ristampa parigina, integrata di presunte "note" le quali in realtà non contengono che luoghi comuni. Lo Storch (vedi le sue Considerations sur la nature du revenu national, Parigi, 1824) accolse queste addizioni fatte alla sua opera da parte del "prince de la science" in modo niente affatto cortese.
80. Platone, De Republica, libro II, "la moneta è un simbolo dello scambio" (Opera Omnia ecc., ed. G. Stallbumius, Londra, 1850, p. 304). Platone svolge il denaro soltanto nelle sue due definizioni di misura del valore e di segno di valore, ma chiede, oltre al segno di valore adibito alla circolazione interna, un altro per i rapporti con la Grecia e con l'estero (Cfr. anche il 5º libro delle sue Leggi).
81. Aristotele (Ethica Nicomachea: cit., libro V, cap. 8): "Il denaro divenne unico mezzo di scambio del bisogno reciproco in base ad un accordo. E ha il nome di per il fatto che non sussiste per natura, bensì in virtù di legge () e che sta a noi mutare quest'ultima e renderla inefficace". Aristotele ha concepito il denaro in modo incomparabilmente più universale e più profondo che non Platone. Nel passo seguente egli espone ottimamente come dal commercio di scambio fra comunità differenti nasca la necessità di dare il carattere di denaro a una merce specifica, quindi a una sostanza avente valore per se stessa. "poiché, estendendosi il reciproco aiuto mediante l'importazione delle cose mancanti e l'esportazione di quelle sovrabbondanti a distanze considerevoli, nacque di necessità l'uso del denaro... Ci si accordò di non dare e di non prendere all'atto degli scambi reciproci se non una cosa che, avendo valore di per sé, presentasse il vantaggio di un uso maneggevole... come il ferro e l'argento o altra cosa del genere" (Aristotele, De Republica, cit., libro I, cap. 9). Questo passo è citato da Michel Chevalier, che o non aveva letto o non aveva capito Aristotele, per dimostrare che secondo il parere di Aristotele il mezzo di circolazione dovesse consistere in una sostanza di per sé avente valore. Aristotele dice invece espressamente che il denaro come semplice mezzo di circolazione sembra avere un'esistenza meramente convenzionale o legale, come risulta dallo stesso suo nome [] e come di fatto riceva il proprio valore di uso come moneta soltanto dalla sua funzione stessa, non da un valore d'uso inerente ad esso stesso. "Nullo sembra essere il denaro e del tutto esistente in virtù di legge, ma non è nulla per sua natura, cosicché posto fuori della circolazione non ha alcun valore ed è inservibile per una qualsiasi necessità" (ivi).
82. Mandeville (Sir John), Voyages and Travels, Londra, ed. 1705, p. 105: "Questo imperatore (di Cattay o di Cina) può spendere quanto gli piace senza limitazioni, poiché egli non è dipendente e fa denaro soltanto di cuoio bollato o di carta. E allorchè questo denaro ha tanto circolato da cominciare a consumarsi, allora lo si porta al Tesoro imperiale e poi si prende denaro nuovo al posto di quello vecchio. E questo denaro circola in tutto il paese e in tutte le sue province... non si fa denaro né di oro né di argento", e, ritiene il Mandeville, "per questo egli può spendere sempre di bel nuovo e in misura eccessiva".
83. Benjamin Franklin, Remarks and Facts relative to the American Paper Money, 1764, p. 348, l. c.: "Proprio in quest'epoca in Inghilterra il denaro d'argento è fatto forzosamente mezzo legale di pagamento per una parte del suo valore, questa parte è la differenza fra il suo peso reale e il suo valore nominale. Una gran parte delle monete da uno scellino e da six pence ora in circolazione, con l'usura è diventata troppo leggera del 5, 10, 20% e alcune delle monete da sei pence perfino del 50%. Per questa differenza fra valore reale e valore nominale non vi è alcun valore intrinseco; non si ha nemmeno carta, non si ha nulla. E' la forza di pagamento legale unita alla consapevolezza di poter cedere la moneta ad altri facilmente e per lo stesso valore che fa passare una moneta d'argento del valore di 3 pence per una moneta da 6 pence".
84. Berkeley, The Querist, cit.: "Conservando la denominazione della moneta dopo che il suo metallo ha fatto la fine di tutte le cose terrene, non continuerebbe tuttavia a sussistere la circolazione del commercio?".
Il denaro, a differenza della moneta, che è il risultato del processo di circolazione nella forma M - D - M, costituisce il punto di partenza del processo di circolazione nella forma D - M - D, ossia lo scambio di denaro con merce per scambiare merce con denaro. Nella forma M - D - M il punto di partenza e il punto finale del movimento sono costituiti dalla merce, nella forma D - M - D dal denaro. Nel primo movimento, lo scambio della merce è mediato dal denaro, nella seconda è la merce che media il divenire denaro del denaro. Il denaro che nella prirna forma è semplice mezzo, appare nella seconda come scopo finale della circolazione, mentre la merce, la quale nella prima forma appare come scopo finale, nella seconda appare come semplice mezzo. Siccome il denaro è esso stesso già risultato della circolazione M - D - M, nella forma D - M - D il risultato della circolazione appare allo stesso tempo come suo punto di partenza. Mentre in M - D - M il reale contenuto è il ricambio organico, nel secondo processo D - M - D il reale contenuto è costituito dall'esistenza formale della merce stessa, sorta da quel primo processo.
Nella forma M - D - M entrambi gli estremi sono merci della medesima grandezza di valore, ma allo stesso tempo valori d'uso qualitativamente differenti. Il loro scambio M - M è reale ricambio organico. Nella forma D - M - D invece entrambi gli estremi sono oro e allo stesso tempo oro della medesima grandezza di valore. Pare cosa assurda scambiare oro con merce per scambiare merce con oro o, considerando il risultato D - D, scambiare oro con oro. Ma traducendo D - M - D nella formula comprare per vendere, il che null'altro significa se non scambiare oro con oro per effetto di un movimento mediatore, si riconoscerà subito la forma dominante della produzione borghese. Ma in pratica non si compera per vendere, bensì si compra a poco prezzo per vendere a prezzo più caro. Il denaro è scambiato con la merce per riscambiare questa stessa merce con una quantità maggiore di denaro, cosicché gli estremi D - D sono differenti quantitativamente se non qualitativamente. Una differenza quantitativa di questo genere presuppone lo scambio di non equivalenti, mentre merce e denaro come tali non sono che forme antitetiche della merce stessa, quindi modi di esistenza differenti di una medesima grandezza di valore. Il ciclo D - M - D cela dunque sotto le forme di denaro e merce rapporti di produzione più sviluppati, ed è entro la circolazione semplice soltanto il riflesso di un movimento superiore. Dobbiamo quindi svolgere il denaro, a differenza dei mezzi di circolazione, dalla forma immediata della circolazione delle merci M - D - M.
L' oro, cioè la merce specifica che serve da misura dei valori e da mezzo di circolazione, diventa denaro senza ulteriore intervento della società. In Inghilterra, dove non è né misura dei valori né mezzo di circolazione dominante, l'argento non diventa denaro, allo stesso modo che l'oro, non appena fu detronizzato in Olanda come misura dei valori, cessò di esservi denaro. Una merce diventa dunque denaro in un primo tempo come unità della misura dei valori e del mezzo di circolazione, ossia l'unità della misura dei valori e del mezzo di circolazione è denaro. Ma come tale unità l'oro ha di nuovo un'esistenza indipendente e differenziata dalla propria esistenza in queste due funzioni. Come misura dei valori, l'oro è denaro e oro soltanto ideale; come semplice mezzo di circolazione è denaro e oro simbolico; ma nella sua semplice corporeità metallica, l'oro è denaro ossia il denaro è reale oro.
Consideriamo ora per un momento la merce in riposo oro, la quale è denaro, nel suo rapporto con le altre merci. Tutte le merci rappresentano nei loro prezzi una determinata somma d'oro, sono dunque soltanto oro rappresentato o denaro rappresentato, sono rappresentanti dell'oro, come, viceversa, nel segno di valore il denaro era apparso come semplice rappresentante dei prezzi delle merci [85]. Siccome in tal modo tutte le merci sono soltanto denaro rappresentato, il denaro è l'unica merce reale. In contrapposizione a tutte le merci che sono soltanto una rappresentazione dell'esistenza autonoma del valore di scambio, del lavoro sociale generale, della ricchezza astratta, l'oro è l'esistenza materiale della ricchezza astratta. Dal lato del valore d'uso ogni merce esprime solo un elemento della ricchezza materiale mediante la sua relazione con un particolare bisogno, esprime un lato puramente isolato della ricchezza. Ma il denaro soddisfa ogni bisogno in quanto è direttamente trasformabile nell'oggetto di ogni bisogno. Il suo valore d'uso è realizzato nella serie infinita dei valori d'uso che costituiscono il suo equivalente. Nella sua solida corporeità metallica contiene ripiegata ogni ricchezza materiale che nel mondo delle merci è dispiegata. Se dunque le merci nei loro prezzi rappresentano l'equivalente generale ossia la ricchezza astratta, l'oro, l'oro rappresenta nel suo valore d'uso i valori d'uso di tutte le merci. L'oro è perciò il rappresentante materiale della ricchezza materiale. E' il "précis de toutes choses" (Boisguillebert), è il compendio della ricchezza sociale. Ed è allo stesso tempo, quanto alla forma, l'incarnazione diretta del lavoro generale, e quanto al contenuto, la quintessenza di tutti i lavori reali. E' la ricchezza generale come individuo [86]. Nella sua figura di mediatore della circolazione, l'oro ha sofferto danni di ogni genere, è stato circonciso e perfino appiattito a pezzo di carta meramente simbolico. Come denaro si vede restituito il suo splendore aureo. Da servo diventa padrone [87]. Da semplice manovale diventa dio delle merci [88].
L'oro si era distaccato in un primo tempo, come denaro, dal mezzo di circolazione per il fatto che la merce interrompeva il processo della propria metamorfosi e permaneva nel proprio imbozzolamento aureo. Questo avviene sempre, non appena la vendita non si trasmuti in compera. L'autonomizzazione dell'oro come denaro è dunque anzitutto espressione percettibile della scissione del processo di circolazione, ossia della metamorfosi della merce, in due atti separati, esistenti indifferentemente l'uno accanto all'altro. La moneta stessa diventa denaro, non appena il suo corso è interrotto. Nella mano del venditore che la incassa per la propria merce, è denaro, non moneta; appena abbandona la sua mano, ridiventa moneta. Ognuno è venditore della merce unilaterale che produce, ma è compratore di tutte le altre merci di cui ha bisogno per l'esistenza sociale. Mentre il suo presentarsi come venditore dipende dal tempo di lavoro necessario per la produzione della sua merce, il suo presentarsi come compratore è condizionato dal costante rinnovamento dei bisogni vitali. Per poter comprare senza vendere, egli deve aver venduto senza comprare. Infatti la circolazione M - D - M è semplicemente l'unità in movimento della vendita e della compera in quanto è al contempo il costante processo della loro separazione. Affinché il denaro fluisca costantemente come moneta, la moneta dovrà costantemente coagularsi in denaro. La circolazione costante della moneta è determinata dal suo costante ristagno in porzioni più o meno grandi, in fondi monetari di riserva che si formano in ogni senso entro la circolazione e ne sono condizione, la cui costituzione, distribuzione, dissoluzione e ricostituzione cambiano costantemente, la cui presenza scompare costantemente, la cui scomparsa è costantemente presente. Adam Smith ha espresso questa incessante trasformazione della moneta in denaro e del denaro in moneta dicendo che ogni possessore di merce debba avere costantemente come scorta una certa somma della merce generale con cui compera accanto alla merce particolare che vende. Abbiamo visto che nella circolazione M - D - M il secondo termine D - M si fraziona in una serie di compere che si compiono non tutte in una volta, bensì successivamente nel tempo, di modo che una porzione di D circola in quanto moneta, mentre l'altra è ferma in quanto denaro. Il denaro è qui di fatto null'altro che moneta sospesa, e i singoli elementi costitutivi della massa monetaria circolante appaiono costantemente varianti, ora in una forma ora nell'altra. Questa prima trasformazione del mezzo di circolazione in denaro rappresenta perciò un elemento puramente tecnico della circolazione del denaro stesso [89].
La prima forma naturale della ricchezza è quella della sovrabbondanza o dell'eccedenza, la parte dei prodotti non immediatamente richiesta come valore d'uso, ossia il possesso di prodotti il cui valore d'uso esca dall'ambito della mera necessità. Considerando il passaggio della merce al denaro abbiamo visto che questa sovrabbondanza o eccedenza dei prodotti, a un grado non sviluppato della produzione, costituisce la vera e propria sfera dello scambio di merci. Prodotti in sovrabbondanza sono prodotti scambiabili ossia merci. La forma d'esistenza adeguata di questa sovrabbondanza sono l'oro e l'argento, la prima forma in cui la ricchezza è trattenuta come ricchezza astrattamente sociale. Non soltanto possono essere conservate nella forma dell'oro o dell'argento, cioè nel materiale del denaro, le merci, ma l'oro e l'argento sono ricchezza in forma conservata. Ogni valre d'uso compie il suo servizio essendo consumato ossia essendo distrutto. Ma il valore d'uso dell'oro come denaro è quello di essere rappresentante del valore di scambio, di essere, in quanto materia grezza amorfa, materializzazione del tempo di lavoro generale. Come metallo amorfo, il valore di scambio ha una forma imperitura. L'oro o l'argento, immobilizzati come denaro, sono tesoro. Presso i popoli che hanno una circolazione puramente metallica, come presso gli antichi, la tesaurizzazione si manifesta come processo generale, dal singolo individuo fino allo Stato, il quale custodisce il proprio tesoro di Stato. In tempi antichi questi tesori appaiono in Asia e in Egitto nella custodia dei re e dei sacerdoti più come testimoni della potenza dei custodi. In Grecia e in Roma, la costituzione di tesori dello Stato, in quanto forma di sovrabbondanza sempre assicurata e sempre pronta, diventa una politica. Il rapido trasporto di tali tesori da un paese nell'altro ad opera di conquistatori, e la loro effusione, in parte improvvisa, nella circolazione, costituiscono una peculiarità dell'economia antica.
Come tempo di lavoro oggettivato, l'oro garantisce la propria grandezza di valore, e siccome è materializzazione del tempo di lavoro generale, il processo di circolazione gli garantisce la sua costante azione come valore di scambio. Per il semplice fatto che il possessore di merce può trattenere la merce nella sua figura di valore di scambio, ossia il valore stesso di scambio della merce come merce, lo scambio delle merci, al fine di riaverle nella figura trasformata dell'oro, diventa particolare motivo della circolazione. La metamorfosi della merce M - D ha luogo per amore della sua metamorfosi, per trasformare la merce da ricchezza naturale particolare in ricchezza sociale generale. Invece del ricambio organico diventa scopo a se stesso il cambiamento formale. Da semplice forma del movimento il valore di scambio si trasmuta in suo contenuto. Come ricchezza, come merce, la merce si conserva solo in quanto si conserva entro la sfera della circolazione, e in questo stato fluido essa si conserva soltanto in quanto si ossifica in argento e oro. Essa continua a fluire come cristallo del processo di circolazione. L'oro e l'argento però si fissano essi stessi come denaro solo in quanto non siano mezzi di circolazione. Come non-mezzi di circolazione diventano denaro. La sottrazione della merce alla circolazione, nella forma dell'oro, è dunque l'unico mezzo per tenerla costantemente entro la circolazione.
Il possessore di merce può riavere dalla circolazione come denaro soltanto quello che le dà come merce. Una costante vendita, un'ininterrotta immissione di merci nella circolazione, è quindi la prima condizione della tesaurizzazione dal punto di vista della circolazione delle merci. D'altra parte, il denaro si dilegua costantemente come mezzo di circolazione nello stesso processo di circolazione realizzandosi continuamente in valori e dissolvendosi in godimenti effimeri. Il denaro deve essere quindi strappato alla corrente consumatrice della circolazione, oppure la merce deve essere tenuta ferma nella sua prima metamorfosi impedendo al denaro di compiere la sua funzione di mezzo di acquisto. Il possessore di merce, ora divenuto tesaurizzatore, dovrà vendere il più possibile e comprare il meno possibile, come insegnava già Catone il Vecchio: patrem familias vendacem, non emacem esse. Allo stesso modo che l'industriosità è la condizione positiva della tesaurizzazione, la parsimonia ne è la condizione negativa. Quanto meno l'equivalente della merce in merci particolari o in valori d'uso è sottratto alla circolazione, tanto piu le è sottratto nella forma del denaro o del valore di scambio [90]. L' appropriazione della ricchezza nella sua forma generale comporta quindi la rinuncia alla ricchezza nella sua realtà materiale. L'istinto vivo della tesaurizzazione è quindi l'avarizia per la quale costituisce bisogno non la merce come valore d'uso, bensì il valore di scambio come merce. Per impossessarsi della sovrabbondanza nella sua forma generale, i bisogni particolari dovranno essere trattati come lusso e sovrabbondanza. Così, nel 1593 le Cortes facevano delle rimostranze a Filippo II in cui fra l'altro si diceva: "Le Cortes di Valladolid dell'anno 1586 pregarono Vostra Maestà di non consentire più l'importazione nel regno di candele, vetrerie, bigiotterie, coltelli e cose simili che vengono dall'estero, che, cose così inutili per la vita degli uomini, siano scambiati con oro, come se gli spagnuoli fossero indiani". Il tesaurizzatore disprezza i piaceri di questo mondo, caduchi ed effimeri, per dar la caccia al tesoro eterno che non è divorato né dai tarli né dalla ruggine, che è del tutto celeste e del tutto terreno. "La causa generale lontana della nostra mancanza di oro, - dice il Misselden nello scritto citato, - è il grande successo che si ha in questo regno del consumo di merci di paesi stranieri le quali a noi si rivelano come discommodities [*16] invece che commodities [*17] privandoci nettamente di altrettanto tesoro che altrimenti verrebbe importato al posto di questi giocattoli (toys). Fra di noi consumiamo un eccesso troppo vistoso di vini di Spagna, Francia, Renania, Levante; l'uva sultanina di Spagna, l'uva passita di Levante, i lawns (tipo di fine tela) e cambrics di Hainault, le seterie d'Italia, zucchero e tabacco delle Indie Occidentali, le spezie di quelle Orientali, tutto questo non costituisce un fabbisogno assoluto per noi, e purtuttavia queste cose si acquistano con del buon oro." [91] Come oro e argento la ricchezza è imperitura, sia perché il valore di scambio esiste in metallo indeteriorabile, sia, in particolare, perche s'impedisce che l'oro e l'argento diventino, come mezzi di circolazione, la figura-denaro semplicemente dileguantesi della merce. Il contenuto non durevole è in tal modo sacrificato alla forma durevole. "Se il denaro, attraverso le imposte, è tolto a una persona che lo consuma mangiando e bevendo, ed è dato a persona che lo usa in miglioramenti del paese, nella pesca, nelle miniere, manifatture o anche in abiti, si avrà sempre un vantaggio per la comunità, poiché perfino gli abiti sono più durevoli di cibi e bevande. Se il denaro sarà usato per mobili di casa, il vantaggio sarà anche maggiore, ancora maggiore sarà nella costruzione di case, ecc., ma il vantaggio maggiore di tutti si avrà se nel paese saranno importati oro e argento, perché questi beni soltanto sono veramente durevoli, anzi sono stimati come ricchezza in ogni tempo e in ogni luogo; tutto il resto non è che ricchezza pro hinc et nunc [*18]." [92] La sottrazione del denaro alla fiumana della circolazione e il suo salvataggio dal ricambio organico sociale si manifestano anche esteriormente nel sotterramento, cosicché la ricchezza sociale, come tesoro durevole sotterraneo, è messa in un rapporto privato del tutto segreto con il possessore di merce. Il dottor Bernier, il quale per un certo tempo si trattenne a Delhi alla corte di Aurenzeb, narra come i mercanti sotterrino il loro denaro in segreto e a grande profondità, ma che lo fanno specialmente i pagani non maomettani, i quali hanno nelle loro mani quasi tutto il commercio e tutto il denaro, "fissi come sono nella fede che l'oro e l'argento nascosti durante la loro vita, serviranno loro dopo la morte, nell'altro mondo" [93]. Il tesaurizzatore è del resto, in quanto il suo ascetismo sia unito a una energica industriosità, in religione essenzialmente protestante e ancor più puritano. "Non si può negare che la compera e la vendita siano cose necessarie, indispensabili, e si possano usare anche cristianamente, in particolare in cose necessarie e onorevoli, poiché allo stesso modo hanno venduto e comprato anche i patriarchi bestiame, lana, grano, burro, latte e altri beni. Sono doni di Dio che egli dà dal grembo della terra e distribuisce fra gli uomini. Ma il commercio estero che porta qua merci da Calcutta e dalle Indie e simili, come sono le splendide sete e i lavori in oro e le spezie che servono solo alla magnificenza e non ad utilità alcuna, e succhiano il denaro al paese e alla gente, non dovrebbe essere ammesso, se avessimo un regime e dei principi. Ma di questo non intendo scrivere ora, poiché penso che alla fine, quando non avremo più denaro, dovremo abbandonarle da noi stessi, come anche le gioie e le grandi mangiate: giacchè non gioverà né scritto né insegnamento finché non ci costringeranno il bisogno e la povertà." [94]
In epoche di commozioni del ricambio organico sociale, perfino nella società borghese sviluppata, si verifica il sotterramento del denaro come tesoro. La connessione sociale nella sua forma compatta - per il possessore di merce questa connessione consiste nella merce, e l'esistenza adeguata della merce è il denaro - viene salvata dal pericolo del movimento sociale. Il nervus rerum sociale viene sepper illito accanto al corpo di cui è nerbo.
Ora, il tesoro sarebbe semplicemente metallo inutile, la sua anima di denaro gli sarebbe sfuggita, ed esso rimarrebbe indietro come cenere bruciata della circolazione, come suo caput mortuum, se non si trovasse in costante tensione nei confronti di quest'ultima. Il denaro, ossia il valore di scambio fattosi indipendente è, per sua qualità, esistenza della ricchezza astratta, d'altro lato però ogni somma di denaro data è una grandezza di valore quantitativamente limitata. Il limite quantitativo del valore di scambio è in contraddizione con la sua generalità qualitativa, e il tesaurizzatore sente il limite come barriera che, di fatto, al contempo si trasmuta in barriera qualitativa, ossia fa del tesoro il rappresentante solo limitato della ricchezza materiale. Il denaro, come eguivalente generale, si raffigura, come abbiamo visto, direttamente in una equazione in cui il denaro stesso costituisce uno dei termini, e la serie infinita delle merci ne costituisce l'altro. Dipenderà dalla grandezza del valore di scambio la misura in cui si realizzerà approssimativamente come tale serie infinita, vale a dire corrisponderà al proprio concetto di valore di scambio. Il movimento del valore di scambio come valore di scambio, come automa, in generale non potrà essere che quello di oltrepassare il proprio limite quantitativo. Ma, oltrepassando un limite quantitativo del tesoro, si creerà una nuova barriera che dovrà a sua volta essere superata. Non è un limite determinato del tesoro che si presenta come barriera bensì ogni suo limite. La tesaurizzazione non ha dunque limite immanente, non ha misura in sé, è bensì un processo infinito che in ogni suo risultato trova un motivo del proprio inizio. Se il tesoro si aumenta soltanto conservandolo, è però anche vero che si conserva soltanto aumentandolo.
Il denaro non è soltanto un oggetto della smania di arricchimento, ne è l'oggetto. Questa smania è essenzialmente auri sacra fames. La smania di arricchimento. a differenza della smania di una particolare ricchezza naturale o di valori d'uso come vestiti, gioie, greggi, ecc., è possibile soltanto non appena la ricchezza generale come tale è individualizzata in una cosa particolare e quindi può essere fissata come merce singola. Il denaro appare quindi altrettanto come oggetto quanto come fonte della smania d'arricchimento [95]. In fondo e di fatto si tratta di questo: il valore di scambio come tale, e con ciò il suo aumento, diventano fine. L'avarizia fissa il tesoro non consentendo al denaro di diventare mezzo di circolazione, ma la bramosia dell'oro ne conserva l'anima-denaro, la sua costante tensione nei confronti della circolazione.
Ora, l'attività mediante la quale viene formato il tesoro, è da un lato la sottrazione del denaro alla circolazione mediante una vendita costantemente ripetuta, dall'altro un semplice accatastare, un'accumulazione. Infatti, è soltanto nella sfera dclla circolazione semplice, e cioè nella forma della tesaurizzazione, che avviene l'accumulazione della ricchezza come tale, mentre, come vedremo più avanti, le altre cosiddette forme dell'accumulazione sono considerate accumulazione solo abusivamente, solo per una reminiscenza della accumulazione semplice del denaro. Tutte le altre merci sono accumulate o come valori d'uso, e allora la specie della loro accumulazione è determinata dalla particolarità del loro valore d'uso. L'accumulazione di grano p. es. richiede particolari provvidenze. L'accumulazione di pecore fa di me un pastore, l'accumulazione di schiavi e di terre rende necessari rapporti di signoria e di servaggio, ecc. La costituzione di scorte della ricchezza particolare richiede processi particolari, differenziati dall'atto semplice della accumulazione stessa, e sviluppa lati particolari dell'individualità. Oppure, la ricchezza in forma di merci viene accumulata come valore di scambio, e allora l'accumulazione appare come operazione commerciale o specificamente economica. Il soggetto di quest'ultima diventa mercante di cereali, mercante di bestiame, ecc. L'oro e l'argento sono denaro non per effetto di una attività qualsiasi dell'individuo che li accumula, bensì come cristalli del processo di circolazione che ha luogo senza il suo intervento. L'individuo non ha da fare null'altro che metterli da parte e accumulare peso su peso, attività del tutto priva di contenuto la quale, applicata a tutte le altre merci, svaluterebbe queste ultime [96].
Il nostro tesaurizzatore appare come martire del valore di scambio, come santo asceta sulla sommità della colonna metallica. A lui sta a cuore solo la ricchezza nella sua forma sociale, e perciò la sotterra sottraendola alla società. Egli esige la merce nella sua forma sempre suscettibile di circolazione, e perciò la sottrae alla circolazione. Egli va in estasi per il valore di scambio, e perciò non scambia nulla. La forma fluida della ricchezza e il suo petrificato, l'elisir di vita e la pietra filosofale, turbinano in una folle, spettrale
ridda alchimistica. Nella sua immaginaria smania di piacere illimitato egli rinuncia a tutti i piaceri. Siccome egli vuole soddisfare tutti i bisogni sociali, soddisfa a mala pena il naturale bisogno corporale. Fissando la ricchezza nella sua corporeità metallica, la fa evaporare fino a ridurla a semplice chimera. Ma in realtà l'accumulazione del denaro per amor del denaro è la forma barbarica della produzione per amor della produzione, ossia lo sviluppo delle forze produttive del lavoro sociale al di là dei limiti dei bisogni tradizionali. Quanto meno sviluppata è la produzione delle merci, tanto più importante sarà la prima autonomizzazione del valore di scambio come denaro, la tesaurizzazione, la quale ha perciò una funzione importante presso i popoli antichi, in Asia fino ai giorni nostri, e presso i moderni popoli rurali, dove il valore di scambio non ha ancora afferrato tutti i rapporti di produzione. La funzione specificamente economica della tesaurizzazione entro la circolazione metallica stessa la considereremo subito, ma prima accenneremo ancora a un'altra forma di tesaurizzazione.
