Il capitale - Libro I

SEZIONE VII - IL PROCESSO DI ACCUMULAZIONE DEL CAPITALE

CAPITOLO 23

LA LEGGE GENERALE DELL’ACCUMULAZIONE CAPITALISTICA

1. DOMANDA CRESCENTE DI FORZA-LAVORO CHE ACCOMPAGNA L’ACCUMULAZIONE DEL CAPITALE, EGUALE RIMANENDO LA COMPOSIZIONE DEL CAPITALE STESSO.

In questo capitolo trattiamo della influenza che l’aumento del capitale esercita sulle sorti della classe operaio. Il fattore più importante di questa indagine sono la composizione del capitale e le variazioni che essa subisce nel corso del processo d’accumulazione.

La composizione del capitale è da considerarsi in duplice senso.

Dal lato del valore essa si determina mediante la proporzione in cui il capitale si suddivide in capitale costante ossia valore dei mezzi di produzione e in capitale variabile ossia valore della forza-lavoro, somma complessiva dei salari.

Dal lato della materia, quale essa opera nel processo di produzione, ogni capitale si suddivide in mezzi di produzione e in forza-lavoro vivente; questa composizione si determina mediante il rapporto fra la massa dei mezzi di produzione usati da una parte e della quantità di lavoro necessaria per il loro uso dall’altra.

Chiamerò composizione del valore la prima e composizione tecnica del capitale la seconda.

Fra entrambe esiste uno stretto rapporto reciproco.

Per esprimere quest’ultimo, chiamerò la composizione del valore del capitale, in quanto sia determinata dalla sua composizione tecnica e in quanto rispecchi le variazioni di questa: la composizione organica del capitale. Dove si parlerà della composizione del capitale senz’altra specificazione, si dovrà sempre intenderne la composizione organica.

I numerosi capitali singoli investiti in un dato ramo della produzione hanno una composizione più o meno differente l’un dall’altro. La media delle loro composizioni singole ci dà la composizione del capitale complessivo di quel ramo della produzione. E infine la media complessiva delle composizioni medie di tutti i rami della produzione ci dà la composizione del capitale sociale di un paese, e di questa soltanto si tratta in ultima istanza nelle pagine che seguono.

L’aumento del capitale implica l’aumento della sua parte costitutiva variabile ossia convertita in forza-lavoro. Una parte del plusvalore trasformato in capitale addizionale deve costantemente essere ritrasformata in capitale variabile ossia in un fondo addizionale di lavoro. Supponiamo che, insieme a circostanze altrimenti invariate, rimanga invariata la composizione del capitale, ossia che una determinata massa di mezzi di produzione o di capitale costante richieda sempre la medesima massa di forza-lavoro per essere messa in moto; in tal caso la domanda di lavoro e il fondo di sussistenza degli operai aumentano evidentemente in proporzione del capitale e aumentano tanto più rapidamente quanto più rapidamente aumenterà il capitale. Siccome il capitale produce annualmente un plusvalore, di cui una parte viene annualmente unita al capitale originario, siccome questo incremento stesso aumenta ogni anno aumentando il volume del capitale già operante, e siccome infine, per lo sprone particolare dell’istinto dell’arricchimento, come ad esempio l’apertura di mercati nuovi, di nuove di investimento di capitale in seguito allo sviluppo di nuovi bisogni sociali ecc., la scala dell’accumulazione è improvvisamente elastica in virtù del semplice variare della ripartizione del plusvalore o plusprodotto in capitale e reddito, i bisogni di accumulazione del capitale potranno superare l’aumento della forza- lavoro o del numero degli operai, la domanda di operai potrà superare la loro offerta, e quindi potranno aumentare i salari. Questo dovrà addirittura accadere perdurando costante il presupposto di cui sopra. Siccome ogni anno vengono occupati più operai che non nell’anno precedente, presto o tardi si dovrà arrivare al punto in cui i bisogni dell’accumulazione cominciano a sorpassare la consueta offerta di lavoro, in cui quindi subentra un aumento dei salari. Lamentele in proposito si fanno sentire in Inghilterra durante tutto il secolo XV e durante la prima metà del XVIII. Le circostanze più o meno favorevoli in cui i salariati si mantengono e si moltiplicano non cambiano tuttavia nulla al carattere fondamentale della produzione capitalistica.

Allo stesso modo che la riproduzione semplice riproduce costantemente lo stesso rapporto capitalistico, capitalisti da un lato e salariati dall’altro, la riproduzione su scala allargata ossia l’accumulazione riproduce il rapporto capitalistico su scala allargata, più capitalisti o più grossi capitalisti a questo polo e più salariati a quell’altro. La riproduzione della forza-lavoro, che deve incessantemente incorporarsi al capitale come mezzo di valorizzazione, che non può staccarsi da esso e la cui servitù nei confronti del capitale viene solo nascosta dall’alternarsi del capitalista individuale a cui essa si vende, costituisce effettivamente un elemento della riproduzione dello stesso capitale. Accumulazione del capitale è quindi aumento del proletariato70.

L’economia classica aveva capito così bene questa proposizione che A. Smith, il Ricardo ecc, identificano erroneamente, come è stato detto sopra, l’accumulazione addirittura con il consumo di tutta la parte capitalizzata del plusprodotto ad opera di operai produttivi, ossia con la sua trasformazione in salariati addizionali. Fin dal 1696 John Bellers dice: «Se qualcuno avesse 100.000 acri e altrettante lire sterline di denaro e altrettanto bestiame, che cosa sarebbe l’uomo ricco senza il lavoratore se non egli stesso un lavoratore? E come i lavoratori arricchiscono la gente, allo stesso modo tanto più lavoratori, tanto più ricchi... Il lavoro del povero è la miniera del ricco»71. Così Bernard de Mandeville ai primi del secolo XVIII:

«Là dove la proprietà è sufficientemente difesa, sarebbe più facile vivere senza denaro che senza poveri, giacché chi farebbe il lavoro? Allo stesso modo che i lavoratori devono essere protetti contro la morte per fame, essi non dovrebbero ricevere nulla che valga di essere risparmiato. Se qua e là qualcuno della classe infima si eleva, in virtù di un’assiduità straordinaria e di uno stringere la cintola, al di sopra delle condizioni in cui è cresciuto, nessuno deve ostacolarlo; anzi è innegabilmente il piano più saggio per ogni privato, per ogni famiglia singola della società, essere frugale; ma è interesse di tutte le nazioni ricche che la gran maggioranza dei poveri non sia mai inattiva. e che pur tuttavia spenda costantemente quello che intasca... Coloro che si guadagnano la vita con il loro lavoro quotidiano, non hanno nulla che li stimoli ad essere servizievoli se non i loro bisogni che è saggezza alleviare, ma sarebbe follia curare. L’unica cosa che possa rendere assiduo l’uomo che lavora è un salario moderato. Un salario troppo esiguo lo rende a seconda del suo temperamento o pusillanime o disperato, un salario troppo cospicuo lo rende insolente e pigro... Da quanto è stato svolto sin qui consegue che in una nazione libera in cui non siano consentiti gli schiavi, la ricchezza più sicura consiste in una massa di poveri laboriosi. Prescindendo dal fatto che essi sono la fonte d’offerta mai esaurita per la flotta e per l’esercito, senza di essi non vi sarebbe godimento, e il prodotto di nessun paese sarebbe valorizzabile. Per rendere felice la società (composta naturalmente di coloro che non lavorano) e per render il popolo contento anche in condizioni povere, è necessario che la grande maggioranza rimanga sia ignorante che povera. Le cognizioni aumentano e moltiplicano i nostri desideri, e quanto meno un uomo desidera, tanto più facilmente i suoi bisogni potranno essere soddisfatti»72.

Quello che il Mandeville, uomo onesto e mente chiara, non capisce ancora è che il meccanismo dello stesso processo di accumulazione aumenta insieme col capitale la massa dei «poveri laboriosi» ossia dei salariati, i quali trasformano la propria forza-lavoro in una crescente forza di valorizzazione del capitale crescente e in questo modo devono appunto perpetuare il loro rapporto di dipendenza dal proprio prodotto, personificato nel capitalista. Riferendosi a questo rapporto di dipendenza Sir F. M. Eden osserva nella sua Situazione dei poveri ovvero storia della classe operaia inglese: «La nostra zona richiede lavoro per il soddisfacimento dei bisogni, e perciò una parte della società per lo meno deve lavorare indefessamente... Alcuni che non lavorano hanno ciò malgrado a loro disposizione i prodotti dell’assiduità. Ma questo quei tali proprietari lo devono soltanto all’incivilimento e all’ordine, essi sono creature pure e semplici delle istituzioni civili73. poiché queste hanno riconosciuto che i frutti del lavoro possono essere appropriati anche in maniera diversa che non con il lavoro. La gente che ha un patrimonio indipendente deve questo patrimonio quasi esclusivamente al lavoro altrui, non alla propria capacità, che non è assolutamente migliore di quella degli altri; non è il possesso della terra e del denaro che distingue i ricchi dai poveri, ma il comando sul lavoro («the command of labour»)... Quello che è accetto al povero non è una situazione abietta o servile, ma un rapporto di dipendenza comodo e liberale («a state of easy and liberal dependence») e alla gente che ha proprietà, influenza e autorità sufficienti su coloro che lavorano per essi... Tale rapporto di dipendenza è necessario, come sa ogni conoscitore della natura umana, per il conforto degli stessi lavoratori»74. Sir F. M. Eden, sia detto di sfuggita, è l’unico scolaro di Adam Smith che durante il secolo XVIII abbia fatto qualcosa d’importante75.

