II. IL CAPITOLO DEL DENARO


Indice

Alfred Darimon: De la réforme des banques

Esportazione dell'oro e crisi

Convertibilità e circolazione dei biglietti di banca

Valore e prezzo

Merce e denaro

Scambiabilità della merce col denaro

M-D. D-M

Autonomizzazione dello scambio rispetto ai suoi soggetti.

Aforismi

Genesi del denaro

L'«Economist» a proposito del denaro

Emissione di cedole-orario

Valore di scambio e produzione privata

Il denaro come rapporto sociale

Ancora sulla genesi del denaro

Il denaro come misura e come equivalente generale

Il tempo di lavoro come equivalente generale

Tempo di lavoro e produzione sociale

I soggetti del rapporto di denaro

A II rapporto tra l'oro e l'argento e gli altri metalli

B Oscillazioni del rapporto di valore tra i diversi metalli

Circolazione del denaro e circolazione delle merci

Concetto generale della circolazione

Circolazione dei prezzi

Il prezzo

Moneta di conto

Mezzo di circolazione

Quantità di denaro circolante

Scambio e produzione di valore di scambio

La circolazione come falso processo all'infinito

Realizzazione del prezzo e autonomizzazione dell'equivalente generale

L'equivalente generale. Separazione tra compera e vendita. Denaro e divisione del lavoro

M-D-M e D-M-D

C. Il denato come rappresentante materiale della ricchezza (accumulazione del denaro; ma prima ancora: il denaro come materia generale dei contratti ecc.)

Il denaro come misura, come mezzo di pagamento e come mezzo di scambio. Confusione nella determinazione del denaro. Somma dei prezzi e quantità di merci in rapporto alla quantità del mezzo di circolazione. Mezzo di circolazione

Accumulazione del denaro. Lavoro salariato e capitale.

Moneta e moneta mondiale. (Articolazione del sistema dell'economia borghese). Rappresentante materiale e forma generale della ricchezza. Accumulazione del denaro (tesaurizzazione)

Tesaurizzazione e accumulazione del capitale. Articolazione del capitolo sul denaro. Rovesciamento della legge di appropriazione


Il Capitolo del Denaro

Alfred Darimon: De la réforme des Banques. Paris 1856.

«Tutto il male - afferma Darimon - viene dal predominio che ci si ostina a conservare ai metalli preziosi nella circolazione e negli scambi».

Egli comincia allora con l'esame delle misure che la Banca di Francia prese nell'ottobre 1855 per porre rimedio alla diminuzione progressiva della sua riserva. Nell'intento di darci un quadro statistico della situazione di questa banca durante i sei mesi che precedettero immediatamente le misure dell'ottobre, egli raffronta a tale scopo la sua riserva metallica durante ciascuno di questi sei mesi e le «fluttuazioni del portafoglio», ossia il numero di titoli commerciali (delle cambiali esistenti nel suo portafoglio) che essa ha scontati. La cifra che esprime il valore dei titoli in possesso della banca «rappresenta», secondo Darimon, «il maggiore o minore bisogno che il pubblico avvertiva dei suoi servizi, o, che è la stessa cosa, le necessità della circolazione». Che è la stessa cosa? Niente affatto.

Se la quantità di cambiali presentate allo sconto si identificasse con le «necessità della circolazione», più precisamente della circolazione del denaro, la circolazione dei biglietti di banca dovrebbe essere determinata dalla quantità di cambiali scontate. Senonché questo movimento in media non solo non è parallelo, ma spesso è un movimento inverso. La quantità di cambiali scontate e le relative fluttuazioni esprimono qui le necessità del credito, mentre la quantità di denaro circolante è determinata da influssi del tutto diversi. Per giungere in qualche modo a delle conclusioni sulla circolazione, Darimon avrebbe dovuto istituire anzitutto, accanto alla rubrica della riserva metallica e a quella delle cambiali scontate, una rubrica sull'importo dei biglietti circolanti. Per parlare delle necessità della circolazione, la cosa più ovvia da fare in effetti era di constatare anzitutto le fluttuazioni nella circolazione reale. L'omissione di questo necessario elemento di raffronto tradisce subito la trasandatezza dilettantesca e l'intenzionale confusione tra le necessità del credito e quelle della circolazione del denaro - una confusione sulla quale in effetti poggia tutto il segreto della sapienza proudhoniana. (Lista di mortalità in cui da un lato figurerebbero le malattie, dall'altro i casi di morte, dimenticando le nascite).

Le due rubriche presentate da Darimon, ossia da una parte la rubrica della riserva metallica della banca dall'aprile al settembre, dall'altra quella del movimento del suo portafoglio, non esprimono altro che il fatto tautologico - per il quale non occorre certo uno sfoggio di illustrazioni statistiche - che, nella stessa misura in cui si portarono cambiali in banca per sottrarle metallo, il suo portafoglio si riempì di cambiali e i suoi depositi si vuotarono di metallo. E persino questa tautologia, che Darimon vuol dimostrare attraverso la sua tabella, non vi è chiaramente espressa. Essa mostra anzi che dal 12 aprile fino al 13 settembre 1855 la riserva metallica della banca diminuì di circa 144 milioni, mentre i titoli del suo portafoglio aumentarono di circa 101 milioni La diminuzione della riserva metallica superò dunque di 43 milioni l'aumento dei titoli commerciali scontati. L'identità dei due movimenti naufraga di fronte a questo risultato complessivo del movimento semestrale. Un raffronto più preciso delle cifre ci mostra altre incongruenze.

Riserva metallica della banca    Titoli scontati dalla banca

12 aprile - 432.614.799 fr.      12 aprile - 322.904.313 fr.

10 maggio - 420.914.028        10 maggio - 310.744.925

In altre parole: dal 12 aprile fino al 10 maggio la riserva metallica diminuisce di 11.700.769, mentre il numero dei titoli aumenta (dovrebbe essere invece «diminuisce») di 12.159.388; ossia l'aumento (dovrebbe essere invece «diminuzione») dei titoli supera di circa 1/2 milione (458.619 fr.) la diminuzione della riserva metallica. Il fenomeno si inverte, ma in misura ben più sorprendente, se confrontiamo il mese di maggio col mese di giugno.

Riserva metallica della banca    Titoli scontati dalla banca

10 maggio - 420.914.028        10 maggio - 310.744.925

24 giugno - 407.769.813         14 giugno - 310.369.439

Dal 10 maggio fino al 14 giugno la riserva metallica era dunque diminuita di 13.144.225 fr. Ma erano aumentati nella stessa misura i suoi titoli? Al contrario; nello stesso periodo essi avevano subito una diminuzione di 375.486 fr. Qui dunque non abbiamo più una sproporzione puramente quantitativa tra diminuzione da un lato e aumento dall'altro. Lo stesso rapporto inverso dei due movimenti è sparito. L'enorme caduta da un lato è accompagnata da una caduta relativamente debole dall'altro.

Riserva metallica della banca   Titoli scontati dalla banca

14 giugno - 407.769.813        14 giugno - 310.369.439

12 luglio - 314.629.614          12 luglio - 381.699.256

Il confronto tra i mesi di giugno e luglio mostra una diminuzione della riserva metallica pari a 93.140.199 e un aumento dei titoli pari a 71.329.917, vale a dire che la diminuzione della riserva metallica supera l'aumento del portafoglio di 21.810.382 fr.

Riserva metallica della banca   Titoli scontati dalla banca

12 luglio - 314.629.614          12 luglio - 381.699.256

9 agosto - 338.784.444           9 agosto - 458.689.605

Qui notiamo un aumento in entrambi i settori, in quello della riserva metallica di 24.154.830, e in quello del portafoglio l'aumento ben più importante di 76.990.349 fr.

Riserva metallica della banca   Titoli scontati dalla banca

9 agosto - 338.784.444          9 agosto - 458.689.605

13 settembre - 288.645.333  13 settembre - 431.390.562

La diminuzione della riserva metallica di 50.139.111 fr. è in questo caso accompagnata da una diminuzione dei titoli di 27.299.043 fr. (Nel dicembre 1855, nonostante le misure restrittive della Banca di Francia, la sua riserva era ulteriormente diminuita di 24 milioni).

Morale della favola: le verità che scaturiscono da un confronto successivo dei sei mesi, hanno lo stesso titolo di sicurezza di quelle che risultano dal confronto dei due estremi della serie operato dal sig. Darimon. E che cosa mostra questo confronto? Verità che si eliminano a vicenda. Due volte un aumento del portafoglio con una diminuzione della riserva metallica, ma in modo tale che la diminuzione di quest'ultima non raggiunge l'aumento del primo (mesi aprile-maggio e giugno-luglio). Due volte una diminuzione della riserva metallica, accompagnata dalla diminuzione del portafoglio, ma in modo tale che la diminuzione di quest'ultimo non copre quella della prima (mesi maggio-giugno e agosto-settembre). Infine, una volta un aumento parallelo della riserva metallica e del portafoglio, ma in modo tale che il primo aumento non copre il secondo. Diminuzione da una parte, aumento dall'altra; diminuzione da entrambe le parti; aumento da entrambe le parti.

Tutti i casi insomma, ma nessuna legge uniforme, e soprattutto nessun rapporto inverso, e nemmeno un'azione reciproca, dal momento che la diminuzione nel portafoglio non può essere la causa della diminuzione nella riserva metallica, e l'aumento nel portafoglio non può essere la causa dell'aumento nella riserva metallica. Il rapporto inverso e l'azione reciproca non sono mai constatati dal confronto isolato che Darimon istituisce tra il primo e l'ultimo mese. Se l'aumento di 101 milioni verificatosi nel portafoglio non copre la diminuzione di circa 144 milioni verificatasi nella riserva metallica, rimane la possibilità che l'aumento da un lato e la diminuzione dall'altro non stiano affatto in un nesso causale reciproco. L'illustrazione statistica, invece di dare una risposta, ha posto anzi una massa di problemi che si elidono a vicenda; invece di un solo enigma, ne ha posti cinque dozzine.

Gli enigmi sparirebbero in realtà non appena il sig. Darimon apponesse, accanto alle sue rubriche della riserva metallica e del portafoglio (ossia dei titoli scontati), le rubriche della circolazione dei biglietti di banca e dei depositi. Una diminuzione dal lato della riserva metallica inferiore all'aumento del portafoglio si spiegherebbe allora col fatto che nello stesso tempo era aumentato il deposito di metallo, o che una parte dei biglietti emessi a titolo di sconto non era stata convertita in metallo, ma era rimasta in circolazione, o infine che, senza incrementare la circolazione, i biglietti emessi erano rientrati immediatamente sotto forma di depositi o a titolo di pagamento di cambiali scadute. Una diminuzione della riserva metallica accompagnata da una diminuzione inferiore del portafoglio si spiegherebbe col fatto che alla banca erano stati sottratti depositi o portati biglietti per essere convertiti in metallo, e di conseguenza le sue capacità di sconto erano state pregiudicate dai possessori dei depositi sottratti o dei biglietti convertiti in argento. Infine, una diminuzione inferiore della riserva metallica accompagnata da una diminuzione inferiore del portafoglio si spiegherebbe con gli stessi motivi (senza considerare qui il deflusso per risarcire la moneta d'argento all'interno del paese, visto che nemmeno Darimon la considera).

Ma le rubriche, che in tal modo si sarebbero chiarite reciprocamente, avrebbero anche dimostrato ciò che non si voleva che fosse dimostrato, e cioè che l'appagamento di crescenti necessità commerciali non presuppone necessariamente da parte della banca un aumento della sua circolazione cartacea; che la diminuzione o l'aumento di questa circolazione non corrisponde alla diminuzione o all'aumento della sua riserva metallica; che la banca non controlla la quantità dei mezzi di circolazione ecc., - clamorosi risultati, questi, che non facevano comodo al sig. Darimon. Nella sua furia di sbandierare ai quattro venti la sua idea preconcetta, cioè l'antitesi tra il fondo in metallo della banca rappresentato dalla sua riserva metallica, e le necessità della circolazione rappresentate secondo lui dal portafoglio, egli stralcia due rubriche dal loro contesto necessario, le quali, così isolate, perdono qualsiasi senso o al massimo si ritorcono contro di lui.

Ci siamo attardati su questo fatto per illuminare con un esempio tutto il valore delle illustrazioni statistico-positive dei proudhoniani. Non che essere i fatti economici a fornire la prova alle loro teorie, sono loro che forniscono la prova del mancato dominio dei fatti, per poterci giocare. Il loro modo di giocare con i fatti rivela piuttosto la genesi della loro astrazione teoretica.

Ma seguiamo ancora Darimon.

Quando la Banca di Francia vide la sua riserva metallica diminuita di 144 milioni e il suo portafoglio aumentato di 101 milioni, il 4 e il 18 ottobre 1855 essa adottò una serie di misure cautelative a favore del suo deposito e contro il suo portafoglio. Essa aumentò il saggio di sconto successivamente dal 4 al 5 e dal 5 al 6%, e ridusse da 90 a 75 giorni il termine di scadenza delle cambiali presentate allo sconto. In altre parole, aggravò le condizioni alle quali poneva il suo metallo a disposizione del commercio. Cosa dimostra questo? «Che», dice Darimon, «una banca organizzata secondo gli attuali principi, fondata cioè sul predominio dell'oro e dell'argento, si sottrae al servizio del pubblico proprio nel momento in cui il pubblico ha più bisogno dei suoi servizi».

Ma aveva proprio bisogno delle sue cifre, il sig. Darimon, per dimostrare che l'offerta rincara i propri servizi nella stessa misura in cui la domanda la sollecita (e la supera)? E quei signori che di fronte alla banca rappresentano il «pubblico», non seguono la medesima «piacevole abitudine di esistere»? I filantropici commercianti di frumento che presentarono le loro cambiali alla banca per ottenere biglietti, per convertire i biglietti in oro della banca, per convertire l'oro della banca in frumento estero e convertire il frumento estero in denaro del pubblico francese, partirono forse dall'idea che, poiché il pubblico in quel momento aveva soprattutto bisogno di frumento, era loro dovere cederglielo alle condizioni più vantaggiose? O non si precipitarono invece alla banca per sfruttare il rialzo dei prezzi del frumento, l'indigenza del pubblico, e la sproporzione tra la sua domanda e l'offerta? E la banca dovrebbe fare eccezione a questa legge economica universale? Quelle idée!

Ma supponiamo che l'attuale organizzazione delle banche comportasse la necessità di accumulare oro in quantità tale da condannare all'inerzia il mezzo d'acquisto - che in caso di carenza di frumento potrebbe essere adoperato col massimo vantaggio per la nazione -, e da rendere in generale il capitale, che dovrebbe percorrere le fertili metamorfosi della produzione, piattaforma inerte e improduttiva della circolazione. In tal caso la spiegazione sarebbe una sola: che nell'attuale organizzazione delle banche la riserva metallica improduttiva supera ancora il suo minimo necessario, perché il risparmio di oro e argento nell'ambito della circolazione non è stato ancora respinto nei suoi confini economici. Si tratterebbe cioè di un più o di un meno, su di una medesima piattaforma. Ma allora il problema verrebbe immiserito e ridotto dall'altezza socialista alla superficie borghesemente pratica sulla quale lo vediamo circolare presso la massima parte degli avversari anglo-borghesi della Banca d'Inghilterra. Quelle chute!

E se si trattasse invece non di un maggiore o minore risparmio di metallo sotto forma di biglietti o altri dispositivi bancari, ma di una totale rinuncia a basarsi sul metallo? Allora di nuovo non servirebbe né la favola statistica, e tanto meno la sua morale. Affinché la banca invii metalli nobili all'estero in caso di necessità, a qualsiasi condizione, è necessario che prima essa li accumuli; e affinché l'estero li accetti in cambio delle sue merci, è necessario che essi mantengano il loro predominio.

Secondo Darimon, le cause che sottrassero metallo nobile alla banca furono il cattivo raccolto e quindi la necessità di importare frumento dall'estero. Ma egli dimentica il deficit nel raccolto della seta e la necessità di acquistarne in quantità massiccia dalla Cina.

Altra causa, secondo Darimon: le grandi e numerose iniziative imprenditoriali, che coincisero con gli ultimi mesi dell'esposizione industriale di Parigi. Ma di nuovo dimentica le grandi speculazioni e iniziative intraprese all'estero dal Crédit mobilier e dai suoi rivali, per mostrare, come dice Isaac Péreire, che il capitale francese si distingue dagli altri capitali per la stessa natura cosmopolita che distingue la lingua francese dalle altre lingue.

Altra causa ancora, le spese improduttive causate dalla guerra in Oriente: prestiti per 750 milioni. Abbiamo allora, per un verso, un pesante e improvviso deficit in due dei più importanti rami della produzione francese! Per l'altro, un impiego inusitato del capitale francese sui mercati esteri, in imprese che non producevano un equivalente immediato e in parte forse non copriranno mai i loro costi di produzione! Per coprire da un lato la diminuzione della produzione nazionale mediante importazioni, e dall'altro l'aumento delle imprese industriali all'estero, occorrevano non tanto dei segni di circolazione che servono allo scambio di equivalenti, quanto gli equivalenti stessi; non denaro, ma capitale. Il deficit della produzione nazionale francese comunque non raggiungeva affatto le dimensioni dell'impiego di capitale francese all'estero.

Supponiamo ora che la Banca di Francia non abbia fatto base su un fondo in metallo, e che l'estero abbia acconsentito ad accettare l'equivalente o il capitale francese in qualsiasi forma, non soltanto in quella specifica dei metalli preziosi: ebbene, non sarebbe stata ugualmente costretta, la banca, ad elevare le condizioni del suo sconto proprio nel momento in cui il suo «pubblico» più premeva sui suoi servizi? I biglietti in cui essa sconta le cambiali di questo pubblico, attualmente non sono altro che assegni sull'oro e l'argento. Nella nostra ipotesi essi sarebbero assegni sulla riserva di prodotti della nazione e sulla sua forza-lavoro immediatamente utilizzabile: la prima, limitata, la seconda, aumentabile solo entro limiti molto positivi e in determinati periodi di tempo. D'altra parte il meccanismo dei titoli funziona inesauribilmente e quasi con un tocco magico.

Contemporaneamente, mentre i cattivi raccolti di frumento e di seta hanno diminuito enormemente la ricchezza direttamente scambiabile della nazione, ecco le imprese minerarie e ferroviarie estere che fissano questa stessa ricchezza direttamente scambiabile in una forma che non crea nessun equivalente immediato e quindi per il momento inghiotte senza restituire! Dunque: diminuzione assoluta della ricchezza nazionale che potrebbe essere direttamente scambiata, circolare ed essere inviata all'estero! D'altra parte, gli assegni bancari che aumentano senza limite. Conseguenza immediata: rialzo dei prezzi dei prodotti, delle materie prime e del lavoro da un lato, e crollo del prezzo degli assegni bancari, dall'altro. La banca non avrebbe dunque aumentato la ricchezza nazionale con un tocco magico, ma soltanto svalutato i propri titoli con un'operazione comunissima. Con questa svalutazione, improvvisa paralisi della produzione!

Niente affatto, grida il proudhoniano! La nostra nuova organizzazione bancaria non si accontenterebbe del merito negativo di abolire il fondo in metallo, lasciando poi tutto come prima. Essa creerebbe invece condizioni produttive e commerciali del tutto nuove, intervenendo cioè con presupposti del tutto nuovi. Non è vero forse che l'introduzione delle attuali banche a suo tempo ha rivoluzionato le condizioni della produzione? Senza la concentrazione del credito che essa ha prodotto, senza la rendita pubblica che essa ha creato in antitesi alla rendita fondiaria, creando così la finanza in antitesi alla proprietà fondiaria, il moneyed interest (interesse monetario) in antitesi al landed interest (interesse fondiario) - senza questo nuovo istituto di circolazione, sarebbero mai state possibili la grande industria moderna, le società per azioni ecc., le miriadi di forme di titoli di circolazione, che sono nello stesso tempo sia prodotti che condizioni di produzione del commercio moderno e della moderna industria?

Siamo giunti così al problema fondamentale, che non ha più un legame col punto di partenza.

Il problema, si dice, è di natura generale: è possibile rivoluzionare i rapporti di produzione esistenti e i rapporti di distribuzione ad essi corrispondenti mediante una trasformazione dello strumento di circolazione - trasformando cioè l'organizzazione della circolazione? Inoltre: è possibile intraprendere una simile trasformazione della circolazione senza toccare gli attuali rapporti di produzione e i rapporti sociali che poggiano su di essi?

Se ogni trasformazione in tal senso della circolazione stessa presupponesse a sua volta trasformazioni delle altre condizioni di produzione e rivolgimenti sociali, crollerebbe naturalmente a priori questa dottrina, le cui artificiose proposte in materia di circolazione mirano da un lato ad evitare il carattere violento delle trasformazioni, dall'altro a fare di queste trasformazioni stesse non un presupposto, ma viceversa un risultato graduale della trasformazione della circolazione. Basterebbe la falsità di questa premessa fondamentale a dimostrare l'uguale fraintendimento della connessione interna dei rapporti di produzione, di distribuzione e di circolazione.

L'esempio storico precedentemente addotto non può naturalmente decidere, dal momento che i moderni istituti di credito sono stati ad un tempo sia effetto che causa della concentrazione del capitale, costituendone soltanto un momento, e che la concentrazione del capitale è accelerata sia da una circolazione difettosa (come nell'antica Roma) sia da una circolazione scorrevole. Occorrerebbe inoltre indagare - o piuttosto rientrerebbe nel problema generale, - se le diverse forme civilizzate del denaro - moneta metallica, carta-moneta, moneta di credito, denaro-lavoro (quest'ultimo come forma socialista) - possono raggiungere ciò che da esse si pretende senza sopprimere lo stesso rapporto di produzione espresso nella categoria denaro, e se in tal caso, d'altra parte, non è di nuovo una pretesa autodistruttiva quella di voler prescindere, attraverso la trasformazione formale di un rapporto, dalle condizioni essenziali del medesimo.

Le varie forme del denaro possono anche corrispondere meglio alla produzione sociale a vari livelli; e l'una può eliminare inconvenienti per i quali l'altra non è matura; ma nessuna, finché esse rimangono forme del denaro, e finché il denaro rimane un rapporto di produzione essenziale, può togliere le contraddizioni inerenti al rapporto del denaro: può soltanto rappresentarle in una forma o nell'altra. Nessuna forma di lavoro salariato, sebbene l'una possa eliminare gli inconvenienti dell'altra, può eliminare gli inconvenienti del lavoro salariato stesso. Una leva può vincere meglio di un'altra la resistenza della materia inerte. Ma ognuna si basa sul fatto che la resistenza rimane. Questo problema generale del rapporto della circolazione rispetto agli altri rapporti di produzione può essere posto naturalmente soltanto alla fine. Tuttavia rimane sospetto fin dall'inizio il fatto che Proudhon e compagni nemmeno lo pongono nella sua forma pura, ma si limitano a declamarvi sopra occasionalmente. Dove si va a finire di questo passo, occorrerà vederlo accuratamente ogni volta.

Tutto ciò risulta subito all'inizio, quando Darimon esordisce identificando completamente circolazione del denaro e credito, il che dal punto di vista economico è falso. (Il crédit gratuit, detto per inciso, è soltanto una timida e ipocrita forma piccolo-borghese in sostituzione di la propriété c'est le vol. Non che essere gli operai a prendere il capitale ai capitalisti, dovrebbero i capitalisti essere costretti a darlo agli operai). Anche su questo punto bisognerà tornare.

Quanto al tema vero e proprio della sua trattazione, Darimon è giunto soltanto a questo: che le banche che commerciano in credito, così come i commercianti che commerciano in merci e gli operai che commerciano in lavoro, vendono più caro quando la domanda aumenta rispetto all'offerta, ossia aggravano per il pubblico il peso dei loro servizi proprio nel momento in cui questo ne ha più bisogno. Noi abbiamo visto che la banca deve fare così, sia che essa emetta biglietti convertibili oppure non convertibili.

Il comportamento della Banca di Francia nell'ottobre del 1855 diede adito ad una immense clameur e ad un grand débat tra la banca stessa e i portavoce del pubblico. Darimon riassume o pretende di riassumere tale dibattito. Noi lo seguiamo solo occasionalmente, poiché il suo riassunto mostra la debolezza di entrambi gli avversari attraverso il loro continuo saltare di palo in frasca e perdersi dietro motivi estrinseci. Ciascuno dei due contendenti abbandona ad ogni momento le sue armi per cercarne altre. Entrambi non giungono allo scontro, non solo perché cambiano continuamente le armi con cui dovrebbero battersi, ma anche perché non appena si sono incontrati su un terreno, subito passano ad un altro.

(Dal 1806 fino al 1855 il saggio di sconto in Francia non superò il 6%: per 50 anni la scadenza massima degli effetti commerciali rimase fissata sui 90 giorni)

La debolezza con cui Darimon fa difendere la banca e la falsità del quadro che ne dà, risultano chiaramente per esempio da questo passo del suo immaginario dialogo.

Dice l'avversario della banca: «Grazie al vostro monopolio, voi siete la dispensatrice e la regolatrice del credito. Quando vi mostrate rigida, i vostri scontisti non solo vi imitano, ma anche esagerano la vostra rigidezza ... Con le vostre misure voi avete paralizzato gli affari».

E la banca «umilmente» risponde: «Cosa volete che faccia? ... per difendermi dagli stranieri, devo difendermi da quelli di casa ... Soprattutto devo impedire la fuoruscita di numerario, in mancanza del quale non sono e non posso nulla».

Si presta alla banca una maschera da scioccona. Le si fa eludere il problema, e la si costringe a sbottare in una frase generica per poterle rispondere con una frase altrettanto generica. In questo dialogo la banca condivide l'illusione di Darimon che attraverso il suo monopolio essa regoli realmente il credito. In realtà il potere della banca comincia soltanto dove finisce quello degli escompteurs privati, in un momento perciò in cui il suo stesso potere è straordinariamente limitato. Lasciatela rimanere sul 5% in un momento di facile situazione del mercato monetario, quando ognuno sconta al 2 e 1/2%, e vedrete che gli scontisti, invece di imitarla, le soffieranno tutti gli affari sotto il naso.

Mai ciò è stato tanto evidente come nella storia della Banca d'Inghilterra a partire dalla legge del 1844, che nelle operazioni di sconto ecc. la fece diventare la vera e propria rivale dei banchieri privati. La Banca d'Inghilterra, per assicurarsi una partecipazione, ed una partecipazione sempre crescente all'operazione di sconto, durante i periodi di facilità del mercato monetario, fu costantemente costretta a ridurlo non soltanto alla misura dei banchieri privati, ma spesso al di sotto di essa. La sua «regolazione del credito» va dunque presa cum grano salis, mentre Darimon fa della sua personale fede superstiziosa nell'incondizionato controllo del mercato e del credito da parte della banca, un punto di partenza.

Invece di indagare criticamente le condizioni effettive del suo potere sul mercato del denaro, egli subito si aggrappa alla frase che il cash [il contante] è tutto per lei e che essa deve impedirne l'afflusso all'estero. Un professore del Collège de France (Chevalier) risponde : «Oro e argento sono merci come tutte le altre ... La vostra riserva metallica è buona soltanto ad essere inviata all'estero per acquisti in casi urgenti». La banca a sua volta risponde: «La moneta metallica non è una merce come le altre; è un mezzo di scambio, e in virtù di questo titolo gode del privilegio di dettar legge a tutte le altre merci». A questo punto tra i due contendenti salta fuori Darimon: «Se è così, bisogna attribuire non solo la crisi attuale, ma tutte le crisi commerciali periodiche, a questo privilegio di cui l'oro e l'argento godono di essere gli unici autentici strumenti di circolazione».

Per ovviare a tutti gli inconvenienti delle crisi «sarebbe sufficiente che l'oro e l'argento fossero merci come le altre, o più esattamente che tutte le merci fossero mezzi di scambio allo stesso titolo dell'oro e dell'argento; che cioè i prodotti si scambiassero veramente con i prodotti».

L'intera questione, così come qui viene presentata, è del tutto superficiale. Se la banca emette assegni sul denaro (biglietti) e obbligazioni sul capitale rimborsabili in oro e argento (depositi), si capisce da sé che fino ad un certo grado essa può starsene a guardare e a sopportare la diminuzione della sua riserva metallica, senza reagire. Ciò non ha nulla a che fare con la teoria della moneta metallica. Ma sulla teoria delle crisi di Darimon torneremo in seguito.

[Esportazione dell'oro e crisi]

Nel capitolo «Petite histoire des crises de circulation» (in realtà nell'opera di Darimon questo cap. III è intitolato «Petite histoire des banques de circulation») il sig. Darimon abbandona la crisi inglese del 1809-1811 e si limita ad annotare, per il 1810, la nomina del Comitato per i metalli preziosi; e in quanto al 1811 omette di nuovo la crisi reale (che ebbe inizio del 1809), e si limita a registrare l'accoglimento da parte della Camera dei Comuni della risoluzione affermante che «il deprezzamento dei biglietti rispetto ai metalli preziosi deriva non da un deprezzamento della cartamoneta, bensì da un aumento del prezzo dei metalli preziosi», e il pamphlet di Ricardo che sosteneva la tesi opposta, la cui conclusione sarebbe che «il denaro, nel suo stato più compiuto, è la cartamoneta» (pp. 22, 23).

Le crisi del 1809 e 1811 erano invece importanti a tal proposito, perché la banca emise allora biglietti non convertibili, sicché le crisi non scaturirono in nessun caso dalla convertibilità dei biglietti in oro (metallo), e quindi non potevano nemmeno essere frenate abrogando tale convertibilità. Darimon scavalca elegantemente questi fatti che confutano la sua teoria delle crisi, e si aggrappa all'aforisma di Ricardo: il che, con l'argomento specifico del problema discusso nel pamphlet - il problema delle banconote - non aveva nulla a che fare. Egli ignora che la teoria del denaro di Ricardo è completamente confutata nelle sue false premesse, secondo cui la banca controlla la quantità di biglietti circolanti, e la quantità dei mezzi di circolazione determina i prezzi, mentre viceversa sono i prezzi che determinano la quantità dei mezzi di circolazione ecc. Al tempo di Ricardo, tra parentesi, mancavano ancora tutte le ricerche dettagliate sui fenomeni della circolazione del denaro.

Oro e argento sono merci come le altre. Oro e argento non sono merci come le altre: come mezzo universale di scambio esse sono merci privilegiate e appunto in virtù di questo privilegio degradano tutte le altre. Questa è l'ultima analisi a cui Darimon riduce l'antagonismo. Dunque - decide Darimon in ultima istanza - abrogate il privilegio dell'oro e dell'argento, degradatelo al rango di tutte le altre merci. Non avrete più allora il male specifico del denaro d'oro e d'argento, o i biglietti convertibili in oro e argento. Avrete eliminato il male definitivamente. O piuttosto sollevate tutte le merci al monopolio posseduto esclusivamente dall'oro e dall'argento. Insomma, lasciate che il papa sussista, ma fate di ognuno un papa. Abolite il denaro facendo di ogni merce denaro e conferendo loro tutte le proprietà specifiche del denaro. A questo punto nasce la questione se il problema stesso non riveli un'interna assurdità, e se quindi l'assurdità della soluzione non stia già nelle condizioni istituite dal problema. Spesso la risposta può consistere soltanto nella critica del problema, e può esservi soluzione soltanto negando il problema stesso.

Ora il problema reale è questo: non è lo stesso sistema di scambio borghese a rendere necessario uno specifico mezzo di scambio? Non crea esso necessariamente un equivalente particolare per tutti i valori? Una forma di questo mezzo di scambio o di questo equivalente può anche essere più maneggevole, più adeguato, e implicare meno inconvenienti di altre forme. Ma gli inconvenienti che derivano dall'esistenza stessa di un particolare mezzo di scambio, di un equivalente particolare eppure universale, si riprodurrebbero in qualsiasi forma, seppure diversa.

Questo problema naturalmente Darimon lo salta con entusiasmo. Abolite il denaro e non lo abolite! Abrogate il privilegio esclusivo che l'oro e l'argento possiedono in virtù della loro esclusività di essere denaro, ma rendete tutte le merci denaro, vale a dire conferite a tutte una proprietà comune che, privata dell'esclusività, non esiste più.

Nei deflussi dei metalli preziosi viene in luce una contraddizione che Darimon coglie e risolve con altrettanta superficialità. Appare cioè che l'oro e l'argento non sono merci come le altre, e allora l'economia moderna si vede improvvisamente e con terrore ripiombare temporaneamente nei pregiudizi del mercantilismo. Gli economisti inglesi cercano di risolvere le difficoltà operando una distinzione. Ciò che si esige in questi momenti di crisi monetarie - essi dicono - non è oro e argento come denaro, oro e argento come moneta, bensì oro e argento come capitale. Essi dimenticano di aggiungere: capitale, ma nella forma determinata di oro e argento. Quale sarebbe altrimenti la ragione del deflusso proprio di queste merci, mentre la maggior parte delle altre si deprezzano per difetto di deflusso, se il capitale fosse esportabile in qualsiasi forma?

Prendiamo alcuni esempi determinati: deflusso in seguito a cattivo raccolto all'interno di un alimento fondamentale (p. es. frumento), o in seguito a un cattivo raccolto all'estero con conseguente rincaro di un oggetto di consumo primario importato (p. es. tè); deflusso in seguito a cattivo raccolto nelle fondamentali materie prime industriali (cotone, lana, seta, lino); deflusso in seguito a eccesso di importazione (per ragioni speculative, militari ecc.); quando si tratta di un cattivo raccolto all'interno, la compensazione di un deficit improvviso e duraturo (di frumento, di tè, di cotone, di lino ecc.) spoglia doppiamente la nazione. Una parte del suo capitale o del suo lavoro investito non si riproduce - [si ha cioè] un deficit reale nella produzione. Una parte del capitale riprodotto deve essere destinato a tamponare queste falle, - e si tratta di una parte che non è in proporzione semplicemente aritmetica col deficit, giacché il prodotto deficitario, in seguito alla diminuzione dell'offerta e all'aumento della domanda, aumenta e deve aumentare di prezzo sul mercato mondiale. È necessario indagare accuratamente quale aspetto assumerebbero tali crisi prescindendo dal denaro, e quale determinatezza il denaro introduce nei rapporti dati. (Cattivo raccolto di frumento ed eccesso di importazione [costituiscono] i casi principali. [Il caso della] guerra si capisce da sé, giacché dal punto di vista economico è come se la nazione gettasse a mare una parte del suo capitale).

Caso di un cattivo raccolto di frumento: considerata la nazione rispetto ad un'altra nazione, è chiaro che il suo capitale (e non soltanto la sua ricchezza reale) diminuisce, così come è chiaro che un contadino che ha bruciato il suo pane e deve quindi comperarlo dal fornaio, si impoverisce per una somma pari all'ammontare del suo acquisto. All'interno della nazione il rialzo del prezzo del frumento, per quanto riguarda il valore, sembra lasciare tutto come prima. Prescindiamo ora dal fatto che la diminuita quantità di frumento, moltiplicata per il prezzo maggiorato durante il cattivo raccolto effettivo, non è mai uguale alla quantità normale moltiplicata per il prezzo inferiore.

Supponiamo che in Inghilterra se ne produca soltanto 1 quarter, e questo 1 quarter raggiunga lo stesso prezzo che precedentemente avevano 30 milioni di quarters di frumento. In tal caso la nazione, - a prescindere dal fatto che le mancherebbero i mezzi per riprodurre sia la vita che il frumento - se poniamo che la giornata lavorativa necessaria a riprodurre 1 quarter sia =a, la nazione scamberebbe a X 30 milioni di giornate lavorative (costi di produzione) per 1 X a giornate lavorative (prodotto); la capacità produttiva del suo capitale verrebbe sminuita di milioni di volte, e diminuirebbe la somma dei valori posseduti nel paese, dal momento che ciascuna giornata lavorativa sarebbe deprezzata di 30 milioni di volte. Ogni parte di capitale rappresenta ormai 1/30.000.000 del suo valore precedente, del suo equivalente in costi di produzione, sebbene nel caso presente il valore nominale del capitale nazionale non sarebbe diminuito di nulla (prescindendo dal deprezzamento della terra), giacché il diminuito valore degli altri prodotti sarebbe esattamente compensato dal valore maggiorato dell'I quarter di frumento. La maggiorazione del prezzo del frumento pari ad a X 30 milioni di volte sarebbe l'espressione di un uguale deprezzamento di tutti gli altri prodotti. Del resto questa distinzione tra interno ed estero è del tutto illusoria. Il rapporto tra la nazione che subisce il deficit di frumento, e la nazione straniera da cui lo acquista, è identico al rapporto tra ciascun individuo della nazione e il fittavolo o il commerciante di grano. La somma in più che egli deve spendere nell'acquisto del frumento, rappresenta una diretta diminuzione del suo capitale, dei mezzi di cui dispone.

Per non confondere il problema introducendovi elementi inessenziali, occorre ipotizzare una nazione in cui esiste il libero scambio del grano. Persino se il frumento importato fosse a buon mercato come quello di produzione nazionale, la nazione sarebbe impoverita di quel capitale non riprodotto dai fittavoli. Solo che nella suddetta ipotesi la nazione importa sempre tanta quantità di frumento straniero quanta ne è importabile a prezzo normale. L'aumento dell'importazione presuppone dunque l'aumento del prezzo.

L'aumento del prezzo del frumento è uguale alla caduta del prezzo di tutte le altre merci. L'aumento dei costi di produzione (rappresentato nel prezzo) ai quali viene ottenuto il quarter di frumento, è uguale alla diminuita produttività del capitale esistente in tutte le altre forme. Al surplus speso per l'acquisto del frumento, deve corrispondere un minus nell'acquisto di tutti gli altri prodotti, e per ciò stesso una caduta dei loro prezzi. Con o senza moneta metallica o di qualsiasi altra specie, la nazione si troverebbe in una crisi che si estenderebbe non solo al frumento, ma a tutti gli altri rami di produzione, giacché non soltanto positivamente la sua produttività diminuirebbe, e il prezzo della sua produzione sarebbe deprezzato rispetto al valore determinato dai costi di produzione normali, ma anche tutti i contratti, tutte le obbligazioni ecc. verrebbero a poggiare sui prezzi medi dei prodotti, x moggi di frumento p. es. devono andare al debito pubblico, ma intanto i costi di produzione di questi x moggi sono aumentati in una determinata proporzione. Del tutto indipendentemente dal denaro dunque, la nazione si troverebbe in una crisi generale. Indipendentemente non solo dal denaro, ma dallo stesso valore di scambio dei prodotti, questi si sarebbero deprezzati e la produttività della nazione sarebbe diminuita, dato che tutti i suoi rapporti economici poggiano su di una produttività media del suo lavoro.

La crisi causata da un deficit di frumento non è affatto prodotta dunque da un deflusso di oro e argento, quantunque possa essere aggravata dagli ostacoli che vengono frapposti a questo deflusso.

In ogni caso non si può neanche dire con Proudhon che la crisi provenga dal fatto che soltanto i metalli preziosi possiedono un valore autentico, al contrario delle altre merci, giacché il rialzo del prezzo del frumento significa in prossima istanza soltanto che occorre dare più oro e argento in cambio di una determinata quantità di frumento, ossia che il prezzo dell'oro e dell'argento è caduto in rapporto al prezzo del frumento. Oro e argento quindi partecipano al pari di tutte le altre merci del deprezzamento, dal quale nessun privilegio li protegge. Il deprezzamento dell'oro e dell'argento in rapporto al frumento è identico al rialzo del frumento stesso. (Ma ciò non è del tutto esatto. Il quarter di frumento aumenta da 50 a 100 sh., quindi del 100%, mentre i cotonati ribassano dell'80%. Rispetto al frumento, l'argento è ribassato soltanto del 50%, i cotonati (in seguito ad una flessione della domanda) dell'80 %. Ciò significa che i prezzi delle altre merci ribassano più di quanto aumentino quelli del frumento.