Astraendo completamente dalle loro qualità estetiche, le merci d'argento e d'oro sono, in quanto il materiale di cui consistono è il materiale del denaro, trasformabili in denaro allo stesso modo che oro monetato o oro in verghe sono trasformabili in quelle merci. Siccome l'oro e l'argento sono il materiale della ricchezza astratta, la massima ostentazione della ricchezza consiste nell'usarli come valori d'uso concreti, e se il possessore di merci a certi gradi della produzione nasconde il proprio tesoro, egli è indotto, in ogni caso in cui possa farlo con sicurezza, ad apparire dinanzi agli altri possessori di merci come rico hombre. Egli copre d'oro se stesso e la sua casa [97]. In Asia, particolarmente nelle Indie, dove la tesaurizzazione ancora non si presenta, come nell'economia borghese, come funzione subordinata del meccanismo della produzione complessiva e la ricchezza è invece trattenuta in questa forma come ultimo fine, le merci d'oro e d'argento non sono veramente che una forma estetica di tesoro. Nella Inghilterra medievale, le merci d'oro e d'argento erano legalmente considerate come semplice forma di tesoro, poiché il loro valore veniva aumentato solo in misura scarsa dal lavoro rozzo aggiuntovi. Loro scopo era di essere rigettate nella circolazione, e la loro finezza era quindi prescritta allo stesso modo che lo era quella della moneta stessa. L'uso crescente dell'oro e dell'argento come oggetti di lusso, data la ricchezza crescente, è cosa tanto semplice che per gli antichi risultava chiarissima [98] mentre gli economisti moderni hanno posto la tesi errata che l'uso di merci d'argento e d'oro non aumenta in proporzione dell'aumento della ricchezza, bensì soltanto in proporzione della diminuzione del valore dei metalli nobili. Le loro elucidazioni, per altro esatte, sull'uso dell'oro della California e dell'Australia, rivelano quindi sempre una deficienza, poiché l'aumento nell'uso dell'oro come materia prima non è giustificato nella loro immaginazione dalla corrispondente diminuzione del suo valore. Dal 1810 nl 1830, come conseguenza della lotta fra le colonie americame e la Spagna e dell'interruzione del lavoro nelle miniere per effetto delle rivoluzioni, la produzione media annua dei metalli nobili era diminuita di più della metà. La diminuzione della moneta circolante in Europa ammontava quasi a l/6 paragonando il 1829 con il 1809. Quindi, benché la quantità della produzione fosse diminuita e le spese di produzione, se pure mutate, fossero aumentate, il consumo dei metalli pregiati come oggetti di lusso ciò nondimeno aumentò in misura straordinaria, in Inghilterra già durante la guerra, sul continente a partire dalla pace di Parigi. Il consumo crebbe insieme con l'accrescersi della ricchezza generale [99]. Come legge generale si potrà affermare che la trasformazione di denaro aureo e argenteo in oggetti di lusso prevale in periodi di pace, e la loro ritrasformazione in verghe o anche in moneta prevale soltanto in situazioni tempestose [100]. L'importanza della proporzione fra il tesoro d'oro e d'argento esistente in forma di oggetti di lusso e il metallo nobile adibito a denaro si potrà capire vedendo che nel 1829 la proporzione era in Inghilterra, secondo Jacob, di 2 a 1, ma che in tutt'Europa e in America il metallo nobile esisteva per 1/4 di più in oggetti di lusso che non in denaro.
Abbiamo visto che la circolazione del denaro è soltanto la manifestazione della metamorfosi delle merci o del cambiamento di forma in cui si compie il ricambio organico sociale. Insieme con la somma variante dei prezzi delle merci circolanti, ossia con il volume delle loro simultanee metamorfosi da un lato, insieme con ogni singola velocità del loro cambiamento formale dall'altro, la quantità complessiva dell'oro circolante doveva quindi costantemente espandersi o contrarsi, cosa possibile soltanto a condizione che la quantità complessiva del denaro presente in un paese si trovi continuamente in un rapporto variante con la quantità del denaro presente nella circolazione. Questa condizione è adempiuta dalla tesaurizzazione. Se i prezzi diminuiscono oppure se aumenta la velocità di circolazione, i serbatoi tesauriferi assorbono la parte del denaro che la circolazione secerne; se i prezzi aumentano, oppure se diminuisce la velocità di circolazione, i tesori si aprono e riaffluiscono in parte nella circolazione. L'irrigidimento del denaro circolante in tesoro e l'effusione dei tesori nella circolazione è un movimento oscillatorio costantemente variante, nel quale il prevalere dell'una o dell'altra direzione è determinato esclusivamente dalle oscillazioni della circolazione delle merci. In tal modo i tesori si presentano come canali di afflusso e di deflusso del denaro circolante, cosicché circola sempre come moneta soltanto la quantità di denaro richiesta dai bisogni immediati della circolazione stessa. Se il volume della circolazione complessiva si espande improvvisamente e se l'unità fluida di vendita e di compera prevale, in modo che però la somma complessiva dei prezzi da realizzarsi cresca anche più rapidamente della velocità della circolazione del denaro, i tesori si vuoteranno a vista d'occhio; non appena il movimento complessivo ristagna in modo inusuale, oppure si consolida la separazione fra vendita e compera, il mezzo di circolazione si irrigidisce a denaro in proporzioni molto vistose, e i serbatoi tesauriferi si riempiono molto al di sopra del loro livello medio. In paesi a circolazione solo metallica o a livello di produzione poco elevato, i tesori sono frazionati all'infinito e disseminati su tutta la superficie del paese, mentre in paesi borghesemente sviluppati sono concentrati nei serbatoi delle banche. Il tesoro non è da confondersi con la riserva monetaria, la quale costituisce a sua volta un elemento della quantità complessiva di denaro sempre in circolazione, mentre il rapporto attivo fra tesoro e mezzo di circolazione presuppone la diminuzione o l'aumento di quella quantità complessiva. Le merci in oro e in argento, come abbiamo visto, costituiscono anch'esse un canale di deflusso dei metalli pregiati, come pure una fonte latente di afflusso. In tempi normali la loro prima funzione soltanto è importante per l'economia della circolazione metallica [101].
Le due forme nelle quali il denaro si differenziava dal mezzo di circolazione, erano quella della moneta sospesa e quella del tesoro. La prima forma rifletteva nella trasformazione passeggera della moneta in denaro, che il secondo termine di M - D - M, la compera D - M, entro una determinata sfera di circolazione, deve frazionarsi in una serie di compere successive. Ma la tesaurizzazione si basava semplicemente sull'isolamento dell'atto M - D il quale non proseguiva a D - M, ossia era null'altro che lo sviluppo autonomo della prima metamorfosi della merce, il denaro, sviluppato come esistenza alienata di tutte le merci in contrapposizione al mezzo di circolazione come esistenza della merce nella sua forma sempre alienantesi. La riserva monetaria e il tesoro non erano che denaro come non-mezzi di circolazione, non-mezzi di circolazione però solo perché non circolavano. Nella definizione in cui considereremo ora il denaro, esso circola o entra nella circolazione, ma non con la funzione del mezzo di circolazione. Come mezzo di circolazione il denaro è sempre stato mezzo di acquisto, ora agirà da non-mezzo d'acquisto.
Non appena il denaro, mediante la tesaurizzazione, è sviluppato come esistenza della ricchezza sociale astratta e come rappresentante materiale della ricchezza materiale, in questa sua definizione come denaro acquisisce entro il processo di circolazione funzioni particolari. Se il denaro circola come semplice mezzo di circolazione, e con ciò come mezzo di acquisto, si presuppone che la merce e il denaro si stanno di fronte contemporaneamente, che dunque la medesima grandezza di valore è presente in duplice modo, a un polo come merce nelle mani del venditore, all'altro come denaro nelle mani del compratore. Questa esistenza contemporanea dei due equivalenti a poli opposti e il loro contemporaneo cambiamento di posto, ossia la loro vicendevole alienazione, presuppongono a loro volta che venditore e compratore si riferiscano l'uno all'altro soltanto come possessori di equivalenti presenti. Ma il processo della metamorfosi delle merci, il quale produce differenti definizioni formali del denaro, metamorfizza anche i possessori di merci, ossia modifica i caratteri sociali con cui si appaiono reciprocamente. Nel processo di metamorfosi della merce, il custode della merce cambierà per ille tutte le volte che la merce si muova o che il denaro nasca in nuove forme. Così, in origine i possessori di merci si stavano di fronte soltanto come possessori di merci e diventavano poi, l'uno venditore, l'altro compratore, in seguito ognuno in modo alternato compratore e venditore, poi tesaurizzatore, infine uomo ricco. Così, i possessori di merci non escono dal processo di circolazione come vi sono entrati. Infatti le differenti definizioni formali acquisite dal denaro nel processo di circolazione, non sono altro che il cambiamento formale cristallizzato delle merci stesse, il quale a sua volta è null'altro che l'espressione oggettuale delle mutevoli relazioni sociali nelle quali i possessori di merci compiono il loro ricambio organico. Nel processo di circolazione nascono nuovi rapporti di traffico, e come rappresentanti di questi rapporti modificati i possessori di merci acquisiscono nuovi caratteri. Allo stesso modo che entro la circolazione interna il denaro si idealizza e la semplice carta, come rappresentante dell'oro, esegue la funzione del denaro, il medesimo processo dà al compratore o al venditore, che vi entra come semplice rappresentante di denaro o di merce, ossia rappresenta denaro futuro o merce futura, la efficacia del venditore o compratore reale. Tutte le definizioni formali nelle quali si sviluppa l'oro come denaro, sono soltanto lo svolgimento delle definizioni racchiuse nella metamorfosi delle merci, le quali però, nella circolazione semplice del denaro, nell'aspetto del denaro come moneta o nel movimento M - D - M quale unità progrediente, non sono secrezioni giunte a forma autonoma, oppure, come p. es. l'interruzione della metamorfosi della merce, sono apparse come semplici possibilità. Abbiamo visto che nel processo M - D la merce, come valore d'uso reale e come valore di scambio ideale, si riferiva al denaro come valore di scambio reale e valore d'uso soltanto ideale. Alienando la merce come valore d'uso, il compratore ha realizzato il valore di scambio della merce e il valore d'uso del denaro. Viceversa, alienando il denaro come valore di scambio, il compratore ha realizzato il valore d'uso del denaro e il prezzo della merce. Ha avuto luogo un corrispondente cambiamento di posto da parte della merce e del denaro. Il processo vivo di questa antitesi duplicemente polare è ora scisso a sua volta nella sua realizzazione. Il venditore aliena la merce realmente e realizza il suo prezzo in un primo tempo di nuovo solo idealmente. L'ha venduta al suo prezzo, il quale è però realizzato soltanto in un'epoca posteriore stabilita. Il compratore compera in quanto rappresentante di denaro futuro, mentre il venditore vende in quanto possessore di merce attuale. Dalla parte del venditore la merce è realmente alienata come valore d'uso, senza che essa sia realmente realizzata come prezzo, dalla parte del compratore il denaro è realmente realizzato nel valore d'uso della merce senza che sia realmente alienato come valore di scambio. Al posto del segno di valore di prima, qui è il compratore stesso che rappresenta simbolicamente il denaro. Ma come prima il simbolismo generale del segno di valore provocava la garanzia e il corso forzoso da parte dello Stato, ora il simbolismo personale del compratore provoca dei contratti privati legalmente coattivi fra i possessori di merci.
Viceversa, nel processo D - M il denaro può essere alienato come reale mezzo di acquisto, e il prezzo della merce essere in tal modo realizzato prima che sia realizzato il valore d'uso del denaro o la merce sia alienata. Questo ha luogo p. es. nella forma comunissima del pagamento anticipato. Oppure nella forma in cui il governo inglese compera l'oppio dei ryots in India, oppure commercianti stranieri domiciliati in Russia comprano in gran parte prodotti nazionali russi. In questo modo però il denaro agisce soltanto nella forma già nota del mezzo d'acquisto e quindi non acquisisce una nuova definizione formale [102]. Non ci soffermeremo perciò su quest'ultimo caso, ma osserveremo, con riferimento alla figura trasformata in cui entrambi i processi D - M e M - D qui si presentano, che la differenza puramente intenzionale fra compera e vendita, come appare immediatamente nella circolazione, diventa ora difrerenza reale per il fatto che nell'una delle forme è presente solo la merce e nell'altra solo il denaro, in entrambe le forme però soltanto l'estremo da cui parte l'iniziativa. Inoltre entrambe le forme hanno in comune che in tutte e due l'uno degli equivalenti è presente solo nella volontà comune del compratore e del venditore, volontà che vincola entrambi e acquisisce determinate forme legali.
Venditore e compratore diventano creditore e debitore. Se il possessore di merce, come custode del tesoro, recitava una parte piuttosto buffa, ora egli diventa terrificante in quanto concepisce non se stesso, bensì il suo prossimo, come esistenza di una determinata somma di denaro e rende martire del valore di scambio non se stesso, bensì il prossimo. Da credente diventa creditore, dalla religione precipita nella giurisprudenza.
"I stay here on my bond!" [*19]
Dunque, nella forma modificata M - D, nella quale la merce è presente e il denaro è soltanto rappresentato, il denaro funziona in un primo momento come misura dei valori. Il valore di scambio della merce è stimato nel denaro come sua misura, ma come valore di scambio misurato contrattualmente il prezzo esiste non soltanto nella mente del venditore, bensì al contempo come misura del debito del compratore. Secondo, il denaro funziona qui da mezzo di acquisto benché proietti soltanto l'ombra della sua esistenza futura. Esso trae cioè la merce dal suo posto, dalla mano del venditore in quella del compratore. Quando scade il termine dell'adempimento del contratto, il denaro entra nella circolazione, poiché cambia posto e passa dalle mani del compratore passato in quelle del venditore passato. Ma non entra nella circolazione come mezzo di circolazione o mezzo di acquisto. Come tale ha funzionato prima di esserci, e si presenta dopo aver cessato di funzionare come tale. Invece entra in circolazione come unico equivalente adeguato della merce, come esistenza assoluta del valore di scambio, come ultima parola del processo di scambio, in breve come denaro, e cioè come denaro nella funzione determinata di mezzo di pagamento generale. In questa funzione come mezzo di pagamento il denaro appare come la merce assoluta, ma entro la circolazione stessa, non come il tesoro al di fuori di questa. La differenza fra mezzo d'acquisto e mezzo di pagamento si fa notare in modo assai spiacevole nelle epoche di crisi commerciali [103].
In origine, nella circolazione, la trasformazione del prodotto in denaro appare soltanto come necessità individuale per il possessore di merce in quanto il suo prodotto non è valore d'uso per lui, ma deve appena diventarlo mediante la sua alienazione. Ma per pagare alla scadenza contrattuale, egli dovrà prima aver venduto merce. In modo del tutto indipendente dai suoi bisogni individuali la vendita è quindi, per effetto del movimento del processo di circolazione, trasformata per lui in una necessità sociale. Come compratore passato di una merce, egli diventa per forza venditore di un'altra merce, non per ricevere il denaro come mezzo d'acquisto, bensì come mezzo di pagamento, come forma assoluta del valore di scambio. La trasformazione della merce in denaro come atto conclusivo, ossia la prima metamorfosi della merce come fine a se stessa, che nella tesaurizzazione sembrava un capriccio del possessore di merce, è ora diventata una funzione economica. Il motivo e il contenuto della vendita, per pagare, è contenuto dello stesso processo di circolazione derivante dalla forma di quest'ultimo.
In questa forma di vendita la merce compie il proprio cambiamento di posto, circola mentre differisce la sua prima metamorfosi, la sua trasformazione in denaro. Dalla parte del compratore invece si compie la seconda metamorfosi, ossia denaro è ritrasformato in merce prima che sia compiuta la prima metamorfosi, ossia prima che merce sia stata trasformata in denaro. La prima metamorfosi si presenta quindi qui nel tempo dopo la seconda. E con ciò il denaro, la figura della merce nella sua prima metamorfosi, acquisisce una nuova definizione formale. Il denaro, ossia lo sviluppo autonomo del valore di scambio, non è più la forma mediatrice della circolazione delle merci, ne è bensì il risultato conclusivo.
Che simili vendite a tempo, nelle quali entrambi i poli della vendita esistono separati nel tempo, nascano naturalmente dalla circolazione semplice delle merci, non ha bisogno di essere dimostrato nei particolari. In un primo momento lo sviluppo della circolazione comporta che la reciproca presenza dei medesimi possessori di merce come venditore e come compratore si ripeta. Il fenomeno ripetuto non rimane soltanto casuale, ma la merce è p. es. ordinata per un termine di tempo futuro, in cui dovrà essere fornita e pagata. In questo caso la vendita è compiuta idealmente, cioè nel nostro caso giuridicamente senza che merce e denaro si presentino in carne ed ossa. Entrambe le forme del denaro come mezzo di circolazione e come mezzo di pagamento qui coincidono ancora poiché merce e denaro cambiano di posto allo stesso tempo, e d'altra parte il denaro non compera la merce, ma realizza il prezzo della merce venduta in precedenza. Inoltre la natura di una serie di valori d'uso comporta che questi siano realmente alienati, non con la effettiva consegna della merce, bensì mediantela sua cessione per un determinato tempo. P. es., se l'uso di una casa è venduto per un mese, il valore d'uso della casa è fornito solo alla fine del mese benché la casa cambi di mano all'inizio del mese. Siccome la cessione di fatto del valore d'uso e la sua reale alienazione qui si distaccano nel tempo, la realizzazione del prezzo del valore d'uso avrà luogo anch'essa più tardi che non il suo cambiamento di posto. Infine però la differenza nella durata del tempo e nell'epoca, in cui sono prodotte le differenti merci, comporta che l'uno si presenti come venditore mentre l'altro non può ancora presentarsi come compratore, e, data una frequente ripetizione di compera e vendita fra i medesimi possessori di merce, i due momenti della vendita si distanzieranno a seconda delle condizioni di produzione delle loro merci. Così ha origine un rapporto di creditore e di debitore fra i possessori di merce che costituisce, è vero, la base naturale del sistema di credito, ma potrà essere completamente sviluppato prima che esista questo ultimo. E' chiaro tuttavia che, con il perfezionamento del sistema di credito, della produzione borghese in genere dunque, la funzione del denaro come mezzo di pagamento si estenderà a spese della sua funzione di mezzo di acquisto e ancor più come elemento di tesaurizzazione. In Inghilterra p. es. il denaro come moneta è confinato quasi esclusivamente nella sfera del commercio al minuto e del piccolo commercio fra produttori e consumatori, mentre come mezzo di pagamento esso domina la sfera delle grandi transazioni commerciali [104].
Come mezzo generale di pagamento il denaro diventa la merce generale dei contratti, in un primo tempo soltanto entro la sfera della circolazione delle merci [105]. Ma con il suo sviluppo in questa funzione, un pò alla volta tutte le altre forme del pagamento si riducono a pagamento in denaro. Il grado al quale il denaro è sviluppato come mezzo esclusivo di pagamento, indica il grado in cui il valore di scambio si è impadronito della produzione nella sua profondità e ampiezza [106].
In un primo momento la massa del denaro circolante come mezzo di pagamento è determinata dall'ammontare dei pagamenti, ossia dalla somma dei prezzi delle merci alienate, non di quelle da alienarsi come succede nella circolazione semplice del denaro. La somma così determinata viene però modificata in duplice maniera, primo dalla velocità con cui la stessa moneta ripete la stessa funzione ovvero la massa dei pugamenti si presenti come catena progrediente di pagamenti. A paga B, dopo di che B paga C, e così avanti. La velocità con cui una medesima moneta ripete la sua funzione di mezzo di pagamento dipende da un lato dalla concatenazione dei rapporti di creditore e debitore fra i possessori di merci, cosicché un medesimo possessore di merce è creditore di fronte all'uno, debitore di fronte all'altro, ecc., d'altro lato dipende dalla durata di tempo che separa i difrerenti termini di pagamento. Questa catena di pagamenti, ossia di prime metamorfosi posticipate delle merci, differisce qualitativamente dalla catena delle metamorfosi che si manifesta nella circolazione del denaro in quanto mezzo di circolazione. Quest'ultima non soltanto appare in successione temporale, bensì diviene in essa per la prima volta. La merce diventa denaro, poi di nuovo merce, e in tal modo rende possibile all'altra merce di diventare denaro, ecc., ossia il venditore diventa compratore, per il quale fatto un altro possessore di merce diventa venditore. Questa connessione nasce casualmente nel processo stesso dello scambio di merci. Ma che il denaro con cui A ha pagato B, venga pagato successivamente da B a C, da C a D, ecc., e questo in momenti succedentisi rapidamente: in questa connessione esteriore viene alla luce semplicemente una connessione sociale già presente bell'e pronta. Il medesimo denaro non passa per mani differenti perché si presenta come mezzo di pagamento, bensì circola come mezzo di pagamento, perché mani differenti si sono già unite in una stretta. La velocità con la quale circola il denaro come mezzo di pagamento, mostra dunque un'attrazione molto più profonda dei singoli individui nel processo di circolazione che non la velocità con la quale il denaro circola come moneta o mezzo d'acquisto.
La somma dei prezzi di compere e di vendite contemporanee e quindi giustapposte nello spazio costituisce il limite entro il quale la massa monetaria può essere sostituita dalla velocità di circolazione. Questa barriera viene a mancare per il denaro in funzione di mezzo di pagamento. Se in un punto si concentrano pagamenti da farsi allo stesso tempo, cosa che naturalmente si verifica solo nei grandi centri di raccolta della circolazione delle merci, i pagamenti, come grandezze negative e positive, si controbilanciano reciprocamente giacchè A deve pagare a B, ma allo stesso tempo deve ricevere il pagamento da C, ecc. La somma di denaro richiesta come mezzo di pagamento sarà quindi determinata non dalla somma dei prezzi dei pagamenti da realizzarsi contemporaneamente, bensì dalla loro maggiore o minore concentrazione e dalla grandezza del bilancio che rimane dopo la loro elisione vicendevole in quanto grandezze negative e positive. Dispositivi appositi per queste compensazioni nascono senza alcuno sviluppo del sistema creditizio, come p. es, nell'antica Roma. La considerazione di queste non rientra qui come non rientra qui la considerazione dei termini generali di pagamento, i quali si fissano ovunque in determinati circoli della società. Qui basti osservare che l'influsso specifico che questi termini esercitano sulle oscillazioni periodiche nella quantità del denaro circolante è stato indagato scientificamente soltanto in epoca recentissima.
In quanto i pagamenti si compensano come grandezze positive e negative non ha luogo alcun intervento di denaro reale. Il denaro si sviluppa qui solo nella sua forma di misura dei valori, da un lato nel prezzo della merce, dall'altro nella grandezza delle obbligazioni reciproche. Oltre alla sua esistenza ideale, il valore di scambio qui non acquisisce esistenza autonoma, nemmeno l'esistenza come segno di valore, ossia il denaro diventa soltanto moneta di conto ideale. La funzione del denaro come mezzo di pagamento racchiude dunque la contraddizione che da un lato, in quanto i pagamenti si compensano, esso agisce solo idealmente da misura, d'altro lato, in quanto il pagamento è da effettuarsi realmente, esso non entra nella circolazione come mezzo di circolazione transitorio, bensì come esistenza fissa dell'equivalente generale, nella qualità di merce assoluta, in breve, come denaro. Quindi, là dove si sono sviluppati la catena dei pagamenti e un sistema artificiale della loro compensazione, in epoche di commozioni che interrompono con violenza il corso dei pagamenti e perturbano il meccanismo della loro compensazione, il denaro trapassa improvvisamente dalla sua figura aerea, arzigogolata dal cervello, di misura dei valori a quella di solida moneta ossia mezzo di pagamento. In condizioni di produzione borghese sviluppata, dunque, in cui il possessore di merce è da lungo tempo diventato capitalista, conosce il suo Adam Smith e sorride con aria superiore della superstizione che vede come denaro unicamente l'oro e l'argento e ritiene che il denaro sia in generale, a differenza di altre merci, la merce assoluta, il denaro riappare improvvisamente, non come mediatore della circolazione, ma come unica forma adeguata del valore di scambio, come unica ricchezza, proprio come lo concepisce il tesaurizzatore. In quanto siffatta esclusiva esistenza della ricchezza, il denaro non si manifesta, come accade per esempio nel sistema monetario, nella svalutazione e mancanza di valore di tutta la ricchezza materiale soltanto rappresentate, bensì in quelle reali. E' questo quel particolare momento delle crisi del mercato mondiale che si chiama crisi monetaria. Il summum bonum, invocato in tali momenti con alte grida come unica ricchezza, è il denaro, il denaro contante, e accanto ad esso tutte le altre merci, appunto in quanto valori d'uso, sono inutili in quanto cose vane, giocattoli o, come dice il nostro dottor Martin Lutero, come meri agghindamenti e gran mangiate. Questo subitaneo trapasso del sistema creditizio a sistema monetario aggiunge il terrore teorico al panico pratico, e gli agenti della circolazione rabbrividiscono dinanzi al mistero impenetrabile dei loro propri rapporti [107].
I pagamenti, a loro volta, rendono necessario un fondo di riserva, una accumulazione di denaro come mezzo di pagamento. La costituzione di questi fondi di riserva non si presenta più, come accadeva per la tesaurizzazione, come attività aliena alla circolazione stessa, né, come accadeva per la riserva monetaria, come ristagno puramente tecnico della moneta, bensì, il denaro deve essere raccolto un po' alla volta per esser disponibile al momento di determinate future scadenze di pagamento. Mentre dunque la tesaurizznzione, nella forma astratta in cui è considerata arricchimento, diminuisce insieme con lo sviluppo della produzione borghese, aumenta quest'ultima tesaurizzazione, richiesta direttamente dal processo di scambio, ossia una parte dei tesori, che in generale si formano nella sfera della circolazione delle merci, viene assorbita come fondo di riserva di mezzi di pagamento. Quanto più la produzione borghese è sviluppata, tanto più questi fondi di riserva saranno limitati al minimo necessario. Locke ci dà nel suo scritto sull'abbassamento del saggio d'interesse [108] interessanti notizie sull'ammontare di questi fondi di riserva nella sua epoca. Da esse si vede quale parte considerevole del denaro circolante in genere assorbissero in Inghilterra i serbatoi di mezzi di pagamento proprio nell'epoca in cui il sistema bancario cominciava a svilupparsi.
