INDICE
3.4. CONCORRENZA
3.4.Plusvalore. Tempo di produzione. Tempo di circolazione. Tempo di rotazione
3.4.Concorrenza.
3.4.Plusvalore. Tempo di produzione. Tempo di circolazione. Tempo di rotazione. Una parte del capitale nel tempo dì produzione, una parte nel tempo di circolazione. Tempo di circolazione. Plusvalore e fase di produzione. Il numero delle riproduzioni del capitale = al numero delle rotazioni. Plusvalore complessivo.
3.4.Ricambio formale e ricambio materiale nella circolazione del capitale. M—D-—M. D—M—D
3.4.Differenza tra tempo di produzione e tempo di lavoro. Storch. Denaro. Ceto mercantile. Credito. Circolazione.
3.4.La piccola circolazione. Il processo di scambio tra capitale e forza-lavoro in generale. Il capitale nella riproduzione della forza-lavoro.
3.4.Triplice determinazione o modo della circolazione. Capitale fisso e capitale circolante. Tempo di rotazione del capitale complessivo suddiviso in capitale circolante e capitale fisso. Rotazione media di un capitale di tal genere. Influenza del capitale fisso sul tempo di rotazione complessivo del capitale. Capitale fisso circolante. Say. Smith. Lauderdale. (Lauderdale sull'origine del profitto)
3.4.II processo di lavoro. Capitale fisso. Mezzo di lavoro. Macchina. Capitale fisso. Trasposizione delle forze di lavoro in forze del capitale, sia come capitale fisso che come capitale circolante. In che misura il capitale fisso (macchina) crea valore. Lauderdale. La macchina presuppone una massa di operai.
3.4.Capitale fisso e capitale circolante come due specie particolari di capitale. Capitale fisso e continuità del processo di produzione. Macchine e lavoro vivo. (L'invenzione come attività economica)
3.4.Contraddizione tra la base della produzione borghese (misura del valore) e il suo sviluppo stesso. Macchine ecc
3.4.Significato dello sviluppo del capitale fisso (per lo sviluppo del capitale in generale). Rapporto tra creazione di capitale fisso e capitale circolante. Tempo disponibile. Crearlo è la vocazione fondamentale del capitale. Sua forma antitetica nel capitale. Produttività del lavoro e produzione di capitale fisso. (The Scurce and Remedy). Uso e consumo: Economist. Durabilità del capitale fisso.
3.4.Risparmio reale — economia — = risparmio di tempo di lavoro = sviluppo della produttjvità. Soppressione dell'antitesi tra tempo libero e tempo di lavoro. La vera comprensione del processo sociale di produzione.
3.4.La concezione storica di Owen della produzione industriale (capitalistica)
3.4.Capitale e valore, agenti naturali. L'entità del capitale fisso è l'indice del livello della produzione capitalistica. Determinazione di materia prima prodotto, strumento di produzione, consumo. Il Denaro è capitale fisso o capitale circolante? Capitale fisso e capitale circolante in rapporto al consumo individuale.
3.4.Tempo di rotazione del capitale consistente in capitale fisso e capitale circolante. Tempo di riproduzione del capitale fisso. Riguardo al capitale circolante, l'interruzione deve solo non essere tanto grande da rovinare il suo valore d'uso. Riguardo al capitale fisso, la continuità della produzione è assolutamente necessaria ecc. L'unità di tempo per il lavoro è il giorno; per il capitale circolante, l'anno. Con l'intervento del capitale fisso un più lungo periodo complessivo globale costituisce l'unità. Ciclo industriale. Circolazione del capitale fisso. Il cosiddetto rischio. Che tutte le patti del capitale diano uniformemente un profitto - è falso. Ricardo ecc. Una medesima merce ora è capitale fisso, ora è capitale circolante. Vendita del capitale in quanto capitale. Capitale fisso che entra in circolazione come valore d'uso. Ciascun momento che è presupposto dalla produzione, è al tempo stesso suo risultato. Riproduzione delle sue proprie condizioni. Riproduzione del capitale come capitale fisso e capitale circolante.
3.4.16 Capitale fisso e capitale circolante. Economist. Smith. L'equivalente del
capitale circolante deve essere prodotto nell'anno. Quello del capitale fisso, no.
Esso impegna la produzione di anni successivi
3.4.Frais d'entreien
3.4.Reddito da capitale fisso e da capitale circolante
3.4.Lavoro libero = pauperismo latente. Eden.
3.4.Quanto più basso è il valore del capitale fisso in rapporto al suo prodotto, tanto più esso è adeguato allo scopo. Mobile e immobile, fisso e circolante. Nesso tra circolazione e riproduzione. Necessità della riproduzione del valore d'uso in un tempo determinato
[[La concorrenza, poiché si presenta storicamente come dissoluzione di obblighi corporativi, disposizioni governative, dazi interni e simili nell'ambito di un paese, e come soppressione di barriere, proibizioni o protezioni sul mercato mondiale — e insomma si presenta, storicamente, come negazione dei limiti e degli ostacoli propri dei livelli di produzione che precedono il capitale; poiché storicamente è stata definita del tutto giustamente e caldeggiata dai fisiocratici come laissez taire, laissez passer, essa non è stata mai considerata anche da questo lato puramente, negativo, da questo suo lato puramente storico, e d'altra parte è stata ancor più scioccamente considerata come la collisione degli individui emancipati, determinati soltanto dai loro interessi egoistici — come attrazione e repulsione degli individui liberi nella loro relazione reciproca, e quindi come la forma assoluta di esistenza della libera individualità nella sfera della produzione e dello scambio. Niente di più falso.
1) Se la libera concorrenza ha dissolto gli ostacoli dei precedenti modi e rapporti di produzione, occorre d'altra parte anzitutto considerare che quelli che per essa sono ostacoli, per i precedenti modi di produzione furono limiti immanenti, entro i quali essi si svilupparono e si mossero naturalmente. Questi limiti diventano ostacoli solo dopo che le forze produttive e i rapporti di traffico si sono sviluppati in maniera sufficiente da consentire al capitale come tale di cominciare a presentarsi come principio regolatore della produzione. I limiti che esso ha abbattuto costituivano degli ostacoli per il suo movimento, sviluppo e realizzazione. Con ciò esso non soppresse né tutti i limiti né tutti gli ostacoli; bensì solo quei limiti ad esso non corrispondenti, che per esso costituivano ostacoli. Nell'ambito dei suoi limiti propri — per quanto da un punto di vista più alto essi si presentino come ostacoli alla produzione e come tali vengano posti dal suo stesso sviluppo storico — esso si sente libero, senza ostacoli, limitato soltanto da se stesso e dalle sue stesse condizioni di vita: proprio come l'industria corporativa all'epoca della sua fioritura trovò nell'organizzazione corporativa tutta la libertà di cui aveva bisogno, ossia i suoi corrispondenti rapporti di produzione. Fu essa stessa anzi a partorirli dal suo grembo e a svilupparli come sue condizioni immanenti, non dunque come ostacoli esterni e restrittivi. // lato storico della negazione del sistema corporativo ecc. da parte del capitale mediante la libera concorrenza, non significa poi nient'altro che questo: che il capitale divenuto sufficientemente forte, ha abbattuto col sistema di relazioni che gli è adeguato gli ostacoli storici che impacciavano e ostacolavano il movimento che gli è adeguato. Ma la concorrenza è ben lungi dall'avere questo mero significato storico o dall'essere questo mero elemento negativo. La libera concorrenza è la relazione del capitale con se medesimo in quanto altro capitale, ossia la condizione reale del capitale in quanto
capitale. Le leggi interne del capitale — che nei primi livelli storici del suo sviluppo si presentano come semplici tendenze — giungono a porsi come leggi; la produzione basata sul capitale si pone nelle sue forme adeguate solo in quanto e nella misura in cui si sviluppa la libera concorrenza, giacché questa è il libero sviluppo del modo di produzione basato sul capitale; il libero sviluppo delle sue condizioni e di esso in quanto processo di riproduzione perenne di queste condizioni. Non gli individui, ma il capitale è posto in condizioni di libertà nella libera concorrenza. Fin quando la produzione che poggia sul capitale è la forma necessaria e perciò più adeguata per lo sviluppo della produttività sociale, il movimento degli individui nell'ambito delle pure condizioni del capitale si presenta come loro libertà; la quale però poi viene anche dogmaticamente assicurata, in quanto tale, da una costante riflessione sugli ostacoli abbattuti dalla libera concorrenza. La libera concorrenza è lo sviluppo reale del capitale. Essa impone come necessità esterna per il singolo capitale ciò che corrisponde alla natura del capitale, al modo di produzione basato sul capitale, al concetto di capitale. La coercizione reciproca che in essa esercitano i capitali, l'uno sull'altro, sul lavoro ecc. (la concorrenza reciproca tra gli operai non è che una forma diversa della concorrenza tra i capitali), è il libero e al tempo stesso reale sviluppo della ricchezza in quanto capitale. Ciò è tanto vero che i più profondi pensatori dell'economia, come per esempio Ricardo, presuppongono il dominio assoluto della libera concorrenza per poter adeguatamente studiare e formulare le leggi del capitale — le quali si presentano nello stesso tempo come le tendenze vitali che lo dominano. Ma la libera concorrenza è la forma adeguata del processo produttivo del capitale. Quanto più essa è sviluppata, tanto più pure risultano le forme del movimento del capitale. Ciò che con questo Ricardo, per esempio, ha ammesso malgré lui, è la natura storica del capitale e il carattere limitato della libera concorrenza, la quale appunto non è altro che il libero movimento dei capitali, ossia il loro movimento nell'ambito di condizioni che non appartengono a precedenti livelli dissolti, ma sono piuttosto condizioni proprie del capitale. // dominio del capitale è il presupposto della libera concorrenza, proprio come il dispotismo imperiale romano fu il presupposto del libero «diritto privato» romano. Fin quando il capitale è debole, esso si aggrappa alle grucce dei modi di produzione tramontati o che tramontano al suo apparire. Ma non appena si sente forte, esso getta via le grucce e si muove secondo le sue proprie leggi. Non appena comincia ad avere la sensazione e la consapevolezza di essere esso stesso un ostacolo allo sviluppo, subito cerca scampo verso forme le quali, mentre danno l'illusione di perfezionare il dominio del capitale imbrigliando la libera concorrenza, annunciano nello stesso tempo la dissoluzione sua e del modo di produzione che su di esso si fonda. Ciò che è implicito nella natura del capitale viene solo reso realmente esplicito, come una necessità esterna; e il mezzo è la concorrenza, la quale poi non è altro che questo: che i molti capitali si impongono reciprocamente e impongono a se stessi le determinazioni immanenti del capitale. Nessuna categoria dell'economia borghese, nemmeno la prima, per esempio la determinazione del valore, giunge perciò ad essere reale attraverso la libera concorrenza — vale a dire attraverso il processo reale del capitale, che si presenta come azione reciproca dei capitali e di tutti gli altri rapporti di produzione e di traffico determinati dal capitale. Di qui, d'alta parte, l'insulsaggine di considerare la libera concorrenza quale ultimo sviluppo della libertà umana; e la negazione della libera concorrenza equivale alla negazione della libertà individuale e della produzione sociale basata sulla libertà individuale. Si tratta appunto solamente dello sviluppo libero su una base limitata — sulla base del dominio del capitale. Questo genere di libertà individuale è perciò al tempo stesso la più completa soppressione di ogni libertà individuale e il più completo soggiogamento dell'individualità alle condizioni sociali, le quali assumono la forma di poteri oggettivi, anzi di oggetti prepotenti — la forma delle cose indipendenti dagli stessi individui e dalle loro relazioni.
Sviluppare ciò che la libera concorrenza è, costituisce l'unica risposta razionale ai profeti della middle-class che la osannano e ai socialisti che la maledicono. Quando si dice che nell'ambito della libera concorrenza gli individui, seguendo il loro puro interesse privato, realizzano l'interesse comune o piuttosto generale, non si dice altro se non che essi si comprimono reciprocamente entro le condizioni della produzione capitalistica, e che perciò il loro stesso urto reciproco non è altro che la riproduzione delle condizioni entro le quali si verifica questa azione reciproca. Non appena del resto l'illusione sulla concorrenza quale presunta forma assoluta della libera individualità svanisce, ecco la prova che le condizioni della concorrenza, ossia della produzione basata sul capitale, vengono già avvertite e pensate come ostacoli, e quindi già lo sono e lo diventano sempre più. L'asserzione che la libera concorrenza equivale all'ultima forma di sviluppo delle forze produttive e quindi della libertà umana, non significa altro se non che il dominio della middle-class è il termine ultimo della storia mondiale — un'idea senza dubbio allettante per i parvenus dell'altro ieri]].
3.4.1 - [[ Plusvalore - Tempo di produzione. Tempo di circolazione, Tempo di rotazione]]
Prima di procedere nella revisione delle teorie sui capitale fisso e capitale circolante, ritorniamo per un momento su quanto abbiamo sviluppato prima.
Assumiamo provvisoriamente che tempo di produzione e tempo di lavoro coincidano. Il caso in cui nell'ambito della stessa fase di produzione hanno luogo interruzioni condizionate dal processo tecnologico, verrà preso in considerazione più avanti.
Poniamo che la fase di produzione di un capitale equivalga a 60 giornate lavorative, di cui 40 siano costituite da tempo di lavoro necessario. Secondo la legge precedentemente sviluppata, il plusvalore, o valore creato ex novo dal capitale, ovverosia tempo di lavoro altrui appropriato, sarà dunque 60 — 40 = 20. Chiamiamo P questo plusvalore (=20), e p la fase di produzione — o il tempo di lavoro usato durante la fase di produzione. In un periodo di tempo che chiamiamo T — per es. di 360 giorni — il valore complessivo non può mai superare il numero delle fasi di produzione contenuto in 360 giorni. Il massimo coefficiente di P — ossia il massimo di plusvalore che il capitale può creare sotto le premesse date — è uguale al numero di volte in cui si ripete la creazione di P in 360 giorni. I limiti estremi di questa ripetizione — della riproduzione del capitale o meglio, ora, della riproduzione del suo processo di produzione — sono determinati dal rapporto tra periodo di produzione e periodo di tempo complessivo in cui si ripeterà la riproduzione del processo di produzione. Se il tempo dato = 360 giorni, e la fase di produzione = 60 giorni, il coefficiente che indica quante volte p è contenuto in T — o quante volte può essere ripetuto, conformemente ai suoi limiti immanenti, il processo di riproduzione del capitale in 360 giorni — sarà 360/60 o T/p, ossia 6. Va da sé che il massimo di creazione di P, ossia di creazione di plusvalore, è dato dal numero dei processi in cui è possibile produrre P in un dato periodo di tempo. Il quoziente di T/p, che chiamiamo q, è il massimo coefficiente di P nel tempo di 360 giorni, e cioè in T
P.T/p o P. q è il massimo valore.
Se T/p = q, T = p.q; ossia tutto il periodo di tempo di T sarebbe tempo di produzione; la fase di produzione p si ripete tante volte quante è contenuta in T. La creazione di valore complessiva del capitale in un determinato tempo sarebbe = pluslavoro che esso si appropria in un'unica fase di produzione, moltiplicato per il numero di volte in cui questa fase di produzione è contenuta in quel determinato tempo; quindi, riferendoci all'esempio precedente, essa sarebbe = 20 x 360/60 = 20 x 6 = 120 giorni, q, ossia T/p esprimerebbe il numero delle rotazioni del capitale; ma siccome T = p.q, sarebbe p = T/q ossia la durata di un'unica fase di produzione sarebbe uguale al tempo complessivo diviso per il numero delle rotazioni. Un'unica fase di produzione del capitale sarebbe dunque uguale ad una rotazione del medesimo. Tempo di rotazione e tempo di produzione sarebbero del tutto identici; il numero di rotazioni per conseguenza verrebbe determinato esclusivamente dal rapporto tra un'unica fase di produzione e il tempo complessivo.
Solo che in questa premessa il tempo di circolazione è posto = 0. Esso invece ha una determinata grandezza che non può mai diventare = 0. Facciamo allora l'ipotesi che a 60 giorni di tempo di produzione, o a 60 giorni di produzione, si aggiungano 30 giorni di circolazione; e chiamiamo e questo tempo di circolazione, che si aggiunge a p. In tal caso una rotazione del capitale, ossia il tempo complessivo che gli occorre prima di poter ripetere il processo di valorizzazione — la creazione di plusvalore —, sarebbe uguale a 30+60=90 giorni (= p + e) (1 R (rotazione)= p + e). Una rotazione di 90 giorni può essere ripetuta, in 360 giorni, 360/90 volte, ossia 4 volte. Il plusvalore di 20 potrebbe essere creato dunque soltanto 4 volte; 20 x 4 = 80. In 60 giorni il capitale produce un surplus di 20 giorni; ma esso deve circolare 30 giorni, il che vuol dire che durante questi 30 giorni non può creare alcun pluslavoro, alcun plusvalore. Dal punto di vista del risultato esso ottiene la stessa cosa che se avesse solamente creato in 90 giorni un plusvalore di 20 giorni. Se prima il numero delle rotazioni era determinato da T/p, ora lo è da
T/( p + e) o T/R ;
il massimo di valore era PT/p; il plusvalore realmente creato è ora
PT/(p+c);
[ 20.300/(60+30)] = 20. 360/90 = 20 x 4 = 80
Il numero di rotazioni è dunque = al tempo complessivo diviso per la somma del tempo di produzione e del tempo di circolazione, e il valore complessivo è = P moltiplicato per il numero di rotazioni. Ma questa espressione non ci è ancora sufficiente per esprimere i rapporti tra plusvalore, tempo di produzione e tempo di circolazione.
La formula PT/p racchiude il massimo di creazione di valore; la formula PT/ (p+c) o PT/R racchiude invece il plusvalore reale limitato dal tempo di circolazione; sottraendo la seconda quantità dalla prima avremo
PT/p - PT/ (p+c) = [PT.(p+c) - PT.p] : p.(p+c) = (PTp + PTc - PTp) : p.(p+c)
Noi otteniamo dunque come differenza
PT/ p(p+c) o PT/p x c/(p+c);
PT/(p+c) o P', come possiamo chiamare il valore nella seconda accezione,
P' = PT/p - [PT/p x c/(p+c)]
Ma prima di sviluppare ulteriormente questa formula, dobbiamo introdurne altre.
Chiamando q' il quoziente di T/(p+c), q' ci dice quante volte R = (p+c) è contenuto in T, esprime cioè il numero delle rotazioni. Se T/(p+c) = q', T = pq'+cq', ove pq' esprime il tempo di produzione complessivo e cq' il tempo complessivo di circolazione.
Chiamiamo ora C il tempo complessivo di circolazione (quindi cq' = C).
(T(360) = 4 x 60(240)+4 x 30(120)).
q' = 4 per presupposto.
Avremo allora C = cq' = 4c; 4 essendo = al numero di rotazioni.
Abbiamo visto prima che il massimo di creazione di valore = PT/p ; ma in questo caso T equivaleva al tempo di produzione. Il tempo di produzione reale è ora invece T — q; come risulta anche dall'equazione.
T = pq' (tempo complessivo di produzione) +cq' (tempo complessivo di circolazione o C). Dunque T — C = cq'.
Il massimo di creazione di valore sarà allora
P x (T- C)/p
In quanto il tempo, di produzione non è 360 giorni, bensì 360 — cq', ossia — 4 X 30, cioè —120; avremo dunque
20 x (360 -120)/60 = 20 x 240/60 = 80
Per quanto riguarda ora finalmente la formula
P' = PT/p - [PT/p x c/(c+p)] = 360 x 20/60 - [360 x 20/60 x 30/(30 + 60)] =
120 - (120 x 30/90) = 6 x 20 - (20 x 6 x 1/3) o = 120 - (120 x 1/3) = 120 - 40 = 80
essa ci dice che il valore è uguale al valore massimo, ossia al valore determinato semplicemente dal rapporto tra e tempo complessivo, meno il quante volte il tempo di circolazione è contenuto in questo numero, più c/(c+p) = c/R;
c/R esprime il rapporto tra tempo di circolazione e un'unica rotazione del capitale. Moltiplicando il numeratore e il denominatore per q',
cq' / [(c+p).q'] = C/T,
c/(c+p) = 30 /(30+60) = 1/3
c/(c+p) o 1/3 esprime il rapporto tra tempo di circolazione e tempo complessivo, giacché 360/3 = 120. La circolazione (c+p) è n C contenuta c/(c+p) o 1/3 o c/T volte, e questo numero è il massimo stesso moltiplicato per il numero di volte in cui una rotazione è contenuta in e, nel tempo di circolazione che occorre per una rotazione, o diviso per il numero che esprime quante volte e è contenuto in c+p, o C è contenuto in T
Se fosse c=0, sarebbe P'= PT/p e sarebbe al suo massimo. P' si riduce nella stessa misura in cui aumenta C, è inversamente proporzionale ad esso, giacché nella stessa misura aumenta il fattore c/(c+p) e quello di PT/p.
Il numero da sottrarre dal valore massimo è
PT/p x c/(c+p) o PT/p x c/R
Abbiamo dunque le tre formule:
)P'= PT/(p+c) = PT/R
)2) P' = P(T-C)/p
)P' = PT/p - [PT/p x c/(c+p)] = P [T/p - (T/p x c/(c+p)] Quindi :
P . P' = PT/p : P(T-C)/p o
P'= T.(T-C)
Il valore massimo sta al valore reale come un dato periodo di tempo sta a questo periodo di tempo meno il tempo di circolazione complessivo. 0 anche
P : P' = pq : (pq'—q'c), ossia = p : (p—e).
Ad 3) P' = PT/p - [PT/p x c/(c+p)] = P [T/p - (T/p x c/(c+p)]
oppure, essendo T/p = q,
P' = P. [q - q. c/(c+p)] = P . ( q - q . c/R)
Il plusvalore complessivo dunque = plusvalore creato in una fase di produzione, il cui coefficiente è dato dal numero di volte in cui il tempo di produzione è contenuto nel tempo complessivo, meno il numero di volte in cui il tempo di circolazione di una rotazione è contenuto in quest'ultimo numero.
P . ( q - q . c/R) = Pq . (1 - c/R) = Pq . [(R - e) / R] = Pqp/R = PT/ (p+c')
che è la prima formula. Così la formula 3 afferma ...
La formula 1 afferma: Il plusvalore complessivo è uguale al plusvalore di una fase di produzione moltiplicato per il tempo complessivo, diviso per il tempo di rotazione o moltiplicato per il numero di volte in cui la somma del tempo di produzione e del tempo di circolazione è contenuta nel tempo complessivo.
La formula 2 afferma: Il valore complessivo è uguale al plusvalore moltiplicato per il tempo complessivo, meno il tempo di circolazione complessivo, diviso per la durata di una fase di produzione]].
3.4.2 - CONCORRENZA
(La legge fondamentale della libera concorrenza — il cui sviluppo si differenzia da quella stabilita per il valore ed il plusvalore — è che il valore è determinato non dal lavoro in esso contenuto o dal tempo di lavoro in cui esso è prodotto, bensì dal tempo di lavoro in cui può essere prodotto o dal tempo di lavoro necessario alla riproduzione. Solo per questa via il singolo capitale è posto realiter nelle condizioni del capitale in generale, sebbene ciò abbia la parvenza di un rovesciamento della legge originaria. Ma ciò che così è posto non è che il tempo di lavoro necessario, in quanto determinato dal movimento del capitale stesso. Questa è la legge fondamentale della concorrenza. Domanda, offerta, prezzo (costi di produzione), sono determinazioni formali ulteriori; il prezzo come prezzo di mercato; o il prezzo generale. Indi la creazione di un saggio generale del profitto; indi il ripartirsi dei capitali in diverse branche come conseguenza del prezzo di mercato, l'abbassamento dei costi di produzione ecc. Insomma: qui tutte le determinazioni si presentano invertite rispetto alla posizione che hanno nel capitale in generale. Lì il prezzo è determinato dal lavoro, qui il lavoro è determinato dal prezzo ecc. ecc. L'azione reciproca dei singoli capitali l'uno sull'altro genera appunto la necessità che essi si comportino come capitale; è proprio l'azione apparentemente indipendente dei singoli e il loro scontrarsi senza una regola, a porre la loro legge generale. Il mercato riceve qui un ulteriore significato. L'azione reciproca dei capitali come singoli diventa appunto il loro porsi come generali e la soppressione
dell'apparente indipendenza e dell'autonoma esistenza dei singoli. Questa soppressione si verifica ancor più nel credito. Ed è la forma estrema a cui giunge tale soppressione, che però nello stesso tempo è la posizione ultima a del capitale nella sua forma ad essa adeguata — il capitale azionario). (Domanda, offerta, prezzo, costi di produzione, antitesi profitto, interesse, relazioni diverse tra valore di scambio e valore d'uso, tra consumo e produzione).
3.4.3 - [Plusvalore. Tempo di produzione. Tempo di circolazione. Tempo di rotazione. Una parte del capitale nei tempo di produzione, una parte nel tempo di circolazione. - Tempo di circolazione. - Plusvalore e fase di produzione. - Il numero delle riproduzioni dei capitale = al numero delle rotazioni. . Plusvalore complessivo ecc.]
Abbiamo visto dunque che il plusvalore che il capitale può creare in un determinato periodo di tempo è determinato dal numero di volte in cui è possibile ripetere il processo di valorizzazione o riprodurre il capitale in un determinato periodo di tempo; ma che il numero di queste riproduzioni è determinato dal rapporto tra la durata della fase di produzione non con il periodo di tempo complessivo, bensì con questo tempo complessivo meno il tempo di circolazione. Il tempo di circolazione si presenta dunque come tempo in cui la capacità del capitale di riprodurre se stesso e quindi il plusvalore, è soppressa. La sua produttività — ossia il suo creare plusvalori — è inversamente proporzionale al tempo di circolazione, e raggiungerebbe il massimo se quest'ultimo scendesse a 0. La circolazione, coincidendo col decorso del capitale attraverso i diversi, e concettualmente determinati momenti della sua necessaria metamorfosi — del suo processo vitale, è condizione irremissibile per il capitale, condizione posta dalla sua stessa natura. Finché questo decorso costa tempo, [si svolge] in quel tempo in cui il capitale non può aumentare il suo valore perché è non -tempo di produzione, tempo in cui il capitale non si appropria di lavoro vivo. Questo tempo di circolazione non può dunque mai aumentare il valore creato dal capitale, ma soltanto creare un tempo che non crea valore, e quindi può presentarsi solo come ostacolo all'aumento del valore, nel medesimo rapporto in cui esso sta col tempo di lavoro. Questo tempo di lavoro non può essere calcolato in rapporto al tempo che crea valore, giacché questo è soltanto tempo di lavoro che si oggettiva nel valore. Esso non rientra nei costi di produzione del valore, e tanto meno nei costi di produzione del capitale; ma è una condizione aggravante della sua autoriproduzione. Gli impedimenti che il capitale trova nel valorizzarsi — cioè nell'appropriami di lavoro vivo — non costituiscono naturalmente affatto un momento della sua valorizzazione, della sua creazione di valore. È perciò ridicolo prendere qui i costi di produzione nel senso primitivo. Oppure noi dobbiamo scindere i costi di produzione come forma particolare, dal tempo di lavoro che si oggettiva nel valore (cosi come dobbiamo scindere il profitto dal plusvalore). Ma anche allora il tempo di circolazione non rientra nei costi di circolazione del capitale nello stesso senso in cui vi rientra il salario ecc.; esso è piuttosto un item, del che occorre tener conto nel bilancio comparativo dei singoli capitali, perché essi si spartiscono il plusvalore in certe proporzioni generali. Il tempo di circolazione non è il tempo in cui il capitale crea valore, ma quello in cui esso realizza il valore creato nel processo di produzione. Il capitale non accresce la sua quantità; bensì pone il valore in un'altra determinazione formale corrispondente, e cioè dalla determinazione di prodotto in quella di
merce, da quella di merce in quella di denaro ecc., per il fatto che il prezzo, che prima nella merce esisteva idealmente, ora viene posto realmente; ma per il fatto che essa ora si scambia realmente col suo prezzo — denaro — non per questo naturalmente tale prezzo aumenta. Il tempo di circolazione non si presenta dunque come tempo che determina il prezzo, e il numero delle rotazioni, nella misura in cui è determinato dal tempo di circolazione, non si presenta come apporto, da parte del capitale, di un nuovo elemento valorizzante, elemento che, a differenza del lavoro, gli appartiene, un elemento sui generis, bensì come principio limitante, negativo. La tendenza necessaria del capitale è perciò quella della circolazione senza tempo di circolazione, e questa tendenza è la ragion d'essere del credito e dei meccanismi creditizi del capitale.
D'altra parte il credito è poi anche la forma in cui il capi tale cerca di distinguersi dai singoli capitali, o il singolo capitale in quanto capitale cerca di distinguersi dalla sua limitazione quantitativa. I massimi risultati a cui però esso conduce, su tale linea, sono, da un lato, il capitale fittizio [fictitius capital]; dall'altro il credito soltanto come nuovo elemento di concentrazione, di dissoluzione dei capitali nella centralizzazione di singoli capitali. Il tempo di circolazione, per un verso, [è] oggettivato nel denaro. Il credito tenta di porre il denaro come mero momento formale, in modo da mediare il mutamento di forma senza essere esso stesso capitale, ossia valore. Questa è una forma della circolazione senza tempo di circolazione. Il denaro è esso stesso un prodotto della circolazione. Si vedrà come nel credito il capitale crei nuovi prodotti di circolazione. Ma se da un lato il capitale mira ad una circolazione senza tempo di circolazione, dall'altro esso tenta di dare al tempo di circolazione in quanto tale il valore di tempo di produzione nei diversi organi in cui si media il processo di circolazione e il processo del tempo di circolazione, di dargli cioè un valore, di porli tutti come denaro, e, in ulteriore determinazione, come capitale. Questo è un altro lato del credito. Ma tutto ciò scaturisce da una medesima fonte. Tutte le esigenze della circolazione, denaro, trasformazione da merce in denaro, trasformazione da denaro in merce ecc. — sebbene assumano forme diverse e apparentemente del tutto eterogenee — si possono ridurre tutte a tempo di circolazione. Ad esso si deve persino il meccanismo della sua riduzione. Il tempo di circolazione è il tempo del capitale, che può essere considerato come il tempo del suo specifico movimento di capitale, distinto dal tempo di produzione nel quale esso si riproduce; dura, ma non come capitale finito che abbia da subire soltanto delle vicende formali, bensì come capitale processuale, creativo, che succhia dal lavoro l'anima che lo fa vivere.