Nelle condizioni dell’accumulazione fin qui presupposte, che sono le più favorevoli agli operai, il rapporto di dipendenza degli operai dal capitale riveste forme tollerabili o, come dice Eden, «comode e liberali». Invece di diventare più intenso con l’aumento del capitale, esso si fa solo più esteso, ossia la sfera di sfruttamento e di dominio del capitale si estende soltanto insieme con la dimensione di quest’ul timo e col numero dei suoi sudditi. Del loro proprio plusprodotto enfiantesi e che enfiandosi si trasforma in capitale addizionale rifluisce ad essi una parte maggiore sotto forma di mezzi di pagamento, cosicché possono ampliare la cerchia dei loro godimenti, arricchire il loro fondo di consumo per vestiti, mobili ecc. e costituire piccoli fondi di riserva di denaro. Ma come il vestiario, l’alimentazione, il trattamento migliori e un maggiore peculio non aboliscono il rapporto di dipendenza e lo sfruttamento dello schiavo, così non aboliscono quello del salariato. Un aumento del prezzo del lavoro in seguito all’accumulazione del capitale significa effettivamente soltanto che il volume e il grosso peso della catena dorata che il salariato stesso si è ormai fucinato, consentono una tensione allentata.

Nelle controversie su questo argomento non si è tenuto conto per lo più della cosa principale ossia della differentia specifica della produzione capitalistica. La forza-lavoro qui non è comprata per soddisfare mediante il suo servizio o il suo prodotto i bisogni personali del compratore. Lo scopo del compratore è la valorizzazione del suo capitale, la produzione di merci che contengano una maggior quantità di lavoro di quella che paga, che contengano quindi una parte di valore che a lui non costa nulla e che ciò nonostante viene realizzata mediante la vendita delle merci. La produzione di plusvalore o il fare di più è la legge assoluta di questo modo di produzione. La forza-lavoro è vendibile solo in quanto conserva i mezzi di produzione come capitale, in quanto riproduce il proprio valore come capitale e fornisce nel lavoro non retribuito una fonte di capitale addizionale76. Le condizioni della sua vendita, siano esse più favorevoli all’operaio o meno, implicano quindi la necessità della sua costante rivendita e la sempre ampliata riproduzione della ricchezza come capitale.

Il salario esige costantemente, come si è visto, per sua natura, la fornitura di una determinata quantità di lavoro non retribuito da parte dell’operaio. Del tutto prescindendo dall’aumento del salario accompagnato alla diminuzione del prezzo del lavoro ecc., il suo crescere, nel caso migliore, non significa che il calare quantitativo del lavoro non retribuito che l’operaio deve compiere. Questo calare non può mai continuare fino al punto in cui minaccerebbe il sistema stesso. Fatta astrazione dai conflitti violenti intorno al saggio del salario, e Adam Smith ha già mostrato come in un conflitto del genere tutto sommato il padrone resta sempre padrone, l’aumento del prezzo del lavoro derivato dall’accumulazione del capitale presuppone la seguente alternativa:

O il prezzo del lavoro continua a crescere perché il suo aumento non turba il progresso dell’accumulazione; e in questo non vi è nulla di strano poiché, dice A. Smith, «anche con un profitto diminuito i capitali ciò malgrado aumentano; aumentano perfino con maggiore rapidità di prima... Un grosso capitale cresce, generalmente anche essendo più piccolo il profitto, con maggiore rapidità che non un capitale piccolo che abbia un profitto grosso» (Wealth of Nations, Il, 189). In questo caso è evidente che una diminuzione del lavoro non retribuito non pregiudica affatto l’estensione del dominio del capitale. Oppure, e questo è l’altro lato dell’alternativa, l’accumulazione si allenta in seguito all’aumento del prezzo del lavoro, perché ottunde lo stimolo del guadagno L’accumulazione diminuisce. Ma mentre essa diminuisce scompare la causa della sua diminuzione, ossia la sproporzione fra capitale e forza-lavoro sfruttabile. Il meccanismo del processo di produzione capitalistico elimina dunque esso stesso gli ostacoli che crea momentaneamente. Il prezzo del lavoro ricade a un livello corrispondente ai bisogni di valorizzazione del capitale, sia esso più basso, sia esso più alto del livello considerato normale prima dell’aumento dei salari, sia esso eguale a questo.

È chiaro: nel primo caso non è la diminuzione dell’incremento assoluto o proporzionale della forza-lavoro o della popolazione operaia che rende il capitale eccedente, ma, viceversa, è l’aumento del capitale che rende insufficiente la forza-lavoro sfruttabile. Nel secondo caso non è l’aumento dell’incremento assoluto o proporzionale della forza-lavoro o della popolazione operaia che rende insufficiente il capitale, ma, viceversa, la diminuzione del capitale rende eccedente la forza-lavoro sfruttabile o, piuttosto, il suo prezzo. Sono questi movimenti assoluti entro l’accumulazione del capitale che si rispecchiano come movimenti relativi entro la massa della forza-lavoro sfruttabile e quindi sembrano dovuti al movimento proprio di quest’ultima.

Per usare un’espressione matematica: la grandezza dell’accumulazione è la variabile indipendente, la grandezza del salario quella dipendente, non viceversa

Alla stessa maniera nella fase di crisi del ciclo industriale la caduta generale dei prezzi delle merci si esprime come aumento del valore relativo del denaro, e nella fase di prosperità l’aumento generale dei prezzi delle merci si esprime come caduta del valore relativo del denaro. La cosiddetta currency-school ne deduce che quando i prezzi sono alti circola troppo denaro, quando sono bassi ne circola troppo poco. La sua ignoranza e il suo completo fraintendimento dei fatti77 trovano un degno parallelo negli economisti i quali interpretano quei fenomeni dell’accumulazione nel senso che la prima volta esistono troppo pochi operai salariati e la seconda se ne hanno troppi.

La legge della produzione capitalistica, che sta alla base della pretesa «legge naturale della. popolazione», si riduce semplicemente a questo: il rapporto fra capitale, accumulazione e saggio del salario non è altro che il rapporto fra il lavoro non retribuito trasformato in capitale e il lavoro addizionale richiesto dal movimento del capitale addizionale. Non si tratta dunque affatto di un rapporto fra due grandezze indipendenti fra di loro, da una parte la grandezza del capitale e dall’altra il numero della popolazione operaia, si tratta bensì in ultima istanza solo del rapporto fra il lavoro non retribuito e quello retribuito di una medesima popolazione operaia. Se la quantità deI lavoro non retribuito, fornito dalla classe operaia e accumulato dalla classe dei capitalisti, cresce con rapidità sufficiente perché si possa trasformare in capitale solo con un’aggiunta straordinaria di lavoro retribuito, il salario cresce, e, supponendo eguali tutte le altre circostanze, il lavoro non retribuito diminuisce in proporzione. Ma non appena questa diminuzione tocca il punto in cui il pluslavoro che alimenta il capitale non viene più offerto in quantità normale, subentra una reazione: una parte minore del reddito viene capitalizzata, l’accumulazione viene paralizzata e il movimento dei i salari in aumento subisce un contraccolpo. L’aumento del prezzo del lavoro rimane dunque confinato entro limiti che non solo lasciano intatta la base del sistema capitalistico, ma assicurano anche la sua riproduzione su scala crescente.

La legge dell’accumulazione capitalistica mistificata in legge di natura esprime dunque in realtà solo il fatto che la sua natura esclude ogni diminuzione del grado di sfruttamento del lavoro o ogni aumento del prezzo del lavoro che siano tali da esporre a un serio pericolo la costante riproduzione del rapporto capitalistico e la sua riproduzione su scala sempre più allargata. Non può essere diversamente in un modo di produzione entro il quale l’operaio esiste per i bisogni di valorizzazione di valori esistenti, invece che, viceversa, la ricchezza materiale esista per i bisogni di sviluppo dell’operaio.

Come l’uomo è dominato nella religione dall’opera della propria testa, così nella produzione capitalistica egli è dominato dall’opera della propria mano77a.

2. DIMINUZIONE RELATIVA DELLA PARTE VARIABILE DEL CAPITALE DURANTE IL PROGRESSO DELL’ACCUMULAZIONE E DELLA CONCENTRAZIONE AD ESSA CONCOMITANTE.

Secondo gli stessi economisti non è né il volume esistente della ricchezza sociale né la grandezza del capitale già guadagnato che porta con sé un aumento dei salari, bensì soltanto il continuo crescere dell’accumulazione e il grado di velocità della sua crescita (A. Smith, libro I, cap. 8). Fin qui abbiamo considerato solo una fase particolare di questo processo, la fase in cui l’aumento di capitale si verifica eguali rimanendo la composizione tecnica del capitale. Ma il processo va al di là dei limiti di questa fase.

Una volta date le basi generali del sistema capitalistico, nel corso dell’accumulazione si giunge ogni volta a un punto in cui lo sviluppo della produttività del lavoro sociale diventa la leva più potente dell’accumulazione. «La medesima causa», dice A. Smith, «che fa aumentare i salari, ossia l’aumento del capitale, tende ad aumentare le capacità produttive del lavoro e permette a una minore quantità di lavoro di produrre una maggiore quantità di prodotti».

Prescindendo da condizioni naturali quali la fertilità del suolo ecc. e dall’abilità di produttori indipendenti che lavorano isolati, la quale si fa valere tuttavia più qualitativamente nella bontà che quantitativamente nella massa del manufatto, il grado sociale di produttività del lavoro si esprime nel volume della grandezza relativa dei mezzi di produzione che un operaio trasforma in prodotto durante un dato tempo, e con la medesima tensione della forza lavoro. La massa dei mezzi di produzione con i quali egli opera cresce insieme con la produttività del suo lavoro. Questi mezzi di produzione intervengono in ciò con duplice funzione. L’aumento degli uni è la conseguenza, quello degli altri la condizione della produttività crescente del lavoro. Con la divisione manifatturiera del lavoro e con l’uso delle macchine, ad esempio, viene lavorata durante lo stesso tempo una maggiore quantità di materie prime ed entra quindi nel processo lavorativo una maggiore massa di materie prime e di materie ausiliarie. Questa è la conseguenza della produttività crescente del lavoro. D’altra parte la massa delle macchine usate, del bestiame da lavoro, dei concimi minerali, dei tubi di drenaggio ecc. è condizione della produttività crescente del lavoro. Così anche la massa dei mezzi di produzione concentrati in locali, forni giganteschi, mezzi di trasporto ecc. Ma che sia condizione o che sia conseguenza, la crescente grandezza di volume dei mezzi di produzione paragonata alla forza-lavoro ad essi incorporata esprime la crescente produttività del lavoro.