La legge sulla quantità del denaro circolante, come risultava dalla considerazione della circolazione semplice del denaro, è modificata sostanzialmente dalla circolazione del mezzo di pagamento. Data la velocità di circolazione del denaro, sia in quanto mezzo di circolazione, sia in quanto mezzo di pagamento, la somma complessiva del denaro circolante in un dato periodo sarà determinata dalla somma complessiva dei prezzi delle merci da realizzarsi, più la somma complessiva dei pagamenti in scadenza della medesima epoca, meno i pagamenti che si elidono reciprocamente mediante compensazione. La legge generale secondo cui la massa del denaro circolante dipende dai prezzi delle merci, non è in tal modo affatto inficiata, poiché l'ammontare dei pagamenti stessi è determinato dai prezzi stabiliti per contratto. Ma risulta con lampante chiarezza che, anche presupposte invariate la velocità di circolazione e l'economia dei pagamenti, la somma dei prezzi delle masse di merci circolanti in un determinato periodo, p. es. in un giorno, e la massa del denaro circolante nel medesimo giorno non coincidono affatto, poiché circola una massa di merci il cui prezzo sarà realizzato in denaro solo in futuro, e circola una massa di denaro per il quale le merci corrispondenti sono da gran tempo uscite di circolazione. Quest'ultima massa stessa dipenderà dalla grandezza della somma di valore dei pagamenti in scadenza nello stesso giorno, benché siano contratti in periodi del tutto diversi.
Abbiamo visto che il cambiamento nel valore dell'oro e dell'argento non incide sulla loro funzione come misura dei valori o denaro di conto. Ma questo cambiamento acquista importanza decisiva per il denaro come tesoro, poiché con l'aumento o con la diminuzione del valore dell'oro e dell'argento aumenta o diminuisce la grandezza di valore del tesoro aureo o argenteo. E ancor più importante sarà per il denaro come mezzo di pagamento. Il pagamento avviene soltanto in epoca successiva alla vendita della merce, ossia il denaro agisce in due periodi diversi in due funzioni diverse, prima come misura dei valori, poi come mezzo di pagamento corrispondente a questa misurazione. Se nel frattempo cambia il valore dei metalli nobili, ossia il tempo di lavoro richiesto per la loro produzione, una medesima quantità di oro o di argento, presentandosi come mezzo di pagamento, avrà maggiore o minor valore che all'epoca in cui servì da misura dei valori o fu concluso il contratto. La funzione di una merce particolare, come l'oro e l'argento, quale denaro ossia valore di scambio autonomizzato, entra qui in collisione con la sua natura di merce particolare, la cui grandezza di valore dipende dal cambiamento dei suoi costi di produzione. La grande rivoluzione sociale provocata dalla caduta del valore dei metalli nobili in Europa è cosa altrettanto nota quanto la rivoluzione opposta causata in un'epoca remota dell'antica repubblica di Roma dall'aumento nel valore del rame in cui erano contratti i debiti dei plebei. Senza seguire oltre le oscillazioni nel valore dei metalli nobili nel loro influsso sul sistema dell'economia borghese, risulta già qui che la caduta nel valore dei metalli nobili favorisce i debitori a spese dei creditori e che, viceversa, un aumento nel loro valore favorisce i creditori a spese dei debitori.
L'oro diventa denaro che si differenzia dalla moneta soltanto ritirandosi come tesoro dalla circolazione, entrando poi in questa come non-mezzo di circolazione, ma abbattendo alla fine le barriere della circolazione interna per funzionare da equivalente generale nel mondo delle merci. In tal modo diventa moneta mondiale.
Allo stesso modo che le misure generali del peso dei metalli nobili servivano in origine da misure di valore, all'interno del mercato mondiale le denominazioni di conto del denaro sono di nuovo trasformate nelle corrispondenti denominazioni di peso. Allo stesso modo che il metallo grezzo amorfo (aes rude) era la forma originaria del mezzo di circolazione, e la forma monetaria in origine era essa stessa soltanto segno ufficiale del peso contenuto nei pezzi di metallo, il metallo nobile come moneta mondiale si toglie nuovamente figura e conio e ricade nella forma indifferente delle verghe, oppure, se monete nazionali circolano all'estero, come imperiali russi, talleri messicani e sovrane inglesi, il loro titolo diventa indifferente e vale soltanto il loro contenuto. Come denaro internazionale, infine, i metalli nobili compiono di nuovo la loro funzione originaria di mezzo di scambio, la quale, come lo stesso scambio di merci, non è nata all'interno della comunità naturale, bensì ai punti di contatto fra comunità differenti. Come moneta mondiale il denaro riacquista dunque la sua forma primaria spontanea. Abbandonando la circolazione interna, si toglie nuovamente di dosso le forme particolari sorte dallo sviluppo del processo di scambio entro quella sfera particolare, le sue forme locali come scala di misura dei prezzi, moneta, moneta divisionale e segno di valore.
Abbiamo visto che nella circolazione interna di un paese una sola merce serve da misura dei valori. Ma siccome in un paese questa funzione è esercitata dall'oro, nell'altro dall'argento, sul mercato mondiale vale una duplice misura dei valori, e il denaro raddoppia la sua esistenza anche in tutte le altre funzioni. La traduzione dei valori delle merci da prezzi in oro in prezzi in argento e viceversa, è determinata ogni volta dal valore relativo dei due metalli, il quale cambia costantemente e la cui fissazione appare quindi come costante processo. I possessori di merce di ogni sfera della circolazione interna sono costretti a usare per la circolazione esterna alternativamente l'oro e l'argento e a scambiare perciò il metallo che all'interno è considerato denaro con il metallo che in quel momento necessita loro come denaro all'estero. Ogni nazione usa dunque come moneta mondiale entrambi i metalli, l'oro e l'argento.
Nella circolazione internazionale delle merci l'oro e l'argento non appaiono come mezzi di circolazione, ma come mezzi generali di scambio. Il mezzo di scambio generale funziona però soltanto nelle due forme sviluppate di mezzo d'acquisto e di mezzo di pagamento il cui rapporto, tuttavia, sul mercato mondiale si inverte. Nella sfera della circolazione interna il denaro, in quanto era moneta, rappresentava il mediatore dell'unità in movimento M - D - M ossia la forma puramente transitoria del valore di scambio nell'incessante cambiamento di posto delle merci, agiva esclusivamente come mezzo d'acquisto. Sul mercato mondiale accade il contrario. L'oro e l'argento appaiono qui come mezzi di acquisto, se il ricambio è soltanto unilaterale, e quindi compera e vendita non coincidono. Il commercio confinario a Kiachta p. es. è in effetti e per contratto commercio di scambio in cui l'argento non è che misura di valore. La guerra del 1857-58 indusse i cinesi a vendere senza comprare. Allora improvvisamente l'argento appare come mezzo d'acquisto. Per un riguardo al tenore del contratto, i russi trasformarono monete francesi da cinque franchi in rozzi articoli d'argento che servivano da mezzo di scambio. L'argento funziona continuamente come mezzo d'acquisto fra Europa e America da un lato, l'Asia dall'altro, dove si fissa come tesoro. Inoltre i metalli funzionano da mezzi d'acquisto internazionali non appena l'equilibrio economico del ricambio organico fra due nazioni è interrotto all'improvviso, ad esempio nel caso che un cattivo raccolto costringa una delle due a comprare in misura straordinaria. Infine i metalli nobili sono mezzo d'acquisto internazionale nelle mani dei paesi produttori d'oro e d'argento, dove sono prodotto immediato e merce, e non forma modificata della merce. Quanto più si sviluppa lo scambio di merci fra sfere di circolazione nazionali diverse, tanto più si sviluppa la funzione della moneta mondiale come mezzo di pagamento per la compensazione dei bilanci internazionali.
Come la circolazione interna, così anche la circolazione internazionale richiede una quantità di oro e di argento sempre mutevole. Una parte dei tesori accumulati serve quindi presso ogni popolo come fondo di riserva della moneta mondiale che ora si svuota, ora si riempie di nuovo, a seconda delle oscillazioni dello scambio di merci [109]. Oltre ai movimenti particolari con i quali essa si affanna entro le sfere di circolazione nazionali, la moneta mondiale ha un movimento generale i cui punti di partenza si trovano alle fonti della produzione, dalle quali corsi d'oro e di argento scendono in direzione diversa sul mercato mondiale. Come merci, l'oro e l'argento entrano qui nella circolazione mondiale e come equivalenti sono scambiati in proporzione del tempo di lavoro in essi contenuto, con equivalenti in merci prima di finire nelle sfere della circolazione interna. In queste appaiono perciò con una grandezza di valore data. Ogni diminuzione o aumento nel cambiamento delle loro spese di produzione incide quindi sul mercato mondiale in modo uniforme sul loro valore relativo, il quale invece è del tutto indipendente dal grado a cui le diverse sfere nazionali della circolazione inghiottono oro o argento. La parte della fiumana metallica che viene raccolta da ogni sfera particolare del mondo delle merci entra in parte direttamente nella circolazione interna del denaro per sostituirvi le monete metalliche logorate, in parte viene arginata nei diversi serbatoi tesauriferi della moneta, del mezzo di pagamento e della moneta mondiale, in parte viene trasformata in articoli di lusso, mentre il resto infine diventa semplicemente tesoro. A un grado di produzione borghese sviluppata la formazione di tesori è limitata al minimo richiesto dai diversi processi della circolazione per il libero giuoco del loro meccanismo. Tesoro come tale qui diventa solo la ricchezza in maggese - a meno che essa non sia la forma momentanea di un'eccedenza nella bilancia dei pagamenti, risultato di un ricambio organico interrotto e per questo irrigidimento della merce nella sua prima metamorfosi.
Come l'oro e l'argento, in quanto denaro, sono nel concetto la merce generale così, nella moneta mondiale, acquistano la corrispondente forma d'esistenza di merce universale. Nella proporzione in cui tutti i prodotti si alienano con essa, diventano la forma tramutata di tutte le merci e quindi la merce universalmente alienabile. Come materializzazione del tempo di lavoro generale sono realizzati nella misura in cui il ricambio organico dei lavori reali abbraccia la superficie del globo. Diventano equivalente generale allo stesso grado in cui si sviluppa la serie degli equivalenti particolari che costituiscono la loro sfera di scambio. Siccome nella circolazione mondiale le merci dispiegano universalmente il proprio valore di scambio, la forma di quest'ultimo, trasformata in oro e in argento, appare come moneta mondiale. Quindi, mentre le nazioni di possessori di merci, mediante la loro industria universale e il loro traffico generale trasformano l'oro in denaro adeguato, industria e traffico appaiono loro soltanto come mezzi per sottrarre il denaro, nella forma di oro e di argento, al mercato mondiale. L'oro e l'argento come moneta mondiale sono quindi tanto prodotto della circolazione generale delle merci come anche mezzo per estenderne l'orbita. Allo stesso modo che alle spalle degli alchimisti, che volevano fare l'oro, nacque la chimica, alle spalle dei possessori di merci che danno la caccia alla merce nella sua forma fatata, sgorgano dal suolo le fonti dell'industria e del commercio mondiali. L'oro e l'argento aiutano a creare il mercato mondiale anticipando nel loro concetto del denaro la esistenza del denaro. Che questa loro azione magica non sia affatto limitata agli anni d'infanzia della società borghese, bensì nasca necessariamente dal rovesciamento in cui ai rappresentanti del mondo delle merci appare il loro proprio lavoro sociale, lo dimostra lo straordinario influsso esercitato sul traffico mondiale alla metà del secolo XIX dalla scoperta di nuove regioni aurifere.
Allo stesso modo che il denaro si sviluppa in moneta mondiale, il possessore di merci si sviluppa in cosmopolita. La relazione cosmopolitica fra gli uomini è in origine soltanto il loro rapporto come possessori di merce. La merce di per sé è superiore a ogni barriera religiosa, politica, nazionale e linguistica. Il suo linguaggio generale è il prezzo, e la sua comunità è il denaro. Ma con lo sviluppo della moneta mondiale in contrapposizione alla moneta nazionale, il cosmopolitismo del possessore di merce si sviluppa come fede della ragione pratica in contrapposizione ai pregiudizi religiosi, nazionali ed altri che ostacolano il ricambio organico dell'umanità. Come quello stesso oro, che nella forma di eagles [*20] americani sbarca in Inghilterra, diventa sovrana, dopo tre giorni circola a Parigi come napoleone, dopo alcune settimane si ritrova a Venezia come ducato, ma conserva sempre lo stesso valore, così diventa chiaro per il possessore di merce che la nazionalità "is but the guinea's stamp" [*21]. L'idea sublime in cui si trasfigura per lui tutto il mondo, è quella di un mercato, quella del mercato mondiale [110].
Note
85. "Non solo i metalli ricchi son segni delle cose...; ma vicendevolmente le cose... sono segni dell'oro e dell'argento" (A. Genovesi, Lezioni di Economia Civile, 1765, p. 281, in Custodi, parte moderna, vol. VIII).
86. Petty: Oro e argento sono "universal wealth". Political Arithmetic, cit., p. 242.
87. E. Misselden, Free Trade of the Means to make Trade florish ecc., Londra, 1622: "La materia naturale del commercio è la merchandize (merce): che i mercanti per ragioni di affari hanno chiamato commodities (merci d'uso). La materia artificiale del commercio è il denaro che ha ricevuto il titolo of sinewes of warre and of state (di nerbo della guerra e dello Stato). Il denaro, sebbene naturalmente e cronologicamente venga dopo la merchandize, è diventato tuttavia nella misura in cui ora è in uso la cosa principale" (p. 7). Egli paragona merce e denaro "ai due figli di Giacobbe il Vecchio che impose la sua mano destra al figlio minore e la sinistra al figlio maggiore" (ivi). Boisguillebert, Dissertation sur la nature des richesses ecc., cit. "Qui dunque lo schiavo del commercio è diventato suo padrone... La miseria dei popoli viene solo dal fatto che si è creato un padrone o anzi un tiranno in colui che era schiavo" (pp. 399, 395).
88. Boisguillebert, Dissertation sur la nature des richesses ecc.: "Si è fatto un idolo di questi metalli (oro e argento) e abbandonando ormai il fine e l'intenzione per i quali si erano fatti entrare nel commercio, cioè perché vi servissero da pegno nello scambio e nella vicendevole consegna, si sono quasi esentati da questo servizio per farne delle divinità alle quali si sono sacrificati più beni e bisogni importanti e perfino più uomini, e si sacrificano ancora, che mai avesse sacrificato alle proprie false divinità l'antichità cieca, ecc." (ivi, p. 395).
89. Il Boisguillebert fiuta subito nella prima immobilizzazione del perpetuum mobile, ossia nella negazione della sua esistenza funzionale di mezzo di circolazione, la sua autonomizzazione rispetto alle merci. Il denaro, dice, deve essere "in costante movimento, cosa possibile soltanto finché è mobile, ma non appena diventa immobile, tutto è perduto" (Le détail de la France, p. 213). Quello che gli sfugge è che questo arresto è condizione del suo movimento. Quello che vuole di fatto è che la forma-valore delle merci appaia come forma meramente dileguantesi del loro ricambio, ma non si consolidi mai come fine a se stesso.
90. "Quanto più aumentano le scorte in merci, tanto più diminuiscono quelle esistenti come tesoro (in treasure)". E. Misselden, Free Trade of the Means to make Trade florish ecc., p. 23.
*16. Merci scomode, inutili.
*17. Merci (utili).
91. Ivi, pp. 11-13, passim.
*18. Momentanea.
92. Petty, Political Arithmetic, cit., p. 196.
93. Francois Bernier, Voyages contenant la description des états du Grand Mogol, edizione parigina del 1830, vol. I, cfr. pp. 312-314.
94. Dottor Martin Lutero, Bücher vom Kaufhandel und Wucher [Libri del commercio e dell'usura], 1524. Nello stesso passo Lutero dice: "Dio ha ridotto noi tedeschi al punto che dobbiamo sospingere oro e argento in paesi stranieri, far ricco tutto il mondo e noi stessi restar mendicanti. L'Inghilterra dovrebbe ben aver meno oro se la Germania le lasciasse il suo panno, e il re del Portogallo dovrebbe averne meno anche lui se gli lasciassimo le sue spezie. Calcola tu quanto denaro viene apportato a una fiera a Francoforte da terre tedesche, senza necessità e ragione: e ti meraviglierai come succeda che nei paesi tedeschi si trovi ancora sia pure un centesimo. Francoforte è il buco dell'oro e dell'argento per il quale esce dalla terra tedesca tutto quello che zampilla e cresce, che è coniato o battuto da noi: se il buco venisse tappato, ora non si dovrebbero sentire lamentele su come ovunque vi siano debiti e non vi sia denaro, come tutti i paesi e tutte le città siano distrutte dall'usura. Ma lascia andare, tant'è così: noi tedeschi dobbiamo restare tedeschi! Non cambiamo, a meno che non si debba".
Il Misselden, nello scritto sopra ricordato, vuole che l'oro e l'argento restino almeno entro i confini della cristianità: "Il denaro viene diminuito dal commercio, al di là della cristianità, con la Turchia, la Persia, con le Indie Orientali. Questi rami del commercio sono condotti nella massima parte con denaro contante, ma in modo del tutto differente da come lo sono i rami del commercio della cristianità entro questa stessa. poiché, sebbene il commercio entro la cristianità sia condotto con denaro contante, il denaro è pur costantemente racchiuso entro i suoi confini. Vi son di fatto corrente e controcorrente, alta e bassa marea del commercio fatto entro la cristianità, poiché talvolta il denaro è piu abbondante in una parte, più scarso in un'altra, a seconda che un paese abbia scarsità e un altro sovrabbondanza: va e viene e tumultua entro il cerchio della cristianità, ma resta costantemente circoscritto dalla sua linea. Ma il denaro, col quale si commercia al di fuori della cristianità, con i paesi sopra indicati, è costantemente speso e non rientra mai" (pp. 19, 20).
95. "Nel denaro sta l'origine dell'avarizia... a mano a mano che si accende qui una specie di follia che già non è più avarizia, bensì bramosia di oro" (Plinio, Historia naturalis, libro XXXIII, cap. III, 14).
96. Orazio non capisce dunque niente della filosofia della tesaurizzazione dicendo (Satire, libro II, satira III, versi 104-110):
" ...se un uomo profano / Vuoi della cetera, vuoi di qualsiasi Musa, comprasse Cetere, a farne raccolto, se chi mai non fu scarpinello / Compera forme e trincetti, se vele da nave chi mai / Non fu mercante, tutti lo chiamano pazzo, demente. / Pure, che differenza c'è mai tra costoro e chi ammucchia / Oro e quattrini, e poi non ha cuore di spenderli, e teme / Pur di toccare, come se fossero sacri, i suoi mucchi?" [Trad. di Ettore Romagnoli].
Il signor Senior capisce meglio la cosa: "Il denaro sembra l'unica cosa il cui desiderio sia generale e precisamente per la ragione che il denaro è ricchezza astratta e perché gli uomini, possedendolo, possono soddisfare tutti i loro bisogni di qualunque specie siano" (Principes fondamentaux de l'économie politique, traduit par le Comte Jean Arrivabene, Parigi, 1836, p. 221). Oppure Storch: "Siccome il denaro rappresenta tutte le altre ricchezze, basta accumularlo per procurarsi tutte le specie di ricchezza esistenti nel mondo" (Cours d'économie politique, cit., vol. II, p. 135).
97. A che punto l'inner man (l'uomo intimo) dell'individuo-merce rimanga immutato anche là dove quest'ultimo si sia incivilito e evoluto a capitalista, lo dimostra p. es. il rappresentante londinese di una banca cosmopolita il quale ha appeso, come confacente stemma di famiglia, una banconota da 100.000 sterline sotto vetro e in cornice. L'arguzia sta qui nell'elegante disprezzo con cui la banconota guarda dall'alto in basso la circolazione.
98. Vedi il passo di Senofonte citato più avanti.
99. Jacob, An Historical Inquiry into the Productions and Consumption of the Precious Metals, vol. II, capp. 25 e 26.
100. "In epoche di grandi sommovimenti e di grande incertezza in ispecie durante insurrezioni interne o durante invasioni, oggetti d'oro e di argento sono rapidamente trasformati in denaro; in periodi di tranquillità e di benessere, invece, il denaro è trasformato in vasellame d'argento e in oggetti di oreficeria" (Ivi, vol. II, p. 357),
101. Nel passo seguente Senofonte svolge il denaro nella sua specifica definizione formale di denaro e di tesoro: "In quest'unico mestiere di tutti quelli che conosco nessuno eccita l'invidia degli altri che se ne occupano... poiché quanto più ricche si presentano le miniere d'argento e quanto più argento viene estratto, tanta più gente è destinata a questo lavoro. Quando si siano comperati utensili domestici a sufficienza, se ne compreranno pochi altri; ma argento nessuno ne possiede tanto da non desiderare di averne dell'altro ancora, e se qualcuno ne ha in abbondanza, sotterrerà il superfluo e se ne rallegrerà non meno che se l'usasse. poiché quando le città fioriscono la gente ha particolare bisogno dell'argento. Gli uomini infatti, oltre a belle armi, vogliono anche buoni cavalli, case e arredamenti splendidi, ma le donne desiderano vesti di tutte le specie e gioie d'oro. Se però le città soffrono la miseria per effetto di un cattivo raccolto o di una guerra allora si ha bisogno di denaro, a causa dell'improduttività del suolo, per comperare mezzi di sussistenza o per arruolare truppe ausiliarie" (Senofonte, De Vectigalibus, cap. IV). Aristotele nel cap. 9, libro I, del De Republica svolge i due movimenti della circolazione M- D - M e D - M - D nel loro contrasto sotto il nome di "economia" e "crematistica". Entrambe le forme sono contrapposte dai tragici greci, soprattutto da Euripide, come (diritto) e (egoismo).
102. Il capitale viene anticipato naturalmente anche nella forma di denaro e il denaro anticipato può essere capitale anticipato, ma questo punto di vista non rientra nell'orizzonte della circolazione semplice.
*19. "Insisto qui sul mio pegno". Shylock nel Mercante di Venezia di W. Shakespeare.
103. La differenza fra mezzo d'acquisto e mezzo di pagamento messa in evidenza in Lutero [ Nota nella copia personale].
104. Il signor Macleod, malgrado la sua boria dottrinaria di definitore, fraintende tanto i più elementari rapporti economici da far nascere il denaro in generale dalla sua forma più evoluta, quella di mezzo di pagamento. Fra l'altro dice: Siccome la gente non sempre ha bisogno nello stesso momento dei servizi reciproci, e non nel medesimo volume di valore, "resterebbe come avanzo una certa differenza o un certo importo del servizio, pagabile dal primo al secondo; il debito". Il possessore di questo debito ha bisogno dei servizi di un altro che non ha bisogno diretto dei suoi, e "trasmette a un terzo il debito che il primo ha verso di lui. L'obbligazione passa in tal modo da una mano nell'altra; mezzo di circolazione... Se qualcuno riceve un'obbligazione espressa in denaro metallico, egli potrà disporre non soltanto dei servizi del debitore d'origine, bensì di quelli dell'intera comunità lavoratrice" (Macleod, Theory and Practice of Banking ecc., Londra, 1855, vol I, cap. 1,pp. 23 sgg.).
105. Bailey, Money and its Vicissitudes, cit., p. 3: "Il denaro è la merce generale dei contratti ossia quella in cui sono conclusi in massima parte i contratti della proprietà da adempiersi in un tempo successivo".
106. Il Senior, Principes fondamentaux, cit., p. 221, dice: "Siccome entro un determinato spazio di tempo varia il valore di tutte le cose, si prende come mezzo di pagamento la cosa il cui valore varia meno di tutte, che più a lungo conserva una data capacità media di comperare cose. In tal modo il denaro diventa espressione ossia rappresentante dei valori". Viceversa. Siccome l'oro, l'argento, ecc. sono diventati denaro, vale a dire esistenza del valore di scambio autonomizzato, diventano mezzi generali di pagamento. Là dove subentra la considerazione della durata della grandezza di valore del denaro, accennata dal signor Senior, ossia in periodi nei quali il denaro s'impone con la forza delle circostanze come mezzo generale di pagamento, si scopre per l'appunto anche l'oscillazione nella grandezza di valore del denaro. Uno di questi periodi fu in Inghilterra l'epoca di Elisabetta, e fu all'epoca sua che Lord Burleigh e Sir Thomas Smith, in considerazione del deprezzamento dei metalli preziosi che ormai diveniva visibile, imposero un Atto parlamentare che obbligava le Università di Oxford e di Cambridge a riservarsi un terzo delle loro rendite fondiarie in grano e in malto.
107. Boisguillebert, volendo impedire che i rapporti di produzione borghesi si inalberino contro gli stessi borghesi, concepisce di preferenza le forme nelle quali il denaro appare solo idealmente o solo dileguantesì. Così prima il mezzo di circolazione. Così il mezzo di pagamento. Ma quel che poi non vede è l'innmediato tramutamento dalla forma ideale del denaro nella sua realtà esteriore, che il denaro sonante è già contenuto in modo latente nella misura puramente immaginaria dei valori. Che il denaro sia semplice forma delle merci stesse, egli dice, si manifesta nel commercio all'ingrosso in cui lo scambio avviene senza intervento del denaro dopochè "les marchandises sont appréciées" (Le détail de la France, cit., p, 210).
108. Locke, Some Considerations on the lowering of Interest ecc., cit., pp. 17, 18.
109. "Il denaro ammassato supplisce a quella somma, che per essere attualmente in circolazione, per l'eventuale promiscuità de' commerci si allontana e sorte dalla sfera della circolazione medesima" (G. R. Carli, Note a Verri, Meditazioni sulla Economia Politica, p. 196, vol. XV in Custodi, cit.).
*20. Monete da dieci dollari.
*21. Non è che l'impronta della guinea.
110. Montanari, Della Moneta (1683), cit., p. 40: " ...si è così fattamente diffusa per tutto il globo terrestre la comunicazione de' popoli insieme, che può quasi dirsi esser il mondo tutto divenuto una sola città, in cui si fa perpetua di ogni mercanzia, e dove ogni uomo, di tutto ciò che la terra, gli animali e l'umana industria altrove produce, può mediante il danaro, stando in una casa provvedersi e godere. Maravigliosa invenzione!".
Il processo di produzione borghese s'impadronisce in un primo momento della circolazione metallica come di un organo tramandato bell'e pronto che viene, sì, trasformato, un po' alla volta, ma conserva pur sempre la sua struttura fondamentale. La questione del perché invece di altre merci, servano come materiale del denaro l'oro e l'argento, va al di là dei confini del sistema borghese. Riepiloghiamo quindi solo in modo sommario i punti di vista più essenziali.