L'antitesi tra tempo di lavoro e tempo di circolazione contiene l'intera dottrina del credito, nella misura in cui vi rientra specialmente la storia della currency, ecc. È naturale poi che in seguito, là dove non solo il tempo di circolazione è una detrazione dal tempo di produzione possibile, compaiano, oltre a ciò, costi reali di circolazione, il che vuol dire che occorre mettere realmente in circolazione valori già creati. Ma tutti questi non sono altro, di fatto, che costi — detrazioni dal plusvalore già creato — che il capitale si accolla per aumentare la possibile somma di plusvalori di un anno, per esempio, ossia la parte aliquota del tempo di produzione che incide su un determinato tempo — cioè per ridurre il tempo di circolazione. Naturalmente in pratica poi il tempo di produzione non appare realmente interrotto dal tempo di circolazione (se non in periodi di crisi e di depressione economica). Ma ciò accade solo perché ciascun capitale si divide in porzioni, una porzione nella fase di produzione, un 'altra nella fase di circolazione. Così per esempio (a seconda del rapporto tra tempo di circolazione e tempo di produzione) non tutto il capitale è attivo, ma solo 1/3, 1/X di esso, mentre il resto è in circolazione. Oppure la cosa può anche configurarsi così: che un determinato capitale (attraverso il credito per esempio) si raddoppia. Per questo capitale allora — il capitale originale — è come se il tempo di circolazione non esistesse. Ma allora è il capitale da esso preso a prestito a trovarsi in
questa situazione. E se si prescinde dalla proprietà, è di nuovo come se si fosse diviso in due un capitale. Invece di essere diviso a in due e b in due, a attrae a sé b e si divide in a e b. Illusioni su questo processo ne troviamo in quantità presso i creditori (che raramente sono creditori, e piuttosto sono debitori).
Noi abbiamo già accennato prima al fatto che la duplice e contraddittoria condizione del capitale, la continuità della produzione, e la necessità del tempo di circolazione, o anche la continuità della circolazione (tempo di circolazione zero) e la necessità del tempo di produzione, può essere mediata soltanto dal fatto che il capitale si divide in porzioni, delle quali l'una circola come prodotto finito, l'altra si riproduce nel processo di produzione, e queste porzioni si alternano, sicché quando l'una ritorna nella fase P (processo di produzione) l'altra lo lascia. Questo processo si verifica sia quotidianamente che a più ampi intervalli (dimensioni temporali). L'intero capitale e il valore totale sono riprodotti non appena ambedue le porzioni sono passate attraverso il processo di produzione e di circolazione, o anche non appena la seconda porzione entra di nuovo in circolazione. Il punto di partenza dunque è il punto di arrivo. La rotazione perciò dipende dalla grandezza del capitale o piuttosto, qui, ancora dalla somma totale di queste due porzioni. Solo quando questa è riprodotta, l'intera rotazione è compiuta; altrimenti, lo è solo 1/2, 1/3, 1/X, a seconda dei rapporto della parte permanentemente circolante.
Si è inoltre rilevato come ciascuna parte possa essere considerata, rispetto all'altra, come fissa o circolante, e come esse stiano alternativamente in tale rapporto reciproco. La simultaneità del processo del capitale in diverse fasi del processo è possibile solo attraverso una sua divisione e separazione in porzioni, ciascuna delle quali è capitale, ma capitale in una diversa determinazione. È un ricambio materiale e formale simile al ricambio organico del corpo. Quando per esempio si dice che il corpo si riproduce in 24 ore, esso non lo fa tutto in una volta, bensì il processo di separazione in una forma e di rinnovamento nell'altra sono divisi, procedono simultaneamente. Del resto nel corpo la struttura ossea costituisce il capitale fisso, e non si rinnova nel medesimo tempo in cui si rinnova la carne e il sangue. Abbiamo cioè diversi gradi di velocità del consumo (dell'autoconsumo) e quindi della riproduzione. (Qui dunque c'è già il passaggio ad una molteplicità di capitali). L'importante qui è anzitutto di tenere presente soltanto il capitale in quanto tale; giacché le determinazioni che qui vengono sviluppate sono quelle determinazioni che fanno del valore in generale il capitale; che cioè costituiscono la differentia specifica del capitale in quanto tale.
Prima di procedere, facciamo ancora una volta attenzione a quel punto importante, che ci dice che il tempo di circolazione — ossia il tempo nel quale il capitale è separato dal processo in cui esso assorbe lavoro, ossia il tempo di lavoro del capitale in quanto capitale
—è soltanto una trasposizione del valore già creato da una determinazione formale all'altra, e non un elemento che crea o aumenta il valore. La trasformazione di un valore di 4 giornate lavorative che esisteva nella forma di filo, nella forma di 4 giornate lavorative che esistono come denaro, ovvero di un simbolo riconosciuto come rappresentante di 4 giornate lavorative in generale, 4 generiche giornate lavorative, traduce il valore già creato e misurato da una forma nell'altra, ma non l'aumenta. Lo scambio di equivalenti le lascia, come quantità di valore, dopo lo scambio quel che erano prima della scambio stesso. Se ci si immagina un unico capitale, o si considerano i diversi capitali di un paese come un unico capitale (capitale nazionale) distinto da quello di altri paesi, allora è chiaro che il tempo nel quale questo capitale non agisce come capitale produttivo, non crea cioè alcun plusvalore, si detrae dal tempo di valorizzazione di cui il capitale dispone. Esso si presenta
—in questa formulazione astratta che ancora prescinde dai costi della circolazione stessa
—come negazione non del tempo di valorizzazione reale, quanto piuttosto di quello possibile, possibile cioè se il tempo di circolazione = 0. È chiaro allora che il capitale
nazionale non può considerare il tempo nel quale esso non si moltiplica, come tempo nel quale esso si moltiplica, così come un contadino isolato non può considerare il tempo nel quale egli non può raccogliere, non può seminare, e in generale il suo lavoro viene interrotto, come tempo che lo arricchisce. Che il capitale, dopo essersi considerato — ed è necessario che sia così — indipendentemente dal lavoro, ossia dall'assorbimento di lavoro che esso esegue come capitale produttivo, fruttifero, ipotizzi di essere fruttifero in tutti i tempi, e calcoli il suo tempo di circolazione come tempo che crea valore, ossia come costo di produzione, — questa è tutt'altra cosa. Donde la falsità dell'affermazione di Ramsay, per esempio, che «l'impiego di capitale fisso modifica considerevolmente il principio per cui il valore dipende dalla quantità di lavoro. Infatti parecchie merci in cui sono state spese eguali quantità d lavoro, richiedono periodi di tempo molto differenti, prima di essere pronte per il consumo. Ma poiché durante questo tempo il capitale non dà alcun provento, affinché l'impiego in questione non sia meno lucrativo di altri in cui il prodotto è pronto al l'uso ben più presto, occorre che la merce, quando finalmente arriva al mercato, abbia un incremento di valore pari a tutto l'importo del profitto trattenuto». (Qui si ipotizza già che il capitale in quanto tale dia costantemente un profitto uniforme, come un buon albero dà i frutti). «Ciò mostra... come il capitale possa determinare il valore indipendentemente dal lavoro». Per esempio, il vino in cantina (Ramsay, IX, 84)1. Qui è come se il tempo di circolazione producesse valore parallelamente — o su un piano equivalente — al tempo di lavoro. Naturalmente il capitale contiene in sé entrambi i momenti. 1) Il tempo di lavoro, come momento che crea il valore. 2) Il tempo di circolazione, come momento che limita il tempo di lavoro e quindi limita la creazione del valore complessivo da parte del capitale; momento necessario perché il valore, o il capitale come risultato immediato del processo di produzione è, sì, valore, ma non posto nella sua forma adeguata. Il tempo, che tali mutamenti di forma esigono — quello cioè che passa tra produzione e riproduzione — è un tempo che sottrae valore al capitale. Se per un verso nella definizione del capitale come capitale circolante, in processo, rientra la continuità, vi rientra anche l'interruzione della continuità.
Gli economisti, nel momento stesso in cui determinano esattamente la circolazione, la rivoluzione che il capitale deve percorrere per accendersi a nuova riproduzione, come une sèrie d'échanges, ammettono spontaneamente che questo tempo di circolazione non può essere un tempo che aumenta la quantità del valore — non può essere cioè un tempo che crea un valore supplementare — giacché une sèrie d'échanges, quanti che siano gli échanges che può includere, e quanto che sia il tempo che può costare il compimento di queste operazioni, non è altro che lo scambio di equivalenti. La posizione dei valori — degli estremi della mediazione — come eguali, non può naturalmente porli come disuguali. Da un punto di vista quantitativo essi non possono essersi né aumentati né diminuiti attraverso lo scambio.
Il plusvalore di una fase di produzione è determinato dal pluslavoro (pluslavoro appropriato) messo in movimento dal capitale durante la fase di produzione stessa; la somma dei plusvalori che il capitale può creare in un determinato periodo di tempo è determinata dalla ripetizione della fase di produzione in tale periodo di tempo; ovvero dalla rotazione del capitale. Ma la rotazione è uguale alla durata della fase di produzione, più la durata della circolazione, ossia alla somma del tempo di circolazione e del tempo di produzione. La rotazione si avvicina tanto più al tempo di produzione stesso quanto più breve è il tempo di circolazione, quel tempo cioè che passa tra l'uscita del capitale dalla produzione e il suo rientro in essa.
1 Cfr. G. RAMSAY, An Essayecc, cit., p. 43;
Il plusvalore è in effetti determinato dal tempo di lavoro oggettivato durante una fase di produzione. Quanto più frequente è la riproduzione del capitale, tanto più si ha la produzione del plusvalore. Il numero delle riproduzioni é = al numero delle rotazioni. Quindi il plusvalore totale è = P x nR (se n è il numero delle rotazioni). P = P x nR; ossia P = P' : nr. Se il tempo di produzione di cui un capitale di 100 ha bisogno in una certa branca industriale è uguale a 3 mesi, allora esso potrebbe compiere 4 rotazioni annuali, e se il plusvalore ogni volta creato è = 5, il plusvalore totale sarebbe uguale a 5 (P creato in una fase di produzione) x 4 (numero delle rotazioni, determinato dal rapporto tra tempo di produzione e anno) = 20. Ma siccome il tempo di circolazione per esempio è = % del tempo di produzione, allora 1 rotazione sarebbe = 3 + 1 mese, uguale cioè 4 mesi, e il capitale di 100 potrebbe compiere soltanto 3 rotazioni all'anno [ P'] = 15. Sebbene dunque il capitale crei in 3 mesi un plusvalore di 5 I., per esso è come se avesse creato in 4 mesi un valore di 5 solamente, perché nell'anno esso può crearne soltanto uno di 5 x 3. Per esso è come se avesse prodotto ogni 4 mesi un P di 5; ossia, in 3 mesi, soltanto 15/4 o 3%, ma in un solo mese di circolazione VA. Nella misura in cui la rotazione 'e distinta dalla durata creata dallo condizioni della produzione stessa, essa è = al tempo di circolazione. Ma questo non è determinato dal tempo di lavoro. Così la somma dei plusvalori che il capitale crea in un determinato periodo di tempo non è semplicemente determinata dal tempo di lavoro, bensì dal tempo di lavoro e dal tempo di circolazione nei rapporti che si sono visti sopra. Ma la determinazione che qui il capitale introduce nella creazione del valore è, come si è mostrato sopra, negativa, limitativa. Se per esempio un capitale di 100 I. ha bisogno di 3 mesi per la produzione, cioè di 90 giorni, allora, se il tempo di circolazione fosse = 0, il capitale potrebbe compiere 4 rotazioni annuali; e il capitale sarebbe continuamente tutto efficace come capitale, ossia come creatore di plusvalore, come valore automoltiplicantesi. Se 80 dei 90 giorni rappresentassero il lavoro necessario, 10 sarebbero di pluslavoro. Supponiamo ora che il tempo di circolazione ammonti al 33%% del tempo di produzione, o ad 1/3 di esso. Dunque ad 1 su 3 mesi. Il tempo di circolazione sarebbe allora = 90/3; la terza parte del tempo di produzione = 30 giorni, e = 1/3p; (e = P/3 ). l/l/e//. Il problema è: quanta parte del capitale può attualmente essere occupata in continuità nella produzione? durante l'intero anno? Se il capitale di 100 avesse lavorato 90 giorni, e come prodotto di 105 circolasse ora per un mese, durante questo mese esso non potrebbe occupare alcun lavoro. (I 90 giorni di lavoro possono essere naturalmente uguali a 3, 4, 5, X volte 90, a seconda del numero di operai occupati durante i 90 giorni. Sarebbero = solo 90 giorni se fosse occupato un solo operaio. Ma per ora ciò non ci interessa). (In tutti questi calcoli il presupposto è che il plusvalore non viene di nuovo capitalizzato, bensì il capitale continua a lavorare con il medesimo numero di operai; ma simultaneamente alla realizzazione del plusvalore, anche l'intero capitale giunge ad essere di nuovo realizzato come denaro). Ciò vuol dire che per un mese il capitale non potrebbe essere minimamente impiegato. (Il capitale di 100 per esempio occupa in modo continuativo 5 operai; ivi è contenuto il loro pluslavoro, e il prodotto che viene fatto circolare non è mai il capitale originario, bensì quello che ha assorbito pluslavoro e perciò ha un plusvalore. Per circolazione di un capitale di 100 dunque va intesa per esempio la circolazione di un capitale di 105; ossia del capitale, più il profitto creato in un atto di produzione. Tuttavia questo erreurè qui indifferente, specie riguardo al problema di cui sopra).
(Supponiamo prodotti 100 I. di filo al termine di tre mesi). Prima che io incassi il denaro e possa ricominciare la produzione passa un mese. Per mettere dunque in movimento il medesimo numero di operai durante questo mese in cui il capitale circola, io dovrei avere un pluscapitale di 33>3 I.; giacché se 100 1. mettono in movimento una determinata quantità di lavoro per tre mesi, 1/3 di 100 1. lo metterebbero in movimento per 1 mese. Al termine del quarto mese il capitale di 100 ritornerebbe nella fase di produzione e quello di
33% entrerebbe nella fase di circolazione. Quest'ultimo utilizzerebbe per la sua circolazione, proporzionalmente, 1/3 di mese; quindi ritornerebbe nella produzione dopo 10 giorni. Il primo capitale potrebbe rientrare nella circolazione soltanto al termine del settimo mese. Il secondo, che, entrato in circolazione all'inizio del 5° mese sarebbe ritornato poniamo il 10 del 5° mese, rientrerebbe in circolazione il 10 del 6° mese e ritornerebbe il 20 del 6° mese, per poi rientrare in circolazione il 20 del 7° mese; al termine del 7° mese esso sarebbe ritornato quando il primo capitale ricomincerebbe il suo corso nello stesso momento in cui ritornerebbe il secondo. Inizio dell'ottavo mese e ritorno il ecc. Inizio del nono ecc. Insomma: se il capitale fosse di 1/3 più grande — pari all'esatto ammontare del tempo di circolazione —, esso potrebbe impiegare continuativamente il medesimo numero di operai. Esso può però anche rimanere continuativamente nella fase di produzione se impiega costantemente 1/3 di lavoro in meno. Se il capitalista comincia con un capitale di 75, al termine del terzo mese la produzione è compiuta; [il capitale] circolerebbe quindi per un mese; durante questo mese però il capitalista potrebbe continuare la produzione, avendo egli trattenuto un capitale di 25, e se gliene occorre 75 per mettere in movimento una determinata massa di lavoro per tre mesi, gliene occorre 25 per mettere in movimento una corrispondente massa di lavoro per un mese.
Egli cioè avrebbe messo in movimento sempre il medesimo numero di operai. Ogni sua merce ha bisogno di 1/12 di anno per essere venduta.
Se per vendere le sue merci egli ha bisogno di 1/3 del tempo di produzione, allora ecc. Questo problema deve essere risolvibile mediante una semplice equazione, su cui ritorneremo in seguito, non essendo questa la sede più opportuna. Ma il problema è importante in ragione dei successivi problemi del credito. Ma è chiaro questo: chiamiamo pt il tempo di produzione, et il tempo di circolazione, C il capitale. C non può trovarsi nello stesso tempo nella sua fase di produzione e nella sua fase di circolazione. Per continuare a produrre mentre circola, esso deve scindersi in 2 porzioni, una delle quali è nella fase di produzione, l'altra nella fase di circolazione, e la continuità del processo è assicurata dal fatto che se la porzione a è posta nell'una determinazione, la porzione b è posta nell'altra. Sia x la porzione che si trova sempre nella produzione; allora x = C — b (b sia la porzione di capitale che si trova in circolazione). C = b + x. Se et, il tempo di circolazione, fosse = 0, anche b sarebbe = 0 e x = C . b (la porzione di capitale che si trova in circolazione) : C (il capitale totale) = et (tempo di circolazione) : pt (tempo di produzione); b : C = et : pt; ossia la porzione di capitale che si trova in circolazione sta al capitale complessivo come il tempo di circolazione sta al tempo di produzione.
Se un capitale di 100 al 5% di profitto compie una rotazione ogni 4 mesi, sì che a 3 mesi di tempo di produzione segue 1 mese di tempo di circolazione, allora il plusvalore totale, come abbiamo visto, sarà uguale a
5x 12/4 M (mese) = 5x3 = 15,
invece di 20 se e = 0; giacché allora P'= 5 x 12 / 3 = 20.
Ma 15 è il profitto di un capitale di 75 al 5%, il cui tempo di circolazione fosse = 0 e compisse 4 rotazioni all'anno, ossia fosse costantemente occupato.
Al termine del primo trimestre [sarebbe] 3%; al termine dell'anno, 15. (Ma la rotazione riguarderebbe soltanto un capitale totale di 300; laddove sarebbe di 400 se nel caso precedente ct=0). Dunque un capitale di 100, il cui tempo di circolazione ammonta ad 1 mese su 3 M di tempo di produzione, può costantemente impiegare un capitale produttivo di 75; un capitale di 25 è costantemente in circolazione e improduttivo.
75 : 25 =3 M : 1 M;
o, — se chiamiamo p la porzione di capitale occupata nella produzione, e quella occupata nella circolazione e e' e p' i corrispondenti tempi, — p : e = p' : e'; (p : e = 1 : 1/3). La porzione di C che si trova nella produzione è costantemente proporzionale a quella che si trova in circolazione =1:1/3; questo 1/3 è costantemente rappresentato da elementi variabili. Ma p : C = 75 : 100 = 3/4; e = 1/4; p : C = 1 : 4/3 e e : C = 1 : 4. La circolazione complessiva è = 4M, p:R = 3M:4M = 1 : 4/3.
3.4.4 - [Ricambio formale e ricambio materiale nella circolazione del capitale. M-D-M. D-M-D]
Nella circolazione del capitale ha luogo contemporaneamente un ricambio formale e un ricambio materiale3. Qui noi dobbiamo cominciare non da D, ma dal processo di produzione come presupposto. Nella produzione, considerata dal lato materiale, si ha un logorio dello strumento ed una elaborazione della materia prima. Il risultato è il prodotto — un valore di uso di nuova creazione, diverso dai suoi presupposti elementari. Solo nel processo di produzione, considerato dal lato materiale, giunge ad essere creato il prodotto. Questa è la prima ed essenziale modificazione materiale. Sul mercato, nello scambio col denaro, il prodotto viene espulso dall'orbita del capitale ed entra in quella del consumo, diventa oggetto di consumo, o per la soddisfazione finale di un bisogno individuale oppure come materia prima di un altro capitale. Nello scambio merce-denaro, modificazione materiale e modificazione formale coincidono; giacché nel denaro già il contenuto stesso appartiene alla determinazione economica formale. Ma qui, nella ritrasformazione del capitale nelle condizioni materiali di produzione, è presente al tempo stesso la ritrasformazione del denaro in merce. Noi abbiamo una riproduzione tanto di un determinato valore d'uso, quanto del valore in quanto tale. Come però l'elemento materiale qui fin dall'inizio era posto al suo ingresso in circolazione come prodotto, così al termine di essa la merce ridiventa condizione di produzione. Nella misura in cui il denaro figura qui come mezzo di circolazione, esso lo è in realtà solo come mediazione della produzione col consumo, per un verso, nello scambio, ove il capitale distacca da sé il valore sotto forma di prodotto, e come mediazione tra produzione e produzione per l'altro verso, ove il capitale si distacca sotto forma di denaro e attira nella sua orbita la merce sotto forma di condizione della produzione. Dal lato materiale del capitale, il denaro si presenta come semplice mezzo di circolazione; dal lato formale, esso si presenta come misura nominale della sua valorizzazione e, per una determinata fase, come valore per se stante; il capitale è perciò tanto M - D - D - M quanto D - M - M - D, vale a dire che ambedue le forme della circolazione sono qui al tempo stesso ulteriormente determinate, in quanto D - D è denaro che crea denaro, e M - M è merce il cui valore d'uso viene sia riprodotto che aumentato. Riguardo alla circolazione del denaro, che qui si vede entrare nella circolazione del capitale ed essere da essa determinata, notiamo qui solamente en passati — giacché la questione au fond può essere trattata solo dopo che i molti capitali sono stati considerati nella loro azione e reazione reciproca — che il denaro è evidentemente posto qui in differenti determinazioni.
a Cancellato nel ms.: «In primo luogo il capitale esiste come D che provvisoriamente possiamo immaginare ancora nella forma di denaro metallico. Qui, forma e contenuto sono astrattamente identici, la materia del valore e la sua forma sono le stesse; ma questo in astratto, perché il capitale in quanto ».
3.4.5 - [Differenza tra tempo di produzione e tempo di lavoro. Storch. Denaro. Credito mercantile. Credito. Circolazione]
Fin qui si è assunto che il tempo di produzione coincide col tempo di lavoro. Se nonché nell'agricoltura, per esempio, avvengono interruzioni del lavoro nell'ambito della produzione stessa, prima che il prodotto sia finito. Pur impiegando il medesimo tempo di lavoro, la durata della fase di produzione è diversa, perché viene interrotto il lavoro. Se la differenza consiste soltanto nel fatto che nell'un caso il prodotto esige, per essere finito, un tempo di lavoro più lungo che nell'altro caso, allora non si pone alcun problema, perché in tal caso per la legge generale è chiaro che il prodotto in cui sia contenuta una maggiore quantità di lavoro ha un valore altrettanto maggiore; meno frequente è poi la riproduzione in un determinato periodo, tanto più grande è il valore riprodotto. E 2 x 100 è esattamente uguale 4 x 50 Come col valore totale, così accade anche col plusvalore. È la diversa durata richiesta dai diversi prodotti, sebbene ad essi non sia applicato che il medesimo tempo di lavoro (cioè, insieme, in lavoro accumulato e lavoro vivo), a costituire il problema. Si presume che il capitale fisso agisca qui tutto solo, senza lavoro umano, com'è il caso del seme affidato al grembo della terra. Nella misura in cui è richiesto ulteriore lavoro, questo va detratto. Il problema va posto in maniera pura. Se qui il tempo di circolazione è il medesimo, la rotazione è meno frequente perché la fase di produzione è maggiore. Quindi il tempo di produzione + tempo di circolazione = 1 R, più grande che nel caso in cui il tempo di produzione coincide col tempo di lavoro. Il tempo qui usato per portare a compimento il prodotto, le interruzioni del lavoro, costituiscono qui delle condizioni di produzione. Il non-tempo di lavoro costituisce una condizione del tempo di lavoro, una condizione per fare realmente di quest'ultimo il tempo di produzione. È evidente che il problema trova la sua sede opportuna nel livellamento del saggio di profitto. Ma qui è necessario chiarirne il principio. Il ritorno più lento — questo è l'essenziale — non dipende qui dal tempo di circolazione, bensì dalle condizioni stesse entro le quali il lavoro diventa produttivo; esso rientra nelle condizioni tecnologiche del processo di produzione. È assolutamente da negare, è senz'altro una sciocchezza, che una circostanza naturale che impedisce al capitale, in una determinata branca di produzione, di scambiarsi nel medesimo tempo con la medesima quantità di tempo di lavoro di un altro capitale in un'altra branca di produzione, possa in qualche modo contribuire ad aumentare il suo valore. Il valore, e quindi anche il plusvalore, non è = al tempo che dura la fase di produzione, bensì al tempo di lavoro, sia oggettivato che vivo, impiegato durante questa fase di produzione. Solo quest'ultimo — naturalmente nel rapporto in cui è impiegato rispetto a quello oggettivato — può creare plusvalore, perché è un tempo di lavoro supplementare*. Giustamente perciò si è sostenuto che da questo lato l'agricoltura è meno produttiva (produttività si riferisce qui a produzione di valori) di altre industrie. Così come d'altro canto — nella misura in cui in essa l'aumento della produttività diminuisce direttamente il tempo di lavoro necessario — essa è più produttiva di tutte le altre. Questa stessa circostanza può però tornare a suo vantaggio solo là dove già domina il capitale e la sua corrispondente forma generale di produzione. Già questa interruzione nella fase di produzione implica che l'agricoltura non può mai essere la sfera con cui il capitale comincia, in cui esso apre la sua prima sede. Ciò contraddice alle prime condizioni fondamentali del lavoro industriale. È dunque solo per reazione che l'agricoltura viene rivendicata al capitale e diventa industriale. Essa richiede da una
* Che nel livellamento del saggio di profitto subentrino altre determinazioni è chiaro. Ma qui non si tratta della distribuzione del plusvalore, bensì della sua creazione.
parte un elevato sviluppo della concorrenza; dall'altra un grande sviluppo della chimica, della meccanica ecc.; ossia dell'industria manifatturiera. Perciò si trova anche storicamente che l'agricoltura non si presenta mai allo stato puro nei modi di produzione che precedono il capitale e che corrispondono ai suoi livelli non sviluppati. Un'industria rurale accessoria come la filatura, la tessitura ecc. deve compensare il limite qui posto all'impiego di tempo di lavoro, e implicito nelle interruzioni di cui si diceva. La causa della non coincidenza del tempo di produzione col tempo di lavoro può stare soltanto nelle condizioni naturali che qui impediscono direttamente la valorizzazione del lavoro, ossia l'appropriazione di pluslavoro da parte del capitale. Questi impedimenti sul suo cammino non costituiscono naturalmente affatto dei vantaggi, ma anzi, dal suo punto di vista, delle perdite. L'intero caso va qui preso in considerazione propriamente solo come esempio di capitale fissato, fissato in una fase. Ciò che va tenuto fermo è qui soltanto il fatto che il capitale non crea alcun plusvalore finché non impiega lavoro vivo. La riproduzione dello stesso capitale fisso impiegato non costituisce naturalmente una creazione di plusvalore. (Nella riproduzione del corpo umano, come nel capitale, le diverse porzioni non si scambiano in periodi di tempo uguali, bensì il sangue si rinnova più rapidamente dei muscoli e i muscoli più rapidamente delle ossa, le quali per questo verso possono essere considerate come il capitale fisso del corpo umano).
Come mezzi atti ad accelerare la circolazione Storch enumera: 1) La formazione di una classe di «lavoratori» che si occupi soltanto del commercio; 2) facilità di mezzi di trasporto; 3) denaro; 4) credito (vedi sopra)2.
Da questo variopinto assortimento emerge tutta la confusione degli economisti politici. Denaro e circolazione del denaro — che noi abbiamo chiamato qui circolazione semplice — sono un presupposto, una condizione sia del capitale stesso che della circolazione del capitale. Del denaro quale esiste, cioè quale rapporto di traffico relativo ad un livello di produzione precedente al capitale, del denaro in quanto denaro, nella sua forma immediata, non può perciò dirsi che acceleri la circolazione del capitale quando invece ne è un presupposto. Quando parliamo di capitale e della sua circolazione, siamo ad un livello dello sviluppo sociale nel quale d'introduzione del denaro non giunge come scoperta ecc, bensì è un presupposto. Finché il denaro nella sua forma immediata ha esso stesso un valore, è non solo il valore di altre merci, il simbolo del loro valore — poiché, se qualcosa già di per se stesso immediato vuol essere un altro immediato, non può che rappresentarlo, esserne in un modo o nell'altro un simbolo —, ma ha esso stesso un valore, è esso stesso lavoro oggettivato in un determinato valore d'uso: il denaro, ben lungi dall'accelerare la circolazione del capitale, anzi la frena. Il denaro, considerato nell'uno e nell'altro senso, così come si riscontra nella circolazione del capitale, e cioè sia come mezzo di circolazione che come valore realizzato del capitale, appartiene ai costi di circolazione, nella misura in cui esso stesso è un tempo di lavoro impiegato da una parte per ridurre il tempo di circolazione, dall'altra per rappresentare un momento qualitativo della circolazione — ritrasformazione del capitale in se stesso quale valore per se stante Sia nell'uno che nell'altro senso esso non aumenta il valore. Nell'un senso esso è una forma — costosa, che costa tempo di lavoro, e quindi deduce dal plusvalore di rappresentazione del valore. Nell'altro senso esso può esser considerato come una macchina che risparmia tempo di circolazione, liberando così del tempo ai fini della produzione. Ma in quanto già in questo suo aspetto di macchina costa lavoro ed è un prodotto del lavoro, esso rappresenta, nei confronti del capitale, faux frais de production. Esso figura tra i costi di circolazione. La circolazione originaria è il tempo di circolazione stesso in opposizione al tempo di lavoro. I costi di circolazione reali sono essi stessi tempo
2 Cfr. CH STORCH, Corso ecc., cit. pag.190.
di lavoro oggettivato — macchine destinate a ridurre i costi originati del tempo di circolazione. Il denaro nella sua forma immediata, inerente cioè ad un livello storico della produzione precedente al capitale, si presenta dunque, al capitale, come costo di circolazione, sì che la tendenza del capitale è quella di trasfigurarselo in maniera adeguata; di farne perciò il rappresentante di un momento della circolazione il quale non costi tempo di lavoro, non sia esso stesso dotato di valore. Il capitale perciò è indirizzato a sopprimere il denaro nella sua realtà tradizionale, immediata, e a trasformarlo in qualcosa di posto e altresì soppresso soltanto dal capitale, in qualcosa di puramente ideale.
Non si può dunque dire, come fa Storch, che il denaro sia in generale un mezzo di accelerazione della circolazione del capitale; bisogna dire invece viceversa che il capitale cerca di trasformarlo in un momento meramente ideale della sua circolazione per giungere a sollevarlo alla forma adeguata ad esso corrispondente. La soppressione del denaro nella sua forma immediata si presenta come un postulato della circolazione del denaro divenuta momento della circolazione del capitale, perché nella sua forma immediatamente presupposta esso costituisce un ostacolo alla circolazione del capitale. Circolazione senza tempo di circolazione è la tendenza del capitale; e perciò anche trasposizione degli strumenti che servono soltanto a ridurre il tempo di circolazione, in semplici determinazioni formali poste dal capitale, così come i distinti momenti che il capitale attraversa nella circolazione sono delle determinazioni qualitative della propria metamorfosi.