(Nell’edizione francese (Parigi, 1873) a questo punto si trova inserito il seguente passo:

Al sorgere della grande industria, in Inghilterra si scopri un metodo per trasformare il ferro grezzo fuso col coke in ferro lavorabile. Questo processo che si chiama puddling e che consiste nella purificazione del ferro fuso in forni a costruzione speciale, ha causato un ingrandimento enorme degli altiforni, l’applicazione di apparecchi per l’apporto di aria calda ecc., in una parola un aumento tale dei mezzi di lavoro e delle materie prime messe in opera da una medesima quantità di lavoro, che il ferro ben presto fu fornito con tanta abbondanza e a un prezzo abbastanza basso per soppiantare la pietra e il legno in una massa di applicazioni. Siccome ferro e carbone sono le grandi leve dell’industria moderna, non si sopravvaluterà mai abbastanza l’importanza di questa innovazione.

Ma l’operaio addetto al raffinamento del ferro fuso, il puddler, esegue un lavoro manuale, cosicché la grandezza delle infornate alle quali egli può provvedere rimane limitata dalle sue capacità personali, ed è questa limitazione che nel momento attuale ostacola il mirabile slancio preso dell’industria metallurgica a partire dal 1780, epoca dell’invenzione del puddling.

“E’ un fatto, esclama The Engineering, uno degli organi degli ingegneri inglesi, è un fatto che l’invecchiato processo del puddling a mano non è che un resto di barbarie... Le tendenze attuali della nostra industria mirano ad elaborare nei diversi stadi della fabbricazione sempre maggiori quantità di materiale. Per questo quasi ogni anno si vedono sorgere altiforni più giganteschi, magli a vapore più pesanti, laminatoi più potenti e strumenti più giganteschi usati nei numerosi rami dell’industria metallurgica. In questo generale aumento — aumento d mezzi di produzione in proporzione al lavoro adoprato — il processo del puddllng è rimasto quasi stazionario e pone oggi limiti intollerabili allo sviluppo dell’industria... Per questo in tutte le grandi fabbriche si sta per sostituirlo con forni a rivoluzione automatica, i quali possono accogliere infornate colossali che sono assolutamente fuori della portata del lavoro manuale “ - The Engineering, 13 giugno 1874 - Dopo aver in tal modo rivoluzionato l’industria del ferro e provocato un grande ampliamento dei mezzi di lavoro e della massa del materiale da lavorarsi da una determinata quantità di lavoro, il processo del puddling è diventato, nel corso del l’accumulazione, un ostacolo economico, che ora si cerca di eliminare con processi nuovi atti a spostare i limiti che esso ancora contrappone a un ulteriore aumento dei mezzi materiali della produzione in proporzione del lavoro adoprato. Questa è la storia di tutte le scoperte e di tutte le invenzioni che nascono al seguito dell’accumulazione, come del resto abbiamo dimostrato illustrando l’andamento della produzione moderna dalle sue origini fino all’epoca nostra. [V, sez. IV dell’opera ].

«Nel progresso dell’accumulazione non si ha quindi soltanto aumento quantitativo e simultaneo dei diversi elementi materiali del capitale: lo sviluppo delle forze produttive del lavoro sociale che questo progresso implica si manifesta anche in mutamenti qualitativi, in cambiamenti graduali della composizione tecnica del capitale, il cui fattore obiettivo aumenta costantemente in rapporto al fattore soggettivo, vale a dire la massa dei mezzi di lavoro e delle materie prime aumenta sempre più a paragone della somma di forza operaia necessaria al loro uso. Nella misura quindi in cui l’aumento del capitale rende il lavoro più produttivo, esso diminuisce la domanda di lavoro in rapporto alla grandezza del capitale». Nota IMEL.).

L’aumento di quest’ultima si manifesta dunque nella diminuzione della massa di lavoro paragonata alla massa dei mezzi di produzione da essa messa in movimento, ossia si manifesta nella diminuzione della grandezza del fattore soggettivo del processo di lavoro a paragone dei suoi fattori oggettivi.

Questo mutamento nella composizione tecnica del capitale, l’aumento della massa dei mezzi di produzione a paragone della massa della forza-lavoro che li anima, si rispecchia nella composizione del valore del capitale, nell’aumento della costitutiva costante del valore capitale a spese della sua parte variabile. In origine, ad esempio, viene speso, calcolato in percentuale, il 50% di un capitale in mezzi di produzione e il 50% in forza-lavoro, più tardi, con lo sviluppo del grado di produttività del lavoro, verrà speso l’80% in mezzi di produzione e il 20% in forza-lavoro ecc. Questa legge dell’aumento crescente della parte costante del capitale in proporzione alla parte variabile viene convalidata ad ogni passo (come è già svolto sopra) dall’analisi comparata dei prezzi delle merci, sia che paragoniamo epoche economiche diverse di un’unica nazione sia nazioni diverse in una medesima epoca. La grandezza relativa di quell’elemento del prezzo che rappresenta solo il valore dei mezzi di produzione consumati ossia la parte costante del capitale, sarà generalmente in proporzione diretta del progresso dell’accumulazione; la grandezza relativa dell’altro elemento del prezzo che paga il lavoro ossia rappresenta la parte variabile del capitale, sarà in proporzione inversa di quel progresso.

La diminuzione della parte variabile del capitale nei confronti della parte costante, ossia la mutata composizione del valore del capitale, indica però solo in via approssimativa il cambiamento nella composizione delle sue parti costitutive materiali. Se per esempio oggi il valore capitale nella filanda è per sette ottavi costante e per un ottavo variabile, mentre all’inizio del secolo XVIII era per una metà costante e per l’altra variabile, la massa di materia prima, di mezzi di lavoro ecc. consumati oggi produttivamente da una determinata quantità di lavoro di filatura, è molte centinaia di volte più grande che non all’inizio del secolo XVIII. Il motivo è semplicemente questo: con la crescente produttività del lavoro non solo aumenta il volume dei mezzi di produzione da esso consumati, ma il valore di questi ultimi diminuisce a paragone del loro volume. Il loro valore aumenta dunque in assoluto, ma non in proporzione del loro volume. L ‘aumento della differenza tra capitale costante e variabile è quindi molto minore dell’aumento della differenza fra la massa dei mezzi di produzione in cui si converte il capitale costante e la massa di forza-lavoro in cui si converte il capitale variabile. La prima delle due differenze aumenta insieme con la seconda, ma in un grado minore.

Del resto, se il progresso dell’accumulazione diminuisce la grandezza relativa della parte variabile del capitale, esso non esclude affatto per questo l’aumento della sua grandezza assoluta. Poniamo che un valore capitale si scinda inizialmente nel 50% di capitale costante e nel 50% di capitale variabile, più tardi nell’80% di capitale costante e nel 20% di capitale variabile. Se nel frattempo il capitale iniziale, diciamo di 6.000 €, è aumentato a 18.000 €, anche la sua parte costitutiva variabile è cresciuta di un quinto. Ammontava a 3.000 €, e ora ammonta a 3.600 €. Ma là dove prima sarebbe bastato un aumento di capitale del 20 % per aumentare del 20 % la domanda di lavoro, ora la medesima cosa richiede un capitale iniziale triplicato.

Nella quarta sezione abbiamo mostrato come lo sviluppo della forza produttiva sociale del lavoro presupponga una cooperazione su larga scala, come solo con questo presupposto possano essere organizzate la divisione e la combinazione del lavoro, possano essere economizzati i mezzi di produzione concentrandoli in massa, possano essere creati mezzi di lavoro già materialmente adoperabili solo in comune, per esempio il sistema delle macchine; come forze immense della natura possano essere costrette al servizio della produzione e possa compiersi la trasformazione del processo di produzione in applicazione tecnologica della scienza. Sulla base della produzione delle merci nella quale i mezzi di produzione sono proprietà di persone private, nella quale perciò il lavoratore manuale o produce le merci isolato e autonomo oppure vende come merce la propria forza-lavoro perché gli mancano i mezzi per un’azienda autonoma, quel presupposto si attua soltanto grazie all’aumento dei capitali individuali, oppure si attua nella misura in cui i mezzi di produzione e di sussistenza sociali vengono trasformati in proprietà privata di capitalisti.

Sul terreno della produzione delle merci la produzione su larga scala può allignare solo in forma capitalistica. Una certa accumulazione di capitale nelle mani di produttori individuali di merci costituisce quindi il presupposto del modo di produzione specificamente capitalistico. Per questo eravamo stati costretti a presupporla trattando della transizione dall’artigianato alla conduzione capitalistica. Essa potrà essere chiamata l’accumulazione originaria perché è il fondamento storico della produzione specificamente capitalistica anzichè esserne il risultato storico. Come essa stessa nasca non occorrerà ancora indagare a questo punto. Basti che costituisca il punto di partenza. Ma tutti i metodi per incrementare la forza produttiva sociale del lavoro che sorgano su questa base sono insieme metodi per aumentare la produzione del plusvalore ossia del plusprodotto, che a sua volta è elemento costitutivo dell’accumulazione. Sono dunque allo stesso tempo metodi per la produzione di capitale mediante capitale o metodi per l’acceleramento della sua accumulazione.

La ininterrotta ritrasformazione del plusvalore in capitale si rappresenta come grandezza crescente del capitale ,che entra nel processo di produzione. Questa diviene a sua volta base di una scala allargata di produzione, dei metodi ad essa concomitanti per l’incremento della forza produttiva del lavoro e per l’accelerazione della produzione di plusvalore. Se dunque un certo grado dell’accumulazione capitalistica si manifesta come condizione del modo di produzione specificamente capitalistico, quest’ultimo ha per ripercussione un’accumulazione accelerata del capitale.