Siccome il tempo di lavoro generale stesso ammette soltanto differenze quantitative, l'oggetto che deve essere considerato sua incarnazione specifica dovrà essere in grado di esprimere differenze puramente quantitative, cosicché identità, uniformità della qualità siano presupposte. E' questa la prima condizione perché una merce eserciti la funzione di misura di valore. Se p. es. io stimo tutte le merci in buoi, per illi, grano, ecc. dovrò di fatto misurarle su un bue medio ideale, su una per ille media ideale, poiché il bue si differenzia qualitativamente da un altro bue, il grano da altro grano, una per ille da altra per ille, mentre per contro l'oro e l'argento come corpi semplici sono costantemente eguali a se stessi, e loro eguali quantità rappresentano quindi valori di eguale grandezza [111]. L'altra condizione perché una merce possa servire da equivalente generale, la quale nasce direttamente dalla sua funzione di rappresentare differenze puramente quantitative, è la possibilità che la merce sia sezionabile a piacere e ricomponibile, cosicché la moneta di conto possa essere raffigurata anche percettibilmente. L'oro e l'argento posseggono queste qualità a un grado preminente.
Come mezzi di circolazione l'oro e l'argento presentano, a confronto di altre merci, il vantaggio che al loro alto peso specifico, che rappresenta un peso relativo grande entro uno spazio esiguo, corrisponde il loro peso specifico economico che consente di racchiudere un tempo di lavoro relativamente grande, ossia un grande valore di scambio, in un volume esiguo. In questo modo sono garantite la facilità del trasporto, del passaggio da una mano all'altra, da un paese all'altro, la capacità di apparire e di scomparire con altrettanta rapidità, in breve è garantita la mobilità materiale, il sine qua non della merce la quale è destinata a servire da perpetuum mobile del processo di circolazione.
L'alto valore specifico dei metalli nobili, la loro resistenza e relativa indistruttibilità, la loro inossidabilità a contatto dell'aria, per l'oro in particolare la sua indissolubilità in acidi ad eccezione dell'acqua regia, tutte queste qualità naturali fanno dei metalli nobili il materiale della tesaurizzazione. Pietro Martire, che sembra essere stato grande amico della cioccolata, osserva perciò a proposito dei sacchi di cacao che costituivano una delle specie monetarie messicane: "O felice denaro, che offre al genere umano una bevanda dolce e nutriente e protegge i suoi innocenti possessori dall'infernale morbo della cupidigia, perché non può essere sotterrato né conservato a lungo" (De orbe novo [Alcalà, 1530, dec. 5, cap. 4]).
La grande importanza dei metalli in genere all'interno del processo di produzione immediato è connessa alla loro funzione come strumenti della produzione. Astraendo dalla loro rarità, la maggiore malleabilità a paragone del ferro e anche del rame (allo stato indurito in cui lo usavano gli antichi) rende l'oro e l'argento incapaci di questo uso e li priva quindi in larga misura della qualità su cui si basa in generale il valore d'uso dei metalli. Come sono inutili entro il processo immediato della produzione, così appaiono non necessari come mezzi di sussistenza, come oggetti di consumo. Ogni e qualsiasi quantità di questi due metalli può quindi entrare nel processo della circolazione sociale senza pregiudicare il processo della produzione e del consumo immediati. Il loro valore d'uso individuale non viene a trovarsi in contraddizione con la loro funzione economica. D'altra parte, l'oro e l'argento sono, non soltanto negativamente, oggetti superflui ossia non necessari, ma le loro qualità estetiche ne fanno il materiale naturale di magnificenze, gioie, splendori, bisogni domenicali, in breve ne fanno la forma positiva della sovrabbondanza e della ricchezza. Appaiono in certo qual modo come luce squisita scavata dal mondo sotterraneo, mentre l'argento riflette tutti i raggi di luce nella loro mescolanza originaria e l'oro riflette solo la potenza più elevata del colore, il rosso. Ma il senso dei colori è la forma più popolare del senso estetico in generale. La connessione etimologica dei nomi dei metalli nobili nelle differenti lingue indo-germanicbe con designazioni di colore è stata provata da Jakob Grimm. (Vedi la sua Storia della lingua tedesca.)
Infine la capacità che hanno l'oro e l'argento di essere tramutati dalla forma di moneta nella forma di verghe, dalla forma di verghe nella forma di articoli di lusso e viceversa, il loro vantaggio dunque sulle altre merci, di non essere vincolati a determinate forme d'uso, date una volta tanto, fanno di essi il materiale naturale del denaro che da una determinatezza formale deve costantemente tramutarsi nell'altra.
La natura non produce denaro allo stesso modo che non produce banchieri o un corso dei cambi. Ma siccome la produzione borghese deve cristallizzare la ricchezza come feticcio nella forma di una singola cosa, l'oro e l'argento ne sono la corrispondente incarnazione. L'oro e l'argento non sono per natura denaro, ma il denaro è per natura oro e argento. Da un lato il cristallo-denaro argenteo o aureo non è soltanto prodotto del processo di circolazione, bensì di fatto il suo unico prodotto stabile. Dall'altro lato l'oro e l'argento sono prodotti naturali bell'e pronti, e sono quel primo prodotto direttamente come sono anche il secondo, non separati da alcuna differenza formale. Il prodotto generale del processo sociale, ossia lo stesso processo sociale, come prodotto è un prodotto naturale particolare che sta nelle viscere della terra e da queste è scavabile [112].
Abbiamo visto che l'oro e l'argento non possono soddisfare l'esigenza posta ad essi in quanto denaro, di essere una grandezza di valore invariabile. Ma hanno, come osserva già Aristotele, una grandezza di valore più permanente che la media delle altre merci. Astraendo dagli effetti generali di una sopravvalutazione o di un deprezzamento dei metalli nobili, le oscillazioni del rapporto di valore fra oro e argento sono di particolare importanza poiché entrambi, l'uno accanto all'altro, servono sul mercato mondiale da materiale del denaro. Le ragioni puramente economiche di questo variare del valore - conquiste e altri rivolgimenti politici, che nel mondo antico esercitavano un forte influsso sul valore dei metalli, agiscono solo localmente e in modo transitorio - si devono far risalire al variare del tempo di lavoro necessario per la produzione di questi metalli. Questo tempo di lavoro a sua volta dipenderà dalla loro rarità naturale relativa, come dalla maggiore o minore difficoltà offerta a chi si impadronisce di essi allo stato puramente metallico. L'oro è di fatto il primo metallo che l'uomo scopre. Da un lato la natura stessa lo presenta in forma cristallina schietta, individualizzato, esente da combinazioni chimiche con altri corpi ossia, come dicevano gli alchimisti, allo stato vergine; dall'altro lato, la natura stessa si assume, nei grandi lavaggi dell'oro compiuti dai fiumi, il lavoro della tecnologia. Da parte dell'uomo è richiesto in tal modo soltanto il lavoro più rozzo, sia per la produzione dell'oro di fiume, sia per quello dell'oro in terra alluvionale, mentre la produzione dell'argento presuppone lavoro di miniera e in genere uno sviluppo relativamente elevato della tecnica. Malgrado la sua minore rarità assoluta il valore dell'argento è quindi in origine relativamente maggiore di quello dell'oro. L'assicurazione data da Strabone che presso una tribù di arabi 10 libbre d'oro venivano date per 1 libbra di ferro e 2 libbre d'oro per 1 libbra di argento non appare quindi affatto incredibile. Ma nella proporzione in cui si sviluppano le forze produttive del lavoro sociale e il prodotto del lavoro semplice rincara quindi nei confronti di quello del lavoro combinato, nella proporzione in cui la crosta terrestre viene spezzata più universalmente e inaridiscono le originarie fonti superficiali dell'offerta dell'oro, il valore dell'argento scenderà in rapporto al valore dell'oro. A un grado di sviluppo dato della tecnologia e dei mezzi di comunicazione, la scoperta di nuovi terreni auriferi o argentiferi avrà infine il suo peso. Nell'antica Asia il rapporto fra oro e argento era di 6 a 1 o 8 a 1; quest'ultimo rapporto si aveva in Cina e in Giappone ancora all'inizio del secolo XIX; 10 a 1, il rapporto dell'epoca di Senofonte, può essere considerato come il rapporto medio dell'antichità media. Lo sfruttamento delle miniere d'argento spagnuole da parte di Cartagine e in seguito da parte di Roma agì nell'antichità come la scoperta delle miniere americane nell'Europa moderna. Per Roma nell'età imperiale potrà essere cifra media approssimativa 15 o 16 a 1, benché spesso troviamo in Roma un più forte deprezzamento dell'argento. Lo stesso movimento che inizia con il deprezzamento relativo dell'oro e finisce con la caduta del valore dell'argento, si ripete nell'epoca successiva che va dal Medioevo fino all'epoca contemporanea. Come ai tempi di Senofonte, il rapporto medio è nel Medioevo di 10 a 1 e, in conseguenza della scoperta delle miniere americane, si tramuta di nuovo in 16 o 15 a 1. La scoperta delle sorgenti aurifere d'Australia, di California e di Colombo rende probabile un'altra caduta nel valore dell'oro [113].
C. Teorie sul mezzo di circolazione e sul denaro
Come nei secoli XVI e XVII, periodo d'infanzia della moderna società borghese, una generale bramosia d'oro sospingeva popoli e principi in crociate transoceaniche alla ricerca dell'aureo Gral [114], così i primi interpreti del mondo moderno, gli autori del sistema monetario di cui il sistema mercantilistico non è che una variante, proclamavano l'oro e l'argento, ossia il denaro, unica ricchezza. Con esattezza definivano come missione della società borghese la produzione del denaro, cioè, dal punto di vista della circolazione semplice delle merci, la costituzione del tesoro eterno che non è divorato né dai tarli né dalla ruggine. Non si risponde al sistema monetario dicendo che una tonnellata di ferro del prezzo di 3 lire sterline è una grandezza di valore uguale a quella di 3 lire sterline di oro. Non si tratta qui della grandezza del valore di scambio bensì della sua forma adeguata. Se il sistema monetario e quello mercantilistico elogiano il commercio mondiale e i rami del lavoro nazionali sboccanti direttamente nel commercio mondiale come le uniche vere fonti della ricchezza o del denaro, bisognerà considerare che in quell'epoca la massima parte della produzione nazionale si moveva ancora in forme feudali e serviva come fonte diretta di sussistenza ai produttori stessi. I prodotti, in gran parte, non si trasformavano in merci e quindi non in denaro, in generale non entravano nel generale ricambio organico sociale, non apparivano quindi come oggettivazione del lavoro astratto generale e di fatto non costituivano ricchezza borghese. Il denaro, come fine della circolazione, è il valore di scambio ossia la ricchezza astratta - non un qualsiasi elemento materiale della ricchezza - come fine determinato e motivo propulsore della produzione. Come si accordava al grado preliminare della produzione borghese, quei profeti misconosciuti tenevano fermo alla forma palpabile e rutilante del valore di scambio, alla sua forma di merce generale in
contrapposizione a tutte le merci particolari. La sfera economica propriamente borghese di quell'epoca era la sfera della circolazione delle merci. Dal punto di vista di questa sfera elementare essi giudicavano quindi tutto il complicato processo della produzione borghese e scambiavano il denaro per il capitale. La lotta incessante che gli economisti moderni conducono contro il sistema monetario e mercantilistico deriva in gran parte dal fatto che questo sistema svela in forma brutalmente ingenua il mistero della produzione borghese, il suo essere dominata dal valore di scambio. Ricardo, se pure allo scopo di una applicazione errata, osserva in qualche passo che perfino in tempi di carestia si importa grano, non perché la nazione soffra la fame, bensì perché il mercante di cereali fa quattrini. Criticando il sistema monetario e mercantilistico, l'economia politica sbaglia dunque attaccando questo sistema come mera illusione, come teoria semplicemente falsa, e non riconoscendolo come forma barbarica del proprio presupposto fondamentale. Inoltre, questo sistema non soltanto serba un diritto storico, ma, entro determinate sfere dell'economia moderna, serba pieno diritto di cittadinanza. A tutti gli stadi del processo di produzione borghese, in cui la ricchezza assume la forma elementare di merce, il valore di scambio assume la forma elementare di denaro, e in tutte le fasi del processo di produzione la ricchezza ricade sempre di bel nuovo per un momento nella forma elementare generale di merce. Anche nell'economia borghese più sviluppata, le funzioni specifiche dell'oro e dell'argento come denaro, a differenza della loro funzione di mezzo di circolazione e in opposizione a tutte le altre merci, non sono superate, bensì semplicemente limitate, e il sistema monetario e mercantilistico mantengono quindi la ragione che avevano. Il dato di fatto cattolico che oro e argento si contrappongono alle altre merci profane come incarnazione diretta del lavoro sociale, dunque come esistenza della ricchezza astratta, lede naturalmente il point d'honneur protestante dell'economia borghese, e per timore dei pregiudizi del sistema monetario per molto tempo essa si è privata del giudizio sui fenomeni della circolazione monetaria, come mostrerà la seguente esposizione.
In contrapposizione al sistema monetario e mercantilistico, i quali conoscono il denaro soltanto nella sua definizione formale di prodotto cristallino della circolazione, era del tutto logico che l'economia classica concepisse il denaro in un primo momento nella sua forma fluida, come forma del valore di scambio, prodotta entro la stessa metamorfosi delle merci e di nuovo dileguantesi. Quindi, come la circolazione delle merci è concepita esclusivamente nella forma M - D - M, e questa a sua volta esclusivamente nella definizione dell'unità progrediente di vendita e compera, così il denaro è affermato nella sua definizione formale come denaro. Se lo stesso mezzo di circolazione viene isolato nella sua funzione di moneta, esso si trasforma, come abbiamo visto, in segno di valore. Ma siccome l'economia classica in un primo momento si trovava di fronte la circolazione metallica come forma dominante di circolazione, essa interpreta il denaro metallico come moneta, la moneta metallica come semplice segno di valore. In corrispondenza della legge della circolazione dei segni di valore, la tesi viene posta in questo modo: i prezzi delle merci dipendono dalla massa del denaro circolante, e non viceversa, la massa del denaro circolante dipende dai prezzi delle merci. Troviamo questa teoria in economisti italiani del secolo XVII accennata più o meno, ora affermata, ora negata da Locke, svolta decisamente dallo Spectator (nel numero del 19 ottobre 1711), dal Montesquieu e dallo Hume. Siccome lo Hume è di gran lunga il rappresentante più autorevole di questa teoria nel corso del secolo XVIII, inizieremo con lui la nostra rassegna.
Dati determinati presupposti, l'aumento o la diminuzione nella quantità, sia del denaro metallico circolante, sia dei segni di valore circolanti, sembra agire uniformemente sui prezzi delle merci. Se scende o sale il valore dell'oro o dell'argento in cui sono stimati come prezzi i valori di scambio delle merci, saliranno o scenderanno i prezzi perché la loro misura di valore si è mutata, e circolano più o meno oro e argento che non moneta, perché i prezzi sono saliti o scesi. Ma il fenomeno visibile è il mutamento dei prezzi, mentre il valore di scambio delle merci rimane invariato, e si ha una quantità aumentata o diminuita dei mezzi di circolazione. D'altra parte, se la quantità dei segni di valore in circolazione scende o sale al di sopra o al di sotto del loro livello necessario, i segni di valore saranno ridotti a quest'ultimo forzatamente, mediante la discesa o la salita dei prezzi delle merci. In entrambi i casi un medesimo effetto sembra prodotto da una medesima causa, e a questa parvenza teneva fermo lo Hume.
Ogni indagine scientifica sul rapporto fra cifra dei mezzi di circolazione e movimento dei prezzi delle merci deve presupporre come dato il valore materiale monetario. Lo Hume, invece, considera esclusivamente epoche di rivoluzione nella misura degli stessi metalli nobili, dunque rivoluzioni nella misura dei valori. L'aumento dei prezzi delle merci, contemporaneo all'aumento del denaro metallico a partire dalla scoperta delle miniere americane, costituisce lo sfondo storico della sua teoria, allo stesso modo che la polemica contro il sistema monetario e mercantilistico ne era il motivo pratico. L'offerta dei metalli nobili può naturalmente essere aumentata restando invariate le spese della loro produzione. D'altra parte, la diminuzione del loro valore, ossia del tempo di lavoro necessario per la loro produzione, in un primo tempo si manifesterà soltanto nell'aumento della loro offerta. Dunque, dicevano in seguito taluni scolari di Hume, il valore diminuito dei metalli nobili si manifesta nella massa crescente dei mezzi di circolazione, e la massa crescente dei mezzi di circolazione si manifesta nell'aumento dei prezzi delle merci. Ma di fatto cresce soltanto il prezzo delle merci esportate, le quali sono scambiate con oro e argento come merce e non come mezzo di circolazione. In tal modo aumenta il prezzo di queste merci, stimate in oro e in argento dal valore diminuito, nei confronti di tutte le altre merci il cui valore di scambio continua a essere stimato in oro o argento in base alla scala di misura delle loro vecchie spese di produzione. Questa duplice stima dei valori di scambio delle merci in uno stesso paese non può essere naturalmente che temporanea, e i prezzi oro o argento dovranno pareggiarsi nelle proporzioni determinate dagli stessi valori di scambio, cosicché infine i valori di scambio di tutte le merci saranno stimati in rispondenza al nuovo valore del materiale monetario. Lo svolgimento di questo processo non rientra qui come non rientra qui il modo in cui, in generale, si fa valere il valore di scambio delle merci entro le oscillazioni dei prezzi di mercato. Che però questo pareggio, in epoche meno sviluppate della produzione borghese, sia molto graduale e si distribuisca su lunghi periodi, ma comunque non vada di pari passo con l'aumento del contante in circolazione, è stato dimostrato in modo lampante da nuove indagini critiche sul movimento dei prezzi delle merci nel secolo XVI [115]. Senza alcuna pertinenza sono i riferimenti, cari agli scolari dello Hume, all'aumento dei prezzi nella Roma antica in seguito alla conquista della Macedonia, dell'Egitto e dell'Asia Minore. Il trasferimento improvviso e forzoso di denaro accumulato in tesori da un paese all'altro, peculiare del mondo antico, la temporanea riduzione delle spese di produzione dei metalli nobili per un determinato paese in virtù del semplice processo del saccheggio, non incidono sulle leggi immanenti della circolazione del denaro, come ad esempio la distribuzione gratuita di grano egiziano e siciliano non incide a Roma sulla legge generale che regola il prezzo del grano. Il materiale richiesto da una osservazione particolareggiata della circolazione del denaro, da un lato la storia selezionata dei prezzi delle merci, dall'altro le statistiche ufficiali e continuative dell'espansione e della contrazione del medio circolante, dell'afflusso e del deflusso dei metalli nobili, ecc., materiale che in generale si va formando soltanto con un sistema bancario sviluppato in pieno, mancava allo Hume come a tutti gli altri scrittori del secolo XVIII. La teoria della circolazione dello Hume si riassume nelle seguenti tesi: 1) I prezzi delle merci di un paese sono determinati dalla massa di denaro (denaro reale o denaro simbolico) che vi si trova. 2) Il denaro circolante in un paese rappresenta tutte le merci che vi si trovano. Nella proporzione in cui cresce il numero dei rappresentanti, ossia del denaro, toccherà al singolo rappresentante una quantità maggiore o minore della cosa rappresentata. 3) Se le merci sono aumentate, diminuirà il loro prezzo ossia crescerà il valore del denaro. Se è aumentato il denaro, crescerà viceversa il prezzo delle merci, scenderà il valore del denaro [116].
"Il caro prezzo delle cose - dice lo Hume - in conseguenza di una sovrabbondanza di denaro è uno svantaggio per ogni commercio esistente, poiché in tal modo è consentito che paesi poveri superino nelle compere paesi più ricchi su tutti i mercati esteri [117]. Non può avere alcun effetto, né buono né cattivo, considerando una nazione per se stessa, che esista molta o poca moneta per il conteggio o la rappresentanza delle merci, come non sarebbe alterato il bilancio di un commerciante qualora egli usasse nella contabilità invece del calcolo arabo che necessita di poche cifre, quello romano che ha bisogno di un numero maggiore. Anzi, la quantità maggiore del denaro, pari ai caratteri romani di calcolo, è piuttosto scomoda e costa una fatica maggiore, tanto per la conservazione quanto per il trasporto." [118] Per dimostrare qualcosa in un qualche modo, lo Hume avrebbe dovuto mostrare che, in un sistema dato di caratteri di calcolo, la massa delle cifre impiegate non dipende dalla grandezza di valore della cifra, ma la grandezza di valore della cifra dipende, viceversa, dalla massa dei caratteri impiegati. E' molto esatto che non costituisce alcun vantaggio la stima o il "conteggio" dei valori delle merci in oro o argento dal valore diminuito, e perciò i popoli, aumentando la somma di valori delle merci circolanti, hanno sempre trovato che è più comodo contare in argento che in rame, e in oro che in argento. Nella misura in cui diventavano più ricchi, trasformavano i metalli meno preziosi in moneta sussidiaria e i metalli più preziosi in denaro. D'altra parte lo Hume dimentica che per il conteggio dei valori in oro e argento non occorre che "ci sia" né oro né argento. Il denaro di conto e il mezzo di circolazione per lui coincidono ed entrambi sono moneta (coin). Siccome una modifica del valore nella misura dei valori, ossia nei metalli nobili che funzionano da denaro di conto, fa salire o scendere i prezzi delle merci, quindi anche la massa del denaro circolante, restando invariata la velocità di circolazione, lo Hume deduce che l'aumento o la diminuzione dei prezzi delle merci dipende dalla quantità del denaro circolante. Che nei secoli XVI e XVII non soltanto fosse aumentata la quantità d'oro e d'argento, ma allo stesso tempo fossero diminuiti i loro costi di produzione, lo Hume poteva arguirlo dalla chiusura delle miniere in Europa. Nei secoli XVI e XVII i prezzi delle merci aumentarono in Europa insieme con la massa dell'oro e argento importati dall'America; quindi i prezzi delle merci di ogni paese sono determinati dalla massa dell'oro e argento che vi si trovano. Questa era la prima "conseguenza necessaria" [119] dello Hume. Nei secoli XVI e XVII i prezzi non aumentarono nella stessa misura dell'aumento dei metalli nobili; passò più di mezzo secolo prima che nei prezzi delle merci si manifestasse un cambiamento qualsiasi, e perfino allora passò ancora molto tempo prima che i valori di scambio delle merci fossero stimati generalmente in base al valore diminuito dell'oro e dell'argento, dunque prima che la rivoluzione afferrasse i prezzi delle merci in generale. Dunque, ragiona lo Hume, il quale in assoluta contraddizione con i principi della sua filosofia trasforma acriticamente fatti osservati unilateralmente in tesi generali, dunque il prezzo delle merci, ossia il valore del denaro, è determinato non dalla massa assoluta del denaro esistente in un paese, bensì, piuttosto, dalla quantità di oro e di argento che entra realmente nella circolazione, ma alla fine tutto l'oro e l'argento esistenti in un paese devono essere assorbiti dalla circolazione come moneta [120]. E' chiaro che, possedendo l'oro e l'argento un valore proprio, e astraendo da tutte le altre leggi della circolazione, soltanto una quantità determinata di oro e argento possa circolare come equivalente per una data somma di valori di merci. Se dunque ogni quantità di oro e di argento, che si trovi casualmente in un paese, deve entrare nello scambio di merci come mezzo di circolazione, senza considerare la somma dei valori delle merci, allora l'oro e l'argento non hanno valore immanente e quindi in effetti non sono merci reali. Questa è la terza "conseguenza necessaria" dello Hume. Merci senza prezzo, e oro e argento senza valore, egli li fa entrare nel processo di circolazione. Perciò non parla neanche mai di un valore delle merci e di un valore dell'oro, bensì soltanto della loro vicendevole quantità. Già il Locke aveva detto che l'oro e l'argento non avevano che un valore immaginario ossia convenzionale; la prima brutale forma di contrasto nei confronti dell'affermazione del sistema monetario, che l'oro e l'argento soltanto avevano un vero valore. Che la esistenza-denaro dell'oro e dell'argento nasca semplicemente dalla loro funzione nel processo di scambio sociale, viene interpretato nel senso che essi vanno debitori del proprio valore e quindi della propria grandezza di valore a una funzione sociale [121]. L'oro e l'argento sono dunque cose prive di valore, ma entro il processo di circolazione acquistano una grandezza di valore fittizia in quanto rappresentanti delle merci. Dal processo non sono trasformati in denaro, bensì in valore. Questo loro valore è determinato dalla proporzione fra la loro massa e la massa delle merci, dovendo entrambe le masse pareggiarsi. Mentre dunque lo Hume fa entrare l'oro e l'argento nel mondo delle merci come non-merci, egli le trasforma viceversa, non appena appaiono nella definizione formale della moneta, in semplici merci, le quali si scambiano con altre merci mediante un semplice commercio di scambio. Ora, se il mondo delle merci consistesse in una sola merce, p. es. in un milione di quarter di grano, riuscirebbe molto semplice l'idea che un quarter si scambia con due once d'oro, essendoci due milioni di once d'oro, e con 20 once d'oro, essendoci 20 milioni di once d'oro, che prezzo della merce e valore del denaro salgono o scendono in proporzione inversa della quantità di denaro esistente [122]. Ma il mondo delle merci consiste di valori d'uso infinitamente diversi, il cui valore relativo non è affatto determinato dalla loro quantità relativa. Come si immagina dunque lo Hume questo scambio fra massa delle merci e massa dell'oro? Egli si accontenta dell'idea vaga e aconcettuale che ogni merce, come parte aliquota della massa complessiva delle merci, si scambia con una corrispondente aliquota della massa dell'oro. Il movimento progrediente delle merci, il quale nasce dall'antitesi fra valore di scambio e valore di uso in esse contenuta, che appare nella circolazione del denaro e si cristallizza nelle diverse definizioni formali di quest'ultimo, è dunque radiato, e al suo posto subentra la immaginaria equiparazione meccanica fra massa di peso dei metalli nobili esistenti in un paese e massa di merci presenti nello stesso tempo.