Per quel che riguarda la formazione di un particolare ceto mercantile — che equivale ad uno sviluppo della divisione del lavoro che trasforma l'incombenza stessa dello scambio in un lavoro particolare, per la qual cosa naturalmente la somma delle operazioni di scambio deve già aver raggiunto un certo livello (se assumiamo che lo scambio sia, riguardo a 100 persone, la 100a parte dei loro tempo di lavoro, allora ciascun uomo è 1/100 di coloro che scambiano; 100/100 di coloro che scambiano rappresenterebbe un singolo uomo. Su 100 persone ci sarebbe allora 1 commerciante. La separazione del commercio dalla produzione, o il fatto di rappresentare lo scambio stesso rispetto a coloro che scambiano, postula in generale che scambio e commercio siano sviluppati ad un certo livello. Il commerciante rappresenta di fronte al venditore tutti i compratori, e di fronte al compratore tutti i venditori e vice [versa] sicché egli non è un estremo, ma piuttosto il medio dello scambio stesso; e infatti si presenta come mediatore) —, la formazione del ceto mercantile, che presuppone quella del denaro, seppure non sviluppato in tutti i suoi momenti, è altrettanto un presupposto per il capitale, e non si può perciò addurlo come mediatore della sua circolazione specifica. Poiché il commercio è un presupposto, sia storicamente che concettualmente, della genesi del capitale, su di esso dovremo tornare prima di chiudere questo capitolo, dal momento che il suo posto è precedente o interno alla sezione sulla genesi del capitale.
La facilitazione dei mezzi di trasporto, finché sottintende la facilitazione della circolazione fisica delle merci, non rientra in questa sede, ove si considerano semplicemente le determinazioni formali della circolazione del capitale. Il prodotto diventa merce, esce cioè dalla fase di produzione, solo quando è sul mercato - D'altra parte i mezzi di trasporto intanto rientrano in questa sede, in quanti ritorni del capitale — ossia il tempo di circolazione — aumenta necessariamente con la distanza del mercato dal luogo di produzione. La riduzione del tempo di circolazione attraverso i mezzi di trasporto risulta dunque direttamente, in questo senso direttamente, inerente alla considerazione della circolazione del capitale. Tuttavia, a dire il vero, ciò rientra nella teoria del mercato, che a sua volta rientra nella sezione sul capitale.
Infine, il credito . Questa forma di circolazione creata direttamente dal capitale ecc, — la quale dunque scaturisce in maniera specifica dalla natura del capitale, questa differentia specifica del capitale —, Storch la mette qui confusamente insieme al denaro, ceto mercantile, ecc., i quali in generale appartengono allo sviluppo dello scambio e alla produzione più o meno fondata su quello sviluppo. Indicare la differentia specifica costituisce qui sia uno sviluppo logico che una chiave per la comprensione di quello storico. Noi troviamo anche storicamente, in Inghilterra per esempio, (ed anche in Francia), [tentativi] di sostituire il denaro con titoli, d'altra parte di conferire al capitale, finché esiste nella forma del valore, una forma creata puramente da esso stesso, e infine tentativi di fondazione del credito nel momento stesso della comparsa del capitale. (Per esempio Petty, Boisguillebert).
3.4.6 - [La piccola circolazione. Il processo di scambio tra capitale e forza-lavoro in generale. Il capitale nella riproduzione della forza - lavoro]
Nell'ambito della circolazione come processo complessivo noi possiamo distinguere tra una grande e una piccola circolazione. La prima abbraccia l'intero periodo dal momento in cui il capitale esce dal processo di produzione, fino a che vi ritorna. La seconda è continua e procede in maniera costante simultaneamente al processo di produzione stesso. Si tratta di quella porzione del capitale che viene pagata come salario, scambiata cioè con la forza lavoro.
Questo processo di circolazione del capitale, che per la forma è uno scambio di equivalenti posto, ma che in realtà si toglie, e che si pone solo formalmente (il passaggio dal valore al capitale, ove lo scambio di equivalenti si rovescia nel suo contrario, e sulla base dello scambio lo scambio diventa puramente formale, e il rapporto mutuo è tutto da un lato solamente) va sviluppato così; i valori che vengono scambiati sono sempre tempo di lavoro oggettivato, una quantità oggettivamente presente, mutuamente presupposta di lavoro esistente (in un valore d'uso). Il valore in quanto tale è sempre effetto, mai causa. Esso esprime la quantità di lavoro mediante cui un oggetto è prodotto e quindi — presupposto il medesimo livello di forze produttive — è riproducibile. Il capitalista non scambia direttamente capitale con lavoro o tempo di lavoro; bensì un tempo definitivamente elaborato contenuto in merci, con un tempo elaborato contenuto nella forza-lavoro viva. Il tempo di lavoro vivo, che egli riceve nello scambio, non è il valore di scambio, bensì il valore d'uso della forza-lavoro. Così come una macchina non viene scambiata, pagata come causa di effetti, ma come effetto essa stessa; non per il suo valore d'uso nel processo di produzione, ma come prodotto — come determinata quantità di lavoro oggettivato. Il tempo di lavoro che è contenuto nella forza-lavoro, ossia il tempo necessario a ricostituire la forza-lavoro viva, è lo stesso che occorre — presupposto il medesimo livello di forze produttive — a riprodurla, ossia a conservarla. Lo scambio che ha luogo tra capitalista e operaio è dunque pienamente corrispondente alle leggi dello scambio; e non solo è corrispondente, ma ne è il perfezionamento ultimo. Giacché fin quando la forza-lavoro non si scambia essa stessa, la base della produzione non poggia ancora sullo scambio, bensì lo scambio è soltanto una sfera ristretta che poggia sulla assenza di scambio come sua base, al pari di tutti gli stadi che hanno preceduto la produzione borghese. Ma il valore d'uso del valore che il capitalista ha ottenuto nello scambio, è esso stesso elemento e misura de]la valorizzazione, la quale costa lavoro vivo e tempo di lavoro, e cioè più tempo di lavoro di quanto ne sia oggettivato nella forza-lavoro, ossia più tempo di lavoro di quanto costi la riproduzione dell'operaio vivo. Per il fatto dunque di aver ottenuto nello scambio la forza-lavoro come equivalente, il capitale ha
ottenuto nello scambio il tempo di lavoro — nella misura in cui va oltre quello contenuto nella forza-lavoro — senza un equivalente; si è appropriato di tempo di lavoro altrui senza scambio, ma mediante la forma dello scambio. Lo scambio diventa perciò meramente formale e, come abbiamo visto, nell'ulteriore sviluppo del capitale scompare anche la parvenza che il capitale scambi con la forza-lavoro qualcos'altro che lo stesso lavoro oggettivato di questa; e che in generale quindi scambi qualcosa con essa. Il rovesciamento deriva dunque da questo — che l'ultimo stadio del libero scambio è dato dallo scambio della forza-lavoro come merce, come valore contro una merce, contro un valore; che essa viene comperata come lavoro oggettivato, mentre il suo valore d'uso consiste in lavoro vivo, ossia nel creare valori di scambio. Il rovesciamento deriva da questo, che il valore d'uso della forza-lavoro come valore è esso stesso l'elemento che crea il valore, la sostanza del valore e la sostanza che moltiplica il valore. In questo scambio dunque l'operaio dà, in cambio dell'equivalente del tempo di lavoro in lui oggettivato, il suo tempo di lavoro vivo che crea e moltiplica il valore. Egli si vende come effetto. Come causa, come attività, egli viene assorbito dal capitale e incarnato in esso. Così lo scambio si rovescia nel suo contrario, e le leggi della proprietà privata la libertà, l'uguaglianza, la proprietà, la proprietà sul proprio lavoro e la libera disposizione su di esso — si rovesciano nella mancanza di proprietà dell'operaio e nell'espropriazione del suo lavoro, nel suo riferirsi ad esso come a proprietà altrui e viceversa.
La circolazione della porzione di capitale posta come salario accompagna il processo di produzione, si presenta come relazione economica formale accanto ad esso, ed è simultanea e intrecciata ad esso. Soltanto questa circolazione pone il capitale in quanto tale; essa è condizione del suo processo di valorizzazione e ne pone non soltanto una determinazione formale, bensì la sostanza. È questa la parte costantemente circolante del capitale, che pur non entrando nemmeno per un attimo nel processo di produzione stesso, lo accompagna costantemente. È quella parte del capitale che non rientra nemmeno per un attimo nel suo processo di riproduzione, cosa che non si verifica quando si tratta della materia prima. La sussistenza [approvvisionnement] dell'operaio scaturisce dal processo di produzione come prodotto, come risultato; ma non vi entra mai in tale veste, perché è un prodotto finito per il consumo individuale, entra immediatamente nel consumo dell'operaio e viene immediatamente scambiato con esso. È questo dunque, a differenza
tanto della materia prima quanto dello strumento di lavoro, il capitale circolante
[nota: il testo di Marx riporta una scritta in greco, che in questo testo non è riproducibile] Questo è l'unico momento nella circolazione del capitale in cui il consumo entra in gioco immediatamente. Là dove la merce viene scambiata con denaro, essa può essere ottenuta in scambio da parte di un altro capitale come materia prima per una nuova produzione. Inoltre, in base ai presupposti del capitale, a venirgli incontro non è il singolo consumatore, ma il commerciante, colui che compera la merce stessa per venderla in cambio di denaro. (Questo presupposto va sviluppato in generale per il ceto mercantile. Con ciò la circolazione tra commercianti [dealers] è diversa da quella tra commercianti e consumatori). Il capitale circolante si presenta qui dunque come capitale che è direttamente destinato al consumo individuale degli operai, anzi, in generale, al consumo immediato, e perciò esiste sotto forma di prodotto finito. Se perciò da un lato il capitale si presenta come presupposto del prodotto, dall'altra il prodotto finito si presenta altresì come presupposto del capitale — il che storicamente si risolve in questo: che il capitale non ha cominciato il mondo dall'inizio, ma ha già trovato produzione e prodotti prima di sottoporli al suo processo. Una volta in moto, partendo da se stesso, esso si presuppone continuamente nelle sue varie forme come prodotto consumabile, materia prima e strumento di lavoro, per riprodursi continuamente in queste forme, le quali si presentano una volta come condizioni da esso presupposte, e poi come suo risultato. Nella sua riproduzione esso produce le sue stesse condizioni. Qui dunque — attraverso il rapporto
del capitale con la forza-lavoro viva e con le condizioni naturali del mantenimento di essa — noi troviamo il capitale circolante determinato anche dal lato del valore d'uso, come ciò che entra direttamente nel consumo individuale e da questo è destinato ad essere consumato come prodotto. Si è falsamente concluso dunque che il capitale circolante è in generale consumabile, come se carbone, olio, coloranti ecc., strumenti ecc., migliorie fondiarie ecc., fabbriche ecc, non fossero ugualmente tutti consumati, se per consumo si intende l'annientamento del loro valore d'uso e della loro forma; laddove è altrettanto vero che tutto ciò non viene consumato, se per esso si in tende un consumo individuale, il consumo nel senso vero e proprio. In questa circolazione il capitale si stacca da sé continuamente come lavoro oggettivato per assimilare a sé la forza-lavoro viva, l'aria che lo fa vivere. Per quanto riguarda il consumo dell'operaio, esso riproduce una sola cosa — l'operaio stesso come forza-lavoro viva. Poiché questa riproduzione di se stesso rappresenta per il capitale una condizione, anche il consumo dell'operaio si presenta come riproduzione non direttamente del capitale, ma dei rapporti entro i quali soltanto esso è capitale. La forza-lavoro viva rientra tra le sue condizioni di esistenza al pari della materia prima e dello strumento. Esso dunque ha una duplice riproduzione, nella sua forma propria, e nel consumo dell'operaio, ma solo in quanto il consumo riproduce l'operaio come forza-lavoro viva. È per questo che tale consumo il capitale lo chiama consumo produttivo — produttivo non in quanto riproduce l'individuo, bensì gli individui come forza-lavoro. Quando Rossi si scandalizza del fatto che il salario venga messo in conto due volte, una volta come reddito, un'altra come consumo riproduttivo del capitale, l'obiezione vale solo contro coloro i quali fanno entrare il salario direttamente nel processo di produzione del capitale come un valore, mentre il pagamento del salario è un atto di circolazione che si svolge simultaneamente e parallelamente all'atto di produzione, 0, come dice Sismondi da questo punto di vista — l'operaio consuma il suo salario non riproduttivamente, mentre il capitalista lo consuma produttivamente, giacché in cambio egli riceve lavoro che riproduce il salario e più del salario. Ciò per quanto attiene al capitale considerato solamente come oggetto. Ma poiché il capitale è un rapporto e precisamente un rapporto con la forza-lavoro viva, il consumo dell'operaio riproduce questo rapporto, ovvero il capitale ha una duplice riproduzione: come valore, attraverso lo scambio in cui riceve lavoro — come possibilità di ricominciare da capo il processo di valorizzazione, di agire di nuovo come capitale —, e si riproduce come rapporto mediante il consumo dell'operaio, ove questo consumo riproduce l'operaio come capacità lavorativa scambiabile col capitale, col salario come parte del capitale.
Questa circolazione tra capitale e lavoro ha per effetto la determinazione di una parte del capitale, la sussistenza, come parte sempre circolante, sempre consumata, sempre da riprodurre. In questa circolazione si rivela in maniera definitiva la differenza tra capitale e denaro, tra circolazione del capitale e circolazione del denaro. Il capitale per esempio paga settimanalmente un salario; l'operaio porta questo salario al droghiere ecc.; questi lo depone direttamente o indirettamente nelle mani del banchiere; e la settimana successiva il fabbricante lo riprende dal banchiere per distribuirlo di nuovo tra i medesimi operai e così via. La medesima somma di denaro fa circolare sempre nuove porzioni di capitale. Ma questa stessa somma di denaro non determina le porzioni di capitale che vengono cosi fatte circolare. Se aumenta il valore monetario del salario, aumenterà il medium circolante, ma tale aumento non è determinato dalla massa di questo medium. Se i costi di produzione del denaro non diminuissero, nessun aumento del denaro stesso eserciterebbe un'influenza sulla porzione di esso che entra in questa circolazione. Qui il denaro si presenta come semplice mezzo di circolazione. Poiché bisogna pagare simultaneamente più lavoratori, occorre simultaneamente una determinata somma di denaro che aumenti parallelamente al loro numero. D'altra parte in virtù della rapidità di rotazione del denaro occorre poi una somma inferiore a quella occorrente in situazioni in
cui ci sono meno operai, ma il meccanismo della circolazione del denaro non è abbastanza regolato. Questa circolazione è una condizione del processo di produzione e quindi anche del processo di circolazione. D'altra parte, se il capitale non ritorna dalla circolazione, non potrebbe ricominciare questa circolazione tra operaio e capitale; essa è dunque condizionata da parte sua dal fatto che il capitale percorre i diversi momenti della sua metamorfosi al di fuori del processo di produzione. Se ciò non si verificasse, non sarebbe perché non c'è abbastanza denaro come mezzo di circolazione, ma perché o non ci sarebbe capitale sotto forma di prodotti, ossia mancherebbe questa parte di capitale circolante, oppure perché il capitale non si sarebbe posto nella forma di denaro, ossia non si sarebbe realizzato come capitale, cosa che a sua volta non dipenderebbe dalla quantità del mezzo di circolazione, ma dal fatto che il capitale non si sarebbe posto nella determinazione qualitativa del denaro, al cui scopo non è affatto necessario che si sia posto nella forma di hard cash [contante] nella immediata forma di denaro; e che esso si sia posto oppure no in tale forma a sua volta non dipenderebbe dalla quantità di denaro corrente come meno di circolazione, ma dallo scambio del capitale con un valore in quanto tale; di nuovo un momento qualitativo, e non quantitativo, come diremo più precisamente quando parleremo del capitale come denaro (interesse ecc.).
3.4.7 - Triplice determinazione o modo della circolazione. - Capitale fisso e capitale circolante. - Tempo di rotazione del capitale complessivo suddiviso in capitale circolante e capitale fisso. - Rotazione media di un capitale di tal genere. - Influenza del capitale fisso sul tempo di rotazione complessivo del capitale. - Capitale fisso circolante. Say. Smith. Lauderdale. (Lauderdale sull'origine del profitto)]
Considerata complessivamente, la circolazione si presenta in tre aspetti:
)Il processo complessivo — il decorso del capitale attraverso i suoi diversi momenti; in base ai quale esso assume un aspetto di fluidità; è circolante; nella misura in cui in ciascuno dei momenti la continuità è virtualiter interrotta e può resistere al passaggio alla fase successiva, il capitale si presenta allora altresì come fissato in diversi rapporti, e i diversi modi di questo esser-fissato costituiscono diversi capitali, capitale-merce, capitale-denaro, capitale come condizioni di produzione.
)La piccola circolazione tra capitale e forza lavoro. Essa accompagna il processo di produzione e si presenta come contratto, scambio, forma di traffico, sotto il cui presupposto si mette in moto il processo di produzione. La parte del capitale che entra in
questa circolazione — la sussistenza — è il capitale circolante [nota: il testo di Marx
riporta una scritta in greco, che in questo testo non è riproducibile] Esso è determinato non solo per la forma; bensì il suo valore d'uso, vale a dire la sua destinazione materiale di prodotto consumabile che entra direttamente nel consumo individuale costituisce esso stesso una parte della sua determinazione formale.
3) La grande circolazione; il movimento del capitale al di fuori della fase di produzione
dove il suo tempo si presenta, in opposizione al tempo di lavoro, come tempo di
circolazione. Da questa opposizione del capitale compreso nella fase di produzione
rispetto a quello che ne esce, si ha la differenza tra capitale fluido e fisso. Quest'ultimo è
quello che è fissato al processo di produzione e viene in esso stesso consumato; se è
vero che deriva dalla grande circolazione, però non vi ritorna, e nella misura in cui circola, circola soltanto per essere consumato, confinato nel processo di produzione.
Le tre differenze nella circolazione del capitale realizzano le tre differenze tra capitale
fissato e circolante; esse pongono una parte del capitale come quello circolante
[nota: il testo di Marx riporta una scritta in greco, che in questo testo non è riproducibile], perché essa non entra mai nel processo di produzione, pur accompagnandolo costantemente; e, in terzo luogo, si ha la differenza tra capitale fluido e fisso. Il capitale circolante nella forma N. 3 include anche quella N. 2, giacché anche questa è in antitesi al capitale fisso; ma la N. 2 non è la N. 3. La parte del capitale che appartiene come tale al processo di produzione, è quella parte di esso che materialmente funge soltanto da mezzo di produzione; costituisce il medio tra il lavoro vivo e il materiale da elaborare. Una parte del capitale fluido come carbone, olio, ecc., funge anche da semplice mezzo di produzione, come tutto ciò che funge soltanto da mezzo per tenere in moto la macchina o la macchina che la muove. Questa differenza andrà indagata con maggior precisione. D'abord ciò non contraddice alla determinazione 1, giacché il capitale fisso come valore circola altresì in rapporto al suo logorio. È proprio in questa determinazione di capitale fisso — ossia nella determinazione in cui il capitale perderà la sua fluidità e verrà identificato con un determinato valore d'uso che lo priva della sua capacità di trasformarsi —, che si mostra nella maniera più evidente il capitale sviluppato — nella misura in cui finora lo conosciamo come capitale produttivo —, ed è proprio in questa forma apparentemente inadeguata, e nel rapporto crescente di questa con la forma del capitale circolante N. 2, che si misura lo sviluppo del capitale in quanto capitale. Bella, questa contraddizione. Va sviluppata.
Le diverse specie di capitale che nell'economia fioccano come tante specie estrinseche, si presentano qui come altrettanti sedimenti dei movimenti che derivano dalla natura stessa del capitale o piuttosto di questo stesso movimento nelle sue diverse determinazioni.
Il capitale circolante «parte» costantemente dal capitalista per ritornare a lui nella prima forma. Il capitale fisso non lo fa (Storch)3 «Il capitale circolante è quella parte del capitale che non dà profitto finché non è separato da esso; quello fisso ecc. dà questo profitto, fin quando rimane in possesso del proprietario» (Malthus)4 «I capitale circolante non dà al suo padrone un reddito e un profitto finché rimane in suo possesso; il capitale fisso, senza mutar padrone, e senza aver bisogno di circolazione, gli dà un profitto» (A.Smith)5.
In questo senso, poiché il partire del capitale dal suo possessore non significa altro che l'alienazione della proprietà o del possesso che ha luogo all'atto dello scambio, e poiché diventar valore per il suo possessore mediante l'alienazione è la natura di ogni valore di scambio e quindi di ogni capitale, la definizione nei termini in cui è pensata sopra non può essere esatta. Se il capitale fisso fosse, per il suo possessore, privo della mediazione dello scambio e del valore di uso in esso racchiuso, esso sarebbe, in fact, capitale fisso di mero valore d'uso, e quindi non capitale. Ma ciò che sta alla base della precedente definizione è questo: che il capitale fisso circola come valore (anche se a porzioni, successivamente, come vedremo). Come valore d'uso esso non circola. Il capitale fisso, finché lo si considera dal suo lato materiale, come momento del processo di produzione, non lascia mai il suo recinto; non viene mai alienato dal suo possessore; rimane in mano sua. Esso circola soltanto dal suo lato formale, come capitale, come valore perenne. Nel capitale circolante questa differenza tra forma e contenuto, tra valore d'uso e valore di scambio,
3 Cfr. H. STORCH, Cours ecc., cit., t. I, p. 405 [Corso p. 186].
4 Cfr. T. R. MALTHUS, Definitions ecc., cit., p. 237-238 [definizioni, p. 489].
5 Cfr. SMITH, Recherches ecc., cit., t. Il, pp. 197-198 [ricchezza delle nazioni, pp. 247-248]; cfr. MEGA I/3,
pp. 473-474.
non ha luogo. Per circolare, per essere in quest'ultima veste, deve entrare in circolazione, essere alienato nell'altra veste. Il valore d'uso, per il capitale in quanto tale, non è che il valore stesso. Il capitale circolante si realizza come valore, per esso, solo quando viene alienato. Finché rimane in mano sua, ha valore soltanto in sé; ma non è posto; soltanto
[nota: il testo di Marx riporta una scritta in greco, che in questo testo non è riproducibile], ma non
actu. Il capitale fisso al contrario si realizza come valore solo fintantoché rimane come valore d'uso in mano del capitalista, o, per dirla in termini di rapporto materiale, fintantoché rimane nel processo di produzione — il che può essere considerato come l'interno movimento organico del capitale, la sua relazione con sé, rispetto al suo movimento animale, [rispetto] al suo esistere-per.altro. E se dunque il capitale fisso, non appena entrato nel processo di produzione, rimane in esso, vi si estingue anche, vi viene consumato. La durata di questa estinzione qui non ci interessa ancora. Per questo verso dunque ciò che Cherbuliez chiama matières instrumentales6, come carbone, legno, olio; sego ecc., che vengono completamente annientati nel processo di produzione, e che hanno soltanto un valore d'uso per il processo di produzione stesso, rientra nel capitale fisso. Ma queste stesse materie hanno anche un valore d'uso al di fuori della produzione e possono essere consumate anche in altro modo, allo stesso modo in cui edifici, caseggiati ecc, non sono necessariamente destinati alla produzione. Esse sono capitale fisso non per il loro determinato modo di essere, bensì per il loro uso. Lo diventano, non appena entrano nel processo di produzione. Esse sono capitale fisso non appena sono poste come momenti del processo di produzione del capitale; perché allora esse perdono la loro qualità di essere potenzialmente capitale circolante.
Come dunque la parte di capitale che entra nella piccola circolazione del capitale stesso — o il capitale in quanto entra in questo movimento — la circolazione tra capitale e forza-lavoro, la parte del capitale che circola come salario— non esce mai dalla circolazione e non entra mai nel processo di produzione del capitale, per il suo lato materiale, ossia come valore d'uso, bensì viene sempre distaccato dal processo di produzione come prodotto, come risultato appunto di un processo di produzione che lo precede, così viceversa la parte determinata come capitale fisso non esce mai dal processo di produzione e non rientra mai nella circolazione come valore d'uso, ossia secondo la sua esistenza materiale. Mentre quest'ultima parte entra nella circolazione soltanto come valore (come parte del valore del prodotto finito), l'altra entra come valore nel processo di produzione solo in quanto il lavoro necessario è la riproduzione del salario, ossia della parte del valore del capitale che circola come salario. È questa dunque la prima determinazione del capitale fisso, e per questo lato esso racchiude anche le matières jnstrumentales.
Secondo: Ma il capitale fisso può entrare in circolazione come valore solo in quanto, come valore d'uso, si estingue nel processo di produzione. Esso entra come valore nel prodotto — vale a dire come tempo di lavoro elaborato o depositato in esso — nella misura in cui si estingue nella sua configurazione autonoma di valore d'uso. Attraverso il suo uso, esso viene logorato, ma in modo tale che il suo valore viene trasferito dalla sua forma a quella del prodotto. Se non viene utilizzato, se non viene consumato nel processo di produzione stesso — se la macchina è ferma, il ferro si arrugginisce e il legno marcisce —, naturalmente il suo valore si estingue insieme alla sua transitoria esistenza di valore d'uso. La sua circolazione come valore corrisponde al suo consumo come valore d'uso nel processo di produzione. Il suo valore totale viene completamente riprodotto, ossia ritornerà dalla circolazione, solo quando esso sia stato completamente consumato come valore d'uso nel processo di produzione. Nel momento in cui esso è completamente
6 Cfr. A. CHERBULIEZ, Richesse ou Pauvreté ecc., cit., p 14-15.
convertito in valore e quindi è entrato definitivamente in circolazione, esso è completamente scomparso come valore d'uso, e perciò, in quanto momento necessario della produzione, deve essere rimpiazzato da un nuovo valore d'uso dello stesso genere, deve essere cioè riprodotto. La necessità di riprodurlo, ossia il suo tempo di riproduzione, è determinato dal tempo in cui esso viene logorato, consumato entro il processo di produzione. Nel caso del capitale circolante, la riproduzione è determinata dal tempo di circolazione, mentre nel caso del capitale fisso la circolazione è determinata dal tempo entro il quale esso viene consumato come valore d'uso, nella sua esistenza materiale, nell'ambito dell'atto di produzione, ossia dal tempo entro il quale esso deve essere riprodotto. Mille libbre di filo possono essere di nuovo riprodotte non appena esse sono state vendute e il denaro riscosso in cambio sia stato di nuovo scambiato con cotone ecc., insomma non appena sono stati scambiati gli elementi che concorrono alla produzione del filo. La riproduzione delle mille libbre di filo dunque è determinata dal tempo di circolazione. Una, macchina del valore di 1.000 I., che abbia una durata di cinque anni, che cioè si logori solo dopo cinque anni, dopodiché non è altro che un ferro vecchio, si sfrutta, diciamo, di 1/5 all'anno, se consideriamo il consumo medio nel processo di produzione. Ogni anno dunque entra in circolazione soltanto 1/5 del suo valore, e solo al termine dei cinque anni essa sarà interamente entrata e tornata dalla circolazione. Il suo ingresso in circolazione è dunque puramente determinato dal tempo in cui essa si logora e dal tempo che occorre al suo valore per entrare e tornare totalmente dalla circolazione, ossia dal suo tempo di riproduzione totale, dal tempo in cui essa deve essere riprodotta. // capitale fisso entra nel prodotto soltanto come valore; mentre il valore d'uso del capitale circolante rimane nel prodotto soltanto come sua sostanza, acquistando soltanto una forma diversa. Il tempo di rotazione del capitale complessivo, suddiviso in capitale fisso e capitale circolante, viene modificato in maniera sostanziale da questa distinzione. Poniamo che il capitale complessivo sia = S; la parte circolante di esso sia = e; quella fissa = f; il capitale fisso costituisca 1/x . S; quello circolante S/y. Diciamo che il capitale circolante compia 3 rotazioni all'anno, quello fisso soltanto 2 rotazioni ogni 10 anni. In 10 anni f o S/y compirà due rotazioni; mentre nei medesimi 10 anni S/y compie 3 X 10 = 30 rotazioni. Se fosse S = S/y, se cioè S fosse solo capitale circolante, allora R, la sua rotazione, sarebbe = 30; e il capitale complessivo che ha ruotato sarebbe = 30 x S/y; cioè il capitale complessivo che ha ruotato in 10 anni. Ma il capitale fisso compie soltanto 2 rotazioni in 10 anni. La sua R' = 2, e il capitale fisso complessivo che ha ruotato è = 2S/x. Ma S è = S/y + S/x, e il suo tempo di rotazione complessivo è = al tempo di rotazione complessivo di queste due parti. Se il capitale fisso compie due rotazioni in 10 anni, in un anno ne compie 2/10 o 1/5; mentre in un anno il capitale circolante ne compie 3.
S/5x compie tutti gli anni una sola rotazione.
Il problema è semplice quando un capitale di 1.000 Tir. è = 600 di capitale circolante e 400 di capitale fisso; ossia 3/5 di capitale circolante e 2/5 di capitale fisso; posto che il capitale fisso duri 5 anni e quindi compia una rotazione in 5 anni, mentre il capitale circolante ne compie 3 tutti gli anni, a quanto ammonta il numero di rotazioni medio o il tempo di rotazione media del capitale complessivo? Se questa fosse solamente capitale circolante, compirebbe 5x3= 15 rotazioni; il capitale complessivo che ha ruotato in cinque anni sarebbe 15.000. Ma 2/5 di esso compiono soltanto una rotazione in 5 anni. Di questi 400 Tir. cioè ruotano in un anno 400/5 = 80 Tir. Dei 1.000 Tir., dunque, 600 compiono 3 rotazioni all'anno, e 80 ne compiono 1; oppure, nell'intero anno ne ruoterebbero solo 1.880; nei 5 anni quindi, ruotano 5 x 1.880 = 9.400; ossia 5.600 di meno che se il capitale complessivo consistesse soltanto di capitale circolante. Se l'intero capitale consistesse soltanto di capitale circolante, compirebbe una rotazione ogni 1/3 di anno.