Insieme con l’accumulazione del capitale si sviluppa quindi il modo di produzione specificamente capitalistico e, insieme al modo specificamente capitalistico, l’accumulazione del capitale.

Questi due fattori economici producono, in ragion composta dell’impulso che si danno a vicenda, il cambiamento della composizione tecnica del capitale, in virtù del quale la parte costitutiva variabile diventa sempre più piccola a paragone di quella costante.

Ogni capitale individuale è una concentrazione più o meno grande di mezzi di produzione, con il corrispondente comando su un esercito più o meno grande di operai. Ogni accumulazione diventa il mezzo di accumulazione nuova. Essa allarga, con la massa aumentata della ricchezza operante come capitale, la sua concentrazione nelle mani di capitalisti individuali, e con ciò la base della produzione su larga scala e dei metodi di produzione specificamente capitalistici. L’aumento del capitale sociale si compie con l’aumento di molti capitali individuali. Presupposte invariate tutte le altre circostanze, i capitali individuali, e con essi la concentrazione dei mezzi di produzione, crescono nella proporzione in cui costituiscono parti aliquote del capitale complessivo sociale. Allo stesso tempo dai capitali originari si staccano polloni che funzionano come capitali nuovi autonomi. Un’importante funzione esercita in questo, fra l’altro, la ripartizione del patrimonio in seno alle famiglie capitaliste. Con l’accumulazione del capitale cresce quindi anche più o meno il numero dei capitalisti.

Due punti caratterizzano questo tipo di concentrazione che è basata direttamente sull’accumulazione, anzi è identica ad essa.

Primo: la crescente concentrazione dei mezzi di produzione sociali nelle mani di capitalisti individuali è limitata, in circostanze altrimenti invariate, dal grado di aumento della ricchezza sociale.

Secondo: la parte del capitale sociale domiciliata in ogni particolare sfera della produzione è ripartita su molti capitalisti, i quali sono contrapposti l’uno all’altro come produttori di merci indipendenti ed in concorrenza fra loro. L’accumulazione e la concentrazione ad essa concomitante non soltanto sono disseminate su molti punti, ma l’aumento dei capitali operanti s’incrocia con la formazione di capitali nuovi e con la scissione di capitali vecchi. Se quindi da un lato l’accumulazione si presenta come concentrazione crescente dei mezzi di produzione e del comando sul lavoro, dall’altro si presenta come ripulsione reciproca di molti capitali individuali.

Contro questa dispersione del capitale complessivo sociale in molti capitali individuali oppure contro la ripulsione reciproca delle sue frazioni agisce l’attrazione di queste ultime. Non si tratta più di una concentrazione semplice dei mezzi di produzione e del comando sul lavoro, identica con l’accumulazione. Si tratta di concentrazione di capitali già formati, del superamento della loro autonomia individuale, dell’espropriazione del capitalista da parte del capitalista, della trasformazione di molti capitali minori in pochi capitali più grossi. Questo processo di distingue dai primo per il fatto che esso presuppone solo una ripartizione mutata dei capitali già esistenti e funzionanti che il suo campo d’azione non è dunque limitato dall’aumento assoluto della ricchezza sociale o dai limiti assoluti dell’accumulazione. Il capitale qui in una mano sola si gonfia da diventare una grande massa, perché là in molte mani va perduto. È questa la centralizzazione vera e propria a differenza dell’accumulazione e concentrazione.

Non è possibile qui dare uno svolgimento delle leggi di questa centralizzazione dei capitali ossia dell’attrazione del capitale da parte del capitale. Basterà un breve cenno sui fatti. La lotta della concorrenza viene condotta rendendo più a buon mercato le merci. Il buon mercato delle merci dipende, caeteris paribus, dalla produttività del lavoro, ma questa a sua volta dipende dalla scala della produzione. I capitali più grossi sconfiggono perciò quelli minori. Si ricorderà inoltre che, con lo sviluppo del modo di produzione capitalistico, cresce il volume minimo del capitale individuale, necessario per far lavorare un’azienda nelle sue condizioni normali. I capitali minori si affollano perciò in sfere della produzione delle quali la grande industria si sia impadronita fino allora solo in via sporadica o incompleta. La concorrenza infuria qui in proporzione diretta del numero e in proporzione inversa della grandezza dei capitali rivaleggianti. Essa termina sempre con la rovina di molti capitalisti minori, i cui capitali in parte passano nelle mani del vincitore, in parte scompaiono.

Astraendo da ciò, con la produzione capitalistica si forma una potenza assolutamente nuova, il sistema del credito, che ai suoi inizi s’insinua furtivamente come modesto ausilio dell’accumulazione, attira mediante fili invisibili i mezzi pecuniari, disseminati in masse maggiori o minori alla superficie della società, nelle mani di capitalisti individuali o associati, diventando però ben presto un’arma nuova e terribile nella lotta della concorrenza e trasformandosi infine in un immane meccanismo sociale per la centralizzazione dei capitali.

Nella misura in cui si sviluppano la produzione e l’accumulazione capitalistica, si sviluppano la concorrenza e il credito, le due leve più potenti della centralizzazione. Allo stesso tempo il progresso dell’accumulazione aumenta la materia centralizzabile, ossia i capitali singoli, mentre l’allargamento della produzione capitalistica crea qua il bisogno sociale, là i mezzi tecnici di quelle potenti imprese industriali, la cui attuazione è legata a una centralizzazione del capitale avvenuta in precedenza. Oggi quindi la reciproca forza d’attrazione dei capitali singoli e la tendenza alla centralizzazione sono più forti che mai nel passato. Ma anche se l’estensione relativa e l’energia del movimento centralizzatore sono determinate in un certo grado dalla grandezza già raggiunta dalla ricchezza capitalistica e dalla superiorità del meccanismo economico, ciò malgrado il progresso della centralizzazione non dipende affatto dall’aumento positivo della grandezza del capitale sociale.

Ed è questo specificamente che distingue la centralizzazione dalla concentrazione, la quale non è che un’espressione diversa per indicare la riproduzione su scala allargata. La centralizzazione può avvenire in virtù di un semplice cambiamento nella distribuzione di capitali già esistenti, cioè di un semplice mutamento nel raggruppamento quantitativo delle parti costitutive del capitale sociale. Il capitale può crescere qua fino a diventare una massa potente in una sola mano, perché la viene sottratto a molte mani individuali. In un dato ramo d’affari la centralizzazione raggiungerebbe l’estremo limite solo se tutti i capitali ivi investiti si fondessero in un capitale singolo77b In una società data questo limite sarebbe raggiunto soltanto nel momento in cui tutto il capitale sociale fosse riunito nella mano di un singolo capitalista o in quella di un’unica associazione di capitalisti.

La centralizzazione completa l’opera dell’accumulazione mettendo in grado i capitalisti industriali di allargare la scala delle loro operazioni. Ora, che quest’ultimo risultato sia conseguenza dell’accumulazione o della centralizzazione; che la centralizzazione si compia in via violenta, cioè con l’annessione, nel quale caso certi capitali diventano per altri centri di gravità così preponderanti da spezzarne la coesione individuale e da attirare poi a sé i frammenti singoli, o che avvenga la fusione di una quantità di capitali già formati oppure in formazione, in virtù di un procedimento più blando, cioè della formazione di società per azioni, l’effetto economico rimane lo stesso. La cresciuta estensione degli stabilimenti industriali costituisce dappertutto il punto di partenza di una più ampia organizzazione del lavoro complessivo di molti, di uno sviluppo più largo delle loro forze motrici materiali, ossia di una progrediente trasformazione di processi di produzione isolati e compiuti secondo consuetudini, in processi di produzione combinati socialmente e predisposti scientificamente.

Ma è chiaro che l’accumulazione, il graduale aumento del capitale mediante la riproduzione che dalla forma di circolo trapassa in quella di spirale, è un procedimento lentissimo a paragone della centralizzazione la quale non ha che da mutare il raggruppamento quantitativo delle parti integranti del capitale sociale. Il mondo sarebbe tuttora privo di ferrovie, se avesse dovuto aspettare che l’accumulazione avesse messo in grado alcuni capitali individuali di poter affrontare la costruzione di una ferrovia. La centralizzazione, invece, è riuscita a farlo d’un tratto, mediante le società per azioni. E mentre la centralizzazione aumenta in tal modo gli effetti dell’accumulazione e li accelera, essa allarga ed accelera allo stesso tempo i rivolgimenti nella composizione tecnica del capitale, che ne aumentano la parte costante a spese di quella variabile, e con ciò diminuiscono la domanda relativa di lavoro.

Le masse di capitale saldate da un giorno all’altro mediante la centralizzazione si riproducono e aumentano come le altre, solo che aumentano più rapidamente, diventando in tal modo nuove potenti leve dell’accumulazione sociale. Se si parla dunque del progresso dell’accumulazione sociale — oggi —, vi sono tacitamente compresi gli effetti della centralizzazione.

I capitali addizionali formati nel corso dell’accumulazione normale (v. capitolo XXII, 1) servono prevalentemente come veicolo per lo sfruttamento di invenzioni e scoperte nuove, di perfezionamenti industriali in genere. Ma anche il vecchio capitale raggiunge col tempo il momento del proprio rinnovamento nel capo e nelle membra, il momento in cui cambia pelle e rinasce anch’esso in una forma tecnica perfezionata, in cui una massa minore di lavoro può bastare per mettere in moto una massa maggiore di macchine e di materie prime. La diminuzione assoluta della domanda di lavoro che necessariamente ne consegue diventa naturalmente tanto maggiore quanto più i capitali che percorrono questo processo di rinnovamento sono già accumulati in massa in virtù del movimento centralizzatore.