Sir James Steuart apre la sua indagine sulla moneta e sul denaro con una critica particolareggiata dello Hume e del Montesquieu [123]. Egli è in realtà il primo che ponga il quesito: La quantità del denaro circolante è determinata dai prezzi delle merci, oppure i prezzi delle merci sono determinati dalla quantità del denaro circolante? benché la sua esposizione sia annebbiata da vedute fantastiche circa la misura dei valori, da una raffigurazione oscillante del valore di scambio in genere e da reminiscenze del sistema mercantilistico, egli scopre le definizioni formali essenziali del denaro e le leggi generali della circolazione del denaro, perché non pone meccanicamente le merci da un lato e il denaro dall'altro, ma svolge effettivamente le differenti funzioni dai differenti momenti dello scambio delle merci. "L'uso del denaro per la circolazione all'interno del paese si può riassumere in due punti principali, pagamento di quanto uno deve, acquisto di quanto occore a uno; entrambe le cose messe insieme costituiscono la domanda di denaro contante (ready money demands)... Lo stato del commercio della manifattura, il tenore di vita e le spese tradizionali degli abitanti sommate, tutte queste cose regolano e determinano la massa delle domande di denaro contante, ossia la massa delle vendite. Per attuare questa molteplicità di pagamenti occorre una certa proporzione di denaro. Questa proporzione, a sua volta, può aumentare o diminuire, a seconda delle circostanze, sebbene la quantità delle vendite rimanga invariata... Comunque, la circolazione di un paese può assorbire soltanto una quantità determinata di denaro." [124] "Il prezzo di mercato della merce è determinato dalla complicata operazione di domanda e concorrenza (demand and competition), le quali sono indipendenti dalla massa di oro e di argento presente in un paese. Che cosa ne sarà allora dell'oro e argento non richiesti come moneta? Saranno accumulati come tesoro oppure lavorati come materiale di articoli di lusso. Se la massa di oro e di argento scendesse al di sotto del livello richiesto dalla circolazione, la si sostituirà mediante denaro simbolico o altri espedienti. Se un corso dei cambi favorevole porta in paese una sovrabbondanza di denaro e se arresta al contempo la domanda per il suo invio all'estero, il denaro andrà a finire spesso in casse dove diventa inutile come se giacesse nelle miniere." [125] La seconda legge, scoperta dallo Steuart, è il riflusso della circolazione fondata sul credito al proprio punto di partenza. Infine egli svolge gli effetti prodotti dalla differenza del saggio d'interesse in paesi differenti sulla emigrazione e immigrazione internazionali dei metalli nobili. Queste ultime due determinazioni le accenneremo qui solo per amore di completezza, poiché sono lontane dal nostro tema della circolazione semplice [126]. Il denaro simbolico o la moneta di credito - lo Steuart ancora non distingue fra queste due forme del denaro - possono sostituire nella circolazione interna i metalli nobili come mezzo d' acquisto e mezzo di pagamento, ma non possono farlo sul mercato mondiale. I biglietti di carta moneta sono quindi il denaro della società (money of the society), mentre l'oro e l'argento sono la moneta del mondo (money of the world) [127].
E' una caratteristica delle nazioni che abbiano uno sviluppo "storico", nel senso della scuola storica del diritto, di dimenticare costantemente la propria storia. benché quindi la polemica sul rapporto fra prezzi delle merci e quantità dei mezzi di circolazione abbia occupato continuamente, durante questo mezzo secolo, il parlamento e abbia originato in Inghilterra migliaia di opuscoli, grandi e piccoli, lo Steuart è rimasto un "cane morto" più ancora di quanto lo Spinoza apparisse a Moses Mendelssohn ai tempi del Lessing. Perfino il più recente storiografo del "currency", il Maclaren, fa di Adam Smith l'inventore della teoria steuartiana, come fa di Ricardo l'inventore della teoria dello Hume [128]. Mentre Ricardo aveva affinato la teoria dello Hume, Adam Smith registra i risultati delle indagini compiute dallo Steuart come morti dati di fatto. Adam Smith ha applicato la sentenza della sua saggezza scozzese che, "avendo guadagnato un poco, spesso vi riuscirà facile guadagnare molto", anche alla ricchezza intellettuale e ha quindi, con meschina sollecitudine, tenuto segrete le fonti alle quali va debitore di quel poco da cui in effetti cava molto. Più di una volta egli preferisce troncare il problema là dove una precisa formulazione lo costringerebbe a fare i conti con i suoi predecessori. Così nella teoria del denaro. Egli accetta in silenzio la teoria dello Steuart, raccontando che l'oro e l'argento presenti in un paese sono trasformati parte in moneta, parte accumulati come fondi di riserva per i commercianti in paesi privi di banche e come riserve bancarie in paesi che abbiano una circolazione creditizia; parte servirebbe come tesoro per la compensazione di pagamenti internazionali, parte verrebbe trasformato in articoli di lusso. Il problema della quantità della moneta circolante egli lo elimina in silenzio trattando il denaro, in maniera completamente errata, da semplice merce [129]. Il suo volgarizzatore, l'insulso J. B. Say, che i francesi hanno nominato prince de la science, come Johann Christoph Gottsched nominò Omero il suo Schönaich e Pietro Aretino nominò se stesso terror principum e lux mundi, ha fatto con aria di grande importanza un dogma di questa omissione di Adam Smith, non del tutto ingenua [130]. La tensione polemica nei riguardi delle illusioni del sistema mercantilistico impediva del resto ad Adam Smith di concepire obiettivamente i fenomeni della circolazione metallica, mentre le sue vedute sulla moneta di credito sono originali e profonde. Allo stesso modo che nelle teorie delle petrificazioni del secolo XVIII scorre sempre una corrente sotterranea che nasce dal riguardo critico o apologetico verso la tradizione biblica del grande diluvio, dietro a tutte le teorie del denaro del secolo XVIII si nasconde una lotta segreta con il sistema monetario, lo spettro che aveva custodito la culla dell'economia borghese e che proiettava pur sempre la propria ombra sulla legislazione.
Le ricerche sul denaro sono state ispirate nel secolo XIX direttamente, non dai fenomeni della circolazione metallica, bensì piuttosto da quelli della circolazione dei biglietti di banca. Alla prima si risaliva soltanto per scoprire le leggi di quest'ultima. La sospensione del pagamento in contanti da parte della Banca d'Inghilterra a partire dal 1797, l'aumento successivo del prezzo di molte merci, la caduta del prezzo monetario dell'oro al di sotto del suo prezzo di mercato, il deprezzamento dei biglietti di banca, specialmente dal 1809 in poi, offrirono i motivi direttamente pratici di una lotta fra i partiti in parlamento e di un torneo teorico al di fuori di esso, entrambi ugualmente appassionati. Come fondo storico della discussione serviva la storia della carta moneta nel secolo XVIII, il fiasco della banca di Law, il deprezzamento dei biglietti delle banche provinciali delle colonie inglesi nell'America del Nord, dall'inizio del secolo XVIII fino alla metà, deprezzamento che procedeva di pari passo con la quantità crescente dei segni di valore; poi, in seguito, la carta moneta (continental bills) imposta legalmente dal governo centrale americano durante la guerra d'indipendenza, infine l'esperimento degli assegnati francesi compiuto su scala anche maggiore. La massima parte degli scrittori inglesi di quell'epoca scambiano la circolazione delle banconote, determinata secondo tutt'altre leggi, per la circolazione di segni di valore o di titoli di Stato a corso forzoso e, pretendendo di spiegare i fenomeni di questa circolazione forzosa con le leggi della circolazione metallica, ricavano in realtà, viceversa, le leggi di quest'ultima dai fenomeni della prima. Sorvoleremo, qui, sul gran numero di scrittori del periodo 1800-1809 e ci occuperemo subito di Ricardo, sia perché egli compendia i suoi predecessori e formula le loro vedute con maggior precisione, sia perché la figura che egli diede alla teoria del denaro domina fino a questo momento la legislazione bancaria inglese. Ricardo, come i suoi predecessori, mette in un sol fascio la circolazione di banconote o di moneta di credito e la circolazione di soli segni di valore. Il fatto che lo domina è il deprezzamento della carta moneta e il simultaneo aumento dei prezzi delle merci. Quello che le miniere americane erano per lo Hume, erano per Ricardo i torchi per la stampa dei biglietti di carta in Thread-needle Street, ed egli stesso identifica in un passo espressamente entrambi gli agenti. I suoi primi scritti, trattanti del problema del denaro, risalgono all'epoca della più violenta polemica fra la Banca d'Inghilterra, per cui parteggiavano i ministri e il partito della guerra, e i suoi avversari, intorno ai quali si raggruppava la opposizione parlamentare, i whigs e il partito della pace. Questi scritti apparivano i precursori diretti del celebre rapporto del comitato del bullion [*22] del 1810, nel quale sono accettate le vedute di Ricardo [131]. Lo strano fatto che Ricardo e i suoi seguaci, che definiscono il denaro un semplice segno di valore, siano chiamati bullionists (uomini dell'oro in verghe) deriva non soltanto dal nome di questo comitato, bensì dal contenuto stesso della sua teoria. Nella sua opera sull'economia politica, Ricardo ha ripetuto le medesime vedute e ha continuato a svolgerle, ma in nessun punto ha indagato il denaro di per sé come fece per il valore di scambio, il profitto, la rendita, ecc.
Ricardo determina in un primo tempo il valore dell'oro e dell'argento, come quello di tutte le altre merci, mediante la quantità del tempo di lavoro in essi oggettivato [132]. Nell'oro e nell'argento, in quanto merci di valore dato, sono misurati i valori di tutte le altre merci [133]. Ora, la quantità dei mezzi di circolazione di un paese è determinata dal valore dell'unità di misura del denaro da un lato, dalla somma dei valori di scambio delle merci dall'altro. Questa quantità è modificata dall'economia usata per effettuare i pagamenti [134]. Siccome in tal modo la quantità in cui può circolare del denaro di un valore dato si trova determinata, e siccome il suo valore si presenta all'interno della circolazione soltanto nella sua quantità, semplici suoi segni di valore potranno sostituirlo nella circolazione, se spesi nella proporzione determinata dal suo valore, cioè "il denaro circolante si trova al suo stato più perfetto allorchè consiste esclusivamente di carta di valore eguale a quello dell'oro che essa assume di rappresentare" [135]. Fino a questo punto, quindi, Ricardo determina la quantità dei mezzi di circolazione, presupposto come dato il valore del denaro, mediante i prezzi delle merci, e il denaro come segno di valore equivale per lui a segno di una determinata quantità di oro, non è come nello Hume rappresentante privo di valore delle merci.
Là dove Ricardo si scosta improvvisamente dal cammino piano della sua esposizione e trapassa all'opinione opposta, egli si volge subito alla circolazione internazionale dei metalli nobili e ingarbuglia così il problema, apponendovi punti di vista estranei. Seguendo la voce interna del suo pensiero lasceremo in disparte, in un primo momento, tutti i punti d'incidenza artificiali e sposteremo quindi le miniere d'oro e d'argento all'interno dei paesi dove i metalli nobili circolano come denaro. L'unica tesi che consegue da quanto Ricardo ha svolto sin qui, è che, dato il valore dell'oro, la quantità del denaro circolante si trova determinata dai prezzi delle merci. Dunque, in un momento dato, la massa dell'oro circolante in un paese è semplicemente determinata dal valore di scambio delle merci circolanti. Poniamo ora che la somma di questi valori di scambio diminuisca, o perché si producono meno merci al vecchio valore di scambio o perché, in virtù di un aumento della forza produttiva del lavoro, la medesima massa di merci acquista un valore di scambio minore. Oppure supponiamo, viceversa, che aumenti la somma dei valori di scambio, perché aumenta la massa delle merci, restando invariate le spese di produzione, o perché il valore, sia della massa medesima, sia di una massa di merci minore, aumenta in virtù di una forza produttiva del lavoro diminuita. Che cosa ne è in entrambi i casi della quantità data del metallo circolante? Se l'oro è denaro soltanto perché circola come mezzo di circolazione, se è costretto a permanere nella circolazione, come la carta moneta emessa dallo Stato a corso forzoso (e questo ha in mente Ricardo), allora la quantità del denaro circolante traboccherà, nel primo caso, in rapporto al valore di scambio del metallo; nel secondo caso verrebbe a trovarsi al di sotto del proprio livello normale. Dunque, benché dotato di valore proprio, l'oro diventa nel primo caso segno di un metallo di valore di scambio inferiore del proprio, nel secondo caso diventa segno di un metallo di valore superiore. Nel primo caso sarà, come segno di valore, al di sotto, nel secondo caso al di sopra del proprio valore reale (altra derivazione della carta moneta a corso forzoso). Nel primo caso sarebbe la stessa cosa se le merci fossero stimate in metallo di valore inferiore all'oro, nel secondo caso se fossero stimate in metallo di valore superiore a quello dell'oro. Nel primo caso i prezzi delle merci salirebbero, perciò nel secondo scenderebbero. In entrambi i casi il movimento dei prezzi delle merci, il loro aumento o la loro diminuzione sarebbero effetto della espansione o contrazione relativa della massa dell'oro circolante al di sopra o al di sotto del livello corrispondente al valore dell'oro, cioè della quantità normale che è determinata dal rapporto fra il valore dell'oro e il valore delle merci da mettersi in circolazione.
Il medesimo processo avrebbe luogo se la somma dei prezzi rimanesse invariata, ma la massa dell'oro circolante venisse a trovarsi al di sotto o al di sopra del livello normale, il primo di questi due casi se la moneta aurea logorata nella circolazione non venisse sostituita da una corrispondente produzione nuova delle miniere, il secondo se la nuova offerta da parte delle miniere avesse superato i bisogni della circolazione. In entrambi i casi si presuppone che le spese di produzione dell'oro, ossia il suo valore, rimangano invariate.
Riassumendo: il denaro circolante si trova a livello normale se la sua quantità, dato il valore di scambio delle merci, è determinata dal suo valore metallico. Esso trabocca, l'oro scende al di sotto del proprio valore metallico e i prezzi delle merci salgono, perché la somma dei valori di scambio della massa di merci diminuisce oppure perché l'offerta di oro delle miniere aumenta. L'oro si contrae al di sotto del livello normale, l'oro sale al di sopra del proprio valore metallico e i prezzi delle merci scendono, perché la somma dei valori di scambio della massa di merci aumenta oppure perché l'offerta dell'oro delle miniere non sostituisce la massa dell'oro logorato. In entrambi i casi l'oro circolante è segno di valore di un valore maggiore o minore di quello che realmente contiene. Può diventare segno sovrapprezzato o deprezzato di se stesso. Non appena le merci si fossero stimate generalmente in questo valore nuovo del denaro e i prezzi generali delle merci fossero saliti o discesi in proporzione, la quantità dell'oro circolante corrisponderebbe di nuovo ai bisogni della circolazione (conseguenza che Ricardo rileva con particolare piacere), ma sarebbe in contraddizione con le spese di produzione dei metalli nobili e quindi con il loro rapporto, in quanto merce, con le rimanenti merci. In concordanza con la teoria ricardiana dei valori di scambio in genere, l' aumento dell'oro al di sopra del suo valore di scambio, ossia del valore determinato dal tempo di lavoro in esso contenuto, cagionerebbe un aumento della produzione dell'oro, fino a che la sua offerta aumentata lo avesse di nuovo fatto scendere alla sua esatta grandezza di valore. Viceversa, una diminuzione dell'oro al di sotto del suo valore cagionerebbe una diminuzione della sua produzione fino a che l'oro fosse di nuovo salito alla sua esatta grandezza di valore. In virtù di questi movimenti inversi la contraddizione fra il valore metallico dell'oro e il suo valore come mezzo di circolazione si eliderebbe, si stabilirebbe il livello normale della massa d'oro circolante, e l'altezza dei prezzi delle merci corrisponderebbe di nuovo alla misura dei valori. Queste fluttuazioni del valore dell'oro circolante si impadronirebbero anche dell'oro in forma di verghe, poiché, secondo quanto è presupposto, circola tutto l'oro che non sia consumato in articoli di lusso. Siccome l'oro stesso, sia in moneta che in verghe, può diventare segno di valore di un valore metallico maggiore o minore del proprio, s'intende che banconote convertibili eventualmente in circolazione condividano questa stessa sorte. benché le banconote siano convertibili, benché dunque il loro valore reale corrisponda al loro valore nominale, la massa complessiva del denaro circolante, oro e biglietti (the aggregate currency consisting of metal and of convertible notes) potrà essere sovrapprezzata e deprezzata, a seconda che la sua quantità complessiva, per le ragioni spiegate prima, salga al di sopra o scenda al di sotto del livello determinato dal valore di scambio delle merci in circolazione e dal valore metallico dell'oro. Carta moneta inconvertibile da questo punto di vista ha, nei confronti della carta moneta convertibile, il vantaggio di poter essere deprezzata in duplice modo. Può scendere al di sotto del valore del metallo che pretende di rappresentare, perché è spesa in misura troppo elevata, oppure può scendere perché il metallo da essa rappresentato è sceso al di sotto del proprio valore. Questo deprezzamento, non della carta nei confronti dell'oro, bensì dell'oro e della carta presi insieme, ossia della massa complessiva dei mezzi di circolazione di un paese, è una delle invenzioni principali di Ricardo, che Lord Overstone e compagni costrinsero al proprio servizio facendone uno dei principi fondamentali della legislazione bancaria del 1844 e 1845 ad opera di Sir Robert Peel.
Quello che si doveva dimostrare era che il prezzo delle merci ossia il valore dell'oro dipende dalla massa dell'oro circolante. La dimostrazione consiste nel presupporre quanto è da dimostrare, cioè che ogni quantità del metallo nobile che serve da denaro, in qualunque rapporto stia con il proprio valore intrinseco, deve diventare mezzo di circolazione, moneta, e in tal modo segno di valore per le merci in circolazione, qualunque sia la somma complessiva del loro valore. In altri termini, la dimostrazione consiste nell'astrazione da tutte le altre funzioni che il denaro [compie] oltre alla sua funzione di mezzo di circolazione. Se è incalzato da presso, come p. es. nella sua polemica con il Bosanquet, Ricardo, tutto dominato dal fenomeno dei segni di valore deprezzati dalla propria quantità, si rifugia in assicurazioni dogmatiche [136]. Ora, se Ricardo avesse avanzato questa teoria nella maniera seguita da noi astrattamente, senza immettervi rapporti concreti e punti d'incidenza che deviano dal problema stesso, la sua vacuità si sarebbe manifestata in modo lampante. Ma egli dà a tutto lo svolgimento una colorazione internazionale. Ma sarà facile comprovare che l'apparente grandezza della scala di misura nulla cambia alla meschinità delle idee fondamentali.
La prima tesi suonava dunque: la quantità del denaro metallico circolante è normale, allorchè è determinata dalla somma di valore delle merci circolanti, stimata nel valore metallico del denaro. Questo, espresso da un punto di vista internazionale, suona: in condizioni normali di circolazione ogni paese possiede una massa di denaro corrispondente alla sua ricchezza e alla sua industria. Il denaro circola in un valore corrispondente al proprio valore reale, ossia alle proprie spese di produzione; vale a dire il denaro ha in tutti i paesi il medesimo valore [137]. Quindi non si avrebbe mai un'esportazione o importazione di denaro da un paese all'altro [138]. Si avrebbe dunque un equilibrio fra i currencies (le masse complessive del denaro circolante) dei vari paesi. Il livello normale del currency nazionale viene ora espresso come equilibrio internazionale dei currencies, e di fatto non si dice null'altro se non che la nazionalità non modifica in alcun modo la legge economica generale. Ci troviamo di nuovo allo stesso fatale punto di prima. In che modo è perturbato il livello normale, il che ora suona in che modo è perturbato l'equilibrio internazionale dei currencies, oppure in che modo il denaro cessa di avere il medesimo valore in tutti i paesi, o, infine, in che modo cessa il denaro di avere in ogni paese il proprio valore? Allo stesso modo che prima veniva perturbato il livello normale, perché la massa dell'oro circolante aumentava o diminuiva, restando invariata la somma di valore delle merci, o perché restava invariata la quantità del denaro circolante, aumentando o diminuendo i valori di scambio delle merci, viene ora perturbato il livello internazionale determinato dal valore degli stessi metalli, perché la massa dell'oro esistente in un paese aumenta in seguito a nuove miniere di metallo ivi scoperte [139] o perché la somma dei valori di scambio delle merci circolanti in un paese particolare è aumentata o diminuita. Allo stesso modo che prima diminuiva o aumentava la produzione dei metalli nobili a seconda della necessità di contrarre o di espandere il currency e di abbassare o elevare in proporzione i prezzi delle merci, si fanno sentire ora esportazione e importazione da un paese nell'altro. Nel paese in cui i prezzi fossero saliti e il valore dell'oro fosse sceso al di sotto del suo valore metallico per effetto di una circolazione rigonfia, l'oro sarebbe deprezzato rispetto agli altri paesi, e di conseguenza i prezzi delle merci, a paragone di altri paesi, sarebbero aumentati. L'oro verrebbe dunque esportato, merci sarebbero importate. Se viceversa, viceversa. Come prima la produzione dell'oro, continuerebbero ora l'importazione o l'esportazione dell'oro, e con queste l'aumento o la diminuzione dei prezzi delle merci, fino a che fosse ora ristabilito l'equilibrio fra i currencies internazionali, come prima il normale rapporto di valore fra metallo e merce. Come nel primo caso la produzione dell'oro aumentava o diminuiva soltanto perché l'oro era al di sopra o al di sotto del proprio valore, così la migrazione internazionale dell'oro avverrebbe soltanto per questo motivo. Come nel primo caso ogni variazione nella sua produzione inciderebbe sulla quantità del metallo circolante e con ciò sui prezzi, così accadrebbe ora per l'importazione e l'esportazione internazionale. Non appena fosse stabilito il valore relativo fra oro e merce, ossia fosse stabilita la quantità normale dei mezzi di circolazione, nel primo caso non avverrebbe alcun'altra produzione, nel secondo non si avrebbero altre esportazioni o importazioni, se non la produzione per la sostituzione della moneta logora e quella per il consumo dell'industria di lusso. Ne consegue quindi "che la tentazione di esportare oro come equivalente per merci, o una bilancia commerciale sfavorevole non si potranno mai avere se non come conseguenza di una quantità traboccante dei mezzi di circolazione" [140]. Sarebbe sempre soltanto a causa della svalutazione o sopravvalutazione del metallo, dovute a espansione o contrazione della massa dei mezzi di circolazione al di sopra o al di sotto del suo livello normale, che se ne avrebbe un'importazione o un'esportazione [141]. Inoltre risulterebbe: siccome nel primo caso la produzione dell'oro viene aumentata o diminuita, nel secondo caso l'oro viene importato o esportato soltanto perché la sua quantità sta al di sopra o al di sotto del livello normale, perché l'oro è sopravvalutato al di sopra o svalutato al di sotto del suo valore metallico, e dunque i prezzi delle merci sono o troppo elevati o troppo bassi, ognuno di questi movimenti agisce da correttivo [142] riconducendo i prezzi al loro vero livello mediante espansione o contrazione del denaro circolante, nel primo caso il livello fra valore dell'oro e valore delle merci, nel secondo caso il livello internazionale dei currencies. In altri termini: il denaro circola nei vari paesi solo in quanto circola in ogni paese come moneta. Il denaro è soltanto moneta, e la quantità di oro esistente in un paese deve quindi entrare nella circolazione, può dunque, in quanto segno di valore di se stesso, salire al di sopra o scendere al di sotto del suo valore. E così, per la via indiretta di questa complicazione internazionale, eccoci arrivati di nuovo felicemente a quel semplice dogma che costituisce il punto di partenza.
Alcuni esempi mostreranno come Ricardo in base alla sua teoria astratta si costruisca a modo suo e forzatamente i fenomeni reali. Egli sostiene p. es. che in epoche di cattivi raccolti, in Inghilterra con grande frequenza nei periodi dal 1800 al 1820, si esporti oro non perché ci sia bisogno di grano e l'oro sia denaro, e quindi mezzo di acquisto e di pagamento sempre efficace sul mercato mondiale, bensì perché l'oro sarebbe deprezzato a confronto delle altre merci e di conseguenza il currency del paese in cui si ha il cattivo raccolto sarebbe deprezzato a confronto degli altri currencies nazionali. Siccome cioè il cattivo raccolto avrebbe diminuito la massa delle merci circolanti, la quantità data del denaro circolante sarebbe traboccata oltre il suo livello normale e di conseguenza sarebbero saliti i prezzi di tutte le merci [143]. In contrasto con questa interpretazione paradossale è stato comprovato statisticamente che, a partire dal 1795 fino all'epoca più recente, in caso di cattivo raccolto, in Inghilterra la quantità esistente dei mezzi di circolazione non è traboccata, bensì è diventata insufficiente, e quindi circolava e doveva circolare più denaro di prima [144].
Allo stesso modo Ricardo sosteneva che all'epoca del blocco continentale decretato da Napoleone e dei decreti sul blocco inglese, gli inglesi esportavano sul continente oro invece di merce, perché il loro denaro sarebbe stato deprezzato a confronto del denaro dei paesi continentali, le loro merci avrebbero avuto un prezzo più elevato, e in tal modo sarebbe stata speculazione commerciale più vantaggiosa esportare oro al posto delle merci. Secondo lui, l'Inghilterra era il mercato sul quale le merci erano care e il denaro costava poco, mentre sul continente le merci costavano poco e il denaro era caro. "Il fatto reale - dice uno scrittore inglese - era il prezzo rovinosamente basso dei nostri manufatti e prodotti coloniali per effetto del sistema continentale nel corso degli ultimi 6 anni della guerra. I prezzi dello zucchero e del caffè, p. es., erano stimati in oro, quattro o cinque volte più alti sul continente di quel che i medesimi prezzi fossero in Inghilterra stimati in biglietti di banca. Era l'epoca in cui i chimici francesi scopersero lo zucchero ricavato dalla barbabietola e sostituirono la cicoria al caffè, mentre allo stesso tempo gli affittuari inglesi sperimentavano l'ingrassamento dei buoi mediante sciroppi e melasse, era l'epoca in cui l'Inghilterra si impossessò dell'isola di Helgoland per costituirvi un deposito di merci allo scopo di facilitare il contrabbando per il nord dell'Europa, e i tipi più leggeri dei manufatti britannici cercavano la strada per la Germania passando attraverso la Turchia... Quasi tutte le merci del mondo erano accumulate nei nostri magazzini e vi giacevano vincolate, tranne quando una quantità piccola veniva riscattata da una licenza francese per la quale i commercianti di Amburgo e di Amsterdam avevano pagato a Napoleone una somma dalle 40 alle 50 mila lire sterline. Di strani commercianti doveva trattarsi, se pagavano simili somme per la libertà di portare un carico di merci da un mercato caro a un mercato di poco prezzo. Qual era la chiara alternativa per un commerciante? O vendere del caffè per 6 pence in banconote e mandarlo su una piazza dove potesse vendere la libbra direttamente per 3 o 4 scellini in oro, o comprare dell'oro con banconote da 5 lire sterline l'oncia e mandarlo su una piazza dove venisse stimato 3 sterline 17 scellini 10 1/2 pence. E' assurdo perciò dire che si facevano rimesse di oro invece che di caffè in quanto questa era un'operazione mercantile da preferirsi... Non vi era paese al mondo in cui allora si potesse ottenere una quantità così grande di merci desiderabili come in Inghilterra. Bonaparte esaminava sempre attentamente i listini dei prezzi inglesi. finché vedeva che in Inghilterra l'oro era caro e il caffè era a buon mercato, egli si mostrava soddisfatto degli effetti del suo sistema continentale." [145] Proprio nell'epoca in cui Ricardo avanzò per la prima volta la sua teoria del denaro e il comitato del bullion la incorporò al suo rapporto parlamentare, nell'anno 1810, si ebbe una caduta rovinosa nei prezzi di tutte le merci inglesi, a paragone del 1808 e 1809, mentre l'oro aumentava di valore in proporzione. Costituivano un'eccezione i prodotti agricoli, perché la loro importazione dall'estero s'imbatteva in ostacoli e perché la massa esistente all'interno del paese era decimata dai cattivi raccolti [146]. Ricardo misconobbe la funzione dei metalli nobili come mezzi di pagamento internazionali a tal punto da poter dichiarare nella sua deposizione davanti al comitato della camera dei Lord (1819): "Che i deflussi dell'oro per l'esportazione sarebbero cessati interamente non appena fossero ripresi i pagamenti in contanti e la circolazione del denaro fosse ricondotta al suo livello metallico". Egli morì in tempo, proprio alla vigilia dello scoppio della crisi del 1825 la quale smentì in pieno la sua profezia. Il periodo in cui Ricardo svolse la sua attività di scrittore era in genere poco adatto per l'osservazione dei metalli nobili nella loro funzione di moneta mondiale. Prima dell'introduzione del sistema continentale, la bilancia commerciale era quasi sempre a favore dell'Inghilterra e durante quel sistema le transazioni con il continente europeo erano troppo insignificanti per incidere sul corso dei cambi inglese. Le rimesse di denaro erano principalmente di natura politica, e Ricardo sembra aver misconosciuto completamente la funzione avuta nell'esportazione inglese dell'oro dai sussidi in denaro [147].