Sia il capitale = 1.000a; c=600 compie due rotazioni all'anno; f = 400 compie 1 rotazione all'anno: allora in mezzo anno si compie la rotazione di 600 (3/5S); e similmente in mezzo anno si compie la rotazione di 400/2 o (2S/(5x2)). In mezzo anno dunque si compie la rotazione di 600+200 = 800 (ossia c+f/2). In un anno intero si compie quindi la rotazione di 2X800 = 1.600; 1.600 Tir. in un anno; dunque 100 in 12/16 mesi; dunque 1.000 in 120/16 mesi = 7%. L'intero capitale di 1.000 compie dunque la sua rotazione in 7% mesi, laddove la compierebbe in 6 mesi se consistesse soltanto di capitale circolante. 7% : 6 = 1 : 1% o come 1 : 5/4. Sia il capitale = 100, di cui quello circolante = 50, e quello fisso = 50; il primo compie 2 rotazioni all'anno, il secondo 1; allora 1/2 di 100 compie 1 rotazione in 6 mesi; e 1/4 di 100, similmente, compie 1 rotazione in 6 mesi; in 6 mesi dunque ruotano 3/4 del capitale, 3/4 di 100 in 6 mesi; o 75 in 6 mesi, e 100 in 8 mesi. Se 2/4 di 100 ruotano in sei mesi e nei medesimi sei mesi ruota 1/4 di 100 (1/2 del capitale fisso), allora 3/4 di 100 notano in 6 mesi. Quindi 1/4 in 6/3 = 2 [mesi] ossia 4/4. 100 o 100 in 6 + 2 = 8 mesi. Il tempo di rotazione complessivo del capitale è = 6 (tempo di rotazione dell'intero capitale circolante e 1/2 del capitale fisso o 1/4 del capitale complessivo) + 6/3, ossia + questo tempo di rotazione diviso per il numero che esprime quale parte aliquota costituisce il capitale fisso restante dal capitale che ha ruotato nel tempo di rotazione del capitale circolante, Così nell'esempio precedente: 3/5 di 100 ruota in 6 mesi; ditto 1/5 di 100; dunque 4/5 di 100 ruotano in 6 mesi; e quindi il restante 1/5 di 100 in 6/4 mesi; in conclusione, l'intero capitale ruota in 6+6/4 mesi = 6+1% o 7% mesi. In termini generali13: il tempo di rotazione medio è = al tempo di rotazione del capitale circolante + questo tempo di rotazione, diviso per il numero che esprime quante volte la restante parte del capitale fisso è contenuta nella somma complessiva del capitale che è stata fatta circolare in questo tempo di rotazione0.
Se abbiamo due capitali di 100 Tir., di cui l'uno sia interamente capitale circolante, l'altro per metà capitale fisso, ciascuno al 5% di profitto, e l'uno compia interamente 2 rotazioni all'anno, e similmente il capitale circolante dell'altro compia 2 rotazioni, mentre il capitale fisso ne compie 1 solamente: allora il capitale complessivamente in rotazione sarebbe nel primo caso = 200 e il profitto = 10; nel secondo caso, = 3 rotazioni in 8 mesi, VA in 4; ovvero ruoterebbero, in 12 mesi, 150; e in tal caso il profitto sarebbe = 7%. Questo genere di calcolo ha persistito nel pregiudizio comune che il capitale circolante o il capitale fisso diano un profitto, per una specie di misterioso potere innato, come si vede nelle stesse frasi usate da Malthus «il capitale circolante dà un profitto se il suo possessore se ne separa ecc.»7, altresì, nei passi precedentemente citati del suo Measure ofvalue ecc., dal
a Cancellato nel ms.: «2/5 del capitale, ossia la sua parte fissa, ruota però soltanto una volta in un anno; quindi ruota soltanto 1/3 di 2/5 in una terza parte di anno. Del capitale complessivo ruotano dunque, in 1/3 di anno, 3/5 una volta, e 2/15 un'altra volta; in 1/3 di anno ruotano cioè 3/5 + 2/15, o 11/15. Il capitale complessivo ruota così in un anno 33/15 o 2+1/5 volte. Se fosse costituito interamente di capitale circolante, ruoterebbe 3 volte. La differenza tra il tempo di rotazione effettivo del capitale e il suo tempo di rotazione se fosse soltanto capitale circolante = 3 — (2+1/5) = 4/5; ossia uguale alla parte».
b Cancellato nel ms.: «Sia T il tempo di rotazione del capitale circolante C. Questo C sia = C/a del capitale complessivo. C/a ruota in T. Simultaneamente però ruota una parte del capitale fisso in T. E se la rotazione del capitale fisso, che sia = C/2a, ruota in mT, durante T ruota C/a = e; e C/2am = f/m ruota anch'esso in T.
Dunque in T ruota
C/a + C/2am, ossia
2mC/2ma + C/2ma = C(2m+1)/2ma.
La parte restante del capitale = C/2a - C/2am, poniamo = C/b; allora T = T + T»
c Cancellato nel ms.: «Il tempo di rotazione del capitale circolante è soltanto = T del capitale circolante + 1/x del capitale fisso. Il capitale circolante + 1/x del capitale fisso fanno e — a = (m - a) : T»
7 Cfr. T. R. MALTHUS, Definitions ecc., pp. 237-238 [Definizioni, p. 489];
modo in cui egli fa accumulare i profitti del capitale fisso8. Dal fatto che, nelle teorie economiche finora esistite, la dottrina del profitto non è stata considerata in maniera pura, bensì confusa con la dottrina del profitto reale, che mette capo alla partecipazione dei diversi capitali al saggio generale di profitto, è nata la massima confusione e mistificazione. Il profitto dei capitalisti in quanto classe o il profitto del capitale deve già esistere prima che possa essere distribuito, ed è sommamente assurdo voler spiegare la sua origine dalla sua distribuzione. In base a quanto precede, il profitto diminuisce perché il tempo di circolazione del capitale aumenta* proporzionalmente all'aumento della parte costitutiva di esso che si è detta capitale fisso. Il capitale della medesima grandezza, nell'esempio precedente 100, subirebbe interamente 2 rotazioni all'anno se consistesse soltanto di capitale circolante. Esso invece subisce soltanto 2 rotazioni in 16 mesi, o in un anno sono soggetti a rotazione soltanto 150 Tir., perché per la metà esso è fatto di capitale fisso. Come diminuisce il numero della sua riproduzione in un determinato tempo, o diminuisce la quantità di esso che viene riprodotta in questo tempo, così diminuisce la produzione di tempo supplementare o plusvalore, giacché in generale il capitale crea valore solo nella misura in cui crea plusvalore. (Questa per lo meno è la sua tendenza; la sua azione adeguata).
Il capitale fisso, come abbiamo visto, circola come valore solo nella misura in cui esso viene logorato o consumato come valore d'uso nel processo di produzione.
Ma dalla sua capacità di durata dipende il tempo in cui esso viene così consumato e deve essere riprodotto nella sua forma di valore d'uso. La sua capacità di durata, o la maggiore o minore transitorietà — il tempo maggiore o minore in cui esso può continuare a ripetere, nei ripetuti processi di produzione del capitale, la sua funzione nell'ambito di questi processi stessi —, questa destinazione del suo valore d'uso diventa dunque qui un momento di determinazione formale, determinante cioè per il capitale dal suo lato formale, non da quello materiale. Il tempo di riproduzione necessario del capitale fisso, al pari della proporzione in cui esso sta rispetto al capitale complessivo, modificano qui dunque il tempo di rotazione del capitale complessivo e con ciò la sua valorizzazione. La maggiore capacità di durata del capitale (la diminuzione (durata) del suo tempo di riproduzione necessario) e la proporzione in cui il capitale fisso si trova rispetto al capitale complessivo agiscono dunque qui sulla valorizzazione allo stesso modo che la rotazione più lenta produce tale effetto o per il fatto che il mercato da cui il capitale ritorna sotto forma di denaro è spazialmente più lontano, e quindi si richiede maggior tempo per descrivere il tracciato della circolazioni (così come, per esempio, dei capitali che lavorano in Inghilterra per il mercato indo-orientale ritornano più lentamente di quelli che lavorano per mercati esteri più vicini o per il mercato interno), oppure perché la fase di produzione stessa viene interrotta da condizioni naturali, come accade nell'agricoltura. Ricardo, che per primo ha messo l'accento sull'influenza del capitale fisso sul processo di valorizzazione, getta poi tutte queste determinazioni alla rinfusa come si può vedere dai passi sopra citati9.
Cfr. T. R. MALTHUS, The Measure of Value ecc., cit., pp.33, 35;
* Posta la sua grandezza come permanente — ma questa non ci interessa affatto qui, giacché il teorema è vero per un capitale di qualsiasi grandezza. I capitali hanno varia grandezza. Ma la grandezza di ciascun singolo capitale è identica a se stessa, ossia nella misura in cui si considera soltanto la sua qualità di capitale, quale che sia la sua grandezza. Ma se consideriamo due capitali l'uno distinto dall'altro, allora subentra un rapporto di determinazioni qualitative in ragione della differenza della loro grandezza, la quale diventa essa stessa una loro qualità distintiva. Questo un punto di vista essenziale, del quale la grandezza è soltanto un singolo caso, così come la considerazione del capitale in quanto tale si distingue da quella del capitale in rotazione ad un altro capitale, o considerazione del capitale nella sua realtà.
9 Cfr. quaderno Vili, Grundrisse p.788; Princilples ecc. cit. pp 26-27 [principi, p. 21],
Nel primo caso (il capitale fisso) la rotazione del capitale viene ridotta perché il capitale fisso si consuma lentamente entro il processo di produzione; oppure la causa sta nella durata del tempo richiesto per la sua riproduzione. Nel secondo caso la rotazione ridotta deriva dal prolungamento del tempo di circolazione (nel primo caso il capitale fisso necessariamente circola sempre con la stessa rapidità del prodotto, nella misura in cui poi esso circola, entra in circolazione, giacché esso non circola nella sua esistenza materiale, bensì soltanto come valore, ossia come elemento ideale del valore complessivo del prodotto), o meglio del tempo di circolazione della seconda metà del processo di circolazione vero e proprio ossia della ritrasformazione del denaro; nel terzo caso la rotazione ridotta deriva dal maggior tempo di cui il capitale ha bisogno non, come nel primo caso, per consumarsi nel processo di produzione, bensì per uscirne come prodotto. Il primo caso è specificamente peculiare al capitale fisso; l'altro appartiene alla categoria del capitale non fluido, ma fissato, fissato in una qualsiasi delle fasi del processo di circolazione complessivo (capitale fisso di un considerevole grado di durabilità, oppure capitale circolante con capacità di ritornare a periodi distanti. McCulloch. Principles of Politicai Economy. Quaderno, p. 15)10.
Terzo: Finora noi abbiamo considerato il capitale fisso solamente dal lato secondo il quale le sue distinzioni sono poste dal rapporto particolare, specifico che esso ha col processo di circolazione vero e proprio. Da questo lato risulteranno ancora altre distinzioni. La prima, [dquella] del ritorno del suo valore in fasi successive, laddove ogni porzione del capitale circolante viene scambiata interamente, perché in esso l'esistenza del valore coincide con quella del valore d'uso. La seconda, dovuta non semplicemente, come abbiamo visto finora, all'influenza che il capitale fisso ha sul tempo di rotazione medio di un dato capitale, bensì all'influenza sul tempo di rotazione che esso ha considerato per sé. Quest'ultima circostanza diventa importante quando il capitale fisso non si presenta come mero strumento di produzione all'interno del processo di produzione, ma come forma autonoma di capitale, per esempio nella forma di ferrovie, canali, strade, acquedotti, di capitale incorporato col suolo ecc. Quest'ultima determinazione diventa specialmente importante ai fini del rapporto in cui il capitale complessivo di un paese si divide in queste due forme — e quindi per il modo in cui esso viene rinnovato e conservato ecc., cosa che negli economisti assume la forma per cui esso può dare un reddito solo mediante il capitale circolante ecc. Quest'ultima non è altro, au fond, che la considerazione del momento in cui esso si presenta non come esistenza particolare autonoma accanto e al di fuori del capitale circolante, bensì come capitale circolante trasformato in capitale fisso. Quel che invece qui vogliamo prendere anzitutto in considerazione è la relazione del capitale fisso non verso l'esterno, bensì in quanto essa è data dal fatto che il capitale fisso rimane racchiuso entro il processo di produzione. In tal modo esso è posto come un momento determinato del processo di produzione stesso.
[[Non è affatto detto che il capitale fisso sia in ogni determinazione capitale che serve non al consumo individuale, bensì soltanto alla produzione. Una cosa può servire sia alla produzione che al consumo; e così tutti i veicoli, un battello o una vettura, possono servire sia per un'escursione che come mezzo di trasporto; una strada, sia come mezzo di comunicazione per la produzione vera e propria che per passeggiare ecc. Il capitale fisso sotto questo secondo rispetto non ci interessa affatto, giacché qui noi consideriamo il capitale solamente come processo di valorizzazione e processo di produzione. Quella seconda determinazione entrerà in gioco quando tratteremo dell'interesse. Ricardo ha presente soltanto questa determinazione, quando dice: «Il capitale, a seconda della sua natura più o meno transitoria, a seconda cioè che esso debba essere più o meno spesso
10 Cfr. J. R. MAcCULLOCH, The Principles ecc.. cit,. p. 300 [Principi, p. 176].
riprodotto in un dato tempo, si chiama capitale circolante oppure fisso» ( Ricardo, Vili, 19)11. Secondo questa idea una caffettiera sarebbe capitale fisso, il caffè invece capitale circolante.
Il rozzo materialismo degli economisti, che li porta a considerare i rapporti sociali di produzione degli uomini e le determinazioni che le cose ricevono, in quanto sussunte sotto questi rapporti, come proprietà naturali delle cose, è un idealismo altrettanto rozzo, anzi un feticismo, che alle cose attribuisce relazioni sociali come loro determinazioni immanenti, e così le mistifica. (La difficoltà di stabilire se una cosa qualsiasi è capitale fisso o circolante secondo la sua costituzione naturale ha qui condotto gli economisti, in via eccezionale, all'idea che le cose stesse non sono né capitale fisso né capitale circolante, e quindi in generale non sono capitale, così come non è una proprietà naturale dell'oro essere denaro)]].
(Ai punti sopra enumerati, per non dimenticarlo, si aggiunge ancora la circolazione del capitale fisso come capitale circolante, vale a dire le transazioni attraverso le quali esso cambia suo possessore).
«Capitale fisso — impegnato [engagé]: capitale talmente impegnato in un genere di produzione che non può più esserne stornato per consacrarsi ad un altro genere di produzione» (Say, 24)12. «Il capitale fisso si consuma per aiutare a consumare ciò che l'uomo destina al suo uso consiste in impianti durevoli capaci di aumentare le capacità produttive di un lavoro futuro» (Sismondi, VI)13. «Capitale fisso [è] quel capitale che è necessario per mantenere gli strumenti, le macchine ecc. del lavoro» (Smith, t. Il, p.426)14. «Il capitale circolante viene consumato, il capitale fisso viene soltanto usato in un importante lavoro di produzione» («Economist». Quaderno VI, p. 1)15.
«Si farà vedere che il primo bastone o la prima pietra che egli prese nella sua mano per aiutarsi nel perseguimento di questi scopi, compiendo una parte del suo lavoro, fece precisamente l'ufficio dei capitali attualmente impiegati da parte delle nazioni dedite al commercio». (Lauderdale, p. 87, quaderno 8a)16. «È uno dei tratti che caratterizzano e distinguono la specie umana supplire così al lavoro mediante un capitale trasformato in macchine» (p. 20) (p. 9, quaderno Lauderdale)17. «Si intende ora che. il profitto dei capitali proviene sempre dal fatto che essi suppliscono a una parte di lavoro che l'uomo dovrebbe fare con le proprie mani; oppure dal fatto che essi compiono una parte di lavoro eccedente lo sforzo personale dell'uomo, e che egli non saprebbe eseguire da sé» (p. 119 l.c.)18. Lauderdale polemizza con Smith e Locke, la cui teoria del lavoro quale creatore del profitto sbocca, secondo lui, in questo risultato: «se questa idea del beneficio del capitale fosse rigorosamente esatta, ne seguirebbe che esso non sarebbe una fonte originaria
11 Cfr. quaderno Vili, Grundrisse, p. 788; Principles ecc., cit..p. 26 [Principi, p. 21].
12 J.B.SAY, Traité ecc., cit., t. XI, p. 430 [Trattato, p. 409]; cfr. MEGA I/3, p. 452. L'indicazione «24» si
riferisce alla pagina dei quaderno di estratti, in realtà p. 21.
13 Cfr. J.-C.-L. S. DE SISMONDI, Nouveaux principes ecc., cit., t. I, p. 95 [Nuovi prìncipii, p. 486]: «VI» si
riferisce al quaderno estratti.
14 Cfr. A. SMITH, Recherches ecc., cit., t. Il, p. 226 [Ricchezza delle nazioni, p. 260] e MEGA I/3, p. 464; il
rinvio a «p 126» è errato.
15 Cfr. «The Economiste, voi. V, n. 219, November 6, 1847, p. 1271. «Quaderno VI, p. 1» si riferisce al
quaderno di estratti.
16 Cfr. LAUDERDALE, Recherches ecc., cit., p. 87 [Ricerche p. 37]
17 Cfr. ibidem, p. 120 [. Ibidem, p. 48]; il rinvio a «p. 20» è errato.
18 Cfr. tr. it. cit., p. 48.
della ricchezza, ma soltanto derivata; e non si potrebbero considerare i capitali come uno dei principi della ricchezza, non essendo i loro profitti che un trasferimento dalla tasca del lavoratore a quella del capitalista» (l.c. 116, 117)19. «Il profitto dei capitali proviene sempre o dal fatto che essi suppliscono a una parte del lavoro che l'uomo dovrebbe fare con le proprie mani; oppure dal fatto che essi compiono una parte del lavoro eccedente gli sforzi personali dell'uomo, e che egli non saprebbe fare da sé» (p. 119, l.c; [quaderno] p. 9 b)20. «È bene sottolineare che se il capitalista, per l'uso che fa del suo denaro, risparmia un certo lavoro alla classe dei consumatori, non vi sostituisce affatto una uguale porzione del suo; il che prova che è il suo capitale ad eseguirlo, e non lui stesso» (quaderno p. 10; l.c. p. 132)21. «Se Adam Smith, invece di immaginare che l'effetto d'una macchina è di facilitare il lavoro, o, secondo le sue stesse parole, di aumentare la capacità produttiva del lavoro, (solo per una strana confusione d'idee il signor Smith ha potuto dire che l'effetto dei capitali è di aumentare la capacità produttiva del lavoro. Con la stessa logica si potrebbe allora ben pretendere che accorciando della metà un percorso circolare tracciato tra due punti dati, si raddoppia la velocità di un podista,) si fosse accorto che è nel supplirvi che i capitali [fonds] con i quali si paga la macchina danno un profitto, avrebbe attribuito alla medesima circostanza l'origine del profitto» ([quaderno] p. 11; p. 137)22. «I capitali, sia fissi che circolanti, nel commercio interno, lungi dal servire a mettere in azione il lavoro, lungi dall'aumentare la capacità produttiva, al contrario non sono utili e profittevoli che in queste due circostanze, o in quanto suppliscono alla necessità d'una parte del lavoro che l'uomo dovrebbe fare con le proprie mani; oppure in quanto eseguono un certo lavoro che non è in potere dell'uomo eseguire da sé». Questa, dice Lauderdale, non è affatto una differenza verbale. «L'idea che i capitali mettano in azione il lavoro, e accrescano la sua capacità produttiva, dà luogo all'opinione che il lavoro è dappertutto proporzionato alla quantità di capitali esistenti; che l'industria di un paese è sempre in ragione dei capitali [fonds] impiegati — dal che conseguirebbe che l'aumento dei capitali è il mezzo sovrano e illimitato per accrescere la ricchezza. In luogo di ciò, se si ammette che i capitali non possono avere altro impiego utile e profittevole che quello di supplire ad un certo lavoro, o di eseguirlo, si tirerà questa conseguenza naturale: che lo Stato non potrebbe trovare alcun vantaggio nel fatto di possedere più capitali di quanto non ne possa impiegare a fare il lavoro o a supplirvi nella produzione e fabbricazione delle cose che il consumatore domanda» (p. 151, 152; [quaderno] p. 11, 12)23. Per dimostrare la sua tesi che il capitale, indipendentemente dal lavoro, è una fonte sui generis di profitto e perciò di ricchezza, egli rinvia ai sovraprofitti che il possessore di una macchina di nuova invenzione ricava prima che il suo brevetto sia scaduto e la concorrenza abbia abbassato i prezzi, per poi concludere con le parole: «Questa alterazione nel modo di fissare i prezzi non impedisce che il beneficio» (per il valore d'uso) «della macchina si ricavi da un capitale [fonds] della medesima natura di quello da cui esso era pagato prima che il brevetto spirasse: questo capitale [fonds] è sempre quella parte dei redditi di un paese precedentemente destinata a salariare il lavoro al quale la nuova invenzione ha supplito», (l.c. 125; [quaderno] p. I0b)24. Al contrario, secondo Ravenstone (IX, 32), il macchinario può essere raramente impiegato con successo per ridurre i lavori di un individuo; si perderebbe più tempo a costruirlo di quanto ne potrebbe essere risparmiato ad applicano.
19 Cfr. ibidem, p. 47.
20 Cfr.tr. it. cit., p. 48.
21 Cfr.tr. it. cit., p. 53.
22 Cfr. ibidem, p. 55.
23 Cfr. ibidem, p. 60.
24 Cfr. ibidem, p, 50.
Esso è realmente utile solo quando agisce su grandi masse, quando una singola macchina può aiutare il lavoro di migliaia di individui. Conseguentemente è nei paesi più popolati, dove esistono più oziosi, che le macchine sono sempre più abbondanti. Esse non vengono introdotte in ragione della scarsità di uomini, ma in ragione della facilità con cui sono presenti in massa» (l.c)25. «Suddivisione delle macchine in: 1) macchine impiegate a produrre energia; 2) macchine che hanno come scopo semplicemente di trasmettere l'energia e di eseguire il lavoro» (Babbage, quaderno, p. 10)26. «Fabbrica significa la cooperazione di più classi di operai, adulti e non adulti, che curano con accortezza e assiduità un sistema di meccanismi produttivi messi continuamente in azione da un potere centrale ... esclusa ogni fabbrica il cui meccanismo non forma un sistema continuo, o che non dipende da un unico principio motore. Esempi di quest'ultima classe nelle fabbriche tessili, nelle fonderie di ottone, ecc. .. Questo termine, nella sua accezione più rigorosa, implica l'idea di un enorme automa, composto di numerosi organi meccanici e intellettuali che operano in maniera concertata e senza interruzione per produrre un medesimo oggetto, tutti essi essendo subordinati a una forza motrice che si muove spontaneamente» Ure, 13)27.
3.4.8 - [Il processo di lavoro. - Capitale fisso. - Mezzo di lavoro. Macchina. - Capitale fisso. Trasposizione delle forze di lavoro in forze del capitale, sia come capitale fisso che come capitale circolante. - In che misura il capitale fisso (macchina) crea valore. - Lauderdale. - La macchina presuppone una massa di operai]
Il capitale che si consuma nel processo di produzione stesso, o capitale fisso, è, in senso enfatico, un mezzo di produzione. In senso più ampio l'intero processo di produzione e ogni suo momento, al pari della circolazione — finché la si considera dal lato materiale — non è altro che un mezzo di produzione del capitale, per il quale solo il valore è fine a sé. Dallo stesso punto di vista materiale la materia prima è mezzo di produzione per il prodotto ecc.
Ma la determinazione del valore d'uso del capitale fisso come quello che si consuma nel processo di produzione stesso, si identifica col fatto che in questo processo esso viene usato soltanto come mezzo ed esiste semplicemente come agente della trasformazione della materia prima in prodotto. In questa sua natura di mezzo di produzione il suo valore d'uso può consistere nell'essere, esso, soltanto condizione tecnologica per l'avanzamento del processo (il luogo in cui avviene il processo di produzione), come gli edifici ecc.; oppure condizione immediata per l'operare del vero e proprio mezzo di produzione, come di tutte le matières jnstrumentales. Entrambe a loro volta non sono altro che presupposti materiali per l'avanzamento del processo di produzione in generale o per l'impiego e la conservazione del mezzo di lavoro. Questo però ha una funzione, in senso vero e proprio,
25 Cfr. P. RAVENSTONE, Thoughts ecc., cit., p. 45.
26 Cfr. CH. BABBAGE, Traité ecc., cit., pp. 20-21 ;
27 Cfr. A. URE, Philosophie des manufactures, Bruxelles 1836, t. I, pp. 18-19 [Filosofia delle manifatture, in
Bib. Dell'Economista, Serie II voi 3°, p. 23]; estratti, in un quaderno (cui si riferisce il rinvio «13») non
datato e non numerato, redatto a Bruxelles ca. settembre 1845: cfr. MEGA I/6, p. 616.
soltanto nell'ambito della produzione e ai fini della produzione, e non ha alcun altro valore d'uso.
In origine, quando prendevamo in considerazione la trasformazione del valore in capitale, il processo lavorativo fu semplicemente assunto entro il capitale, e dal punto di vista delle sue condizioni materiali, della sua esistenza materiale, il capitale si presentò come la totalità delle condizioni di questo processo, separandosi, conformemente ad esso, in certe porzioni qualitativamente differenti, ossia in materiale di lavoro (è questa, e non «materia prima» l'espressione logicamente giusta), mezzo di lavoro e lavoro vivo. Da una parte il capitale si era disgiunto, dal punto di vista della sua costituzione materiale, in questi tre elementi; d'altra parte la loro unità dinamica costituiva il processo lavorativo (o il confluire di questi elementi in un processo), e quella statica il prodotto. In questa forma gli elementi materiali — materiale di lavoro, mezzo di lavoro, lavoro vivo — si presentano soltanto come i momenti essenziali del processo lavorativo stesso, di cui il capitale si appropria. Ma questo lato materiale — o la sua determinazione di valore d'uso e processo reale — si è scisso totalmente dalla sua determinazione formale. In quest'ultima
)i tre. elementi nei quali esso compare prima dello scambio con la forza-lavoro, ossia prima del processo reale, si presentano soltanto come sue porzioni quantitativamente differenti, come quantità di valore, di cui esso stesso costituisce l'unità, come somma. La forma materiale, il valore d'uso nel quale queste diverse porzioni esistono, non alterava affatto l'omogeneità di questa determinazione. Dal punto di vista della determinazione formale l'omogeneità si presentava come semplice separazione quantitativa del capitale in porzioni;
)nell'ambito del processo stesso, l'elemento lavoro e gli altri due si sono distinti, dal punto di vista formale, solo nel senso che gli uni si determinavano come valori costanti, e l'altro come creatore di valore. Ma nel momento in cui si è inserita la loro diversità in quanto valori d'uso, ossia il lato materiale, essa è caduta interamente fuori della determinazione formale del capitale. Ma ora, nella differenza di capitale circolante (materia prima e prodotto) e capitale fisso (mezzo di lavoro), la differenza degli elementi in quanto valori d'uso è posta nello stesso tempo come differenza del capitale in quanto capitale, nella sua determinazione formale. Il rapporto reciproco dei fattori, che era soltanto quantitativo, si presenta ora come differenza qualitativa del capitale stesso, la quale poi determina il suo movimento complessivo (rotazione). Il materiale di lavoro e il prodotto di lavoro, il precipitato neutro del processo lavorativo, in quanto materia prima e prodotto, sono anche già materialmente determinati non più come materiale e prodotto del lavoro, bensì come il valore d'uso del capitale stesso in fasi diverse.
Finché il mezzo di lavoro rimane, nel senso proprio della parola, mezzo di lavoro, così come, storicamente, immediatamente, è inglobato dal capitale nel suo processo di valorizzazione, esso subisce solo un mutamento formale per il fatto che ora non si presenta più soltanto dal suo lato materiale come mezzo del lavoro, bensì nello stesso tempo come un modo particolare di esistenza del capitale, determinato dal suo processo complessivo, come capitale fisso. Ma, una volta assunto nel processo produttivo del capitale, il mezzo di lavoro percorre diverse metamorfosi, di cui l'ultima è la macchina o, piuttosto, un sistema automatico di macchine (sistema di macchine; quello automatico è solo la forma più perfetta e adeguata del macchinario, che sola lo trasforma in un sistema), messo in moto da un automa, forza motrice che muove se stessa; questo automa è costituito di numerosi organi meccanici e intellettuali, di modo che gli operai stessi sono determinati solo come organi coscienti di esso. Nella macchina, e ancor più nel macchinario come sistema automatico, il mezzo di lavoro è trasformato, dal punto di vista del suo valore d'uso, cioè della sua esistenza materiale, in una esistenza adeguata al capitale fisso e al capitale in generale, e la forma in cui esso è stato assunto come mezzo
di lavoro immediato nel processo di produzione del capitale è superata in una forma posta dal capitale stesso e ad esso corrispondente. La macchina non si presenta sotto nessun rispetto come mezzo di lavoro dell'operaio singolo. La sua differentia specifica non è affatto, come nel mezzo di lavoro, quella di mediare l'attività dell'operaio nei confronti dell'oggetto; ma anzi questa attività è posta ora in modo che è essa a mediare: soltanto ormai il lavoro della macchina, la sua azione sulla materia prima — a sorvegliare questa azione e ad evitarne le interruzioni. A differenza quindi dallo strumento, che l'operaio anima — come un organo — della propria abilità e attività, e il cui maneggio dipende perciò dalla sua virtuosità. Mentre la macchina, che possiede abilità e forza al posto dell'operaio, è essa stessa il virtuoso, che possiede una propria anima a nelle leggi meccaniche in essa operanti e, come l'operaio consuma mezzi alimentari, così essa consuma carbone, olio ecc. (matières instrumentales) per mantenersi continuamente in movimento. L'attività dell'operaio, ridotta a una semplice astrazione di attività, è determinata e regolata da tutte le parti dal movimento del macchinario, e non viceversa. La scienza, che costringe le membra inanimate delle macchine — grazie alla loro costruzione — ad agire conformemente ad uno, scopo come un automa, non esiste nella coscienza dell'operaio, ma agisce, attraverso la macchina, come un potere estraneo su di lui, come potere della macchina stessa. La appropriazione del lavoro vivo ad opera del lavoro oggettivato — della forza o attività valorizzante ad opera del valore per se stante —, che è nel concetto stesso del capitale, è posta, nella produzione basata sulle macchine, come carattere del processo di produzione stesso, anche dal punto di vista dei suoi elementi materiali e del suo movimento materiale. Il processo di produzione ha cessato di essere processo di lavoro nel senso che il lavoro lo soverchi come l'unità che lo domina. Il lavoro si presenta piuttosto soltanto come organo cosciente, in vari punti del sistema delle macchine, nella forma di singoli operai vivi; frantumato, sussunto sotto il processo complessivo delle macchine, esso stesso solo un membro del sistema, la cui unità non esiste negli operai vivi, ma nel macchinario vivente (attivo), che di fronte all'operaio si presenta come un possente organismo contrapposto alla sua attività singola e insignificante. Nelle macchine il lavoro oggettivato si contrappone al lavoro vivo, nello stesso processo di lavoro, come quel potere che lo domina e in cui il capitale stesso consiste, per la sua forma, in quanto appropriazione di lavoro vivo. L'assunzione del processo di lavoro come semplice momento del processo di valorizzazione del capitale è posta anche dal lato materiale attraverso la trasformazione del mezzo di lavoro in macchine e del lavoro vivo in semplice accessorio vivente di queste macchine, mezzo della loro azione. L'aumento della produttività del lavoro e la massima negazione del lavoro necessario è, come abbiamo visto, la tendenza necessaria del capitale. La realizzazione di questa tendenza è la trasformazione del mezzo di lavoro in macchine. Nelle macchine il lavoro oggettivato si contrappone materialmente al lavoro vivo come il potere che lo domina e come attiva sussunzione di esso sotto di sé, non solo in quanto se ne appropria, ma nello stesso processo di produzione reale; il rapporto del capitale come valore che si appropria l'attività valorizzante è posto, nel capitale fisso, che esiste sotto forma di macchine, nello stesso tempo come rapporto tra valore d'uso del capitale e valore d'uso della forza-lavoro; il valore oggettivato nelle macchine si presenta inoltre come una premessa rispetto alla quale la forza valorizzante della singola forza-lavoro scompare come qualcosa di infinitamente piccolo; con la produzione in masse enormi, che è posta con le macchine, scompare altresì, nel prodotto, ogni rapporto al bisogno immediato del produttore e quindi al valore d'uso immediato; nella forma in cui il prodotto viene prodotto, e nei rapporti in cui viene prodotto, è già posto che esso viene prodotto solo come portatore di valore e che il suo valore d'uso è solo una condizione ad esso relativa. Il lavoro oggettivato, a sua volta, si presenta direttamente,
nelle macchine, non solo nella forma del prodotto o del prodotto impiegato come mezzo di lavoro, ma della produttività stessa. Lo sviluppo del mezzo di lavoro in macchine non è accidentale per il capitale, ma è la trasformazione e conversione storica del mezzo di lavoro ereditato dalla tradizione in forma adeguata al capitale. L'accumulazione della scienza e dell'abilità, delle forze produttive generali del cervello sociale, rimane così, rispetto al lavoro, assorbita nel capitale, e si presenta per ciò come proprietà del capitale, e più precisamente del capitale fisso, nella misura in cui esso entra nel processo produttivo come mezzo di produzione vero e proprio. Le macchine si presentano così come la forma più adeguata del capitale fisso, e il capitale fisso, se si considera il capitale nella sua relazione con se stesso, come la forma più adeguata del capitale in generale. D'altra parte, in quanto il capitale fisso è inchiodato alla sua esistenza di valore d'uso determinato, esso non è adeguato al concetto del capitale, che, come valore, è indifferente ad ogni forma determinata di valore d'uso e può assumere o deporre ciascuna di esse come un'incarnazione indifferente. Per questo aspetto, e cioè se si considera il capitale nel suo rapporto verso l'esterno, il capitale circolante si presenta come la forma adeguata del capitale rispetto al capitale fisso.