Ma si verifica anche il fenomeno opposto. Per es. negli ultimi anni, in cui il frumento aumentò temporaneamente del 100%, ai prodotti industriali non capitò di ribassare nella stessa proporzione nella quale allora era ribassato l'oro rispetto al frumento. Questa circostanza particolare tuttavia non infirma il principio generale). Nemmeno si può dire che l'oro possieda un privilegio per il fatto che, come moneta, la sua quantità è esattamente e autenticamente fissata. Un tallero (argento) rimane un tallero sotto tutte le circostanze. E così anche un moggio di grano rimane un moggio, e un braccio di tela rimane un braccio.

Il deprezzamento della maggior parte delle merci (lavoro compreso) e la conseguente crisi nel caso di un cattivo raccolto di frumento non possono essere dunque addebitate primariamente all'esportazione di oro, visto che il deprezzamento e la crisi avrebbero luogo [ugualmente] se non ci fosse alcuna esportazione di oro indigeno e alcuna importazione di frumento estero. La crisi si riduce semplicemente alla legge della domanda e dell'offerta, che come è noto agisce in maniera incomparabilmente più acuta e più energica nel settore dei bisogni primari - considerati su scala nazionale - che non sugli altri settori. Non l'esportazione d'oro è la causa della crisi del frumento, ma la crisi del frumento è la causa dell'esportazione d'oro.

Considerati l'oro e l'argento per se stessi, solo per due versi si può sostenere da parte loro un'influenza nella crisi e un aggravamento dei suoi sintomi: 1) in quanto l'esportazione di oro sia resa più difficile a causa delle condizioni riguardanti il metallo alle quali le banche sono legate; in quanto cioè le misure che la banca prende contro questa esportazione di oro reagiscono sfavorevolmente sulla circolazione interna; 2) in quanto l'esportazione di oro diventa necessaria, perché le nazioni estere accettano capitali soltanto ed esclusivamente sotto forma di oro.

La difficoltà n. 2 può continuare a sussistere anche quando la difficoltà n. 1 sia stata superata. La Banca d'Inghilterra ne fece esperienza proprio durante i periodi in cui era legalmente autorizzata ad emettere biglietti non convertibili. Decrebbero i biglietti rispetto all'oro in lingotti, ma decrebbe altresì il prezzo di zecca dell'oro rispetto al suo prezzo di lingotto. L'oro era diventato una sorta particolare di merce rispetto ai biglietti. Si può dire che i biglietti intanto rimasero ancora dipendenti dall'oro in quanto rappresentavano nominalmente una determinata quantità d'oro, che di fatto non era redimibile con essi. L'oro era rimasto il loro denominatore, sebbene legalmente essi non avessero più la possibilità di essere cambiati in banca con tale quantità d'oro.

[Convertibilità e circolazione dei biglietti di banca]

Non c'è alcun dubbio (?) (ma questo punto va analizzato più avanti perché non riguarda direttamente l'oggetto in questione), che finché la cartamoneta riceve il suo titolo dall'oro (quindi per es. un biglietto di 5 sterline è il rappresentante cartaceo di 5 sovrane d'oro), la convertibilità dei biglietti in oro rimane per questi una legge economica, non importa se con o senza una realtà politica. I biglietti della Banca d'Inghilterra dicevano ufficialmente, anche durante il periodo 1799-1819, di rappresentare il valore di una determinata quantità di oro. Come mettere alla prova questa affermazione se non ricorrendo all'effettiva quantità di oro che il biglietto comandava?

A partire dal momento in cui per un biglietto di 5 Lst. non era più possibile ottenere un valore aureo pari a 5 sovrane, il biglietto era deprezzato malgrado la sua inconvertibilità. L'uguaglianza tra il valore dei biglietti e un determinato valore aureo fedele al suo titolo entrò subito in contraddizione con l'effettiva disuguaglianza tra biglietto e oro. La polemica sorta tra gli inglesi, i quali mantengono l'oro come denominatore del biglietto, verte in effetti non intorno alla convertibilità del biglietto in oro - la quale è soltanto l'identità pratica espressa teoreticamente dal titolo del biglietto -, bensì sui modi di assicurare questa convertibilità, se cioè questa convertibilità debba essere assicurata mediante limitazioni legalmente imposte alla banca o invece affidata a se stessa. I sostenitori di quest'ultima tesi affermano che questa convertibilità, in una banca di cedole che dà anticipi su cambiali, i cui biglietti dunque hanno un riflusso assicurato, è in media garantita, e che i loro avversari del resto non giungono mai al di là di questa sicurezza media. Questo è un fatto.

La media, sia detto per inciso, non va disprezzata, e i bilanci di media costituiscono necessariamente la base fondamentale sia delle banche che di tutte le assicurazioni ecc. In questo senso le banche scozzesi sono giustamente additate a modello. Da parte loro i bullionisti rigorosi affermano che essi, questa questione della convertibilità, la prendono sul serio, che l'obbligo della banca di convertire mantiene la convertibilità del biglietto, che la necessità di questa convertibilità è data dallo stesso titolo del biglietto, e costituisce un limite all'eccesso di emissione, e che i loro avversari sono degli pseudofautori dell'inconvertibilità.

Tra questi due estremi [esistono poi] varie sfumature, e una gran quantità di «specie». I difensori dell'inconvertibilità, infine, gli antibullionisti decisi, sono, inconsapevolmente, pseudofautori della convertibilità tanto quanto i loro avversari lo sono dell'incovertibilità, in quanto, lasciando sussistere il titolo dei biglietti, in pratica assumono l'equiparazione del biglietto di un determinato titolo e di una determinata quantità aurea, come misura del valore complessivo dei loro biglietti.

In Prussia esiste carta moneta a corso forzoso. (In tal caso il riflusso è assicurato dal fatto che una aliquota delle imposte deve essere pagata in moneta cartacea). Questi talleri di carta non sono assegni sull'argento, non sono legalmente convertibili con esso presso nessuna banca ecc. Essi non vengono prestati su cambiali da una banca commerciale, ma sborsati dal governo in caso di contestazione delle sue emissioni. Ma la loro denominazione è quella dell'argento. Un tallero di carta dice di rappresentare nominalmente lo stesso valore di un tallero d'argento. Nel caso che fosse scossa radicalmente la fiducia nel governo, o che tale carta moneta fosse emessa in proporzioni superiori alle necessità della circolazione, il tallero di carta cesserebbe in pratica di equivalere al tallero d'argento, e si deprezzerebbe in quanto caduto al di sotto del valore espresso dal suo titolo. Esso si deprezzerebbe anche se non subentrasse nessuna delle suddette circostanze, e invece, un particolare bisogno di argento conferisse all'argento stesso, ai fini dell'esportazione, un privilegio rispetto al tallero di carta.

La convertibilità in oro e argento è dunque la misura pratica del valore di qualsiasi carta moneta che riceve il suo titolo dall'oro e dall'argento, sia o non sia la carta legalmente convertibile. Poiché il valore nominale è soltanto come l'ombra rispetto al corpo, la possibilità che essi combacino deve essere dimostrata dalla loro convertibilità reale.

Caduta del valore reale al di sotto del valore nominale equivale a deprezzamento. Parallelismo reale, reale permutabilità, equivale a convertibilità. Per i biglietti non convertibili la convertibilità non viene in luce alla cassa della banca, bensì nello scambio quotidiano tra carta moneta e moneta metallica di cui essa porta il titolo. In realtà la convertibilità dei biglietti convertibili è già compromessa qualora essa sia attestata non più dal commercio al minuto in ogni parte del paese, bensì da grossi esperimenti particolari operati alla cassa della banca.

Nella campagna scozzese si preferisce la carta moneta alla moneta metallica. La Scozia prima del 1845, quando le fu imposta la legge inglese del 1844, ha condiviso naturalmente tutte le crisi sociali inglesi ed alcune in misura maggiore, in quanto il clearing of the land vi si è sviluppato nella maniera più spietata. Non di meno la Scozia non ha conosciuto nessuna crisi finanziaria vera e propria (la bancarotta di alcune banche è un'eccezione, dovuta ad eccessiva leggerezza nelle concessioni creditizie, e perciò non ci riguarda a questo punto); non ha avuto nessun deprezzamento dei biglietti, nessuna accusa e nessuna inchiesta sulla sufficienza o meno della quantità di mezzo circolante ecc.

Qui la Scozia è importante, perché mostra per un verso in che modo il sistema monetario può essere pienamente regolato sulla base attuale - e possono essere eliminati tutti gli inconvenienti lamentati da Darimon, - senza abbandonare questa stessa base sociale attuale; anzi, mentre contemporaneamente le sue contraddizioni, i suoi antagonismi, il contrasto di classe, raggiungono un grado ancor più elevato che in qualsiasi altro paese del mondo. È caratteristico che tanto Darimon quanto il protettore che introduce il suo libro - Émile Girardin, il quale integra le sue fantasticherie pratiche col proprio utopismo teoretico, - invece di trovare in Scozia l'antitesi alle banche monopolistiche, come le banche d'Inghilterra e di Francia, la cerchino negli Stati Uniti, dove il sistema bancario per esigenze costituzionali è soltanto nominalmente libero, e dove non esiste libera concorrenza tra le banche, bensì un sistema federativo di banche monopolistiche. Senza dubbio tanto la banca quanto il sistema monetario scozzesi costituivano lo scoglio più pericoloso per le illusioni dei teorici della circolazione artificiosa.

Per la moneta aurea o argentea (ove non esista bimetallismo legale), non si parla di un loro deprezzamento tutte le volte che il loro valore relativo muta rispetto a tutte le altre merci. E perché no? Perché esse esprimono il loro proprio denominatore; perché il loro titolo non è quello di un valore, vale a dire esse non sono valutate su di una terza merce, bensì esprimono soltanto parti aliquote della loro materia intrinseca, - 1 sovrana = tot quantità d'oro di tale e tale peso. L'oro è dunque nominalmente indeprezzabile non perché esso solo esprima un valore autentico, ma perché come denaro esso non esprime nessun valore at all, ben- si esprime, portandola a fronte, una determinata quantità della sua materia intrinseca, la sua intrinseca determinatezza quantitativa. (Più avanti bisognerà indagare più da vicino se questo contrassegno distintivo della moneta aurea e argentea non costituisca in ultima istanza una proprietà immanente di ogni moneta).

Ingannati da questa nominale indeprezzabilità della moneta metallica, Darimon e compagni scorgono soltanto uno degli aspetti che compaiono nelle crisi, ossia l'apprezzamento dell'oro e dell'argento rispetto a quasi tutte le altre merci; non scorgono invece l'altro aspetto, ossia il deprezzamento dell'oro e dell'argento o del denaro rispetto a tutte le altre merci (escluso forse il lavoro, ma non sempre) in periodi di cosiddetta prosperità, in periodi cioè di generale rialzo temporaneo dei prezzi.

Poiché questo deprezzamento della moneta metallica (e di tutte le specie di moneta che poggiano sul metallo) precede sempre il suo apprezzamento, essi avrebbero dovuto rovesciare il loro problema, vale a dire: prevenire il periodico ritorno del deprezzamento del denaro (o, nel loro linguaggio, abolire i privilegi delle merci nei confronti del denaro). In quest'ultima formulazione si sarebbe immediatamente risolto il problema della soppressione del rialzo e ribasso dei prezzi; insieme con questo, il problema della soppressione dei prezzi; quindi, quello della abolizione del valore di scambio; poi il problema dell'abolizione dello scambio nei modi corrispondenti all'organizzazione borghese della società; infine il problema della rivoluzione economica della società borghese. Si sarebbe visto allora fin dall'inizio che ai mali della società borghese non si rimedia mediante «trasformazioni» bancarie o mediante la fondazione di un razionale «sistema monetario».

La convertibilità - legale o no - rimane dunque una richiesta di quel denaro il cui titolo lo rende un segno di valore, ossia lo equipara, quantitativamente, ad una terza merce. Ma l'equiparazione implica già la contrapposizione, la possibile disuguaglianza; la convertibilità implica dunque il suo opposto, l'inconvertibilità; l'apprezzamento include, dunàmei, come direbbe Aristotele, il deprezzamento.

Poniamo per es. che la sovrana si chiami non solo «sovrana» - che è semplicemente un titolo ufficiale (denominazione di conto) per una parte aliquota x di un'oncia d'oro, come «metro» lo è per una determinata lunghezza, - ma, poniamo, x ore di tempo di lavoro. 1/x oncia [54] d'oro, in realtà, non è nient'altro che 1/x ora di tempo di lavoro materializzata, oggettivata. Ma l'oro è un tempo di lavoro passato, un determinato tempo di lavoro. Il suo titolo farebbe, di una determinata quantità di tempo di lavoro in generale, il suo criterio di misura. La libbra d'oro dovrebbe essere convertibile con x ore di tempo di lavoro, e poterle comprare in qualsiasi momento: non appena ne potesse comprare di più o di meno, essa sarebbe apprezzata o deprezzata; in quest'ultimo caso la sua convertibilità sarebbe cessata.

Ciò che determina il valore non è il tempo di lavoro incorporato nei prodotti, bensì il tempo di lavoro attualmente necessario.

Consideriamo la stessa libbra d'oro, e supponiamo che equivalga al prodotto di 20 ore di tempo di lavoro. Supponiamo ora che per imprecisate circostanze occorrano in seguito 10 ore per produrre una libbra d'oro. La libbra d'oro, il cui titolo denuncia di essere = a 20 ore di tempo di lavoro, sarebbe ora soltanto =10 ore di tempo di lavoro, mentre 20 ore di tempo di lavoro sarebbero =2 libbre d'oro. Se di fatto 10 ore di lavoro si scambiano con 1 libbra d'oro, 1 libbra d'oro non può più scambiarsi con 20 ore di lavoro. La moneta aurea col titolo plebeo di x ore di lavoro, sarebbe esposta a oscillazioni maggiori di qualsiasi altro tipo di moneta e specialmente della moneta aurea attuale; poiché se l'oro non può aumentare o diminuire rispetto all'oro (è identico a se stesso), il tempo di lavoro passato contenuto in una determinata quantità d'oro deve ben aumentare o diminuire rispetto al tempo di lavoro vivo presente. Per ottenerne la convertibilità, occorrerebbe mantenere stazionaria la produttività dell'ora di lavoro. Anzi, secondo la legge economica generale che i costi di produzione diminuiscono costantemente e che il lavoro vivo diventa costantemente più produttivo, e che quindi il tempo di lavoro oggettivato nei prodotti si deprezza costantemente, un deprezzamento costante sarebbe l'inevitabile destino di questo denaro-lavoro aureo.

Per ovviare a questo inconveniente si potrebbe sostenere che a ricevere il titolo di «ore di lavoro» debba essere non l'oro ma la carta-moneta, ossia un semplice segno di valore - secondo la proposta di Weitling, e prima di lui degli inglesi, e dopo di lui dei francesi, tra cui Proudhon e compagni. In tal caso del tempo di lavoro, che è incorporato nella stessa carta, si terrebbe conto tanto poco quanto del valore cartaceo delle banconote. L'una sarebbe un mero rappresentante delle ore di lavoro, come le altre dell'oro e dell'argento. Se l'ora di lavoro diventasse più produttiva, la cedola che la rappresenta aumenterebbe il suo potere d'acquisto e viceversa, esattamente come ora un biglietto di 5 Lst. compra di più o di meno a seconda dell'aumento o della diminuzione del valore relativo dell'oro rispetto ad altre merci. In base alla medesima legge secondo la quale il denaro-lavoro aureo subirebbe un costante deprezzamento, il denaro-lavoro cartaceo godrebbe di un costante apprezzamento. È proprio ciò che vogliamo, affermano i socialisti: il lavoratore sarebbe felice della crescente produttività del suo lavoro, invece di creare, come fa attualmente in rapporto ad esso, ricchezza altrui e deprezzamento di se stesso.

Ma, sfortunatamente, sorgono alcune piccole difficoltà. Anzitutto: Una volta presupposto il denaro, sia pure soltanto nella forma di cedola-orario, dobbiamo presupporre anche un'accumulazione di questo denaro, e i contratti, le obbligazioni, i gravami fissi ecc. che verrebbero contratti sotto questa forma di denaro. Le cedole accumulate si apprezzerebbero costantemente al pari di quelle di nuova emissione - si che da un lato la crescente produttività del lavoro tornerebbe a vantaggio di coloro che non lavorano, dall'altro i gravami precedentemente contratti terrebbero lo stesso passo con l'accresciuta produttività del lavoro. La caduta e il rialzo del valore dell'oro e dell'argento sarebbero del tutto indifferenti se fosse possibile ricominciare il mondo da capo in qualsiasi momento e se al fatto di pagare le obbligazioni contratte con una determinata quantità d'oro non sopravvivessero le oscillazioni del valore dell'oro. Così è appunto con la cedola- orario e la produttività oraria.

Il punto che va qui analizzato è la convertibilità della cedola-orario. Vediamo di giungere alla stessa meta prendendo una scorciatoia. Per quanto sia troppo prematuro, può essere fatta qualche osservazione in merito agli inganni che sono alla base della cedola-orario e ci permettono di gettare uno sguardo nel più profondo segreto che unisce la teoria della circolazione di Proudhon alla sua teoria generale - alla teoria della determinazione del valore. Questa connessione la troviamo per es. anche in Bray e Gray. Gli eventuali elementi di verità in essa riposti vanno esaminati in seguito (ma prima va detto ancora per inciso che, considerate le banconote come semplici assegni sull'oro, non se ne dovrebbe mai emettere oltre la quantità di moneta aurea che esse dichiarano di sostituire, a meno di non esporle al deprezzamento. Tre assegni di 15 Lst. che io pago a tre diversi creditori sulle medesime 15 Lst. in oro, in effetti sono ciascuno soltanto un assegno su 15/3 Lst. = 5 Lst. Ciascuno di questi biglietti sarebbe deprezzato dunque fin dall'inizio al" 33 e 1/3%).

[Valore e prezzo]

Il valore (il reale valore di scambio) di tutte le merci (incluso il lavoro) è determinato dai loro costi di produzione, in altri termini dal tempo di lavoro richiesto per la loro produzione. Il prezzo è questo loro valore di scambio espresso in denaro.

La sostituzione della moneta metallica (e della carta-moneta o moneta di credito che da essa riceve la propria denominazione) con denaro-lavoro, che riceverebbe la propria denominazione dal tempo di lavoro stesso, equiparerebbe dunque il valore reale (valore di scambio) delle merci e il loro valore nominale, il loro prezzo o valore monetario. Si avrebbe una equiparazione del valore reale e del valore nominale, del valore e del prezzo. Ma a ciò si giungerebbe solo nel presupposto che valore e prezzo siano diversi soltanto nominalmente. Ma non è affatto così.

Il valore delle merci determinato mediante il tempo di lavoro è soltanto il loro valore medio.

Una media che figura come una astrazione estrinseca finché viene ricavata addizionalmente come cifra media di un periodo - per es. 1 libbra di caffè [vale] 1 scellino, facendo per es. la media dei prezzi del caffè per un periodo di 25 anni; ma che è molto reale quando viene contemporaneamente individuata come la forza impulsiva e il principio motore delle oscillazioni a cui vanno soggetti i prezzi delle merci durante un periodo determinato. Questa realtà non ha soltanto una importanza teorica: anzi costituisce la base della speculazione commerciale, il cui calcolo di probabilità deriva sia dai prezzi medi centrali assunti come centro di oscillazione, sia dagli alti e bassi medi dell'oscillazione al di sopra o al di sotto di questo centro.

Da questo valore medio il valore di mercato della merce è sempre diverso ed è sempre o inferiore o superiore ad esso. Il valore di mercato si livella al valore reale attraverso le sue oscillazioni costanti; mai attraverso un'equazione col valore reale come terzo elemento, bensì attraverso una continua differenziazione (Hegel direbbe: non mediante un'identità astratta, ma mediante una costante negazione della negazione, ossia di se stesso come negazione del valore reale). Che il valore reale - indipendentemente dal suo controllo delle oscillazioni del prezzo di mercato (prescindendo cioè da esso in quanto è l'elemento posto di queste oscillazioni) - neghi a sua volta se stesso e ponga il valore reale delle merci in costante contraddizione con la propria determinazione, deprezzi o apprezzi il valore reale delle merci esistenti - tutto ciò io l'ho mostrato nel mio pamphlet contro Proudhon, e non occorre qui approfondire la questione.

Il prezzo si distingue dunque dal valore non soltanto come ciò che è nominale da ciò che è reale; non soltanto per la denominazione in oro o argento, ma per questo motivo: che il secondo si presenta come la legge dei movimenti percorsi dal primo. Essi sono però costantemente diversi e non si adeguano mai o soltanto in via del tutto accidentale ed eccezionale. Il prezzo delle merci è costantemente superiore o inferiore al loro valore, e lo stesso valore delle merci esiste soltanto negli alti e bassi dei prezzi delle merci. Domanda e offerta determinano costantemente i prezzi delle merci; non si adeguano mai, o soltanto accidentalmente; ma i costi di produzione da parte loro determinano le oscillazioni della domanda e dell'offerta.

L'oro o l'argento in cui si esprime il prezzo di una merce, il suo valore di mercato, sono essi stessi una determinata quantità di lavoro accumulato, una determinata misura di tempo di lavoro materializzato. Presupponendo che i costi di produzione della merce e quelli dell'oro e dell'argento rimangano identici, l'aumento o la diminuzione del suo prezzo di mercato non significa altro che una merce, = x tempo di lavoro, è costantemente > o < del tempo di lavoro x comandato sul mercato, ossia è superiore o inferiore al suo valore medio determinato dal tempo di lavoro.

La prima illusione fondamentale dei fautori delle cedole-orario consiste nel fatto che, eliminando essi la diversità nominale tra valore reale e valore di mercato, tra valore di scambio e prezzo - ed esprimendo quindi il valore, invece che in una determinata oggettivazione del tempo di lavoro, per es. oro e argento, direttamente nel tempo di lavoro -, eliminano anche la differenza e contraddizione reale tra prezzo e valore. E così si comprende da sé in che modo la semplice introduzione della cedola-orario elimini tutte le crisi e tutti gli inconvenienti della produzione borghese. Il prezzo monetario delle merci = al loro valore reale; la domanda = all'offerta; la produzione = al consumo; il denaro, nello stesso tempo abolito e conservato; basterebbe soltanto constatare il tempo di lavoro, il cui prodotto è la merce, e che si materializza nella merce, per generare una sua controfigura in un segno di valore, in denaro, in cedola-orario. Ogni merce in tal modo verrebbe direttamente trasformata in denaro, e a loro volta l'oro e l'argento verrebbero ridotti al rango di tutte le altre merci.

Non occorre un'analisi circostanziata per dire che la contraddizione tra valore di scambio e prezzo - tra prezzo medio e prezzi di cui esso costituisce la media -, la differenza tra le grandezze e le loro grandezze medie non si eliminano eliminando la mera differenza nominale tra i due, sicché invece di dire: 1 libbra di pane costa 8 pennies, si dice: 1 libbra di pane =1/x ora di lavoro. Al contrario, se 8 pennies = 1/x ora di lavoro, e se il tempo di lavoro materializzato in una libbra di pane è maggiore o minore di 1/x ora di lavoro, allora la differenza tra valore e prezzo - per il fatto che la misura del valore sarebbe nello stesso tempo l'elemento in cui si esprime il prezzo -, non lascerebbe mai trasparire nettamente la loro differenza nascosta nel prezzo aureo o argenteo. Ne scaturirebbe invece una equazione infinita. 1/x ora di lavoro (contenuta in 8 pennies o espressa mediante una cedola sarebbe > < di 1/x ora di lavoro (contenuta nella libbra di pane).

La cedola-orario, che rappresenta il tempo di lavoro medio, non corrisponderebbe mai al tempo di lavoro reale e non sarebbe mai convertibile con esso; vale a dire, il tempo di lavoro oggettivato in una merce non comanderebbe mai una quantità di denaro-lavoro uguale a se stesso e viceversa, ma ne comanderebbe una quantità maggiore o minore, così come attualmente ogni oscillazione dei valori di mercato si esprime in un aumento o diminuzione» dei loro prezzi aurei o argentei.

Il costante deprezzamento delle merci - in periodi abbastanza lunghi - nei confronti delle cedole-orario di cui abbiamo prima parlato, dipendeva dalla legge della produttività crescente del tempo di lavoro, dalle perturbazioni nello stesso valore relativo procurate dal suo principio inerente, ossia dal tempo di lavoro. L'inconvertibilità della cedola-orario di cui ora parliamo non è altro che una diversa espressione per l'inconvertibilità tra valore reale e valore di mercato, tra valore di scambio e prezzo. La cedola-orario rappresenterebbe, in antitesi a tutte le altre merci, un tempo di lavoro ideale che si scambierebbe ora con più, ora con meno di quello reale, e nella cedola acquisterebbe una propria esistenza separata, corrispondente a questa reale disuguaglianza. L'equivalente generale, mezzo di circolazione e misura delle merci, si presenterebbe a sua volta di fronte ad esse come individualizzato, con una propria legge, alienato, ossia con tutte le proprietà del denaro attuale senza peraltro renderne i servizi.

Ma la confusione raggiungerebbe ben altro livello per il fatto che il mezzo su cui le merci - queste quantità oggettivate di tempo di lavoro - vengono confrontate, non sarebbe una terza merce, ma la loro stessa misura di valore, ossia il tempo di lavoro. La merce a, oggettivazione di 3 ore di tempo di lavoro, è =2 cedole di ore lavorative; la merce b, oggettivazione anch'essa di 3 ore lavorative, è =4 cedole di ore lavorative. Questa contraddizione in realtà è espressa, solo che in maniera occulta, nei prezzi monetari. La differenza tra prezzo e valore, tra la merce misurata mediante il tempo di lavoro di cui è il prodotto, e il prodotto del tempo di lavoro col quale essa si scambia - questa differenza postula una terza merce come misura in cui si esprime il valore di scambio reale della merce.

Poiché il prezzo non è identico al valore, l'elemento che determina il valore - il tempo di lavoro - non può essere l'elemento in cui si esprimono i prezzi, giacché il tempo di lavoro dovrebbe esprimersi nello stesso tempo come l'elemento determinante e non-determinante , identico e non-identico ad esso stesso. Poiché il tempo di lavoro come misura del valore esiste soltanto idealmente, esso non può servire come materia del confronto dei prezzi. (Qui si vede nello stesso tempo come e perché il rapporto del valore riceve nel denaro una esistenza materiale e particolareggiata. Questo punto va ulteriormente sviluppato). La differenza tra prezzo e valore postula che i valori intesi come prezzi vengano misurati su di un diverso criterio di misura ad essi adeguato. Il prezzo distinto dal valore è necessariamente il prezzo monetario. Qui si vede che la differenza nominale tra prezzo e valore è condizionata dalla loro differenza reale.

La merce a= 1 scellino (ossia 1/x argento); la merce b - 2 scellini (ossia 2/x argento). Perciò la merce b ha un valore doppio della merce a. Il rapporto di valore tra a e b è espresso dalla proporzione nella quale entrambe si scambiano con la quantità di una terza merce, ossia con argento; dunque non con un rapporto di valore.

[Merce e denaro]

Ogni merce (sia essa un prodotto o uno strumento di produzione) equivale alla oggettivazione di un determinato tempo di lavoro. Il suo valore, ossia il rapporto in cui essa si scambia con altre merci o in cui altre merci si scambiano con essa, è uguale alla quantità di tempo di lavoro in essa realizzata.

Se per esempio la merce è uguale a 1 ora di tempo di lavoro, essa si scambia con tutte le altre merci che sono il prodotto di 1 ora di tempo di lavoro. (Tutto questo ragionamento si regge sul presupposto che il valore di scambio è uguale al valore di mercato, che il valore reale è uguale al prezzo).

Il valore della merce è distinto dalla merce stessa. Valore (valore di scambio), la merce lo è soltanto nello scambio (reale o ideale); valore è non solo la scambiabilità della merce in generale, ma la sua scambiabilità specifica. Esso è nello stesso tempo l'esponente della proporzione in cui una merce si scambia con altre, e l'esponente della proporzione in cui una merce si è già scambiata, nella produzione, con altre merci (tempo di lavoro materializzato); esso è la sua scambiabilità quantitativamente determinata.

Le merci - per es. un braccio di cotone e una misura di olio considerate come cotone e olio - sono naturalmente diverse, possiedono qualità diverse, vengono misurate con misure diverse, sono insomma incommensurabili. In quanto valori tutte le merci sono qualitativamente uguali e solo quantitativamente differenti, quindi si misurano tutte reciprocamente e si sostituiscono (si scambiano, sono reciprocamente convertibili) in determinate proporzioni quantitative. Il valore è il loro rapporto sociale, la loro qualità economica. Un libro che possiede un determinato valore e una pagnotta che possiede il medesimo valore si scambiano reciprocamente, sono dello stesso valore pur essendo di diverso materiale.

In quanto valore la merce è nello stesso tempo un equivalente di tutte le altre merci in un determinato rapporto. In quanto valore la merce è un equivalente; in quanto equivalente, tutte le sue qualità naturali sono in essa cancellate; essa non sta più in nessun rapporto qualitativo particolare con le altre merci; essa è bensì sia la misura universale, sia il rappresentante universale, l'universale mezzo di scambio di tutte le altre merci. In quanto valore essa è denaro.

Ma se la merce, o piuttosto il prodotto o strumento di produzione, è distinta da se stessa in quanto valore, in quanto valore essa è distinta da se stessa in quanto prodotto. La sua qualità di essere valore non solo può, ma deve acquistare nello stesso tempo un'esistenza diversa dalla sua esistenza naturale. Perché? Perché, essendo le merci in quanto valori diverse l'una dall'altra soltanto quantitativamente, ciascuna merce deve essere qualitativamente diversa dal suo proprio valore. Il suo valore deve perciò possedere anche un'esistenza qualitativamente distinguibile da essa, e nello scambio reale questa possibilità di esistere separatamente deve diventare una separazione reale, perché la naturale diversità delle merci deve entrare in contraddizione con la loro equivalenza economica, e l'una e l'altra possono sussistere una accanto all'altra solo in quanto la merce acquista un'esistenza duplice, ossia, accanto alla sua naturale, un'esistenza puramente economica nella quale essa è un mero segno, una lettera che sta al posto di un rapporto di produzione, un mero segno per il suo proprio valore. In quanto valore ogni merce è simmetricamente divisibile; nella sua esistenza naturale invece non lo è più.

In quanto valore essa rimane sempre la stessa, per quante metamorfosi e forme di esistenza essa possa via via attraversare; nella realtà c'è scambio di merci solo perché esse sono diverse e corrispondono a diversi sistemi di bisogni. Come valore essa è universale, come merce reale è una particolarità. Come valore è perennemente scambiabile; nello scambio reale lo è solo a particolari condizioni. Come valore, la misura della sua scambiabilità è determinata da essa stessa; il valore di scambio esprime appunto il rapporto in cui essa sostituisce altre merci; nello scambio reale essa è scambiabile soltanto in quantità connesse alle sue qualità naturali e corrispondenti ai bisogni di coloro che scambiano. (Insomma; tutte le qualità che vengono enumerate come qualità particolari del denaro, sono qualità della merce come valore di scambio, del prodotto come valore, distinto dal valore come prodotto). (Il valore di scambio della merce, come esistenza particolare accanto alla merce stessa, è denaro; la forma in cui tutte le merci si uguagliano, si paragonano, si misurano; la forma in cui tutte le merci si risolvono, l'elemento che si risolve in tutte le merci; l'equivalente generale).

Ad ogni istante, nel calcolo, nella computisteria ecc., noi trasformiamo le merci in segni del valore, le fissiamo come semplici valori di scambio, astraendo dalla loro materia e da tutte le loro qualità naturali. Sulla carta, e mentalmente, questa metamorfosi procede per pura astrazione; ma nello scambio reale, per porre in atto questa astrazione è necessaria una mediazione reale, un mezzo. Nelle sue qualità naturali la merce non è né sempre scambiabile né scambiabile con qualsiasi altra merce; essa non vive nella sua naturale identità con se stessa, bensì è posta come non uguale a se stessa, come qualcosa di disuguale da se stessa, come valore di scambio. Noi dobbiamo anzitutto convertirla in sé in quanto valore di scambio, per poi equiparare e scambiare questo valore di scambio con altri.

Nella forma più rozza di baratto, quando due merci si scambiano fra loro, ciascuna viene anzitutto equiparata ad un segno che esprime il suo valore di scambio; per es. presso certi popoli negri delle coste dell'Africa occidentale esse sono =x linee. L'una è =1 linea; l'altra =2 linee. In questo rapporto esse vengono scambiate. Prima di scambiarsi reciprocamente, le merci vengono prima logicamente e poi linguisticamente trasformate in linee. Esse vengono valutate, prima di essere scambiate, e per valutarle è necessario porle tra di loro in determinate proporzioni numeriche. Per porle in tali proporzioni numeriche e renderle commensurabili esse devono ricevere una stessa denominazione (unità). (La linea possiede un'esistenza puramente immaginaria, poiché in generale un rapporto può ricevere un'incarnazione particolare, ed essere a sua volta individualizzato, soltanto per astrazione)13. Per colmare l'eccedenza di un valore sull'altro nello scambio, e saldare la bilancia, si esige, sia nella più rozza forma di baratto che nell'attuale commercio mondiale, il pagamento in denaro.

I prodotti (o attività) si scambiano soltanto come merci; le merci nello scambio stesso esistono soltanto come valori; solo in quanto tali esse si equiparano.

Per determinare il volume di pane che posso scambiare con un braccio di tela, io pongo anzitutto il braccio di tela = al suo valore di scambio, ossia =1/x tempo di lavoro. Poi faccio altrettanto con la libbra di pane, ponendola = al suo valore di scambio, ossia =1/x o 2/x ecc. tempo di lavoro. Io pongo cioè ciascuna merce = ad un terzo elemento, ossia non uguale a se stessa. Questo terzo elemento diverso da entrambe, esprimendo un rapporto, esiste anzitutto nella mente, nella rappresentazione, giacché in generale, se voglio fissare un rapporto, io non posso che distinguerlo nel pensiero dai soggetti del rapporto stesso.

In quanto un prodotto (o attività) diventa valore di scambio, esso non solo viene trasformato in un determinato rapporto quantitativo, in un numero proporzionale - un numero cioè che esprime quale quantità di altre merci gli è uguale, il suo equivalente, o in quale rapporto esso è l'equivalente di altre merci -, ma deve essere al tempo stesso trasformato qualitativamente, convertito in un altro elemento, affinché entrambe le merci diventino grandezze concrete, abbiano cioè la medesima unità, e diventino quindi commensurabili.

La merce deve essere anzitutto convertita in tempo di lavoro, ossia in qualcosa di qualitativamente diverso da essa (qualitativamente diverso 1) perché essa non è tempo di lavoro in quanto tempo di lavoro, bensì tempo di lavoro materializzato; tempo di lavoro non in forma dinamica, ma statica, non in forma di processo, ma di risultato; 2) perché essa non è l'oggettivazione del tempo di lavoro in generale, il quale esiste soltanto nella rappresentazione - è unicamente il lavoro separato dalla sua qualità, solo quantitativamente diverso -, ma è il risultato determinato di un lavoro determinato, determinato naturalmente, qualitativamente diverso da altri lavori), per essere poi equiparata, come determinata quantità di tempo di lavoro, come determinata grandezza di lavoro, ad altre quantità di tempo di lavoro, ad altre grandezze di lavoro.

Ai fini della pura e semplice comparazione - valutazione - dei prodotti, ai fini della determinazione ideale del loro valore, è sufficiente effettuare questa trasformazione logica (una trasformazione in cui il prodotto esiste semplicemente come espressione di rapporti di produzione quantitativi). Quando si tratta di paragonare merci tra loro questa astrazione è sufficiente; nello scambio reale invece l'astrazione deve essere di nuovo oggettivata, simbolizzata, realizzata mediante un segno. Questa necessità subentra [perché]:

1) come abbiamo già detto, le merci da scambiare vengono ambedue trasformate mentalmente in rapporti di grandezza comuni, in valori di scambio, e in tal modo valutate l'una rispetto all'altra. Quando però si tratta di scambiarle realmente, ecco che le loro qualità naturali entrano in contraddizione con la loro determinazione di valori di scambio e di semplici numeri concreti. Esse non sono divisibili a piacere ecc.

2) Nello scambio reale si ha sempre uno scambio tra merci particolari e merci particolari, e la scambiabilità di ciascuna merce, così come il rapporto in cui essa è scambiabile, dipende da condizioni spaziali e temporali ecc. Ma la trasformazione della merce in valore di scambio non la uguaglia ad un'altra merce determinata, bensì la esprime come un equivalente, come il suo rapporto di scambiabilità rispetto a tutte le altre merci ecc. Questa equiparazione, effettuata mentalmente in un sol colpo, nella realtà viene realizzata soltanto in ima sfera determinata, determinata dal bisogno, e soltanto in fasi successive. (Per esempio io scambio successivamente, in ragione dei miei bisogni, un reddito di 100 talleri con un'intera sfera di merci la cui somma è = al valore di scambio di 100 talleri).

Per realizzare dunque in un sol colpo la merce come valore di scambio, e darle l'effetto generale di valore di scambio, non è sufficiente lo scambio con una merce particolare. Essa deve essere scambiata con una terza cosa che non sia a sua volta una merce particolare, ma sia invece il simbolo della merce in quanto merce, del valore di scambio della merce stessa; che rappresenti, voglio dire, il tempo di lavoro in quanto tale, poniamo un pezzo di carta o di cuoio, il quale rappresenta una parte aliquota di tempo di lavoro. (Un simbolo di tal genere presuppone un riconoscimento universale; esso non può essere che un simbolo sociale, e in effetti non esprime altro che un rapporto sociale).

Questo simbolo, rappresentando le parti aliquote di tempo di lavoro, il valore di scambio in parti aliquote tali da essere capaci di esprimere attraverso una semplice combinazione aritmetica tutti i rapporti reciproci dei valori di scambio -, questo simbolo, questo segno materiale del valore di scambio, è un prodotto dello scambio stesso, non l'attuazione di una idea a priori. (Nella realtà la merce che viene usata come mediatrice dello scambio si trasforma soltanto gradualmente in denaro, in un simbolo; quando questa trasformazione è compiuta, un suo simbolo può a sua volta sostituirla. Essa diventa ora segno consapevole del valore di scambio).

Il processo è dunque semplicemente questo: il prodotto diventa merce, ossia semplice momento dello scambio. La merce viene trasformata in valore di scambio. Per equipararla a se stessa in quanto valore di scambio, essa viene commutata in un segno che la rappresenta come il valore di scambio in quanto tale. In questa forma di valore di scambio simbolizzato essa può essere poi di nuovo scambiata in determinati rapporti con qualsiasi altra merce. Per il fatto che il prodotto diventa merce, e la merce valore di scambio, il primo finisce con l'acquistare nel pensiero una duplice esistenza. Questa duplicazione ideale comporta (e deve comportare) che la merce nello scambio reale si presenta in duplice forma: per un verso, come prodotto naturale, per l'altro come valore di scambio. Ossia il suo valore di scambio acquista una esistenza materialmente separata da essa.

La determinazione del prodotto in valore di scambio comporta dunque necessariamente che il valore di scambio riceve una esistenza separata, scissa dal prodotto. Il valore di scambio scisso dalle merci stesse ed esistente esso stesso come una merce accanto ad esse - è denaro.