Da un lato il capitale addizionale formato nel progredire del l’accumulazione attrae, in rapporto alla propria grandezza, sempre meno operai. Dall’altro il capitale vecchio riprodotto periodicamente in nuova composizione respinge un numero sempre maggiore di operai prima da lui occupati.

3. PRODUZIONE PROGRESSIVA DI UNA SOVRAPPOPOLAZIONE RELATIVA OSSIA DI UN ESERCITO INDUSTRIALE DI RISERVA.

L’accumulazione del capitale che in origine si presentava solo come suo ampliamento quantitativo si compie, come abbiamo visto, in un continuo cambiamento qualitativo della sua composizione, in un costante aumento della sua parte costitutiva costante a spese della sua parte costitutiva variabile77c. Il modo di produzione specificamente capitalistico, lo sviluppo della forza produttiva del lavoro ad esso corrispondente, il cambiamento della composizione organica del capitale che ne deriva non soltanto vanno di pari passo con il progresso dell’accumulazione o con l’aumento della ricchezza sociale. Essi procedono con rapidità incomparabilmente maggiore, perché l’accumulazione semplice ossia l’estensione del capitale complessivo è accompagnata dalla centralizzazione dei suoi elementi individuali, e la rivoluzione tecnica del capitale addizionale è accompagnata dalla rivoluzione tecnica del capitale originario. Con il procedere dell’accumulazione varia quindi la proporzione fra la parte costante del capitale e quella variabile; se in origine era di i 1:1 ora diventa 2 : 1, 3 :1, 4 1, 5 : 1, 7 : 1, ecc., cosicché, aumentando il capitale, invece della metà del suo valore complessivo si convertono in forza-lavoro progressivamente solo 1/3, 1/4, 1/5, 1/6, 1/8, ecc., e di contro si convertono in mezzi di produzione 2/3, 3/4, 4/5, 5/6, 7/8, ecc. Siccome la domanda di lavoro non è determinata dal volume del capitale complessivo, ma dal volume della sua parte costitutiva variabile, essa diminuirà quindi in proporzione progressiva con l’aumentare del capitale complessivo, invece di aumentare in proporzione di esso, come è stato presupposto prima. Essa diminuisce in rapporto alla grandezza del capitale complessivo, e diminuisce in progressione accelerata con l’aumentare di essa.

Con l’aumentare del capitale complessivo cresce, è vero, anche la sua parte costitutiva variabile ossia la forza-lavoro incorporatale, ma cresce in proporzione costantemente decrescente.

Gli intervalli in cui l’accumulazione opera come semplice allargamento della produzione sulla base tecnica data, si accorciano. Non soltanto si rende necessaria un’accumulazione del capitale complessivo accelerata in progressione crescente per assorbire un numero addizionale di operai di una certa grandezza o anche, a causa della costante metamorfosi del vecchio capitale, soltanto per occupare il numero già operante; a sua volta questa crescente accumulazione .e centralizzazione stessa si converte ancora in una fonte di nuovi cambiamenti nella composizione del capitale o in una diminuzione di bel nuovo accelerata della sua parte costitutiva variabile a paragone della costante, Questa diminuzione relativa della parte costitutiva variabile, accelerata con l’aumentare del capitale complessivo e accelerata in misura maggiore del proprio aumento, appare dall’altra parte, viceversa, come un aumento assoluto della popolazione operaia costantemente più rapido dì quello del capitale variabile ossia dei mezzi che le danno occupazioni. È invece l’accumulazione capitalistica che costantemente produce, precisamente in proporzione della propria energia e del proprio volume, una popolazione operaia relativa, cioè eccedente i bisogni medi di valorizzazione del capitale, e quindi superflua ossia addizionale.

Per quanto riguarda il capitale sociale complessivo, il movimento della sua accumulazione ora provoca un cambiamento periodico, ora i suoi momenti si distribuiscono contemporaneamente nelle sfere diverse della produzione. In alcune sfere si verifica un cambiamento nella composizione del capitale senza aumento della sua grandezza assoluta a seguito della semplice concentrazione in altre l’aumento assoluto del capitale è collegato a una diminuzione assoluta della sua parte costitutiva variabile, ossia della forza-lavoro da essa assorbita; in altre ora il capitale continua ad aumentare sulla propria base tecnica data attraendo forza-lavoro addizionale in proporzione del proprio aumento, ora subentra un cambiamento organico e la sua parte costitutiva variabile si contrae; in tutte le sfere l’aumento della parte variabile del capitale e quindi del numero degli operai occupati è sempre legato a violente fluttuazioni e a una passeggera produzione di sovrappopolazione, sia che questa assuma la forma più vistosa respingendo gli operai già occupati, sia che assuma quella meno appariscente, ma non meno efficace, di una maggiore difficoltà nell’assorbimento della popolazione operaia addizionale nei consueti canali di sfogo78.

Insieme con la grandezza del capitale sociale già in funzione, insieme col grado del suo aumento, con la estensione della scala. di produzione e della massa degli operai messi in moto, insieme con lo sviluppo della forza produttiva del lavoro, insieme col flusso più largo e più pieno di tutte le fonti sorgive della ricchezza, si estende anche la scala in cui una maggiore attrazione degli operai da parte del capitale è legata ad una maggiore ripulsione di questi ultimi, aumenta la rapidità dei cambiamenti. nella composizione organica del capitale e nella sua forma tecnica, e si dilata l’ambito delle sfere di produzione, le quali ora ne sono prese contemporaneamente, ora alternativamente. Quindi la popolazione operaia produce in misura crescente, mediante l’accumulazione del capitale da essa stessa prodotta, i mezzi per render se stessa relativamente eccedente79.

È questa una legge della popolazione peculiare del modo di produzione capitalistico, come di fatto ogni modo di produzione storico particolare ha le proprie leggi della popolazione particolari, storicamente valide. Una legge astratta della popolazione esiste soltanto per le piante e per gli animali nella misura in cui l’uomo non interviene portandovi la storia.

Ma se una sovrappopolazione operaia è il prodotto necessario della accumulazione ossia dello sviluppo della ricchezza su base capitalistica, questa sovrappopolazione diventa, viceversa, la leva dell’accumulazione capitalistica e addirittura una delle condizioni d’esistenza del modo di produzione capitalistico. Essa costituisce un esercito industriale di riserva disponibile che appartiene al capitale in maniera così completa come se quest’ultimo l’avesse allevato a sue proprie spese, e crea per i mutevoli bisogni di valorizzazione di esso il materiale umano sfruttabile sempre pronto, indipendentemente dai limiti del reale aumento della popolazione. Insieme con l’accumulazione e con lo sviluppo della forza produttiva del lavoro ad essa concomitante cresce la forza d’espansione subitanea del capitale non soltanto perché crescono l’elasticità del capitale funzionante e la ricchezza assoluta, di cui il capitale costituisce semplicemente una parte elastica, non soltanto perché il credito mette, ad ogni stimolo particolare, in un batter d’occhio, una parte straordinaria di questa ricchezza in veste di capitale addizionale, a disposizione della produzione. Le condizioni tecniche dello stesso processo di produzione, le macchine, i mezzi di trasporto ecc. consentono, sulla scala più larga, la più rapida trasformazione del plusprodotto in mezzi addizionali di produzione.

La massa della ricchezza sociale che con il progredire dell’accumulazione trabocca e diventa trasformabile in capitale addizionale entra impetuosamente e con frenesia in rami vecchi della produzione, il cui mercato improvvisamente si allarga, oppure in rami dischiusi per la prima volta, come ferrovie ecc., la cui necessità sorge dallo sviluppo dei rami vecchi della produzione. In tutti questi casi grandi masse di uomini devono essere spostabili improvvisamente nei punti decisivi, senza pregiudizio della scala di produzione in altre sfere; le fornisce la sovrappopolazione. Il ciclo vitale caratteristico dell’industria moderna, la forma di un ciclo decennale di periodi di vivacità media, produzione con pressione massima, crisi e stagnazione, interrotto da piccole oscillazioni, si basa sulla costante formazione, sul maggiore o minore assorbimento. e sulla nuova formazione dell’esercito industriale di riserva della sovrappopolazione. Le alterne vicende del ciclo industriale reclutano a loro volta la sovrappopolazione e diventano uno degli agenti più energici della sua riproduzione.

Questo peculiare ciclo vitale dell’industria moderna, che non incontriamo in alcun periodo anteriore dell’umanità, era stato impossibile anche nel periodo dell’infanzia della produzione capitalistica. La composizione del capitale si è modificata solo molto gradualmente. Alla sua accumulazione corrispondeva quindi in complesso un aumento proporzionale della domanda di lavoro. Per quanto fosse lento il progresso dell’accumulazione del capitale, paragonato all’epoca moderna, esso s’imbatteva in limiti naturali della popolazione operaia sfruttabile che solo i mezzi violenti, di cui parleremo più avanti, potevano eliminare. L’espansione improvvisa e a scatti della scala di produzione è il presupposto della sua improvvisa contrazione; quest’ultima provoca di nuovo la prima, ma la prima non è possibile senza un materiale umano disponibile, senza un aumento degli operai indipendente dall’aumento assoluto della popolazione. L’aumento degli operai viene creato mediante un processo semplice che ne «libera» costantemente una parte, in virtù di metodi che diminuiscono il numero degli operai occupati in rapporto alla produzione aumentata. La forma di tutto il movimento dell’industria moderna nasce dunque dalla costante trasformazione di una parte della popolazione operaia in braccia disoccupate o occupate a metà.

La superficialità dell’economia politica risulta fra l’altro nel fatto che essa fa dell’espansione e della contrazione del credito, che sono meri sintomi dei periodi alterni del ciclo industriale, la causa di quei periodi. Proprio allo stesso modo che i corpi celesti, una volta gettati in un certo movimento, lo ripetono costantemente, anche la produzione sociale, una volta gettata in quel movimento di espansione e di contrazione che si alternano, lo ripete costantemente. Effetti diventano a loro volta cause, e le alterne vicende di tutto il processo, che riproduce costantemente le proprie condizioni, assumono la forma della periodicità. Una volta consolidata quest’ultima. perfino l’economia politica riesce a concepire la produzione di una popolazione eccedente relativa, cioè eccedente riguardo al bisogno medio di valorizzazione del capitale, come condizione vitale dell’industria moderna.