In quanto poi le macchine si sviluppano con l'accumulazione della scienza sociale, della produttività in generale, non è nel lavoro, ma nel capitale, che si esprime il lavoro generalmente sociale. La produttività della società si commisura al capitale fisso, esiste in esso in forma oggettiva e, viceversa, la produttività del capitale si sviluppa con questo progresso generale che il capitale si appropria gratis. Qui lo sviluppo delle macchine non va esaminato in dettaglio, ma solo sotto l'aspetto generale per cui nel capitale fisso il mezzo di lavoro, dal suo lato materiale, perde la sua forma immediata e si contrappone materialmente, come capitale, all'operaio. La scienza si presenta, nelle macchine, come una scienza altrui, esterna all'operaio; e il lavoro vivo si presenta sussunto sotto quello oggettivato, che opera in modo autonomo. L'operaio si presenta come superfluo, nella misura in cui la sua azione non è condizionata dal bisogno [del capi tale].
Ila pieno sviluppo del capitale ha quindi luogo — o il capitale è giunto a porre la forma di produzione ad esso adeguata — solo quando il mezzo di lavoro non solo è determinato formalmente come capitale fisso, ma è soppresso nella sua forma immediata, e il capitale fisso si presenta di fronte al lavoro, all'interno del processo di produzione, come macchina; e l'intero processo di produzione non si presenta come sussunto sotto l'abilità immediata dell'operaio, ma come impiego tecnologico della scienza. Dare alla produzione carattere scientifico è quindi la tendenza del capitale e il lavoro immediato è ridotto a un semplice momento di questo processo. Come nella trasformazione del valore in capitale, così ad una analisi più precisa del capitale, risulta che esso, da un lato, presuppone un determinato sviluppo storico delle forze produttive (compresa, fra queste forze produttive, la scienza), e d'altra parte lo forza ad andare avanti.
L'ambito quantitativo e l'efficacia (intensità) in cui il capitale è sviluppato come capitale fisso indica quindi in generale il grado in cui il capitale è sviluppato come capitale, come potere sul lavoro vivo, e in cui esso si è assoggettato il processo produttivo in generale. Anche nel senso che esso esprime l'accumulazione delle forze produttive oggettivate e altresì del lavoro oggettivato. Ma se il capitale giunge a darsi la sua figura adeguata come valore d'uso all'interno del processo di produzione soltanto nelle macchine e in altre forme di esistenza materiale del capitale fisso come le ferrovie ecc. (su cui torneremo in seguito), ciò non significa affatto che questo valore d'uso — le macchine in se stesse — sia
a Qui inizia il quaderno VII; la prima pagina reca la sovrascritta «Il capitolo del capitale. (Seguito)». (Questo quaderno fu Iniziato verso la fine del febbraio '58).
capitale, o che il loro esistere come macchine si identifichi col loro esistere come capitale; così come l'oro non cesserebbe di avere il suo valore d'uso come oro quando non fosse più denaro. Le macchine non perderebbero il loro valore d'uso quando cessassero di essere capitale. Dal fatto che le macchine sono la forma più adeguata del valore d'uso del capitale fisso, non consegue minimamente che la sussunzione sotto il rapporto sociale del capitale sia il rapporto sociale di produzione ultimo e più adeguato per l'impiego delle macchine.
Nella stessa misura in cui il tempo di lavoro — la mera quantità di lavoro — è posto dal capitale come unico elemento determinante, il lavoro immediato e la sua quantità scompaiono come principio determinante della produzione — della creazione di valori d'uso — e vengono ridotti sia quantitativamente a una proporzione esigua, sia qualitativamente a momento certamente indispensabile, ma subalterno, rispetto al lavoro scientifico generale, all'applicazione tecnologica delle scienze naturali da un lato, e [rispetto alla] produttività generale derivante dall'articolazione sociale nella produzione complessiva dall'altro — produttività generale che si presenta come dono naturale del lavoro sociale (benché sia, in realtà, prodotto storico). Il capitale lavora così alla propria dissoluzione come forma dominante della produzione.
Se così, da un lato, la trasformazione del processo di produzione dal processo lavorativo semplice in un processo scientifico che sottomette le forze naturali al suo servizio e le fa operare al servizio dei bisogni umani, si presenta come carattere proprio del capitale fisso di fronte al lavoro vivo; se il lavoro singolo come tale cessa in generale di presentarsi come produttivo, o piuttosto è produttivo solo nei lavori collettivi che subordinano a sé le forze della natura, e questa elevazione del lavoro immediato a lavoro sociale si presenta come riduzione del lavoro singolo a impotenza rispetto alla collettività rappresentata, concentrata nel capitale; così, d'altra parte, il mantenimento del lavoro in un ramo della produzione in virtù del coexisting labour in un altro ramo, si presenta ora come carattere proprio del capitale circolante. Nella piccola circolazione il capitale anticipa all'operaio il salario, che l'operaio scambia con prodotti necessari al suo consumo. Il denaro da lui ricevuto ha questo potere solo perché simultaneamente accanto a lui si lavora; e solo perché il capitale si è appropriato il suo lavoro, esso può dargli, col denaro, un assegno sul lavoro altrui. Questo scambio del lavoro proprio con quello altrui non si presenta qui mediato e condizionato dalla coesistenza simultanea del lavoro degli altri, ma dall'anticipo fatto dal capitale. Il fatto che l'operaio, durante la produzione, possa effettuare il ricambio necessario al suo consumo si presenta come un carattere proprio della parte del capitale circolante che viene ceduta all'operaio, e del capitale circolante in generale. Non si presenta come ricambio delle forze di lavoro simultanee, ma come ricambio del capitale; come l'esistenza del capitale circolante. Così tutte le forze del lavoro vengono trasposte in forze del capitale; nel capitale fisso, la produttività del lavoro (che è posta fuori di esso e come esistente indipendentemente (in modo oggettivo) da esso); e nel capitale circolante, da un lato il fatto che l'operaio stesso si è premesso le condizioni della ripetizione del suo lavoro, e dall'altro che lo scambio di questo suo lavoro è mediato dal lavoro coesistente di altri, assume l'aspetto per cui il capitale per un verso gli anticipa il salario e, per l'altro pone la simultaneità delle branche di lavoro. (Queste due ultime determinazioni rientrano propriamente nell'accumulazione). Il capitale si pone come mediatore tra i vari labourers nella forma del capitale circolante.
Il capitale fisso, nella sua determinazione di mezzo di produzione, la cui forma più adeguata sono le macchine, produce valore, cioè aumenta il valore del prodotto, solo sotto due aspetti: 1) in quanto ha valore, cioè è esso stesso prodotto del lavoro, una certa quantità di lavoro in forma oggettivata; 2) in quanto aumenta il rapporto tra pluslavoro e lavoro necessario, mettendo in grado il lavoro, grazie all'aumento della sua produttività, di
creare una massa più grande di prodotti necessari al sostentamento della forza-lavoro viva in un tempo più breve. È quindi una frase borghese assolutamente assurda quella che l'operaio ha interessi comuni col capitalista perché questi, col capitale fisso (che è esso stesso, d'altronde, il prodotto del lavoro e nient'altro che lavoro altrui appropriato dal capitale), gli agevola il lavoro (che anzi gli sottrae con la macchina ogni indipendenza e carattere at traente) o gli abbrevia il lavoro. Il capitale impiega la macchina, invece, solo nella misura in cui essa abilita l'operaio a lavorare per il capitale una parte maggiore del suo tempo, a riferirsi ad una parte maggiore del suo tempo come a tempo che non gli appartiene, a lavorare più a lungo per un altro. È vero che, con questo processo, la quantità di lavoro necessario alla produzione di un determinato oggetto viene ridotta a un minimo, ma solo perché un massimo di lavoro venga valorizzato nel massimo di tali oggetti. Il primo lato è importante, perché il capitale riduce qui, senza alcuna intenzione, il lavoro umano (il dispendio di forza) ad un minimo. Ciò tornerà utile al lavoro emancipato ed è la condizione della sua emancipazione. Da quanto si è detto risulta l'assurdità della tesi di Lauderdale28, che vuol fare del capitale fisso una fonte di valore autonoma e indipendente dal tempo di lavoro. Esso rappresenta una fonte di questo genere solo, in quanto è esso stesso tempo di lavoro oggettivato e in quanto crea tempo di lavoro supplementare. Le macchine stesse, per il loro impiego, presuppongono, storicamente — vedi sopra Ravenstone29 — braccia in sovrabbondanza. Solo dove è presente una sovrabbondanza di forze di lavoro, intervengono le macchine a sostituire lavoro. Solo nell'immaginazione degli economisti le macchine intervengono a soccorso dell'operaio singolo. Esse possono operare solo con masse di operai, la cui concentrazione di fronte al capitale è, come abbiamo visto, uno dei presupposti storici del capitale stesso. Le macchine non intervengono a sostituire forza-lavoro mancante, ma per ridurre la forza-lavoro presente in massa alla misura necessaria. Solo dove la forza-lavoro è presente in massa, intervengono le macchine. (Ritornare su questo punto).
Lauderdale crede di aver fatto una grande scoperta, dicendo che le macchine non aumentano la produttività del lavoro, perché piuttosto la sostituiscono, o fanno ciò che il lavoro non può fare con la sua forza. Fa parte del concetto di capitale che la produttività accresciuta del lavoro sia posta invece come incremento di una forza al di fuori di esso e come depotenziamento del lavoro stesso. Il mezzo di lavoro rende l'operaio indipendente, lo pone come proprietario. Le macchine — come capitale fisso — lo pongono come non autonomo, come appropriato. Questo effetto delle macchine vale solo nella misura in cui esse sono determinate come capitale fisso, ed esse sono determinate come tale solo in quanto l'operaio si riferisce loro come operaio salariato e l'individuo attivo in generale come mero operaio.
28 Vedi cap. 3.4.7 di questa edizione per la rete internet
29 Vedi cap. 3.4.7 di questa edizione per la rete internet.
3.4.9 - [Capitale fisso e capitale circolante come due specie particolari di capitale. -Capitale fisso e continuità del processo di produzione, - Macchine e lavoro vivo. L'invenzione come attività economica]
Mentre finora il capitale fisso e circolante si sono presentati solo come determinazioni diverse e transitorie del capitale, essi sono ora cristallizzati in modi di esistenza particolari, e accanto al capitale fisso si presenta il capitale circolante. Sono ora due specie particolari di capitale. Se si considera un unico capitale in una determinata branca di produzione, esso si presenta diviso in queste due porzioni o si scinde in una [proporzione determinata fra queste due specie di capitale.
La differenza all'interno del processo di produzione, originariamente mezzo di lavoro e materiale di lavoro, e infine prodotto di lavoro, si presenta ora come capitale circolante (i primi due) e capitale fisso. La distinzione del capitale dal suo lato puramente materiale è ora assunta nella sua stessa forma e si presenta come suo elemento differenziante.
Per la tesi, di Lauderdale ecc., che vorrebbe far creare valore dal capitale in quanto tale, separato dal lavoro, e quindi anche plusvalore (o profitto), il capitale fisso — e cioè quello la cui esistenza materiale o il cui valore di uso sono le macchine — è ancora la forma che conferisce più parvenza alle loro fallacies superficiali. Contro di essi, ad esempio in Labour defended30, si dice che forse il costruttore della strada potrebbe anche avere interessi comuni con l'utente di essa, ma la «strada» stessa certamente no.
Una volta presupposto che il capitale circolante per corra realmente le sue diverse fasi, l'aumento o la diminuzione, la brevità o la lunghezza del tempo di circolazione, la maggiore o minor facilità o fatica con cui sono percorsi i vari stadi della circolazione, determinano una diminuzione del plusvalore che potrebbe essere creato in uno spazio di tempo dato, senza queste interruzioni — o per che il numero delle riproduzioni diventa minore, o perché la quantità del capitale continuamente coinvolto nel processo di produzione si contrae. In entrambi i casi non si tratta di una diminuzione del valore presupposto, ma di una diminuzione nella velocità della sua crescita. Ma non appena il capitale fisso si è sviluppato fino a raggiungere una certa estensione — e questa estensione, come si è accennato, è il metro dello sviluppo della grande industria in generale, e cresce quindi in rapporto allo sviluppo delle forze produttive di essa (il capitale fisso stesso è l'oggettivazione di queste forze produttive, queste forze stesse come prodotto presupposto) —, da questo momento in poi ogni interruzione del processo di produzione opera direttamente come diminuzione del capitale stesso, del suo valore presupposto. Il valore del capitale fisso viene riprodotto solo nella misura in cui viene consumato nel processo di produzione. Non essendo utilizzato, perde il suo valore d'uso, senza che il suo valore trapassi nel prodotto. Quindi quanto più larga è la scala di sviluppo del capitale fisso, nel significato in cui lo consideriamo qui, tanto più la continuità del processo di produzione o il flusso costante della riproduzione diventano una condizione obbligante del modo di produzione fondato sul capitale.
L'appropriazione del lavoro vivo ad opera del capitale acquista nelle macchine, anche da questo lato, una realtà immediata. È, da un lato, analisi e applicazione, che scaturiscono
30 Cfr. TH. HODGSKIN, Labour defended ecc., cit., p. 16.
direttamente dalla scienza, dileggi meccaniche e chimiche, e che abilitano la macchina a compiere lo stesso lavoro che prima era eseguito dall'operaio. Lo sviluppo delle macchine per questa via ha luogo, però, solo quando la grande industria ha già raggiunto un livello più alto e tutte le scienze sono catturate al servizio del capitale; e d'altra parte le stesse macchine esistenti forniscono già grandi risorse. Allora l'invenzione diventa una attività economica e l'applicazione della scienza alla produzione immediata un criterio determinante e sollecitante per la produzione stessa. Ma non è questa la via per cui le macchine sono sorte come sistema, e meno ancora quella su cui esse si sviluppano in dettaglio. Questa via è l'analisi — attraverso la divisione del lavoro, che già trasforma sempre di più le operazioni degli operai in operazioni meccaniche, cosicché, a un certo punto, il meccanismo può subentrare al loro posto. (Ad economy of power). Qui il modo di lavoro determinato si presenta dunque direttamente trasferito dall'operaio al capitale nella forma della macchina, e la sua propria forza- lavoro, svalutata da questa trasposizione. Donde la lotta degli operai contro le macchine. Ciò che era attività dell'operaio vivo diventa attività della macchina. Così l'appropriazione del lavoro da parte del capitale, il capitale che assorbe in sé il lavoro vivo — «come se in corpo ci avesse l'amore» — si contrappone tangibilmente all'operaio.
3.4.10 - [Contraddizione tra la base della produzione borghese (misura del valore) e il suo sviluppo stesso. Macchine ecc.]
Lo scambio del lavoro vivo col lavoro oggettivato, cioè la posizione del lavoro sociale nella forma dell'opposizione di capitale e lavoro salariato, è l'ultimo sviluppo del rapporto di valore e della produzione basata sul valore. La premessa di questa è e rimane la quantità di tempo di lavoro immediato, la quantità di lavoro impiegato, come fattore decisivo della produzione della ricchezza. Ma nella misura in cui si sviluppa la grande industria, la creazione della ricchezza reale viene a dipendere meno dal tempo di lavoro e dalla quantità di lavoro impiegato che dalla potenza degli agenti che vengono messi in moto durante il tempo di lavoro, e che a sua volta — questa loro powerfull effectiveness — non è minimamente in rapporto al tempo di lavoro immediato che costa la loro produzione, ma dipende invece dallo stato generale della scienza e dal progresso della tecnologia, o dall'applicazione di questa scienza alla produzione. (Lo sviluppo di questa scienza, in particolare della scienza della natura, e con essa di tutte le altre, è a sua volta di nuovo in rapporto allo sviluppo della produzione materiale). L'agricoltura, per esempio, diventa una semplice applicazione della scienza del ricambio materiale, da regolarsi nel modo più vantaggioso per l'intero organismo sociale. La ricchezza reale si manifesta invece — e questo è il segno della grande industria — nella enorme sproporzione fra il tempo di lavoro impiegato e il suo prodotto, come pure nella sproporzione qualitativa fra il lavoro ridotto ad una pura astrazione e la potenza del processo di produzione che esso sorveglia. Non è più tanto il lavoro a presentarsi come incluso nel processo di produzione, quanto piuttosto l'uomo a porsi in rapporto al processo di produzione come sorvegliante e regolatore. (Ciò che si è detto delle macchine, vale anche per la combinazione delle attività umane e per lo sviluppo delle relazioni umane). L'operaio non è più quello che inserisce l'oggetto naturale modificato come membro intermedio fra l'oggetto e se stesso; ma è quello che inserisce il processo naturale, che egli trasforma in un processo industriale, come mezzo fra se stesso e la natura inorganica, della quale si impadronisce. Egli si colloca accanto al processo di produzione, anziché esserne l'agente principale. In questa trasformazione non è né il lavoro immediato, eseguito dall'uomo stesso, né il tempo che egli lavora, ma l'appropriazione della sua produttività generale, la sua comprensione della natura e il dominio su di essa attraverso la sua esistenza di corpo sociale — in una parola, è lo sviluppo dell'individuo sociale che si presenta come il grande pilone di sostegno della produzione e della ricchezza. Il furto del tempo di lavoro altrui, su cui poggia la ricchezza odierna, si presenta come una base miserabile rispetto a questa nuova base che si è sviluppata nel frattempo e che è stata creata dalla grande industria stessa. Non appena il lavoro in forma immediata ha cessato di essere la grande fonte della ricchezza, il tempo di lavoro cessa e deve cessare di essere la sua misura, e quindi il valore di scambio deve cessare di essere la misura del valore d'uso. Il pluslavoro della massa ha cessato di essere la condizione dello sviluppo della ricchezza generale, così come il non-lavoro dei pochi ha cessato di essere condizione dello sviluppo delle forze generali della mente umana. Con ciò la produzione basata sul valore di scambio crolla, e il processo di produzione materiale immediato viene a perdere anche la forma della miseria e dell'antagonismo. [Subentra] il libero sviluppo delle individualità, e dunque non la riduzione del tempo di lavoro necessario per creare pluslavoro, ma in generale la riduzione del lavoro necessario della società ad un minimo, a cui corrisponde poi la formazione e lo sviluppo artistico, scientifico ecc. degli individui grazie al tempo divenuto libero e ai mezzi creati per tutti loro. Il capitale è esso stesso la contraddizione in processo, per il fatto che tende a ridurre il tempo di lavoro a un minimo, mentre, d'altro lato, pone il tempo di lavoro come unica misura e fonte della ricchezza. Esso diminuisce, quindi, il tempo di lavoro nella forma del tempo di lavoro necessario, per accrescerlo nella forma del tempo di lavoro superfluo; facendo quindi del tempo di lavoro superfluo — in misura crescente — la condizione (question de vie et de mori) di quello necessario. Da un lato esso evoca, quindi, tutte le forze della scienza e della natura, come della combinazione sociale e delle relazioni sociali, al fine di rendere la creazione della ricchezza (relativamente) indipendente dal tempo di lavoro impiegato in essa. Dall'altro lato esso intende misurare le gigantesche forze sociali così create alla stregua del tempo di lavoro, e imprigionarle nei limiti che sono necessari per conservare come valore il valore già creato. Le forze produttive e le relazioni sociali — entrambi lati diversi dello sviluppo dell'individuo sociale — figurano per il capitale solo come mezzi, e sono per esso solo mezzi per produrre sulla sua base limitata. Ma in realtà essi sono le condizioni per far saltare in aria questa base. «Una nazione si può dire veramente ricca, quando invece di 12 si lavora solo 6 ore. Wealth» (ricchezza reale) «non è il comando di tempo di lavoro supplementare, ma tempo disponibile, fuori di quello usato nella produzione immediata, per ogni individuo e per tutta la società» (The source and remedy, ecc. [cit] 1821, p. 6).
La natura non costruisce macchine, non costruisce locomotive, ferrovie, telegrafi elettrici, filatoi automatici, ecc. Essi sono prodotti dell'industria umana: materia]e naturale, trasformato in organi della volontà umana sulla natura o della sua esplicazione nella natura. Sono organi del cervello umano creati dalla mano umana; capacità scientifica oggettivata. Lo sviluppo del capitale fisso mostra fino a quale grado il sapere sociale generale, knowledge, è diventato forza produttiva immediata, e quindi le condizioni del processo vitale stesso della società sono passate sotto il controllo del general intellect, e rimodellate in conformità ad esso; fino a quale grado le forze produttive sociali sono prodotte, non solo nella forma del sapere, ma come organi immediati della prassi sociale, del processo di vita reale.
3.4.11 - [Significato dellosviluppo delcapitale fisso (per lo sviluppo del capitale in generale). Rapporto tra creazione di capitale fisso e capitale circolante. - Tempo disponibile. Crearlo è la vocazione fondamentale del capitale. Sua forma antitetica nel capitale. - Produttività del lavoro e produzione di capitale fisso. {The Source and Remedy). Uso e consumo: Economist. Durabilità del capitale fisso]
C'è ancora un altro lato da cui lo sviluppo del capitale fisso indica il grado di sviluppo della ricchezza in generale o di sviluppo del capitale. L'oggetto della produzione indirizzato immediatamente al valore d'uso e altrettanto immediatamente al valore di scambio è il prodotto stesso, che è destinato al consumo. La parte di produzione indirizzata alla produzione del capitale fisso non produce immediatamente oggetti di godimento, né valori di scambio immediati; per lo meno, non valori di scambio immediatamente realizzabili. Dipende dunque dal grado già raggiunto di produttività — dal fatto cioè che una parte del tempo di produzione è sufficiente alla produzione immediata —, che una parte sempre più grande venga impiegata nella produzione dei mezzi di produzione. Ciò implica che la società può attendere; che può sottrarre una gran parte della ricchezza già prodotta, sia al godimento immediato sia alla produzione destinata al godimento immediato, per impiegare questa parte ai fini di un lavoro non immediatamente produttivo (nell'ambito dello stesso processo materiale di produzione). Ciò richiede un alto livello della produttività già raggiunta e del relativo eccedente, e precisamente un livello tale che sia direttamente proporzionale alla trasformazione del capitale circolante in capitale fisso. Come la grandezza del pluslavoro relativo dipende dalla produttività dei lavoro necessario, così la grandezza del tempo di lavoro — sia vivo, sia oggettivato — impiegato nella produzione del capitale fisso, dipende dalla produttività del tempo di lavoro destinato alla produzione diretta di prodotti. Una sovrappopolazione, (da questo punto di vista), così come una sovrapproduzione, è, a tal fine, una condizione. Ciò vuol dire che il risultato del tempo impiegato nella produzione immediata deve essere relativamente troppo grande per i bisogni immediati della riproduzione del capitale impiegato in queste branche di industria. Quanto meno il capitale fisso dà frutti immediati, quanto meno cioè interviene nel processo di produzione immediato, tanto più grande deve essere questa relativa sovrappopolazione e sovrapproduzione; ossia per costruire ferrovie, canali, acquedotti, telegrafi ecc., più che macchine direttamente attive nel processo di produzione immediato. Donde — ma su questo punto ritorneremo in seguito — nella permanente sovra e sottoproduzione dell'industria moderna, permanenti squilibri e convulsioni, dovute alla sproporzione in cui ora troppo, ora troppo poco capitale circolante viene trasformato in capitale fisso.
[[La creazione di molto tempo disponibile oltre il tempo di lavoro necessario per la società in generale e per ogni membro di essa (ossia di spazio per il pieno sviluppo delle forze produttive dei singoli, e quindi anche della società), questa creazione di tempo di nonlavoro si presenta, al livello del capitale, come di tutti quelli precedenti, come tempo di non-lavoro, tempo libero per alcuni. Il capitale vi aggiunge il fatto che esso moltiplica il tempo di lavoro supplementare della massa con tutti i mezzi della tecnica e della scienza, perché la sua ricchezza è fatta direttamente di appropriazione di tempo di lavoro supplementare; giacché il suo scopo è direttamente il valore, e non il valore d'uso. In tal modo esso, malgré lui, è strumento di creazione delle possibilità di tempo sociale disponibile, della riduzione del tempo di lavoro per l'intera società ad un minimo decrescente, sì da rendere il tempo di tutti libero per il loro sviluppo personale. Ma la sua tendenza è sempre, per un verso, quella di creare tempo disponibile, per l'altro di convertirlo in pluslavoro. Se la prima cosa gli riesce, ecco intervenire una
sovrapproduzione, e allora il lavoro necessario viene interrotto perché il capitale non può valorizzare alcun pluslavoro. Quanto più si sviluppa questa contraddizione, tanto più viene in luce che la crescita delle forze produttive non può più essere vincolata all'appropriazione di pluslavoro altrui, ma che piuttosto la massa operaia stessa deve appropriarsi del suo pluslavoro. Una volta che essa lo abbia fatto — e con ciò il tempo disponibile cessi di avere una esistenza antitetica — da una parte il tempo di lavoro necessario avrà la sua misura nei bisogni dell'individuo sociale, dall'altra lo sviluppo della produttività sociale crescerà così rapidamente che, sebbene ora la produzione sia calcolata in vista della ricchezza di tutti, cresce il tempo disponibile di tutti. Giacché la ricchezza reale è la produttività sviluppata di tutti gli individui. E allora non è più il tempo di lavoro, ma il tempo disponibile la misura della ricchezza. Il tempo di lavoro come misura della ricchezza pone la ricchezza stessa come fondata sulla povertà, e il tempo disponibile come tempo che esiste nella e in virtù della antitesi al tempo di lavoro supplementare, ovvero tutto il tempo di un individuo è posto come tempo di lavoro, e l'individuo viene degradato perciò a mero operaio, sussunto sotto il lavoro. Le macchine più sviluppate perciò costringono ora l'operaio a lavorare più a lungo di quanto faccia il selvaggio o di quanto egli stesso facesse con gli strumenti più semplici e più rozzi]].
«Se l'intero lavoro di un paese bastasse soltanto a produrre quanto è necessario al mantenimento della popolazione, non ci sarebbe alcun pluslavoro, e di conseguenza nulla che potrebbe essere accumulato come capitale. Se invece la popolazione produce in un anno tanto quanto basta al mantenimento per due anni, o il consumo di un anno andrà a male, oppure gli abitanti per un anno si asterranno da qualsiasi lavoro produttivo. Ma i possessori del plusprodotto o capitale, .. occuperanno gente in lavori non direttamente e immediatamente produttivi, per esempio nelle costruzioni di,macchine. E così via» (The Source and Remedy o the National Difficultiesf1 .
[[Come con lo sviluppo della grande industria, la base su cui essa poggia — ossia l'appropriazione di tempo di lavoro altrui — cessa di costituire o di creare la ricchezza, così, con esso, il lavoro immediato cessa di essere, come tale, base alla produzione, per un verso in quanto viene trasformato in una attività più che altro regolatrice, di sorveglianza, ma poi anche perché il prodotto cessa di essere il prodotto del lavoro immediato, isolato, ed è piuttosto la combinazione dell'attività sociale ad assumere la veste di produttore. «Quando la divisione del lavoro è sviluppata, quasi ogni lavoro di un singolo individuo è una parte del tutto, la quale, da se stessa non ha alcun valore o utilità. Non c'è nulla di cui il lavoratore possa impadronirsi, e dire: questo è il mio prodotto, questo lo terrò per me» (Laubour defended, 1, 2, XI)32. Nello scambio immediato il lavoro singolo, immediato si presenta realizzato in un prodotto particolare o parte di questo prodotto, ove il suo carattere sociale, comunitario — ossia il suo carattere di oggettivazione del lavoro generale e di soddisfacimento del bisogno generale — è posto soltanto attraverso lo scambio. Nel processo di produzione della grande industria, al contrario, come da una parte la subordinazione delle forze della natura all'intelletto sociale è il presupposto della produttività del mezzo di lavoro sviluppato a processo automatico, così d'altra parte il lavoro del singolo, nella sua esistenza immediata, è posto come lavoro singolo soppresso, ossia come lavoro sociale. Così viene eliminata anche l'altra base di questo modo di produzione]].