Tutte le proprietà della merce in quanto valore di scambio si presentano come un oggetto diverso da essa, come una forma di esistenza sociale in denaro, scissa dalla sua forma di esistenza naturale. (Sviluppare ulteriormente questo punto, enumerando le abituali proprietà del denaro). (Il materiale in cui viene espresso questo simbolo non è affatto indifferente, per quanto diverso esso si presenti storicamente.

L'evoluzione della società elabora, insieme al simbolo, anche il materiale ad esso sempre più corrispondente, da cui poi cerca di nuovo di svincolarsi; un simbolo, se non è arbitrario, richiede determinate condizioni del materiale in cui si esprime. Così per es. i segni linguistici hanno una loro storia, la scrittura alfabetica ecc.). Il valore di scambio del prodotto genera dunque, accanto al prodotto, il denaro. Come allora è impossibile eliminare complicazioni e contraddizioni, derivanti dall'esistenza del denaro accanto alle merci particolari, trasformando la forma del denaro (sebbene alcune difficoltà relative ad una forma inferiore possano essere evitate con una superiore), altrettanto è impossibile eliminare il denaro stesso finché il valore di scambio rimane la forma sociale dei prodotti. È necessario aver ben chiaro questo punto per non porsi problemi impossibili e riconoscere i limiti entro i quali riforme monetarie e trasformazioni nell'ambito della circolazione possono riorganizzare i rapporti di produzione e i rapporti sociali che su di essi poggiano.

Le proprietà del denaro 1) come misura dello scambio di merci; 2) come mezzo di scambio; 3) come rappresentante delle merci (e perciò come oggetto dei contratti); 4) come merce universale accanto alle merci particolari, - derivano tutte semplicemente dalla sua determinazione di valore di scambio oggettivato e separato dalle merci stesse. (La proprietà del denaro di essere merce universale rispetto a tutte le altre, incarnazione del loro valore di scambio, lo rende al tempo stesso la forma realizzata e perennemente realizzabile del capitale; la forma fenomenica perennemente valida del capitale; una proprietà che si rivela nei deflussi del lingotto; la quale fa sì che il capitale storicamente si presenti dapprima solo nella forma del denaro; la quale, infine, spiega il nesso che esiste tra denaro e tasso d'interesse e l'influenza del primo sul secondo).

Quanto più la produzione si configura in modo tale che ogni produttore viene a dipendere dal valore di scambio della sua merce, quanto più cioè il prodotto diventa realmente valore di scambio e il valore di scambio diventa oggetto immediato della produzione, tanto più devono svilupparsi i rapporti di denaro e le contraddizioni che sono immanenti al rapporto di denaro, ossia al rapporto del prodotto con se stesso in quanto denaro.

Il bisogno dello scambio e la trasformazione del prodotto in puro valore di scambio avanzano nella medesima misura della divisione del lavoro, ossia col carattere sociale della produzione. Ma nella medesima misura in cui quest'ultimo si sviluppa, si sviluppa il potere del denaro, ossia il rapporto di scambio si fissa come un potere esterno ai produttori e indipendente da loro. Ciò che originariamente si presentava come mezzo per promuovere la produzione, diventa un rapporto estraneo ai produttori. Nella stessa proporzione in cui i produttori diventano dipendenti dallo scambio, questo sembra diventare indipendente da loro, e sembra crescere l'abisso tra prodotto in quanto tale e prodotto in quanto valore di scambio. Non è il denaro che produce queste antitesi e contraddizioni; è piuttosto lo sviluppo di queste contraddizioni e antitesi che produce il potere apparentemente trascendentale del denaro. (Da sviluppare l'influsso della trasformazione di tutti i rapporti in rapporti di denaro: dell'imposta in natura in imposta in denaro, della rendita naturale in rendita di denaro, della prestazione militare in truppa mercenaria, e in generale di tutte le prestazioni personali in prestazioni di denaro, del lavoro patriarcale, schiavistico, servile, corporativo, in puro lavoro salariato).

Il prodotto diventa merce; la merce diventa valore di scambio; il valore di scambio della merce è la sua immanente qualità di denaro; questa sua qualità di denaro si stacca da essa in quanto denaro, acquista un'esistenza sociale universale, separata da tutte le merci particolari e dalla loro forma di esistenza naturale; il rapporto del prodotto con se stesso in quanto valore di scambio diventa il suo rapporto con un denaro che esiste accanto ad esso, ovvero di tutti i prodotti col denaro esistente al di fuori di essi tutti. Come lo scambio reale dei prodotti genera il loro valore di scambio, così il loro valore di scambio genera il denaro.

Il problema immediato che ora ci si presenta è questo: l'esistenza del denaro accanto alle merci non implica fin dal principio delle contraddizioni, che sono date insieme con questo rapporto stesso?

[Scambiabilità della merce col denaro]

Primo: il semplice fatto che la merce ha una duplice esistenza, una volta come prodotto determinato che contiene idealmente (in maniera latente) il suo valore di scambio nella sua forma di esistenza naturale, e poi come valore di scambio manifesto (denaro), il quale a sua volta ha strappato ogni legame con la forma di esistenza naturale del prodotto -, questa duplice e diversa esistenza deve passare a differenza, e la differenza ad antitesi e contraddizione.

La stessa contraddizione tra la natura particolare della merce in quanto prodotto e la sua natura universale in quanto valore di scambio, la quale ha creato la necessità di porla in maniera duplice, una volta come questa merce determinata, un'altra come denaro; la contraddizione tra le sue qualità naturali particolari e le sue qualità sociali universali, implica fin dal principio la possibilità che queste due forme di esistenza separate della merce non siano reciprocamente convertibili. La scambiabilità della merce esiste come una cosa accanto ad essa nella forma di denaro, come qualcosa di diverso da essa, non più immediatamente identico.

Non appena il denaro è diventato una cosa esterna accanto alla merce, la scambiabilità di quest'ultima col denaro è immediatamente legata a condizioni esterne che possono verificarsi o meno; essa è in balia di condizioni estrinseche. Nello scambio la merce viene richiesta in ragione delle sue proprietà naturali e dei bisogni di cui essa è oggetto. Il denaro, invece, soltanto in ragione del suo valore di scambio, soltanto in quanto valore di scambio. Sicché la convertibilità della merce in denaro, la sua scambiabilità con esso, e la possibilità di porre per essa il suo valore di scambio, dipendono da circostanze che in primo luogo non hanno nulla a che fare con essa come valore di scambio e ne sono indipendenti.

La convertibilità della merce dipende dalle proprietà naturali del prodotto; quella del denaro coincide con la sua esistenza di valore di scambio simbolizzato. Diventa quindi possibile il fatto che la merce nella sua forma determinata di prodotto non può più essere scambiata, equiparata con la sua forma universale di denaro.

Poiché la scambiabilità della merce esiste al di fuori della merce stessa come denaro, essa è diventata qualcosa di diverso da sé, di estraneo a sé; con il quale essa deve essere anzitutto equiparata, dal quale dunque essa è anzitutto disuguale; mentre l'equiparazione stessa viene a dipendere da condizioni esterne, diventando quindi casuale.

[M-D. D-M]

Secondo: Come il valore di scambio della merce ha una duplice esistenza, come merce determinata e come denaro, così l'atto dello scambio si scinde in due atti reciprocamente indipendenti: scambio delle merci con denaro, e scambio del denaro con merci; compera e vendita. Ma siccome questi atti hanno raggiunto forme di esistenza spazialmente e temporalmente separate l'una dall'altra e indifferenti l'una all'altra, la loro identità immediata cessa. Essi possono corrispondersi e non corrispondersi; possono adeguarsi o no; possono entrare in rapporto di squilibrio reciproco. È vero che cercheranno costantemente di compensarsi; ma al posto della precedente identità immediata è subentrato ora il movimento costante di compensazione, il quale presuppone appunto una costante posizione di disuguaglianza. La consonanza può essere ora eventualmente raggiunta in pieno soltanto percorrendo estreme dissonanze.

[Autonomizzazione dello scambio rispetto ai suoi soggetti]

Terzo: Con la separazione della compera e della vendita, con la scissione dello scambio in due atti spazialmente e temporalmente indipendenti l'uno dall'altro, compare un altro nuovo rapporto.

Come lo scambio si scinde in due atti reciprocamente indipendenti, così lo stesso movimento complessivo dello scambio si separa dai soggetti dello scambio, ossia dai produttori di merci. Lo scambio per lo scambio si separa dallo scambio per le merci. Tra i consumatori si inserisce un ceto mercantile, un ceto che non fa che comprare per vendere e vendere per ricomprare, e che in tale operazione non mira al possesso delle merci come prodotti, ma semplicemente ad ottenere valori di scambio in quanto tali, ossia denaro. (Anche nel semplice baratto può formarsi un ceto mercantile. Ma poiché esso ha a disposizione soltanto l'eccedenza della produzione dai due lati, la sua influenza sulla stessa produzione rimane, così come tutta la sua importanza, del tutto secondaria).

Alla autonomizzazione del valore di scambio nel denaro, distaccato dai prodotti, corrisponde l'autonomizzazione dello scambio (del commercio) come funzione svincolata dai soggetti dello scambio. Il valore di scambio era la misura dello scambio delle merci; ma il suo scopo era il possesso della merce scambiata, il suo consumo (sia che questo consumo consista nel suo servire direttamente a soddisfare bisogni, ossia come prodotto, oppure a sua volta come strumento di produzione). Lo scopo diretto del commercio non è il consumo, ma l'acquisto di denaro, di valori di scambio. Mediante questa duplicazione dello scambio - dello scambio per il consumo e dello scambio per lo scambio - nasce un nuovo squilibrio. Il commerciante, nel suo scambio, è determinato semplicemente dalla differenza tra compera e vendita delle merci; ma il consumatore deve risarcire definitivamente il valore di scambio delle merci che egli compra.

La circolazione, ossia lo scambio nell'ambito del ceto mercantile, e il punto d'arrivo della circolazione, ossia lo scambio tra ceto mercantile e consumatori, per quanto debbano infine condizionarsi a vicenda, sono condizionati da leggi e motivi del tutto diversi e possono entrare, l'uno con l'altro, nelle più grandi contraddizioni. In questa separazione è già contenuta la possibilità delle crisi commerciali. Ma poiché la produzione lavora immediatamente per il commercio e solo mediatamente per il consumo, essa è costretta tanto a subire questa incongruenza tra commercio e scambio per il consumo, quanto a generarla da parte sua. (I rapporti tra domanda e offerta vengono totalmente sconvolti). (Allora dal commercio vero e proprio si separano di nuovo gli affari che hanno per scopo il denaro).

Aforismi

(Tutte le merci sono denaro perituro; il denaro è la merce imperitura. Quanto più si sviluppa la divisione del lavoro, tanto più il prodotto immediato cessa di essere un mezzo di scambio. Subentra la necessità di un mezzo di scambio universale, ossia di un mezzo di scambio che sia indipendente dalla produzione specifica di ciascuno. Nel denaro, il valore delle cose è separato dalla loro sostanza. Il denaro è originariamente il rappresentante di tutti i valori; nella prassi la cosa si rovescia, e tutti i prodotti e i lavori reali diventano i rappresentanti del denaro.

Nel baratto immediato ciascun articolo non può essere scambiato con qualsiasi altro, e una determinata attività può essere scambiata soltanto con determinati prodotti. Le difficoltà inerenti al baratto il denaro può superarle soltanto generalizzandole, rendendole universali. È assolutamente necessario che gli elementi violentemente separati, che sono essenzialmente omogenei, attraverso una violenta eruzione si mostrino come scissione di qualcosa che è essenzialmente omogeneo. L'unità si ristabilisce violentemente.

Quando la scissione estrema porta a eruzioni, gli economisti additano l'unità essenziale e astraggono dall'alienazione. La loro sapienza apologetica consiste nel dimenticare in tutti i momenti decisivi le loro stesse definizioni. Il prodotto come immediato mezzo di scambio è 1) ancora immediatamente legato alle sue qualità naturali, e quindi comunque limitato dalle medesime; per es. può deteriorarsi ecc.; 2) ancora immediatamente legato all'immediato bisogno che un altro ha o non ha proprio di questo prodotto, o anche potrebbe avere del suo prodotto.

Quando il prodotto del lavoro e il lavoro stesso sono subordinati allo scambio, viene un momento in cui vengono separati dal loro possessore. Che da questa separazione essi tornino di nuovo a lui sotto altra forma, è un fatto accidentale. Una volta che nello scambio è intervenuto il denaro, ed io sono costretto a scambiare il mio prodotto con il valore di scambio universale o con l'universale possibilità di scambio, il mio prodotto viene a dipendere dal commercio generale e viene strappato dai suoi limiti locali, naturali e individuali. Appunto per questa via esso può cessare di essere un prodotto).

[Genesi del denaro]

Quarto: Nel momento stesso in cui il valore di scambio in denaro si affianca come merce universale a tutte le merci particolari, il valore di scambio si affianca a tutte altre merci come merce particolare in denaro (giacché questo possiede una esistenza particolare). Non solo dunque nasce una incongruenza per il fatto che il denaro, pur esistendo soltanto nello scambio si contrappone come universale possibilità di scambio alla possibilità di scambio particolare delle merci, e la annulla immediatamente, sebbene entrambe debbano rimanere costantemente convertibili l'una con l'altra; ma il denaro entra in contraddizione con se stesso e con la sua determinazione per il fatto che esso stesso è una merce particolare (anche se è soltanto un segno), e pertanto nel suo scambio con altre merci è a sua volta sottomesso a particolari condizioni di scambio, le quali contraddicono alla sua scambiabilità universale e incondizionata. (Qui non si parla ancora del denaro fissato nella sostanza di un prodotto determinato ecc.).

Il valore di scambio ha acquistato, accanto alla sua esistenza nella merce, una propria esistenza nel denaro, è stato separato dalla sua sostanza, appunto perché la determinatezza naturale di questa sostanza contraddiceva alla sua universale determinazione di valore di scambio. Ogni merce è uguale (e uguagliabile) all'altra come valore di scambio (qualitativamente: ciascuna rappresenta quantitativamente soltanto un più o un meno del valore di scambio). Perciò questa sua identità, questa sua unità è distinta dalla sua diversità naturale; e allora nel denaro si presenta sia come il suo elemento comune, sia come un terzo elemento opposto ad essa.

Ma per un verso il valore di scambio rimane naturalmente nello stesso tempo una qualità inerente alle merci, mentre nello stesso tempo esiste al di fuori di esse; per l'altro il denaro, non esistendo più come proprietà delle merci, come un loro elemento universale, ed esistendo invece accanto ad esse in maniera individualizzata, diventa esso stesso una merce particolare accanto alle altre merci (esposto al gioco della domanda e dell'offerta, suddivisibile in vari tipi di denaro ecc.).

Esso diventa una merce come le altre, pur non essendo nello stesso tempo una merce come le altre. Nonostante la sua determinazione universale esso è qualcosa di scambiabile accanto alle altre cose scambiabili. Non è soltanto il valore di scambio universale; bensì nello stesso tempo un particolare valore di scambio accanto agli altri valori di scambio particolari. Di qui, una nuova fonte di contraddizioni che si fanno valere nella prassi. (Nella separazione degli affari finanziari dal commercio reale rispunta fuori la natura particolare del denaro).

Noi vediamo dunque come sia immanente al denaro il fatto di raggiungere i suoi scopi negandoli nello stesso tempo; di rendersi autonomo rispetto alle merci; di diventare, da mezzo, scopo; di realizzare il valore di scambio delle merci svincolandosi da esso; di facilitare lo scambio introducendovi un elemento di scissione; di superare le difficoltà dello scambio immediato di merci, generalizzandole; di rendere lo scambio autonomo rispetto ai produttori, nella medesima misura in cui i produttori diventano dipendenti dallo scambio.

(Più in là, prima di lasciare questo problema, sarà necessario correggere la maniera idealistica di esporlo, la quale dà l'impressione che si tratti di pure determinazioni concettuali e della dialettica di questi concetti. A cominciare dunque dalla proposizione: il prodotto (o attività) diventa merce; la merce valore di scambio; il valore di scambio denaro).

[L'«Economist» a proposito del denaro]

(«Economist», 24 gennaio 1857. A proposito delle banche, tener conto al momento opportuno di questo passo:

«Finché le classi mercantili hanno partecipato ai profitti delle banche così come fanno attualmente su scala generale - e possono farlo in misura ancor più estesa grazie alla maggior diffusione del capitale azionario bancario, all'abolizione di tutti i privilegi corporativi e all'estensione di una assoluta libertà nelle operazioni di banca -, esse si sono arricchite, dato l'elevato costo del denaro. In realtà le classi mercantili, per l'estensione dei loro depositi, sono virtualmente banchieri di se stesse; e finché è così, il saggio di sconto avrà sempre per loro una scarsa importanza. Tutta l'attività bancaria e le altre riserve devono essere naturalmente il risultato di un'attività continuativa e di risparmi accantonati sui profitti; di conseguenza, considerando globalmente le classi mercantili [e] industriali, queste devono essere i banchieri di se stesse, e ciò esige solamente l'estensione dei principi del libero scambio a tutta la sfera degli affari, per distribuire equamente o rendere naturali per loro i vantaggi e gli svantaggi di tutte le fluttuazioni del mercato monetario»). Tutte le contraddizioni del sistema monetario e dello scambio dei prodotti nell'ambito del sistema monetario rappresentano lo sviluppo della condizione di valori di scambio in cui si trovano i prodotti, ossia della loro determinazione di valore di scambio o valore semplicemente.

(«Morning Star», 12 febbraio 1857. «La pressione a cui fu sottoposto il denaro durante l'anno scorso, e l'elevato tasso di sconto adottato in conseguenza, sono stati molto vantaggiosi per i profitti della Banca di Francia. I suoi dividendi sono andati continuamente aumentando: 118 fr. nel 1852, 154 nel 1853, 194 nel 1854, 200 nel 1855, 272 nel 1856»).

Da notare anche il seguente passo: La moneta d'argento inglese è stata posta in circolazione ad un prezzo più alto del suo valore intrinseco in argento. Una sterlina d'argento del valore intrinseco di 60-62 scellini (corrispondente, in media, a 3 Lst. in oro) aveva un valore nominale di 66 scellini. La zecca paga il «prezzo di mercato corrente, che va da 5 scellini a 5 scellini e 2 pennies l'oncia e mette in circolazione al prezzo di 5 scellini e 6 pennies l'oncia. Due sono le ragioni che impediscono che da questa manovra derivi qualche inconveniente pratico» (sul valore nominale della moneta argentea, non su quello intrinseco): «la prima è che ci si può procurare la moneta soltanto alla zecca, e soltanto a quel dato prezzo; come moneta di circolazione interna, poi, essa non può essere deprezzata e non può essere inviata all'estero perché all'interno circola ad un valore maggiore di quello intrinseco. La seconda ragione è che, essendo moneta che ha valore legale soltanto fino a 40 scellini, non interferisce mai con la moneta aurea, né influenza il suo valore». Alla Francia consiglia altresì di mettere in circolazione monete argentee subordinate il cui valore nominale non corrisponda a quello intrinseco e che limitino l'ammontare a livello del quale dovrebbero avere valore legale. Ma nello stesso tempo afferma: «nel fissare la qualità della moneta, occorre lasciare, tra il valore intrinseco e quello nominale, un margine più ampio di quello che noi abbiamo in Inghilterra, perché il valore dell'argento, che è in aumento rispetto a quello dell'oro, può assai probabilmente, tra non molto, aumentare al di sopra del nostro attuale prezzo di zecca, costringendoci di nuovo a modificarlo. La nostra moneta d'argento è attualmente più del 5% al di sotto del valore intrinseco: non molto tempo fa era del 10% al di sotto» («Economist», 24 gennaio 1857).

[Emissione di cedole-orario]

Si potrebbe ora pensare che con l'emissione delle cedole-orario tutte queste difficoltà cadano. (L'esistenza della cedola-orario presuppone naturalmente già condizioni che non sono immediatamente date nell'analisi del rapporto tra valore di scambio e denaro, e senza le quali entrambi possono esistere ed esistono ugualmente: credito pubblico, banca ecc.; ma per tutto questo non occorre spendere altre parole giacché naturalmente i fautori della cedola-orario la considerano come prodotto ultimo della «serie», il quale, quando corrisponde per lo più al concetto «puro» del denaro, in realtà «compare» da ultimo). Anzitutto: se si danno per realizzati i presupposti in base a cui il prezzo delle merci è = al loro valore di scambio, sì da avere una adeguazione tra domanda e offerta, tra produzione e consumo, e in ultima istanza una produzione proporzionata16 (i cosiddetti rapporti di distribuzione sono essi stessi rapporti di produzione), allora il problema del denaro diventa del tutto secondario, e lo diventa specialmente il problema dell'emissione dei tickets, siano essi blu o verdi, di latta o di carta, o delle diverse forme possibili di tenere la contabilità sociale. E allora non ha veramente senso continuare a fingere di occuparsi di rapporti monetari reali.

La banca (qualsiasi banca) emette le cedole-orario. La merce a = al valore di scambio x, ossia = x tempo di lavoro, si scambia con denaro rappresentante x tempo di lavoro. La banca dovrebbe altresì comprare le merci, ossia scambiarle con i loro rappresentanti monetari, così come ora la Banca d'Inghilterra per es. deve dare biglietti di banca in cambio di oro. La merce, l'esistenza sostanziale e perciò accidentale del valore di scambio, viene scambiata con l'esistenza simbolica del valore di scambio in quanto tale. In tal modo non c'è alcuna difficoltà a convertirla dalla forma di merce a quella di denaro. Il tempo di lavoro in essa contenuto ha bisogno soltanto di una verifica di autenticità (il che, sia detto per inciso, non è tanto facile, come dimostrano la delicatezza e il peso dell'oro e dell'argento) per generare immediatamente la sua contrevaleur, la sua esistenza monetaria.

Comunque noi giriamo e rigiriamo la questione, essa ci porta sempre a questo: che la banca che emette le cedole-orario compra la merce ai suoi costi di produzione, compra tutte le merci, e l'acquisto non le costa altro che la produzione dei tagli di carta, mentre al venditore, invece di dare il valore di scambio che egli possiede in una determinata forma sostanziale, dà il valore di scambio simbolico delle merci, in altre parole un assegno su tutte le altre merci per l'importo del medesimo valore di scambio. Il valore di scambio in quanto tale può avere naturalmente soltanto una esistenza simbolica, sebbene questo simbolo, per poter essere usato come cosa - e non solo come forma rappresentativa -, possieda un'esistenza materiale, non sia cioè soltanto una rappresentazione ideale, ma sia realmente rappresentato in maniera oggettiva. (Una misura può essere tenuta nella mano; il valore di scambio misura, ma scambia solo in quanto la misura passa da una mano all'altra).

La banca dunque in cambio della merce dà denaro; denaro che è esattamente un assegno sul valore di scambio della merce, ossia su tutte le merci dello stesso valore. La banca compra. La banca è il compratore universale, il compratore non solo di questa o quella merce, ma di tutte le merci. Essa infatti deve attuare appunto la conversione di ogni merce nella sua esistenza simbolica di valore di scambio. Ma se è il compratore universale, essa deve essere anche il venditore universale, deve essere non solo il bacino di deposito di tutte le merci, non solo il magazzino generale, ma anche il possessore delle merci nello stesso senso in cui lo è ogni altro commerciante. Io ho scambiato la mia merce a con la cedola-orario b, la quale ne rappresenta il valore di scambio; ma solo perché io possa poi di nuovo trasformare a mio piacere questo b in tutte le merci reali c, d, e ecc. Può ora questo denaro circolare al di fuori della banca? può essere la sua circolazione diversa da quella tra il titolare della cedola e la banca? Da che cosa è garantita la convertibilità di questa cedola? Sono possibili soltanto due casi.

O tutti i possessori di merci (siano esse prodotti o lavoro) vogliono vendere la loro merce al suo valore di scambio, oppure alcuni vogliono e altri no. Se tutti vogliono venderla al suo valore di scambio, essi non aspetteranno l'eventualità di trovare o non un compratore, ma vanno subito alla banca, le cedono la merce e ne ricevono in cambio il segno del valore di scambio, il denaro. In questo caso la banca è il compratore e il venditore universale in uno. Oppure si verifica il contrario. In questo caso la cedola bancaria è un semplice titolo che attesta semplicemente di essere il simbolo universalmente riconosciuto del valore di scambio, ma non ha alcun valore. Questo simbolo infatti ha la proprietà non solo di rappresentare il valore di scambio, ma di esserlo nello scambio reale.

Nell'ultimo caso la cedola bancaria non sarebbe dunque denaro, o lo sarebbe soltanto per una convenzione tra la banca e i suoi clienti, non sul mercato ufficiale. Avrebbe lo stesso valore di un abbonamento a dodici pasti in trattoria o a dodici rappresentazioni teatrali, i quali rappresentano entrambi denaro, ma denaro valevole nell'un caso soltanto ad un determinato tavolo, nell'altro soltanto in un determinato teatro. In tal modo la cedola bancaria avrebbe cessato di corrispondere ai requisiti del denaro, dal momento che la sua non sarebbe una circolazione pubblica, ufficiale, ma soltanto una circolazione tra la banca e i suoi clienti. Noi dobbiamo allora lasciar cadere l'ultima ipotesi.

La banca dunque sarebbe il compratore e il venditore universale. Invece dei biglietti essa potrebbe emettere anche chèques, e invece di questi ultimi potrebbe aprire semplici conti correnti bancari. A seconda della somma dei valori-merce che X le ha ceduto, questi risulterebbe creditore nei suoi confronti di una medesima somma di valori in altre merci. Un secondo attributo della banca sarebbe necessariamente quello di fissare in maniera autentica il valore di scambio di tutte le merci, ossia il tempo di lavoro in esse materializzato. Ma la sua funzione non potrebbe arrestarsi a questo. Essa dovrebbe fissare il tempo di lavoro in cui possono essere prodotte le merci, con gli strumenti medi dell'industria; fissare il tempo in cui esse debbono essere prodotte. Ma anche questo non sarebbe sufficiente. Ad essa spetterebbe non solo il compito di fissare il tempo in cui deve essere prodotta una certa quantità di prodotti, e di porre i produttori in condizioni tali che il loro lavoro sia ugualmente produttivo (e quindi di attuare una equilibrata e ordinata distribuzione degli strumenti di lavoro), ma anche quello di fissare le quantità di tempo di lavoro da applicare ai diversi rami di produzione.

Quest'ultima cosa sarebbe necessaria, dal momento che, per realizzare il valore di scambio e rendere realmente convertibile il proprio denaro, la produzione generale dovrebbe essere garantita ed essere in proporzioni tali da soddisfare i bisogni di coloro che scambiano. E non è tutto. Lo scambio maggiore non è quello delle merci, ma quello del lavoro con le merci. (Su questo torneremo più precisamente tra poco). I lavoratori non venderebbero alla banca il loro lavoro, bensì riceverebbero il valore di scambio dell'intero prodotto del loro lavoro ecc.

A ben guardare dunque la banca sarebbe non solo il compratore e venditore universale, ma anche il produttore universale. In realtà essa sarebbe o il governo dispotico della produzione e l'amministratrice della distribuzione, oppure in realtà non sarebbe altro che un ministero del bilancio della società lavoratrice collettiva. La collettività dei mezzi di produzione è presupposta ecc.

I saint-simonisti facevano della loro banca il papato della produzione.

[Valore di scambio e produzione privata]

La risoluzione di tutti i prodotti e di tutte le attività in valori di scambio presuppone sia la dissoluzione di tutti i rigidi rapporti di dipendenza personali (storici) nella produzione, sia la generale dipendenza reciproca dei produttori. Non solo la produzione di ogni singolo viene a dipendere dalla produzione di tutti gli altri, ma anche la trasformazione del suo prodotto in mezzi di sussistenza personali è venuta a dipendere dal consumo di tutti gli altri. I prezzi sono antichi, e così lo scambio; ma sia la progressiva determinazione degli uni attraverso i costi di produzione, sia il predominio dell'altro su tutti i rapporti di produzione, sono pienamente sviluppati, e si sviluppano sempre più pienamente, soltanto nella società borghese, nella società della libera concorrenza. Ciò che Adam Smith, alla maniera tipica del XVIII secolo, pone nel periodo preistorico e fa precedere alla storia, è piuttosto il suo prodotto.

Questa dipendenza reciproca si esprime nella necessità permanente dello scambio e nel valore di scambio quale mediatore universale. Gli economisti esprimono questo fatto nel modo seguente: ciascuno, perseguendo il suo interesse privato e soltanto il suo interesse privato, involontariamente e inconsapevolmente finisce col servire l'interesse privato di tutti, l'interesse generale. Il punto saliente di questa affermazione non sta nel fatto che perseguendo ognuno il suo interesse privato si raggiunge la totalità degli interessi privati, e cioè l'interesse generale. Da questa frase astratta si potrebbe anzi dedurre che ognuno reciprocamente ostacola l'affermazione dell'interesse dell'altro, sicché invece di una affermazione generale, da questo bellum omnium contra omnes risulta anzi una generale negazione.

Il punto vero e proprio sta piuttosto in questo, che l'interesse privato stesso è già un determinato interesse sociale e può essere raggiunto soltanto nell'ambito delle condizioni che la società pone e con i mezzi che essa offre; quindi è legato alla riproduzione di queste condizioni e di questi mezzi. Si tratta di interesse dei privati; ma il suo contenuto, come la forma e i mezzi della sua realizzazione, sono dati da condizioni sociali indipendenti da tutti.

[Il denaro come rapporto sociale]

La mutua e generale dipendenza degli individui reciprocamente indifferenti costituisce il loro nesso sociale. Questo nesso sociale è espresso nel valore di scambio, e solo in esso, per ogni individuo, la propria attività o il proprio prodotto diventano un'attività o un prodotto fine a se stessi; egli deve produrre un prodotto generico - il valore di scambio o - considerato questo per sé isolatamente e individualizzato, - denaro. D'altra parte il potere che ogni individuo esercita sulla attività degli altri o sulle ricchezze sociali, egli lo possiede in quanto proprietario di valori di scambio, di denaro. Il suo potere sociale, così come il suo nesso con la società, egli lo porta con sè nella tasca.

L'attività, quale che sia la sua forma fenomenica individuale, e il prodotto dell'attività, quale che sia il suo carattere particolare, è il valore di scambio, vale a dire qualcosa di generico in cui ogni individualità, proprietà, è negata e cancellata. In realtà questa è una situazione molto diversa da quella in cui l'individuo, o l'individuo naturalmente o storicamente allargatosi a famiglia e a tribù (e poi a comunità), si riproduce su basi direttamente naturali, o in cui la sua attività produttiva e la sua partecipazione alla produzione è indirizzata ad una determinata forma di lavoro e di prodotto, e il suo rapporto con gli altri è altrettanto determinato.

Il carattere sociale dell'attività, così come la forma sociale del prodotto e la partecipazione dell'individuo alla produzione, si presentano qui come qualcosa di estraneo e di oggettivo di fronte agli individui; non come loro relazione reciproca, ma come loro subordinazione a rapporti che sussistono indipendentemente da loro e nascono dall'urto degli individui reciprocamente indifferenti. Lo scambio generale delle attività e dei prodotti, che è diventato condizione di vita per ogni singolo individuo, il nesso che unisce l'uno all'altro, si presenta ad essi stessi estraneo, indipendente, come una cosa.

Nel valore di scambio la relazione sociale tra le persone si trasforma in rapporto sociale tra cose; la capacità personale, in una capacità delle cose. Quanto minore è la forza sociale del mezzo di scambio, quanto più esso è ancora legato alla natura del prodotto immediato del lavoro e ai bisogni immediati di coloro che scambiano, tanto maggiore deve essere la forza della comunità che lega insieme gli individui, il rapporto patriarcale, la comunità antica, il feudalesimo e la corporazione. (Vedi il mio quaderno, XII, 34 b).

Ciascun individuo possiede il potere sociale sotto la forma di una cosa. Strappate alla cosa questo potere sociale e dovrete darlo alle persone sulle persone.

I rapporti di dipendenza personale (all'inizio su una base del tutto naturale) sono le prime forme sociali, nelle quali la produttività umana si sviluppa soltanto in un ambito ristretto e in punti isolati. L'indipendenza personale fondata sulla dipendenza materiale è la seconda forma importante in cui giunge a costituirsi un sistema di ricambio sociale generale, un sistema di relazioni universali, di bisogni universali e di universali capacità. La libera individualità, fondata sullo sviluppo universale degli individui e sulla subordinazione della loro produttività collettiva, sociale, quale loro patrimonio sociale, costituisce il terzo stadio. Il secondo crea le condizioni del terzo. Sia le condizioni patriarcali che quelle antiche (ed anche feudali) crollano perciò con lo sviluppo del commercio, del lusso, del denaro, del valore di scambio, nella stessa misura in cui di pari passo con essi si innalza la società moderna.

Scambio e divisione del lavoro si condizionano reciprocamente. Quando ciascuno lavora per sé e il suo prodotto non rappresenta nulla ai propri fini, egli deve naturalmente operare uno scambio, non solo per partecipare alla produttività generale, ma anche per trasformare il proprio prodotto in un mezzo di sussistenza per se medesimo. (Vedi le mie «Osservazioni sull'economia» p. V (13, 14).

È vero che lo scambio, in quanto mediato dal valore di scambio e dal denaro, presuppone l'universale dipendenza reciproca dei produttori, ma presuppone al tempo stesso il completo isolamento dei loro interessi privati ed una divisione del lavoro sociale, la cui unità e integrazione reciproca esiste, per così dire, come un rapporto naturale esterno agli individui, indipendente da loro. È la pressione reciproca della domanda e dell'offerta generali che media la connessione degli individui reciprocamente indifferenti.

La necessità stessa di trasformare il prodotto o l'attività degli individui anzitutto nella forma di valore di scambio, in denaro, talché in questa forma materiale essi acquistano e attestano il loro potere sociale, dimostra due cose, e cioè 1 ) che gli individui producono pur sempre per la società e nella società; 2) che la loro produzione non è immediatamente sociale, non è il risultato di una associazione che ripartisce al proprio interno il lavoro. Gli individui sono sussunti alla produzione sociale, la quale esiste come un fato a loro estraneo; ma la produzione sociale non è sussunta agli individui e da essi controllata come loro patrimonio comune.

Niente può essere dunque più falso e insulso che presupporre, sulla base del valore di scambio, del denaro, il controllo degli individui associati sulla loro produzione globale, come accadeva sopra con la banca delle cedole-orario. Lo scambio privato di tutti i prodotti del lavoro, delle capacità e delle attività è in antitesi sia con la divisione fondata sulla sovrordinazione e subordinazione naturale e politica (sia essa di carattere patriarcale, antica o feudale) degli individui tra loro (dove lo scambio vero e proprio è soltanto marginale o grosso modo tocca meno la vita di tutta la comunità di quanto piuttosto non intervenga tra comunità diverse, e in generale non sottomette affatto tutti i rapporti commerciali e di produzione), sia con il libero scambio tra individui associati sulla base dell'appropriazione e del controllo comune dei mezzi di produzione. (Quest'ultima associazione non è nulla di arbitrario: essa presuppone lo sviluppo di condizioni materiali e spirituali che a questo punto non possono essere ulteriormente analizzate).

Come la divisione del lavoro genera l'agglomerazione, la combinazione, la cooperazione, il contrasto degli interessi privati, gli interessi di classe, la concorrenza, la concentrazione del capitale, il monopolio e le società per azioni - tutte forme antitetiche dell'unità, che provoca l'antitesi stessa -, così lo scambio privato genera il commercio mondiale, l'indipendenza privata una completa dipendenza dal cosiddetto mercato mondiale, e gli atti di scambio frammentati generano un sistema bancario e creditizio, la cui contabilità si limita a constatare i saldi dello scambio privato.

Nel corso cambiario - per quanto gli interessi privati di ciascuna nazione la suddividano in altrettante nazioni quanti sono i suoi maggiorenni, e gli interessi degli esportatori e degli importatori di una stessa nazione siano in contrasto reciproco, - il commercio nazionale acquista una parvenza di esistenza ecc. ecc. Non per questo qualcuno crederà di poter sopprimere le basi del commercio privato interno od estero attraverso una riforma della borsa. Ma nell'ambito della società borghese fondata sul valore di scambio si generano rapporti sia di produzione che commerciali, i quali sono altrettante mine per farla saltare. (Una massa di forme antitetiche dell'unità sociale il cui carattere antitetico tuttavia non può essere mai fatto saltare attraverso una pacifica metamorfosi. D'altra parte se noi non trovassimo già occultate nella società, così com'è, le condizioni materiali di produzione e i loro corrispondenti rapporti commerciali per una società senza classi, tutti i tentativi di farla saltare sarebbero altrettanti sforzi donchisciotteschi).

Noi abbiamo visto che, sebbene il valore di scambio sia = al tempo di lavoro relativo materializzato nei prodotti, da parte sua il denaro è = al valore di scambio delle merci svincolato dalla loro sostanza; in questo valore di scambio o rapporto monetario sono contenute le contraddizioni tra le merci e il loro valore di scambio, tra le merci come valori di scambio e il denaro. Abbiamo visto che una banca che produca immediatamente la controfigura delle merci sotto forma di denaro-lavoro è un'utopia. Sebbene dunque il denaro sia soltanto il valore di scambio svincolato dalla sostanza delle merci e debba la sua origine soltanto alla tendenza di questo valore di scambio a porsi in forma pura, tuttavia la merce non può essere trasformata immediatamente in denaro; ossia il certificato autentico della quantità di tempo di lavoro in essa realizzato non può valere come suo prezzo nel mondo dei valori di scambio. Come mai?

(Solo quando il denaro - come mezzo di scambio, non come misura del valore di scambio - appare in una certa forma, ossia come pegno che uno deve depositare nelle mani di un altro per ottenere da lui una merce, gli economisti si accorgono che l'esistenza del denaro presuppone la reificazione del contesto sociale. A questo punto gli stessi economisti dicono che gli uomini ripongono nella cosa materiale (nel denaro) quella fiducia che non sono disposti a riporre in se stessi come persone. Ma perché hanno fiducia nella cosa materiale? Evidentemente solo perché essa è un rapporto reificato tra le persone, ossia un valore di scambio reificato; e un valore di scambio non è altro che una relazione reciproca della attività produttiva delle persone. Ogni altro pegno può giovare direttamente al suo possessore in quanto tale: il denaro gli giova solo in quanto «pegno di garanzia sociale».

Ma tale pegno di garanzia esso lo è soltanto in virtù della sua (simbolica) qualità sociale; e una qualità sociale esso può averla solo perché gli individui hanno alienato, sotto forma di oggetto, la loro propria relazione sociale).

Nei listini dei prezzi correnti, nei quali tutti i valori sono misurati in denaro, ci si illude di riassoggettare all'individuo singolo, al tempo stesso, l'indipendenza del carattere sociale delle cose dalle persone, e l'attività commerciale basata su questa estraneità in cui l'insieme dei rapporti di produzione e commerciali si presentano contrapposti al singolo individuo e agli individui singoli tutti. Poiché il processo di autonomizzazione del mercato mondiale, if you please, (in cui l'attività di ciascun individuo è racchiusa), si sviluppa con lo sviluppo dei rapporti monetari (del valore di scambio) e viceversa, e la connessione e la dipendenza di tutti nella produzione e nel consumo si sviluppano di pari passo con l'indipendenza e l'indifferenza reciproca dei consumatori e dei produttori; poiché questa contraddizione conduce alle crisi ecc., - di pari passo con lo sviluppo di questa alienazione si tenta, sul suo stesso terreno, di sopprimerla: ed ecco i listini dei prezzi correnti, i corsi cambiari, i contatti epistolari, telegrafici ecc. tra i commercianti (con un naturale sviluppo parallelo dei mezzi di comunicazione), attraverso i quali ciascun individuo si procura notizie sull'attività di tutti gli altri cercando di adeguarvi la propria.