«Posto», dice H. Merivale, prima professore di economia politica a Oxford, in seguito funzionario del ministero inglese delle colonie, «posto che in occasione di una crisi la nazione facesse uno sforzo massimo per liberarsi mediante l’emigrazione di alcune centinaia di migliaia di poveri superflui, quale ne sarebbe la conseguenza? Che al primo ritorno della domanda di lavoro vi sarebbe una deficienza di operai. Per quanto possa essere rapida la riproduzione degli uomini, essa ha comunque bisogno dell’intervallo di una generazione per sostituire gli operai adulti. Ora, i profitti dei nostri fabbricanti dipendono in via principale dal loro potere di sfruttare il momento favorevole della forte domanda e di risarcirsi in tal modo per il periodo della stagnazione. Questo potere è assicurato loro solo dal comando sulle macchine e sul lavoro manuale. Essi devono trovare pronte braccia disponibili; devono essere in grado di aumentare o diminuire, se necessario, la tensione nell’attività delle operazioni di quelle, seconda dello stato del mercato, oppure si trovano semplicemente nell’impossibilità di sostenere la preponderanza nell’incalzare della concorrenza, preponderanza su cui è fondata la ricchezza di questo paese»80.

Perfino Maltus riconosce nella sovrappopolazione una necessità dell’industria moderna benché, secondo il suo modo di vedere ristretto, egli la faccia derivare da un aumento eccessivo assoluto della popolazione operaia e non dal fatto che essa venga posta in soprannumero. Egli dice: «Sagge consuetudini riguardo al matrimonio, se spinte a un certo livello fra la classe operaia di un paese che dipenda principalmente dalla manifattura e dal commercio, gli riuscirebbero dannose... Secondo la natura della popolazione un aumento di operai non può essere fornito al mercato, in seguito a particolare domanda, se non dopo 16 o 18 anni, e la trasformazione del reddito in capitale mediante il risparmio può aver luogo con molto maggiore rapidità; un paese è sempre esposto al rischio che il suo fondo di lavoro cresca più rapidamente che non la popolazione»81. Dopo aver definito in tal modo la costante produzione di una sovrappopolazione relativa di operai come una necessità dell’accumulazione capitalistica, l’economia politica, facendolo appropriatamente parlare per bocca di una vecchia zitella, fa dire da quel «beau idéal» del suo capitalista le seguenti parole ai «soprannumero» gettati sul lastrico dalla propria creazione di capitale addizionale: «Noi fabbricanti facciamo per voi quello che possiamo aumentando il capitale dal quale voi dovete trarre i mezzi di sussistenza; e voi dovete fare il resto adeguando il vostro numero ai mezzi di sussistenza»82.

Alla produzione capitalistica non basta affatto la quantità di forza-lavoro disponibile che fornisce l’aumento naturale della popolazione. Per avere mano libera essa abbisogna di un esercito industriale di riserva indipendente da questo limite naturale.

Finora è stato presupposto che all’aumento o alla diminuzione del capitale variabile corrisponda esattamente l’aumento o la diminuzione del numero degli operai occupati.

Ma, eguale restando o perfino diminuendo i! numero degli operai da esso comandati, il capitale variabile cresce solo più lentamente di quello che aumenti la massa del lavoro, quando l’operaio individuale fornisce più lavoro e il suo salario quindi aumenta, benché il prezzo del lavoro rimanga eguale o perfino cali. L’aumento del capitale variabile diventa allora indice di più lavoro, ma non di un maggiore numero di operai occupati. Ogni capitalista è assolutamente interessato a spremere una determinata quantità di lavoro da un minore numero di operai invece che da un numero maggiore a prezzo egualmente conveniente o anche più conveniente. In quest’ultimo caso l’esborso di capitale costante aumenta in rapporto alla massa del lavoro messa in moto, nel primo caso aumenta molto più lentamente. Quanto più larga la scala di produzione, tanto più decisivo è questo motivo. Il suo peso cresce insieme con l’accumulazione del capitale.

Si è visto che lo sviluppo del modo capitalistico di produzione e della forza produttiva del lavoro — causa ed effetto allo stesso tempo dell’accumulazione — mette in grado il capitalista di rendere liquida, con il medesimo esborso di capitale variabile, una maggiore quantità di lavoro sfruttando maggiormente, o in via estensiva o intensiva, le forze-lavoro individuali. Si è visto inoltre che egli compra più forze-lavoro con il medesimo valore capitale sostituendo progressivamente forza-lavoro qualificata con forza-lavoro non qualificata, forza-lavoro matura con quella immatura, forza-lavoro maschile con quella femminile, forza-lavoro adulta con quella giovanile o infantile.

Da un lato dunque, nel progredire dell’accumulazione, un capitale variabile maggiore rende liquida una maggior quantità di lavoro senza arruolare un maggior numero di operai, dall’altro un capitale variabile della medesima grandezza rende liquida una maggiore quantità di lavoro mediante una medesima massa di forza-lavoro e infine rende liquido un maggior numero di forze-lavoro inferiori soppiantando quelle superiori.

La produzione di una sovrappopolazione relativa ossia la messa in libertà di operai procede perciò ancora più rapida che non la rivoluzione tecnica del processo di produzione accelerata di per sé col progredire dell’accumulazione e che non la corrispondente diminuzione proporzionale della parte variabile del capitale nei confronti di quella costante. Se i mezzi di produzione, mano a mano che aumentano di volume e di efficacia, diventano, in misura minore mezzi d’occupazione degli operai, questo stesso rapporto viene a sua volta modificato giacchè, nella misura in cui cresce la forza produttiva del lavoro, il capitale aumenta la sua offerta di lavoro con rapidità maggiore che non la sua domanda di operai. Il lavoro fuori orario della parte occupata della classe operaia ingrossa le file della riserva operaia, mentre, viceversa, la pressione aumentata che quest’ultima esercita con la sua concorrenza sulla prima, costringe questa al lavoro fuori orario e alla sottomissione ai dettami del capitale.

La condanna di una parte della classe operaia e un ozio forzoso mediante il lavoro fuori orario dell’altra parte e viceversa diventa mezzo d’arricchimento del capitalista singolo83 e accelera allo stesso tempo la produzione dell’esercito industriale di riserva su una scala corrispondente al progresso dell’accumulazione sociale. Quanta importanza abbia questo elemento nella formazione della sovrappopolazione relativa lo dimostra pere esempio, l’Inghilterra. I suoi mezzi tecnici per «risparmiare» lavoro sono colossali. Ciò malgrado, se domani il lavoro venisse in via generale limitato a una misura razionale, e venisse graduato a sua volta secondo i differenti strati della classe operaia in base all’età e al sesso, la popolazione operaia esistente sarebbe assolutamente inadeguata alla continuazione della produzione nazionale su scala attuale. La grande maggioranza degli operai ora «improduttivi» dovrebbe essere trasformata in operai «produttivi».

Tutto sommato i movimenti generali del salario sono regolati esclusivamente dall’espansione e dalla contrazione dell’esercito industriale di riserva, le quali corrispondono all’alternarsi dei periodi del ciclo industriale.

Non sono dunque determinati dal movimento del numero assoluto della popolazione operaia, ma dalla mutevole proporzione in cui la classe operaia si scinde in esercito attivo e in esercito di riserva, dall’aumento e dalla diminuzione del volume relativo della sovrappopolazione, dal grado in cui questa viene ora assorbita ora di nuovo messa in libertà. Per l’industria moderna con il suo ciclo decennale e le sue fasi periodiche che per giunta col progredire dell’accumulazione vengono intersecate dalle oscillazioni irregolari che si susseguono sempre più rapidamente, sarebbe effettivamente una bella legge quella che regolasse l’offerta e la domanda di lavoro non mediante l’espansione e la concentrazione del capitale, cioè secondo i suoi bisogni di valorizzazione del momento, cosicché il mercato del lavoro appaia ora relativamente al di sotto del livello normale in quanto il capitale si espande, ora di nuovo sovraccarico in quanto esso si contrae, bensì, viceversa, facesse dipendere il movimento del capitale dal movimento assoluto della massa della popolazione. Questo tuttavia è il dogma degli economisti.

Secondo esso conseguenza dell’accumulazione del capitale è l’aumento del salario. Il salario aumentato sprona a un più rapido aumento della popolazione operaia e questo aumento perdura finché il mercato del lavoro è sovraccarico e quindi il capitale è diventato insufficiente in rapporto all’offerta di operai. Il salario diminuisce, e allora si ha il rovescio della medaglia. Mediante la diminuzione del salario la popolazione operaia viene mano a mano decimata, così che il capitale ridiventa eccedente nei suoi confronti, oppure, secondo la spiegazione di altri, il salario in diminuzione e il corrispondente aumento dello sfruttamento dell’operaio accelerano di nuovo l’accumulazione, mentre allo stesso tempo il basso salario frena l’aumento della classe operaia. In tal modo si ricostituisce la proporzione in cui l’offerta di lavoro è più bassa della domanda, il salario sale ecc. Un bel metodo di movimento quésto per la produzione capitalistica sviluppata!

Prima che potesse verificarsi un qualche aumento positivo della popolazione realmente atta al lavoro, aumento dovuto all’aumento del salario, il termine entro il quale deve essere condotta la campagna industriale, combattuta e decisa la battaglia, sarebbe più che trascorso.