Entro il processo di produzione del capitale, il tempo di lavoro impiegato nella produzione di capitale fisso sta a quello impiegato nella produzione di capitale circolante, come il
31 Cfr. opera citata, p. 4.
32 Cfr. TH. HODGSKIN, Labour defended ecc., cit., p. 25; «1, 2, XI» riguarda il quaderno di estratti.
tempo di lavoro supplementare sta a quello necessario. Nella misura in cui aumenta la produttività della produzione diretta al soddisfacimento dei bisogni immediati, gran parte della produzione stessa può essere indirizzata al soddisfacimento delle necessità produttive stesse o della produzione di mezzi di produzione. Poiché la produzione di capitale fisso è immediatamente indirizzata, anche dal lato materiale, non alla produzione di valori d'uso immediati né alla produzione di valori richiesti per la immediata riproduzione del capitale — onde nella stessa creazione del valore rappresentano a loro volta, relativamente, il valore d'uso —, bensì alla produzione di mezzi per la creazione del valore, e quindi non al valore quale oggetto immediato, ma alla creazione del valore, al mezzo per la valorizzazione quale oggetto immediato della produzione — la produzione del valore posta materialmente come oggetto della produzione stessa, quale scopo della produzione, della oggettivazione di forza produttiva, di forza del capitale produttrice di valore —, nella produzione del capitale fisso si ha che il capitale si pone come fine a se stesso, e manifesta la sua efficacia come capitale, ad una potenza superiore a quella che ha nella produzione di capitale circolante. In questo senso, perciò, anche la dimensione che il capitale fisso già possiede e che la sua produzione assume nella produzione complessiva, costituisce il parametro dello sviluppo della ricchezza basata sul modo capitalistico di produzione.
«Il numero di operai intanto dipende dal capitale circolante, in quanto dipende dalla quantità di prodotti del lavoro coesistente, che gli operai possono consumare» (Labour deteneteci)33.
I passi di diversi economisti che abbiamo citato sopra, si riferiscono tutti al capitale fisso inteso come la parte del capitale che è racchiusa nel processo di produzione. «Il capitale circolante viene consumato; il capitale fisso viene soltanto usato nel grande processo di produzione» (Economist, VI, 1.)34. Ciò è falso, e vale soltanto per la parte di capitale circolante che viene essa stessa consumata dal capitale fisso, dalle matières instrumentales. Quel che viene consumato «nel grande processo di produzione» — considerato, questo, come processo di produzione immediato —, è soltanto il capitale fisso. Ma consumare, nell'ambito del processo di produzione, significa in effetti usare, logorare. Inoltre la maggiore durabilità del capitale fisso non va poi intesa in senso puramente materiale. Ferro e legno, di cui è fatto il letto in cui dormo, o le pietre di cui è fatta la casa in cui abito, o la statua di marmo con cui viene adornato un palazzo, sono duraturi quanto il ferro e il legno ecc. impiegati nel macchinario. Ma la durabilità è, nello strumento, nel mezzo di produzione, una condizione, e non per il motivo tecnico che i metalli ecc. sono il materiale fondamentale di tutte le macchine, ma perché lo strumento è destinato a svolgere, in ripetuti processi di produzione, sempre il medesimo ruolo. Come mezzo di produzione, la durabilità è richiesta immediatamente dal suo valore d'uso. Più spesso va rinnovato, e più costa; tanto più grande cioè è la parte di capitale che deve esservi spesa inutilmente. La sua durata significa la sua esistenza come mezzo di produzione. La sua durata significa aumento della sua produttività. Nel capitale circolante al contrario, nella misura in cui non viene trasformato in capitale fisso, la durabilità non si connette affatto all'atto di produzione stesso, e perciò non è un momento concettualmente posto. Che tra gli oggetti inclusi nel fondo di consumo, alcuni vengano poi definiti capitale fisso perché vengono consumati lentamente e possono essere consumati uno dopo l'altro da molti individui, — ciò si connette ad ulteriori determinazioni (affitto invece di vendita, interesse ecc.), con le quali qui non abbiamo ancora a che fare.
33 Cfr. ibidem, p. 20
34 Cfr. «The Economiste, voi. V, n. 219, November 6, 1847, p. 1271. «Quaderno VI, p. 1» si riferisce al
quaderno di estratti.
«A partire dall'introduzione generale di meccanismi automatici nelle manifatture inglesi, gli uomini, salvo poche eccezioni, furono trattati come una macchina secondaria e subordinata, e si dedicò ben più attenzione al perfezionamento della materia prima fatta di legno e metalli che a quelli fatti di corpo e di spirito» (p. 31. Robert Owen, Essays on the formation ofthe human character. 1840. London)35.
3.4.12 - [Risparmio reale — economia — = risparmio di tempo di lavoro = sviluppo della produttività. Soppressione dell'antitesi tra tempo libero e tempo di lavoro. - La vera comprensione del processo sociale di produzione]
[[L'economia effettiva — il risparmio — consiste in un risparmio di tempo di lavoro (minimo — e riduzione al minimo — di costi di produzione); ma questo risparmio si identifica con lo sviluppo della produttività. [Non si tratta] quindi affatto di rinuncia al godimento, bensì di sviluppo di capacità [power] di capacità atte alla produzione, e perciò tanto delle capacità quanto dei mezzi del godimento. La capacità di godere è una condizione per godere, ossia il suo primo mezzo, e questa capacità è lo sviluppo di un talento individuale, è produttività. Il risparmio di tempo di lavoro equivale all'aumento del tempo libero, ossia del tempo dedicato allo sviluppo pieno dell'individuo, sviluppo che a sua volta reagisce, come massima produttività, sulla produttività del lavoro. Esso può essere considerato, dal punto di vista del processo di produzione immediato, come produzione di capitale fisso; questo capitale fisso è l'uomo stesso. Che del resto lo stesso tempo di lavoro immediato non possa rimanere in astratta antitesi al tempo libero — come si presenta dal punto di vista dell'economia borghese — si intende da sé. Il lavoro non può diventare gioco, come vuole Fourier, al quale rimane il grande merito di aver indicato come obiettivo ultimo la soppressione non della distribuzione, ma del modo di produzione stesso nella sua forma superiore. // tempo libero — che è sia tempo di ozio che tempo per attività superiori — ha trasformato naturalmente il suo possessore in un soggetto diverso, ed è in questa veste di soggetto diverso che egli entra poi anche nel processo di produzione immediato. Il quale è, insieme, disciplina, se considerato in relazione all'uomo che diviene, ed esercizio, scienza sperimentale, scienza materialmente creativa e oggettivantesi, se considerato in relazione all'uomo divenuto, nel cui cervello esiste il sapere accumulato della società. Per entrambi, finché il lavoro richiede una pratica operazione manuale e una libertà di movimento, come nell'agricoltura, è al tempo stesso esercizio.
Man mano che ci si sviluppa il sistema dell'economia borghese, ci si sviluppa dunque anche la sua negazione, che ne costituisce il risultato ultimo. Per ora
abbiamo a che fare ancora col processo di produzione immediato. Se consideriamo la società borghese nelle sue grandi linee, come risultato ultimo del processo sociale di produzione compare sempre la società stessa, ossia l'uomo stesso nelle sue relazioni sociali. Tutto ciò che ha una forma definita, come il prodotto ecc., si presenta soltanto come un momento, momento transitorio, di questo movimento. Il processo di produzione immediato si presenta qui solo come un momento. Le condizioni e le oggettivazioni del processo sono esse stesse in eguale misura momenti di esso, e suoi soggetti sono soltanto gli individui, ma gli individui in relazioni reciproche che essi riproducono ed anche
35 Estratti da quest'opera (ma nell'ed. 1813, col titolo A New View of Society or Essays ecc.) in un quaderno non datato e non numerato, redatto a Manchester in agosto 1845; cfr. MEGA I/6, p. 611.
producono ex novo. È il loro peculiare, incessante processo di movimento, nel quale essi rinnovano sia se stessi sia il mondo della ricchezza che essi creano]]
3.4.13 - [ La concezione storica di Owen della produzione industriale (capitalistica)]
(Nelle sue Six lectures delivered at Manchester, 183736, Owen parla della differenza che il capitale nel suo sviluppo reale (e nella sua manifestazione più vasta, che esso raggiunge soltanto con la grande industria, la quale si accompagna allo sviluppo del capitale fisso), crea tra operai e capitalisti; tuttavia egli afferma che lo sviluppo del capitale è una condizione necessaria per il rinnovamento della società, raccontando in forma autobiografica: «Fu la graduale esperienza acquisita nella creazione e conduzione di alcuni di questi grandi stabilimenti» (industriali) «ad insegnare al vostro conferenziere» (lo stesso Owen) — «a comprendere i grandi errori e svantaggi dei tentativi passati e presenti di migliorare il carattere e la situazione del suo prossimo» (p. 58). Traduciamo qui l'intero passo da cui è tratto il precedente, per utilizzarlo in altra occasione.
«I produttori della ricchezza sviluppata possono essere divisi in operai addetti ai materiali leggeri e operai addetti ai materiali pesanti, sotto la direzione immediata, generalmente, di padroni, il cui scopo è di realizzare un profitto in denaro mediante il lavoro di coloro che essi impiegano. Prima dell'introduzione della chimica e della meccanica nel sistema della manifattura, le operazioni venivano eseguite su scala limitata; c'erano molti piccoli padroni, ognuno con pochi salariati giornalieri, che attendevano di diventare essi stessi, a tempo debito, piccoli padroni. Mangiavano abitualmente alla stessa tavola e conducevano vita in comune; c'era, tra di loro, uno spirito e un sentimento di uguaglianza. Ma dal momento in cui le forze della scienza cominciarono ad essere applicate su larga scala nell'attività manifatturiera, un graduale mutamento prese piede in questo rapporto di reciproco rispetto. Quasi tutte le manifatture, per essere efficaci, devono ora essere eseguite estensivamente e con un grande capitale; i piccoli padroni con piccoli capitali non hanno ora che poche possibilità di successo, specie nelle manifatture che lavorano materiale leggero, come il cotone, la lana, il lino ecc.; è evidente infatti, ora, che perdurando l'attuale classificazione della società e l'attuale modo di condurre la vita economica, i piccoli padroni vengono sempre più scavalcati da quelli che possiedono grandi capitali, e che la primitiva e relativamente più felice situazione di uguaglianza tra i produttori deve far posto alla massima disuguaglianza tra padrone e operaio, quale mai prima si era vista nella storia dell'umanità. Il grande capitalista è innalzato ora alla posizione di un signore dispotico, che indirettamente ha in mano la salute, la vita e la morte dei suoi schiavi, a suo piacimento. Questo potere egli lo ottiene associandosi ad altri grandi capitalisti che hanno gli stessi suoi interessi, sì da costringere efficacemente ai suoi disegni coloro che egli impiega. Ora il grande capitalista nuota nella ricchezza, del cui retto uso egli non ha né esperienza né conoscenza. Con la sua ricchezza ha acquistato un potere. La sua ricchezza e il suo potere accecano la sua mente, fino a fargli credere che ogni sua più atroce oppressione è una grazia accordata ... I suoi servi, come vengono chiamati, di fatto i suoi schiavi, vengono ridotti alla degradazione più disperata; la maggioranza di essi viene privata della salute, del conforto domestico, delle comodità e dei sani piaceri goduti all'aria aperta nei tempi passati. Per l'eccessivo esaurimento delle loro forze, dovuto alle
36 Estratti, ibidem.
occupazioni monotone, lungamente trascinate, essi sono indotti ad abitudini abnormi e alla distorsione del pensiero e della riflessione. Non possono avere diversivi fisici, intellettuali o morali se non della peggiore specie; tutti i veri piaceri della vita rimangono loro completamenti estranei. Insomma, l'esistenza che una parte molto consistente degli operai conduce sotto l'attuale sistema, non vale la pena di essere posseduta. Ma per le alterazioni di cui questi sono i risultati, non sono da biasimare gli individui; esse procedono nell'ordine regolare della natura, e sono stadi preparatori e necessari della grande e importante rivoluzione sociale che avanza. Senza grandi capitali non sarebbe possibile fondare grandi fabbriche e gli uomini non potrebbero essere portati a comprendere né la possibilità pratica di effettuare nuove combinazioni, al fine di assicurare a tutto un carattere superiore e la produzione di una ricchezza annuale superiore alla possibilità di tutti di consumarla, né la necessità di una ricchezza di qualità superiore a quella finora generalmente prodotta» (l.c. 56, 57). «È questo nuovo sistema industriale fondato sulla chimica e sulla meccanica che estende ora le capacità umane e le prepara a capire e ad adottare principi e consuetudini di versi, provocando così il più benefico rivolgimento negli affari che il mondo abbia mai conosciuto. Ed è questo nuovo sistema industriale che crea ora la necessità di una diversa e superiore classificazione della società» (l.c. 58.).
3.4.14 - [Capitale e valore, agenti naturali. - L'entità del capitale fisso è l'indice del livello della produzione capitalistica. - Determinazione di materia prima, prodotto, strumento di produzione, consumo. - Il denaro è capitale fisso o capitale circolante? - Capitale fisso e capitale circolante in rapporto al consumo individuale]
Noi abbiamo prima osservato che la capacità produttiva (il capitale fisso) conferisce valore, ed ha un tale valore, solo in quanto viene essa stessa prodotta, è cioè essa stessa una determinata quantità di tempo di lavoro oggettivato. Intervengono però alcuni agenti naturali, come l'acqua, la terra (questa specialmente), le miniere ecc., i quali, una volta appropriati, possiedono un valore di scambio e quindi sono calcolati come valori nei costi di produzione. Si tratta, in una parola, dell'intervento della proprietà fondiaria (che comprende terra, miniere, acqua). Il valore dei mezzi di produzione che non costituiscono il prodotto del lavoro, non è ancora in argomento, giacché essi non discendono dalla considerazione del capitale. Per il capitale essi sono anzitutto un presupposto dato, storico. E come tali, noi qui li accantoniamo. Soltanto la forma di proprietà fondiaria modificata conformemente al capitale — o gli agenti naturali in quanto grandezze che determinano valore — rientra nella considerazione del sistema dell'economia borghese. Ai fini della considerazione del capitale al punto a cui siamo giunti, considerare la terra ecc, come forma di capitale fisso non cambia nulla.
Poiché il capitale fisso, nel senso di forza produttiva prodotta, di agente della produzione, aumenta la massa dei valori d'uso creati in un determinato tempo, esso non può aumentare senza che aumenti la materia prima che esso elabora (nella industria manifatturiera. Nell'industria estrattiva, quali la pesca e l'industria mineraria, il lavoro consiste in un puro superamento degli ostacoli che la cattura e l'appropriazione dei prodotti grezzi o prodotti base richiede. Non si elabora una materia prima a fini di produzione, ma piuttosto ci si appropria di un prodotto grezzo già esistente. Al contrario nell'agricoltura la materia prima è costituita dalla terra stessa; capitale circolante è la
semenza ecc.). Il suo impiego su scala superiore presuppone dunque una espansione della parte di capitale circolante costituita di materie prime; e quindi un aumento del capitale in generale. E per ciò stesso presuppone una diminuzione (relativa) della porzione di capitale che viene data in cambio del lavoro vivo.
Nel capitale fisso il capitale esiste, anche materialmente, non soltanto come lavoro oggettivato destinato a servire da mezzo per un nuovo lavoro, ma anche come valore il cui valore d'uso consiste nel creare nuovi valori. L'esistenza del capitale fisso equivale
dunque, (Ndr:: Marx riporta una espressione in greco, qui non riproducibile) alla sua
esistenza di capitale produttivo. Quindi il già raggiunto livello di sviluppo del modo di produzione basato sul capitale — ovvero in che misura il capitale stesso è già presupposto, si è già presupposto come condizione della sua stessa produzione — si misura sulla entità del capitale fisso esistente; non solo sulla sua quantità, ma anche sulla sua qualità.
In conclusione: Nel capitale fisso la produttività sociale del lavoro è posta come qualità inerente al capitale; ossia tanto le forze della scienza, quanto la combinazione di forze sociali all'interno del processo di produzione, e infine il talento, trasferito dal lavoro immediato alla macchina, nella produttività morta. Nel capitale circolante al contrario lo scambio dei lavori, delle diverse branche di lavoro, il loro reciproco congegnarsi in un sistema, la coesistenza del lavoro produttivo — si presentano come qualità del capitale*.
Quarto:
Ci restano ora da considerare le altre relazioni del capitale fisso e del capitale circolante.
Dicemmo prima che nel capitale circolante il rapporto sociale dei diversi lavori tra di loro è posto come qualità del capitale, come nel capitale fisso la produttività sociale del lavoro.
* Le determinazioni: materia prima, prodotto, strumento di produzione — mutano a seconda della determinazione che i valori di uso assumono nel processo di produzione stesso. Quel che può essere considerato come semplice materia prima (certo non i prodotti agricoli, che sono tutti riprodotti e non solo sono riprodotti nella loro forma originaria, ma sono anche modificati nella loro esistenza naturale in conformità ai bisogni umani. Citare da Hodges (J. Fr. Hodges, First Steps to Praticai Chemistry, for Agricultural Students, London 1857. IDEM, Lessons on Agricultural Chemistry, London 1849.) ecc. I prodotti dell'industria puramente estrattiva, come il carbone, i metalli, sono essi stessi risultati del lavoro che occorre non solamente per portarli alla luce, ma anche, come avviene per i metalli, per dar loro la forma in cui essi possono servire come materia prima dell'industria. Essi però non vengono riprodotti, non avendo noi ancora appreso, a tutt'oggi, a creare metalli), è esso stesso un prodotto del lavoro. Il prodotto di un'industria costituisce la materia prima di un'altra e viceversa. Lo stesso strumento di produzione è prodotto di un'industria e finisce col fungere da strumento di produzione d'un'altra. Il cascame di una industria diventa materia prima di un'altra. Nell'agricoltura una parte del prodotto (semente, bestiame ecc.) si presenta come materia prima della medesima industria, quindi, come il capitale fisso stesso, non esce mai dal processo di produzione: la parte di prodotti agricoli destinata al consumo del bestiame può essere considerata come matière instrumentale; la semente invece viene riprodotta nel processo di produzione, mentre lo strumento in quanto tale viene in esso consumato. Sarebbe possibile considerare la semente come capitale fisso, al pari del bestiame da lavoro nel senso di quello che rimane sempre nel processo di produzione? No; altrimenti dovrebbe essere considerata tale ogni materia prima. Come materia prima essa è sempre compresa nel processo di produzione. Infine i prodotti che entrano nel consumo diretto escono dal consumo stesso di nuovo come materia prima per la produzione, per esempio come concime nel processo naturale ecc., come carta dagli stracci ecc.; secondariamente poi il loro consumo riproduce l'individuo stesso In un determinato modo di esistenza, non solo nella sua immediata vitalità, e in determinate relazioni sociali. Cosicché l'appropriazione finale da parte degli individui, che ha luogo nel processo di consumo, li riproduce nei rapporti originari in cui essi si presentano l'uno rispetto all'altro e rispetto al processo di produzione; li riproduce nella loro esistenza sociale, e quindi riproduce la loro esistenza sociale — la società —, la quale è tanto soggetto quanto risultato di questo grande processo complessivo.
«Il capitale circolante di una nazione è: denaro, mezzi di sussistenza, materia prima e il lavoro fatto [l'ouvrage fait]» (Adam Smith, tome II, p. 218)37. Col denaro Smith è in imbarazzo, sia che lo chiami capitale circolante o capitale fisso. Finché esso serve sempre e soltanto come strumento di circolazione, il quale è a sua volta un momento del processo totale di riproduzione, esso è capitale fisso — ma come strumento di circolazione il suo valore d'uso è soltanto quello di circolare e di non entrare mai né nel processo di produzione vero e proprio, né nel consumo individuale. Esso è la parte di capitale perennemente fissata nella fase di circolazione, e in questo senso è la forma più compiuta del capitale circolante; nell'altro senso, poiché come strumento è fissato, esso è capitale fisso.
Quanto poi ad assumere come criteri di differenza tra capitale fisso e capitale circolante il rapporto al consumo individuale, esso è già dato col fatto che il capitale fisso non entra nella circolazione come valore d'uso. (Della semente, in agricoltura, poiché essa si moltiplica, una parte entra nella circolazione come valore d'uso).
Il fatto di non entrare nella circolazione come valore d'uso presuppone che esso non diventa oggetto del consumo individuale.
3.4.15 - [Tempo di rotazione del capitale consistente in capitale fisso e capitale circolante. Tempo di riproduzione del capitale fisso. Riguardo al capitale circolante, l'interruzione deve solo non essere tanto grande da rovinare il suo valore d'uso. Riguardo al capitale fisso, la continuità della produzione è assolutamente necessaria ecc. - L'unità di tempo per il lavoro è il giorno; per il capitale circolante, l'anno. Con l'intervento del capitale fisso un più lungo periodo complessivo globale costituisce l'unità. - Ciclo industriale. - Circolazione del capitale fisso. - Il cosiddetto rischio, - che tutte le parti del capitale diano uniformemente un profitto - è falso. Ricardo ecc. - Una medesima merce ora è capitale fisso, ora è capitale circolante. -Vendita del capitale in quanto capitale. - Capitale fisso che entra in circolazione come valore d'uso. - Ciascun momento che è presupposto della produzione, è al tempo stesso suo risultato. Riproduzione delle sue proprie condizioni. Riproduzione del capitale come capitale fisso e capitale circolante]
// capitale fisso serve ripetutamente alla medesima operazione, «e quanto più ampia è stata la serie di tali ripetizioni, tanto più intensamente lo strumento, l'attrezzatura o macchinario ha diritto alla definizione di fisso» (De Quincey, X, 4)38. Dato un capitale di 10.000 I., di cui 5.000 costituiscono capitale fisso e 5.000 capitale circolante, quest'ultimo subisce 1 rotazione in 1 anno, mentre il primo ne subisce 1 in 5 anni; in 1 anno quindi la rotazione interessa 1 volta I. 5 mila, cioè 1/2 del capitale complessivo. Nel corso del medesimo anno si ha la rotazione di 1/5 del capitale fisso, o di 1.000 I.; in 1 anno dunque si ha la rotazione di 6.000 I. o 3/5 del capitale complessivo. 1/5 del capitale complessivo subisce la rotazione in 12/3 mesi e il capitale complessivo in 12 x 5/3 mesi, ossia in 60/3 = 20 mesi = 1 anno e 8 mesi. In 20 mesi si è avuta la rotazione del capitale complessivo di 10.000 I., anche se il capitale fisso viene risarcito soltanto in 5 anni. Tale tempo di
37 Cfr. A. SMITH, Recherches ecc., cit, [Ricchezza delle nazioni, p. 257].
38 Cfr. T DE QUINCEY, The Logic ecc., cit. p. 144. «X, 4» si riferisce ai quaderno di estratti.
rotazione vale tuttavia soltanto per la ripetizione del processo produttivo e quindi per la creazione del plusvalore; non riguarda invece la riproduzione del capitale stesso. Meno frequentemente il capitale inizia da capo il processo — dalla circolazione ritorna nella forma di capitale fisso — tanto più frequentemente esso ritorna nella forma di capitale circolante. Ma con ciò il capitale stesso non è stato rimpiazzato. Ciò vale anche per lo stesso capitale circolante. Se un capitale di 100 ritorna 4 volte in un anno apportando un 20% come se equivalesse ad un capitale di 400 che circola una sola volta, per tale motivo quel capitale alla fine dell'anno è come prima = 100 (anche se nella produzione di valori d'uso, e nella creazione di plusvalore, ha agito come un capitale 4 volte più grande) e l'altro 400. Questo fenomeno per cui la velocità di rotazione sostituisce la grandezza del capitale, mostra nella maniera più evidente che è soltanto la quantità di pluslavoro posto in movimento, è soltanto il lavoro in generale, a determinare la creazione di valore e la creazione di plusvalore, e non la grandezza del capitale per se stessa. Il capitale di 100 ha posto successivamente in movimento, durante l'anno, tanto lavoro quanto ne ha posto il capitale di 400 e perciò ha creato il medesimo plusvalore.
Ma il punto è questo. Nell'esempio precedente il capitale circolante di 5.000 ritorna una prima volta alla metà del primo anno; poi alla fine della seconda metà; poi alla metà del secondo anno; nella seconda metà del secondo anno (nei primi 4 mesi) ne sono ritornate 3333 e 2/6 I., e il resto verrà risarcito alla fine di questo mezzo anno.
Ma del capitale fisso ne era ritornato soltanto 1/5 nel primo anno e 1/5 nel secondo. Il proprietario possiede alla fine del primo anno 6.000 I., alla fine del secondo 7.000 I., del terzo 8.000, del quarto 9.000, del quinto 10.000. Soltanto alla fine del quinto anno perciò egli rientra in possesso del suo capitale complessivo con cui aveva iniziato il processo di produzione; anche se nella produzione di plusvalore il suo capitale ha agito come se avesse subito una rotazione totale di 20 mesi, tuttavia il capitale complessivo stesso è riprodotto soltanto in 5 anni. La prima determinazione della rotazione è importante ai fini del rapporto in cui esso si valorizza; ma la seconda introduce un nuovo rapporto, che non ha luogo quando si tratta del capitale circolante. Il capitale circolante, entrando interamente nella circolazione e da essa ritornando interamente, si riproduce come capitale tante volte quante volte si realizza come plusvalore o come pluscapitale. Poiché invece il capitale fisso non entra mai in circolazione come valore d'uso, e come valore si consuma soltanto nella misura in cui si consuma come valore di uso, esso non si riproduce affatto, non appena è creato il plusvalore determinato dal tempo medio di rotazione del capitale complessivo. La rotazione del capitale circolante deve aver luogo 10 volte in 5 anni prima che si riproduca il capitale fisso; ossia il periodo di rotazione del capitale circolante deve ripetersi 10 volte, mentre quello del capitale fisso si ripete 1 volta, e l'intera rotazione media del capitale — 20 mesi deve ripetersi 3 volte prima che si riproduca il capitale fisso. Perciò, quanto più grande è la parte di capitale costituita da capitale fisso — cioè quanto più il capitale agisce nel modo di produzione ad esso corrispondente, con un maggior impiego di produttività prodotta — quanto più è durevole il capitale fisso, ossia quanto più lungo è il suo tempo di riproduzione, quanto più il suo valore d'uso corrisponde alla sua definizione — tanto più frequentemente la parte di capitale stabilita come circolante deve ripetere il suo periodo di rotazione, e tanto più lungo è il tempo complessivo di cui il capitale ha bisogno per percorrere il suo intero percorso di circolazione. Di qui la continuità della produzione, divenuta per il capitale una necessità esterna insieme con lo sviluppo della sua porzione stabilita come capitale fisso. Per il capitale circolante l'interruzione — se non dura tanto da rovinare il suo valore d'uso — significa soltanto interruzione nella creazione di plusvalore. Ma per il capitale fisso un'interruzione tale che nel frattempo il suo valore d'uso di necessità relativamente improduttivo viene annullato, senza cioè ricostituirsi come valore, significa la distruzione
del suo valore originario. Perciò è soltanto con lo sviluppo del capitale fisso che la continuità del processo produttivo corrispondente al concetto del capitale si pone come conditio sine qua non per la sua conservazione; il che comporta altresì la continuità e lo sviluppo costante del consumo.
Questo è il N. I. Ma il N. Il è ancor più importante dal lato formale. Il tempo complessivo in base al quale noi abbiamo misurato il ritorno del capitale è l'anno, così come l'unità di tempo con la quale abbiamo misurato il lavoro è il giorno. Questo noi lo abbiamo fatto in primo luogo perché l'anno, più o meno, ai fini della riproduzione dalla massima parte delle materie prime vegetali adoperate nell'industria, è il naturale tempo di riproduzione o durata della fase di produzione. La rotazione del capitale circolante è stata quindi determinata in base al numero di rotazioni compiute nell'anno, inteso come tempo complessivo. In fact il capitale circolante inizia la sua riproduzione alla fine di ciascuna rotazione, sicché se il numero di rotazioni compiute durante l'anno incide sul valore complessivo, i fata che esso sperimenta durante ciascuna rotazione appaiono, sì, determinanti rispetto alle condizioni entro le quali esso ricomincia la riproduzione, ma ciascuno per sé è un suo atto di vita compiuto. Non appena il capitale è riconvertito in denaro, esso può per esempio trasformarsi in altre condizioni di produzione diverse dalle prime, gettarsi da una branca produttiva ad un'altra, sicché la riproduzione, dal punto di vista materiale, non si ripete nella medesima forma.
Con l'intervento del capitale fisso tutto ciò muta, e né il tempo di rotazione del capitale, né l'unità in base a cui ne viene misurato il numero, ossia l'anno, si presentano più come misura temporale del movimento del capitale. Questa unità è ora determinata piuttosto dal tempo di riproduzione richiesto per il capitale fisso e perciò dal suo tempo di circolazione complessivo, che gli occorre per entrare in circolazione come valore e ritornarne nella sua totalità di valore. La riproduzione del capitale circolante deve procedere, durante tutto questo tempo, anche materialmente nella medesima forma, e il numero delle sue rotazioni necessarie, delle rotazioni occorrenti cioè alla riproduzione del capitale originario, si ripartisce su di una serie più lunga o più corta di anni. Un più lungo periodo complessivo è posto quindi come l'unità su cui si misurano le sue rotazioni, e la sua ripetizione sta ora in una connessione non estrinseca, bensì necessaria, con questa unità. Secondo Babbage la riproduzione media del macchinario in Inghilterra avviene in 5 anni39; quella reale, perciò, forse in 10 anni. Non può sussistere alcun dubbio riguardo al fatto che il ciclo che l'industria percorre, a partire dallo sviluppo su larga scala del capitale fisso, in un periodo di tempo più o meno decennale è connesso con questa fase di riproduzione complessiva del capitale così caratterizzata. Noi troveremo anche altri motivi di determinazione. Ma questo è uno. Ci sono stati anche prima tempi buoni e cattivi per l'industria come per le vendemmie (agricoltura). Ma il ciclo industriale pluriennale ripartito in epoche e periodi caratteristici appartiene alla grande industria.
Veniamo ora alla nuova differenza che interviene, la N. III.