(Vale a dire che, sebbene la domanda e l'offerta generali procedano in maniera indipendente, ciascuno cerca di informarsi sullo stato della domanda e dell'offerta generali; e questa informazione a sua volta influisce praticamente su di esse. Anche se tutto ciò su questa base non sopprime l'estraneità, tuttavia dà luogo a rapporti e contatti che racchiudono in sé la possibilità di sopprimere la vecchia base). (La possibilità di una statistica generale ecc.). (Ciò del resto va sviluppato sotto le categorie «prezzi, domanda e offerta». Qui peraltro va solo osservato che il quadro globale del commercio e della produzione, nella misura in cui effettivamente è presente nei listini dei prezzi correnti, fornisce in realtà la migliore dimostrazione di come agli individui singoli il loro stesso scambio e la loro stessa produzione si contrappongano sotto forma di rapporto oggettivo, indipendente da essi. Nel mercato mondiale la connessione del singolo individuo con tutti, ma nello stesso tempo anche l'indipendenza di questa connessione dai singoli individui stessi, si è sviluppata ad un livello tale che perciò la sua formazione contiene già contemporaneamente la condizione del suo trapasso). L'equiparazione si sostituisce alla reale comunità e universalità.

(Si è detto e si può dire che il lato magnifico sta proprio in questo ricambio materiale e spirituale, in questa connessione naturale, indipendente dal sapere e dal volere degli individui, e che presuppone proprio la loro indipendenza e indifferenza reciproche. E certamente questo nesso materiale è preferibile alla loro mancanza di nesso o ad un nesso soltanto locale fondato su rapporti naturali di consanguineità o di signoria e servitù. Altrettanto certo è che gli individui non possono subordinare a sé i loro stessi nessi sociali prima di averli creati. Ma è anche insulso pensare quel nesso soltanto materiale come un nesso naturale, inscindibile dalla natura dell'individualità (in antitesi al sapere e volere riflessi) e ad essa immanente. Esso invece ne è il prodotto. È un prodotto storico. Appartiene ad una determinata fase del suo sviluppo. L'estraneità e l'autonomia in cui esso ancora si trova rispetto a loro, dimostra soltanto che essi sono ancora presi nella creazione delle condizioni della loro vita sociale invece di averla iniziata a partire da queste condizioni.

Quella naturale, è la connessione di individui nell'ambito di determinati e limitati rapporti di produzione. Gli individui universalmente sviluppati, i cui rapporti sociali in quanto loro relazioni proprie, comuni, sono già assoggettati al loro proprio comune controllo, non sono un prodotto della natura, bensì della storia. Il grado e l'universalità dello sviluppo delle capacità in cui questa individualità diventa possibile, presuppone appunto la produzione sulla base dei valori di scambio, la quale essa soltanto produce, insieme con l'universalità, l'alienazione dell'individuo da sé e dagli altri, ma anche l'universalità e l'organicità delle sue relazioni e delle sue capacità. Nei precedenti stadi di sviluppo l'individuo singolo si presenta in tutta la sua pienezza appunto perché non ha ancora elaborato la pienezza delle sue relazioni, e perché questa pienezza di relazioni egli non se l'è ancora contrapposta come forze e rapporti sociali indipendenti da lui. Volgersi indietro a quella pienezza originaria è altrettanto ridicolo quanto credere di dover rimanere fermi a quel completo svuotamento. Al di là dell'opposizione a quel punto di vista romantico quello borghese non è mai pervenuto, e perciò esso l'accompagnerà come opposizione legittima fino alla sua morte beata).

(Come esempio si può assumere qui il rapporto dell'individuo con la scienza).

(Paragonare il denaro al sangue - al che ha dato motivo la parola circolazione - è esatto all'incirca quanto il paragone di Menenio Agrippa tra i patrizi e lo stomaco). (Non meno falso è paragonare il denaro col linguaggio. Le idee non vengono trasformate in linguaggio, quasi che il loro carattere individuale esistesse in modo assoluto e il loro carattere sociale esistesse accanto ad esse nel linguaggio, come i prezzi accanto alle merci. Le idee non esistono separate dal linguaggio. Offrono già più analogia quelle idee che, per circolare e poter essere scambiate, debbono essere anzitutto tradotte dalla lingua materna in una lingua straniera; ma allora l'analogia non sta nella lingua, ma piuttosto nella estraneità)20.

(La scambiabilità di tutti i prodotti, attività e rapporti con un terzo elemento, con qualcosa di oggettivo che a sua volta possa essere scambiato indifferentemente con tutto - ossia lo sviluppo dei valori di scambio (e dei rapporti di denaro), si identifica con la venalità e corruzione generali. La prostituzione generale si presenta come una fase necessaria del carattere sociale delle disposizioni, capacità, abilità e attività personali. In termini più compiti si dice: l'universale rapporto di utilità e di utilizzabilità. Shakespeare ha perfettamente intuito la natura del denaro, che è di rendere omogeneo tutto ciò che è eterogeneo. La brama di arricchimento in quanto tale è impossibile senza il denaro; ogni altra accumulazione e brama di accumulazione appare ancora primordiale, limitata, condizionata per un verso dai bisogni, per l'altro dalla natura limitata dei prodotti (sacra auri fames)).

(Il sistema monetario, nel suo sviluppo, suppone evidentemente già altri sviluppi generali).

Quando si considerano rapporti sociali i quali producono un sistema non sviluppato di scambio, di valori di scambio e di denaro, o ai quali corrisponde un grado non sviluppato di questi ultimi, è chiaro fin dal principio che gli individui, sebbene i loro rapporti si presentino come rapporti tra persone, entrano in relazione reciproca soltanto come individui in una certa determinazione, come signore feudale e vassallo, come proprietario fondiario e servo della gleba ecc., oppure come membro di una casta ecc., o ancora come appartenente ad un ceto ecc.

Nei rapporti di denaro, nel sistema di scambio sviluppato (e questa parvenza seduce la democrazia) i vincoli di dipendenza personale, le differenze di sangue, di educazione ecc. in effetti sono saltati, sono spezzati (i vincoli personali si presentano per lo meno tutti come rapporti tra persone); e gli individui sembrano entrare in un contatto reciproco libero e indipendente (questa indipendenza che in se stessa è soltanto e andrebbe detta più esattamente indifferenza) e scambiare in questa libertà; ma tali essi sembrano soltanto a chi astrae dalle condizioni, dalle condizioni di esistenza nelle quali questi individui entrano in contatto (ove queste condizioni sono a loro volta indipendenti dagli individui, e sebbene prodotte dalla società, si presentano per così dire come condizioni di natura, ossia incontrollabili da parte degli individui).

La determinatezza che nel primo caso è una limitazione personale dell'individuo da parte di un altro, nel secondo caso si presenta sviluppata come una limitazione materiale dell'individuo da parte di rapporti che sono indipendenti da lui e poggiano su se stessi. (Poiché l'individuo singolo non può eliminare la sua determinatezza personale, ma può ben superare e subordinare a sé rapporti esterni, nel secondo caso la sua libertà appare maggiore. Ma un'analisi più precisa di quei rapporti esterni, di quelle condizioni, mostra l'impossibilità, per gli individui di una classe ecc., di superare in massa tali rapporti e condizioni senza sopprimerli. Il singolo può casualmente farla finita con essi; la massa di coloro che ne sono dominati no, giacché il loro semplice sussistere esprime la subordinazione, e la subordinazione necessaria degli individui ai rapporti stessi).

Questi rapporti esterni, non che essere una rimozione dei «rapporti di dipendenza», ne sono anzi soltanto la risoluzione in una forma generale; sono piuttosto l'elaborazione del principio generale dei rapporti di dipendenza personali. Anche qui gli individui entrano in relazione reciproca soltanto come individui determinati. Questi rapporti di dipendenza materiali opposti a quelli personali (il rapporto di dipendenza materiale non è altro che l'insieme di relazioni sociali che si contrappongono autonomamente agli individui apparentemente indipendenti, ossia l'insieme delle loro relazioni di produzione reciproche diventate autonome rispetto a loro stessi) si presentano anche così: che gli individui sono ora dominati da astrazioni, mentre prima essi dipendevano l'uno dall'altro. L'astrazione o l'idea non è però altro che l'espressione teoretica di quei rapporti materiali che li dominano.

Naturalmente i rapporti possono essere espressi soltanto sotto forma di idee; e allora i filosofi hanno concepito come caratteristica della nuova epoca il suo essere dominata da idee, identificando col crollo di questo dominio delle idee la creazione della libera individualità. Dal punto di vista ideologico l'errore era tanto più facile da commettere in quanto quel dominio dei rapporti (quella dipendenza materiale, che del resto si rovescia di nuovo in determinati rapporti di dipendenza personali, solo spogliati di ogni illusione) si presenta come dominio di idee nella stessa coscienza degli individui, e la fede nella eternità di queste idee, cioè di quei rapporti di dipendenza materiali, viene naturalmente consolidata, nutrita, inculcata in ogni modo dalle classi dominanti.

(Non va dimenticato naturalmente nemmeno per un istante, di fronte all'illusione dei «rapporti puramente personali» dell'età feudale ecc. 1) che questi stessi rapporti, in una fase determinata, assunsero nell'ambito della loro sfera un carattere materiale, come dimostra per esempio lo sviluppo dei rapporti di proprietà fondiaria da rapporti di subordinazione puramente militari; 2) che però il rapporto materiale in cui essi precipitano ha esso stesso un carattere limitato, un carattere determinato dalla natura, e perciò si presenta come rapporto personale, mentre nel mondo moderno i rapporti personali vengono fuori come pura emanazione dei rapporti di produzione e di scambio).

[Ancora sulla genesi del denaro]

Il prodotto diventa merce. La merce diventa valore di scambio. Il valore di scambio della merce riceve un'esistenza particolare accanto alla merce; la merce, cioè, nella forma in cui essa 1) è scambiabile con tutte le altre merci; in cui essa 2) è perciò merce generale e la sua particolarità naturale è cancellata; 3) in cui la misura della sua scambiabilità, ossia il rapporto determinato in cui essa equipara a sé tutte le altre merci, è posta: è la merce come denaro, e cioè non come denaro in generale, ma come una determinata somma di denaro, giacché, per rappresentare il valore di scambio in tutte le sue distinzioni, il denaro deve essere numerabile, quantitativamente divisibile.

Il denaro, la forma comune in cui tutte le merci in quanto valori di scambio si trasformano, la merce generale, deve esso stesso esistere come merce particolare accanto alle altre, giacché queste non devono essere commisurate ad esso soltanto mentalmente, ma essere scambiate e barattate con esso nello scambio reale. La contraddizione che ne risulta va sviluppata altrove. Il denaro non nasce per convenzione, così come non nasce per convenzione lo Stato. Esso nasce naturalmente dallo scambio e nello scambio, e ne è un prodotto. Originariamente varrà come denaro quella merce - ossia sarà accettata, non come oggetto di bisogno e di consumo, ma per scambiarla a sua volta con altre merci -, quella merce che più viene scambiata come oggetto di bisogno, che più circola; quella cioè che più è sicura di poter essere a sua volta scambiata con altre merci particolari; quella che in una determinata organizzazione sociale rappresenta la ricchezza xat’ésokén, che è l'oggetto più universale della domanda e dell'offerta e che possiede un valore d'uso particolare, - p. es. sale, pelli, bestiame, schiavi. In effetti una merce siffatta, nel suo aspetto particolare di merce si presta ben più delle altre merci a fungere da valore di scambio (peccato che in tedesco non si possa' rendere adeguatamente la differenza tra denrée [derrata] e marchandise [merce]). In questo caso è l'utilità particolare della merce, sia come particolare oggetto di consumo (pelli) che come immediato strumento di produzione (schiavi), a spingerla a diventare denaro.

Man mano che lo sviluppo va avanti si avrà il fenomeno esattamente inverso, ossia proprio la merce che è meno immediatamente oggetto di consumo o strumento di produzione rappresenterà meglio quell'aspetto, e ciò perché risponde al bisogno di scambio in quanto tale. Nel pri mo caso la merce diventa denaro in ragione del suo particolare valore d'uso; nel secondo caso essa riceve il suo particolare valore d'uso dal fatto di servire come denaro. Durevolezza, inalterabilità, divisibilità e ricomponibilità, trasportabilità relativamente facile, in quanto racchiudono un valore di scambio massimo in un minimo spazio: tutto ciò rende i metalli nobili particolarmente adatti a quel secondo livello. Nello stesso tempo essi costituiscono il passaggio naturale dalla prima forma di denaro. Ad un livello alquanto più sviluppato di produzione e di scambio lo strumento di produzione sopravanza i prodotti; i metalli invece (dapprima pietre) sono i primi e i più indispensabili strumenti di produzione.

Nel rame che ha un ruolo così importante nel denaro degli antichi, si trovano ancora riuniti i due caratteri, il particolare valore d'uso di strumento di produzione, e le altre proprietà, che non derivano dal valore d'uso della merce bensì corrispondono alla sua determinazione di valore di scambio (in cui è incluso quello di mezzo di scambio). Dagli altri metalli poi si scindono a loro volta quelli nobili per la loro inossidabilità ecc., qualità uniforme ecc., e poi perché corrispondono meglio al livello più sviluppato, giacché se la loro utilità immediata ai fini del consumo e della produzione diminuisce, d'altra parte per la loro stessa rarità essi rappresentano in misura maggiore il valore fondato puramente sullo scambio. Fin dal loro primo apparire essi rappresentano l'abbondanza, la forma in cui originariamente si presenta la ricchezza. Inoltre i metalli si scambiano meglio con i metalli stessi che con altre merci.

[Il denaro come misura e come equivalente generale]

La prima forma del denaro corrisponde ad un livello inferiore di scambio e di baratto, quando il denaro appare ancora più nella sua determinazione di misura che come reale strumento di scambio. A questo livello la misura può essere ancora puramente immaginaria (tuttavia la barra dei negri implica il ferro)22 (le conchiglie ecc. corrispondono invece più alla serie il cui termine ultimo è dato dall'oro e dall'argento).

Dato che la merce diventa valore di scambio generale, ne deriva che il valore di scambio diventa una merce particolare: ciò esso può farlo solo in quanto una merce particolare riceve rispetto a tutte le altre il privilegio di rappresentare, simbolizzare il loro valore di scambio; il privilegio cioè di diventare denaro. Che una merce particolare si presenti come soggetto-denaro della qualità-denaro di tutte le merci - scaturisce dalla natura stessa del valore di scambio. Man mano che lo sviluppo procede, il valore di scambio del denaro può ricevere di nuovo un'esistenza separata dalla sua materia, dalla sua sostanza, come accade nella cartamoneta, senza tuttavia sopprimere il privilegio di questa merce particolare, giacché l'esistenza particolarizzata deve continuare a ricevere la sua denominazione dalla merce particolare.

Poiché la merce è valore di scambio, essa è scambiabile con denaro, è equiparata a denaro. Il rapporto in cui essa è equiparata al denaro, ossia la determinatezza del suo valore di scambio, è presupposto alla sua conversione in denaro. Il rapporto in cui la merce particolare viene scambiata con denaro, ossia la quantità di denaro in cui una determinata quantità di merce è convertibile, è determinato dal tempo di lavoro oggettivato nella merce. Come realizzazione di un determinato tempo di lavoro la merce è valore di scambio; nel denaro la quota di tempo di lavoro che essa rappresenta è insieme misurata e contenuta nella sua forma universale, adeguata al concetto, scambiabile. Il denaro è il medium materiale nel quale i valori di scambio vengono immersi e ricevono una forma corrispondente alla loro determinazione universale.

Adam Smith dice che il lavoro (tempo di lavoro) è il denaro originario con cui si acquistano tutte le merci. Considerato l'atto della produzione, questa affermazione rimane sempre esatta (anche in relazione alla determinazione dei valori relativi).

Ogni merce, nella produzione, viene continuamente scambiata con tempo di lavoro. La necessità di un denaro distinto dal tempo di lavoro interviene proprio per la necessità di esprimere la quantità di tempo di lavoro non nel suo immediato e particolare prodotto, ma in un prodotto mediato e generale, nel suo particolare prodotto in quanto è uguale e convertibile con tutti gli altri prodotti del medesimo tempo di lavoro; del tempo di lavoro [espresso] non in una merce, ma simultaneamente in tutte le merci, e perciò in una merce particolare rappresentativa di tutte le altre.

Il tempo di lavoro non può essere esso stesso immediatamente denaro (un postulato, questo, che in altre parole coincide con quello che ogni merce sia immediatamente denaro di se stessa), appunto perché di fatto esso esiste sempre soltanto in prodotti particolari (come oggetto): come oggetto generale esso può esistere soltanto simbolicamente, di nuovo appunto in una merce particolare che viene posta come denaro.

Il tempo di lavoro non esiste come oggetto generale di scambio, indipendente e svincolato dalle particolarità naturali delle merci. Come tale esso dovrebbe esistere per soddisfare immediatamente le condizioni del denaro. L'oggettivazione del carattere generale, sociale del lavoro (e quindi del tempo di lavoro che è contenuto nel valore di scambio) rende appunto il suo prodotto un valore di scambio; conferisce alla merce la qualità del denaro, la quale però a sua volta implica un soggetto-denaro che esista autonomamente al di fuori di essa.

Il tempo di lavoro determinato è oggettivato in una merce determinata e particolare dotata di particolari qualità e di particolari relazioni con i bisogni; ma come valore di scambio esso deve essere oggettivato in una merce che esprime soltanto la sua natura di quota o la sua quantità, che è indifferente alle sue qualità naturali, e perciò può essere trasformata - ossia scambiata - in qualsiasi altra merce che sia oggettivazione di un medesimo tempo di lavoro. Come oggetto essa deve possedere questo carattere generale che contraddice alla sua particolarità naturale. Questa contraddizione può essere risolta solo oggettivando la contraddizione stessa; se cioè la merce viene posta in maniera duplice, una volta nella sua immediata forma naturale, e poi nella sua forma mediata, ossia come denaro.

Quest'ultimo momento è possibile solo in quanto una merce particolare diventa per così dire la sostanza generale dei valori di scambio, o in quanto il valore di scambio delle merci viene identificato con una sostanza particolare, con una merce particolare distinta da tutte le altre. In quanto cioè la merce deve essere prima convertita in questa merce generale, in questo universale prodotto simbolico o oggettivazione del tempo di lavoro, per poter essere poi, come valore di scambio, indifferentemente convertibile a volontà in tutte le altre merci e trasformabile in esse. Il denaro è il tempo di lavoro come oggetto generale, o l'oggettivazione del tempo di lavoro generale, il tempo di lavoro come merce generale. Se perciò sembra molto semplice che il tempo di lavoro, in quanto regola i valori di scambio, sia in effetti non solo la loro misura inerente, ma la loro stessa sostanza, (giacché in quanto valori di scambio le merci non possiedono nessun'altra sostanza, nessuna qualità naturale) e possa anche servire immediatamente come loro denaro - ossia prestarsi ad essere l'elemento in cui si realizzano i valori di scambio in quanto tali --, questa impressione di semplicità inganna. È vero piuttosto che il rapporto dei valori di scambio - delle merci I come oggettiyazioni reciprocamente uguali ed uguagliabili del tempo di lavoro - racchiude delle contraddizioni che I hanno la loro espressione materiale in un denaro d iverso dal tempo di lavoro.

In Adam Smith questa contraddizione si presenta ancora come una giustapposizione. Accanto al prodotto di lavoro particolare (al tempo di lavoro come oggetto particolare), il lavoratore deve ancora produrre un quantum di merce generale (il tempo di lavoro come oggetto generale). Le due determinazioni del valore di scambio si presentano, in Smith, estrinsecamente giustapposte. Egli non coglie ancora la struttura internamente contraddittoria della merce nel suo complesso. Ciò corrisponde al livello della produzione che egli aveva presente, dove il lavoratore possedeva ancora direttamente nel suo prodotto una parte della sua sussistenza: dove né la sua intera attività, né il suo intero prodotto erano diventati un'attività e un prodotto dipendenti dallo scambio; dove dominavano ancora in misura notevole sia l'agricoltura di sussistenza (o qualcosa di simile, come Steuart la chiama)25 sia l'industria patriarcale (tessitura manuale, filatura a domicilio e collegata all'agricoltura); dove ancora lo scambio su scala nazionale riguardava soltanto le eccedenze e il valore di scambio e la determinazione attraverso il tempo di lavoro non si erano ancora pienamente sviluppati su scala nazionale.

(Inciso: Per l'oro e per l'argento è meno giusto che per qualsiasi altra merce dire che il loro consumo può crescere soltanto in rapporto alla diminuzione dei loro costi di produzione. Esso cresce piuttosto in rapporto alla crescita della ricchezza generale, giacché il loro uso rappresenta specificamente la ricchezza, l'abbondanza, il lusso, ed essi stessi rappresentano la ricchezza generale. Prescindendo dal loro uso come denaro, l'oro e l'argento vengono consumati in misura maggiore in rapporto alla crescita della ricchezza generale. Se perciò la loro offerta aumenta improvvisamente, anche senza che i costi di produzione o il loro valore si restringano proporzionalmente, essi trovano un mercato in rapida espansione che arresta il loro deprezzamento. Molte cose che per gli economisti - i quali fanno dipendere il consumo generale di oro e argento solamente dalla diminuzione dei loro costi di produzione - sono inspiegabili nella faccenda australiano-californiana, e nella quale essi si muovono in un circolo, risultano così spiegate. Ciò si connette bene col fatto che oro e argento rappresentano la ricchezza, e quindi con la loro proprietà di essere denaro).

L'antitesi, propria dell'oro e dell'argento, di essere la merce eterna al contrario di tutte le altre, questa antitesi che troviamo in Petty, esisteva già in Senofonte,

De Vectigalibus, c. 1, in rapporto al marmo e all'argento.

(in greco nel testo originale)«Il paese prospera non solo per i beni che nascono e periscono di anno in anno, ma ha anche beni duraturi. Vi si trova infatti in abbondanza una pietra»... «C'è anche un tipo di terra che, seminata, non porta frutto, e scavata, nutre assai più gente che se producesse grano».

(Vale la pena di notare che lo scambio tra stirpi e popoli diversi - e questo, e non lo scambio privato, è la sua prima forma - comincia solo quando ad una stirpe non civilizzata viene comprata (estorta) un'eccedenza che non è il prodotto del suo lavoro, ma il prodotto naturale del suolo che essa occupa).

(Dalla necessità di simbolizzare il denaro in una merce determinata, e poi questa stessa merce (oro ecc.), vanno sviluppate le ordinarie contraddizioni economiche che ne scaturiscono. Ciò Nr. II. Inoltre, poiché tutte le merci devono essere scambiate col denaro per essere determinate come prezzi, occorre stabilire, sia che questo scambio avvenga realmente oppure soltanto idealmente, il rapporto tra quantità d'oro e d'argento e prezzi delle merci. Ciò Nr. III. È chiaro che, se si misura soltanto in oro e argento, la loro quantità non esercita alcun influsso sul prezzo delle merci; la difficoltà viene dallo scambio reale, finché il denaro serve realmente come strumento di circolazione; i rapporti tra domanda e offerta ecc. Ma ciò che influenza il suo valore di strumento di circolazione, influenza evidentemente anche il suo valore come misura).

[Il tempo di lavoro come equivalente generale]

Il tempo di lavoro stesso esiste come tale soltanto soggettivamente, soltanto nella forma di attività. Essendo scambiabile come tale (essendo esso stesso merce), esso è tempo di lavoro non solo quantitativamente ma anche qualitativamente determinato e differente, e non invece generale e identico a se stesso. Come soggetto esso non corrisponde al tempo di lavoro generale che determina i valori di scambio nella stessa misura in cui le merci e i prodotti particolari non gli corrispondono come oggetto.

La tesi di A. Smith che il lavoratore debba produrre, accanto alla sua merce particolare, una merce generale, in altre parole, che egli debba dare la forma di denaro ad una parte dei suoi prodotti, e in generale alla sua merce, nella misura in cui questa è destinata a servirgli non come valore d'uso personale ma come valore di scambio, - questa tesi, espressa soggettivamente, non significa altro che questo: che il suo tempo di lavoro particolare non può essere immediatamente scambiato con ogni altro tempo di lavoro particolare, ma che questa sua generale possibilità di scambio deve essere anzitutto mediata, che esso deve anzitutto assumere una forma oggettiva diversa da se stesso per conseguire questa generale possibilità di scambio.

Il lavoro del singolo, considerato nell'atto stesso della produzione, è il denaro con cui egli compera immediatamente il prodotto, l'oggetto della sua attività particolare; ma si tratta di denaro particolare, che appunto compera soltanto questo determinato prodotto. Per essere immediatamente denaro generale, esso dovrebbe essere fin dal principio non un lavoro particolare, ma un lavoro generale, essere posto cioè fin dal principio come un elemento della produzione generale. In tale presupposto però non sarebbe lo scambio a conferirgli il carattere generale, ma sarebbe il suo carattere sociale presupposto a determinare la partecipazione ai prodotti. Il carattere sociale della produzione renderebbe il prodotto fin dal principio un prodotto sociale, generale.

Lo scambio che ha luogo originariamente nella produzione - il quale non sarebbe uno scambio di valori di scambio, ma di attività determinate da bisogni e scopi sociali - includerebbe fin dal principio la partecipazione del singolo al mondo sociale dei prodotti. Sulla base dei valori di scambio, il lavoro viene posto come lavoro generale soltanto mediante lo scambio. Su questa base esso sarebbe posto come tale anteriormente allo scambio; ossia lo scambio dei prodotti non sarebbe in generale il medium che medierebbe la partecipazione del singolo alla produzione generale. Una mediazione naturalmente deve aver luogo.

Nel primo caso, che scaturisce dalla produzione autonoma dei singoli - quantunque queste produzioni autonome si determinino e si modifichino post festum mediante le loro relazioni reciproche -, la mediazione ha luogo attraverso lo scambio delle merci, attraverso il valore di scambio, il denaro, tutte espressioni di un unico e medesimo rapporto. Nel secondo caso è mediato il presupposto stesso; ossia è presupposta una produzione sociale, la socialità come base della produzione. Il lavoro del singolo è posto fin dal principio come lavoro sociale. Quale che sia perciò la forma materiale particolare del prodotto che egli crea o aiuta a creare, - ciò che egli ha comperato col suo lavoro non è un prodotto particolare e determinato, ma una determinata quota della produzione sociale. Egli perciò non ha neanche da scambiare un prodotto particolare. Il suo prodotto non è un valore di scambio. Il prodotto non ha da essere anzitutto convertito in una forma particolare per ricevere un carattere generale per il singolo. Invece di una divisione del lavoro, che si genera necessariamente nello scambio di valori di scambio, si avrebbe una organizzazione del lavoro che ha come conseguenza la partecipazione del singolo al consumo sociale. Nel primo caso il carattere sociale della produzione viene posto soltanto mediante l'elevazione dei prodotti a valori di scambio, e lo scambio di questi valori di scambio avviene post festum.

Nel secondo caso il carattere sociale della produzione è presupposto, e la partecipazione al mondo dei prodotti, al consumo, non è mediata dallo scambio di lavori o di prodotti di lavoro reciprocamente indipendenti. Esso è mediato dalle condizioni sociali della produzione entro le quali l'individuo agisce. Voler trasformare dunque il lavoro del singolo (ossia anche il suo prodotto) immediatamente in denaro, in valore di scambio realizzato, significa determinarlo immediatamente come lavoro generale, ossia negare appunto le condizioni sotto le quali esso deve essere trasformato in denaro e in valori di scambio, e sotto le quali dipende dallo scambio privato. L'esigenza può essere soddisfatta soltanto a condizioni in cui essa non può più essere posta. Il lavoro, sulla base dei valori di scambio, presuppone appunto che né il lavoro del singolo né il suo prodotto siano immediatamente generali; che esso ottenga questa forma soltanto attraverso una mediazione oggettiva, attraverso un denaro diverso da esso.

[Tempo di lavoro e produzione sociale]

Presupposta la produzione sociale, rimane naturalmente essenziale la determinazione del tempo. Meno è il tempo di cui la società ha bisogno per produrre frumento, bestiame ecc., tanto più tempo essa guadagna per altre produzioni, materiali o spirituali. Come per il singolo individuo, così per la società la totalità del suo sviluppo, delle sue fruizioni o della sua attività dipende dal risparmio di tempo. Economia di tempo - in questo si risolve infine ogni economia. Come la società deve ripartire il suo tempo in maniera pianificata per conseguire una produzione adeguata ai suoi bisogni complessivi, così l'individuo singolo deve ripartire giustamente il suo tempo per procurarsi conoscenze in proporzioni adeguate o per soddisfare alle svariate esigenze della sua attività.

Economia di tempo e ripartizione pianificata del tempo di lavoro nei diversi rami di produzione, rimane dunque la prima legge economica sulla base della produzione sociale. È una legge che vale anche ad un livello molto più alto. Ciò tuttavia è essenzialmente diverso dalla misurazione dei valori di scambio (lavori o prodotti del lavoro) mediante il tempo di lavoro. I lavori dei singoli individui nel medesimo ramo di lavoro, e le diverse specie di lavoro, sono non solo quantitativamente ma anche qualitativamente differenti. Che cosa presuppone la differenza soltanto quantitativa di oggetti? La loro identità qualitativa. Dunque la misurazione quantitiva dei lavori presuppone la loro uguaglianza d'origine, l'identità della loro qualità.

(Strabone, libro XI, dice degli Albani che abitano il Caucaso (in greco nel testo): «Gli uomini si distinguono per bellezza e grandezza; sono semplici e poco affaristi: non si servono per lo più di denaro, né conoscono un numero superiore a cento, ma effettuano scambi di merci» ... «Sono inesperti anche delle misure di peso»28.

Il denaro compare prima come misura (in Omero per es. i buoi) che come mezzo di scambio, perché nel baratto ciascuna merce è ancora il suo stesso mezzo di scambio. Essa però non può essere misura o norma comparativa di se stessa.

[I soggetti materiali del rapporto di denaro]

II risultato dell'analisi fin qui condotta è dunque questo: un prodotto particolare (una merce) (un materiale) deve diventare il soggetto del denaro, che esiste come qualità di ogni valore di scambio. Il soggetto in cui questo simbolo viene espresso non è un soggetto indifferente, giacché i titoli ad essere il rappresentante sono contenuti nelle condizioni - determinazioni concettuali, rapporti determinati - dell'oggetto da rappresentare. L'indagine sui metalli nobili quali soggetti del rapporto di denaro e sue incarnazioni, non esula dunque affatto, come crede Proudhon, dall'ambito dell'economia politica, così come la struttura fisica dei colori e del marmo non esula dall'ambito della pittura e della scultura.

Le qualità che la merce possiede in quanto valore di scambio, e rispetto alle quali le sue qualità naturali sono inadeguate, esprimono i requisiti che si esigono da quelle merci che costituiscono il materiale del denaro. Almeno fino a questo punto, tali requisiti sono perfettamente realizzati nei metalli nobili. I metalli in se stessi, come strumenti di produzione, [godono] di un vantaggio rispetto alle altre merci, e tra di essi l'oro è quello che più di tutti si trova allo stato di perfezione e di purezza fisica; seguono il rame, l'argento e il ferro. I metalli nobili sono quelli che più degli altri realizzano il metallo, come direbbe Hegel.

Data l'uniformità dei metalli nobili nelle loro qualità fisiche, uguali quantità di essi sarebbero così identiche da non offrire alcun motivo per preferirne alcuni invece di altri. Ciò non vale per esempio per un ugual numero di bestiame e uguali quantità di grano29.

A. - Il rapporto tra l'oro e l'argento e gli altri metalli

I metalli non nobili si ossidano all'aria; quelli nobili (mercurio, argento, oro, platino) sono inalterabili all'aria.

Aurum (Au). Peso specifico = 19,5; punto di fusione: 1200° C. «Di tutti i metalli l'oro è il più splendido, e per questa ragione già gli antichi lo chiamavano il sole o il re dei metalli. È abbastanza diffuso, ma mai in grandi quantità, e perciò è anche più costoso degli altri metalli. Di regola lo si trova allo stato puro, talvolta in grandi pezzi, talaltra incastonato in forma di piccoli granelli in un altro minerale, dalla decomposizione del quale si forma la sabbia aurifera, rinvenibile in molti fiumi, e dalla quale è possibile separare l'oro per lavaggio a causa del suo elevato peso specifico. Ha una straordinaria malleabilità; con un grano è possibile formare un filo esteso fino a 500 piedi di lunghezza, e si può batterlo in foglioline dello spessore di circa 1/200.000 di pollice. L'oro non viene intaccato da nessun acido; è solubile soltanto dal cloro libero (Acqua regia, un composto di acido nitrico e acido cloridrico). Doratura».

Argentum (Ag). Peso specifico = 10. Punto di fusione = 1000° C. Ha un aspetto più lucido; di tutti i metalli è il più grazioso, molto chiaro e dilatabile; può essere splendidamente lavorato e stirato in fili sottili. Lo si trova allo stato puro; molto spesso fa lega col piombo.

Queste le proprietà chimiche dell'oro e dell'argento. (La divisibilità, la rifusibilità, l'uniformità ecc. dell'oro e dell'argento sono note). Vediamo ora le loro proprietà mineralogiche :

Oro: è veramente strano che i metalli, quanto più sono nobili, tanto più appaiono isolati e separati dai corpi che si incontrano abitualmente, quasi nature superiori lontane da quelle comuni. L'oro per esempio lo troviamo di regola allo stato puro, cristallino, in varie forme cubiche o nelle forme più svariate; a pezzi irregolari e a grani, misto a sabbia e a polvere, talvolta incastonato in molti tipi di rocce, per esempio nel granito, in seguito alla cui erosione l'oro passa nella sabbia dei fiumi e nei terreni alluvionali, dove viene trovato. Siccome il peso specifico dell'oro arriva a 19,4, in questa situazione è possibile recuperare persino quelle sottili lamine d'oro rimestando con acqua la sabbia aurifera. Da questa si depone anzitutto

il metallo che ha peso specifico maggiore; segue poi il cosiddetto lavaggio. Molto spesso inoltre all'oro si amalgama l'argento, e si trovano leghe naturali dei due metalli, contenenti dallo 0,16 al 38,7 per cento di argento; il che naturalmente comporta variazioni cromatiche e di peso specifico.

Argento: con una notevole varietà di suoi minerali, esso si presenta come uno dei metalli più abbondanti, sia allo stato puro che legato ad altri metalli o unito con arsenico e zolfo. (Cloruro d'argento, bromuro d'argento, carbonato basico d'argento, minerale di bismuto e argento, sternbergite, polybasite ecc.).

Le principali proprietà chimiche di tutti i metalli nobili sono: inossidabilità all'aria; quelle dell'oro (e del platino): indissolubilità agli acidi, ad eccezione del cloro (per l'oro). L'inossidabilità all'aria li mantiene puri, privi di ruggine; si presentano così come sono. Resistono alla dissoluzione da parte dell'ossigeno - sono imperituri (e per questo venivano tanto esaltati dagli antichi alchimisti).

Proprietà fisiche: peso specifico, ossia molto peso in poco spazio, il che è particolarmente importante per uno strumento di circolazione. Quello dell'oro è 19,5; dell'argento, 10. Splendore cromatico. Splendore dell'oro, bianchezza dell'argento, sontuosità, malleabilità; perciò si presta tanto alla gioielleria e all'ornamento di altri oggetti. Il colore bianco dell'argento (che riflette i raggi luminosi nella loro composizione originaria); il colore rossastro dell'oro (che annulla tutti i raggi cromatici della luce composta che cade su di esso, riflettendo soltanto il rosso). Difficile fusibilità.

Proprietà geognostiche: il fatto di presentarsi (specialmente l'oro) allo stato puro, separato dagli altri corpi; isolato, individualizzato. Individuale, significa presentarsi autonomo rispetto a ciò che è elementare.

Dei due altri metalli nobili: 1 ) il platino è incolore: chiaroscuro (fuliggine dei metalli); rarissimo; ignoto agli antichi; conosciuto soltanto dopo la scoperta dell'America; nel diciannovesimo secolo scoperto anche negli Urali; intaccabile solo dal cloro; sempre allo stato puro; peso specifico = 21; non si fonde anche ad altissimi gradi calore; ha più che altro un valore scientifico. 2) Mercurio: si presenta allo stato liquido; soggetto ad evaporazione; i suoi vapori sono velenosi; può entrare in amalgamazione. (Peso specifico = 13,5, punto di ebollizione = 360° C). Quindi né il platino, e tanto meno il mercurio sono adatti come denaro.

Una proprietà geognostica comune a tutti i metalli nobili è la rarità. Rarità che (prescindendo dalla domanda e dall'offerta) intanto è elemento di valore, in quanto il non raro in sé e per sé, la negazione della rarità, l'elementare, non ha alcun valore, perché non appare come risultato della produzione. In origine, nella determinazione del valore, ciò che era indipendente dalla produzione consapevole e volontaria aveva il massimo valore, presupposta la domanda. I ciottoli non hanno alcun valore, relativamente parlando, perché si trovano senza che siano prodotti (anche se questa produzione consistesse soltanto nel cercarli). Affinché qualcosa costituisca un oggetto di scambio, abbia cioè un valore di scambio, nessuno deve poterlo avere senza la mediazione dello scambio; non deve presentarsi in una forma così elementare da costituire un bene comune. La rarità pertanto è elemento del valore di scambio, e perciò tale proprietà dei metalli nobili è importante, anche a prescindere dal più preciso rapporto domanda-offerta.

Se si considera in generale il privilegio dei metalli in quanto strumenti di produzione, torna a pro dell'oro l'essere in fondo il primo metallo scoperto in quanto tale. E ciò per due motivi. Primo, perché tra tutti gli altri è quello che in natura ha l'aspetto più metallico, quello che compare come metallo distinto e distinguibile; secondo, perché nel prepararcelo la natura ha creato una opera d'arte, e perché per la sua prima scoperta è necessario soltanto rude lavoro, non la scienza, né strumenti di produzione sviluppati.

«Certo è che l'oro deve necessariamente considerarsi il primo metallo conosciuto, e in effetti agli albori del progresso umano esso è considerato, a quanto ne sappiamo, come l'indice della posizione di un uomo» (in quanto è il superfluo, che è la prima forma in cui compare la ricchezza. La prima forma del valore è il valore d'uso, sono le cose quotidiane che esprimono la relazione dell'individuo con la natura; la seconda forma è il valore di scambio accanto al valore d'uso, il suo disporre dei valori d'uso altrui; la sua relazione sociale: esso stesso detto originariamente, a sua volta, valore di uso festivo, che cioè trascende il bisogno immediato).

L'oro è stato scoperto dall'uomo molto presto: «L'oro differisce notevolmente dagli altri metalli, tranne pochissime eccezioni, per ri fatto che esso si trova in natura allo stato metallico. Il ferro e il rame, lo stagno, il piombo e l'argento vengono di norma ritrovati in combinazioni chimiche con l'ossigeno, lo zolfo, l'arsenico, o il carbonio; e i pochi casi eccezionali di rinvenimento di questi metalli in forma isolata, o, come si diceva un tempo, allo stato vergine, possono essere citati più come curiosità mineralogiche che come eventi normali. L'oro si trova comunque sempre allo stato nativo o metallico ... È per questa ragione che il singolare color giallo della sua massa metallica attirerebbe l'attenzione anche dell'uomo più rozzo, mentre qualsiasi altra sostanza in cui egli si imbattesse non offrirebbe alcun elemento di attrattiva al suo scarso spirito di osservazione. Inoltre, l'oro, per il fatto di essersi formato in quelle rocce che sono più esposte all'azione atmosferica, si trova nei detriti delle montagne.