Fra i contemporanei di Ricardo che costituiscono la scuola per i princípi della sua economia politica James Mill è il più notevole. Questi ha tentato di esporre la teoria ricardiana del denaro sulla base della circolazione metallica semplice, senza le impertinenti complicazioni internazionali dietro le quali Ricardo nasconde la povertà delle sue opinioni, senza alcun riguardo polemico per le operazioni della Banca d'Inghilterra. Le sue tesi principali sono le seguenti [148]:
"Il valore del denaro è pari alla proporzione nella quale lo si scambia con altri articoli, ossia alla quantità di denaro che si dà in cambio di una determinata quantità di altre cose. Questa proporzione è determinata dalla quantità totale del denaro esistente in un paese. Supponendo da un lato tutte le merci di un paese, e dall'altro tutto il suo denaro, è evidente che nello scambio dei due lati il valore del denaro, ossia la quantità di merci per la quale è scambiato, dipende interamente dalla sua quantità. La massa totale delle merci in un paese non si scambia d'un sol tratto con la massa totale del denaro, le merci si scambiano bensì in porzioni, e spesso in porzioni minime, in epoche differenti nel corso dell' anno. La stessa moneta che oggi è servita per questo scambio, potrà domani servire per un altro. Una parte del denaro è usata per un numero considerevole di atti di scambio, un'altra parte per un numero molto esiguo, e una terza parte viene accumulata e non serve per scambio alcuno. Fra queste variazioni vi sarà una media, fondata sul numero di atti di scambio per il quale sarebbe stata usata ogni moneta d'oro, se ognuna di esse compisse lo stesso numero di atti di scambio. Questo numero medio si fissi a piacere, p. es. a 10. Se ogni moneta esistente nel paese è servita per 10 compere, si avrà la stessa cosa che si avrebbe, se la massa totale delle monete si fosse decuplicata, e ognuna di esse avesse servito per una sola compera. In questo caso il valore di tutte le merci è pari al valore del denaro moltiplicato per dieci, ecc. Se, viceversa, invece di far servire ogni moneta per 10 compere, la massa totale del denaro fosse decuplicata, e ogni moneta compisse un solo scambio, è chiaro che ogni aumento di questa massa cagionerebbe una relativa diminuzione nel valore di ognuna delle monete d'oro presa per sé. Siccome si presuppone che la massa di tutte le merci con la quale può scambiarsi il denaro rimanga invariata, il valore della massa complessiva del denaro non è aumentato, dopo l'aumento della sua quantità, a più di quanto fosse prima. Se si presuppone un aumento di un decimo, il valore di ogni parte aliquota della massa complessiva, p. es. di un'oncia, deve essere sceso di un decimo. Qualunque sia il grado di diminuzione o di aumento della massa totale del denaro, rimanendo invariata la quantità delle altre cose, questa massa complessiva e ognuna delle sue parti subiranno reciprocamente una diminuzione o un aumento proporzionale. E' chiaro che questa tesi è pura verità. Tutte le volte che il valore del denaro abbia subito un aumento o una diminuzione, e tutte le volte che la quantità delle merci con cui si poteva scambiare il denaro e il movimento della circolazione rimangano invariati, questo mutamento deve aver avuto come motivo un aumento o una diminuzione proporzionale del denaro e non potrà essere attribuito ad altra causa. Se la massa delle merci diminuisce, restando invariata la quantità del denaro, sarà come se la somma complessiva del denaro fosse aumentata o viceversa. Mutamenti consimili sono il risultato di ogni mutamento nel movimento della circolazione. Ogni aumento del numero delle circolazioni produce lo stesso effetto che è prodotto da un aumento complessivo del denaro; una diminuzione di quel numero produce direttamente l'effetto opposto... Se una parte della produzione annua non è scambiata affatto, come quella consumata dagli stessi produttori, questa parte non entrerà nel calcolo. Siccome essa non si scambia con denaro, rispetto al denaro è come se non esistesse affatto... Ogni qualvolta l'aumento e la diminuzione del denaro possono aver luogo liberamente, la quantità complessiva del denaro esistente in un paese sarà regolata dal valore dei metalli nobili... Ma l'oro e l'argento sono merci il cui valore, come quello di tutte le altre merci, è determinato dalle spese di produzione, dalla quantità del lavoro contenuto in essa." [149]
Tutto l'acume del Mill si dissolve in una serie di presupposti altrettanto arbitrari quanto assurdi. Egli vuol dimostrare che il prezzo delle merci, ossia il valore del denaro, è determinato "dalla quantità totale del denaro esistente in un paese". Presupponendo che la massa e il valore di scambio delle merci circolanti rimangano invariati, come anche la velocità di circolazione e il valore dei metalli nobili determinato dalle spese di produzione, e presupponendo al contempo che, tuttavia, la quantità del denaro metallico in circolazione aumenti o diminuisca in rapporto alla massa del denaro esistente nel paese, diventa di fatto "evidente" che si è presupposto quanto si pretendeva di dimostrare. Il Mill cade del resto nell'errore di Hume, ossia fa circolare valori d'uso, non merci di un valore di scambio dato, e quindi la sua tesi diventa sbagliata anche se si accettano tutti i suoi "presupposti". La velocità di circolazione può rimanere invariata, e così anche il valore dei metalli nobili, così anche la quantità delle merci circolanti, eppure, con il mutamento del loro valore di scambio, potrà essere richiesta, per la loro circolazione, ora una massa maggiore, ora una massa minore di denaro. Il Mill vede il fatto reale per cui una parte del denaro esistente nel paese circola, mentre l'altra ristagna. Con l'aiuto di un calcolo medio assai buffo egli presuppone che in verità circoli tutto il denaro esistente in un paese, benché in realtà la cosa sembri diversa. Supponiamo che in un paese circolino, due volte all'anno, 10 milioni di talleri d'argento; in tal caso potrebbero circolare 20 milioni, qualora ogni tallero compisse una compera. E se la somma complessiva dell'argento esistente nel paese in ogni e qualsiasi forma ammontasse a 100 milioni di talleri, si potrà supporre che i 100 milioni potranno circolare qualora ogni moneta compisse una compera nel corso di cinque anni. Si potrebbe anche supporre che tutto il denaro del mondo circoli a Hampstead, che ogni sua parte aliquota però compia una circolazione nel corso di 3.000.000 di anni invece di compierne circa tre in un anno solo. L'una di queste supposizioni è esattamente altrettanto importante quanto l'altra, rispetto alla determinazione del rapporto fra somma dei prezzi delle merci e quantità dei mezzi di circolazione. Il Mill avverte che per lui è d'importanza decisiva connettere direttamente le merci non con la quantità di denaro esistente nella circolazione, bensì con la scorta complessiva del denaro esistente ogni volta in un paese. Egli ammette che la massa totale delle merci di un paese non si scambia "d'un sol tratto" con la massa totale del denaro, ma porzioni differenti di merci si scambiano con porzioni differenti di denaro in epoche differenti dell'anno. Per eliminare questo inconveniente, egli presuppone che non esista. Del resto tutta questa idea della contrapposizione immediata di merci e denaro e del loro scambio immediato è dedotta dal movimento delle compere e delle vendite semplici ossia dalla funzione del denaro quale mezzo di acquisto. Già nel movimento del denaro come mezzo di pagamento questa apparizione simultanea di merce e denaro scompare.
Le crisi commerciali del secolo XIX, in particolare le grandi crisi del 1825 e del 1836, non produssero un ulteriore svolgimento della teoria ricardiana del denaro, diedero origine però a una sua nuova applicazione. Non si trattava più di singoli fenomeni economici, come per Hume il deprezzamento dei metalli nobili dei secoli XVI e XVII, o per Ricardo il deprezzamento della carta moneta durante il Settecento e all'inizio dell'Ottocento, bensì delle grandi tempeste sul mercato mondiale, in cui si scarica l'antagonismo di tutti gli elementi del processo di produzione borghese, origine e prevenzione delle quali venivano ricercate entro la sfera più superficiale e più astratta di questo processo, entro la sfera della circolazione del denaro. Il presupposto propriamente teorico da cui parte la scuola dei meteorologi dell'economia, consiste di fatto in nient'altro che nel dogma affermante che Ricardo ha scoperto le leggi della circolazione puramente metallica. Quel che rimaneva da fare per essi era l'assoggettamento della circolazione creditizia e della circolazione dei biglietti di banca a queste leggi.
Il fenomeno più generale e più manifesto delle crisi commerciali è una caduta generale, improvvisa dei prezzi delle merci facente seguito a un loro aumento generale prolungato. La caduta generale dei prezzi delle merci può essere espressa come aumento del valore relativo del denaro a paragone di tutte le merci, e l'aumento generale dei prezzi, viceversa, come caduta del valore relativo del denaro. In entrambe le espressioni il fenomeno è enunciato, non spiegato. Che io formuli il tema: spiegate l'aumento periodico generale dei prezzi che si alterna con la loro generale caduta, o che io formuli il medesimo tema: spiegate caduta e aumento periodici del valore relativo del denaro a paragone delle merci, il diverso frasario lascia invariato il tema stesso come lo lascerebbe invariato la sua traduzione dal tedesco in inglese. La teoria ricardiana del denaro giungeva quindi molto gradita poiché a una tautologia dà l'apparenza di un rapporto causale. Da dove viene la periodica caduta generale dei prezzi delle merci? Dall'aumento periodico del valore relativo del denaro. Da dove, viceversa, viene il generale aumento periodico dei prezzi delle merci? Da una caduta periodica del valore relativo del denaro. Con la stessa precisione si potrebbe dire che l'aumento e la caduta periodici dei prezzi derivano dal loro aumento e dalla loro caduta periodici. Il compito stesso è posto con la premessa che il valore immanente del denaro, ossia il suo valore determinato dalle spese di produzione dei metalli nobili, rimanga invariato. Se la tautologia dev'essere più che una tautologia, allora è basata sul disconoscimento dei concetti più elementari. Se il valore di scambio di A, misurato in B, diminuisce, sappiamo che questo può derivare tanto da una diminuzione del valore di A quanto da un aumento del valore di B. E così, viceversa, se aumenta il valore di scambio di A misurato in B. Una volta ammessa la trasformazione della tautologia in rapporto causale, tutto il resto viene con facilità. L'aumento dei prezzi delle merci deriva dalla diminuzione del valore del denaro, la diminuzione del valore del denaro però, come sappiamo da Ricardo, deriva da una circolazione traboccante, ossia dal fatto che la massa del denaro circolante sale al di sopra del livello determinato dal suo valore immanente e dai valori immanenti delle merci. Così, viceversa, la diminuzione generale dei prezzi delle merci deriva dall'aumento del valore del denaro al di sopra del suo valore immanente in seguito a una circolazione al di sotto del livello normale. I prezzi salgono e cadono quindi periodicamente, perché periodicamente circola troppo o troppo poco denaro. Ora, se per caso si dimostra che l'aumento dei prezzi ha coinciso con una circolazione di denaro diminuita, e la diminuzione dei prezzi con una circolazione aumentata, ciò nonostante si potrà sostenere che a causa di una qualsiasi diminuzione o di un qualsiasi aumento della massa di merci in circolazione, seppure aumento o diminuzione non siano affatto comprovabili statisticamente, la quantità del denaro circolante sia stata aumentata o diminuita, se non assolutamente, purtuttavia relativamente. Ora, abbiamo visto che secondo Ricardo queste oscillazioni generali dei prezzi devono verificarsi anche per una circolazione puramente metallica, che si compensano però in virtù del loro alternarsi p. es. una circolazione al di sotto del livello normale, una caduta dei prezzi delle merci, che provoca un'esportazione delle merci all'estero, che a sua volta però provoca l'afflusso di denaro all'interno, e questo afflusso di denaro provoca a sua volta di nuovo però un aumento dei prezzi delle merci. Il contrario accade allorchè si tratti di una circolazione al di sopra del livello normale, nella quale siano importate merci e sia esportato denaro. Ora, siccome però, malgrado queste oscillazioni generali dei prezzi, che derivano dalla natura della stessa circolazione metallica secondo Ricardo, la forma violenta e forzosa delle oscillazioni, la loro forma di crisi, fa parte dei periodi di un sistema creditizio sviluppato, diventa cosa chiara come la luce del sole che l'emissione dei biglietti di banca non è esattamente regolata in base alle leggi della circolazione metallica. La circolazione metallica ha il suo toccasana nell'importazione e nell'esportazione dei metalli nobili, i quali entrano subito in circolazione come moneta e in tal modo, mediante il loro afflusso o deflusso, fanno scendere e salire i prezzi delle merci. Lo stesso effetto sui prezzi delle merci deve allora essere prodotto dalle banche imitando le leggi della circolazione metallica. Se dall'estero affluisce oro, si ha la dimostrazione che la circolazione è al di sotto del livello normale, il valore del denaro è troppo elevato e i prezzi sono troppo bassi e, che di conseguenza, devono essere immessi nella circolazione biglietti di banca in proporzione dell'oro di nuova importazione. Nel caso opposto, dovranno essere sottratti alla circolazione nella proporzione in cui l'oro defluisce dal paese. In altri termini, l'emissione delle banconote dovrà essere regolata secondo l'importazione e l'esportazione dei metalli nobili, ossia secondo il corso dei cambi. L'erroneo presupposto di Ricardo per il quale l'oro non è che moneta e quindi tutto l'oro importato aumenta il denaro circolante e quindi fa salire i prezzi, che tutto l'oro esportato diminuisce la moneta e quindi fa scendere i prezzi, questo presupposto teorico diventa qui l'esperimento pratico di far circolare una quantità di moneta identica alla quantità di oro presente di volta in volta. Lord Overstone (il banchiere Jones Lloyd), il colonnello Torrens, Norman, Clay, Arbuthnot e un numero infinito di altri scrittori, noti in Inghilterra sotto il nome di scuola del "currency principle", hanno non soltanto predicato questa dottrina, ma ne hanno fatto, per mezzo degli Atti sulla Banca d'Inghilterra di Sir Robert Peel del 1844 e 1845, la base della vigente legislazione bancaria inglese e scozzese. Il loro vergognoso fiasco, teorico e pratico, dopo esperimenti su scala nazionale massima, potrà essere illustrato soltanto nella teoria del credito [150]. Ma si vede qui come la teoria ricardiana, la quale isola il denaro nella sua forma fluida di mezzo di circolazione, finisce per attribuire all'aumento e alla diminuzione dei metalli nobili un effetto assoluto sull'economia borghese, come mai se l'era sognato la superstizione del sistema monetario. Così, Ricardo il quale proclama la carta moneta la forma più compiuta del denaro, divenne il profeta dei bullionisti.
Svolta in tal modo fino alle ultime conseguenze la teoria dello Hume, ossia l'opposizione astratta contro il sistema monetario, la concezione concreta del denaro dello Steuart fu infine reintegrata nei suoi diritti ad opera di Thomas Tooke [151]. Il Tooke non fa derivare i suoi principi da una qualche teoria, bensì da una coscienziosa analisi della storia dei prezzi delle merci dal 1793 al 1856. Nella prima edizione della sua storia dei prezzi, pubblicata nel 1823, il Tooke è ancora molto vincolato alla teoria ricardiana e invano fa del suo meglio per accordare i fatti con quella teoria. Il suo opuscolo On the Currency, pubblicato dopo la crisi del 1825, potrebbe persino esser considerato la prima proposizione conseguente delle vedute fatte valere in seguito da Overstone. Ma, proseguendo le sue ricerche sulla storia dei prezzi, egli si vide costretto a rendersi conto che quella connessione diretta fra prezzi e quantità dei mezzi di circolazione, come è presupposta dalla teoria, è una semplice ubbia, che l'espansione e la contrazione dei mezzi di circolazione, restando invariato il valore dei metalli nobili, è sempre effetto, mai causa, delle oscillazioni dei prezzi, che la circolazione del denaro in generale è soltanto un movimento secondario, e che il denaro, nel reale processo di produzione, acquisisce definizioni formali molto diverse da quella del mezzo di circolazione. Le sue indagini particolareggiate rientrano in una sfera diversa dalla sfera della circolazione metallica semplice, e quindi non possono essere discusse qui, come non possono esserlo le indagini del Wilson e del Fullarton le quali sono della medesima tendenza [152]. Tutti questi scrittori concepiscono il denaro non in modo unilaterale, bensì nei suoi momenti differenti, ma solo materialmente, senza un qualsiasi nesso vivo, sia reciproco fra questi momenti, sia con il sistema complessivo delle categorie economiche. Essi mettono quindi, sbagliando, in un sol fascio il denaro, a differenza dal mezzo di circolazione, e il capitale o addirittura la merce, benché d'altra parte si trovino di nuovo costretti a far valere all'occasione la differenza fra il denaro e entrambi [153]. Se ad es. si spedisce oro all'estero, si spedisce all'estero di fatto del capitale, ma lo stesso avviene se si esportano ferro, cotone, grano, in breve qualsiasi merce. Entrambi sono capitale e si differenziano quindi non in quanto capitale, bensì in quanto denaro e merce. La funzione dell'oro, come mezzo di scambio internazionale non deriva dunque dalla sua definizione formale di capitale, bensì dalla sua funzione specifica di denaro. Allo stesso modo, quando l'oro o al suo posto i biglietti di banca funzionano da mezzi di pagamento per il commercio interno, essi sono al contempo capitale. Ma il capitale nella forma di merce, come mostrano p. es. molto tangibilmente le crisi, non potrebbe subentrare al loro posto.E' dunque di nuovo la differenziazione dell'oro in quanto denaro dalla merce, non la sua esistenza come capitale, che fa dell'oro il mezzo di pagamento. Perfino là dove il capitale è esportato direttamente come capitale per prestare una determinata somma di valore, ad es. a interesse, all'estero, dipenderà dalle congiunture che esso sia esportato nella forma di merce o di oro e, se è esportato in quest'ultima forma, sarà a causa della specifica definizione formale che hanno i metalli nobili in quanto denaro nei confronti della merce. In generale, quegli scrittori non considerano il denaro prima nella forma astratta, in cui è svolto entro la circolazione semplice delle merci e in cui nasce dalla relazione delle merci stesse in movimento. Essi oscillano perciò costantemente fra le definizioni formali astratte, che il denaro acquisisce in contrapposizione alla merce, e le definizioni del denaro in cui si celano rapporti più concreti, come capitale, revenue [*23] e simili [154].
Note
111. "I metalli han questo di proprio e singolare che in essi soli tutte le ragioni si riducono ad una che è la loro quantità, non avendo ricevuto dalla natura diversa qualità né nell'interna loro constituzione né nell'esterna forma e fattura" (Galiani, Della Moneta, cit., pp. 126-127).
112. Nell'anno 760 emigrò una massa di povera gente per lavar la sabbia aurifera del fiume a sud di Praga, e tre uomini erano in grado di estrarre in una giornata 3 marchi d'oro. Di conseguenza l'afflusso ai "diggins" [località aurifere] e il numero delle braccia sottrattre all'agricoltura aumentarono tanto che l'anno successivo il paese fu assalito da una carestia (vedi M. G. Körner, Abhandlung von dem Altertum des böhmischen Bergwerks [Trattazione sull'antichità delle miniere boeme], Schneeberg, 1758 [p.37 sgg.]).
113. Fino a questo momento le scoperte fatte in Australia ecc, non hanno ancora inciso sul rapporto di valore fra oro e argento. Le affermazioni in senso opposto fatte da Michel Chevalier valgono proprio quanto il socialismo di questo ex sansimoniano. Certo le quotazioni dell'argento sul mercato di Londra dimostrano che il prezzo-oro medio dell'argento non supera durante il 1850-1858 dell'intero 3 per cento quello del periodo 1830-1850. Ma questo aumento è da spiegarsi semplicemente con la domanda d'argento da parte dell'Asia. Durante gli anni 1852-1858 il prezzo dell'argento varia nei singoli anni e mesi soltanto insieme con il variare di questa domanda, non varia affatto con l'offerta di oro dalle fonti di nuova scoperta. Segue un confronto dei prezzi-oro dell'argento sul mercato di Londra:
Prezzo dell'argento per oncia
Anno marzo luglio novembre
1852 61 1/8 pence 60 1/4 pence 61 7/8 pence
1853 61 3/8 pence 61 1/2 pence 61 7/8 pence
1854 61 7/8 pence 61 3/4 pence 61 1/2 pence
1855 60 7/8 pence 61 1/2 pence 60 7/8 pence
1856 60 pence 61 1/4 pence 62 1/8 pence
1857 61 3/4 pence 61 5/8 pence 62 1/2 pence
1858 61 5/8 pence - -
114. "L'oro è una cosa meravigliosa! Chi lo possiede, è padrone di tutto quello che desidera. Con l'oro si possono far giungere le anime in paradiso" (Colombo in una lettera dalla Giamaica, 1503) [Nota nella copia personale].
115. Questa gradualità e ammessa del resto dallo Hume per quanto corrisponda poco al suo principio. Vedi David Hume, Essays and Treatises on several Subjects, ed. londinese, 1777, vol. I, p. 300.
116. Cfr. Steuart, An Inquiry into the Principles of Political Economy, cit., vol I, pp. 394-400.
117. David Hume, Essays, cit., p. 300.
118. David Hume, ivi, p. 303.
119. Ibidem.
120. "E' chiaro che i prezzi non dipendono tanto dalla quantità assoluta delle merci e da quella del denaro esistenti in un paese, quanto dalla quantità delle merci che entra nel mercato o può entrarvi, e dal denaro che è in circolazione. Se il denaro coniato è chiuso in cofani, la cosa ha per i prezzi lo stesso effetto che avrebbe la sua distruzione; se le merci sono accumulate in magazzini e granai, si ha il medesimo effetto. Siccome denaro e merci non s'incontrano mai in tali casi, non possono neppure incidere l'uno sulle altre o viceversa. Il totale (dei prezzi) raggiunge alla fine una giusta proporzione nei confronti della nuova quantità del denaro metallico esistente nel paese" (ivi, pp. 303, 307, 308).
121. Vedi Law e Franklin sul plusvalore che acquisirebbero l'oro e l'argento dalla loro funzione di denaro. Anche Forbonnais [Nota nella copia personale].
122. Questa immagine si trova alla lettera in Montesquieu [Nota nella copia personale].
123. Steuart, An Inquiry into the Principles, cit., vol. I, p. 394 sgg.
124. Steuart, ivi, vol. II, pp. 377-379 passim.
125. Steuart, ivi, pp. 379-380 passim.
126. "Le monete addizionali saranno riposte o trasformate in vasellame di argento... Per quanto riguarda la carta moneta, essa ritornerà al debitore e sarà realizzata non appena abbia adempiuto il suo primo scopo di soddisfare il bisogno di colui che l'ha presa a prestito... Che il denaro metallico di un paese sia quindi aumentato o diminuito in proporzione vastissima, le merci aumenteranno o diminuiranno pur sempre secondo i principi della domanda e della concorrenza, e queste dipenderanno costantemente dalle inclinazioni di coloro che hanno da dare della proprietà o una qualche specie di controvalore, ma mai dalla quantità delle monete che essi posseggono... Che essa (cioè la quantità del denaro metallico esistente in un paese) sia anche minima; fino a che nel paese esisterà reale proprietà di qualche specie e vi sarà una concorrenza nel consumo fra coloro che la posseggono, i prezzi saranno alti per mezzo di baratti, di denaro simbolico, di pagamenti vicendevoli e di mille altre invenzioni... Se questo paese avrà rapporti con altre nazioni, dovrà esservi una proporzione fra i prezzi di molte specie di merci colà e altrove, e un improvviso aumento o un'improvvisa diminuzione del denaro metallico, ammesso che questo possa provocare da sé un rialzo o una caduta dei prezzi, sarebbe limitato nei suoi effetti dalla concorrenza estera" Steuart, ivi, vol. I, pp. 400-401. "La circolazione di ogni paese deve essere proporzionata alla industriosità degli abitanti, che producono le merci entranti nel mercato... Quindi, se il denaro metallico di un paese scenderà al di sotto della proporzione del prezzo dell'industriosità offerta in vendita, allora si ricorrerà a invenzioni come il denaro simbolico per creare un equivalente di detto denaro. Ma, risultando che il denaro metallico sta al di sopra della proporzione nei confronti dell'industriosità, non si avrà alcun effetto di un aumento dei prezzi né esso entrerà nella circolazione; sarà accumulato in tesori... Qualunque possa essere la quantità del denaro in un paese in proporzione del denaro del resto del mondo, in circolazione non potrà mai restare null'altro che la quantità quasi proporzionata al consumo degli abitanti ricchi e al lavoro e all'industriosità di quelli poveri", e questa proporzione non è determinata "dalla quantità di denaro di fatto esistente nel paese" (ivi, pp. 403-408 passim). "Tutti i paesi faranno del loro meglio per gettare il loro denaro contante, che non sia necessario per la loro circolazione, in quel paese in cui l'interesse del denaro è elevato a confronto del loro" (ivi, vol. II, p. 5.) "Il paese più ricco di Europa può essere il più povero di denaro metallico circolante" (ivi, vol. II, p. 6. Vedi la polemica contro lo Steuart in Arthur Young [Aggiunta nella copia personale]).
127. Steuart, ivi, vol. II, p. 370. Louis Blanc trasforma il "money of the society" che non significa altro che denaro interno, nazionale, in denaro socialista, il che non significa assolutamente niente, e fa di conseguenza di Jean Law un socialista (Vedi il primo volume della sua Storia della rivoluzione francese).
128. Maclaren, History of the Currency, cit., p. 43 sgg. Il patriottismo ha indotto uno scrittore tedesco, scomparso precocemente (Gustav Julius), a contrapporre alla scuola ricardiana, come autorità, il vecchio Busch. L'onorato Büsch tradusse il geniale inglese dello Steuart in basso tedesco amburghese fraintendendolo tutte le volte che gli riusciva.