Il capitale circolante è stato spinto dal processo di produzione nella circolazione, vi è passato interamente sotto forma di prodotto, di valore d'uso di nuova creazione; riconvertito in denaro, il valore del prodotto (l'intero tempo di lavoro, ossia il tempo di lavoro necessario e quello supplementare) si è interamente realizzato, e con ciò si è realizzato il plusvalore e al tempo stesso si sono adempiute tutte le condizioni della riproduzione. Con la realizzazione del prezzo della merce, tutte queste condizioni sono state adempiute e il processo ha potuto ricominciare daccapo. Ciò vale tuttavia soltanto per quella parte del capitale circolante che entra nella grande circolazione. Per quanto
39 CH. BABBAGE, Traile sur l'economie des machine ecc., cit., pp. 375-376.
riguarda invece l'altra parte di esso che continuamente accompagna lo stesso processo di produzione, per quanto riguarda cioè la circolazione di quella sua parte che si trasforma in salari, è da essa che dipende naturalmente se il lavoro è impiegato per la produzione di capitale fisso o di capitale circolante, e se questi salari stessi vengono sostituiti da un valore d'uso che entra in circolazione, oppure no.
Il capitale fisso, al contrario, non circola esso stesso come valore d'uso, bensì entra come valore nella materia prima manifattura (nella manifattura e nell'agricoltura) o nel prodotto grezzo direttamente estratto (industria mineraria per esempio), solamente nella misura in cui esso come valore d'uso viene consumato nel processo di produzione.
Il capitale fisso nella sua forma sviluppata ritorna perciò solamente in un ciclo di anni che abbraccia una serie di rotazioni del capitale circolante. Esso non viene scambiato di colpo con il denaro nel prodotto, sì che il suo processo di riproduzione coincida con la rotazione del capitale circolante. Esso passa nel prezzo del prodotto soltanto successivamente, e solo successivamente perciò ritorna come valore. Esso ritorna in periodi più lunghi in maniera frammentaria, mentre il capitale circolante circola tutto intero in periodi più brevi. Finché il capitale fisso sussiste come tale, esso non ritorna perché non entra in circolazione; nella misura in cui entra in circolazione, esso non sussiste più come capitale fisso, ma forma un elemento ideale dell'elemento di valore del capitale circolante. Esso ritorna in generale solo nella misura in cui, direttamente o indirettamente, si converte in prodotto, ossia in capitale circolante. Non essendo un valore d'uso immediatamente diretto al consumo, esso non entra in circolazione come valore d'uso.
Questo modo diverso di rotazione del capitale fisso e di quello circolante, si presenterà in seguito in tutto il suo significato come differenza tra vendita e fitto, rendita annua, interesse e profitto, fitto nelle sue varie forme, e profitto, e proprio la mancata comprensione di questa differenza soltanto formale ha condotto Proudhon e la sua banda alle più confuse conclusioni, come vedremo. L'Economist, nelle sue considerazioni sull'ultima crisi, riduce tutta la differenza tra capitale fisso e circolante «alla rivendita di merci in breve periodo e con un profitto». (Economist N. 754, 6 febbr. 1858)40 e «produzione di un reddito abbastanza ampio da provvedere a spese, rischi, uso e consumo, e saggio di interesse del mercato»*.
Del più breve ritorno dovuto alla vendita dell'intero articolo, e del semplice ritorno annuale di una parte del capitale fisso, abbiamo discusso prima. Per quanto riguarda il profitto — il profitto commerciale qui non ci interessa — ogni parte del capitale circolante, in quanto
40 Cfr. «The Economist», voi. XVI, n. 754, February 6, 1858, P. 137, articolo Deposits and Discounts. Effects produced on the Ordinary relations of floating and fixed capital.
* Il rischio, che negli economisti ha un ruolo nella determinazione del profitto — ma nel profitto non può evidentemente averne alcuno, perché la creazione del plusvalore non diventa maggiore, e possibile, per il fatto che il capitale corre dei rischi nella realizzazione di questo plusvalore — è il rischio che il capitale non percorra le varie fasi della circolazione o rimanga fissato in una di esse. Noi abbiamo visto che il profitto rientra nei costi di produzione, se non del capitale, certo del prodotto. La necessità per il capitale di realizzare questo profitto o parte di esso gli capita addosso doppiamente come costrizione esterna. Non appena interesse e profitto si scindono, e il capitalista industriale deve quindi pagare un interesse, una porzione del profitto costituisce costi di produzione nel senso del capitale, ossia appartiene alle sue spese. D'altra parte, per coprire il rischio della svalutazione che esso corre durante le metamorfosi del processo complessivo [c'è] l'average assecurance che esso si procura. Una parte del profitto vale per esso soltanto come compensazione per il rischio che esso corre a fare più denaro; un rischio nel quale può andare in rovina lo stesso valore presupposto. In questa forma il profitto gli si presenta come cosa da realizzare necessariamente per assicurare la sua riproduzione. Entrambe le relazioni naturalmente non determinano il plusvalore, bensì danno alla sua creazione il volto della necessità esterna per il capitale, e non solamente quello della soddisfazione della sua tendenza all'arricchimento.
esce dal processo di produzione e circola, in quanto cioè in esso è contenuto lavoro oggettivato (il valore degli anticipi), lavoro necessario (il valore dei salari) e pluslavoro — è apportatore di profitto non appena percorre la circolazione, perché col prodotto si realizza il pluslavoro in esso contenuto. Ma non è né il capitale circolante né il capitale fisso a creare il profitto; lo è invece soltanto l'appropriazione di lavoro altrui mediata da entrambi, e quindi infondo solo la parte del capitale circolante che entra nella piccola circolazione. Questo profitto di fatto viene però realizzato soltanto con l'entrata del capitale nella circolazione, ossia solo nella sua forma di capitale circolante, mai nella sua forma di capitale fisso.
Ma quel che «/' Economista qui intende per capitale fisso è — finché si parla di entrate che esso procura — la forma di capitale fisso nella quale esso non entra direttamente nel processo di produzione come macchinario, ma in forma di ferrovie, edifici, migliorie agricole, canalizzazioni ecc.* ove cioè la realizzazione del valore e del plusvalore in esso contenuti si presenta sotto forma di una rendita annua, di cui l'interesse rappresenta il plusvalore, e la rendita annua il successivo ritorno del valore anticipato. Qui dunque si tratta in effetti (quantunque ciò accada per le migliorie agricole) non di un ingresso del capitale fisso come valore nella circolazione per il fatto di costituire esso una parte del prodotto, bensì della vendita del capitale fisso nella forma del suo valore d'uso. Esso qui viene venduto non tutto in una volta, ma come annualità. È chiaro allora, d'abord, che alcune forme di capitale fisso figurano come capitale circolante, e diventano capitale fisso solo quando sono fissate nel processo di produzione; per esempio i prodotti in circolazione di un fabbricante di macchine sono costituiti da macchine così come quelli di un tessitore di cotone sono costituiti da calicò di cotone, e per lui essi entrano in circolazione del tutto nella stessa maniera. Per lui essi sono capitale circolante, mentre per il fabbricante che li adopera nel processo di produzione sono capitale fisso, perché per quello sono un prodotto, e solo per costui sono uno strumento di produzione. Analogamente anche le case, nonostante il loro carattere immobiliare, per i costruttori edili sono capitale circolante; mentre per colui che le compera per affittarle a sua volta o per adoperarle come fabbricati a scopo di produzione, sono capitale fisso. Quanto poi al capitale fisso che circola esso stesso come valore d'uso, ossia viene venduto e cambia proprietario, ne parleremo ulteriormente più avanti.
Ma il punto di vista secondo il quale il capitale in quanto capitale viene venduto — sia esso sotto forma di denaro o di capitale fisso — non rientra evidentemente in questa sede, ove consideriamo la circolazione come movimento del capitale nel quale esso si pone nei suoi momenti diversi e concettualmente determinati. Il capitale produttivo diventa prodotto, merce, denaro, e si ritrasforma in condizioni di produzione. In ciascuna di queste forme esso rimane e diventa capitale in quanto giunge a realizzarsi come tale. Fin quando rimane in una delle fasi, esso è fissato come capitale-merce, capitale denaro, o capitale industriale. Ma ciascuna di queste fasi costituisce soltanto un momento del suo movimento, e nella forma in cui esso si stacca per passare da una fase all'altra, esso cessa di essere capitale. Se si stacca come merce e diventa denaro o viceversa, allora esso esiste come capitale non nella forma da cui si è staccato, ma in quella nuova che ha assunto. Certamente la forma da cui si è staccato può diventare a sua volta forma di un
* Che tutte le parti del capitale diano uniformemente un profitto, questa illusione, derivante dalla ripartizione del plusvalore in porzioni medie, indipendentemente dai rapporti degli elementi del capitale come circolante e fisso e dalla parte di esso trasformata in lavoro vivo, — qui non ci interessa affatto. Siccome Ricardo condivide per metà questa illusione, egli considera fin dall'inizio, all'atto di definire il valore in quanto tale, l'influenza delle proporzioni di capitale fisso e circolante, e il reverendo pastore Malthus parla in maniera stupidamente candida dei profitti attinenti al capitale fisso come se il capitale crescesse organicamente in virtù di una forza naturale.
altro capitale, oppure può essere forma diretta del prodotto destinato al consumo. Ma questo non ci interessa e non interessa nemmeno il capitale nella misura in cui si tratta del suo ciclo di rivoluzione su se stesso. Esso anzi distacca ciascuna delle forme come il suo non-esser-capitale, per riassumerla di nuovo in seguito. Se invece il capitale viene dato a prestito sotto forma di denaro, terra, case ecc., allora esso diventa merce sotto forma di capitale, ovvero la merce che è posta in circolazione è il capitale in quanto capitale. Questo problema va ulteriormente seguito nella prossima sezione.
Nella vendita della merce, quel che viene pagato in denaro —, nella misura in cui il prezzo di essa riguarda la parte di capitale fisso passata ad essere valore — è la parte richiesta per la sua parziale riproduzione, la parte usata e consumata nel processo di produzione. Quel che dunque il compratore paga, è l'uso o il consumo del capitale fisso, nella misura in cui anch'esso è valore, lavoro oggettivato. Poiché questo consumo avviene in fasi successive, egli lo paga in successive porzioni nel prodotto, mentre la parte aliquota di materia prima contenuta nel prodotto egli la risarcisce per il suo intero valore nel prezzo che paga per il prodotto. Non solo cioè si paga in fasi successive, bensì la massa di compratori paga simultaneamente a porzioni successive, in proporzione all'acquisto di prodotti, la parte aliquota di capitale fisso usata e consumata. Siccome nella prima metà della circolazione del capitale questo si presenta come M e il compratore come D, e il suo scopo è il valore mentre quello del compratore è l'uso (che sia a sua volta produttivo, non ci interessa affatto in questa sede, ove abbiamo da considerare soltanto il lato formale, quale si presenta rispetto al capitale nella sua circolazione), allora la relazione del compratore rispetto al prodotto è quella del consumatore in generale. Indirettamente quindi il compratore paga in tutte le merci, in fasi e porzioni successive, l'uso e consumo del capitale fisso sebbene quest'ultimo come valore d'uso non entri in circolazione. Ma ci sono forme di capitale fisso in cui il compratore paga direttamente per il suo valore d'uso — ad esempio nei mezzi di comunicazione, di trasporto ecc. In tutti questi casi, ad esempio le ferrovie ecc., il capitale fisso in effetti non esce mai dal processo di produzione. Ma mentre all'uno esso serve, nell'ambito del processo di produzione, come mezzo di comunicazione per portare il prodotto sul mercato e come mezzo di circolazione per gli stessi produttori, all'altro può servire come mezzo di comunicazione, come valore d'uso, [per esempio] a chi viaggia per diporto ecc. Considerato come mezzo di produzione, esso si distingue qui dalle macchine ecc. in questo: che viene usato simultaneamente da capitali diversi come condizione comune per la loro produzione e circolazione. (Qui non abbiamo ancora a che fare col consumo in quanto tale). Esso cioè non si presenta racchiuso nell'ambito del processo particolare di produzione, ma come arteria connettiva di una massa di tali processi di produzione di capitali particolari, che lo consumano soltanto in fasi successive. Rispetto a tutti questi capitali particolari e ai loro particolari processi di produzione, il capitale fisso è qui dunque determinato come il prodotto di una particolare branca di produzione separata da essi, nella quale però non accade, come per le macchine, che l'un produttore lo vende come capitale circolante e l'altro lo acquista come capitale fisso, bensì in tale branca esso può essere venduto soltanto sotto forma di capitale fisso stesso. E allora viene in luce quel che nella merce è nascosto, ossia il suo ritorno in fasi successive. Ma nello stesso tempo questo, in quanto prodotto anch'esso venduto (per l'industriale la macchina che egli usa non è un prodotto), include il plusvalore, ossia il ritorno dell'interesse e del profitto, se ce n'è. Potendo esso essere consumato, essere cioè un valore d'uso di consumo immediato, nella medesima forma simultanea e graduale, in questa forma medesima si presenta anche la sua vendita — non come strumento di produzione ma come merce in generale. Ma il fatto di essere venduto come strumento di produzione — una macchina viene venduta come semplice merce, diventando strumento di produzione soltanto nel processo industriale —, il fatto cioè che la sua vendita coincide direttamente col suo consumo nel generale processo sociale di
produzione, è una determinazione che non appartiene alla considerazione della circolazione semplice del capitale. In questa il capitale fisso nella misura in cui vi entra come agente di produzione, - si presenta come presupposto del processo di produzione,-non come suo risultato. Può dunque esser solo questione di risarcimento del suo valore, nel quale non è racchiuso alcun plusvalore per chi lo adopera. Anzi questo plusvalore è lui che lo paga al costruttore di macchine. Ma ferrovie o fabbricati affittati a scopo di produzione sono simultaneamente strumenti di produzione e vengono simultaneamente realizzati come prodotto, come capitale dal loro compratore.
Poiché ciascun momento che si presenta come presupposto della produzione, è al tempo stesso suo risultato — in quanto essa riproduce le sue stesse condizioni —, ora l'originaria divisione del capitale nell'ambito del processo di produzione si presenta in modo tale che il processo di produzione stesso si scinde in tre processi di produzione, in cui lavorano porzioni diverse del capitale — che ora si presentano anche come capitali particolari.
(Qui si può continuare ad assumere la forma secondo cui un capitale lavora, perché noi consideriamo il capitale in quanto tale, e attraverso questo modo di considerazione diventa più facile ciò che c'è da dire sulla proporzione tra queste sue diverse specie). Annualmente il capitale viene riprodotto, in proporzioni diverse e mutevoli, come materia prima, come prodotto, e come mezzo di produzione; in una parola, come capitale fisso e capitale circolante. In ciascuno di questi processi di produzione compaiono come presupposto almeno la parte di capitale circolante che è destinata ad essere data in cambio della forza-lavoro e al mantenimento e consumo del macchinario o dello strumento, e il mezzo di produzione. Nell'industria puramente estrattiva, per esempio quella mineraria, il materiale di lavoro è costituito dalla miniera stessa, ma non come materia prima che passa nel prodotto, la quale al contrario deve avere, nell'industria manifatturiera in tutte le forme, una esistenza particolare. Nell'agricoltura le sementi, il letame, il bestiame ecc. possono essere considerati sia materia prima che matières instrumentales. Essa costituisce un modo di produzione sui generis, perché al processo meccanico e chimico si aggiunge quello organico e il processo naturale di riproduzione viene semplicemente controllato e diretto, e così è un'industria sui generis anche l'industria estrattiva (di cui la principale è l'industria mineraria), Perché in essa non avviene nessun processo di riproduzione, o per lo meno nessuno che si trovi sotto nostro controllo o ci sia noto. (La pesca, la caccia ecc. può essere legata ad un processo di riproduzione, altrettanto lo sfruttamento forestale; quindi non sono necessariamente industrie puramente estrattive). Se ora il mezzo di produzione, il capitale fisso in quanto esso stesso prodotto del capitale e perciò racchiudente in sé un tempo supplementare oggettivato, è così fatto da poter essere distaccato dal suo produttore come capitale circolante, come per esempio la macchina dal costruttore di macchine, prima di diventare capitale fisso, in generale, il fatto che il suo valore ritorna valore d'uso — allora la sua circolazione non contiene alcuna determinazione nuova. Ma se esso, come per esempio le ferrovie, non può mai essere alienato quando nello stesso tempo funge da strumento di produzione o nella misura in cui viene usato come tale, allora ha in comune col capitale fisso, in generale il fatto che il suo valore ritorna soltanto in fasi successive; ma allora si aggiunge il fatto ulteriore che in questo ritorno del valore è incluso il ritorno del suo plusvalore, ossia del pluslavoro in esso oggettivato. Esso allora possiede una particolare forma di rotazione.
L'importante ora è che la produzione del capitale si presenta, così, come produzione di capitale circolante e capitale fisso in determinate porzioni, onde il capitale stesso produce la sua duplice specie di circolazione come capitale fisso e capitale circolante.
3.4.16 - [Capitale fisso e capitale circolante. Economist. Smith. L'equivalente del capitale circolante deve essere prodotto nell'anno. Quello del capitale fisso, no. Esso impegna la produzione di anni successivi]
Ancora alcune questioni secondarie, prima di liquidare l'ultimo punto. «Il capitale circolante viene consumato, il capitale fisso viene invece più che altro usato, nella grande produzione»41. «La differenza tra consume e use si risolve in una graduale o rapida distruzione. Non abbiamo bisogno di soffermarci ulteriormente su questo punto.
«Il capitale circolante assume una infinita varietà di forme, il capitale fisso invece ne ha solo una» («Economist», VI, p. 1)42. Questa «infinita varietà di forme», finché si considera il processo di produzione del capitale stesso, è più esattamente ridotta, in Adam Smith, ad un mero cambiamento di forma. Il capitale fisso giova al suo padrone «fin quando esso continua a rimanere nella medesima forma»43. Il che vuol dire che esso permane nel processo di produzione come valore d'uso, ossia in una determinata esistenza materiale. Il capitale circolante al contrario (A. Smith , t. I p. 197, 198)44 « esce sempre dalle sue mani in una forma determinata» (come prodotto), «per ritornare in un'altra» (come condizione di produzione), «ed è solo per mezzo di questa circolazione e del successivo scambio che esso dà un profitto». Smith non parla qui della «infinita varietà di forme» in cui il capitale circolante si presenta —, giacché da un punto di vista materiale anche il «capitale fisso» assume una «infinita varietà di forme» —, bensì delle metamorfosi che il capitale circolante attraversa appunto come valore d'uso, sicché questa «infinita varietà di forme» si riduce allora alla differenza qualitativa delle diverse fasi della circolazione. Il capitale circolante, considerato in un determinato processo di produzione, ritorna sempre nella medesima forma, di materia prima e denaro per i salari. L'esistenza materiale è, alla fine del processo, la stessa che al principio. Del resto l'«Economist» stesso riduce, in un altro luogo, la «infinita varietà di forme » al concetto determinato di cambiamento di forma della circolazione. «La merce è tutta consumata nella forma in cui è prodotta» (ossia entra in circolazione come valore d'uso e ne viene espulsa come tale) «e rimpiazzata nelle sue mani in una nuova forma» (di materia prima e salario), «pronta a ripetere una simile operazione» (piuttosto, la medesima), (l.c. VI, p. 1.)45. Smith dice anche testualmente che il capitale fisso «non ha bisogno di circolazione» (t. Il 197, 198)46. Nel capitale fisso, il valore è saldamente legato ad un determinato valore d'uso; nel capitale circolante il valore assume tanto la forma di diversi valori d'uso, e altresì la forma (di denaro) indipendente da qualsiasi valore d'uso, quanto la respinge; esso perciò procede ad un continuo cambiamento di contenuto e di forma.
«Il capitale circolante gli fornisce» (a colui che intraprende il lavoro) «le materie prime e i salari degli operai e mette in attività l'industria» (A. Smith, t. Il p. 126.)47. «Ogni capitale
41 Cfr. «The Economisti, voi. V, n. 219, November6, 1847, P 1271.
42 Cfr. «The Economisti), voi. V, n. 219, November 6, 1847, P 1271. «VI p. 1» si riferisce al quaderno di
estratti.
43 Cfr. A. SMITH, Recherches ecc., tit., t. Il, p. 198 [Ricchezza delle nazioni, p. 247]; cfr. MEGA I/3, p. 473.]
44 Cfr. ibidem [ p. 248].
45 Cfr. «The Economist», voi. V, N. 219, November 6, 1847, p. 1271
46 Cfr. A. SMITH, Recherches ecc., tit., t. Il, p. 198 [Ricchezza delle nazioni, p. 247]; cfr. MEGA I/3, p. 473.]
47 Cfr. Recherches ecc. cit., t. Il, p. 226 [Ricchezza delle nazioni, p. 260]; cfr. MEGA I/3, p. 465. Il rinvio a «p.
126» è errato.
fisso proviene originariamente da un capitale circolante, e ha bisogno di essere continuamente alimentato da un capitale circolante» (l.c. p. 207)48. «Poiché si sottrae continuamente sì gran parte di capitale circolante per versarlo nelle due altre branche del fondo generale della società, questo capitale ha bisogno a sua volta di essere rinnovato con continui approvvigionamenti, senza i quali esso sarebbe ben presto ridotto a nulla. Questi approvvigionamenti sono ricavati dalle tre fonti principali: il prodotto della terra, quello delle miniere, e quello della pesca » (l.c. p. 208)49.
[[Una distinzione sollevata dall'Economist, noi l'abbiamo già analizzata: «Ogni produzione il cui intero costo ritorna al produttore provenendo dalle entrate correnti del paese è capitale circolante; ma ogni produzione per il cui uso è pagata soltanto una somma annuale, è capitale fisso (quaderno VI, p 1)50.. «Nel primo caso il produttore dipende completamente dalle entrate generali del paese» (le). Noi abbiamo visto che soltanto una parte del capitale fisso ritorna nel tempo determinato dal capitale circolante, tempo che funge da unità delle sue rotazioni perché è l'unità naturale per la riproduzione della massima parte degli alimenti e delle materie prime, così come e per la stessa ragione per cui esso si presenta come periodo naturale nel processo vitale (processo cosmico) terrestre. Questa unità è l'anno, il cui calcolo civile differisce più o meno, ma in misura insignificante, dalla sua grandezza naturale. Il capitale fisso, quanto più la sua esistenza materiale corrisponde al suo concetto, quanto più cioè il suo modo di esistenza materiale è adeguato, abbraccia per il suo tempo dì rotazione un ciclo di anni. Poiché il capitale circolante viene interamente scambiato prima con denaro, secondariamente con i suoi elementi, ciò presuppone che sia prodotto un equivalente pari al suo intero valore (che include il plusvalore). Non si può dire che esso entri o possa entrare tutto nel consumo; giacché esso deve altresì a sua volta servire parzialmente da materia prima o elemento del capitale fisso, in breve, a sua volta, da elemento della produzione — una riproduzione. Una parte del valore d'uso distaccato dal capitale come prodotto, come risultato del processo di produzione, diventa oggetto del consumo cadendo cosi fuori dalla circolazione del capitale in generale; un'altra parte entra a far parte di un altro capitale sotto forma di condizione di produzione. Questo fatto è posto nella circolazione del capitale stesso, giacché esso nella prima metà della circolazione si distacca da se stesso sotto forma di merce, ossia di valore d'uso, e quindi in mantenendo un rapporto con se stesso in questa forma, si svincola dalla propria circolazione sotto forma di valore d'uso, di articolo di consumo; nella seconda metà della sua circolazione invece si scambia come denaro con merce intesa come condizione di produzione. In questa stessa forma di valore d'uso circolante esso dunque impegna la sua esistenza materiale sia come articolo di consumo sia come nuovo elemento di produzione o piuttosto elemento di riproduzione. Ma in entrambi i casi deve esserci, interamente, il suo equivalente; il che significa che deve essere interamente prodotto durante l'anno. Per esempio tutti i prodotti della manifattura che possono essere scambiati con prodotti agricoli nel corso di un anno, sono determinati dalla massa dei prodotti grezzi prodotti nell'anno, calcolato da un raccolto all'altro. Poiché noi qui parliamo del capitale, del capitale in divenire, non abbiamo al di fuori di esso nulla — non esistendo ancora per noi la molteplicità di. capitali — null'altro che esso stesso e la circolazione semplice, dalla quale esso assorbe in sé il valore nella duplice forma di denaro e merce per poi immettervelo nella duplice forma di denaro e merce. Se un popolo industriale, che produce cioè sulla base del capitale, come l'Inghilterra per esempio, scambia con i cinesi, assorbendo dal loro processo di produzione il valore nella forma di
40 Cfr. ibidem [ ibidem p. 251 ].
49 Cfr. ibidem [ ibidem p. 252].
50 Cfr, «The Economista, voi. V, N. 219, November6, 1847, p. 1271.
denaro e merce, o piuttosto attirandoli nella sfera di circolazione del suo capitale, allora si vede subito che non per questo i cinesi hanno bisogno di produrre come capitalisti. Persino nell'ambito di una società come quella inglese il modo di produzione del capitale si sviluppa in una branca industriale, mentre in un'altra, per esempio l'agricoltura, dominano modi di produzione più o meno antecedenti al capitale. Tuttavia la sua tendenza necessaria è 1) di sottomettere a sé in tutti i punti i modi di produzione, di portarli sotto il dominio del capitale. Nell'ambito di una determinata società nazionale ciò si verifica già necessariamente attraverso la trasformazione, mediante il capitale, di ogni lavoro in lavoro salariato; 2) riguardo ai mercati esteri il capitale impone questa propagazione del suo modo di produzione- attraverso la concorrenza internazionale. La concorrenza è in generale il modo in cui il capitale fa passate il suo modo di produzione. Però una cosa è chiara che a prescindere completamente dal fatto che sia poi di nuovo un determinato capitale, ovvero il capitale stesso sotto forma di un altro capitale, a stare ai due lati degli scambi successivi e ciascuna volta in una determinazione opposta, le due determinazioni sono già poste, ancor prima che noi prendiamo in considerazione questo duplice movimento, dalla circolazione del capitale stesso. Nella prima fase esso si distacca, sotto forma di valore d'uso, di merce, dal movimento del capitale e si scambia come denaro. La merce espulsa dalla circolazione del capitale è la merce non più come momento del valore che si perpetua, come esistenza del valore. Essa è dunque il suo esistere come valore d'uso, il suo essere per il consumo. Il capitale viene convertito dalla forma di merce nella forma di denaro, solo in quanto nella circolazione ordinaria di fronte ad esso si presenta un soggetto di scambio come consumatore, e costui converte D in M; [compie] questa conversione secondo il suo lato materiale, cosicché si riferisce al valore d'uso come tale in quanto consumatore, e solo in questo modo il valore d'uso viene risarcito per il capitale in quanto valore. Il capitale crea dunque articoli di consumo, ma in questa forma, li distacca da sé, li espelle dalla sua circolazione. Altro rapporto, sulla base delle determinazioni fin qui sviluppate, non c'è. La merce che come tale viene espulsa dalla circolazione del capitale, perde la sua determinazione di valore e assolve a quella di valore d'uso del consumo distinto dalla produzione. Nella seconda fase della circolazione invece il capitale scambia denaro con merce e la sua trasformazione in merce si presenta ora essa stessa come momento della creazione del valore, perché la merce viene inserita in quanto tale nel processo di circolazione del capitale. Se nella prima fase esso presuppone il consumo, nella seconda presuppone la produzione, la produzione per la produzione; infatti il valore nella forma della merce viene qui inserito nella circolazione del capitale dall'esterno, ovvero si intraprende il processo inverso a quello della prima fase. La merce in quanto valore d'uso per il capitale stesso può essere soltanto la merce in quanto elemento, valore d'uso per il suo processo di produzione. In tal modo il processo mostra un duplice aspetto: nella prima fase il capitale a scambia il suo prodotto, come M, con D del capitale b; nella seconda il capitale b si scambia come M con D del capitale a. Oppure, nella prima fase il capitale b, come D, si scambia con M del capitale a; nella seconda il capitale a, come D, si scambia con M del capitale b. Ossia, simultaneamente, in ciascuna delle due fasi di circolazione, il capitale è posto come D e come M; ma in due capitali diversi, che si trovano sempre nella fase opposta del loro processo di circolazione. Nel processo di circolazione semplice gli atti di scambio M-D o D-M si presentano come immediatamente coincidenti o immediatamente divergenti. La circolazione non è soltanto la successione delle due forme di scambio, ma è anche simultaneamente ciascuna di esse distribuita tra due parti differenti. Tuttavia qui non abbiamo ancora a che fare con lo scambio dei molti capitali, il quale rientra nella teoria della concorrenza o anche della circolazione dei capitali (del credito). Quel che qui ci interessa è il presupposto del consumo da un lato — della merce espulsa come valore d'uso dal movimento del valore —, e il presupposto della produzione per la produzione — del valore posto come valore d'uso, come condizione, esterna alla circolazione del capitale, della sua riproduzione —, che cioè questi due lati scaturiscono dalla considerazione della forma semplice della circolazione del capitale. Una cosa è chiara: che, dal momento che l'intero capitale circolante si scambia come M con D nella prima fase, e come D con M nella seconda, se consideriamo l'anno come unità di tempo delle sue evoluzioni, le sue trasformazioni sono limitate sia dal fatto che annualmente vengono riprodotte le materie prime (la merce, con la quale esso si scambia come denaro, deve essere prodotta, ad esso cioè deve corrispondere una produzione simultanea), sia dal fatto che viene prodotto costantemente un reddito annuale (la parte di D che si scambia con la merce come valore d'uso) per consumare il prodotto che come valore d'uso il capitale distacca da sé. Di tale reddito — non essendoci ancora altri rapporti sviluppati — esiste soltanto quello dei capitalisti stessi e quello dell'operaio. Del resto la considerazione dello scambio tra capitale e reddito, altra forma del rapporto tra produzione e consumo, non rientra ancora in quanto stiamo dicendo. D'altra parte, poiché il capitale fisso si scambia soltanto nella misura in cui entra come valore nel capitale circolante, poiché cioè viene valorizzato, nell'anno, soltanto in porzioni successive, esso presuppone anche un equivalente soltanto in porzioni successive, e quindi anche una produzione soltanto graduale di questo equivalente nel corso dell'anno. Esso viene pagato soltanto in proporzione al suo logoramento. Una cosa è chiara, e consegue già, come si è visto poc'anzi, dalla differenza che il capitale fisso introduce nel ciclo industriale: e cioè che esso impegna la produzione degli anni successivi, e come contribuisce alla creazione di un grosso reddito, così anticipa lavoro futuro quale equivalente. L'anticipazione di frutti avvenire del lavoro non è dunque affatto una conseguenza di debiti pubblici ecc., non è affatto, in breve, una invenzione del sistema creditizio. Essa ha la sua radice nello specifico modo di valorizzazione, modo di rotazione, modo di riproduzione del capitale fisso]].