In seguito all'influenza disintegrante dell'atmosfera, del cambiamento di temperatura, dell'azione dell'acqua, e particolarmente per l'azione del ghiaccio, si ebbe un continuo distacco di frammenti di rocce, i quali, trascinati a valle dalle acque, si trasformarono in ciottoli sotto l'azione costante dell'acqua. Proprio tra questi venivano allora scoperte piccole masse o particelle d'oro. Il caldo estivo, facendo evaporare completamente le acque, rendeva i letti dei fiumi e i tracciati dei torrenti invernali, utilizzabili come vie di transito per le correnti migratorie, e qui noi possiamo immaginare che sia avvenuta la prima scoperta dell'oro».

«Per lo più l'oro si presenta allo stato puro, o, in ogni caso, così vicino a tale stato che la sua natura metallica può essere subito riconosciuta, sia nei fiumi, sia nelle vene di quarzo».

«Il peso specifico del quarzo, e della maggior parte delle altre rocce pesanti compatte è all'incirca 2 e 1/2, mentre il peso specifico dell'oro è 18 o 19. Perciò talvolta l'oro pesa circa 7 volte più di qualsiasi roccia o pietra con la quale si trova associato. Di conseguenza una corrente di acqua che abbia sufficiente forza per trasportare sabbia o ciottoli di quarzo o di qualsiasi altra roccia, potrebbe anche non essere in grado di spingere i frammenti di oro combinati con essi. Nei tempi passati quindi l'acqua ha fatto per le rocce aurifere esattamente quello che il minatore farebbe oggi, cioè le ha ridotte in frammenti, ha asportato le particelle più leggere, e ha lasciato l'oro. I fiumi sono in verità i grandi setacci naturali che separano immediatamente tutte le particelle più leggere e più sottili, mentre le altre più pesanti o si arrestano contro ostacoli naturali, o si depositano quando la corrente diminusce la sua forza o velocità» (vedi Gold (Lectures on). London 1852) (p. 12 e 13).

«Con tutta probabilità, tradizionalmente e fin dai tempi antichi, la scoperta dell'oro nella sabbia e nella ghiaia dei corsi d'acqua sembra essere stato il primo passo nella scoperta dei metalli, e in quasi tutti e forse in tutti i paesi d'Europa, Africa e Asia, quantità più o meno grandi di oro sono state ricavate dai depositi auriferi con sistemi di lavaggio molto semplici. Talvolta il clamore per la scoperta di corsi d'acqua auriferi è stato abbastanza grande da produrre un'enorme eccitazione che ha scosso per un certo periodo qualche località, ma poi si è spenta di nuovo. Nel 760 una massa enorme di povera gente si precipitò a separare con lavaggi l'oro dalle sabbie fluviali a sud di Praga, e tre uomini furono capaci in un giorno di estrarre un mark (1/2 libbra) di oro, e tale fu la corsa a scavare che l'anno successivo il paese era in preda alla carestia. Noi abbiamo notizia del ripetersi di simili eventi varie volte nel giro di pochi secoli, sebbene qui, come altrove, all'attrazione per le ricchezze in superficie si sia sostituita l'attività mineraria regolare e sistematica».

«Esistono due categorie di depositi in cui si trova l'oro, i filoni o vene, che intersecano la roccia solida secondo una direzione più o meno perpendicolare all'orizzonte; e i letti o correnti di detriti in cui l'oro mescolato con la ghiaia, la sabbia o l'argilla, si deposita per azione meccanica dell'acqua sulla superficie di quelle rocce che sono attraversate fino a grandi profondità dai filoni. Alla prima categoria è legata in senso vero e proprio la tecnica mineraria; alla seconda l'attività di scavo pura e semplice. Il vero e proprio sfruttamento delle miniere d'oro è, come ogni altra operazione di sfruttamento minerario, una tecnica che richiede l'impiego di un capitale, e di procedimenti che si acquistano solamente con anni di esperienza. Non c'è altra tecnica praticata dall'uomo civile che richieda per il suo pieno sviluppo l'applicazione di tante scienze e tecniche collaterali. Ma sebbene essenziali al minatore, quasi nessuna di queste è necessaria al cercatore d'oro che si affida principalmente alla forza delle sue braccia o alla resistenza della sua salute. Le apparecchiature che egli impiega devono essere necessariamente semplici, tali da poter essere trasportate da un luogo all'altro, facilmente riparate se si guastano, e da non richiedere nessuna di quelle sottigliezze di manipolazione che gli farebbero perdere tempo per ottenere soltanto piccole quantità».

Differenza dunque tra i depositi di detriti auriferi, di cui abbiamo i migliori esempi al giorno d'oggi in Siberia, in California e in Australia, e le sabbie fini annualmente portate dai fiumi, in alcune delle quali si rinviene oro in quantità notevole. Queste ultime si trovano letteralmente alla superficie, mentre i primi si possono trovare sotto uno strato che va da 1 a 70 piedi di spessore, consistente di terra, sabbia, torba e ghiaia ecc. I procedimenti di lavorazione devono essere in entrambi i casi identici in linea di principio. Sostituendosi al cercatore d'oro, la natura ha degradato le parti più importanti, più splendide e ricche dei filoni, e ha così triturato e lavato i materiali che costui si trova bell'e fatta la parte più pesante di lavoro, mentre il minatore, che attacca i filoni più poveri ma più resistenti e profondi, deve aiutarsi con tutte le risorse della tecnica più raffinata.

L'oro è stato giustamente considerato il più nobile dei materiali per le varie proprietà fisiche e chimiche. È inalterabile all'aria e non arrugginisce. (Inalterabilità all'azione dell'ossigeno atmosferico). Di un brillante colore giallo rossastro allo stato di coesione, e molto denso. Estremamente malleabile. Alta temperatura di fusione. Peso specifico33.

Dunque, tre modi di produrre l'oro: 1) Nella sabbia dei fiumi. Semplice ritrovamento alla superficie. Lavaggio. 2) Nei terreni alluvionali. Scavo. 3) Tecnica mineraria. La sua produzione non richiede quindi [96j alcuno sviluppo delle forze produttive. Qui la maggior parte del lavoro lo fa la natura.

(Le radici delle parole Gold, Silber [oro, argento] ecc. (vedi Grimm)34; i concetti generali più prossimi e immediatamente riferibili alle parole sono quelli di Glanze, Farbe [splendore, colore], Silber [argento] weiss [bianco], Gold [oro] gelb [giallo]; Erz [bronzo] e Gold, Erz e Eisen [ferro] sono nomi scambievoli. Presso i tedeschi Bronze prima era usato nel senso di Eisen [ferro]. Affinità immediata tra aes e aurum).

Rame (bronzo: stagno e rame) e oro, usati prima dell'argento e del ferro.

«L'uso dell'oro ha preceduto di gran lunga quello dell'argento, perché il primo lo si trova allo stato puro e solo in piccole quantità legato all'argento; lo si ottiene mediante semplice lavaggio. L'argento esiste generalmente sotto forma di filoni incastonati tra le rocce più dure dei terreni primitivi: per la sua estrazione occorrono macchine e lavori complicatissimi. Nell'America meridionale non viene sfruttato l'oro in filoni, ma quello disseminato in polvere e a grani nei terreni alluvionali. Accadeva lo stesso ai tempi di Erodoto. I più antichi monumenti della Grecia, dell'Asia, del Nord-Europa e del Nuovo Mondo dimostrano che l'uso dell'oro per utensili e gioielli fu possibile in uno stato sociale semibarbarico; mentre l'impiego dell'argento per il medesimo uso denota di per se stesso uno stato sociale molto avanzato». Cfr. Dureau de la Malie, quaderno. (2).

Rame come principale strumento di guerra e di pace (ibidem, 2). (Come denaro in Italia, ibidem).

B. - Oscillazioni del rapporto di valore tra i diversi metalli

Se in generale l'uso dei metalli come materiale del denaro, il loro uso relativo l'uno per l'altro, è un fenomeno precoce o tardivo, nello stesso tempo vanno considerate le oscillazioni del loro valore relativo. (Letronne, Böckh, Jacob). (In che misura questo problema si connette con quello della massa generale dei metalli circolanti e del suo rapporto con i prezzi, va considerato in seguito, come appendice storica al capitolo sul rapporto denaro-prezzi).

Il mutamento successivo tra oro, argento e rame, nelle varie epoche dovette dipendere anzitutto dalla natura dei giacimenti di questi tre metalli, e dallo stato pili o meno puro nel quale essi si trovano. E inoltre, da mutamenti politici, quali l'invasione dell'Asia e di una parte dell'Africa da parte dei Persiani e dei Macedoni, e più tardi la conquista romana della parte dei tre continenti (orbis Romanus ecc.). Dipende dunque dal relativo stato di purezza in cui si trovano, e dal loro giacimento.

Il rapporto tra i diversi metalli può essere determinato indipendentemente dai prezzi - attraverso il semplice rapporto quantitativo in cui essi si scambiano reciprocamente. In questa forma noi possiamo procedere in generale paragonando tra loro soltanto poche merci che abbiano una misura omonima; per es. tanti quarter di segala, di orzo, di avena, per tanti quarter di frumento. Nel baratto, dove in generale si scambia ancora poco e le merci in commercio sono ancora poche, viene applicato questo metodo, e perciò il denaro non è ancora necessario.

Presso gli Arabi della regione sabea, secondo Strabone, l'oro locale era così abbondante che se ne davano 10 libbre in cambio di 1 libbra di ferro, e 2 libbre in cambio di 1 libbra d'argento. La ricchezza aurea delle regioni di Bactara (insomma del Turkestan) e della parte di Asia situata tra il Paropamisus (Hindoo-kûsh) e l'Imaus (Mustag-Mountains), in pratica il deserto del Gobi (desertum arenosum auro abundans) rende verosimile quanto riporta Dureau de la Malie, che cioè dal XV al VI secolo a. Cr. il rapporto tra oro e argento era = 6 : 1 o 8 : 1, rapporto che in Cina e in Giappone è esistito fino all'inizio del XIX secolo; per la Persia di re Dario Istaspe Erodoto fissa il rapporto 13 : 1. Secondo il codice del Manou, scritto tra il 1300 e il 600 a. Cr. il rapporto oro-argento è = 2 e 1/2 : 1.

Le miniere d'argento non si trovano in effetti che nei terreni primitivi, soprattutto in quelli stratificati, e in qualche filone di terreno secondario. Le ganghe d'argento, invece di essere sabbie alluvionali, sono ordinariamente rocce compattissime e durissime, come il quarzo ecc. Questo metallo è più comune nelle regioni fredde, sia per la loro latitudine, sia per la loro altezza assoluta, che non l'oro, che in generale si trova nei paesi caldi. Al contrario dell'oro, l'argento non lo si ritrova che rarissimamente allo stato puro ecc. (per lo più unito all'arsenico e allo zolfo) (acido muriatico, acido nitrico). Per quanto riguarda la diffusione quantitativa dei due metalli (anteriormente alla scoperta dell'Australia e della California): Humboldt, nel 1811, stima il rapporto tra oro e argento in America = 1 : 46, in Europa (inclusa la Russia asiatica) = 1 : 40. Per i mineralogisti dell'Académie des Sciences al giorno d'oggi (1842) il rapporto è = 1 : 52; tuttavia una libbra d'oro vale soltanto 15 libbre d'argento; quindi il rapporto di valore = 15 : 1.

Rame. Peso specifico = 8,9. Ha un bel colore rossastro; è abbastanza duro; richiede un'alta temperatura di fusione. Non di rado lo si trova allo stato puro; frequentemente unito con ossigeno e zolfo. I suoi giacimenti si trovano nei terreni primordiali antichi. Ma si trova spesso, più degli altri metalli, anche alla superficie della terra, a piccole profondità, agglomerato in masse pure, dal peso talvolta considerevole. Impiegato prima del ferro in tempo di guerra e di pace. (Nello sviluppo storico l'oro sta all'argento, come materiale del denaro, così come il rame come strumento di lavoro sta al ferro. Circolava in gran quantità nell'Italia romana del I e V secolo. È possibile determinare a priori il grado di civiltà di un popolo in base alla semplice conoscenza della specie di metallo - oro, rame, argento o ferro - che esso impiega per le sue armi, i suoi attrezzi o il suo ornamento. Esiodo nel suo poema sull'agricoltura dice (in greco nel testo):

«Lavoravano il bronzo; e non v'era il nero ferro».

Lucrezio: «Et prior aeris erat quam ferri cognitus usus». Jacob segnala in Nubia e in Siberia antichissime miniere di rame (vedi Dureau, I, 58); Erodoto afferma che i massageti possedevano solo bronzo, non ferro. Il ferro, secondo le lapidi di Oxford, era conosciuto prima del 1431 a. Cr. In Omero si parla raramente del ferro; molto comune invece l'uso del bronzo, di questa lega di rame zinco e stagno di cui le società greca e romana si servirono così a lungo, anche per la fabbricazione di asce e rasoi. L'Italia era molto ricca di rame; anche la moneta di rame costituì fino al 247 a. Cr., se non l'unico numerario, per lo meno la moneta normale, l'unità monetaria nell'Italia centrale. Le colonie greche dell'Italia del sud ricevettero dalla Grecia e dall'Asia, direttamente, o attraverso Tiro e Cartagine, l'argento, del quale fecero denaro a partire dal V e VI secolo. Sembra che i Romani possedessero moneta argentea prima della cacciata dei re, ma, dice Plinio, «interdictum id vet ere consulto patrum, Italiae parci» (cioè delle sue miniere d'argento) «jubentium». Temevano le conseguenze di un comodo mezzo di circolazione - lusso, incrementò degli schiavi, accumulazione, concentrazione della proprietà fondiaria. Anche presso gli Etruschi il rame ha preceduto l'oro come materiale del denaro.

È falso quanto dice Garnier (vedi quaderno III, p. 28): «Nel campo dei minerali si cerca e si sceglie naturalmente la materia destinata all'accumulazione»35. È vero invece il contrario, che cioè l'accumulazione ebbe inizio dopo la scoperta della moneta metallica (sia nella forma di denaro vero e proprio o ancora come semplice mezzo di scambio ponderale preferito). Di questa questione occorre parlare particolareggiatamente in rapporto al denaro. Esatto quanto dice Reitemeier (vedi quaderno III, p. 34): «Oro, argento e rame furono usati presso i popoli antichi dapprima per farne martelli e picconi, malgrado la loro relativa fragilità, e ciò ben prima del ferro e prima che fossero usati per farne denaro». Perfezionamento degli strumenti quando, col procedimento di spegnimento, si imparò a dare al rame una durezza tale da sfidare la pietra. Da questo rame altamente indurito si ricavarono scalpelli e martelli, di cui ci si servi per spaccare le pietre. Infine fu scoperto il ferro36. Jacob dice: «Nel regime patriarcale» (vedi quaderno IV, p. 3), «in cui i metalli di cui erano fatte le armi, come 1) l'ottone e. 2) il ferro, erano rari ed estremamente costosi a paragone degli alimenti e del vestiario allora comunemente usati, sebbene non si conoscesse il denaro coniato di metalli preziosi, tuttavia l'oro e l'argento acquistarono la facoltà di essere scambiati con gli altri metalli in modo molto più facile e conveniente che il grano e il bestiame».

D'altronde, per ottenere l'oro puro o quasi puro dagli immensi terreni alluvionali situati tra le catene dell'Indoo-kûsh e dell'Himalaya, occorreva soltanto un semplice lavaggio. La popolazione in queste regioni dell'Asia era allora elevata; di conseguenza la mano d'opera era molto a buon mercato. L'argento era relativamente più costoso a causa della difficoltà (tecnica) del suo sfruttamento. Nell'Asia e nella Grecia, a partire dalla morte di Alessandro, si è avuto il fenomeno opposto. Le sabbie aurifere si esaurirono; il prezzo degli schiavi e della mano d'opera aumentò; la meccanica e la geometria avevano fatto immensi progressi da Euclide ad Archimede, sicché fu possibile sfruttare con profitto i ricchi filoni di miniere d'argento dell'Asia, della Tracia e della Spagna; e poiché l'argento era 52 volte più abbondante dell'oro, il rapporto di valore tra i due metalli dovette cambiare, e la libbra d'oro che dal tempo di Senofonte, 350 a. Cr., si scambiava con 10 libbre d'argento, valeva 18 libbre di quest'ultimo metallo nel 422 d. Cr. Quindi il rapporto era salito da 10 : 1 a 18 : 1.

Alla fine del V secolo d. Cr. si assiste ad una straordinaria diminuzione della quantità di denaro contante; si arresta lo scavo delle miniere. Nel Medioevo fino alla fine del XV secolo una parte relativamente importante del denaro è costituita di monete d'oro. (La diminuzione interessò particolarmente l'argento che precedentemente era quello che più circolava). Il rapporto tra i due metalli nel XV secolo = 10 : 1; nel XVIII secolo = 14 : 1 sul continente; in Inghilterra = 15 : 1. Nella Nuova Asia l'argento si trova in commercio più come merce, specialmente in Cina, dove la moneta nazionale è di rame (il Tehen, una lega di rame, zinco e piombo); in Cina l'oro (e l'argento) valgono a peso come merce per la bilancia del commercio estero.

Grandi oscillazioni in Roma tra valore del rame e valore dell'argento (nelle monete). Fino a Servio si adoperò per lo scambio l'aes rude, metallo in lingotti. L'unità monetaria, l'asse di rame, equivaleva a 1 libbra di rame. All'epoca di Servio il rapporto tra argento e rame era di 279 : 1 ; fino all'inizio della guerra punica era di 400 : 1 ; durante la prima guerra punica era di 140 : 1; durante la seconda guerra punica era di 112 : 1.

A Roma, l'oro all'inizio era molto caro, mentre l'argento [veniva] da Cartagine (e dalla Spagna); l'oro fu usato solo in lingotti fino al 547. In commercio il rapporto tra oro e argento era di 13,71 : 1; nelle monete, era di 17,4 : 1; all'epoca di Cesare era di 12 : 1 (allo scoppio della guerra civile, in seguito al saccheggio dell'erario da parte di Cesare, era soltanto di 8 : 1); sotto Onorio e Arcadio (397) viene fissato a 14,4 : 1; sotto Onorio e Teodosio il giovane (422) = 18 : 1. Il rapporto tra argento e rame = 101 : 1; quello tra oro e argento = 18 : 1. La prima moneta d'argento a Roma fu battuta nel 485 u.c.; la prima moneta d'oro, nel 547. Quando l'asse, dopo la seconda guerra punica, si ridusse a 1 oncia, diventò soltanto moneta spicciola; il sesterzio (d'argento) diventò unità monetaria, e tutti i grossi pagamenti furono fatti in argento. (Nel commercio al minuto il rame (e più tardi il ferro) rimase il metallo principale. Sotto gli imperatori d'Oriente e d'Occidente il solidus (aureus), ossia l'oro, era la moneta normativa).

Nel mondo antico dunque, se si fa una media, abbiamo:

Primo: superiore valore relativo dell'argento sull'oro. Prescindendo da fenomeni singoli (Arabi), dove l'oro è più a buon mercato dell'argento e lo è ancora più del ferro, in Asia, dal XV al VI secolo a. Cr., il rapporto tra oro e argento = 6 : 1 o 8 : 1 (quest'ultimo rapporto si aveva in Cina e in Giappone fino agli inizi del XIX secolo). Nello stesso codice del Manou esso è fissato a 2 e 1/2: 1. Questo basso rapporto deriva dalle medesime cause che fanno scoprire per primo l'oro come metallo. L'oro a quei tempi veniva principalmente dall'Asia e dall'Egitto. A questo periodo corrisponde, nella storia italiana, la moneta di rame. E in generale il rame, come principale strumento di pace e di guerra, corrisponde all'oro quale metallo nobile prevalente. Ancora all'epoca di Senofonte il rapporto tra oro e argento = 10 : 1.

Secondo: Dopo la morte di Alessandro si verifica un relativo aumento del valore dell'oro rispetto a quello dell'argento - in coincidenza con l'esaurimento delle sabbie aurifere, col progresso della tecnica e della civiltà; di conseguenza, apertura delle miniere d'argento; quindi, influsso della maggiore giacenza quantitativa dell'argento rispetto all'oro sulla terra. Ma ciò accade specialmente a causa dello sfruttamento della Spagna da parte dei Cartaginesi, sfruttamento che doveva rivoluzionare il rapporto tra oro e argento quanto la scoperta dell'argento americano verso la fine del XI secolo. Prima dell'età di Cesare il rapporto era = 17 : 1; più tardi passò a 14 : 1; infine, a partire dal 422 n. Ch., diventò = 18 : 1. (La crisi dell'oro nel periodo di Cesare fu dovuta a motivi accidentali). Alla crisi dell'argento rispetto all'oro corrisponde l'avvento del ferro quale principale strumento di produzione in guerra e in pace. Se nel primo periodo veniva un'offerta di oro noi] dall'est, nel secondo veniva un'offerta d'argento dall'ovest.

Terzo, nel Medioevo: il rapporto ritorna al livello in cui era ai tempi di Senofonte, 10 : 1. (In qualche località anche = 12 : 1 ?)39.

Quarto, dopo la scoperta dell'America : il rapporto ritorna ad essere all'incirca quello del tempo di Onorio e Arcadio (397): da 14 a 15 : 1. Per quanto la produzione dell'oro fosse aumentata verso il 1815-1844, l'oro mantenne il primato (p. es. in Francia). È probabile che la scoperta della California e dell'Australia,

Quinto, riconduca il rapporto al livello esistente a Roma nell'età imperiale, ossia 18 : 1, se non ad un livello superiore. Il relativo deprezzamento dell'argento parallelamente al progresso della produzione di metalli nobili si riscontra sia nell'età antica sia in quella moderna, fino a che la scoperta della California e dell'Australia non invertono il processo. Se è vero che in singole situazioni si verificano sensibili oscillazioni, quando però si considerano le differenze fondamentali, queste si ripetono in maniera sorprendente.

Nell'antichità il rame era tre o quattro volte più caro m di oggi (Garnier).

c) Vanno poi considerate le fonti di prelievo dell'oro e dell'argento, é la loro connessione con lo sviluppo storico.

Il denaro come moneta. Breve schizzo storico sulle monete. Deprezzamento e apprezzamento.

[Circolazione del denaro e circolazione delle merci]

La circolazione del denaro corrisponde ad una circolazione delle merci in senso inverso. La merce di A passa nelle mani di B, mentre il denaro di B passa nelle mani di A ecc. La circolazione del denaro, come quella della merce, parte da punti infinitamente diversi e ritorna a punti infinitamente diversi. Il movimento di uscita da un unico centro verso i diversi punti della periferia, e il movimento di ritorno da tutti i punti della periferia verso l'unico centro non hanno luogo nella circolazione del denaro al livello in cui qui la consideriamo, che è quello della sua circolazione immediata, bensì soltanto nella circolazione mediata dalla banca. È vero che questa prima circolazione naturale consiste di una quantità di circolazioni.

Ma la circolazione vera e propria comincia soltanto quando l'oro e l'argento cessano di essere merce; tra paesi esportatori e paesi importatori di metalli nobili non ha luogo alcuna circolazione in questo senso, ma un semplice scambio, giacché qui oro e argento figurano non come denaro ma come merce. Finché il denaro media lo scambio delle merci, ossia qui la loro circolazione, ed è quindi mezzo di scambio, esso è strumento di circolazione, è la ruota della circolazione; ma quando è esso stesso a circolare in questo processo, quando esso segue un proprio movimento, allora esso stesso ha una circolazione : abbiamo cioè la circolazione del denaro. Si tratta di scoprire in che misura questa circolazione è determinata da leggi particolari.

Una cosa è chiara fin dal principio: che se il denaro è ruota di circolazione per la merce, la merce lo è altrettanto per il denaro. Se il denaro fa circolare le merci, le merci fanno circolare il denaro. La circolazione delle merci e la circolazione del denaro dunque si condizionano reciprocamente. Nella circolazione del denaro vanno osservati tre aspetti: 1) la forma del movimento stesso; la linea che esso descrive (il suo concetto); 2) la quantità di denaro circolante; 3) il grado di velocità con cui esso compie il suo movimento, con cui esso circola. Ciò può farsi soltanto in rapporto alla circolazione di merci. E qui è chiaro fin dal principio che la circolazione delle merci possiede momenti che sono assolutamente indipendenti dalla circolazione del denaro, e che anzi o la determinano direttamente, oppure le stesse circostanze che per esempio determinano la velocità della circolazione delle merci determinano anche quella della circolazione del denaro. Il carattere complessivo del modo di produzione determinerà entrambe, e più direttamente la circolazione di merci.

La massa di coloro che scambiano (la massa della popolazione): la loro ripartizione in città e campagna; la quantità assoluta delle merci, dei prodotti e degli agenti della produzione; la massa relativa delle merci poste in circolazione; lo sviluppo dei mezzi di comunicazione e di trasporto nel duplice senso per cui esso determina sia la sfera di coloro che attuano lo scambio reciproco, coloro cioè che entrano in contatto tra loro, sia la velocità con cui la materia prima giunge ai produttori e il prodotto giunge ai consumatori; infine, lo sviluppo dell'industria, che concentra differenti rami di produzione, per esempio filatura, tessitura, tintoria ecc., rendendo così superflua tutta una serie di atti di scambio mediatori. La circolazione delle merci è il presupposto originario della circolazione del denaro. Bisogna vedere poi in che misura quest'ultima a sua volta determina la prima.

[Concetto generale della circolazione]

È necessario anzitutto stabilire il concetto generale di circolazione.

Va osservato inoltre che ciò che il denaro fa circolare sono valori di scambio, e quindi prezzi. Riguardo alla circolazione delle merci dunque va preso in considerazione non solo la loro massa, ma anche i loro prezzi. Una grande quantità di merci a basso valore di scambio, a basso prezzo, richiede evidentemente per la sua circolazione meno denaro di quanto ne richieda una piccola massa al prezzo doppio. Propriamente dunque il concetto di prezzo va sviluppato prima di quello di circolazione. La circolazione è la realizzazione dei prezzi, il movimento in cui le merci vengono trasformate in prezzi: il loro realizzarsi come prezzi. La duplice determinazione del denaro 1) come misura o elemento in cui la merce viene realizzata come valore di scambio, 2) come mezzo di scambio, strumento di circolazione - agiscono in direzione del tutto differente. Il denaro fa circolare soltanto merci che idealmente, ossia non solo nella mente del singolo individuo ma nella rappresentazione della società (e immediatamente delle parti in causa nel processo di compra-vendita), sono già trasformate in denaro. Questa trasformazione ideale in denaro, e quella reale, non sono affatto determinate dalle medesime leggi. Occorre analizzare il loro rapporto reciproco.

[Circolazione dei prezzi]

Una determinazione essenziale della circolazione è che essa fa circolare valori di scambio (prodotti o lavoro), o meglio valori di scambio determinati come prezzi. Qualsiasi tipo di scambio di merci - p. es. baratti, forniture in natura, prestazioni feudali ecc. - non costituisce dunque ancora la circolazione. Per la circolazione sono necessarie anzitutto due cose: primo: il presupposto delle merci in quanto prezzi; secondo: non singoli atti di scambio, ma un circuito di scambi, una totalità di essi, in flusso costante, ed estesi più o meno a tutta l'area della società; un sistema di atti di scambio. La merce è determinata come valore di scambio. Come valore di scambio essa è un equivalente di tutti gli altri valori (merci) in un determinato rapporto (in rapporto al tempo di lavoro in essa contenuto); essa però non corrisponde immediatamente a questa sua determinatezza. Come valore di scambio essa è diversa da se stessa nella sua esistenza naturale. Per porla come tale occorre una mediazione. Nel denaro perciò il valore di scambio le si contrappone come qualcosa di diverso.

La merce posta come denaro non è che la merce come puro valore di scambio, ovvero la merce come puro valore di scambio è denaro. Ma nello stesso tempo il denaro esiste ora al di fuori e accanto alla merce: il suo valore di scambio, il valore di scambio di ogni merce, ha raggiunto un'esistenza indipendente da essa, un'esistenza fattasi autonoma in uno specifico materiale, in una specifica merce. Il valore di scambio della merce esprime la totalità dei rapporti quantitativi entro i quali tutte le altre merci possono essere scambiate con essa, determinata dalle ineguali quantità di merci che possono essere prodotte in un medesimo tempo di lavoro. Il denaro dunque, come valore di scambio di tutte le merci, sta accanto e al di fuori delle merci stesse. Quello è anzitutto la materia generale in cui esse devono essere immerse, dorate e argentate, per raggiungere la loro libera esistenza di valori di scambio. Queste devono essere convertite ed espresse in denaro.

Il denaro diventa il denominatore comune dei valori di scambio, delle merci in quanto valori di scambio. Il valore di scambio espresso in denaro, ossia equiparato al denaro, è il prezzo. Una volta che il denaro è stato posto come elemento autonomo rispetto ai valori di scambio, i valori di scambio vengono posti nella determinatezza del denaro che si contrappone ad essi come soggetto. Ma ciascun valore di scambio è una determinata quantità; è un valore di scambio quantitativamente determinato. Come tale esso equivale ad una determinata quantità di denaro. Questa determinatezza, secondo la legge generale, è data dal tempo di lavoro realizzato nel valore di scambio. Perciò un valore di scambio che è il prodotto poniamo di una giornata, si esprime in una quantità di oro e d'argento che è uguale ad una giornata di tempo di lavoro, che è il prodotto di una giornata lavorativa.

La misura generale dei valori di scambio diventa quindi la misura tra ciascun valore di scambio e il denaro a cui esso è equiparato. (Oro e argento sono anzitutto determinati dai loro costi di produzione nei paesi in cui vengono prodotti. «Nei paesi che possiedono miniere tutti i prezzi dipendono in ultima analisi dai costi di produzione dei metalli nobili; ... la remunerazione pagata al minatore,... rappresenta la scala di misura della remunerazione di tutti gli altri produttori... Il valore aureo e argenteo di ogni merce non sottoposta a monopolio dipende, in un paese non possessore di miniere, dall'oro e dall'argento che possono essere ottenuti esportando il prodotto di una data quantità di lavoro, dal corrente saggio di profitto e, in qualche caso individuale, dall'ammontare dei salari pagati e dal tempo per il quale sono stati anticipati». (Senior).

In altre parole: dalla quantità d'oro e d'argento che si può ottenere direttamente o indirettamente dai paesi possessori di miniere in cambio di una certa quantità di lavoro (prodotti esportabili). Il denaro è anzitutto ciò che esprime il rapporto di uguaglianza di tutti i valori di scambio: in esso, essi sono omonimi).

[Il prezzo]

Il valore di scambio posto nella determinatezza del denaro è il prezzo. Nel prezzo il valore di scambio è espresso come una determinata quantità di denaro. Nel prezzo il denaro si presenta in primo luogo come l’unità di tutti i valori di scambio; in secondo luogo come l'unità di cui essi contengono una determinata quantità, cosicché dall'equiparazione con esso viene espressa la loro determinatezza quantitativa, il loro reciproco rapporto quantitativo.

Il denaro dunque è posto qui come la misura dei valori di scambio; e i prezzi come i valori di scambio commisurati al denaro. Che il denaro sia la misura dei prezzi, e che quindi i valori di scambio vengano reciprocamente equiparati in rapporto ad esso, è una determinazione che risulta da sé. Ma il fatto più importante ai fini dell'analisi è che nel prezzo il valore di scambio viene equiparato al denaro. Una volta che il denaro è stato posto come il valore di scambio autonomo, separato dalle merci, la singola merce, il valore di scambio particolare viene ora di nuovo equiparato al denaro, fatto cioè uguale ad una determinata quantità di denaro, espresso come denaro, convertito in denaro. Per il fatto di essere equiparati al denaro, essi sono di nuovo posti in rapporto reciproco così come lo erano concettualmente in quanto valori di scambio: sicché si coprono, si equiparano in determinati rapporti. Il valore di scambio particolare, la merce, viene espressa, sussunta, posta nella determinatezza del valore di scambio reso autonomo, ossia del denaro. Come ciò accade (come si fa a trovare il rapporto quantitativo tra il valore di scambio quantitativamente determinato e una determinata quantità di denaro), si è visto sopra.

Ma poiché il denaro possiede un'esistenza autonoma esterna alle merci, il prezzo della merce si presenta come relazione esterna dei valori di scambio o merci con il denaro; la merce non è prezzo, così come era valore di scambio dal punto di vista della sua sostanza sociale; questa determinazione non coincide immediatamente con essa; è bensì mediata dalla sua equiparazione al denaro; la merce è valore di scambio, ma ha un prezzo. Il primo era immediatamente unito ad essa, era la sua determinazione immediata con la quale essa altrettanto immediatamente divergeva, sicché da un lato c'era la merce, dall'altro (nel denaro) il suo valore di scambio; ora invece nel prezzo la merce per un verso si riferisce al denaro come qualcosa che è esterna ad essa, in secondo luogo essa è posta anche come denaro ma idealmente, giacché il denaro possiede una realtà distinta da essa. Il prezzo è una proprietà della merce, una determinazione nella quale essa viene rappresentata come denaro. Esso ne è una determinazione non più immediata, ma riflessa. Accanto al denaro reale esiste dunque la merce come denaro idealmente posto.

[Moneta di conto]

Questa determinazione più precisa, sia del denaro come misura, sia della merce come prezzo, viene chiarita nella maniera più semplice dalla differenza tra denaro reale e moneta di conto. Come misura il denaro serve sempre come moneta di conto, e come prezzo la merce è sempre trasformata in denaro soltanto idealmente.

«La stima della merce fatta dal venditore, l'offerta fatta dal compratore, i conti, le obbligazioni, le rendite, gli inventari ecc., insomma tutto ciò che precede e conduce all'atto materiale del pagamento, deve essere espresso in moneta di conto. Il denaro reale interviene soltanto per realizzare i pagamenti e saldare (liquidare) i conti. Se devo pagare 24 livres e 12 sous, la moneta di conto presenta 24 unità di una specie e 12 di un'altra, mentre io pagherò realmente con due tipi di pezzi materiali: un pezzo d'oro del valore di 24 livres e un pezzo d'argento del valore di 12 sous. La quantità totale del denaro reale ha dei limiti obbligati nelle necessità della circolazione. La moneta di conto è una misura ideale che non ha altri limiti se non quelli della immaginazione. Essa è impiegata per esprimere ogni specie di ricchezza a patto che sia considerata dal punto di vista del suo valore di scambio; così per es. la ricchezza nazionale, le entrate dello stato e dei singoli cittadini; i valori di conto, in qualsiasi forma essi esistano, sono regolati dalla medesima forma; per cui non c'è nemmeno un articolo, nella massa degli oggetti di consumo, che non sarebbe più volte trasformato idealmente in denaro, mentre, confrontata con questa massa, la somma totale di denaro effettivo è nel rapporto di 1 : 10» Garnier. (Quest'ultimo rapporto è insoddisfacente. Più esatto quello di 1: molti milioni. Ma questo è del tutto incommensurabile).

Se dunque all'origine il denaro esprime il valore di scambio, ora la merce come prezzo, come valore di scambio idealmente posto, mentalmente realizzato, esprime una somma di denaro: denaro in una determinata proporzione. Come prezzi tutte le merci sono in varie forme rappresentanti del denaro, mentre prima il denaro, come valore di scambio reso autonomo, era il rappresentante di tutte le merci. Dopo che il denaro è stato posto realmente come merce, la merce viene posta idealmente come denaro.

È chiaro ora innanzitutto che in questa ideale trasformazione delle merci in denaro, o nella realizzazione delle merci come prezzi, la quantità di denaro realmente esistente è assolutamente indifferente, e ciò in duplice rispetto. Primo: l'ideale trasformazione delle merci in denaro è prima facie indipendente e non limitata dalla massa di denaro reale. Per questo processo non occorre nemmeno un pezzo di denaro, così come non occorre adoperare realmente una misura di lunghezza (per es. un braccio) per esprimere, poniamo, la quantità ideale di braccia. Se per es. l'intera ricchezza nazionale d'Inghilterra fosse stimata in denaro, fosse cioè espressa in termini di prezzo, ognuno sa che non c'è abbastanza denaro nel mondo per realizzare tale prezzo. A tale scopo il denaro occorre soltanto come categoria, come rapporto ideale.

Secondo: Poiché il denaro vale come unità, onde la merce viene espressa in modo da contenere una determinata somma di parti aliquote di denaro, viene cioè misurata mediante esso denaro, la misura tra i due è la misura generale dei valori di scambio - i costi di produzione o il tempo di lavoro. Per cui se 1 /3 di un'oncia d'oro è il prodotto di una giornata lavorativa e la merce x è il prodotto di 3 giornate lavorative, la merce x=l oncia o 3 Lst., 17 scellini e 4 pennies. Nella misurazione del denaro e della merce interviene di nuovo l'originaria misura dei valori di scambio. Invece che in 3 giornate lavorative, la merce viene espressa nella quantità di oro e d'argento prodotta in 3 giornate lavorative. La

determinare il prezzo, e solo la vendita frequente può fissare una misura uniforme. La vendita frequente di articoli di prima necessità dipende dal rapporto tra città e campagna» ecc.).

Una sviluppata determinazione dei prezzi presuppone che il singolo non produca direttamente il suo fabbisogno, ma che invece il suo prodotto immediato sia un valore di scambio, e cioè debba essere anzitutto mediato da un processo sociale per poter diventare suo mezzo di sussistenza. Tra il pieno sviluppo di questa base della società industriale e la condizione patriarcale esistono molti livelli intermedi, infinite sfumature. Il risultato delle considerazioni fatte alla lettera a) è il seguente: ad un aumento dei costi di produzione dei metalli nobili corrisponde una diminuzione di tutti i prezzi delle merci; ad una diminuzione dei costi di produzione dei metalli nobili corrisponde un aumento di tutti i prezzi delle merci. Questa è la legge generale che, come vedremo, subisce modificazioni in particolare.

[Mezzo di circolazione]

b) Se nei prezzi i valori di scambio vengono idealmente trasformati in denaro, nello scambio, nella compra-vendita invece essi vengono realmente trasformati in denaro, scambiati con denaro, per poi di nuovo scambiarsi, come denaro, con merci. Il valore di scambio particolare deve essere anzitutto scambiato con quello generale, per potersi poi di nuovo scambiare con quello particolare. La merce come valore di scambio viene realizzata soltanto attraverso questo movimento di mediazione nel quale il denaro fa da mediatore. Il denaro dunque circola in una direzione opposta a quella delle merci. Esso si presenta come il mediatore dello scambio delle merci, come il mezzo dello scambio. Esso è la ruota, lo strumento di circolazione per la circolazione delle merci; ma in quanto tale possiede nello stesso tempo una sua propria circolazione - la circolazione del denaro. Il prezzo della merce viene realizzato soltanto nello scambio di essa con denaro reale, o nel suo scambio reale col denaro.