129. Questo non è esatto. Enuncia invece in alcuni passi la legge esattamente [Nota nella copia personale].
130. La differenza fra "currency" e "money", ossia fra mezzo di circolazione e denaro non si trova quindi nel Wealth of Nations. Ingannato dalla apparente ingenuità di Adam Smith, il quale conosceva molto bene il suo Hume e il suo Steuart, l'onesto Maclaren osserva: "La teoria della dipendenza dei prezzi dalla quantità dei mezzi di circolazione finora non ha affatto destato attenzione; e il dottor Smith considera, come il signor Locke (il suo parere su Locke varia), il denaro metallico come null'altro che merce" (Maclaren, History of the Currency, cit., p. 44).
*22. Oro o argento in verghe.
131. David Ricardo, The high Price of Bullion, a Proof of the Depreciation of Banknotes, 4ª ed., Londra, 1811 (La prima edizione uscì nel 1809). Inoltre: Reply to Mr. Bosanquet's pratical Observations on the Report of the Bullion Committee, Londra, 1811.
132. On the Principles of Political Economy, cit., p. 77. "Il valore dei metalli nobili dipende alla fine, come quello di tutte le altre merci, dalla quantità totale del lavoro necessario per procurarli e portarli sul mercato".
133. Ivi, pp. 77, 180, 181.
134. Ivi, p. 421: "La quantità di denaro che può essere usata in un paese dipende dal valore del denaro. Se circolasse dell'oro soltanto, ne occorrerebbe quindici volte meno che se si usasse argento soltanto". Vedi anche Ricardo, Proposals for an economical and secure currency, Londra, 1816, p. 81, dove dice: "La quantità delle banconote in circolazione dipende dall'importo necessario per la circolazione del paese, e questo è regolato dal valore dell'unità di misura del denaro, dall'ammontare dei pagamenti e dall'economia della loro realizzazione".
135. David Ricardo, Principles of Political Economy, cit., pp. 432, 433.
136. David Ricardo, Reply to Mr. Bosanquet's practical Observations, cit., p. 49: "Che le merci salirebbero o scenderebbero di prezzo in proporzione dell'aumento o della diminuzione del denaro, è cosa che io presuppongo come fatto incontestabile".
137. David Ricardo, The high Price of Bullion, cit. "Il denaro avrebbe in tutti i paesi il medesimo valore" (p. 4). Nella sua economia politica Ricardo ha modificato questa tesi, ma non in una maniera che influisca qui.
138. Ivi, pp. 3-4.
139. Ivi, p. 4.
140. "Una bilancia commerciale sfavorevole non deriva mai se non da una sovrabbondanza di mezzi di circolazione" (Ricardo, ivi, pp. 11, 12).
141. "L'esportazione del denaro metallico è provocata dal suo buon prezzo e non è l'effetto, bensì la causa di una bilancia sfavorevole" (ivi, p. 14).
142. Ivi, p. 17.
143. David Ricardo, ivi, pp. 74, 75. "In conseguenza di un cattivo raccolto l'Inghilterra verrebbe a trovarsi nella situazione di un paese privato di parte delle proprie merci e che quindi ha bisogno di un importo minore di medio circolante. I mezzi di circolazione, che prima erano pari ai pagamenti, diverrebbero allora sovrabbondanti e relativamente a buon mercato in rapporto con la sua produzione diminuita. L'esportazione di questa somma ristabilirebbe quindi il valore del circolante rispetto al valore dei mezzi di circolazione di altri paesi". La confusione che il Ricardo fa tra denaro e merce e fra denaro e moneta diventa ridicola nella proposizione seguente: "Potendo supporre che dopo un raccolto sfavorevole, allorchè l'Inghilterra abbia motivo di un'importazione straordinaria di grano, un altro paese abbia sovrabbondanza di questo articolo, ma non abbia alcun bisogno di merci, ne conseguirebbe indubbiamente che questo paese non esporterebbe il proprio grano in cambio di merci: ma non esporterebbe grano nemmeno per denaro poiché quest'ultimo è una merce di cui nessun paese ha mai bisogno assoluto, bensì relativo" (Ivi, p. 75). Puskin, nel suo poema eroico, non fa mai capire al padre dell'eroe che la merce sia denaro. Ma che il denaro sia merce, i russi l'hanno capito da bel principio, come è dimostrato non soltanto dall'importazione inglese di grano dal 1838 al 1842, ma anche da tutta la storia del loro commercio.
144. Cfr. Thomas Tooke, History of Prices, e James Wilson, Capital, Currency and Banking (Quest'ultimo libro è la ristampa di una serie di articoli pubblicati nel 1844, 1845 e 1847 nell'Economist di Londra).
145. James Deacon Hume, Letters on the Cornlaws, Londra, 1834, pp. 29-31.
146. Thomas Tooke, History of Prices ecc., Londra, 1848, p. 110.
147. Cfr. di W. Blake le Observations ecc. citate sopra.
148. James Mill, Elements of Political Economy. Nel testo tradotto dalla versione francese di J. T. Parissot, Parigi, 1823.
149. Ivi, pp. 128-136 passim.
150. Alcuni mesi prima dello scoppio della generale crisi commerciale del 1857 sedeva alla Camera dei Comuni una commissione incaricata di fare delle indagini sugli effetti delle leggi bancarie del 1844 e 1845. Lord Overstone, padre teorico di queste leggi, nella sua deposizione davanti alla commissione si lasciò andare alla seguente vanteria: "Mediante la rigorosa e pronta osservanza dei princípi dell'Atto del 1844 tutto si è svolto con regolarità e facilità, il sistema monetario è sicuro e fermo, la prosperità del paese è incontestabile, la fiducia pubblica nella saggezza dell'Atto del 1844 va rafforzandosi di giorno in giorno. Se il comitato desidera ulteriori prove pratiche della solidità dei princípi su cui si basa quell'Atto, e delle benefiche conseguenze da esso assicurate, la vera e bastevole risposta sarà questa: Guardatevi attorno, guardate l'attuale situazione degli affari del nostro paese, guardate come è contento il popolo, guardate la ricchezza e la prosperità di tutte le classi della società; e poi, fatto questo, il comitato potrà essere in grado di decidere se vorrà interferire nella durata ulteriore di un Atto sotto il quale sono stati raggiunti tali risultati" (Report from the Select Committee on Bank Acts ecc., 1857 deposizione n. 4189). In questo modo Overstone strombazzava la propria gloria il 14 luglio 1857; il 12 novembre di quello stesso anno il ministero dovette sospendere, sotto la propria responsabilità, la miracolosa legge del 1844.
151. Al Tooke era completamente ignoto lo scritto dello Steuart, come risulta dalla sua History of Prices from 1839 till 1847, Londra, 1848, nella quale egli riassume tutte le teorie monetarie.
152. Lo scritto importante del Tooke, oltre alla sua History of Prices, edita in sei volumi dal suo collaboratore Newmarch, è An Inquiry into the Currency Principle, the connection of currency with prices ecc. 2ª ed., Londra, 1844. Lo scritto del Wilson lo abbiamo già citato. Resta ancora da ricordare John Fullarton, On the Regulation of Currencies, 2ª ed., Londra, 1845.
153. "Bisogna distinguere fra il denaro come merce, vale a dire capitale, e il denaro come mezzo di circolazione" (Tooke, An Inquiry into the Currency Principle, cit., p. 10). "Si può contare sul fatto che l'oro e l'argento al loro arrivo realizzino quasi esattamente la somma occorrente... L'oro e l'argento posseggono un infinito vantaggio rispetto a tutte le altre specie di merci... in virtù della circostanza che sono in uso universalmente come denaro... Non in tè, caffè, zucchero o indaco sono di solito da pagarsi per contratto i debiti esteri o interni, bensì in monete; e l'invio di denaro, o nella moneta appunto designata o in verghe che possono essere trasformate subito in quella moneta, o attraverso la zecca o attraverso il mercato del paese in cui sono spedite, dovrà sempre offrire al mittente i mezzi più sicuri, più diretti e più esatti per raggiungere lo scopo senza pericolo di cattivo successo per mancanza di domanda o per le oscillazioni del prezzo" (Fullarton, ivi, p. 132, 133). "Ogni altro articolo" (tranne l'oro e l'argento), "può trovarsi per quantità o per specie al di fuori della usuale domanda del paese in cui venga spedito" (Tooke, An Inquiry cit.).
*23. Reddito.
154. La trasformazione del denaro in capitale sarà esaminata nel terzo capitolo, che tratta del capitale e costituisce la fine di questa prima sezione.
I
In tutti i campi della scienza i tedeschi hanno dimostrato da tempo di essere all'altezza delle altre nazioni civili, nella maggior parte di essi hanno dimostrato di essere loro superiori. Una sola scienza non contava nessun nome tedesco tra quelli dei suoi corifei: l'economia politica. La causa di questo fatto è evidente. L'economia politica è l'analisi teorica della società borghese moderna e per ciò presuppone una civiltà borghese sviluppata, civiltà che in Germania, dopo le guerre della Riforma e la guerra dei contadini, e specialmente dopo la guerra dei Trent'anni, per dei secoli non ha potuto svilupparsi. La separazione dell'Olanda dall'Impero escluse la Germania dal commercio mondiale, riducendo preventivamente il suo sviluppo industriale alle proporzioni più meschine. Mentre i tedeschi si rimettevano così lentamente e penosamente dalle devastazioni delle guerre civili, mentre essi disperdevano tutta la loro energia borghese, che non fu mai troppo grande, in una lotta sterile contro le barriere doganali e i regolamenti commerciali insensati che ogni principotto e ogni barone dell'Impero imponeva all'industria dei suoi sudditi, mentre le città dell'Impero deperivano con le loro corporazioni meschine e col loro patriziato, in questo frattempo l'Olanda, l'Inghilterra e la Francia conquistavano i primi posti nel commercio mondiale, fondavano una colonia dopo l'altra, e spingevano l'industria manifatturiera sino al più alto grado di sviluppo, sino a che l'Inghilterra, grazie al vapore, che le permise di incominciare a valorizzare pienamente i suoi giacimenti di carbone e di ferro, si metteva alla testa dell'evoluzione dell'industria borghese moderna.
Ma fino a che si doveva ancora condurre la lotta contro residui medievali così antiquati e ridicoli, come quelli che sino al 1830 incepparono lo sviluppo materiale borghese della Germania, una economia tedesca era impossibile. Solo con l'introduzione dello Zollverein i tedeschi si trovarono in una situazione in cui potevano incominciare a capire l'economia politica in generale. Da allora, infatti, incominciò l'importazione dell'economia inglese e francese per il maggior profitto della borghesia tedesca. Il mondo degli scienziati e della burocrazia s'impadronì ben presto della merce imporrtata e l rielaborò in un modo che non fa molto onore allo spirito tedesco. Dal guazzabuglio dei cavalieri d'industria, dei mercanti, dei pedanti e dei burocrati datisi allo scrivere sorse in seguito una letteratura economica tedesca, che per quanto riguarda la insulsaggine, la superficialità, l'assenza di pensieri, la prolissità e il plagio non ha uguale che nel romanzo tedesco. Tra la gente che badava ai fini pratici si formò dapprima la scuola protezionista degli industriali, il cui nome più autorevole, List, è ancora il meglio che la letteratura economica borghese tedesca abbia prodotto, benché tutta la sua opera famosa sia copiata dal francese Ferrier, il teorico del sistema del blocco continentale. In opposizione a questa corrente sorse dal '40 al '50 la scuola liberoscambista dei commercianti delle province baltiche, che si misero a biascicare, con fede puerile ma interessata, gli argomenti dei freetraders (liberoscambisti) inglesi.
Infine, tra i pedanti e i burocrati che dovevano trattare il lato teorico della scienza vi furono degli aridi collezionisti privi di spirito critico, come il sig. Rau, degli speculatori dalle arie di cacasenno, che traducevano le proposizioni straniere in linguaggio hegeliano mal digerito, come il sig. Stein, o dei letterati che andavano racimolando nel campo della "storia della cultura", come il sig. Riehl. Il risultato finale di tutto questo fu la cameralistica, un pasticcio di ogni sorta di cose eterogenee, confezionate con una salsa economica eclettica, quale occorre a un referendario di Stato per passare l'esame governativo.
Mentre in Germania la borghesia, i pedanti e la burocrazia stavano ancora sforzandosi di mandare a memoria come dogmi intangibili e di spiegarsi in qualche modo i primi elementi della economia anglo-francese, si presentava sulla scena il partito proletario tedesco. Tutta la sua vita teorica traeva origine dallo studio dell'economia politica, e dal momento del suo apparire data anche l'economia tedesca come scienza indipendente. Questa economia tedesca si fonda essenzialmente sulla concezione materialistica della storia, i cui principi sono esposti brevemente nella prefazione del libro sopraindicato. Questa prefazione è già stata riprodotta nell'essenziale nel Volk, al quale rinviamo.
Non solo per l'economia, ma per tutte le scienze storiche (e tutte le scienze che non sono scienze naturali sono scienze storiche) ha avuto una importanza rivoluzionaria la scoperta contenuta nella tesi che "il modo di produzione della vita materiale condiziona in generale il processo sociale, politico e spirituale della vita", che tutte le relazioni sociali e statali, tutti i sistemi religiosi e giuridici, tutte le concezioni teoriche che si presentano nella storia, possono essere comprese soltanto se si comprendono le condizioni della vita materiale dell'epoca corrispondente a ciascuna di loro e se vengono dedotte da queste condizioni materiali. "Non è la coscienza degli uomini che determina il loro essere, ma è, al contrario, il loro essere sociale che determina la loro coscienza." Questa proposizione è così semplice, che dovrebbe essere compresa di per sé da tutti coloro che non sono schiavi delle frottole dell'idealismo. Ma la cosa ha delle conseguenze sommamente rivoluzionarie non solo per la teoria, ma anche per la pratica: "A un dato punto del loro sviluppo, le forze produttive materiali della società entrano in contraddizione con i rapporti di produzione esistenti, cioè con i rapporti di proprietà (che ne sono soltanto l'espressione giuridica) dentro i quali tali forze per l'innanzi s'erano mosse. Questi rapporti, da forme di sviluppo delle forze produttive, si convertono in loro catene. E allora subentra un'epoca di rivoluzione sociale. Con il cambiamento della base economica, si sconvolge più o meno rapidamente tutta la gigantesca sovrastruttura... I rapporti di produzione borghesi sono l'ultima forma antagonistica del processo di produzione sociale; antagonistica non nel senso di un antagonismo individuale, ma di un antagonismo che sgorga dalle condizioni di vita sociali degli individui. Ma le forze produttive che si sviluppano nel seno della società borghese creano in pari tempo le condizioni materiali per la soluzione di tale antagonismo". La prospettiva di una rivoluzione possente, della più possente rivoluzione che mai sia avvenuta, si apre davanti a noi non appena procediamo nell'analisi della nostra tesi materialistica e l'applichiamo al presente.
Ma appare pure, non appena si considerano le cose con maggiore attenzione, che la proposizione, in apparenza così semplice, che la coscienza degli uomini dipende dall'esser loro e non viceversa, sin dalle prime sue conseguenze cozza in modo diretto contro ogni idealismo, anche il più mascherato. Tutte le concezioni tradizionali e abituali circa il processo della storia vengono da essa negate. Tutte le forme tradizionali del ragionamento politico cadono a terra; la bravura patriottica si ribella con sdegno a una simile concezione insensata. Il nuovo modo di vedere urtò necessariamente non solo i rappresentanti della borghesia, ma anche la massa dei socialisti francesi, che vogliono sollevare il mondo con la formula magica: liberté, égalité, fraternité. Ma la collera più grande essa la suscitò fra gli strilloni della democrazia volgare tedesca. Ciò malgrado essi posero una cura speciale nel cercar di sfruttare le nuove idee plagiandole, ma con una rara incomprensione di esse.
Sviluppare la concezione materialistica applicandola pure a un solo esempio storico, era un lavoro scientifico che richiedeva anni di studi tranquilli, perché è evidente che non si può far nulla, in questo campo, solo con delle frasi, che soltanto una massa di materiali storici vagliati criticamente e completamente dominati può dare la possibilità di assolvere un compito simile. La rivoluzione di febbraio portò il nostro partito sulla scena politica, rendendogli così impossibile di dedicarsi a lavori puramente scientifici. Ciò nonostante la concezione fondamentale è come un filo rosso che si ritrova in tutte le produzioni letterarie del partito. In tutti questi lavori si dimostra che l'azione è sorta in ogni caso singolo da impulsi materiali diretti e non dalle frasi che li hanno accompagnati, e che, viceversa, le frasi politiche e giuridiche sono sorte dagli impulsi materiali, allo stesso modo che l'azione politica e i suoi risultati.
Quando, dopo la sconfitta della rivoluzione del 1848-49, arrivò un momento in cui diventava sempre più impossibile esercitare dall'estero una influenza sulla Germania, il nostro partito abbandonò il campo delle beghe emigratorie, poiché questa era diventata la sola azione possibile, alla democrazia volgare. Mentre questa si ingolfava nelle baruffe, oggi si accapigliava per fraternizzare il giorno dopo, e dopo due giorni lavare di nuovo in pubblico tutti i suoi panni sporchi; mentre essa andava a chiedere l'elemosina per tutta l'America, per sollevare poco dopo un nuovo scandalo per la spartizione del paio di talleri che aveva racimolato, il nostro partito fu contento di trovare nuovamente un pò di calma per studiare. Esso aveva il grande vantaggio di possedere la base teorica di una nuova concezione scientifica, la cui elaborazione gli dava abbastanza da fare. Anche solo per questo esso non potè mai cadere così in basso come i "grandi uomini" dell'emigrazione.
Il primo frutto di questi studi è il libro presente.
II
In uno scritto come il presente non vi è luogo per una semplice critica frammentaria di singoli capitoli dell'economia politica, né per uno studio separato di questo o quel problema economico controverso. Esso tende piuttosto a dare una visione sistematica e complessiva di tutto l'assieme della scienza economica, a sviluppare in modo sistematico e complessivo le leggi della produzione borghese e dello scambio borghese. poiché gli economisti non sono altro che gli interpreti e gli apologisti di queste leggi, questo sviluppo è in pari tempo la critica di tutta la letteratura economica.
Dalla morte di Hegel in poi non si è fatto nessun tentativo di sviluppare una scienza nella sua propria connessione interna. La scuola hegeliana ufficiale non si era appropriata, della dialettica del maestro, altro che l'arte di manipolare i trucchi più semplici, che essa applicava a tutto e a tutti, e spesso anche con una inettitudine ridicola. Tutta l'eredità di Hegel si riduceva per costoro a un puro schema, con l'aiuto del quale veniva artificialmente costruito ogni tema, e a un elenco di parole e di frasi che non avevano più altro scopo che di presentarsi nel momento preciso in cui venivano meno i pensieri e le conoscenze positive. Così avvenne, come diceva un professore di Bonn, che questi hegeliani non capivano nulla di nulla, ma potevano scrivere di tutto. E così era di fatto. Questi signori però, malgrado la loro sufficienza, erano così coscienti della loro debolezza che si tenevano lontani, il più che era loro possibile, da grandi compiti. La vecchia scienza parruccona manteneva il proprio terreno grazie alla superiorità del suo sapere positivo. E quando Feuerbach infine ebbe dato congedo al concetto speculativo, lo hegelismo sparì a poco a poco, e si ebbe l'impressione che si fosse ritornati nella scienza al regno della vecchia metafisica con le sue categorie fisse.
La cosa aveva la sua base materiale. Al regime dei diadochi hegeliani, perdutosi nella pura fraseologia, teneva dietro naturalmente un'epoca in cui il contenuto positivo della scienza prendeva nuovamente il sopravvento sul lato formale. Ma in pari tempo la Germania si gettava pure, con una energia straordinaria, sulle scienze naturali, il che corrispondeva al potente sviluppo della borghesia dopo il 1848. poiché diventavano di moda queste scienze, in cui la tendenza speculativa non era mai riuscita a farsi strada in modo degno di nota, anche il vecchio modo di pensare metafisico precipitava di nuovo sino alla volgarità estrema di Wolff. Hegel era scomparso, si sviluppava il nuovo materialismo delle scienze naturali, che dal punto di vista teorico non si distingue quasi per niente dal materialismo del secolo XVIII, e per lo più non ha su di esso altro vantaggio che quello di disporre di un materiale più ricco tratto dalle scienze naturali, specialmente dalla chimica e dalla fisiologia. In Büchner e in Vogt troviamo riprodotto fino all'estrema trivialità il modo di pensare gretto e filisteo del periodo prekantiano, e lo stesso Moleschott, che giura su Feuerbach, si impenna ad ogni istante nel modo più dilettevole dinanzi alle più semplici categorie. Il vecchio cavallo da soma dell'intelletto borghese di tutti i giorni si arresta naturalmente, perplesso, davanti all'abisso che separa l'essenza dall'apparenza, la causa dall'effetto. Ma quando si vuole correre a briglia sciolta sul terreno assai accidentato del pensiero astratto, non è un cavallo da soma che si deve inforcare.
Si doveva quindi risolvere qui un altro problema che non ha niente a che fare con l'economia politica come tale. Come trattare la scienza? Da un lato si aveva la dialettica hegeliana, nella forma del tutto astratta, speculativa, in cui l'aveva lasciata Hegel. Dall'altro lato il metodo ordinario, essenzialmente metafisico-wolffiano, tornato nuovamente di moda, secondo il quale gli economisti borghesi avevano scritto essi pure i loro grossi libri sconclusionati. Quest'ultimo metodo era stato teoricamente demolito da Kant e specialmente da Hegel, in modo tale che soltanto la pigrizia e l'assenza di un altro metodo semplice poteva praticamente consentirgli di continuare a vivere. D'altro lato il metodo hegeliano, nella forza in cui esso si presentava, era assolutamente inutilizzabile. Esso era essenzialmente idealistico, mentre qui si trattava di sviluppare una concezione del mondo che era più materialistica di tutte le precedenti. Esso partiva dal pensiero puro, mentre qui si doveva partire dai fatti più testardi. Un metodo che, secondo la sua propria confessione, "andava dal niente al niente attraverso il niente", era assolutamente fuori posto qui in questa forma. Ciò nonostante fra tutto il materiale logico esistente, questo metodo era l'unica cosa a cui almeno ci si potesse appigliare. Esso non era stato criticato, non era stato superato, nessuno degli avversari del grande dialettico era riuscito a battere in breccia il suo superbo edificio. Il metodo hegeliano era scomparso perché la scuola hegeliana non aveva saputo far niente con esso. Innanzi tutto, dunque, si doveva sottoporre a una critica profonda il metodo hegeliano.
Ciò che distingueva il modo di pensare di Hegel da quello di tutti gli altri filosofi era l'enorme senso storico che ne costituiva la base. Per quanto astratta e idealistica fosse la forma, ciò non di meno lo sviluppo del suo pensiero andava sempre parallelamente allo sviluppo della storia mondiale, e quest'ultimo non doveva in sostanza essere altro che la prova del primo.
benché il rapporto esatto venisse in questo modo arrovesciato e collegato con la testa all'ingiù, il contenuto reale penetrava però da ogni parte nella Filosofia, e ciò tanto più in quanto Hegel si distingueva dai suoi scolari perché non si vantava come loro dell'ignoranza, ma era uno degli uomini più eruditi che mai siano esistiti. Egli fu il primo che cercò di dimostrare l'esistenza nella storia di uno sviluppo, di una coesione interiore, e per quanto ora molte cose nella sua filosofia della storia ci possano sembrare strane, la grandiosità della concezione fondamentale, quando la si confronta con i suoi predecessori o anche con coloro che dopo di lui si sono permessi di fare delle riflessioni generali sulla storia, è ancora oggi degna di ammirazione.
Nella fenomenologia, nell'estetica, nella storia della filosofia, dappertutto penetra questa grandiosa concezione della storia, e dappertutto la materia viene trattata in modo storico, in una certa connessione, sia pure astratta e a rovescio, con la storia.
Questa concezione della storia che apriva un'epoca nuova, era la premessa teorica diretta della nuova concezione materialistica, e questo solo fatto offriva già un punto di appiglio anche per il metodo logico. Se questa dialettica scomparsa aveva già portato a tali risultati secondo il modo di vedere del "pensiero puro", se aveva liquidato in un volger di mano tutta la precedente logica e metafisica, essa doveva essere in ogni caso qualcosa di più che sofisticheria e arte di spaccare un caper illo in quattro. Ma la critica di questo metodo, a cui non aveva osato e tuttavia non osa metter mano tutta la filosofia ufficiale, non era cosa dappoco.
Marx era ed è il solo che si poteva accingere al lavoro di estrarre dalla logica hegeliana il nocciolo che racchiude le vere scoperte fatte da Hegel in questo campo, e di stabilire il metodo dialettico spogliato dei suoi veli idealistici, nella forma semplice in cui esso è la sola forma giusta dello sviluppo del pensiero. Noi pensiamo che questa elaborazione del metodo che è la base della critica dell'economia politica di Marx, costituisce un risultato quasi altrettanto importante quanto la concezione materialistica fondamentale.
La critica dell'economia, anche dopo che era stato acquisito il metodo, poteva ancora essere intrapresa in due modi: storicamente o logicamente. poiché nella storia, come nel suo riflesso letterario, l'evoluzione va pure, in sostanza, dai rapporti più semplici ai rapporti più complicati, lo sviluppo storico-letterario dell'economia politica offriva un filo conduttore naturale a cui la critica poteva aggrapparsi, e in sostanza le categorie economiche sarebbero apparse anche in questo caso nello stesso ordine che nello sviluppo logico. Questa forma offre il vantaggio apparente di una maggior chiarezza, poiché viene seguita la evoluzione reale, ma in realtà essa si ridurrebbe tutt'al più a una esposizione più popolare. La storia procede spesso a salti e a zigzag, e si sarebbe dovuto tenerle dietro dappertutto, il che avrebbe obbligato non solo a inserire molto materiale di poca importanza, ma anche a interrompere spesso il corso delle idee. Inoltre non si può scrivere la storia dell'economia senza quella della società borghese, e il lavoro non sarebbe mai arrivato alla fine perché mancano tutti i lavori preparatori. Il modo logico di trattare la questione era dunque il solo adatto. Questo non è però altro che il modo storico, unicamente spogliato della forma storica e degli elementi occasionali e perturbatori. Nel modo come incomincia la storia, così deve pure incominciare il corso dei pensieri, e il suo corso ulteriore non sarà altro che il riflesso, in forma astratta e teoricamente conseguente, del corso della storia; un riflesso corretto, ma corretto secondo leggi che il corso stesso della storia fornisce, poiché ogni momento può essere considerato nel punto del suo sviluppo in cui ha raggiunto la sua piena maturità, la sua classicità.