Fra il 1849 e il 1859 nei distretti agricoli dell’Inghilterra si ebbe, insieme ai prezzi dei cereali in diminuzione, un aumento dei salari, dal punto di vista pratico puramente nominale: nel Wiltshire per esempio il salario settimanale salì da 7 a 8 scellini, nel Dorsetshire da 7 o 8 a 9 ecc. Era una conseguenza del deflusso straordinario della sovrappopolazione agricola, causato dalla domanda per gli arruolamenti di guerra, dall’estensione in massa delle costruzioni ferroviarie, delle fabbriche, miniere ecc. Quanto più basso è il salario tanto più alta è l’espressione percentuale di ogni suo aumento per quanto insignificante. Se il salario settimanale ammonta per esempio a 20 scellini e se sale a 22, sale del 10 %; se invece ammonta a 7 scellini soltanto e se sale a 9, l’aumento è del 28 e 4/7 %, il che suona molto abbondante. Comunque i fittavoli si lamentavano a gran voce e perfino il London Econornist parlava tutto serio di «a general and substantial advance»84 riferendosi a quei salari di fame. Che cosa fecero allora i fìttavoli? Attesero forse finché gli operai agricoli, in seguito a questo brillante pagamento, si fossero moltiplicati al punto che il loro salario dovesse di nuovo diminuire, secondo quanto avviene nel cervello dogmatico dell’economista? Introdussero più macchine, e in batter d’occhio gli operai erano di nuovo «in soprannumero» in una proporzione che bastava perfino ai fittavoli. Ora si trovava investito nell’agricoltura «più capitale» di prima e in una forma più produttiva. Con ciò la domanda di lavoro diminuì non solo relativamente, ma in via assoluta.

Quella finzione economica scambia le leggi che regolano il movimento generale del salario ossia il rapporto fra classe operaia, cioè forza-lavoro complessiva, e capitale complessivo sociale, con le leggi che distribuiscono la popolazione operaia fra le sfere particolari della produzione. Se per esempio a causa di una congiuntura favorevole l’accumulazione è particolarmente forte in una data sfera di produzione, i profitti vi sono maggiori di quelli medi e il capitale addizionale preme per entrarvi, la domanda dì lavoro e il salario saliranno naturalmente. Il salario più elevato attira nella sfera favorita una parte maggiore della popolazione operaia, finché la sfera sarà satura di forza-lavoro, e finché a lungo andare il salario riscenderà al suo livello medio anteriore o al di sotto di questo, qualora la calca fosse stata troppo grande. Allora l’immigrazione di operai nel ramo d’industria in questione non solo finisce, ma cede addirittura il suo posto alla loro emigrazione. Qui l’economista politico crede di vedere «dove e come», con l’aumento del salario si abbia un aumento assoluto di operai, e con l’aumento assoluto degli operai una diminuzione del salario, ma in effetti egli vede soltanto la oscillazione locale dei mercato dei lavoro entro una sfera particolare della produzione, egli vede soltanto fenomeni della ripartizione della popolazione operaia nelle differenti sfere d’investimento del capitale, a seconda degli alterni bisogni di quest’ultimo.

L’esercito industriale di riserva preme durante i periodi di stagnazione e di prosperità media sull’esercito operaio attivo e ne frena durante il periodo della sovrappopolazione e del parossismo le rivendicazioni. La sovrappopolazione relativa è quindi lo sfondo sul quale si muove la legge della domanda e dell’offerta del lavoro. Essa costringe il campo d’azione di questa legge entro i limiti assolutamente convenienti alla brama di sfruttamento e alla smania di dominio del capitale. È questo il luogo di ricordare una fra le grandi gesta dell’apologetica degli economisti. Si ricorderà che, se mediante l’introduzione di macchine nuove o con l’estensione di macchine vecchie una porzione di capitale variabile viene trasformata in capitale costante, l’apologeta economico interpreta questa operazione, che «vincola» del capitale e con ciò «mette in libertà» operai, viceversa, nel senso che essa libera del capitale a favore degli operai. Ora soltanto si può apprezzare in pieno la spudoratezza dell’apologeta.

Quello che viene messo in libertà, non sono soltanto gli operai soppiantati direttamente dalla macchina, ma in eguale misura anche il loro contingente di riserva e il contingente addizionale assorbito regolarmente durante l’abituale estensione dell’azienda sulla vecchia base. Ora tutti sono «messi in libertà», e ogni capitale nuovo, desideroso di entrar in funzione, può disporre di essi. Che esso attragga questi o altri, l’effetto sulla domanda generale del lavoro sarà eguale a zero, fin tanto che questo capitale sarà esattamente sufficiente a liberare il mercato di quello stesso numero di operai che le macchine vi hanno gettato. Se esso ne occuperà un numero minore, la massa degli operai in soprannumero crescerà; se ne occuperà un numero maggiore, la domanda generale del lavoro crescerà soltanto dell’eccedenza degli operai occupati su quelli «messi in libertà». L’impulso che i capitali addizionali alla ricerca d’investimenti avrebbero dato altrimenti alla domanda generale del lavoro, è dunque neutralizzato in ogni caso nella misura data dal numero degli operai gettati sul lastrico dalla macchina.

Vale a dire dunque che il meccanismo della produzione capitalistica fa in modo che l’aumento assoluto del capitale non sia accompagnato da un corrispondente aumento della domanda generale di lavoro.

E questo l’apologeta lo chiama una compensazione della miseria, delle sofferenze e dell’eventuale morte degli operai spostati durante il periodo di transizione che li confina nell’esercito industriale di riserva! La domanda di lavoro non è tutt’uno con l’aumento del capitale, l’offerta di lavoro non è tutt’uno con l’aumento della classe operaia, in modo che due potenze indipendenti fra di loro agiscano l’una sull’altra. Les dés sont pipés ( i dadi sono truccati). Il capitale agisce contemporaneamente da tutte e due le parti. Se da un lato la sua accumulazione aumenta la domanda di lavoro, dall’altro essa aumenta l’offerta di operai mediante la loro «messa in libertà», mentre allo stesso tempo la pressione dei disoccupati costringe gli operai occupati a render liquida una maggiore quantità di lavoro rendendo in tal modo l’offerta di lavoro in una certa misura indipendente dall’offerta di operai. Il movimento della legge della domanda e dell’offerta di lavoro su questa base porta a compimento il dispotismo del capitale.

Quindi, non appena gli operai penetrano il mistero e si rendono conto come possa avvenire che, nella stessa misura in cui lavorano di più, producono una maggiore ricchezza altrui e cresce la forza produttiva del loro lavoro, perfino la loro funzione come mezzo di valorizzazione del capitale diventa sempre più precaria per essi; non appena scoprono che il grado d’intensità della concorrenza fra loro stessi dipende in tutto dalla pressione della sovrappopolazione relativa; non appena quindi cercano mediante Trades Unions ecc., di organizzare una cooperazione sistematica fra gli operai occupati e quelli disoccupati per spezzare o affievolire le rovinose conseguenze che quella legge naturale della produzione capitalistica ha per la loro classe, — il capitale e il suo sicofante, l’economista, strepitano su una violazione della «eterna» e per così dire «sacra» legge della domanda e dell’offerta. Ogni solidarietà fra gli operai occupati e quelli disoccupati turba infatti l’azione «pura» di quella legge. Non appena, d’altra parte, nelle colonie circostanze avverse impediscono per esempio la creazione dell’esercito industriale di riserva e insieme impediscono la dipendenza assoluta della classe operaia dalla classe dei capitalisti, il capitale si ribella, insieme con tutti i suoi Sancio Pancia ligi ai luoghi comuni, contro la «sacra» legge della domanda e dell’offerta e cerca di raddrizzarla con mezzi coercitivi.

4. FORME DIFFERENTI DI ESISTENZA DELLA SOVRAPPOPOLAZIONE RELATIVA. LA LEGGE GENERALE DELL’ACCUMULAZIONE CAPITALISTICA.

La sovrappopolazione relativa esiste in tutte le sfumature possibili. Ne fa parte ogni operaio durante il periodo in cui è occupato a metà o non è occupato affatto. Fatta astrazione dalle grandi forme, che si ripresentano periodicamente, che le imprime l’alternarsi delle fasi del ciclo industriale in modo che essa appaia ora acuta al momento delle crisi, ora cronica in epoca di affari fiacchi, essa ha ininterrottamente tre forme: fluida, latente e stagnante.

Nei centri dell’industria moderna — fabbriche, manifatture, ferriere e miniere ecc. — gli operai sono ora respinti, ora di nuovo attratti in massa maggiore, cosicché in complesso il numero degli operai occupati aumenta, seppur in proporzione costantemente decrescente della scala di produzione. La sovrappopolazione esiste qui in forma fluttuante.

Tanto nelle fabbriche vere e proprie quanto in tutte le grandi officine, in cui entrino come fattore le macchine o sia semplicemente attuata la moderna divisione del lavoro, si fa uso in massa di operai maschi fino al momento in cui essi abbiano compiuto l’età giovanile. Una volta raggiunto questo termine, soltanto un numero molto esiguo rimane usabile nei medesimi rami d’industria, mentre la maggioranza viene regolarmente licenziata. Essa costituisce un elemento della sovrappopolazione fluida il quale cresce col crescere dell’estensione dell’industria. Una parte di essa emigra e in realtà non fa che seguire il capitale emigrante. Ne consegue che la popolazione femminile aumenta più rapidamente di quella maschile, teste l’Inghilterra.