[Quantità di denaro circolante]

Questo è dunque il risultato di quanto si è detto finora. Le merci vengono scambiate realmente con denaro, trasformate in denaro reale, solo dopo essere state previamente trasformate idealmente in denaro - dopo aver ricevuto cioè la determinazione del prezzo ed essere state trasformate in prezzi. I prezzi sono dunque il presupposto della circolazione del denaro, per quanto la loro realizzazione si presenti come risultato di essa. Le circostanze che fanno salire o scendere i prezzi delle merci, poiché fanno salire o scendere il loro valore di scambio al di sopra o al di sotto del loro valore medio, vanno sviluppate nella sezione sul valore di scambio in quanto precedono il processo della loro effettiva realizzazione in denaro; si presentano cioè dapprima completamente indipendenti da questa. I reciproci rapporti numerici, per il fatto di essere espressi in frazioni decimali, rimangono naturalmente gli stessi. Si tratta soltanto di una diversa denominazione. Per far circolare realmente le merci occorrono mezzi di trasporto; il denaro non può farci nulla. Se io ho comprato 1000 libbre di ferro per l'importo di x Lst., la proprietà del ferro è passata nelle mie mani. Le mie x Lst. hanno assolto al loro servizio di mezzo di scambio e hanno circolato al pari del titolo di proprietà. Il venditore viceversa ha realizzato il prezzo del ferro, il ferro come valore di scambio. Ma per portare ora il ferro da lui a me, il denaro non serve a nulla; serve invece un carro, un cavallo, una strada ecc. La circolazione reale delle merci nel tempo e nello spazio non è attuata dal denaro. Esso realizza soltanto il loro prezzo, trasferendo così il titolo sulla merce al compratore, a colui che ha offerto i mezzi di scambio. Ciò che vien fatto circolare dal denaro non sono le merci ma i titoli di proprietà su di esse; e ciò che in cambio di esso viene realizzato in questa circolazione, ossia nella compra-vendita, sono di nuovo non le merci, ma i loro prezzi. La quantità di denaro richiesta dunque per la circolazione è determinata anzitutto dal livello alto o basso dei prezzi delle merci messe in circolazione. La somma totale di questi prezzi è però determinata, primo: dai prezzi delle singole merci; secondo: dalla quantità di merci a determinati prezzi che entra in circolazione. Per esempio: per far circolare un quarter di grano a 60 scellini occorre il doppio di scellini che per farlo circolare al prezzo di 30 scellini. E se si dovessero far circolare 500 di questi quarters a 60 scellini, occorrerebbero 30.000 scellini, mentre per la circolazione di 200 di essi occorrono soltanto 12.000 scellini. Il che vuol dire che la quantità di denaro richiesta per la circolazione dipende dal livello alto o basso dei prezzi delle merci e dalle quantità di merci ad un determinato prezzo.

Ma, terzo: la quantità di denaro richiesta per la circolazione dipende non soltanto dalla somma complessiva dei prezzi da realizzare, ma anche dalla velocità di circolazione del denaro, dalla velocità con cui attua questa realizzazione. Se 1 tallero in un'ora opera 10 compere ogni volta al prezzo di 1 tallero, ossia si scambia dieci volte, esso compie esattamente lo stesso ufficio di 10 talleri che effettuassero soltanto 1 compera in un'ora. La velocità è il momento negativo; essa sostituisce la quantità; per suo mezzo un singolo pezzo di denaro si moltiplica.

Le circostanze che determinano da una parte la massa dei prezzi delle merci da realizzare, dall'altra la velocità di circolazione del denaro, andranno indagate più avanti. Per ora è chiaro che non i prezzi sono alti o bassi perché circola molto o poco denaro, ma che molto o poco denaro circola perché i prezzi sono alti o bassi; e inoltre, che non è la velocità del denaro circolante a dipendere dalla sua quantità, ma è la quantità del mezzo circolante a dipendere dalla sua velocità (nei pagamenti a peso non si conta, ma appunto si pesa; quindi il tempo si abbrevia).

Tuttavia, come già si è visto, la circolazione del denaro non parte da un unico centro né ritorna ad un unico centro da tutti i punti della periferia (come accade per le banche di emissione e in parte per la finanza pubblica); essa invece parte da infiniti punti e ritorna ad infiniti punti (ove questo stesso ritorno, e il tempo in cui viene compiuto, sono accidentali). La velocità del mezzo di circolazione dunque solo fino ad un certo punto può sostituire la quantità del mezzo circolante. (Per esempio: fabbricanti e fittavoli pagano all'operaio; questi paga al bottegaio ecc.; da costui il denaro ritorna ai fabbricanti e ai fittavoli). Una medesima quantità d'oro può effettuare una serie di pagamenti soltanto successivamente, quale che sia la sua velocità. E se invece occorre effettuare una determinata massa di pagamenti simultaneamente? Allora la circolazione ha il suo punto di partenza in una massa di molti punti simultaneamente. Per la circolazione dunque occorre una determinata quantità di denaro, che sarà sempre in circolazione, e che è determinata dalla somma complessiva che proviene dai simultanei punti di partenza della circolazione, e dalla velocità con cui percorre il suo tragitto di ritorno. Per quanto poi tale quantità di mezzo circolante sia esposta a flussi e riflussi, tuttavia si stabilisce un livello medio; le trasformazioni permanenti infatti sono soltanto assai graduali, procedono per periodi lunghi e, come vedremo, vengono continuamente paralizzate da una quantità di circostanze accessorie.

(In riferimento al punto a: «Misura, usato come attributo del denaro, vuol dire segno del valore». È ridicolo dire che «i prezzi devono cadere perché le merci sono valutate tante once d'oro, e l'ammontare dell'oro è diminuito in questo paese ... L'efficienza dell'oro come segno del valore non è influenzata dalla sua maggiore o minore quantità in un particolare paese. Se si riuscisse, mediante espedienti bancari, a ridurre della metà la circolazione cartacea e metallica di questo paese, il valore relativo dell'oro e delle merci rimarrebbe identico». Esempio del Perù nel XVI secolo e trasmissione dalla Francia all'Inghilterra. Hubbard VIII 45)44 («Sulla costa africana né l'oro né l'argento sono una misura del valore; invece di una sua misura ideale, esiste una immaginaria barra». Jacob V, 15)45.

Nella sua determinazione di misura, il denaro è indifferente alla sua quantità, ovvero la quantità di denaro esistente è indifferente. Nella sua determinatezza di mezzo di scambio, di mezzo di circolazione, la sua quantità è misurata. Bisognerà vedere in seguito se queste due determinazioni del denaro non possono entrare in contraddizione reciproca.

(Il concetto di circolazione forzosa o non volontaria (vedi Steuart)46 non rientra ancora nel nostro discorso).

[Scambio e produzione di valore di scambio]

Elemento essenziale della circolazione è che lo scambio si presenta come un processo, come una totalità fluida di compere e vendite. Il suo primo presupposto è la stessa circolazione delle merci, come loro circolazione naturale che parte da una molteplicità di punti. La condizione della circolazione delle merci è che esse siano prodotte come valori di scambio, non come valori d'uso immediati, ma come valori d'uso mediati dal valore di scambio. L'appropriazione attraverso e mediante l'espropriazione e l'alienazione è un presupposto fondamentale. La circolazione quale realizzazione dei valori di scambio implica: 1) che il mio prodotto è tale solo in quanto è per un altro; quindi è un individuale tolto, un universale; 2) che esso è un prodotto per me solo nella misura in cui è stato espropriato ed è divenuto per un altro; 3) che esso è un prodotto per un altro solo nella misura in cui questo stesso espropria il suo prodotto; il che già implica 4) che la produzione non si presenta per me come fine a se stessa, ma come mezzo. La circolazione è il movimento nel quale l'espropriazione generale si presenta come generale appropriazione e la generale appropriazione come espropriazione generale. Per quanto ora la totalità di questo movimento si presenti come processo sociale, e per quanto i singoli momenti di questo movimento provengano dalla volontà cosciente e dagli scopi particolari degli individui, tuttavia la totalità del processo si presenta come una connessione oggettiva che nasce naturalmente, che è bensì il risultato dell'interazione reciproca degli individui coscienti, ma non risiede nella loro coscienza, né, come totalità, viene ad essi sussunta. La loro individuale collisione reciproca produce un potere sociale estraneo che li sovrasta; la loro azione reciproca è un processo e una forza indipendenti da loro. La circolazione, essendo una totalità del processo sociale, ne è anche la prima forma, nella quale non soltanto il rapporto sociale - come avviene per es. nel pezzo di moneta o nel valore di scambio, si presenta come qualcosa di indipendente dagli individui, ma la totalità del movimento sociale stesso. La relazione sociale degli individui tra di loro come potere fattosi autonomo al di sopra degli individui - sia essa rappresentata come forza naturale, come caso o in qualsiasi altra forma - è un risultato necessario del fatto che il punto di partenza non è il libero individuo sociale. La circolazione come prima totalità tra le categorie economiche si presta ottimamente a chiarire questo problema.

[La circolazione come falso processo all'infinito]

A prima vista, la circolazione si presenta come un falso processo all'infinito. La merce viene scambiata con denaro; il denaro viene scambiato con la merce e

così all'infinito. Questa costante reiterazione del medesimo processo costituisce di fatto un momento essenziale della circolazione. Ma, osservata più attentamente, essa presenta ancora altri fenomeni: i fenomeni del conchiudersi o del ritorno del punto di partenza in se stesso. La merce viene scambiata con denaro; il denaro viene scambiato con la merce. Si ha così uno scambio tra merce e merce, solo che questo scambio è mediato. Il compratore diventa a sua volta venditore e il venditore a sua volta compratore. In tal modo ciascuno è posto nella duplice e opposta determinazione, e si ha l'unità vivente di ambedue le determinazioni. Ma è del tutto falso - come fanno gli economisti non appena si palesano le contraddizioni del denaro -, fissare di colpo soltanto i risultati finali senza tener conto del processo che li media, soltanto l'unità senza la differenza, l'affermazione senza la negazione. Nella circolazione la merce si scambia con la merce: ma altresì essa non si scambia con la merce, in quanto si scambia con denaro. In altre parole, gli atti di compera e vendita si presentano come due atti reciprocamente indifferenti, reciprocamente distanti nello spazio e nel tempo. Quando si dice che colui che vende compra anche, in quanto compra denaro, e che colui che compra vende anche, in quanto vende denaro, si prescinde appunto dalla differenza, dalla differenza specifica tra merce e denaro. Gli economisti, dopo averci mostrato bellamente che il baratto, nel quale i due atti coincidono, non soddisfa ad una forma sociale e ad un modo di produzione più sviluppati, tutt'a un tratto considerano il baratto mediato dal denaro come immediato, prescindendo dal carattere specifico di questa transazione. Dopo averci mostrato che, nonché la merce, è necessario il denaro, tutt'a un tratto sostengono che non esiste alcuna differenza tra denaro e merce. La ragione per cui ci si rifugia in questa astrazione sta nel fatto che nello sviluppo reale nascono contraddizioni che sono spiacevoli per l'apologetica del common sense borghese, e che perciò vanno occultate. In quanto la compera e la vendita, i due momenti essenziali della circolazione, sono reciprocamente indifferenti e separate nello spazio e nel tempo, esse non hanno alcun bisogno di coincidere. La loro indifferenza può giungere fino al consolidamento e all'apparente autonomia dell'una rispetto all'altra. Ma in quanto esse sono entrambe momenti essenziali di un unico tutto, deve esserci un momento in cui la figura autonoma viene violentemente infranta e l'unità interna viene ristabilita dall'esterno mediante una violenta esplosione. Così già nella determinazione del denaro come mediatore, e nello scindersi dello scambio in due atti, c'è il germe delle crisi, per lo meno la loro possibilità, la quale non può essere realizzata se non quando esistono le condizioni fondamentali della circolazione nel suo sviluppo classico, corrispondente al suo concetto.

[Realizzazione del prezzo e autonomizzazione dell'equivalente generale]

Si è visto inoltre che nella circolazione il denaro solamente realizza i prezzi. Il prezzo si presenta dapprima come una determinazione ideale della merce; ma il denaro scambiato con la merce è il suo prezzo realizzato, il suo prezzo reale. Il prezzo si presenta perciò sia esternamente e indipendentemente accanto alla merce, sia idealmente esistente in essa. Se essa non può essere realizzata in denaro, cessa di essere circolabile, e il suo prezzo diventa soltanto immaginario; così come all'origine il prodotto trasformato in valore di scambio, se non viene realmente scambiato, cessa di essere prodotto. (Qui non si parla di aumento e diminuzione dei prezzi). Nella considerazione a) il prezzo si presentava come determinazione interna alle merci; nella considerazione b) invece il denaro si presenta come prezzo esterno alla mercé. Non si tratta soltanto di domanda della merce, ma di domanda in termini di moneta. La merce dunque, qualora il suo prezzo non possa essere realizzato, qualora cioè essa non possa essere trasformata in denaro, è merce svalutata, deprezzata. Il valore di scambio espresso nel suo prezzo deve essere sacrificato non appena si impone questa specifica trasformazione in denaro. Di qui i lamenti di Boisguillebert47 per esempio, sul denaro che è il carnefice di tutte le cose, il Moloch a cui tutto va sacrificato, il despota delle merci. Nell'età della nascente monarchia assoluta, con la sua trasformazione di tutte le imposte in imposte pecuniarie, il denaro figura effettivamente come il Moloch a cui viene sacrificata la ricchezza reale. E tale esso si presenta anche in tutti i casi di panico monetario. Da schiavo del commercio, dice Boisguillebert, il denaro ne è diventato il despota. Ma in realtà già nella determinazione dei prezzi è implicito ciò che si realizza nello scambio con denaro; e cioè che non è più il denaro che rappresenta la merce, ma è la merce che rappresenta il denaro. I lamenti sul commercio mediante denaro come commercio non legittimo li ritroviamo in alcuni scrittori che rappresentano il trapasso dall'età feudale all'età moderna; e, in seguito, nei socialisti.

[L'equivalente generale. Separazione tra compera e vendita. Denaro e divisione del lavoro]

a) Quanto più si sviluppa la divisione del lavoro, tanto più il prodotto cessa di essere un mezzo di scambio. Interviene allora la necessità di un mezzo di scambio universale, indipendente dalla produzione specifica di ciascuno. Nella produzione diretta alla sussistenza immediata non è possibile che ogni articolo si scambi con ogni altro, e una determinata attività può scambiarsi soltanto con determinati prodotti. Quanto più i prodotti si specificano, si differenziano e perdono di autonomia, tanto più diventa necessario un mezzo di scambio universale. All'inizio è il prodotto del lavoro, o il lavoro stesso il mezzo di scambio universale. Ma esso cessa sempre più di essere mezzo di scambio universale, quanto più si specifica. Una divisione del lavoro relativamente sviluppata presuppone che i bisogni di ciascuno siano diventati estremamente multilaterali e il suo prodotto sia diventato estremamente unilaterale. Il bisogno di scambio e il mezzo di scambio immediato si sviluppano in proporzione inversa. Donde, la necessità di un mezzo di scambio universale, nel quale il prodotto determinato e il lavoro determinato si scambino con la capacità di scambiare. Il valore di scambio di una cosa non è altro che l'espressione quantitativamente specificata della sua capacità di servire da mezzo di scambio. Nel denaro il mezzo di scambio stesso diventa cosa, o il valore di scambio della cosa acquista una esistenza autonoma al di fuori della cosa stessa. Poiché la merce di fronte al denaro è un mezzo di scambio di limitate possibilità, essa può cessare, nei confronti del denaro, di essere mezzo di scambio.

3) La scissione dello scambio in compera e vendita dà la possibilità che io compri soltanto, senza vendere (accaparramento di merci), oppure venda soltanto, senza comprare (accumulazione di denaro). Essa rende possibile la speculazione. Fa dello scambio un negozio particolare; ossia dà un fondamento al ceto mercantile48. Questa scissione ha reso possibile una massa di transazioni che si interpongono tra lo scambio definitivo delle merci, e abilita ima massa di persone a sfruttare questa separazione. Essa ha reso possibile una massa di transazioni fittizie. Ma ben presto si rivela che ciò che figurava come un atto essenzialmente scisso, è invece qualcosa di essenzialmente omogeneo; e ciò che si pensava fosse un atto essenzialmente omogeneo, in realtà è essenzialmente scisso. In momenti in cui la compera e la vendita si irrigidiscono come atti essenzialmente diversi, si ha il deprezzamento generale di tutte le merci. In momenti in cui viene in luce che il denaro è soltanto mezzo di scambio, si ha il deprezzamento del denaro. Generale caduta o rialzo dei prezzi.

Con il denaro è data la possibilità di una assoluta divisione del lavoro, in ragione dell'indipendenza del lavoro dal suo prodotto specifico, cioè dall'immediato valore d'uso del suo prodotto ai suoi fini. Il generale rialzo dei prezzi in periodi di spe-culazione non può essere attribuito ad un generale aumento del suo valore di scambio o dei suoi costi di produzione; giacché se il valore di scambio o i costi di produzione dell'oro aumentassero proporzionalmente a quelli di tutte le altre merci, i loro valori di scambio espressi in denaro, ossia i loro prezzi, rimarrebbero identici. Tanto meno lo si può attribuire ad una diminuzione del prezzo di produzione dell'oro. (Qui non si parla ancora del credito). Ma poiché il denaro non è solo una merce generale, ma anche una merce particolare, e come tale è soggetta alle leggi della domanda e dell'offerta, allora la domanda generale di merci particolari e non di denaro deve farlo ribassare.

Noi vediamo dunque che è nella natura del denaro risolvere le contraddizioni sia del baratto immediato sia del valore di scambio, solo in quanto le generalizza. Che prima il mezzo di scambio particolare si scambiasse o meno con uno particolare, era un fatto accidentale; ora invece la merce deve scambiarsi col mezzo di scambio universale, rispetto al quale la sua particolarità sta in una contraddizione ancora più grande. Per assicurare la scambiabilità della merce, le si contrappone la scambiabilità stessa come una merce autonoma. (Da mezzo, esso diventa scopo). Il problema era: se la merce particolare incontra la particolare. Ma il denaro toglie lo stesso atto dello scambio scindendolo in due atti reciprocamente indifferenti.

(Prima di sviluppare i problemi della circolazione, forte, debole ecc., e in specie il punto controverso riguardante la quantità di denaro circolante e i prezzi, occorre esaminare la terza determinazione del denaro).

[M-D-M e D-M-D]

Un momento della circolazione è che la merce si scambia con la merce mediante il denaro. Ma ha luogo anche l'altro momento, per cui cioè non solo la merce si scambia col denaro e il denaro con la merce, ma altresì il denaro si scambia con la merce e la merce col denaro; sicché il denaro, attraverso la merce, viene mediato con se stesso e si presenta come l'unità che nella sua circolazione combacia con se stessa. In tal modo esso figura non più come mezzo, ma come scopo della circolazione {per es. nel ceto mercantile, e in generale nel commercio). Se la circolazione viene considerata non soltanto come un perpetuo alternarsi, ma nei cicli che essa descrive al suo interno, allora questo ciclo si presenta sotto un duplice aspetto; da una parte abbiamo: merce-denaro-denaro-merce; dall'altra: denaro-merce-merce- denaro; ossia: se io vendo per comprare, posso altresì comprare per vendere. Nel primo caso il denaro è soltanto mezzo per ottenere le merci, e le merci sono lo scopo; nel secondo caso la merce è soltanto mezzo per ottenere denaro e il denaro è lo scopo. Ciò risulta in maniera molto semplice solo che si afferrino insieme i momenti della circolazione. Considerata come semplice circolazione, è necessariamente indifferente quale punto io prenda come punto di partenza.

C'è invero una specifica differenza tra la merce che si trova in circolazione e il denaro che si trova in circolazione. La merce viene ad un certo punto espulsa dalla circolazione e adempie alla sua determinazione definitiva solo quando ne viene definitivamente sottratta e viene consumata, non importa se nell'atto della produzione o in quello «del consumo vero e proprio. La determinazione del denaro al contrario è quella di rimanere nella circolazione con funzione di ruota della circolazione stessa, ossia di ricominciare sempre da capo la sua circolazione come perpetuum mobile.

Nondimeno nella circolazione troviamo quella seconda determinazione al pari della prima. Si può dunque dire: lo scambio tra merce e merce ha un senso in quanto le merci. Per quanto equivalenti come prezzi, sono qualitativamente

diverse, e il loro scambio quindi soddisfa in fondo bisogni qualitativamente diversi. Per contro, lo scambio tra denaro e denaro non ha nessun senso; a meno che non ci sia una differenza quantitativa, che cioè se ne scambi meno con più, che si venda più caro di quanto si compri -, ma non abbiamo ancora a che fare con la categoria del profitto. Il sillogismo denaro-merce-merce-denaro che noi ricaviamo dall'analisi della circolazione apparirebbe così una pura astrazione arbitraria e insensata, quasi che si volesse descrivere il ciclo della vita: morte-vita-morte; sebbene poi in quest'ultimo caso non si potrebbe negare che la perenne risoluzione dell'individualizzato nell'elementare è un momento del processo naturale tanto quanto la perenne individualizzazione dell'elementare. Parimente, nell'atto della circolazione abbiamo tanto la perenne trasformazione delle merci in denaro, quanto la perenne trasformazione del denaro in merci. Nel processo reale del comprare per poi rivendere, agisce naturalmente il motivo del profitto e lo scopo finale di scambiare, attraverso la merce, meno denaro con più denaro, dato che non c'è alcuna differenza qualitativa tra denaro e denaro (a prescindere qui sia dal particolare denaro metallico che da particolari tipi di moneta). Tuttavia resta innegabile che l'operazione può fallire, sicché lo scambio del denaro col denaro senza differenza quantitativa si verifica frequentemente nella realtà e può pertanto verificarsi. Ma affinché questo processo, su cui si basa il commercio e che perciò anche dal punto di vista dell'estensione costituisce un fenomeno fondamentale della circolazione, sia possibile in generale, è necessario riconoscere il ciclo denaro-merce-merce-denaro come una forma specifica della circolazione. Questa forma si distingue specificamente da quella in cui il denaro compare come semplice mezzo di scambio delle merci, come termine medio, come premessa minore del sillogismo. Oltre alla determinatezza quantitativa che ha nel commercio, questo processo va sceverato nella sua forma puramente qualitativa, nel suo specifico movimento. Secondo : esso implica già che il denaro non vale né soltanto come misura, né come mezzo di scambio, né come l'uno e l'altro insieme solamente; bensì possiede una terza determinazione. Esso si presenta qui anzitutto come fine a se stesso, alla cui semplice realizzazione servono il mercato e lo scambio. In secondo luogo, dal momento che con esso qui il ciclo si chiude, esso esce da quest'ultimo, così come la merce scambiata mediante il denaro col suo equivalente viene espulsa dalla circolazione. È verissimo che il denaro, finché è determinato come semplice agente della circolazione, rimane perennemente rinchiuso nel suo ciclo. Ma qui si rivela che c'è ancora qualcos'altro al di fuori di questo strumento di circolazione, e che esso possiede anche un'esistenza autonoma esterna alla circolazione, e in questa nuova determinazione può esserle ben sottratto così come la merce deve esserle continuamente sottratta in maniera definitiva. Dobbiamo dunque passare a considerare il denaro nella sua terza determinazione, nella quale esso racchiude in sé le prime due in quanto determinazioni, e cioè sia quella di fungere da misura, sia quella di essere il mezzo di scambio universale e' pertanto la realizzazione dei prezzi delle merci.

C. - IL DENARO COME RAPPRESENTANTE MATERIALE DELLA RICCHEZZA (ACCUMULAZIONE DEL DENARO; MA PRIMA ANCORA: IL DENARO COME MATERIA GENERALE DEI CONTRATTI ECC.)

È nella natura del circolo che ogni punto compaia nello stesso tempo come punto iniziale e punto finale, e cioè che esso presenti l'un aspetto in quanto presenta anche l'altro. La formula D-M-M-D è dunque giusta quanto l'altra M-D-D-M, che è quella originaria. La difficoltà è che la merce altrui è diversa qualitativamente; mentre non è così per il denaro altrui. Esso può essere diverso soltanto quantitativamente. - Considerato come misura, la sostanza materiale del denaro è essenziale, quantunque la sua presenza materiale, e più precisamente la sua quantità, ossia il numero di volte in cui è presente la porzione d'oro o d'argento che serve da unità, gli sia del tutto indifferente in questa determinazione, e in generale venga usata soltanto come unità immaginaria, non esistente. Se è ciò che deve essere presente in questa determinazione, essa lo è come unità e non come quantità. Se io dico che una libbra di cotone vale 8 pennies, dico che 1 libbra di cotone =1/116 di oncia d'oro (l'oncia a 3 Lst. 17 scellini e 7 pennies) (931 pennies). Ciò esprime dunque nello stesso tempo la sua determinatezza di valore di scambio nei confronti di tutte le altre merci, di equivalente di tutte le altre merci che contengono tante e tante volte l'oncia d'oro, essendo tutte parimenti equiparate all'oncia d'oro. Questo rapporto originario della libbra di cotone con l'oro, mediante il quale si determina la quantità d'oro contenuta in un'oncia di cotone, è posto dalla quantità di tempo di lavoro realizzato in entrambi, che è la reale sostanza comune dei valori di scambio. Ciò va anticipato dal capitolo che tratta del valore di scambio in quanto tale. La difficoltà di trovare questa equazione non è grande come sembra. Per esempio nel lavoro che produce direttamente oro, una determinata quantità d'oro si presenta direttamente come il prodotto, poniamo, di una giornata lavorativa. La concorrenza equipara le altre giornate lavorative a questa, modificandis modificatis. E ciò direttamente o indirettamente. Insomma nella produzione immediata dell'oro una determinata quantità d'oro si presenta immediatamente come prodotto e perciò come il valore, l'equivalente di un determinato tempo di lavoro. Per dire allora quanto oro è contenuto in una determinata merce, è sufficiente determinare il tempo di lavoro realizzato nelle varie merci, ed equipararlo al tempo di lavoro che produce direttamente l'oro. La determinazione di tutte le merci come prezzi - come valori di scambio misurati - è un processo che si effettua solo successivamente, che presuppone uno scambio frequente e quindi una frequente equiparazione delle merci come valori di scambio; ma una volta che l'esistenza delle merci come prezzi è divenuta un presupposto - un presupposto che è esso stesso un prodotto del pro-cesso sociale, un risultato del processo sociale di produzione -, la determinazione di nuovi prezzi si presenta semplice, giacché gli elementi dei costi di produzione esistono allora già nella forma di prezzi e sono quindi facilmente addizionabili. (Alienazione frequente, vendita, vendita frequente; Steuart49. Anzi, tutto ciò deve avere una continuità, affinché i prezzi abbiano una certa regolarità). Ma il punto a cui volevamo giungere è questo: il rapporto oro-merci, finché l'oro vale come unità di misura, viene determinato attraverso il baratto, attraverso la compra-vendita immediata, al pari del rapporto di tutte le altre merci tra loro. Nel baratto tuttavia il valore di scambio è il prodotto soltanto in sé; è la sua prima forma fenomenica; il prodotto però non è ancora posto come valore di scambio. Questa determinazione in primo luogo non domina tutta la produzione, ma riguarda soltanto il suo superfluo ed è perciò più o meno essa stessa superflua (come lo scambio stesso); è un'accidentale dilatazione della sfera delle soddisfazioni e dei godimenti (relazione con nuovi oggetti). Esso perciò si riscontra soltanto in pochi punti (principalmente là dove le comunità naturali cessavano di esistere, entrando in contatto con l'esterno), è limitato ad un ambito ristretto, costituisce qualcosa di transitorio e di incidentale rispetto alla produzione, e scompare con la stessa casualità con cui è sorto. Il baratto, nel quale si scambia a caso l'eccedente della propria produzione con l'eccedente della produzione altrui, è soltanto la prima comparsa del prodotto nella forma di valore di scambio in generale, ed è determinato da bisogni e desideri accidentali ecc. Ma se dovesse proseguire, se dovesse diventare un atto continuativo che contiene in se stesso i mezzi del suo continuo rinnovarsi, allora subentra gradualmente, in maniera altrettanto estrinseca e accidentale, la regolazione dello scambio reciproco mediante la regolazione della reciproca produzione, e allora i costi di produzione, che infine si risolvono tutti in tempo di lavoro, diventerebbero la misura dello scambio. Ciò ci mostra come nasce lo scambio e il valore di scambio della merce. Le circostanze nelle quali si presenta per la prima volta un rapporto ci mostrerebbero la stessa cosa ma non nella sua purezza, né nella sua totalità. Un prodotto, posto come valore di scambio, sostanzialmente non è più un qualcosa di semplice; in una delle sue qualità naturali esso è posto in maniera differente; è posto come rapporto, e questo rapporto è generale, è cioè un rapporto non con ima merce ma con ogni merce, con ogni prodotto possibile. Esso esprime dunque un rapporto generale, il prodotto che si riferisce a se stesso come realizzazione di una determinata quantità di lavoro generale, di tempo di lavoro sociale, e pertanto è l'equivalente di ogni altro prodotto nella proporzione espressa nel suo valore di scambio. Il valore di scambio suppone il lavoro sociale quale sostanza di tutti i prodotti a prescindere completamente dalla loro naturalità. Nulla può esprimere un rapporto senza riferirsi a un qualcosa, né un rapporto generale senza riferirsi a qualcosa di generale. Poiché il lavoro è movimento, il tempo ne è la sua misura naturale. Il baratto nella sua forma più rozza suppone il lavoro quale sostanza e il tempo di lavoro quale misura delle merci; il che risulta anche non appena esso viene regolarizzato, non appena diventa continuativo contenendo in se stesso le condizioni vicendevoli della sua reiterazione. - Mezzo di scambio la merce è solo in quanto viene espressa in un'altra cosa, e quindi come rapporto Un moggio di frumento vale tanti moggi di segala; in questo caso il frumento è valore di scambio nella misura in cui è espresso in segala, e la segala è valore di scambio nella misura in cui viene espressa in frumento. Finché ciascuno dei due si riferisce soltanto a se stesso, non è valore di scambio. Dunque nel rapporto in cui il denaro compare come misura, nemmeno esso è espresso come rapporto, come valore di scambio, ma soltanto come una quantità naturale di una certa materia, come una porzione naturale d'oro e d'argento che ha un certo peso. In generale la merce in cui è espresso il valore di scambio di un'altra non è mai espressa come valore di scambio, mai come rapporto, bensì come una determinata quantità nella sua fattezza naturale. Se 1 moggio di frumento vale 3 moggi di segala, soltanto il moggio di frumento è espresso come valore, e non il moggio di segala. Certo, in sé, anche l'altro è posto; in questo caso ad 1 moggio di segala equivale 1/3 di moggio di frumento; ma ciò non è posto, ma è soltanto un secondo rapporto immediatamente implicito, s'intende, nel primo. Se una merce è espressa in un'altra, essa è posta come rapporto, mentre l'altra è posta come semplice quantità di una certa materia. 3 moggi di segala non sono in sé alcun valore, ma soltanto segala che occupa una determinata quantità di spazio, che è cioè commisurata ad una misura spaziale. Lo stesso accade col denaro come misura, come unità in cui vengono misurati i valori di scambio delle altre merci. Esso è un determinato peso della sostanza naturale nel quale è rappresentato, oro, argento ecc. Se 1 moggio di frumento ha il prezzo di 77 scellini e 7 pennies, esso è espresso come un'altra cosa cui è uguale, come 1 oncia d'oro, come rapporto, come valore di scambio. Ma un'oncia d'oro in sé non è un valore di scambio; non è espressa come valore di scambio, ma come una determinata quantità di se stessa, della sua sostanza naturale, ossia dell'oro. Se un moggio di frumento ha il prezzo di 77 scellini e 7 pennies o di 1 oncia di oro, questo può essere un valore maggiore o minore, dal momento che 1 oncia di oro aumenterà o diminuira di valore in rapporto alla quantità di lavoro richiesto per la sua produzione. Ma ciò è indifferente ai fini dellandeterminazione del suo prezzo in quanto tale, giacché il suo prezzo di 77 scellini e 7 pennies esprime esattamente il rapporto in cui esso è equivalente di tutte le altre merci, ossia la proporzione in cui esso può comprarle. La particolare determinazione del prezzo del quarter a 77 o a 1780 scellini esula dalla determinazione del prezzo in generale, vale a dire dal fatto di porre il frumento come prezzo. Esso ha comunque un prezzo, sia questo 100 o 1 scellino. Il prezzo non fa che esprimere il suo valore di scambio in un'unità comune a tutte le merci; esso suppone dunque che questo valore di scambio sia già regolato da altri rapporti. Naturalmente, per trovare che 1 quarter di frumento abbia il prezzo di 1 oncia di oro - visto che oro e frumento, come oggetti naturali, non hanno assolutamente nessun rapporto reciproco, che come tali non sono l'uno misura dell'altro, e sono indifferenti l'uno all'altro -, bisogna porre 11211 l'oncia di oro a sua volta in rapporto al tempo di lavoro necessario alla sua produzione, cosicché entrambi, frumento e oro, sono posti in rapporto ad un terzo elemento, il lavoro, ed equiparati in tale rapporto; entrambi cioè devono essere reciprocamente confrontati come valori di scambio. Ma ciò ci mostra soltanto come si trova il prezzo del frumento, la quantità di oro a cui esso viene equiparato. In questo stesso rapporto, in cui il denaro figura come prezzo del frumento, esso non è a sua volta posto come rapporto, come valore di scambio, bensì come determinata quantità di una materia naturale. Nel valore di scambio le merci (i prodotti) sono poste come rapporti rispetto alla loro sostanza sociale, ossia al lavoro; ma come prezzi esse sono espresse in quantità di altri prodotti secondo la loro fattezza naturale. A questo punto si può certamente dire che anche il prezzo del denaro è posto come 1 quarter di frumento, 3 quarter di segala e tutte quelle altre quantità di varie merci il cui prezzo è 1 oncia di oro. Ma per esprimere allora il prezzo del denaro, si dovrebbe fare il conto di tutto l'ambito delle merci, ciascuna nella quantità nella quale è uguale a 1 oncia di oro. Il denaro allora avrebbe tanti prezzi per quante sono le merci il cui prezzo esso stesso esprimerebbe.

La determinazione principale del prezzo, l'unità, scomparirebbe. Nessuna merce esprime il prezzo del denaro, perché nessuna può esprimere il rapporto che esso ha con tutte le altre merci, il suo valore di scambio generale. Ma la specificità del prezzo consiste nel fatto che il valore di scambio stesso deve essere espresso nella sua generalità e tuttavia in una merce determinata. Ma anche questo è indifferente. Finché il denaro si presenta come materia in cui viene espresso, misurato il prezzo di tutte le merci, il denaro stesso è posto come una determinata quantità di oro, di argento ecc., in breve, della sua materia naturale; semplice quantità di una determinata materia, non già valore di scambio, rapporto. Sicché ogni merce nella quale ne è espressa un'altra come prezzo è posta non già come valore di scambio, bensì come semplice quantità di se stessa. Nella determinazione del denaro come unità dei valori di scambio, come loro misura, come loro generale termine di paragone, la sua materia naturale, oro, argento, è essenziale, in quanto esso, come prezzo delle merci, non è un valore di scambio, un rapporto, ma un determinato peso di oro, di argento - per es. una libbra, con le sue sottodivisioni; onde il denaro compare anche originariamente come libbra, aes grave. Ciò distingue appunto il prezzo dal valore di scambio, e noi abbiamo visto che il valore di scambio porta necessariamente alla determinazione del prezzo. Di qui l'assurdità di coloro che risolvono il tempo di lavoro in quanto tale nel denaro, che cioè vogliono porre e non porre la differenza tra prezzo e valore di scambio. Il denaro, come misura, come elemento della determinazione del prezzo, come unità di misura dei valori di scambio, presenta dunque questo fenomeno: che esso 1) è necessario soltanto come unità ideale, una volta che sia stato determinato il valore di scambio di un'oncia di oro rispetto ad una merce qualsiasi; che la sua presenza reale è superflua, e ancor più lo è perciò la quantità in cui esso è presente; come indice (indicator) del valore, la quantità in cui esso esiste in un paese è indifferente; esso è necessario semplicemente come unità di calcolo; 2) che men ree esso in tal modo ha bisogno di essere posto soltanto idealmente, e in effetti, come prezzo della merce è posto i n essa soltanto idealmente, nello stesso tempo come semplice quantità della sostanza naturale in cui si presenta, come determinato peso d'oro, d'argento ecc. assunto come unità, esso funge da termine di paragone, da unità, da misura. I valori di scambio (merci) sono idealmente trasformati in porzioni di oro o d'argento che hanno un certo peso, e idealmente equiparati a questa quantità d'oro ideale; come espressioni di tale quantità d'oro.