Seguendo questo metodo prendiamo come punto di partenza il primo e più semplice rapporto che ci si presenta storicamente, di fatto, cioè, in questo caso, il primo rapporto economico che troviamo davanti a noi. Questo rapporto lo scomponiamo. Per il fatto che è un rapporto, ne deriva già che esso ha due lati che sono in relazione l'uno con l'altro. Ognuno di questi lati viene esaminato a sé; da questo esame risulta il modo del loro reciproco rapporto, la loro azione e reazione reciproca. Ne risultano delle contraddizioni che richiedono di essere rimosse. Ma siccome non consideriamo qui un processo astratto del pensiero che si svolga soltanto nel nostro cervello, ma un fatto reale, che si è realmente svolto in un momento qualunque o che si sta ancora svolgendo, perciò queste contraddizioni devono pure aver avuto uno sviluppo e probabilmente aver trovato la loro soluzione nella pratica. Indaghiamo la forma di questa soluzione, e troveremo ch'essa è stata raggiunta con l'instaurazione di un nuovo rapporto del quale dovremo ora sviluppare i due lati contraddittori, e così via.
L'economia politica incomincia dalla merce, dal momento in cui dei prodotti sono scambiati con altri prodotti, sia da individui singoli che da comunità primitive. Il prodotto che viene scambiato è merce. Ma è merce soltanto per il fatto che alla cosa, al prodotto, si collega un rapporto tra due persone o comunità, il rapporto tra il produttore e il consumatore, che qui non sono più uniti in una sola e stessa persona. Abbiamo qui sin dall'inizio un esempio di un fatto particolare, che penetra tutta l'economia e ha creato nelle teste degli economisti borghesi una confusione terribile. L'economia non tratta di cose, ma di rapporti tra persone e, in ultima istanza, tra classi; questi rapporti sono però sempre legati a delle cose e appaiono come delle cose. Marx è il primo che ha scoperto il valore che ha questa connessione, intravista in certi casi, confusamente però, da questo o da quell'economista, per tutta l'economia, e in questo modo ha reso i problemi più difficili così chiari e così semplici, che ormai perfino gli economisti borghesi possono capirli.
Se consideriamo ora la merce sotto i suoi diversi lati, e cioè la merce quando si è sviluppata completamente, e non quando comincia a svilupparsi faticosamente nello scambio naturale fra due comunità primitive, essa ci si presenta sotto i due aspetti di valore di uso e valore di scambio; e qui entriamo senz'altro nel campo delle discussioni economiche. Chi vuol avere un esempio brillante di come il metodo dialettico tedesco, nel suo stadio di sviluppo attuale, è superiore al vecchio metodo metafisico piatto e volgare, per lo meno quanto le ferrovie sono superiori ai mezzi di trasporto del Medioevo, veda, in Adam Smith o in un altro qualunque degli economisti ufficiali di grido, quali tormenti hanno dato a questi signori il valore di scambio e il valore di uso, come è loro difficile separarli esattamente l'uno dall'altro e concepire ciascuno di essi nella sua particolarità determinata, e faccia poi il confronto con lo sviluppo semplice, chiaro di Marx.
Sviluppati il valore di scambio e il valore di uso, la merce viene esposta come loro unità immediata, così come essa entra nel processo di scambio. Quali contraddizioni ne derivano, lo si può leggere a pp. 20-21 [*1]. Notiamo solamente che queste contraddizioni non hanno soltanto un interesse teorico, astratto, ma rispecchiano pure le difficoltà sorgenti dalla natura del rapporto immediato di scambio, dello scambio semplice; rispecchiano le impossibilità a cui conduce necessariamente questa prima forma rudimentale dello scambio. La rimozione di queste impossibilità si trova nel fatto che la proprietà di rappresentare il valore di scambio di tutte le altre merci viene trasferita a una merce speciale, il denaro. Il denaro, ossia la circolazione semplice, viene quindi sviluppato nel secondo capitolo, e precisamente: 1) il denaro come misura dei valori, dove trova la sua determinazione più precisa il valore misurato in denaro, il prezzo; 2) come mezzo di circolazione; e 3) come unità delle due determinazioni, come denaro reale, come rappresentante di tutta la ricchezza materiale borghese. Con ciò ha termine lo sviluppo del primo capitolo, riservandosi al secondo la trasformazione del denaro in capitale.
Si vede come con questo metodo lo sviluppo logico non è costretto a rimanere sul terreno puramente astratto. Al contrario, esso ha bisogno dell'illustrazione storica, del contatto permanente con la realtà. Questi esempi sono quindi inseriti in abbondanza, sia come accenni al corso reale della storia nelle diverse fasi della evoluzione sociale, sia come accenni alla letteratura economica, in cui viene seguita sin dall'inizio la chiara elaborazione delle determinazioni dei rapporti economici. La critica delle singole concezioni più o meno unilaterali o confuse è quindi già data essenzialmente nello sviluppo logico stesso e può essere fatta con brevità.
In un terzo articolo esamineremo il contenuto economico del libro.
Marx a Lassalle, 22 febbraio 1858
Caro Lassalle,
[...] Voglio dirti a che punto sta il lavoro economico. Da qualche mese ho messo mano in fact all'elaborazione finale. La faccenda procede però con molta lentezza, perché argomenti ai quali da molti anni ci si è dedicati, facendone l'oggetto principale dei propri studi, mostrano sempre nuovi aspetti e suscitano nuovi dubbi, non appena si tratta di trarne le conclusioni definitive. Per di più non sono padrone del mio tempo, ma rather [*1] ne sono il servo. Per me stesso mi rimane solo la notte, e attacchi e ricadute di una malattia del fegato disturbano molto spesso anche questo lavoro notturno. Date queste circostanze la cosa più comoda per me sarebbe di poter pubblicare in fascicoli sciolti tutto il lavoro. Ciò presenterebbe forse anche il vantaggio che sarebbe più facile trovare un editore, poiché si investirebbe nell'impresa poco capitale d'esercizio. Of course [*2] ti sarò molto obbligato se cercherai di scovare a Berlino uno che si assuma l'impresa. Per "fascicoli" intendo qualcosa del genere di quelli in cui è stata pubblicata a puntate l'Estetica di Vischer.
Il lavoro di cui si tratta per ora è la critica delle categorie economiche o if you like [*3] il sistema dell'economia borghese esposto criticamente. E' in pari tempo esposizione del sistema e critica dello stesso per mezzo dell'esposizione. Non so assolutamente quanti fogli di stampa richiederà il tutto. Se avessi tempo, tranquillità e mezzi per elaborare il tutto prima di consegnarlo al pubblico, lo condenserei fortemente, poiché ho sempre amato il metodo della condensazione. Ma stampata così - forse a vantaggio della comprensione del pubblico, ma certo a scapito della forma - in dispense, la cosa necessariamente prenderà un pò più spazio. Nota bene: Quando sai se la cosa si può fare o no a Berlino, abbi la bontà di scrivermi, perché se là non è possibile, farò un tentativo ad Amburgo. Un altro punto è che devo essere pagato dall'editore che intraprende la cosa, necessità questa che può far fallire la faccenda a Berlino.
L'esposizione, mi riferisco alla maniera, è puramente scientifica, quindi non contraria alle leggi nel senso comune del termine. Il tutto si divide in 6 libri. 1) Del capitale (contiene alcuni capitoli preliminari). 2) Della proprietà fondiaria. 3) Del salario. 4) Dello Stato. 5) Commercio internazionale. 6) Mercato mondiale. Non posso fare a meno, naturalmente, di occuparmi di quando in quando criticamente di altri economisti, particolarmene polemizzo con Ricardo, quando anch'egli, qua [*4] borghese, è costretto a commettere degli errori, anche dal punto di vista strettamente economico. Nell'insieme, però, la critica e la storia dell'economia politica e del socialismo dovrebbe formare oggetto di un altro lavoro. Infine, il breve schizzo storico dello sviluppo delle categorie e dei rapporti economici dovrebbe essere un terzo. After all [*5] ho il presentimento che ora, nel momento in cui, dopo 15 anni di studi, sono al punto di poter mettere mano alla faccenda, i tempestosi movimenti esterni probabilmente si metteranno a interfere. Never mind [*6]. Se arrivo in ritardo per trovare il mondo ancora attento a simili cose, il difetto è evidente my own [*7].
Il tuo K. M.
Marx a Engels, 2 aprile 1858
Caro Frederick,
Io soffro talmente della mia bile che per questa settimana non posso né pensare, né leggere, né scrivere, né fare qualsiasi cosa, save [*8] gli articles per la Tribune. Questi, naturalmente, non li debbo saltare, perché sono costretto a trarre cambiali su quei porci appena possibile. Ma la malattia è un guaio, perché non posso cominciare a sistemare il lavoro per Duncker finché non starò bene e non sentirò di nuovo vigour e grasp [*9] nelle dita.
Quanto segue è short outline of the first part [*10]. Tutta questa merda sarà distribuita in sei libri: 1) Del capitale. 2) Proprietà fondiaria. 3) Lavoro salariato. 4) Stato. 5) Commercio internazionale. 6) Commercio mondiale.
I. Capitale si divide in quattro sezioni: a) Capitale en général (Questa è la materia del primo fascicolo). b) La concorrenza, ossia l'azione reciproca dei molti capitali. c) Credito, dove di fronte ai singoli capitali, il capitale figura come elemento universale. d) Il capitale azionario, come la forma più perfetta (che trapassa nel comunismo), insieme a tutte le sue contraddizioni. Il passaggio dal capitale alla proprietà fondiaria è nello stesso tempo storico, perché la forma moderna della proprietà fondiaria è un prodotto dell'effetto del capitale sulla proprietà feudale e fondiaria. Ugualmente il passaggio dalla proprietà fondiaria al lavoro salariato è non soltanto dialettico, ma storico, perché l'ultimo prodotto della proprietà fondiaria moderna è il costituirsi ovunque del lavoro salariato, che appare quindi come la base di tutta questa merda. Well (it is difficult for me today to write) [*11] veniamo ora al corpus delicti.
I. Capitale. Prima parte. Il capitale in generale. (In tutta questa parte si presuppone che il salario sia sempre pari al suo minimo. Le oscillazioni del salario stesso e il cadere o il salire del minimo rientrano nello studio del lavoro salariato. Inoltre, la proprietà fondiaria viene posta = 0, cioè la proprietà fondiaria come particolare rapporto economico non entra ancora in causa qui. Soltanto con questo procedimento è possibile non parlare sempre di tutto per ogni singolo argomento.)
1. Valore.
Considerato puramente come quantità di lavoro; tempo come misura del lavoro. Il valore d'uso - considerato sia soggettivamente, come usefulness [*12] del lavoro, che obiettivamente come utility [*13] del prodotto - appare qui semplicemente come premessa materiale del valore, che per il momento resta completamente estranea alla determinazione economica della forma. Il valore come tale non ha altra "materia" che il lavoro stesso. Questa determinazione del valore accennata dapprima in Petty, elaborata in tutta la sua purezza da Ricardo, non è altro che la forma più astratta della ricchezza borghese. Già in sé essa presuppone: 1) l'eliminazione del comunismo naturale (Indie ecc.), 2) di tutti i modi preborghesi non sviluppati di produzione, nei quali lo scambio non la domina in tutta la sua estensione. Per quanto astrazione, è una astrazione storica, che appunto poteva esser fatta soltanto sulla base di un determinato sviluppo economico della società. Tutte le obiezioni contro questa definizione del valore derivano da rapporti di produzione meno sviluppati, o si fondano sulla confusione per cui le determinazioni economiche più concrete - di cui si astrae il valore, e che perciò possono anche essere considerate d'altra parte come ulteriore suo sviluppo - si fanno valere contro di esso in questa sua forma astratta non sviluppata. Data la mancanza di chiarezza degli stessi signori economisti, sul come questa astrazione si comporti nei confronti di forme ulteriori più concrete della ricchezza borghese, queste obiezioni erano plus ou moins giustificate.
Dalla contraddizione tra caratteri generali del valore e la sua esistenza materiale in una merce determinata, ecc. - questi caratteri generali sono gli stessi che più tardi appaiono nel denaro - risulta la categoria denaro.
2. Denaro.
Cenni sui metalli nobili come portatori della funzione del denaro.
a) Il denaro come misura.
Qualche osservazione marginale sulla misura ideale in Steuart, Attwood, Urquhart; in forma più comprensibile nei teorici del denaro-lavoro (Gray, Bray, ecc. Qualche botta ai proudhonisti, all'occasione). Il valore delle merci tradotto in denaro è il loro prezzo, che per il momento appare ancora in questa sua differenza soltanto formale col valore. Secondo la legge generale del valore, una determinata quantità di valore esprime soltanto una determinata quantità di lavoro materializzato. Fin dove è misura il denaro, la variabilità del suo stesso valore non conta.
b) Il denaro come mezzo di scambio o la circolazione semplice.
Qui c'è da considerare soltanto la forma semplice di questa circolazione stessa. Tutte le circostanze che la determinano ulteriormente stanno al di fuori di essa, perciò entrano in questione soltanto in seguito. (Presuppongono rapporti più sviluppati.) Se noi chiamiamo M le merci e D il denaro, la circolazione semplice mostra i due movimenti circolari, o cicli: M - D - D - M e D - M - M - D ( quest'ultimo costituisce il trapasso alla c), ma punto di partenza e punto di ritorno non coincidono affatto, o solo per caso. La maggior parte delle cosiddette leggi stabilite dagli economisti considera la circolazione del denaro non all'interno dei suoi propri confini, ma come sussunta e determinata da movimenti superiori. Tutto ciò è da scartarsi. (Appartiene in parte alla teoria del credito; in parte però anche da considerarsi in altri momenti in cui torna ad apparire il denaro, ma ulteriormente determinato.) Qui dunque il denaro come mezzo di circolazione (moneta). Ma nello stesso tempo anche come realizzazione (non semplicemente transitoria) del prezzo. Dalla semplice constatazione che la merce, posta come prezzo, è già scambiata idealmente col denaro, prima di essere scambiata realmente con esso, risulta automaticamente l'importante legge economica che la massa del mezzo circolante è determinata dai prezzi, e non al contrario. (Qui qualche osservazione storica sulla polemica relativa a questo punto.) Inoltre ne consegue che la velocità può sostituire la massa, ma che una massa determinata è necessaria per gli atti di scambio contemporanei, fin dove questi stessi non stiano in rapporto fra di loro come + e -, compensazione e considerazione che tuttavia in questo punto son da toccarsi soltanto a mo' di anticipazione. Qui non passo all'ulteriore sviluppo di questa parte. Osservo soltanto ancora che il divergere di M - D e D - M è la forma più astratta e superficiale in cui si esprime la possibilità delle crisi. Dallo sviluppo della legge sulla determinazione della massa circolante ad opera dei prezzi, ne consegue che qui son state fatte delle ipotesi che non si verificano affatto per tutte le situazioni sociali; quindi l'ingenuità, p. es., di accostare tout bonnement l'afflusso di oro dall'Asia a Roma e il suo effetto sui prezzi di lì, alle condizioni commerciali moderne. Le più astratte determinazioni esaminate attentamente, sempre rimandando ad un'ulteriore base storica concreta e determinata (Of course, perché esse ne sono astratte in questa loro determinatezza).
c) Il denaro come denaro.
Questo è lo sviluppo della forma D - M - M - D. Il denaro in quanto esistenza del valore indipendentemente dalla circolazione; esistenza materiale della ricchezza astratta. Si presenta già nella circolazione, in quanto appare non solo come mezzo di circolazione, ma come realizzatore del prezzo. In questa proprietà c, nella quale a e b appaiono soltanto come funzioni, il denaro è merce generale dei contratti (qui la variabilità del suo valore, valore determinato dal tempo di lavoro, diviene importante), oggetto dello hoarding [*14] (Questa funzione appare importante in Asia ancora adesso, e nel mondo antico e nel Medioevo generally. Ora esiste solo subordinatamente nel sistema bancario. Nei periodi di crisi, importanza del denaro da capo in questa forma. Il denaro considerato in questa forma con le delusions storiche che produce, ecc. Proprietà negative, ecc.). Come realizzazione di tutte le forme superiori in cui si manifesterà il valore; forme definitive in cui tutti i rapporti di valore si definiscono esteriormente. Ma il denaro fissato in questa forma, che scompare nel portatore materiale del denaro, l'oro e l'argento, cessa di essere un rapporto economico. D'altra parte, in quanto esso entra nella circolazione e si scambia di nuovo M, il processo finale, il consumo delle merci, resta di nuovo al di fuori del rapporto economico. La semplice circolazione del denaro non ha in sé il principio della autoriproduzione e perciò accenna al di là di se stessa. Nel denaro - come lo dimostra lo sviluppo delle sue determinazioni - posto il postulato del valore che entra nella circolazione e che vi si conserva ponendo nello stesso tempo essa stessa - c'è il capitale. Questo trapasso è nello stesso tempo storico. La forma antidiluviana del capitale è il capitale mercantile, che sviluppa sempre denaro. Nello stesso tempo nascita del vero e proprio capitale dal denaro o dal capitale mercantile che si impadronisce della produzione.d) Questa circolazione semplice considerata in sé - ed essa è la superficie della società borghese, nella quale le operazioni più profonde da cui essa risulta sono scomparse - non mostra tra i soggetti dello scambio alcuna differenza se non formale e transitoria. Questo è il regno della libertà, dell'uguaglianza e della proprietà fondata sul "lavoro". L'accumulazione, come appare qui nella forma dello hoarding, non è allora altro che maggiore parsimonia, ecc. Ora abbiamo da una parte l'insulsaggine degli economisti dell'armonia, dei moderni freetraders (Bastiat, Carey, ecc.), di opporre a rapporti di produzione più sviluppati e ai loro antagonismi questo fatto superficialissimo e astrattissimo, come se fosse la loro verità. Insulsaggine dei proudhonisti e di simili socialisti, che contrappongono le idee di uguaglianza, ecc. corrispondenti a questo scambio di equivalenti (o presunti as such [*15]) alle disuguaglianze, ecc. in cui questo scambio ritorna e da cui proviene. Come legge dell'appropriazione, in questa sfera, l'appropriazione per opera del lavoro appare come uno scambio di equivalenti, di modo che lo scambio non fa che restituire lo stesso valore sotto altra materia. Insomma, qui è tutto "bello", ma presto andrà a finire male, e per l'appunto in conseguenza della legge dell'equivalenza. Infatti ora arriviamo a
3. Il capitale.
Questa è propriamente la parte importante di questo primo fascicolo, su cui soprattutto bisogna che io abbia il tuo parere. Ma oggi non posso seguitare a scrivere. Questo schifo di bile mi rende difficile tenere la penna, e a forza di stare a capo chino sul foglio mi vengono le vertigini. Sicchè for next time [*16].
Salut.
Tuo K. M.
Marx a Lassalle, 12 novembre 1858
Caro Lassalle,
[...] Per quanto riguarda il ritardato invio del manoscritto, prima fu la malattia ad impedirmelo e poi dovetti, per guadagnare qualcosa, fare altri lavori che erano rimasti arretrati. Ma il vero motivo è il seguente: la materia ce l'avevo pronta; si trattava ormai solo della forma. Ma in tutto quello che scrivevo sentivo nello stile l'influenza del mal di fegato. Ed io ho un duplice motivo per non permettere a questo scritto di lasciarsi rovinare per cause sanitarie:
1. Esso è il risultato di ricerche durate 15 anni, cioè del migliore periodo della mia vita.
2. Esso propugna per la prima volta in modo scientifico una importante concezione dei rapporti sociali. Ho quindi il dovere verso il partito di impedire che la cosa venga deturpata da una maniera di scrivere ottusa e legnosa quale è propria di chi ha il fegato malato.
Non aspiro a una forma elegante, ma cerco solo di scrivere nel mio modo abituale, il che in questi mesi di sofferenza su questo tema almeno mi è stato impossibile, sebbene in questo periodo abbia dovuto scrivere ed abbia quindi scritto editoriali inglesi de omnibus rebus et quibusdam aliis [*17] che potrebbero riempire almeno 2 volumi a stampa. Se qualcuno, anche meno accorto di te, spiegherà al signor Duncker come stanno le cose, egli, ritengo, non potrà che approvare il mio modo di procedere, che nei riguardi di lui come editore si riduce semplicemente al fatto che io cerco di fornirgli per il suo denaro la merce migliore.
Finirò tra quattro settimane circa, dato che in fondo ho incominciato a scrivere [...].
Salve
Tuo K. M.
Marx a Engels, [Circa il 13 gennaio 1859]
Caro Engels,
Sarebbe importante per me che tu mi potessi fornire un articolo per martedì, ed allora mi riserverei il venerdì seguente, perché desidererei riuscire a mandare il mio manoscritto a Duncker per mercoledì, cosa impossibile se non posso disporre del martedì.
Il manoscritto è di about 12 fogli di stampa (3 fascicoli), e - non svenire - sebbene il suo titolo sia: Il capitale in generale, questi fascicoli non contengono ancora nulla sul capitale, ma soltanto due capitoli: 1) La merce, 2) Il denaro o la circolazione semplice. Vedi dunque che la parte stesa dettagliatamente (a maggio, quando venni da te) non compare ancora per niente. Ciò è un bene per due riguardi. Se la cosa va, può seguire presto il terzo capitolo sul capitale. In secondo luogo, siccome per la parte pubblicata, e data la natura stessa del soggetto, i porci non potranno ridurre la loro critica a semplici improperi di tendenza, e siccome l'insieme ha un'aria exceedingly seria e scientifica, costringo quelle canaglie a prendere poi rather seriously le mie idee sul capitale. Del resto penso che, a prescindere da tutti gli obiettivi pratici, il capitolo sul denaro sarà interessante per i competenti...
Tuo K. M.
Marx a Engels, 21 gennaio [1859]
Caro Engels,
Quel povero manoscritto è finito, ma non posso spedirlo perché non ho un farthing per affrancarlo e assicurarlo. Quest'ultima cosa è necessaria perché non ne ho copia. Perciò sono costretto a pregarti di mandarmi un pò di denaro per lunedì (post office a Tottenham Court Road corner). Se puoi mandarmi 2 sterline, sarebbero le benvenute, perché ho rinviato a lunedi certe richieste di piccoli commercianti, che non posso assolutamente rimandar oltre. Capirai che non è affatto piacevole per me piombarti di nuovo tra capo e collo, ora che tu hai pagato o devi pagare la cambiale a F[reiligrath].
But iron necessity [*18]. La settimana prossima vedrò - perché mi concedo otto giorni di ferie quoad [*19] continuazione del manoscritto - se mi riesce in qualche modo di fare un buon colpo finanziario. Non credo che nessuno mai abbia scritto su "il denaro" con una tale mancanza di denaro. La maggior parte degli autores di questo subject erano in pace assoluta col subject of their researches [*20].
Se a Berlino la cosa avrà successo, è possibile che io esca da tutte queste miserie. Ne è proprio high time [*21].
Tuo K. M.
Marx a Weydemeyer, 1 febbraio 1859
Caro Weiwi,
[...] E ora passiamo all'argomento principale. La mia Critica dell'economia politica uscirà a fascicoli (il primo fascicolo tra 10 giorni da oggi) presso Franz Duncker, a Berlino (Bessersche Verlagsbuchandlung). Solo lo straordinario zelo e la forza persuasiva di Lassalle hanno potuto indurre Duncker a questo passo. Si è però riservato una scappatoia. Il contratto definitivo dipende dalla vendita del primo fascicolo.
Suddivido tutta l'economia politica in 6 libri: capitale, proprietà fondiaria, lavoro salariato, Stato, commercio estero, mercato mondiale.
Il libro I sul capitale è composto di 4 sezioni.
Sezione I: Il capitale in generale si divide in tre capitoli: 1) La merce; 2) Il lavoro o la circolazione semplice; 3) Il capitale, 1) e 2) about 10 fogli, costituiscono il contenuto dei primi fascicoli che usciranno. Tu comprendi i motivi politici che mi hanno indotto a indugiare col 3º capitolo del Capitale, fino a quando non avrò di nuovo rafforzato la mia posizione.
Il contenuto dei fascicoli che stanno per uscire è il seguente:
Primo fascicolo: La merce.
A. Cenni storici sull'analisi della merce. William Petty (inglese dei tempi di Carlo II); Boisguillebert (Luigi XIV); B. Franklin (primo scritto giovanile 1719); i fisiocratici, Sir James Steuart; Adam Smith, Ricardo e Sismondi.Secondo capitolo: Il denaro ossia la circolazione semplice.
1. Misura dei valori.
B. Teorie sull'unità di misura del denaro (Fine del XVI secolo, Locke e Lowndes; il vescovo Berkeley (1750). Sir James Steuart; i lord Castlereagh, Thomas Attwood, John Gray, proudhoniani).
2. Mezzi di circolazione.
a) La metamorfosi delle merci.
b) La circolazione del denaro.
c) Moneta. Segno di valore.
3. Denaro.
a) Tesaurizzazione.
b) Mezzo di pagamento.
c) Moneta mondiale (money of the world).
4. I metalli nobili.
5. Teorie su mezzo di circolazione e denaro (Sistema monetario: Spectator, Montesquieu, David Hume, Sir James Steuart, A. Smith, J. B. Say, bullion committee, Ricardo, James Mill, lord Overstone e scuola, Thomas Tooke, James Wilson, John Fullarton).
In questi due capitoli viene contemporaneamente scalzato dalle fondamenta il socialismo proudhoniano, ora fashionable [*22] in Francia, il quale vuole conservare la produzione privata, ma vuole organizzare lo scambio dei prodotti privati, vuole la merce, ma non il denaro. Il comunismo deve, prima di ogni altra cosa, sbarazzarsi di questo "falso fratello". Ma, a prescindere da ogni fine polemico, tu sai che l'analisi delle forme semplici del denaro è la parte più difficile, perché più astratta, dell'economia politica.
Spero di conquistare al nostro partito una vittoria scientifica. Ma esso da parte sua deve mostrare ora se è abbastanza numeroso da comperare un numero di copie sufficiente a placare gli "scrupoli di coscienza" dell'editore. Dalla vendita del primo fascicolo dipende il proseguimento dell'impresa. Non appena ho un contratto definitivo, tutto è all right [*23].
Salve
Tuo K. Marx
Note
*1. Piuttosto.
*2. Naturalmente.
*3. Se si preferisce.
*4. In qualità di.
*5. Dopo tutto questo.
*6. Interferire. Non importa.
*7. Mio.
*8. Eccetto.
*9. Forza e vigore.
*10. Breve disegno della prima parte.
*11. Bene (è difficile per me scrivere oggi).
*12. Utilità.
*13. Utilizzabilità.
*14. Tesaurizzazione.
*15. Come tali.
*16. Per la prossima volta.
*17. Su tutte le cose e su altre ancora.
*18. Ma questa è la ferrea necessità.
*19. Per ciò che riguarda la.
*20. Argomento delle loro ricerche.
*21. Tempo.
*22. Di moda.
*23. In ordine.