Poiché per noi qui si tratta essenzialmente di fissare le pure determinazioni formali, e di non mescolarvi perciò nessun elemento indebito, è apparso chiaro da quanto detto finora che le varie forme in cui il capitale circolante e il capitale fisso apportano un reddito — e la stessa considerazione del reddito in generale — non rientrano ancora per nulla in quanto stiamo dicendo; vi rientrano bensì solamente i diversi modi in cui essi ruotano e agiscono sulla rotazione complessiva del capitale, sul suo movimento di riproduzione in generale. Quanto si è occasionalmente allegato è però importante — in quanto al tempo stesso di respinge tutti quei variopinti elementi che gli economisti hanno ammassato alla rinfusa, mentre è ancora fuori luogo nella considerazione della semplice differenza tra capitale fisso e capitale circolante — e perché ci ha mostrato che la diversità che si riscontra nel reddito ecc. ha la sua base nella differenza di forma della riproduzione del capitale fisso e circolante. Il problema qui è soltanto e ancora quello del semplice ritorno del valore. In che modo questo diventi ritorno del reddito e questo a sua volta diventi diversità nella determinazione del reddito, risulterà soltanto in seguito.
3.4.17 - [ Frais d'entretien]
Non abbiamo ancora parlato dei costi di mantenimento, frais d'entretien del capitale fisso. Si tratta in parte di matières instrumentales che esso consuma per agire, e rientrano nel capitale fisso nel primo significato in cui lo abbiamo considerato nell'ambito del processo di produzione. Sono capitale circolante, e possono anch'esse servire al consumo.
Diventano capitale fisso solo in quanto vengono consumate nel processo di produzione, ma non hanno, come il capitale fisso vero e proprio, un contenuto materiale determinato puramente dalla loro esistenza formale. La seconda parte di queste frais d'entretien è costituita da lavori necessari per riparazioni.
3.4.18 - [Reddito da capitale fisso e da capitale circolante]
La definizione di A. Smith è che ogni capitale fisso proviene originariamente da un capitale circolante e deve essere continuamente mantenuto da un capitale circolante:
«Ogni capitale fisso proviene originariamente da un capitale circolante e ha bisogno d'essere continuamente mantenuto a spese di quest'ultimo. Nessun capitale fisso può dare reddito se non a spese di un capitale circolante» (Storch, 26 a.)51. Per quanto riguarda l'osservazione di Storch sul reddito —.- una definizione che non trova qui il suo giusto posto —, è chiaro: il capitale fisso nota come valore solo quando gradualmente perisce come valore d'uso, come capitale fisso, ed entra a far parte, come valore, del capitale circolante. Esso può ruotare dunque sotto forma di capitale circolante, soltanto finché si considera il suo valore. Ma come valore d'uso esso in generale non circola, poiché inoltre esso stesso ha valore d'uso soltanto per la produzione, similmente esso può ruotare come valore per uso individuale, ossia per il consumo, soltanto in forma di capitale circolante. Miglioramenti del terreno possono, chimicamente, entrare a far parte direttamente del processo di riproduzione ed essere quindi direttamente trasformati in valori d'uso. Ma in tal caso essi vengono consumati nella forma che hanno come capitale fisso
Un capitale può dare un reddito soltanto nella cui esso entra in circolazione nella forma in cui esso entra in circolazione e da essa ritorna, giacché una produzione di reddito in valori d'uso diretti, ossia in valori d'uso non mediati dalla circolazione, contraddice alla natura del capitale. Poiché dunque il capitale fisso ritorna come valore soltanto nella forma di capitale circolante, esso può anche dare un reddito soltanto in questa forma.
Il reddito non è altro, in generale, che la parte di plusvalore destinata al consumo immediato. I suoi ritorni dipendono dunque dal tipo di ritorni del valore stesso. Di qui la diversa forma in cui il capitale fisso e il capitale circolante danno un reddito. Analogamente poiché il capitale fisso in quanto tale non entra mai in circolazione come valore d'uso, e quindi nemmeno viene mai espulso come valore d'uso dal processo di valorizzazione, esso non serve mai al consumo immediato.
Riguardo a Smith, la sua tesi ci si fa ora più chiara per il fatto che egli dice che il capitale circolante deve essere annualmente sostituito e continuamente risarcito traendolo continuamente dal mare, dalla terra e dalle miniere. Qui dunque il capitale circolante gli diventa puramente materiale; si pesca, si estrae e si semina; sono i prodotti primari mobili, che strappati dal legame con la terra e isolati, vengono resi con ciò mobili, o separati nella loro singolarità finita, come i pesci ecc., dal loro elemento. Inoltre, dal punto di vista puramente materiale, è ugualmente sicuro, a patto che Smith presupponga la produzione capitalistica e non si trasferisca all'inizio del mondo, che altresì ogni capitale circolante
51 Cfr. H. STORCH, Cours ecc. Cit., t.l, p.246 [corso, p. 114 ]
proviene originariamente da un capitale fisso. Senza rete l'uomo non può prendere pesci, senza aratro non può coltivare campi, e senza martello ecc. non può aprire miniere. Ma se adopera anche soltanto una pietra per martello ecc., certamente questa pietra non è un capitale circolante, e in generale non è un capitale, bensì un mezzo di lavoro. L'uomo, non appena deve produrre, possiede la risoluzione di servirsi direttamente di una parte degli oggetti naturali che sono a portata di mano come mezzi di lavoro, e li sussume alla sua attività, come ha detto giustamente Hegel, senz'altro processo di mediazione. Ciò da cui ogni capitale, sia circolante che fisso, proviene non solo originariamente ma continuamente, è l'appropriazione di lavoro altrui. Ma questo processo sottintende, come abbiamo visto, continuamente la piccola circolazione, lo scambio del salario con la forza-lavoro, o la sussistenza. Dire: ogni capitale ruota soltanto nella forma di un capitale circolante — presuppone il processo di produzione del capitale; il capitale fisso può essere perciò rinnovato soltanto per il fatto che una parte del capitale circolante si fissa; cioè una parte delle materie prime create viene impiegata e una parte del lavoro viene consumata (e quindi anche una parte della sussistenza viene scambiata con il lavoro vivo), per produrre capitale fisso. In agricoltura, per esempio, una parte del prodotto viene consumata da lavoro destinato a costruire acquedotti o una parte del grano viene scambiata con guano, sostanze chimiche ecc., le quali vengono incorporate nella terra, in effetti non hanno un valore d'uso se non in quanto vengono lasciate al loro processo chimico. Una parte del capitale circolante ha valore d'uso solamente per la riproduzione del capitale fisso e viene prodotto (quand'anche la produzione consistesse soltanto nel tempo di lavoro che costa la sua traslocazione) solamente per il capitale fisso. Ma il capitale fisso a sua volta può essere rinnovato come capitale solo in quanto diventa elemento di valore del capitale circolante e i suoi elementi vengono così riprodotti attraverso la trasformazione da capitale circolante a fisso. Il capitale fisso è il presupposto della produzione del capitale circolante così come il capitale circolante lo è per la produzione del capitale fisso. Ovvero la riproduzione del capitale fisso richiede: 1) rotazione del suo valore nella forma di un capitale circolante, giacché solo così esso può essere di nuovo scambiato con le sue condizioni di produzione; 2) che una parte del lavoro vivo e della materia prima venga impiegata per produrre strumenti di produzione, diretti o indiretti, invece di prodotti scambiabili. Il capitale circolante passa secondo il suo valore d'uso nel capitale fisso proprio come vi passa il lavoro, mentre il capitale fisso passa secondo il suo valore nel capitale circolante, e come movimento (qualora si tratti direttamente di macchinario), movimento in riposo, forma, nel valore
3.4.19 - [Lavoro libero = pauperismo latente. Eden]
[[In riferimento alle nostre tesi, precedentemente sviluppate, sul lavoro libero e altresì alla questione del pauperismo in esso latente, vanno menzionate le seguenti tesi di Sir Fr. Morton Eden, Bt.: The State of the Poor an History of the Labouring Classes in England from the Conquest ecc., 3 voli. 4° London 1797 (Citazioni dal t. I, 1. I.) (Nel I. I cap. I. ibidem, si dice: «La nostra zona richiede lavoro per il soddisfacimento dei bisogni, e perciò almeno una parte della società deve lavorare sempre indefessamente; altri lavorano nelle arti ecc., ed alcuni che non lavorano hanno nondimeno a loro disposizione i prodotti di coloro che lavorano assiduamente. Ma ciò, questi proprietari lo devono soltanto alla civilizzazione e all'ordine; essi sono delle pure creature delle istituzioni civili. Questi infatti
hanno compreso che ci si [può] procurare i frutti del lavoro anche altrimenti che con il lavoro; coloro i quali hanno un patrimonio indipendente devono il loro patrimonio quasi interamente al lavoro di altri, non alla loro capacità personale, che non è assolutamente migliore. Non è il possesso della terra o del denaro che distingue i ricchi dai poveri, ma il comando sul lavoro»52. A partire dalla libertà dei contadini comincia la povertà come tale — il vincolo feudale alla terra o per lo meno la residenza obbligatoria avevano risparmiato fino ad allora al potere legislativo di occuparsi dei vagabondi, dei poveri ecc. Eden crede che anche le varie gilde commerciali ecc, avessero contribuito ad alimentare da parte loro la povertà53. Egli dice: «Lungi dal pensare di sottovalutare gli innumerevoli benefici derivati al paese dalle manifatture e dal commercio, il risultato di questa indagine sembra condurre a questa inevitabile conclusione, che le manifatture e il commercio» (cioè la sfera di produzione per prima dominata dal capitale) «sono le vere matrici della povertà della nostra nazione54». «E ancora: Da Enrico VII in poi (sotto il quale contemporaneamente comincia la liberazione dei campi dalle bocche superflue mediante la trasformazione del terreno arativo in pascoli, durata oltre 150 anni, o per lo meno cominciarono le denunce e le interferenze legislative; quindi crebbe il numero di braccia messe a disposizione dell'industria) non fu più fissato per legge il salario nell'industria, ma solamente nell'agricoltura. 11, Enrico VII55. (Con il lavoro libero non si realizza ancora completamente il lavoro salariato. I lavoratori sono ancora impaniati nei rapporti feudali; la loro offerta è ancora troppo scarsa; il capitale perciò è ancora incapace, in quanto capitale, di ridurli al salario minimo. Donde le regolamentazioni statutarie del salario. Fin quando il salario continua ad essere regolamentato mediante statuti, non si può ancora dire né che il capitale in quanto capitale abbia sussunto sotto di sé la produzione, né che il lavoro salariato abbia raggiunto il suo adeguato modo di esistenza). Nell'atto citato si parla ancora di cordai, artigiani edili, carpentieri. Nel medesimo Atto è anche regolamentato il tempo di lavoro56: «Poiché molti salariati giornalieri sprecano mezza giornata, arrivano tardi, vanno via presto, dormono molto nel pomeriggio, indugiano lungamente a colazione, a pranzo e a cena ecc. ecc.», l'orario deve essere il seguente: «dal 15 marzo al 15 settembre a partire dalle 5 di mattina, % ora per la prima colazione, VA per il pasto e la siesta, % ora per il pasto di mezzogiorno e lavoro fino alle sette - otto di sera. In inverno, finché c'è luce, invece niente siesta, che è permessa soltanto dal 15 maggio al 15 agosto»]]57
[[Nel 1514 il salario fu nuovamente regolamentato, in maniera quasi identica alla prima volta. Anche le ore lavorative furono fissate. E chi, su richiesta, si rifiutava di lavorare, veniva arrestato58. Quindi, ancora lavoro coercitivo accanto ad un salario stabilito dei lavoratori liberi. Essi devono anzitutto essere costretti a lavorare alle condizioni poste dal capitale. Chi non ha proprietà è più portato a diventare vagabondo, ladro e accattone anziché operaio. Ciò diventa evidente solo quando il modo capitalistico di produzione è sviluppato. Al livello che precede il capitale [vige] la coercizione politica per trasformare i non proprietari in operai a condizioni favorevoli per il capitale, le quali per ora non sono
52 Cfr. F. M. EDEN, The State of the Poor ecc., cit., voi. I, pp. 1.2; Marx cita, qui e in seguito, testualmente
dal cit. quaderno di estratti di Engels
53 Cfr. ibidem, pp. 57 e 60.
54 Cfr. ibidem, p. 61.
55 Cfr. ibidem, pp. 73-75.
56 Cfr. ibidem, p. 75.
57 Cfr. ibidem, pp. 75-76.
58 Cfr. ibidem, pp. 81-82.
ancora loro imposte a cagione della concorrenza reciproca tra gli operai stessi]] (simili mezzi di coercizione molto sanguinosi furono impiegati tra l'altro sotto Enrico Vili)59 . (Analogamente la soppressione dei conventi sotto Enrico Vili rende altresì libere molte braccia)60. (Sotto Edoardo VI si ebbero leggi ancor più dure contro i lavoratori fisicamente abili che si rifiutavano di lavorare. «1, Edoardo VI, 3: Colui il quale, pur essendo abile al lavoro rifiuta di lavorare e vive oziosamente per 3 giorni, sarà bollato a fuoco con ferro rovente con il segno V sul petto, e sarà aggiudicato come schiavo per due anni alla persona che l'ha denunciato come fannullone ecc.»61. «Se si allontana dal suo padrone per 14 giorni, diventerà suo schiavo a vita e sarà bollato con ferro rovente sulla fronte o sulla guancia con la lettera S, e se si allontana per la seconda volta, e sarà dichiarato colpevole di ciò da due testimoni, sarà considerato reo di tradimento e condannato a morte»62. (Nel 1376 a si parla per la prima volta di vagabondi e audaci malfattori63, nel 1388 di poveri64). (Analoga terribile legge nel 1572, sotto Elisabetta65).
3.4.20 - [Quanto più basso è il valore del capitale fisso in rapporto al suo prodotto, tanto più esso è adeguato allo scopo. - Mobile e immobile, fisso e circolante. -Nesso tra circolazione e riproduzione. Necessità della riproduzione del valore d'uso in un tempo determinato]
Capitale circolante e capitale fisso, che nella precedente determinazione si sono presentati come forme mutevoli del medesimo capitale nelle diverse fasi della sua rotazione, ora che il capitale fisso si è sviluppato fino alla sua forma più alta sono al tempo stesso posti come due diversi modi di esistere del capitale. Tali essi diventano in ragione della diversità del loro modo di rotazione. Un capitale circolante che ruota lentamente possiede una determinazione in comune col capitale fisso. Ma se ne distingue per questo: che è il suo stesso valore d'uso — la sua esistenza materiale — ad entrare in circolazione e ad esserne al tempo stesso eliminato, venendo espulso dai confini del processo di rotazione, mentre il capitale fisso — in base al suo precedente sviluppo — entra in circolazione soltanto come valore, e finché si trova ancora in circolazione anche come valore d'uso, come per esempio accade alle macchine che si trovano in circolazione, esso
è capitale fisso soltanto [n.d.r.: qui il testo di Marx riporta una parola in greco, che in questo
testo non è riproducibile]. Questa distinzione tra capitale fisso e capitale circolante, che in un primo momento poggia sul comportamento dell'esistenza materiale del capitale o del suo rapporto di valore d'uso rispetto alla circolazione, nella riproduzione deve però essere posta al tempo stesso come riproduzione del capitale nella duplice forma di capitale fisso e capitale circolante. In quanto la riproduzione del capitale, in qualsiasi forma, consiste nel
59 Cfr. ibidem, pp. 83-87.
60 Cfr. ibidem, pp. 90-98.
61 Cfr. ibidem, pp. 100-103.
62 Cfr. ibidem, p. 101.
63 Cfr. ibidem, pp. 42 e 61.
64 Cfr. ibidem, pp. 43 e 61-62.
65 Cfr. ibidem, p. 127.,
creare non solamente tempo di lavoro oggettivato, ma anche tempo di lavoro supplementare, ed è non solo riproduzione del suo valore, ma anche di un plusvalore, per questo aspetto la produzione di capitale fisso non può distinguersi dalla produzione di capitale circolante. Riguardo ad un produttore di strumenti o di macchine — in tutte le forme in cui il capitale fisso si presenta anzitutto come capitale circolante dal punto di vista della sua esistenza materiale, nella sua esistenza di valore d'uso, prima di essere fissato come capitale fisso, prima cioè di essere consumato, giacché proprio il suo consumo lo lega alla fase di produzione e lo distingue come capitale fisso — non si ha dunque neanche alcuna differenza nella valorizzazione del capitale, si riproduca esso nella forma di capitale fisso o in quella di capitale circolante. E perciò non interviene neanche, dal punto di vista economico, alcuna nuova determinazione, Ma allorquando il capitale fisso in quanto tale — e non soltanto nella determinazione di capitale circolante — viene messo in circolazione dal suo produttore, ossia viene venduto a porzioni successive il suo uso, — non importa se a scopo di produzione o di consumo — giacché nella trasformazione di M in D, che ha luogo nella prima fase della circolazione del capitale, per quest'ultimo è indifferente che la merce entri a sua volta nella sfera di circolazione di un altro capitale produttivo o serva a scopo di consumo diretto; anzi nei suoi confronti essa ha sempre la determinazione di valore d'uso tutte le volte che esso la distacca da sé scambiandola con denaro — diverso deve essere il modo di rotazione per il produttore di capitale fisso e per quello di capitale circolante. Il plusvalore creato dal primo può ruotare soltanto gradualmente e successivamente insieme al valore stesso. Questo punto va considerato nella sezione seguente. Infine, sebbene ora il capitale fisso e il capitale circolante si presentino come due specie differenti, tuttavia il capitale circolante viene creato attraverso il consumo, il logoramento del capitale fisso; il capitale fisso da parte sua non è altro che il capitale circolante trasformato in questa forma determinata. Ogni capitale trasformato in produttività oggettivata — ogni capitale fisso — è un valore d'uso fissato in questa forma e perciò sottratto sia al consumo che alla circolazione in forma di valore d'uso. Che per costruire una macchina o una ferrovia siano stati trasformati in questo determinato valore d'uso legno, ferro, carbone e lavoro vivo (e quindi indirettamente anche i prodotti consumati dall'operaio), ciò non farebbe di tutto questo un capitale fisso se non si aggiungessero le altre determinazioni sopra sviluppate. Se un capitale circolante viene trasformato in capitale fisso, una parte dei valori d'uso sotto la cui forma circolava il capitale, così come indirettamente la parte del capitale che si scambia col lavoro vivo, viene trasformata in capitale il cui equivalente si produce soltanto in un ciclo più lungo; in un capitale che entra in circolazione come valore soltanto in porzioni e successivamente e che può essere valorizzato soltanto attraverso il consumo che se ne fa nella produzione. La trasformazione del capitale circolante in capitale fisso presuppone un pluscapitale relativo, essendo esso un capitale adibito non alla produzione diretta bensì alla produzione di nuovi mezzi di produzione. Il capitale fisso può anche servire a sua volta direttamente come strumento di produzione — come mezzo nell'ambito del processo di produzione immediato. In questo caso il suo valore entra nel prodotto e viene reintegrato attraverso la successiva rotazione del prodotto. Oppure esso non entra nel processo di produzione immediato — ma si presenta come condizione generale del processo di produzione, del tipo fabbricati, ferrovie ecc., e il suo valore può essere reintegrato attraverso il capitale circolante alla cui creazione ha indirettamente contribuito, Spetta all'analisi successiva fornire dettagli più precisi sulla proporzione tra la produzione del capitale fisso e quella del capitale circolante. Se venissero impiegate macchine di alto valore per fornire una scarsa quantità di prodotti, esse, oltre a non avere efficacia come forza produttiva, aumenterebbero il prezzo del prodotto infinitamente di più che se fosse stato lavorato senza le macchine. Esse creano plusvalore non perché hanno valore — giacché questo viene semplicemente reintegrato —, ma solo in quanto aumentano il tempo di lavoro
supplementare o diminuiscono il tempo di lavoro necessario. Sicché nella medesima proporzione in cui cresce la loro entità, deve aumentare la quantità dei prodotti e diminuire relativamente il lavoro vivo impiegato. Quanto più basso è il valore del capitale fisso in rapporto alla sua efficacia, tanto più esso corrisponde al suo scopo. Ogni capitale fisso non necessario prende l'aspetto di faux frais de production, al pari di tutti i costi di circolazione non necessari. Se il capitale potesse possedere macchine senza impiegarvi lavoro, esso eleverebbe la produttività del lavoro e ridurrebbe il lavoro necessario, senza dover comprare lavoro. Il valore del capitale fisso non è dunque mai fine a se stesso nella produzione del capitale.
Insomma: il capitale circolante si trasforma in capitali fisso, e il capitale fisso si riproduce in capitale circolante l'una e l'altra cosa si verificano solo in quanto il capitale si appropria di lavoro vivo.
«Ogni risparmio nel capitale fisso [si traduce] in un accrescimento nel reddito netto della società» (A. Smith)66.
L'ultima e conclusiva differenza che ancora viene addotta dagli economisti è quella tra mobile e immobile; non nel senso che l'uno entra nel movimento di circolazione e l'altro no; ma nel senso che l'uno è fisicamente fissato, è immobile, alla stessa maniera in cui si distingue tra proprietà mobiliare e immobiliare. Per esempio: investimenti in migliorie fondiarie, acquedotti, fabbricati; e in gran parte le macchine stesse, giacché per poter operare devono essere fisicamente fissate; le ferrovie; in somma, ogni forma in cui il prodotto dell'industria viene saldamente fissato alla superficie terrestre. Au fond tutto ciò non aggiunge nulla alla definizione del capitale fisso; ma la sua definizione implica certamente che quanto più il suo valore d'uso, la sua esistenza materiale, corrisponde alla sua definizione formale, esso è capitale fisso in senso tanto più eminente. Il valore d'uso immobiliare, come la casa, la ferrovia ecc., è perciò la forma più tangibile di capitale fisso. In tal caso esso può, ciò nonostante, circolare come proprietà immobiliare in generale — ossia come titolo; ma non come valore d'uso; non circolare in senso fisico. All'origine lo sviluppo della proprietà mobiliare, il suo aumento rispetto a quella immobiliare, è il segno del movimento ascendente del capitale rispetto alla proprietà fondiaria. Ma una volta presupposto il modo di produzione del capitale, il livello a cui esso ha subordinato a sé le condizioni di produzione si rivela dalla trasformazione del capitale in proprietà immobiliare. Con ciò esso si insedia nella terra stessa e fa saltare i presupposti illusoriamente stabili, dati per natura, della proprietà fondiaria, che diventa essa stessa una semplice creazione dell'industria.
(In origine l'esistenza in comunità e, mediante questa, il rapporto verso la terra come proprietà, sono i presupposti fondamentali della riproduzione sia dell'individuo che della comunità. Presso i popoli dediti alla pastorizia il territorio si presenta semplicemente come condizione del nomadismo: è esclusa quindi una appropriazione di esso. Seguono stanziamenti stabili con l'agricoltura — e allora la proprietà del suolo è dapprima comune, e anche quando passa ad essere proprietà privata il rapporto dell'individuo verso di essa si presenta mediato dal suo rapporto con la comunità. La proprietà si presenta come semplice sostegno della comunità; ecc. ecc. La sua trasformazione in puro valore di scambio — questa sua mobilizzazione — è un prodotto del capitale e della completa subordinazione dell'organismo politico al capitale stesso. Perciò il suolo, anche quando diventa proprietà privata, è un valore di scambio solo in senso ristretto. Il valore di scambio ha inizio col prodotto naturale isolato, staccato dalla terra e individualizzato ad opera dell'industria (o della semplice appropriazione). Qui compare anche, per la prima volta, il
66 Cfr. A. SMITH, Recherches ecc., cit., t. Il p. 226 [Ricchezza delle nazioni, p. 261]; cfr. MEGA I/3, p. 464.
lavoro individuale. Lo scambio ha il suo primo inizio, in generale, non nell'ambito delle comunità originarie, ma ai loro confini; lì dove esse si arrestano. Di conseguenza, scambiare il suolo, la propria sede, andare a bussare alle porte di comunità straniere, sarebbe tradimento. Lo scambio può allargarsi soltanto by and by dal suo ambito originario, la proprietà mobiliare, alla proprietà immobiliare. È soltanto attraverso l'estensione della prima che il capitale viene a poco a poco in possesso di quest'ultima. Il denaro è l'agente principale in questo processo).
A. Smith distingue prima capitale circolante e capitale fisso in base alla loro destinazione nel processo di produzione 67. Solo in seguito egli cambia indirizzo:
« Si può mettere a profitto un capitale in diverse maniere, 1) come capitale circolante, 2) come capitale fisso»68. Questo secondo indirizzo non è evidentemente pertinente alla considerazione di quella differenza in quanto tale, giacché capitale fisso e capitale circolante devono essere già presupposti come due diverse specie di capitale, prima che si possa parlare di come poter mettere a profitto un capitale nelle due forme.
«Il capitale complessivo di chiunque intraprenda un lavoro si ripartisce necessariamente tra il suo capitale fisso e il suo capitale circolante. A somma uguale, l'una parte sarà tanto più grande, quanto più piccola è l'altra» (A. Smith, t. II. p. 218)69.
Poiché i capitali 1) si ripartiscono in porzioni disuguali tra capitale fisso e circolante; 2) hanno fasi di produzione interrotte o ininterrotte e ritornano da mercati più lontani o più vicini, e quindi hanno un tempo di circolazione disuguale, la determinazione del plusvalore creato in un determinato tempo, per esempio annualmente, deve essere disuguale, perché disuguale è il numero dei processi di riproduzione in un dato termine. La loro creazione del valore è determinata non semplicemente dal lavoro impiegato durante il processo di produzione immediato, bensì dal grado in cui è possibile ripetere questo sfruttamento di lavoro in un dato periodo di tempo.
In conclusione dunque: se, quando consideriamo il processo di produzione semplice, il capitale, in quanto si valorizza, si presenta soltanto in relazione al lavoro salariato e la circolazione rimane a lato, nel suo processo di riproduzione invece la circolazione è assunta in esso — più precisamente vi sono assunti entrambi i momenti della circolazione M - D - D - M (come un sistema di scambio che esso deve percorrere e ai quali corrispondono da parte sua altrettanti mutamenti qualitativi). La circolazione si presenta assunta nel capitale nell'aspetto D - M - M - D, nella misura in cui si parte da esso nella sua forma di denaro, e perciò ad essa forma si ritorna. Il capitale contiene sia l'una che l'altra circolazione, e non più come un mero mutamento formale o come mero mutamento materiale che avviene al di fuori della forma, bensì entrambe assunte nella determinazione del valore. Il processo di produzione, quando contiene in se medesimo le condizioni della sua ripetizione, è processo di riproduzione, la cui velocità è determinata da vari rapporti precedentemente sviluppati, che derivano tutti dalla differenza della circolazione stessa. Entro la riproduzione del capitale si compie contemporaneamente la riproduzione dei valori d'uso nei quali esso si realizza — o la continua rinnovazione e riproduzione, mediante il lavoro umano, dei valori d'uso, che vengono consumati dagli uomini o che per loro natura sono fugaci; il mutamento formale e materiale subordinato al bisogno umano attraverso il lavoro umano si presenta, dal punto di vista del capitale, come riproduzione di
67 Cfr. MEGA I/3, p. 473 [Ricchezza delle nazioni, p. 247].
68 Cfr. A. SMITH, Recherches ecc., cit., t. Il pp. 197-198 [Ricchezza delle nazioni, pp. 247-248]; cfr. MEGA
I/3, pp. 473-474.
69 Cfr. ibidem, p. 226 (e non 218); [ibidem p. 260]; cfr. MEGA I/3, p. 465.
se stesso. Si tratta, au fonò, della continua riproduzione del lavoro stesso. «I valori capitali si perpetuano mediante la riproduzione: i prodotti che compongono un capitale si consumano al pari di ogni altro; ma il loro valore nello stesso tempo in cui è distrutto dal consumo, si riproduce o nella medesima o in altre materie» (Say, 14)70 Lo scambio e un sistema di scambio, e, ivi inclusa, la trasformazione in denaro, quale valore autonomo, si presentano come condizione e ostacoli al tempo stesso della riproduzione del capitale. In esso la produzione stessa è per ogni verso sottomessa allo scambio. Queste operazioni di scambio, ossia la circolazione in quanto tale, non producono un plusvalore, ma sono le condizioni della sua realizzazione. Intanto esse sono condizioni della produzione del capitale stesso, in quanto la sua forma di capitale si realizza solo nella misura in cui esso le percorre. La riproduzione del capitale è al tempo stesso produzione di determinate condizioni formali; di determinati modi di comportamento entro i quali viene posto il lavoro oggettivato personificato. La circolazione perciò non è semplicemente lo scambio del prodotto con le condizioni di produzione — e cioè, per esempio, del grano prodotto con semente, nuovo lavoro ecc. In ogni forma di produzione il lavoratore deve scambiare il suo prodotto con le condizioni di produzione per poter ripetere la produzione. Anche il contadino che produce per il consumo immediato trasforma una parte del prodotto in semente, strumenti di lavoro, bestie da soma, concimi ecc. e ricomincia il suo lavoro. Per la riproduzione del capitale in quanto tale è necessaria la trasformazione in denaro, e la sua riproduzione è necessariamente una produzione di plusvalore*. Sebbene il lavoro non faccia altro, nell'un processo di produzione, che conservare al suo valore quella che prima abbiamo chiamato la parte costante del capitale, esso deve costantemente riprodurla nell'altro, giacché quel che nell'un processo di produzione si presenta come materiale e strumento presupposti, nell'altro è il prodotto, e questa ripetizione, riproduzione, deve procedere con costante simultaneità.
70 Cfr. J.B. SAY; Tratte ecc., cit., t. Il, p. 185 [Trattato pp. 314-315]; «14» si riferisce al quaderno di estratti.
* Riguardo alla fase di riproduzione (e al tempo di circolazione in particolare) va ancora notato che i suoi limiti sono dati dallo stesso valore d'uso. Il grano deve essere riprodotto in un anno. Le cose labili come il latte ecc., devono essere riprodotte con maggior frequenza. La carne, poiché l'animale vive e quindi resiste al tempo, non ha bisogno di essere riprodotta tanto frequentemente; ma la carne macellata che si trova sul mercato deve essere riprodotta nella forma di denaro in un lasso di tempo assai breve, altrimenti si putrefa. La riproduzione del valore e del valore d'uso in parte coincidono, in parte no.