Ma se ora passiamo alla seconda determinazione del denaro, che è quella di mezzo di scambio e realizzatore dei prezzi, abbiamo trovato che qui esso deve essere presente in una determinata quantità; che il peso d'oro o d'argento posto come unità è necessario in una determinata quantità per essere adeguato a tale determinazione. Se da un lato è data la somma dei prezzi da realizzare, la quale dipende dal prezzo di una determinata merce moltiplicato per la sua quantità, e dall'altro lato è data la velocità della circolazione del denaro, occorre allora una certa quantità di mezzo circolante. Ma se ora osserviamo più attentamente la forma originaria, la forma immediata in cui si presenta la circolazione, ossia M-D-D-M, in questa il denaro figura come puro mezzo di scambio. Lo scambio è tra merce e merce, e il denaro compare semplicemente come mezzo dello scambio. Il prezzo della prima merce viene realizzato in denaro per realizzare col denaro il prezzo della seconda merce e ottenerla così in cambio della prima. Una volta realizzato il prezzo della prima merce, scopo di colui che ha ottenuto il suo prezzo in denaro non è quello di ottenere il prezzo della seconda merce, bensì di pagare il suo prezzo per ottenere la merce. In sostanza il denaro gli è servito quindi a scambiare la prima con la seconda merce. Come semplice mezzo di circolazione il denaro non ha altro scopo. Colui che ha venduto la sua merce per denaro vuole ricomprare la merce e colui dal quale esso la compra ha bisogno di nuovo del denaro per comprare la merce ecc. In questa determinazione di puro mezzo di circolazione dunque il denaro stesso non ha altra funzione che questa circolazione, che esso mette in atto per il fatto che la sua quantità numerica è predeterminata. Il numero di volte in cui esso esiste come unità nelle merci, è precedentemente stabilito nei loro prezzi, e in quanto strumento di circolazione esso figura semplicemente come quantità numerica di questa unità presupposta. In quanto esso realizza il prezzo delle merci, la merce viene scambiata con il suo reale equivalente in oro e argento; il suo valore di scambio viene realmente scambiato nel denaro come un'altra merce; ma in quanto questo processo ha luogo soltanto per trasformare il denaro in merce, per scambiare dunque la prima merce con la seconda, il denaro compare soltanto per scomparire, o la sua sostanza consiste soltanto nel presentarsi continuamente in questa veste di cosa che scompare, di portatore della mediazione. Il denaro come mezzo di circolazione è soltanto mezzo di circolazione. L'unica determinatezza che gli è essenziale per poter giovare con questo carattere, è quella della quantità, della quantità numerica in cui esso circola. (Del fatto che la quantità numerica è determinata anche dalla velocità, non occorre qui particolare menzione). In quanto esso realizza il prezzo, la sua esistenza materiale come oro e argento è essenziale; ma finché questa realizzazione è soltanto evanescente ed è destinata a sopprimersi, essa è indifferente. È soltanto una parvenza che si tratti di scambiare la merce con oro o argento in quanto merce particolare: una parvenza che svanisce quando il processo è concluso, non appena si scambiano di nuovo l'oro e l'argento con la merce e quindi la merce con la merce. L'oro e l'argento come semplice mezzo di circolazione, o il mezzo di circolazione come oro e argento, è perciò indifferente alla sua fattezza di merce naturale particolare. Poniamo il prezzo totale delle merci circolanti = 10.000 talleri. La loro misura è allora 1 tallero = x quantità ponderale d'argento. Poniamo ora che occorrano 100 talleri per far circolare queste merci in 6 ore; ossia che ciascun tallero paghi il prezzo di 100 talleri in 6 ore. Il fatto essenziale ora è che esistono 100 talleri, la quantità numerica 100, dell'unità metallica che misura la somma totale dei prezzi delle merci; 100 di tali unità. Che queste unità consistano di argento è indifferente ai fini del processo stesso. Ciò appare già nel fatto che 1 tallero rappresenta, nel processo di circolazione, una massa d'argento cento volte più grande di quanto ne sia realmente contenuta in esso, sebbene esso rappresenti, in ciascuno scambio determinato, soltanto il peso d'argento di 1 tallero. Assunto nella totalità della circolazione 1 tallero rappresenta dunque 100 talleri ossia un peso d'argento cento volte più grande di quanto realmente contenga. In effetti esso è soltanto un segno del peso d'argento contenuto in 100 talleri. Esso realizza un prezzo cento volte maggiore di quanto realmente realizzi se considerato come quantità d'argento. Poniamo per es. che la Lst. sia = 1/3 di oncia d'oro (con [124] approssimazione per eccesso). Finché si paga il prezzo di una merce di 1 Lst., ossia il suo prezzo di 1 sterlina viene realizzato scambiandola con 1 Lst., è determinante il fatto che la Lst. contenga realmente 1/3 di oncia di oro. Se essa fosse 1 Lst. falsa, composta cioè di metallo vile, e fosse quindi 1 Lst. soltanto all'apparenza, il prezzo della merce non sarebbe effettivamente realizzato; per realizzarlo essa dovrebbe essere pagata in una quantità di metallo vile pari ad 1/3 di oncia di oro. Dal punto di vista di questo momento isolato della circolazione, è dunque essenziale che l'unità monetaria rappresenti realmente una determinata quantità d'oro e d'argento. Ma se prendiamo la totalità della circolazione, la circolazione cioè come processo M-D-D-M, che si conchiude in se stesso, allora la questione è diversa. Nel primo caso la realizzazione del prezzo sarebbe soltanto apparente: soltanto una parte del suo prezzo sarebbe realizzata. Il prezzo idealmente realizzato in essa, non sarebbe realizzato realmente. La merce, che è idealmente equiparata ad una porzione d'oro che ha un certo peso, nello scambio reale non riscuoterebbe in cambio di se stessa questa porzione d'oro di un certo peso. Ma se circolasse 1 Lst. falsa al posto di una autentica, nella totalità della circolazione essa assolverebbe assolutamente al medesimo ufficio che se fosse autentica. Se una merce a al prezzo di 1 sterlina viene scambiata con una falsa Lst., e quest'ultima viene a sua volta scambiata con una merce b di 1 Lst., la falsa Lst. ha assolto assolutamente al medesimo ufficio che se fosse 45 stata autentica. Dunque la Lst. effettiva, in questo processo, è in realtà soltanto un segno, finché si considera non il momento onde essa realizza i prezzi, bensì la totalità del processo in cui essa funge soltanto da mezzo di circolazione e in cui la realizzazione dei prezzi è soltanto una parvenza, una mediazione che scompare. Qui la Lst. d'oro serve soltanto a scambiare la merce a con la merce b di uguale prezzo. La realizzazione effettiva del prezzo della merce a è qui la merce b, e la realizzazione effettiva del prezzo della merce b è la merce a o c o d, il che è lo stesso ai fini della forma del rapporto, il quale è del tutto indifferente al contenuto particolare della merce. Lo scambio è tra merci di uguale prezzo. Invece di scambiare direttamente la merce a con la merce b, si scambia il prezzo della merce a con la merce b e il prezzo della merce b con la merce a. Il denaro rappresenta così, nei confronti della merce, soltanto il suo prezzo. Le merci vengono reciprocamente scambiate al loro prezzo. Il prezzo della merce stessa esprime in essa, idealmente, il fatto che essa è la quantità numerica di una certa unità (parte ponderale) naturale di oro o d'argento, ossia della materia in cui si incarna il denaro. Nel denaro, o suo prezzo realizzato, le si contrappone ora una reale quantità numerica di questa unità. Ma nella misura in cui la realizzazione del prezzo non è il fatto ultimo, e non si tratta di avere il prezzo della merce in quanto prezzo, ma in quanto prezzo di un'altra merce, la materia del denaro - oro e argento per es. - è indifferente. Il denaro diventa soggetto come strumento di circolazione, come mezzo di scambio, e la materia naturale in cui esso si esprime si presenta come un accidente il cui significato scompare nell'atto stesso dello scambio; giacché non è in questa materia che in fondo deve essere realizzata la merce scambiata col denaro, ma nella materia dell'altra merce. Ora cioè nella circolazione - oltre ai momenti per cui 1) il denaro realizza i prezzi e 2) fa circolare i titoli di proprietà - noi abbiamo 3) ancora questo momento: che per suo mezzo accade ciò che direttamente non poteva accadere, e cioè che il valore di scambio della merce viene espresso in ogni altra merce. Se un braccio di tela costa 2 scellini e una libbra di zucchero 1 scellino, il braccio di tela viene realizzato, mediante i 2 scellini, in 2 libbre di zucchero; lo zucchero cioè viene trasformato nella materia del suo valore di scambio, nella materia in cui il suo valore di scambio viene realizzato. Come semplice mezzo di circolazione, nel ruolo che esplica nel processo di circolazione come flusso costante, il denaro non è né misura dei prezzi, giacché come tale esso è già posto nei prezzi stessi, né mezzo della realizzazione dei prezzi, giacché come tale esso esiste in uno dei momenti della circolazione mentre scompare nella totalità dei suoi momenti; esso è bensì semplice rappresentante del prezzo di fronte a tutte le merci, e serve soltanto da mezzo che permette lo scambio di merci di uguale prezzo. Esso viene scambiato con una merce perché è il rappresentante generale del suo valore di scambio, e come tale è il rappresentante di ogni altra merce che abbia uguale valore di scambio, il rappresentante generale, e come tale esiste nella circolazione. Esso rappresenta il prezzo di una merce di fronte a tutte le altre, o il prezzo di tutte le merci di fronte ad una di esse. In questa connessione esso è non soltanto rappresentante dei prezzi delle merci, bensì segno di se stesso; ossia nell'atto della circolazione la sua materia, oro e argento, è indifferente. Esso è il prezzo; è una determinata quantità d'oro o d'argento; ma in quanto questa realtà del prezzo è qui soltanto una realtà che scompare, una realtà costante* mente destinata a scomparire, ad essere soppressa, a non valere come realizzazione definitiva, ma soltanto e perennemente intermediaria, mediatrice; in quanto cioè non si tratti? tanto della realizzazione del prezzo, ma della realizzazione del valore di scambio di una merce particolare nella matetici ria di un'altra -, il suo stesso materiale intrinseco è indifferente, è evanescente come realizzazione del prezzo, giacché questa stessa svanisce; perciò, finché si trova in questo movimento continuo, esso è soltanto rappresentante del valore di scambio, che diventa reale solo quando il reale valore di scambio continuamente subentra al posto del suo rappresentante, continuamente scambia il suo posto con esso, continuamente si scambia con esso. In questo pro-cesso la sua realtà dunque non è di essere il prezzo, ma di esserne la rappresentazione, il rappresentante; rappresentante oggettivamente esistente del prezzo e quindi di se stesso, e in quanto tale del valore di scambio delle merci. Come mezzo di scambio esso realizza i prezzi delle merci soltanto per porre il valore di scambio dell'una merce nell'altra quale sua unità, per realizzare il suo valore di scambio nell'altra merce, per porre cioè l'altra merce come il materiale del suo valore di scambio.

[Il denaro come misura, come mezzo di pagamento e come mezzo di scambio. Confusione nella determinazione del denaro. Somma dei prezzi e quantità di merci in rapporto alla quantità del mezzo di circolazione. Mezzo di circolazione]

È solo in questa forma di segno oggettivo dunque che esso è nella circolazione: tolto dalla quale, è di nuovo prezzo realizzato; all'interno del processo però, come abbiamo visto, la quantità numerica di questi segni oggettivi dell'unità monetaria è determinata in modo essenziale. Mentre dunque nella circolazione, nella quale il denaro ha un'esistenza contrapposta a quella delle merci, la sua sostanza materiale, il suo sostrato costituito da una determinata quantità d'oro e d'argento è indifferente, e per contro la sua quantità numerica è determinata in modo essenziale - giacché così esso è soltanto un segno per una determinata quantità numerica di questa unità -, nella sua determinazione di misura, invece, in cui era posto soltanto idealmente, il suo sostrato materiale era essenziale, mentre la sua quantità e la sua esistenza erano fondamentalmente indifferenti. Ne consegue che il denaro come oro e argento, finché è soltanto mezzo di circolazione e di scambio, può essere sostituito da qualsiasi altro segno che esprima una determinata quantità della sua unità, e un denaro simbolico può sostituire il denaro reale poiché il denaro materiale come semplice mezzo di scambio è esso stesso simbolico.

Da queste contraddittorie determinazioni del denaro, come misura, come realizzazione dei prezzi, e come semplice mezzo di scambio, si spiega quel fenomeno altrimenti inspiegabile per cui se il denaro metallico, oro, argento, viene falsificato mediante una lega di metallo inferiore, si ha il deprezzamento del denaro e l'aumento dei prezzi; giacché in questo caso la misura dei prezzi è data non più dai costi di produzione, poniamo, dell'oncia di oro, bensì dell'oncia in lega con 2/3 di rame ecc. (Le falsificazioni delle monete, finché consistono semplicemente nel fal-sificare o mutare le denominazioni delle parti ponderali aliquote del metallo nobile, denominando allora per es., l'ottava parte di un'oncia, 1 sovrana, lasciano assoluta-mente intatta la misura o mutano soltanto la sua denominazione. Se prima la denominazione di 1/4 di oncia era 1 sovrana, e ora lo è 1/8, il prezzo di 1 sovrana esprime ormai 1/8 di oncia d'oro; cosicché occorrono 2 sovrane circa per esprimere il medesimo prezzo espresso precedentemente da 1 sovrana). Oppure, nella semplice falsificazione nominale delle parti aliquote del metallo nobile, la misura rimane la stessa mentre la parte aliquota è espressa, rispetto a prima, in una quantità doppia di franchi; d'altra parte se il sostrato del denaro, oro o argento, viene del tutto soppresso e sostituito dalla carta col segno di determinate quantità di denaro reale, nella quantità richiesta dalla circolazione, la carta ha corso al valore intero dell'oro e del-l'argento. Nel primo caso, perché il mezzo di circolazione è nello stesso tempo il materiale del denaro come misura, e il materiale in cui il prezzo si realizza definitivamente; nel secondo caso perché il denaro è soltanto nella sua determinazione di mezzo di circolazione.

Esempio di grossolana confusione tra le contraddittorie determinazioni del denaro: «Il prezzo è determinato esattamente dalla quantità di denaro che serve per comprare il denaro stesso. Tutte le merci esistenti non possono procurare più di tutto il denaro esistente». In primo luogo la determinazione del prezzo non ha nulla a che fare con la vendita reale; nella prima il denaro funge soltanto da misura. In secondo luogo tutte le merci (che si trovano in circolazione) possono procurare mille volte più denaro di quello esistente, solo che ciascun pezzo circolasse mille volte (il passo è del «London Weekly Dispatch», Nov. 8, [1857])50.

Poiché la somma totale dei prezzi realizzabili nella circolazione muta con i prezzi delle merci e con la quantità di esse posta in circolazione; poiché d'altra parte la velocità del mezzo circolante che si trova in circolazione è altresì determinata da circostanze indipendenti da esso stesso, la quantità dei mezzi di circolazione deve poter mutare, subire un'espansione ed una contrazione - contrazione ed espansione, appunto, della circolazione.

Del denaro come semplice mezzo di circolazione si può dire che esso cessa di essere merce (merce particolare) quando il suo materiale è indifferente ed esso non soddisfa ormai che lo stesso bisogno di scambio, e nessun altro bisogno immediato: oro e argento cessano di essere merci non appena circolano come denaro. D'altra parte si può dire che esso non è altro che merce (merce generale), la merce nella sua forma pura, indifferente alla sua particolarità naturale e perciò anche a tutti gli immediati bisogni, senza una relazione naturale ad un determinato bisogno in quanto tale. I seguaci del bullionismo, e anche in parte del protezionismo (vedi per es. Ferrier, p. 2)51 si sono attenuti al primo lato, gli economisti moderni al secondo; per es. Say, il quale dice che il denaro come merce «particolare» tratta indifferentemente qualsiasi merce52. Come prezzo di scambio, il denaro si presenta come mediatore necessario tra produzione e consumo. Nel sistema del denaro sviluppato si produce soltanto per scambiare, o si produce soltanto in quanto si scambia. Se si eliminasse il denaro, si sarebbe ridotti o ad un bassissimo livello di produzione (a cui corrisponde la forma collaterale del baratto), oppure si avanzerebbe ad un livello più alto, in cui il valore di scambio non è più la prima determinazione della merce, perché il lavoro generale, di cui esso è rappresentante, non si presenterebbe più che come lavoro privato mediato soltanto per la comunità.

Altrettanto semplicemente si risolve il problema della produttività o non produttività del denaro in quanto mezzo di circolazione. Secondo Adam Smith53, il denaro è improduttivo. Ma dice per es. Ferrier: «Esso è il creatore dei valori, perché questi senza di esso non esisterebbero»54. Occorre non soltanto «considerare il suo valore di metallo, ma altresì la sua qualità di denaro»55. Adam Smith ha ragione nella misura in cui esso non è lo strumento di un qualsiasi particolare ramo di produzione; Ferrier ha ragione, perché un momento della produzione generale fondata sul valore di scambio è quello di porre prodotto e agente della produzione nella determinazione del denaro, e tale determinazione suppone un denaro distinto dal prodotto; giacché, se si considera la produzione nella sua totalità, lo stesso rapporto di denaro è un rapporto di produzione.

Se M-D-D-M viene scomposta nei suoi due momenti, sebbene i prezzi delle merci siano presupposti (e ciò costituisce una differenza fondamentale), la circolazione si scinde in due atti di baratto immediato. M-D: il valore di scambio della merce viene espresso in un'altra merce particolare, nel materiale del denaro, così come il valore di scambio del denaro viene espresso nella merce; lo stesso avviene in D-M. Pertanto ha ragione A. Smith quando dice che il denaro come mezzo di scambio è soltanto una specie più complicata di baratto56. Ma se si considera la totalità del processo e non i due atti come indifferenti, per cui la merce si realizza nel denaro e il denaro nella merce, allora hanno ragione gli avversari di A. Smith, quando affermano che egli ha misconosciuto la natura del denaro e che la circolazione del denaro soppianta il baratto; poiché il denaro serve soltanto a saldare la «divisione aritmetica», che nasce dalla divisione del lavoro. Queste «cifre aritmetiche» hanno tanto poco bisogno di essere d'oro e d'argento quanto le misure di lunghezza (vedi Solly, p. 20)57.

Le merci da marchandises diventano denrées, ed entrano nel consumo; ciò invece non accade al denaro in quanto mezzo di circolazione; esso non cessa mai di essere merce, fintantoché rimane nella determinazione di mezzo di circolazione.

Passiamo ora alla terza determinazione del denaro, la quale risulta immediatamente dalla seconda forma della circolazione:

D-M-M-D; in questa forma il denaro si presenta non soltanto come mezzo, e nemmeno come misura, bensì come fine a se stesso, e perciò esce dalla circolazione esattamente come la merce determinata che ha compiuto il suo ciclo, e da marchandise è diventata denrée.

Ma prima c'è da osservare ancora che, presupposta la determinazione del denaro quale rapporto immanente della produzione fondata generalmente sul valore di scambio, è possibile dimostrarne anche per singoli aspetti la funzione di strumento di produzione. «L'utilità dell'oro e dell'argento sta nel fatto che essi sostituiscono il lavoro» (Lauderdale, p. 11 )58. Senza denaro occorre una massa di permute [trocs] prima di ottenere nello scambio l'oggetto desiderato. In ogni scambio particolare inoltre occorrerebbe fare l'analisi del valore relativo delle merci. La prima cosa il denaro ce la risparmia come mezzo di scambio (mezzo commerciale); la seconda, come misuratore del valore e rappresentante di tutte le merci {idem, 1. c.)59. L'affermazione contraria che il denaro non è produttivo, non fa che affermare che esso è improduttivo al di fuori della determinazione in cui è produttivo, ossia come misura, mezzo di circolazione, e rappresentante dei valori, che la sua quantità è produttiva soltanto finché è richiesta per adempiere a queste determinazioni. Che esso diventi non solo improduttivo, ma faux frais de production non appena ne sia adoperato più di quanto occorra a questa sua determinazione produttiva, è una verità che vale per qualsiasi altro mezzo di produzione o di scambio; per la macchina come per il mezzo di trasporto. Ma se con ciò si intende che il denaro scambia soltanto ricchezza materialmente reale, allora ciò è falso, giacché con esso si scambia e si compra anche lavoro, ossia la stessa attività produttiva, la ricchezza potenziale.

[Accumulazione del denaro. Lavoro salariato e capitale]

La terza determinazione del denaro nel suo sviluppo completo presuppone le prime due e ne costituisce l'unità. Il denaro dunque ha un'esistenza autonoma al di fuori della circolazione; è uscito da essa. Come merce particolare esso può essere trasformato, dalla sua forma di denaro, in quella di oggetti di lusso, gioielli d'oro e d'argento (finché il lavoro artigianale è ancora molto semplice, come lo era per es. nell'età più antica in Inghilterra, la trasformazione della moneta argentea in argenteria e vice- [130] versa è un fatto costante. Vedi Taylor60); oppure esso può essere accumulato come denaro e costituire così un tesoro. Finché il denaro nella sua esistenza autonoma deriva dalla circolazione, esso si presenta, nella circolazione stessa, come suo risultato. Esso si riallaccia a se stesso attraverso la circolazione. In questa determinatezza è già acquisita, in maniera latente, la sua determinazione di capitale. Esso è negato come semplice mezzo di scambio. Tuttavia poiché storicamente esso può essere posto come misura prima di comparire come mezzo di scambio, e può comparire come mezzo di scambio prima di essere posto come misura - riel quale ultimo caso esisterebbe soltanto come merce privilegiata -, così esso può anche presentarsi storicamente nella terza determinazione prima di essere posto nelle due precedenti. Ma come denaro oro e argento possono essere accumulati soltanto se già esistono in una delle due determinazioni, e nella terza determinazione esso può presentarsi ad un livello sviluppato soltanto se è sviluppato nelle due precedenti. La sua accumulazione altrimenti è soltanto accumulazione di oro e argento, non di denaro.

(Come esempio particolarmente interessante va presa l'accumulazione di denaro di rame nei tempi più antichi della repubblica romana).

Poiché il denaro quale rappresentante materiale universale della ricchezza deriva dalla circolazione, e come tale è anche prodotto della circolazione, la quale è contemporaneamente uno scambio a più elevata potenza e una forma particolare dello scambio medesimo, anche in questa terza determinazione esso è in rapporto con la circolazione; e se esso le si contrappone in maniera autonoma, d'altra parte questa sua autonomia non è altro che lo stesso processo della circolazione. Esso deriva dalla circolazione tanto quanto vi rientra. All'infuori di tutte le relazioni con la circolazione esso non sarebbe denaro bensì un semplice oggetto naturale, oro e argento. In questa determinazione esso ne è tanto il presupposto che il risultato. La sua stessa autonomia non significa cessazione del rapporto con la circolazione, ma relazione negativa con essa. È questo il contenuto di tale autonomia come risultato di D-M-M-D. Nel denaro come capitale è implicito, 1 ) che esso è tanto presupposto che risultato della circolazione; 2) che la sua autonomia quindi è bensì soltanto relazione negativa, ma pur sempre relazione con la circolazione; 3) che esso stesso è posto come strumento di produzione, in quanto la circolazione non si presenta più nella sua prima semplicità, come permuta quantitativa, bensì come processo di produzione, come reale scambio materiale. E così il denaro stesso finisce con l'essere determinato come momento particolare di questo processo di produzione. Nella produzione non si tratta soltanto di determinare semplicemente i prezzi, vale a dire di tradurre i valori di scambio delle merci in un'unità comune, bensì di creare i valori di scambio e quindi anche di creare la determinatezza dei prezzi; non soltanto, insomma, di porre semplicemente la forma, ma anche il contenuto. Se perciò nella circolazione semplice il denaro intanto si presenta in generale come produttivo in quanto la circolazione è in generale essa stessa un momento del sistema della produzione, questa determinazione d'altra parte è ancora soltanto per noi, ma non è ancora posta nel denaro. 4) Come capitale il denaro si presenta perciò anche posto come rapporto con se stesso mediante la circolazione - nel rapporto di interesse e capitale. Ma qui noi non abbiamo ancora a che fare con queste determinazioni, bensì abbiamo da considerare il denaro semplicemente così come, nella sua terza relazione, esso è scaturito in forma autonoma dalla circolazione, propriamente dalle sue due precedenti determinazioni.

(«Aumento del denaro significa soltanto aumento dei mezzi di conto» Sismondi61. Ciò è esatto soltanto finché esso è determinato come semplice mezzo di scambio. Nell'altra proprietà, esso significa anche aumento dei mezzi di pagamento).

«Il commercio ha separato l'ombra dal corpo e ha introdotto la possibilità di possederli separati» (Sismondi)62. Il denaro dunque è, ora, il valore di scambio reso autonomo (e in quanto tale esso compare come mezzo di scambio destinato perennemente a scomparire) nella sua forma generale. Esso possiede, è vero, una materialità o sostanza particolare, oro e argento, ed è appunto questo che gli conferisce la sua autonomia, giacché ciò che esiste soltanto in rapporto ad un altro, come determinazione o relazione di altro, non è autonomo. D'altra parte in questa materiale autonomia che ha come oro e argento, esso rappresenta non soltanto il valore di scambio di una merce rispetto ad un'altra, ma il valore di scambio rispetto a tutte le merci; e mentre possiede una propria sostanza, esso figura nello stesso tempo, nella sua esistenza particolare di oro e argento, come il valore di scambio generale delle altre merci. Da un lato esso è posseduto come loro valore di scambio; dall'altro, esse figurano come altrettante sostanze particolari di quest'ultimo, sicché questo può essere altrettanto trasformato in ciascuna di queste sostanze mediante lo scambio, in quanto è indifferente e al di sopra della loro determinatezza e particolarità. Esse sono perciò soltanto esistenze accidentali. Il denaro invece è il «précis de toutes les choses»63 in cui il loro carattere particolare si estingue; è la ricchezza generale come compendio riassuntivo rispetto alla sua diffusione e frammentazione nel mondo delle merci. Mentre nella merce particolare la ricchezza si presenta come un momento di essa o essa come un momento particolare della ricchezza, nell'oro e nell'argento la ricchezza generale stessa si presenta concentrata in una materia particolare. Ogni merce particolare, finché è un valore di scambio, ed ha un prezzo, esprime soltanto una determinata quantità di denaro in una forma incompiuta, giacché essa deve essere anzitutto posta in circolazione per essere realizzata - e che lo sia o meno è un fatto accidentale a cagione "della sua particolarità. Ma finché essa non esiste come prezzo, ma soltanto nella sua determinatezza naturale, allora è soltanto momento della ricchezza in virtù della sua relazione ad un bisogno particolare che essa soddisfa, e in questa relazione esprime 1) soltanto la ricchezza d'uso, 2) soltanto un lato del tutto particolare di questa ricchezza. Il denaro, invece, a prescindere dalla sua utilizzabilità come merce di valore, è 1) il prezzo realizzato, 2) soddisfa qualsiasi bisogno in quanto può essere scambiato con l'oggetto di qualsiasi bisogno, con assoluta indifferenza verso qualsiasi particolarità. Questa proprietà la merce la possiede soltanto per la mediazione del denaro. Il denaro la possiede direttamente nei confronti di tutte le merci, e quindi nei confronti dell'intero mondo della ricchezza, della ricchezza in quanto tale. Nel denaro la ricchezza generale è non soltanto una forma ma nello stesso tempo il contenuto stesso. Il concetto di ricchezza è per così dire realizzato, individualizzato in un oggetto particolare. [Qui inizia il Quaderno II]

Nella merce particolare, finché essa è prezzo, la ricchezza è posta soltanto come forma ideale, non ancora realizzata; finché possiede un determinato valore d'uso, la merce particolare rappresenta un lato del tutto isolato della ricchezza medesima. Nel denaro invece il prezzo è realizzato, e la sua sostanza è la ricchezza stessa, sia nella sua astrazione dal proprio particolare modo di esistere, sia nella sua totalità. Il valore di scambio costituisce la sostanza del denaro, e il valore di scambio è la ricchezza. Il denaro è perciò, d'altra parte, anche la forma materializzata della ricchezza rispetto a tutte le sostanze particolari di cui essa consiste. Se perciò da un lato nel denaro, finché viene considerato per se stesso, forma e contenuto della ricchezza sono identici, dall'altro esso, in antitesi a tutte le altre merci, è rispetto a loro la forma generale della ricchezza, laddove la totalità di queste particolarità costituisce la sua sostanza. Se il denaro per la prima determinazione è la ricchezza stessa, per l'altra esso è il rappresentante materiale universale della medesima. Nel denaro stesso questa totalità esiste come compendio ideale delle merci. La ricchezza (valore di scambio tanto come totalità che come astrazione), a differenza di tutte le altre merci, esiste dunque come tale soltanto individualizzata, nell'oro e nell'argento, come un singolo oggetto tangibile. Il denaro è perciò il dio tra le merci.

Come singolo oggetto tangibile il denaro può essere perciò accidentalmente cercato, trovato, rubato, scoperto, e la ricchezza generale passare tangibilmente in possesso del singolo individuo. Dalla sua forma di schiavitù nella quale si presenta come semplice mezzo di circolazione, esso diventa improvvisamente sovrano e dio nel mondo delle merci. Esso rappresenta l'esistenza celeste delle merci, mentre queste rappresentano la sua esistenza terrena. Ciascuna forma della ricchezza naturale, prima che questa sia tramutata mediante il valore di scambio, suppone una relazione sostanziale dell'individuo con l'oggetto, al punto che l'individuo, per uno dei suoi aspetti, appare esso stesso materializzato nella cosa, e nello stesso tempo il suo possesso della cosa appare come un determinato sviluppo della sua individualità; la ricchezza di pecore [rivela] lo sviluppo dell'individuo come pastore, la ricchezza di grano il suo sviluppo come contadino ecc. Il denaro al contrario, in quanto individuo della ricchezza generale, in quanto autonomo risultato della circolazione e puro rap-presentante dell'universale, come risultato puramente sociale, non suppone assolutamente alcuna relazione individuale col suo possessore; il suo possesso non è lo sviluppo di uno qualsiasi dei lati essenziali della sua individualità, ma è piuttosto possesso di ciò che è privo di individualità, giacché questo [rapporto] sociale esiste nel contempo come un oggetto sensibile, esterno, di cui ci si può impossessare meccanicamente o che può anche andare perduto. La sua relazione all'individuo si presenta dunque come una relazione puramente accidentale; laddove questa relazione ad una cosa niente affatto connessa con la sua individualità gli conferisce nello stesso tempo, per il carattere di questa cosa, il dominio assoluto sulla società, su tutto il mondo dei godimenti, dei lavori ecc. È come se per es. il ritrovamento di una pietra mi procurasse, del tutto indipendentemente dalla mia individualità, il possesso di tutte le scienze. Il possesso del denaro mi pone rispetto alla ricchezza (sociale) nell'identico rapporto in cui mi porrebbe la pietra filosofale rispetto alle scienze.

Il denaro è non soltanto un oggetto della brama di arricchimento, ma ne è l'oggetto in assoluto. Essa è essenzialmente auri sacra fames. La brama di arric-chimento in quanto tale come particolare forma di appetito, differente cioè dalla brama di una ricchezza particolare, come per esempio vestiti, armi, gioielli, donne, vino, ecc., è possibile soltanto quando la ricchezza generale, la ricchezza in quanto tale, è individualizzata in un oggetto particolare, quando cioè il denaro è posto nella sua terza determinazione. Il denaro quindi è non soltanto l'oggetto, ma nello stesso tempo la fonte della brama di arricchimento. La brama di avere è possibile anche senza denaro. La brama di arricchimento è invece già il prodotto di un determinato sviluppo sociale, non è qualcosa di naturale in opposizione a storico. Di qui il lamento degli antichi, sul denaro come fonte di ogni male. La sensualità nella sua forma generale e l'avarizia sono le due forme particolari dell'avidità di denaro. Una sensualità astratta presuppone un oggetto che contenga la possibilità di tutti i godimenti. La sensualità astratta il denaro la realizza nella sua determinazione di rappresentante materiale della ricchezza; e l'avarizia, in quanto esso soltanto è la forma generale della ricchezza rispetto alle merci come sue sostanze particolari. Per trattenere il denaro in quanto tale, l'avarizia deve sacrificare e rinunciare ad ogni rapporto _ con oggetti di bisogni particolari, per soddisfare il bisogno di avidità di denaro in quanto tale. L'avidità di denaro o la brama di arricchimento rappresentano necessariamente il tramonto delle antiche comunità. Donde l'opposizione ad esse. Esso stesso, il denaro, è la comunità, né può sopportarne altra superiore. Ma ciò presuppone il pieno sviluppo dei valori di scambio e quindi una organizzazione della società ad essi corrispondente. Presso gli antichi il nexus rerum non era il valore di scambio; sembra essere così soltanto presso i popoli dediti al commercio, i quali però avevano soltanto un carrying trade [commercio di trasporto], e non una propria produzione. Per lo meno questa era un fatto secondario presso i Fenici, i Cartaginesi ecc. Essi potevano ben vivere tra gli interstizi del vecchio mondo come gli Ebrei in Polonia o nel Medioevo. Anzi questo stesso mondo era il presupposto dell'esistenza di tali popoli dediti al commercio, i quali poi periscono sistematicamente non appena entrano in serio conflitto con le comunità antiche. Presso i Romani, i Greci ecc. il denaro compare nella sua purezza soltanto nelle sue due prime determinazioni, cioè come misura e come mezzo di circolazione, e in entrambe ad un grado non molto sviluppato. Ma non appena si sviluppa il loro commercio ecc. o, come è accaduto ai Romani, la conquista apporta loro denaro in misura massiccia - in breve, improvvisamente ad un certo livello del loro sviluppo economico, il denaro si presenta necessariamente nella sua terza determinazione, e in essa si sviluppa tanto più quanto più [si avvicina] il tramonto della loro comunità. Per agire produttivamente, il denaro, come abbiamo visto, deve essere nella sua terza determinazione non soltanto un presupposto, ma altresì un risultato della circolazione, e come suo presupposto essere anche un momento della medesima, qualcosa che è posto da essa. Presso i Romani per es., che lo andavano rubacchiando da tutto il mondo, non era questo il caso. Nella semplice determinazione del denaro stesso è implicito che esso può esistere come momento sviluppato della produzione soltanto là dove esiste il lavoro salariato; e che ivi esso, pertanto, lungi dal dissolvere la forma della società, è anzi una condizione del suo sviluppo, e una ruota motrice per lo sviluppo di tutte le forze produttive, materiali e spirituali. Un singolo individuo può oggi ancora giungere eventualmente al possesso del denaro, e il possesso di denaro può perciò avere su di lui un effetto dissolvente così come lo ebbe sulle comunità antiche. Ma la dissoluzione di questo individuo nella società moderna non è altro nello stesso tempo che l'arricchimento della parte produttiva di questa ultima. Colui che possiede denaro, nel senso antico, viene dissolto dal processo industriale, a cui, volente o nolente, esso serve. La dissoluzione riguarda soltanto la sua persona. Quale rappresentante materiale della ricchezza generale, quale valore di scambio individualizzato, il denaro deve essere immediatamente oggetto, scopo e prodotto del lavoro generale, del lavoro di tutti i singoli. Il lavoro deye produrre immediatamente il valore di scambio, ossia denaro. Esso deve perciò essere lavoro salariato. La brama di arricchimento così come l'impulso collettivo per cui ciascuno vuol produrre denaro, li crea soltanto la ricchezza generale. Solo così la generale brama di arricchimento può diventare la fonte della ricchezza generale che si produce perennemente. In quanto il lavoro è lavoro salariato, e il suo scopo è immediatamente il denaro, la ricchezza generale è posta come suo oggetto e scopo. (È in questo contesto che bisogna parlare della coesione del sistema militare antico non appena diventa sistema mercenario). Il denaro come scopo diventa qui mezzo della la-boriosità generale. La ricchezza generale viene prodotta per impossessarsi del suo rappresentante. In tal modo si aprono le fonti reali di ricchezza. Poiché lo scopo del lavoro non è un prodotto particolare che sta in un particolare rapporto con i bisogni particolari dell'individuo, ma è il denaro, ossia la ricchezza nella sua forma generale, la laboriosità dell'individuo non ha anzitutto alcun limite, è indifferente ad una sua particolarità, e assume qualsiasi forma che serva allo scopo; è ricca di inventiva nella creazione di nuovi oggetti destinati al bisogno sociale ecc. È chiaro dunque che, sulla base del lavoro salariato, l'azione del denaro non è dissolutrice, bensì produttrice; laddove la comunità antica in se stessa è già in contraddizione con il lavoro salariato come fondamento generale. Un'industriosità generale è possibile soltanto là dove ciascun lavoro produce la ricchezza generale, non una sua forma determinata; là dove quindi anche la mercede dell'individuo è denaro. Altrimenti sono possibili soltanto forme particolari di solerzia. Il valore di scambio come prodotto immediato del lavoro è denaro come suo prodotto immediato. Il lavoro immediato, che produce il valore di scambio come tale, è perciò lavoro salariato. Ove il denaro non è esso stesso la sostanza comune, dissolve necessariamente la comunità. L'uomo antico poteva comprare immediatamente lavoro, per es. uno schiavo; ma lo schiavo col suo lavoro non poteva comprare denaro. Il rincaro del denaro poteva rendere gli schiavi più costosi, ma non più produttivo il loro lavoro. La schiavitù dei negri - una schiavitù puramente industriale -, la quale senz'altro scompare e diventa incompatibile con lo sviluppo della società borghese, la presuppone, e se accanto ad essa non esistessero altri stati liberi con lavoro salariato, ma esistesse essa soltanto isolata, tutte le condizioni sociali negli stati in cui esiste la schiavitù dei negri si ribalterebbero immediatamente in forme precivili.

Il denaro come valore di scambio individualizzato, e quindi come incarnazione della ricchezza, è stato l'oggetto dell'ansiosa ricerca alchimistica; è in questa determinazione che esso figura nel bullionismo (mercantilismo). La preistoria dello sviluppo della moderna società industriale si inaugura con la generale brama di denaro, sia degli individui che degli stati. Lo sviluppo reale delle fonti di ricchezza procede per così dire alle loro spalle, come mezzo per impadronirsi del rappresentante della ricchezza. Là dove esso non scaturisce dalla circolazione - come in Spagna - ma viene trovato per così dire in carne ed ossa, impoverisce la nazione, mentre quelle nazioni che devono lavorare per strapparlo agli spagnoli sviluppano le fonti della ricchezza e si arricchiscono realmente. La scoperta dell'oro in nuove zone e paesi del mondo, ha un ruolo importantissimo nella storia della rivalutazione, per il fatto che qui la colonizzazione procede in maniera improvvisata, con metodi da serra. La caccia all'oro, in tutti i paesi, porta al loro sviluppo, alla formazione di nuovi stati, e anzitutto alla dilatazione del volume delle merci che entrando in circolazione inducono a nuovi bisogni e attraggono lontane zone del mondo nel processo di scambio e di ricambio materiale. Da questo lato dunque il denaro fu anche, come rappresentante generale della ricchezza, come valore di scambio individualizzato, un duplice mezzo per allargare la ricchezza all'universalità, e per estendere le dimensioni dello scambio a tutta la terra; per creare la vera universalità del valore di scambio sia materialmente che spazialmente- : Ma è implicito nella determinazione in cui esso è qui sviluppato, che l'illusione sulla sua natura, ossia il fissare una delle sue determinazioni nella sua astrazione prescindendo dalle contraddizioni in essa contenute, gli conferisci questo significato realmente magico, alle spalle degli individui. Ed è proprio in virtù di questa determinazione intimamente contraddittoria e perciò illusoria, proprio per questa sua astrazione, che esso diventa di fatto uno strumento così enorme dello sviluppo reale delle forze produttive sociali.

Il presupposto elementare della società borghese è che il lavoro produce immediatamente il valore di scambio, ossia il denaro; e che quindi anche il denaro compra immediatamente il lavoro, e quindi l'operaio, soltanto se egli stesso, nello scambio, aliena la sua attività. Lavoro salariato, nel primo senso, capitale nel secondo, sono perciò soltanto forme diverse del valore di scambio sviluppato e del denaro quale sua incarnazione. Il denaro è quindi immediatamente la reale sostanza comune, in quanto è la sostanza universale dell'esistenza per tutti, e nello stesso tempo il prodotto sociale di tutti. Ma nel denaro, come abbiamo visto, la sostanza comune è nello stesso tempo mera astrazione, mera cosa estrinseca, accidentale per il singolo individuo e nello stesso tempo mezzo puro e semplice del suo soddisfacimento in quanto singolo individuo isolato. L'antica comunità presuppone una relazione del tutto diversa dell'individuo per sé. Lo sviluppo del denaro nella sua terza determinazione la mette dunque in crisi. Ogni produzione è un'oggettivazione dell'individuo. Ma nel denaro (valore di scambio) l'oggettivazione dell'individuo non è quella di lui in quanto è posto nella sua determinatezza naturale, ma di lui in quanto è posto in una determinazione (rapporto) sociale, che gli è nello stesso tempo estrinseca.

[Moneta e moneta mondiale. (Articolazione del sistema dell' economia borghese). Rappresentante materiale e forma generale della ricchezza. Accumulazione del denaro (tesaurizzazione)]

Il denaro posto nella forma di mezzo di circolazione èmoneta. Come moneta esso ha perduto il suo Stesso valore d'uso; il suo valore d'uso coincide con la sua determinazione di mezzo di circolazione. Esso deve essere per es. anzitutto rifuso per poter servire come denaro in quanto tale. Deve essere demonetizzato. Perciò come moneta esso è anche soltanto segno, e indifferente al suo materiale. Ma come moneta esso perde anche il suo carattere universale, per assumerne uno nazionale, locale. Si spezzetta in moneta di tipi diversi a seconda del materiale di cui è fatto, oro, rame, argento ecc. Riceve un titolo politico e parla per così dire una lingua diversa nei diversi paesi. Infine, nel medesimo paese riceve diverse denominazioni ecc. Il denaro nella sua terza determinazione, ove cioè esce dalla circolazione in forma autonoma e le si contrappone, nega dunque anche il suo carattere di moneta. Esso si presenta di nuovo come oro e argento, sia che venga rifuso in essi, oppure venga stimato secondo la sua parte ponderale di oro e d'argento. Esso perde anche, a sua volta, il suo carattere nazionale e funge da mezzo di scambio tra le nazioni, da mezzo di scambio universale, ma non più in quanto segno, bensì in quanto determinata quantità di oro e di argento. Nel più sviluppato sistema di scambio internazionale, quindi, l'oro e l'argento si ripresentano nella identica forma in cui agivano nel baratto primitivo. L'oro e l'argento, come lo stesso scambio, compaiono, come si è già osservato, originariamente non all'interno della sfera di una comunità sociale, ma là dove essa termina, al suo confine; negli scarsi punti di contatto che essa ha con comunità estranee. Essi sono identificati con la merce in quanto tale, con la merce universale che conserva dappertutto il suo carattere di merce. Per questa determinazione formale essi valgono uniformemente in tutti i luoghi. Solo così essi sono i rappresentanti materiali della ricchezza generale. Nel mercantilismo l'oro e l'argento valgono infatti come misura della potenza delle diverse comunità. «Non appena i metalli preziosi diventano oggetto di commercio, ossia equivalente universale di ogni cosa, essi diventano anche misura della potenza delle diverse nazioni. Di qui il mercantilismo». (Steuart) [Finché il denaro è mezzo di circolazione «la quantità che ne circola non può mai essere usata individualmente; deve circolare sempre» (Storch)98. L'individuo può aver bisogno del denaro solo in quanto cessa di essere se stesso ponendosi come essere per qualcos'altro , determinandosi socialmente. Questo, come giustamente osserva Storch, è un motivo per cui la materia del denaro «non sia di natura tale da essere indispensabile all'esistenza dell'uomo», come le pelli, il sale, ecc., i quali presso alcuni popoli fuggono da denaro. Giacché la quantità di esso che si trova in circolazione va perduta nel consumo. Ecco perché come denaro godono di un privilegio rispetto alle altre merci anzitutto i metalli in generale, e poi, rispetto a quelli che sono utili come strumenti di produzione, i metalli nobili. È caratteristico degli economisti che Storch esprima questo fatto dicendo: la materia del denaro deve «avere un valore diretto, ma fondato su di un besoin factice». (Cfr. H. STORCH, Cours ecc., cit., t. II, pp. 113-114) Besoin factice l'economista chiama in primo luogo i besoins che scaturiscono dall'esistenza sociale dell'individuo; in secondo luogo, quelli che non derivano dalla sua nuda esistenza di oggetto naturale. Ciò rivela l'intima e disperata miseria che costituisce la base della ricchezza borghese e della sua scienza.]

. Con buona pace del sentimento di superiorità che gli economisti moderni provano riguardo al mercantilismo, in periodi di crisi generale l'oro e l'argento si presentano esattamente in questa determinazione nel 1857 tanto quanto nel 1600. Tale carattere dell'oro e dell'argento ha un ruolo importante nella creazione del mercato mondiale. Esempi: la circolazione dell'argento americano dall'ovest verso l'est; il vincolo metallico dell'America con l'Europa da un lato, con l'Asia dall'altro fin dagli inizi dell'epoca moderna. Nelle comunità primitive questo commercio su base aurea e argentea aveva invece un'importanza soltanto collaterale, legata all'eccedente, come del resto l'intero scambio. Ma nel commercio sviluppato, essi sono posti come un momento che si connette in maniera essenziale con l'intera produzione ecc. Essi compaiono non più ai fini dello scambio del superfluo, ma come saldo dell'eccedente nell'intero processo dello scambio internazionale di merci. Essi sono ora moneta solo in quanto moneta mondiale. Ma come tali essi sono essenzialmente indifferenti alla loro determinazione formale di mezzo di circolazione, mentre il loro materiale è tutto. Formalmente l'oro e l'argento rimangono, in questa determinazione, come la merce accessibile dappertutto, la merce in quanto tale.

(In questa prima sezione in cui consideriamo i valori di scambio, il denaro, i prezzi, le merci figurano sempre come merci tangibili. La determinazione formale è semplice. Noi sappiamo che esse esprimono le determinazioni della produzione sociale, ma che questa stessa ne è la premessa. Esse però non sono poste in tale determinazione. E così in realtà il primo scambio si presenta come scambio dell'eccedente solamente, il quale non abbraccia né determina la totalità della produzione. Ê l'eccedente tangibile di una produzione globale che sta al di fuori del mondo dei valori di scambio. Così, persino nella società sviluppata, ciò si presenta alla superficie come una somma di merci immediatamente tangibile. Ma questa somma di merci rinvia, attraverso se stessa, al di là di se stessa, ai rapporti economici che sono posti come rapporti di produzione. L'articolazione interna della produzione costituirà dunque la seconda sezione; il suo riassumersi nello Stato, la terza; il rapporto internazionale, la quarta; il mercato mondiale formerà la sezione finale, in cui la produzione è posta come totalità così come ciascuno dei suoi momenti; in cui però nello stesso tempo tutte le contraddizioni si mettono in movimento. Il mercato mondiale allora costituisce a sua volta, insieme, la premessa e il supporto del tutto. Le crisi rappresentano allora il sintomo generale del superamento della premessa, e la spinta all'assunzione di una nuova forma storica). «La quantità di beni e la quantità di denaro possono rimanere le stesse, pur potendo il prezzo aumentare o diminuire» (a causa cioè di un aumento di spese da parte dei rnonied capitalists p. es., dei rentiers, dei funzionari statali ecc. Malthus, X, 43)65.

Come abbiamo visto, il denaro che esce dalla circolazione in forma autonoma e le si contrappone è la negazione (unità negativa) della sua determinazione di mezzo di circolazione e di misura66. Noi abbiamo sviluppato finora i seguenti momenti:

Primo: Il denaro è la negazione del mezzo di circolazione in quanto tale, della moneta. Ma nello stesso tempo esso la contiene come sua determinazione, negati-vamente, in quanto può essere perennemente trasformato in moneta; positivamente, come mone ta mondiale; ma in quanto tale esso è indifferente alla determinazione formale, ed è sostanzialmente merce in quanto tale, merce onnipresente, non determinata spazialmente. Questa indifferenza si esprime in un duplice modo: prima nel fatto che ora esso è denaro soltanto come oro e argento, non come segno, non con la forma di moneta. Perciò possiede la façon [foggia] che lo Stato dà al denaro nella zecca, non possiede cioè alcun valore, bensì soltanto il suo valore intrinseco metallico. Persino nel commercio interno esso ha un valore soltanto temporaneo, locale, «perché non è più utile a colui che lo possiede di quanto non lo sia a colui che possiede merci acquistabili»67 Quanto più il commercio interno è strettamente condizionato da quello estero, tanto più svanisce anche il valore di questa façon: non esiste nello scambio privato bensì compare soltanto come imposta. Poi: in tale qualità di merce generale, di moneta mondiale, il ritorno dell'oro e dell'argento al punto di partenza, e in generale la circolazione in quanto tale, non è necessario. Esempio: Asia ed Europa. Di qui il lamento dei fautori del bullionismo sul fatto che nelle steppe il denaro sparisce senza rifluire. (Vedi Misselden , circa 1600)68. Quanto più la circolazione estera viene strettamente condizionata e abbracciata da quella interna, entra in circolazione (rotazione) la moneta mondiale in quanto tale. Ma questo stadio superiore non ci interessa ancora, né rientra ancora nel rapporto semplice che stiamo qui considerando.

Secondo: Il denaro è la negazione di sé quale mera realizzazione dei prezzi delle merci, ove l'elemento essenziale rimane sempre la merce particolare. Esso diventa piuttosto il prezzo realizzato in se stesso e, in quanto tale, sia il rappresentante materiale della ricchezza sia la forma generale della ricchezza rispetto a tutte le merci in quanto semplici sostanze particolari di essa; ma

Terzo: il denaro è negato anche nella determinazione in cui esso è soltanto la misura dei valori di scambio. Come forma generale della ricchezza e suo rappresentante materiale esso non è più la misura ideale di altro, cioè dei valori di scambio. Giacché è esso stesso la realtà adeguata del valore di scambio, e lo è nella sua esistenza metallica. La determinazione della misura deve essere posta qui in esso stesso. Esso è la sua propria unità e la misura del suo valore, la misura di sé in quanto ricchezza, in quanto valore di scambio, è la quantità che esso rappresenta di se stesso. È l'ammontare - che funge da unità - di un quantitativo di se stesso. Come misura, il suo ammontare era indifferente; come mezzo di circolazione era indifferente la sua materialità, la materia della sua unità; come denaro, in quanto terza determinazione, l'ammontare di se stesso in quanto determinato quantitativo materiale è essenziale. Presupposta la sua qualità di ricchezza generale, in esso non c'è [141] più altra differenza che quella quantitativa. Esso rappresenta più o meno ricchezza generale, a seconda che, come determinato quantitativo di questa, è posseduto in un ammontare maggiore o minore. Poiché esso è la ricchezza generale, uno è tanto più ricco quanto più ne possiede, e l'unico processo importante è la sua accumulazione, sia per il singolo individuo che per le nazioni. Dal punto di vista della sua determinazione, esso si e presentato qui nell'aspetto in cui esce dalla circolazione. Ora questo sottrarlo dalla circolazione, questo ammucchiarlo si presenta come l'oggetto essenziale della brama di arricchimento e il processo essenziale dell'arricchimento. Nell'oro e nell'argento io possiedo la ricchezza generale nella sua forma pura, e quanto più ne accumulo, tanto più mi approprio di ricchezza generale. Se oro e argento rappresentano la ricchezza generale, come quantità determinante essi la rappresentano soltanto in un determinato grado estensibile all'infinito. Questa accumulazione di oro e argento che si manifesta come ripetuta sottrazione di essi dalla circolazione, è al contempo il mettere-al-sicuro la ricchezza generale contro la circolazione, dove essa va continuamente perduta nello scambio con una ricchezza particolare, che finalmente scompare nel consumo.

Presso tutti i popoli antichi l'accumulazione di oro e argento si presenta originariamente come privilegio sacerdotale e reale, giacché il dio e il re delle merci si addice soltanto a chi è dio e re. Soltanto essi sono degni di possedere la ricchezza in quanto tale. L'accumulazione serve poi da un lato soltanto ad ostentare l'abbondanza, ossia la ricchezza come cosa straordinaria, da occasioni festive; inoltre come offerta ai templi e ai loro dei; poi ancora per opere d'arte pubbliche; infine, come mezzo di riserva nel caso di necessità straordinarie, per acquisto di armi ecc. Più tardi l'accumulazione presso gli antichi diventa una politica. Il tesoro pubblico come fondo di riserva, e il tempio, sono le primitive banche in cui si conserva il santissimo. L'accumulazione raggiunge il suo sviluppo massimo nelle moderne banche, naturalmente con determinazioni ancor più sviluppate. D'altra parte nei privati questa accumulazione assume la più schietta forma di assicurazione della ricchezza di fronte alle mutevoli vicende del mondo esterno, quella cioè del sotterramento, acquistando così un rapporto veramente segreto con l’individuo. Questo fenomeno è ancora storicamente riscontrabile su vasta scala in Asia, e si ripete in tutti i periodi di Panico e di guerra nella società borghese, la quale allora ricade in condizioni barbariche. Lo stesso vale per l'accumulazione di oro ecc., sotto forma di gioielli e di oggetti preziosi, presso i popoli semibarbarici. Ma una parte ben più grande e sempre più crescente di oro in forma di oggetti di lusso viene sottratta alla circolazione al livello più sviluppato della società borghese (vedi Jacob ecc.)69. Già il fatto di conservare il denaro come rappresentante della ricchezza generale senza devolverlo alla circolazione, e di dedicarlo a bisogni particolari, è un attestato della ricchezza degli individui, e nella stessa misura in cui il denaro si sviluppa nelle sue varie determinazioni, in cui cioè la ricchezza in quanto tale diventa criterio di misura generale del valore dell'individuo, si sviluppa anche la tendenza alla sua ostentazione, e quindi un display di oro e argento come rappresentante della ricchezza, come si è visto col signor von Rothschild, che come suo degno blasone ha appeso credo due banconote da 100.000 sterline incorniciate. L'ostentazione barbarica di oro ecc. è soltanto una forma più ingenua di questa moderna, in quanto meno legata all'oro come denaro. Qui si tratta ancora del suo semplice splendo- r e . Là, di luccichio riflesso. E questo luccichio sta nel fatto che esso non è usato come denaro; il lato importante qui è la forma antitetica alla circolazione.

L'accumulazione di tutte le altre merci è meno originaria di quella dell'oro e dell'argento: 1) a causa della loro caducità. I metalli, rispetto a tutte le altre merci, rappresentano in sé la durevolezza; e la loro accumulazione è preferita già per la loro maggiore rarità e per il loro eccezionale carattere di strumenti di produzione par excellence. I metalli nobili poi, per la loro inossidabilità all'aria ecc., sono meno caduchi di quelli non nobili. Nelle altre merci ciò che va perduto è appunto la loro forma; ma questa forma è anche quella che conferisce loro il valore di scambio, laddove il loro valore d'uso consiste nella soppressione di tale forma, ossia nel consumo. Nel denaro invece è la sua sostanza, la sua materialità che costituisce la forma stessa in cui esso rappresenta la ricchezza. Il denaro, già merce universale dal punto di vista spaziale, lo è ora anche da quello temporale. Si conserva come ricchezza perenne, possiede una durata specifica. È il tesoro che né tarme né ruggine rodono. Tutte le merci sono soltanto denaro perituro; il denaro è la merce imperitura. Il denaro è la merce onnipresente; la merce è soltanto denaro locale. Ma l'accumulazione è essenzialmente un processo che si svolge nel tempo. In questo senso dice Petty:

«L'effetto maggiore e finale del commercio non è la ricchezza in generale, ma prevalentemente un'abbondanza di argento, oro e gioielli, i quali non sono né caduchi né mutevoli come le altre merci, bensì ricchezza in tutti i tempi e in tutti i luoghi. Vino, grano, cacciagione, carne ecc. in abbondanza sono bensì ricchezze, ma hic et nunc ... Sicché la produzione di quelle merci e gli effetti di quel commercio, che forniscano un paese di oro e d'argento, sono più vantaggiosi di altri» (p. 3)70. «Se il denaro viene tolto, attraverso le imposte, ad uno che lo sperpera nel mangiare e nel bere, e dato ad uno che lo adopera per il miglioramento del paese, nella pesca, nello sfruttamento di miniere, nelle manifatture e persino nel vestiario, c'è sempre un vantaggio per la comunità; giacché anche i vestiti non sono così fugaci come i pasti; se viene adoperato nell'arredamento di case* il vantaggio è un po' più grande; se nella costruzione di case, lo è ancora di più; se nel miglioramento delle campagne, nello sfruttamento di miniere e nella pesca, lo è di più ancora; e lo è al massimo, se viene investito per introdurre nel paese oro e argento; perché solo queste cose non sono caduche, ma vengono apprezzate in tutti i tempi e luoghi come ricchezza» (p. 5). Così scriveva un uomo del XVII secolo. Si vede come l'accumulazione dell'oro e dell'argento ricevesse il vero stimolo non appena fossero concepiti come rappresentanti materiali e forma generale della ricchezza. Il culto del denaro ha il suo ascetismo, le sue rinuncie, i suoi sacrifici - la frugalità e la parsimonia, il disprezzo per i piaceri mondani, temporali e fugaci; la caccia al tesoro eterno -. Di qui, la connessione del puritanesimo inglese o anche del protestantesimo olandese con la tendenza ad accumulare denaro. Uno scrittore degli inizi del XVII sec. (Misseiden) esprime con molta ingenuità la questione in questi termini:

«La materia naturale del commercio è la merce, quella artificiale è il denaro. Per quanto il denaro venga naturalmente e temporalmente dopo la merce, esso, nel modo in cui è ora in uso, è diventato la cosa principale». Egli paragona ciò ai due figli del vecchio Giacobbe, che pose la mano destra sul più giovane e la sinistra sul più vecchio (p. 24)71. «Noi consumiamo un'eccessiva abbondanza di vino della Spagna, della Francia, del Reno, del Levante, delle isole: l'uva passa della Spagna, quella levantina di Corinto, le fini tele di Henault e dei Paesi Bassi, i drappi di seta d'Italia, lo zucchero e il tabacco delle Indie Occidentali, le spezie delle Indie Orientali; tutto ciò non ci è necessario, eppure lo compriamo con duro denaro ... Se fosse venduta una minore quantità di prodotto straniero e una maggiore di prodotto indigeno, l'eccedenza dovrebbe venirci nella forma di oro e di argento, come tesoro» (1. c.)72. Gli economisti moderni naturalmente ridicolizzano simili argomenti nella parte generale dell'economia. Ma se si considera l'affannosa premura che si nasconde specialmente nella dottrina del denaro e la febbrile paura con cui nella prassi si sorveglia il flusso e riflusso di oro e argento nei periodi di crisi, allora si vede che il denaro, nella determinazione ingenuamente unilaterale in cui lo concepivano i fautori del bullionismo e del mercantilismo, mantiene ancora tutto il suo diritto, e non soltanto idealmente ma come reale categoria economica.

6 L'antitesi che rappresentano i bisogni reali della produzione contro questa supremazia del denaro, è espressa nella maniera più convincente da Boisguillebert. (Vedine i passi sorprendenti nel mio quaderno).

[Tesaurizzazione e accumulazione del capitale. Articolazione del capitolo del denaro. Rovesciamento della legge di appropriazione]

2. L'accumulazione di altre merci, a prescindere dalla loro fugacità, è essenzialmente differente dall'accumulazione dell'oro e dell'argento, che qui si identificano col denaro, per due versi. Primo, l'accumulazione di altre merci non ha il carattere di accumulazione di ricchezza in generale, bensì di ricchezza particolare, ed è perciò essa stessa un particolare atto di produzione in cui non si ha a che fare con la semplice accumulazione. Ammassare frumento richiede particolari attrezzature ecc., e accumulare pecore non significa diventare pastori; e così accumulare schiavi o terre non produce necessariamente rapporti di signoria e di servitù. Tutto ciò postula dunque atti differenti dalla semplice accumulazione, dall'aumento in quanto tale della ricchezza, e rapporti determinati. D'altra parte per realizzare la merce accumulata come ricchezza generale, e per appropriarmi della ricchezza in tutte le sue forme particolari, io devo esercitare il commercio con la merce particolare che ho accumulato, e diventare mercante di grano, di bestiame ecc. Da ciò mi esenta il denaro quale rappresentante generale della ricchezza.

L'accumulazione di oro e argento, di denaro, è il primo fenomeno storico dell'accumulazione [des Ansammeins] del capitale e il suo primo mezzo rilevante; ma in quanto tale essa non è ancora accumulazione [Akkumulation] di capitale. Per questo dovrebbe verificarsi il rientro di ciò che si e accumulato, nella circolazione stessa come momento e mezzo dell'accumulazione.

Il denaro nella sua ultima e completa determinazione si presenta ora in tutti i sensi come una contraddizione che si risolve da sé, che spinge alla sua propria risoluzione. Ad esso, come forma generale della ricchezza si contrappone l'intero mondo delle ricchezze reali di cui esso è la pura astrazione - e perciò, fissato in questa forma, è una pura immaginazione. Mentre la ricchezza sembra esistere in forma del tutto materiale e tangibile in quanto tale, il denaro esiste semplicemente nella mia mente, è un puro fantasma mentale. Mida. D'altra parte come rappresentante materiale della ricchezza generale esso viene realizzato solo in quanto viene di nuovo posto in circolazione, e svanisce di fronte ai singoli modi particolari della ricchezza. Nella circolazione esso rimane mezzo di circolazione; ma per l'individuo che accumula esso va perduto, e questo svanire è l'unico modo possibile di assicurarlo come ricchezza. La dissoluzione dell'accumulato in singoli godimenti costituisce la sua realizzazione. Esso può poi di nuovo essere accumulato da altri singoli individui, ma allora anche il processo ricomincia da capo. Io posso porre realmente il suo essere per me solo in quanto lo abbandono come essere per un altro. Se decido di trattenerlo, mi si stempera tra le mani fino a diventare un semplice fantasma della ricchezza reale. Non solo: ma il suo aumentare per accumulazione, talché la sua stessa quantità sia la misura del suo valore, si rivela a sua volta falso. Se le altre ricchezze non si accumulano, esso stesso perde il suo valore nella misura in cui si accumula. Ciò che figura come suo aumento, è in realtà la sua diminuzione. La sua autonomia è soltanto una parvenza; la sua indipendenza dalla circolazione non è in realtà che un riferirsi ad essa, e quindi un modo di dipendere da essa. Esso pretende di essere merce universale, ma per la^sua particolarità naturale, è di nuovo una merce particolare, il cui valore da una parte dipende dalla domanda e dall'offerta, dall'altra muta con i suoi specifici costi di produzione. E siccome esso stesso si incarna in oro e argento, in ogni forma reale diventa unilaterale; cosicché se un lato si presenta come denaro - l'altro si presenta come merce particolare e vice versa, e così ciascun lato si presenta in entrambe le determinazioni. Se è la sicurezza assoluta, la ricchezza del tutto indipendente dalla mia individualità, nello stesso tempo è l'assoluta insicurezza del tutto esterna a me, che può essere separata da me da qualsiasi evento fortuito. Lo stesso vale per le sue determinazioni del tutto contraddittorie di misura, mezzo di circolazione e denaro in quanto tale. Infine in quest'ultima determinazione esso si contraddice ancora per la pretesa di rappresentare il valore in quanto tale, laddove in realtà rappresenta soltanto una quantità identica di valore variabile. Perciò esso si toglie come valore di scambio compiuto.

Come semplice misura esso è già negato in sé in quanto mezzo di circolazione, come mezzo di circolazione e come misura è già negato in sé in quanto denaro. La negazione di sé nell'ultima determinazione è dunque nello stesso tempo la negazione nelle due precedenti. Negato in quanto mera forma generale della ricchezza, esso allora è costretto a realizzarsi nelle sostanze particolari della ricchezza reale; ma mentre in tal modo si conferma realmente come rappresentante materiale della totalità della ricchezza, nello stesso tempo deve mantenersi come la forma generale. Il suo passare nella circolazione deve essere anche un momento del suo rimanere-presso-di- sé, e questo suo rimanere-presso-di-sé anche un passare nella circolazione. Il che vuol dire che come valore di scambio realizzato esso deve essere posto nello stesso tempo come processo in cui si realizza il valore di scambio. Esso è ad un tempo negazione di sé come forma puramente oggettiva, come forma esterna agli individui e come forma accidentale della ricchezza. Esso deve piuttosto presentarsi come produzione della ricchezza, e questa come risultato delle relazioni reciproche degli individui nella produzione. Il valore di scambio dunque è determinato ora come processo, non più come semplice cosa per la quale |a circolazione è soltanto un movimento estrinseco, o che ha un'esistenza individuale in una materia particolare: come ferimento a se stesso attraverso il processo della circolazione' D'altra parte la circolazione stessa non è più soltanto

il semplice processo di scambio della merce col denaro e del denaro con la merce, non è più semplicemente il movimento di mediazione inteso a realizzare i prezzi delle differenti merci, a equipararle reciprocamente come valori di scambio, ove figurano fuori della circolazione due cose: e cioè da un lato il valore di scambio presupposto, la sottrazione definitiva della merce nel consumo e quindi l'annientamento del valore di scambio, dall'altro la sottrazione del denaro, la sua autonomizzazione rispetto alla sua sostanza, che è di nuovo una forma diversa del suo annientamento. Il valore di scambio stesso - ed ora non più il valore di scambio in generale ma quello misurato -, in quanto presupposto deve presentarsi come posto dalla circolazione, e in quanto posto da quest'ultima deve presentarsi come suo presupposto. Il processo di circolazione deve presentarsi altresì come processo di produzione dei valori di scambio. Abbiamo dunque da un lato il ritorno del valore di scambio nel lavoro, dall'altro il ritorno del denaro nel valore di scambio; il quale però è posto ora in una determinazione approfondita. Nella circolazione il prezzo d e - terminato è presupposto, ed essa lo pone in termini di denaro soltanto formalmente. La determinatezza del valore di scambio stesso, o la misura dei prezzi, deve ora presentarsi essa stessa come atto della circolazione. Posto così, il valore di scambio è il capitale, e la circolazione è posta nello stesso tempo come atto della produzione.

Da riprendere: Nella circolazione, nella forma di circolazione del denaro in cui si è presentata, è continuamente presupposta la simultaneità dei due poli dello scambio. Ma può intervenire una differenza temporale tra l'esistenza delle merci da scambiare. Può essere nella natura delle operazioni scambievoli che l'una avvenga oggi mentre quella correlativa avvenga soltanto dopo un anno ecc. «Nella maggior parte dei contratti», dice Senior, «soltanto una delle parti contraenti dispone della merce e la cede; e perché lo scambio abbia luogo, occorre cederla subito sotto la condizione di ricevere l'equivalente soltanto in data successiva. E poiché il valore di tutte le cose muta in un determinato spazio di tempo, si assume come mezzo di pagamento quella cosa il cui valore muti in misura minima, il quale conservi il più a lungo possibile una data capacità media di acquisto. In tal modo il denaro diventa espressione o rappresentante del valore»73. Secondo questa tesi quest'ultima determinazione del denaro non si connetterebbe affatto con la sua precedente. Ma è falso. Solo quando il denaro è posto come autonomo rappresentante del valore, i contratti non vengono più stipulati per esempio in quantità di frumento o in servizi da prestarsi (fenomeno generale, quest'ultimo, per es., nel feudalesimo). Che il denaro possieda una «più lunga capacità media» di mantenere il suo valore è una riflessione del signor Senior. La realtà è che esso come materiale generale dei contratti (merce generale dei contratti lo chiama Bailey)74 è assunto come merce generale, rappresentante della ricchezza generale (dice Storch)75, valore di scambio au- tonomizzato. Il denaro deve essere già molto sviluppato nelle sue due prime determinazioni per poter presentarsi nella terza con tale ruolo di generalità. Ora di fatto noi vediamo che sebbene la quantità di denaro rimanga uniformemente la stessa, il suo valore muta: che esso in generale come quantità determinata è subordinato alla variabilità di tutti i valori. Qui la sua natura di merce particolare si fa valere contro la sua determinazione generale. [Al denaro] come misura il mutamento è indifferente giacché «in un medium variabile possono sempre essere espresse due relazioni diverse rispetto ad esso, allo stesso modo che in un medium costante»76. Anche come mezzo di circolazione il mutamento gli è indifferente, giacché la sua quantità come tale è posta dalla misura. Ma come d e n a - r o , quale figura nei contratti, il mutamento gli è essenziale poiché è in questa determinazione che vengono in luce le sue contraddizioni.

Da riprendere in sezioni particolari:

1) denaro come moneta. Accenni molto sommari sulla monetazione. 2) Notizie storiche sulle fonti d'origine dell'oro e dell'argento, sulla loro scoperta ecc. Storia della loro produzione. 3) Cause delle variazioni del valore dei metalli nobili e quindi del denaro metallico; effetti di questa variazione sull'industria e sulle diverse classi. 4) Principalmente: quantità della circolazione con riferimento all'aumento e alla diminuzione dei prezzi (XVI sec., XIX sec.). Ma da vedere anche in che modo esso come misura venga influenzato da un aumento di quantità ecc. 5) Sulla circolazione: velocità, quantità occorrente, effetto della circolazione; più, meno sviluppata ecc. 6) Effetto dissolvente del denaro.

(Questo da riprendere). (A questo punto le indagini specificamente economiche).

(Il peso specifico dell'oro e dell'argento, la loro capacità di contenere molto peso in un volume relativamente ristretto, al confronto con gli altri metalli, ritorna nel mondo dei valori come capacità di contenere un grande valore (tempo di lavoro) in un volume relativamente ristretto. Il tempo di lavoro in essi realizzato, il valore di scambio, è il peso specifico della merce. Ciò rende i metalli nobili particolarmente adatti ai fini della circolazione (giacché si può portare nella propria tasca una rilevante porzione di valore) e dell'accumulazione, giacché si può mettere al sicuro e accumulare un grande valore in uno spazio ristretto. L'oro non si trasforma durante l'accumulazione, come il ferro, il piombo ecc. Rimane ciò che è).

«Se la Spagna non avesse posseduto le miniere del Messico e del Peru, non avrebbe mai avuto bisogno del grano della Polonia» (Ravenstone)77.

IIli unum consilium habent et virtutem et potestatem suam bestiae tradent... et ne quis posset emere aut vendere, nisi qui habet characterem aut nomen bestiae, aut nu- merum nominis eius (Apocalisse, Vulgata). «Le quantità correlative di merci che si cedono l'una in cambio dell'altra costituiscono il prezzo della merce»(Storch). «Il prezzo è il grado del valore scambiabile» (1. c.)78.

Come abbiamo visto che nella circolazione semplice in quanto tale (nel valore di scambio nel suo movimento) l'azione reciproca degli individui è, dal punto di vista del contenuto, soltanto una mutua e interessata soddisfazione dei loro bisogni, e dal punto di vista della forma è uno scambiare, un porre come uguali (equivalenti), così qui anche la proprietà viene posta ancora soltanto come appropriazione del prodotto del lavoro attraverso il lavoro e del prodotto del lavoro altrui attraverso il proprio lavoro, in quanto il prodotto del proprio lavoro viene comprato mediante il lavoro altrui. La proprietà del lavoro altrui è mediata dall'equivalente del proprio lavoro. Questa forma di proprietà - proprio come la libertà e l'uguaglianza -, è posta in questo semplice rapporto. Nell'ulteriore sviluppo del valore di scambio tutto ciò muterà e si mostrerà finalmente che la proprietà privata del prodotto del proprio lavoro si identifica con la separazione di lavoro e proprietà; cosicché lavoro equivarrà a creare proprietà altrui, e proprietà equivarrà a comandare lavoro altrui.

[A questo punto il quaderno II si interrompe.]

Note

1 (Cfr. A. Darimon, De la réforme des banques, avec une introduction par M. Êmile de Girardin, Paris 1856, p. 3.)

2 Cfr. ibidem, p. 3

3 Cfr. ibidem, pp. 3-4

4 (Cfr. Gratuité du crédit. Discussion entre M. Fr. Bastiat et M. Proudhon, Paris 1850, pp. 60-74, 286-287)

5 Cfr. Darimon, De la réforme ecc.., cit., p. 4

6 Cfr. ibidem, p. 5

7 Cfr. ibidem, p. 6

8 Cfr. ibidem, p. 6

9 Cfr. ibidem, p. 6-7

10 Cfr. ibidem, p. 22

11 Cfr. ibidem, p. 23

12 (Cfr. J. Steuart, An Inquiry ecc., cit., vol. I, pp. 45, 50, 153)

13 Cfr. p. es. F. Galiani, Della moneta, in Scrittori classici italiani di economia politica. Parte moderna. Tomo III, Milano 1803, p. 152. J. Steuart, An Inquiry ecc., cit., vol. II, pp. 106-107. H. Storch, Cours ecc., cit., t. I, pp. 84-88 . D. Urquhart, Familiar Words as Effecting England and the English, London 1856, p. 112. W. Jacob, An Historical Inquiry into the Production and Consumption of the Precious Metals, 2 voll., London 1831, vol. II, p. 326.

14 Cfr. «The Economist», XV (1857), Saturday, January 24, n. 700, p. 86, col. 1-2, articolo Trade of 1856 - Decrease of Consumption.

15 Cfr. Supplemento all'«Economist», XV (1857), Saturday, January 24, n.700, col. I, articolo The Double Stadard in France.

16 Cfr. J. Gray, Lectures on the Nature and Use of Money ecc., Edinburgh 1848, p. 250. . W. Atkinson, Principles of Political Economy; or the Laws of the Formation of National Wealth ecc., London 1840, pp. 171-196.

17Cfr. J. Locke, The Works, London 1768, 7ª ed., vol. II, p. 92.

18 Cfr. J. Gray, The Social System. A Treatise on the Principle of Exchange. Edinburgh 1831, pp. 62-88.

19 Cfr. A. H. Müller, Die Elemente der Staaatskunst, Berlin 1809, parte II, pp. 72-207. , T. Carlyle, Chartism, London 1844, pp. 49-88.

20 Cfr. J. F. Bray, Labour's Wrongs and Labour's Remedy ecc. Leeds-Manchester 1839, p. 141.

21 Cfr. p. es. A. Smith, An Inquiry ecc., cit., vol. I, 1. 1, cap. IV, p. 85-86 . J. Wade, History of the Middle and Working Classes, London 1833, p. 3.

22 Cfr. D. Urquhart, Familiar Words ecc., cit., p. 112.

23 Cfr. A. Smith, An Inquiry ecc., cit., vol. I, pp. 100-101

24 Cfr. ibidem, vol. I, pp. 102-105

25Cfr. J. Steuart, An Inquiry ecc., cit., vol. I, p. 88

26Cfr. W. Petty, Political Arilhmetick, or a Discourse Concerning the Extent and Value of Lands ecc., in Several Essays in Political Arithmetick ecc., London 1699, pp. 178-179, 195-196.

27 Cfr. Xenophontis opuscula politica eque stria et venatica cum Arriani libello de venatione, ed. Jo.»Gottlob Schneider. Saxo. Lipsiae 1815, Tomus sextus. De vectigalibus, Caput 1, 4 et 5, p. 143.

28 Cfr. Strabonis rerum geographicarum libri XVII... Editio stereotypa. Lipsiae 1829. Tomus I, liber XI, caput IV, pp. 415-416.

29 Cfr. Government School of Mines and Science Applied to the Arts. Lectures on Gold ecc., London 1852, e cfr. nota 56.

30 Cfr. Ricardo, On the Principles ecc., cit., p. 2

31 Cfr. Government School ecc., cit.

32 Cfr. ibidem, pp. 93-98.

33 Cfr. ibidem, pp. 72-73

34 Cfr. Jacob Grimm, Geschichte der Deutschen Sprache, vol. I, Leipzig 1848, pp. 13-14.

35 Cfr. G. Garnier, Histoire de la monnaie depuis les temps de la plus haute antiquité jusqu'au règne de Charlemagne, Paris 1819, t. I, p. 7.

36 Cfr. J. F. Reitemeier, Geschichte des Bergbaues und Hüttenwesens bey den alten Völkern, Göttingen 1785, pp. 14, 15-16, 32.

37 Cfr. W. Jacob, An Historical Inquiry into the Production and Consumption of the Precious Metals, London 1831, vol. I, p. 142.

38 Fonte probabile: G. von Gölich, Die gesammten gewerblichen Zustände in den bedeutendsten Ländern der Erde während der letzten zwölf Jahre ecc., vol. III e ultimo; sta in Geschichtliche Darstellung des Handels, der Gewerbe und des Ackerbaus der bedeutendsten handelstreibenden Staaten unserer Zeit, vol. V e ultimo, Jena 1845; v. p. es. ibidem, p. 131.

39 Cfr. J. A. Letronne, Considérations générales sur l'évaluation des monnaies grecques et romaines, et sur la valeur de l'or et de l'argent avant la découverte de l'Amérique, Paris 1817, p. 112. Cfr. inoltre G. Garnier, op. cit., t. I, pp. 65-66.

40Cfr. G. Garnier, Histoire ecc., cit., p. 253.

41 Cfr. W. N. Senior, Three Lectures on the Cost of Obtaining Money ecc., London 1830, pp. 13-14.

42 Cfr. G. Garnier, Histoire ecc., cit., pp. 72-73, 77, 78.

43 Cfr. J. Steuart, An Inquiry, ecc., cit., vol. I, pp. 395-396.

44 fr. J. G. Hubbard, The Currency and the Country, London 1843, pp. 44-46.

45 Cfr. W. Jacob, An Historical Inquiry ecc., cit., vol. II, p. 326.

46 Cfr. J. Steuart, An Inquiry ecc., cit., vol. II, p. 389.

47 Cfr. BOISGUILLEBERT, Dissertation sur la nature des richesses, de l'argent et des tributs ecc., in Économistes financiers du XVIIIe siècle, a cura di E. Daire, Paris 1843, pp. 395, 417

48 Cfr. J. STEUART, An Inquiry ecc., cit., vol. I, pp. 177-183.

49 Cfr. J. STEUART, An Inquiry ecc., cit., vol. I, pp. 395-396.

50 Cfr. «Weekly Dispatch» London, Sunday, November 8, 1857, N. 2925, p. 1, col. 2, articolo The Panic and. the People.

51 Cfr. F.-L.-A. FERRIER, DM gouvernement considéré dans ses rapports avec le commerce, Paris 1805, p. 35.

52 «... eine Ware wie jede andre behandelt...»; in ms. «... eine Ware, wie...». Cfr. Louis SAY (DE NANTES), Principales causes*de la richesse ou de la misère des peuples et des particulières, Paris 1818, pp. 31-32

53 Cfr. A. SMITH, An Inquiry ecc., cit., vol. II, 1. II, c. II. pp. 270-277.

54 Cfr. F.-L.-A. FERRIER, DU Gouvernement ecc., cit., p. 52.

55 Cfr. ibidem, p. 18.

56 Cfr. A. SMITH, An Inquiry ecc., cit., vol. I, 1. I, c. IV

57 Cfr. E. SOLLY, The Present Distress in Relation to the Theory of Money, London 1830, pp. 5-6.

58 Cfr. LAUDERDALE [lames Maintland] le comte de: Recherches sur la nature et l'origine de la richesse publique, et sur+le moyens et les causes qui concourent à son accroissement. Trad, de l'anglais par E. Lagentie de Lavaisse, Paris 1808, p. 140

59 Cfr. ibidem, pp. 140-144

60 Cfr. J. TAYLOR, A View to the Money System of England, from the Conquest; with Proposals for Establishing a Secure and Equable Credit Currency, London 1828, pp. 18, 19.

61 Cfr. SISMONDI, Études ecc., cit. t. II, p. 278.

62Cfr. ibidem, p. 300.

63 Cfr. BOISGUILLEBERT, Dissertation ecc., cit, p. 399.

64 Cfr. J. STEUART, An Inquiry, cit., vol. I, p. 327.

65 Cfr. T. R. MALTHUS, Principles of Political Economy, 2» ed., London 1836, p. 391, nota del curatore W. Otter

66 Finché il denaro è mezzo di circolazione «la quantità che ne circola non può mai essere usata individualmente; deve circolare sempre» (Storch)98. L'individuo può aver bisogno del denaro solo in quanto cessa di essere se stesso ponendosi come essere per qualcos'altro , determinandosi socialmente. Questo, come giustamente osserva Storch, è un motivo per cui la materia del denaro «non sia di natura tale da essere indispensabile all'esistenza dell'uomo», come le pelli, il sale, ecc., i quali presso alcuni popoli fuggono da denaro. Giacché la quantità di esso che si trova in circolazione va perduta nel consumo. Ecco perché come denaro godono di un privilegio rispetto alle altre merci anzitutto i metalli in generale, e poi, rispetto a quelli che sono utili come strumenti di produzione, i metalli nobili. È caratteristico degli economisti che Storch esprima questo fatto dicendo: la materia del denaro deve «avere un valore diretto, ma fondato su di un besoin factice». (Cfr. H. STORCH, Cours ecc., cit., t. II, pp. 113-114) Besoin factice l'economista chiama in primo luogo i besoins che scaturiscono dall'esistenza sociale dell'individuo; in secondo luogo, quelli che non derivano dalla sua nuda esistenza di oggetto naturale. Ciò rivela l'intima e disperata miseria che costituisce la base della ricchezza borghese e della sua scienza.

67 Cfr. ibidem, p. 175

68 Cfr. [E. Misseiden] Free Trade, or the Meanes to Make Trade Florish ecc., London 1622, pp. 19-24

69 Cfr. W. JACOB, An Historical Inquiry ecc., cit., vol. II. pp. 271-323.

70 Cfr. W. PETTY, Political Arithmetick ecc., cit., pp. 178-179.

71 Cfr. [E. MISSELDEN] Free Trade ecc., cit., p. 7.

72 Cfr. ibidem, pp. 12-13.

73 Cfr. N. SENIOR, Principes fondamentaux de l'économie politique, tirés de leçons édites et inédites. Par le comte J. Arrivabene, Paris 1836, pp. 116-117.

74 Cfr. [S. BAILEY] Money and Its Vicissitude in Value ecc., London 1837, pp. 9-11.

75 Cfr. H. STORCH, Cours ecc., cit., t. II, p. 135

76 Cfr. [S. BAILEY] Money ecc., cit., pp. 9-11.

77 Cfr. P. RAVENSTONE, Thoughts on the Funding System, and Its Effects, London 1824, p. 20.

78 Cfr. H. STORCH, Cours ecc., cit., t. I, pp. 72-73