Il fatto che l’aumento naturale della massa operaia non saturi i bisogni di accumulazione del capitale e tuttavia li superi al tempo stesso, costituisce una contraddizione del movimento stesso del capitale. Esso abbisogna di maggiori masse di operai di età giovanile, di masse minori di operai in età virile. La contraddizione non è più stridente di quest’altra, che cioè in uno stesso periodo di tempo si lamenti la mancanza di braccia e molte migliaia si trovino sul lastrico, perché la divisione del lavoro li incatena a un determinato ramo d’industria85. Il consumo della forza-lavoro da parte del capitale è inoltre talmente rapido che l’operaio di età media nella maggioranza dei casi è già più o meno alla fine della sua vita. Egli precipita nelle file degli operai in soprannumero oppure viene spinto da un grado più in alto a un grado più in basso. Per l’appunto fra gli operai della grande industria incontriamo la più breve durata di vita. «Il dott. Lee, funzionario dell’Ufficio d’igiene di Manchester, ha constatato che in quella città la durata media della vita è di 38 anni per la classe benestante e di soli 17 per la classe operaia. A Liverpool la durata media è di 35 anni per la prima, di 15 per la seconda. Ne consegue dunque che la classe privilegiata ha un titolo di credito sulla vita (have a lease of life) più che doppio di quello dei suoi concittadini meno favoriti»85a. In queste condizioni l’aumento assoluto di questa frazione del proletariato richiede una forma che ingrossi il suo numero, benché i suoi elementi si consumino presto. Dunque, si ha un rapido darsi il cambio delle generazioni operaie. (La stessa legge non ha vigore per le altre classi della popolazione). Questo bisogno sociale viene soddisfatto mediante matrimoni contratti in età giovanile, conseguenza necessaria delle condizioni in cui vivono gli operai della grande industria, e mediante il premio che lo sfruttamento dei figli degli operai assegna alla loro produzione.

Non appena la produzione capitalistica si è impadronita dell’agricoltura ossia nel grado in cui se ne è impadronita, la domanda di popolazione operaia agricola diminuisce in via assoluta mano a mano che vi aumenta l’accumulazione del capitale in funzione, senza che la sua ripulsione, come anche nell’industria non agricola, venga integrata da una maggiore attrazione. Una parte della popolazione rurale si trova quindi costantemente sul punto di passare fra il proletariato urbano o il proletariato delle manifatture, e in agguato per acciuffare le circostanze favorevoli a questa trasformazione. (Manifattura qui nel senso di ogni industria non agricola)86. Questa fonte della sovrappopolazione relativa fluisce dunque costantemente. Ma il suo costante flusso verso le città presuppone nelle stesse campagne una sovrappopolazione costantemente latente il cui volume si fa visibile solo nel momento in cui i canali di deflusso si schiudono in maniera eccezionalmente larga. L’operaio agricolo viene perciò depresso al minimo del salario e si trova sempre con un piede dentro la palude del pauperismo.

La terza categoria della sovrappopolazione relativa, quella stagnante, costituisce una parte dell’esercito operaio attivo, ma con un’occupazione assolutamente irregolare. Essa offre in tal modo al capitale un serbatoio inesauribile di forza-lavoro disponibile. Le sue condizioni di vita scendono al di sotto del livello medio normale della classe operaia, e proprio questo ne fa la larga base di particolari rami di sfruttamento del capitale. Le sue caratteristiche sono: massimo di tempo di lavoro e minimo di salario. Abbiamo già fatto la conoscenza della sua forma principale nella rubrica del lavoro a domicilio. Essa prende le proprie reclute ininterrottamente fra gli operai in soprannumero della grande industria e della grande agri coltura, e specialmente anche fra quelli dei rami industriali in rovina nei quali l’esercizio artigianale soccombe alla manifattura e quest’ultima soccombe alle macchine. Il suo volume si estende allo stesso modo che con il volume e con l’energia dell’accumulazione progredisce la «messa in soprannumero». Ma essa costituisce allo stesso tempo un elemento della classe operaia che si riproduce e che si perpetua e che in proporzione partecipa all’aumento complessivo della classe operaia in misura maggiore che non gli altri suoi elementi. Effettivamente non soltanto la massa delle nascite e dei decessi, ma anche la grandezza assoluta delle famiglie è in proporzione inversa del livello del salario, quindi della massa dei mezzi di sussistenza, di cui dispongono le differenti categorie operaie. Questa legge della società capitalistica suonerebbe assurda fra i selvaggi o anche fra colonizzatori inciviliti. Essa ricorda la riproduzione in massa di alcune specie di animali individualmente deboli e spietatamente cacciati87.

Il sedimento più basso della sovrappopolazione relativa alberga infine nella sfera del pauperismo. Astrazione fatta da vagabondi, delinquenti, prostitute, in breve dal sottoproletariato propriamente detto, questo strato sociale consiste di tre categorie.

Prima, persone capaci di lavorare. Basta guardare anche superficialmente le statistiche del pauperismo inglese per trovare che la sua massa si ingrossa ad ogni crisi e diminuisce ad ogni ripresa degli affari.

Seconda: orfani e figli di poveri. Sono i candidati dell’esercito industriale di riserva e, in epoche di grande slancio, come nel 1860 per esempio, vengono arruolati rapidamente e in massa nell’esercito operaio attivo.

Terza: gente finita male, incanaglita, incapace .di lavorare. Si tratta specialmente di individui che sono mandati in rovina dalla mancanza di mobilità causata dalla divisione del lavoro, individui che superano l’età normale di un operaio, infine le vittime dell’industria, il cui numero cresce con il crescere del macchinario pericoloso, dello sfruttamento delle miniere, delle fabbriche chimiche ecc., mutilati, malati, ve dove ecc. Il pauperismo costituisce il ricovero degli invalidi dell’esercito operaio attivo e il peso morto dell’esercito industriale di riserva. La sua produzione è compresa nella produzione della sovrappopolazione relativa, la sua necessità nella necessità di questa; insieme con questa il pauperismo costituisce una condizione d’esistenza della produzione capitalistica e dello sviluppo della ricchezza. Esso rientra nei faux frais della produzione capitalistica, che il capitale sa però respingere in gran parte da sé addossandoli alla classe operaia e alla piccola classe media.

Quanto maggiori sono la ricchezza sociale, il capitale in funzione, il volume e l’energia del suo aumento, quindi anche la grandezza assoluta del proletariato e la forza produttiva del suo lavoro, tanto maggiore è l’esercito industriale di riserva. La forza-lavoro disponibile è sviluppata dalle stesse cause che sviluppano la forza d’espansione del capitale. La grandezza proporzionale dell’esercito industriale di riserva cresce dunque insieme con le potenze della ricchezza. Ma quanto maggiore sarà questo esercito di riserva in rapporto all’esercito operaio attivo, tanto più in massa si consoliderà la sovrappopolazione la cui miseria è in proporzione inversa del tormento del suo lavoro. Quanto maggiori infine lo strato dei Lazzari della classe operaia e l’esercito industriale di riserva tanto maggiore il pauperismo ufficiale.

Questa è la legge assoluta, generale dell’accumulazione capitalistica.

Come tutte le altre leggi essa è modificata nel corso della propria attuazione da molteplici circostanze, la cui analisi non rientra qui.

Si capisce quindi la follia di quella sapienza economica che predica agli operai di adeguare il loro numero ai bisogni di valorizzazione del capitale. Il meccanismo della produzione e dell’accumulazione capitalistica adegua questo numero costantemente a questi bisogni di valorizzazione. Prima parola di questo adeguamento è la creazione di una sovrappopolazione relativa ossia di un esercito industriale di riserva, ultima parola la miseria di strati sempre crescenti dell’esercito operaio attivo e il peso morto del pauperismo.

La legge per la quale una massa sempre crescente di mezzi di produzione, grazie al progresso compiuto nella produttività del lavoro sociale, può essere messa in moto mediante un dispendio di forza umana progressivamente decrescente, questa legge si esprime su base capitalistica, per la quale non è l’operaio che impiega i mezzi di lavoro, bensì sono i mezzi di lavoro che impiegano l’operaio, in questo modo: quanto più alta è la forza produttiva del lavoro, tanto più grande è la pressione degli operai sui mezzi della loro occupazione, e quindi tanto più precaria la loro condizione d’esistenza: vendita della propria forza per l’aumento della ricchezza altrui ossia per l’autovalorizzazione del capitale.

L’aumento dei mezzi di produzione e della produttività del lavoro più rapido di quello della popolazione produttiva si esprime quindi capitalisticamente, viceversa, nell’affermazione che la popolazione operaia cresce sempre più rapidamente del bisogno di valorizzazione del capitale.

Abbiamo visto nella quarta sezione, in occasione. dell’analisi della produzione del plusvalore relativo, che entro il sistema capitalistico tutti i metodi per incrementare la forza produttiva sociale del lavoro si attuano a spese dell’operaio individuo; tutti i mezzi per lo sviluppo della produzione si capovolgono in mezzi di dominio e di sfruttamento del produttore, mutilano l’operaio facendone un uomo parziale, lo avviliscono a insignificante appendice della macchina, distruggono con il tormento del suo lavoro il contenuto del lavoro stesso, gli estraniano le potenze intellettuali del processo lavorativo nella stessa misura in cui a quest’ultimo la scienza viene incorporata come potenza autonoma; deformano le condizioni nelle quali egli lavora, durante il processo lavorativo lo assoggettano a un dispotismo odioso nella maniera più meschina, trasformano il periodo della sua vita in tempo di lavoro, gli gettano moglie e figli sotto la ruota di Juggernaut del capitale. Ma tutti i metodi per la produzione di plusvalore sono al tempo stesso metodi dell’accumulazione e ogni estensione dell’accumulazione diventa, viceversa, mezzo per lo sviluppo di quei metodi.

Ne consegue quindi, che nella misura in cui il capitale si accumula, la situazione dell’operaio, qualunque sia la sua retribuzione, alta o bassa, deve peggiorare. La legge infine che equilibra costantemente sovrappopolazione relativa, ossia l’esercito industriale di riserva da una parte e volume e energia dell’accumulazione dall’altra, incatena l’operaio al capitale in maniera più salda che i cunei di Efesto non saldassero alla roccia Prometeo. Questa legge determina un’accumulazione di miseria proporzionata all’accumulazione di capitale. L’accumulazione di ricchezza all’uno dei poli è dunque al tempo stesso accumulazione di miseria, tormento di lavoro, schiavitù, ignoranza, brutalizzazione e degradazione morale al polo opposto ossia dalla parte della classe che produce il proprio prodotto come capitale.

Questo carattere antagonistico dell’accumulazione capitalistica88 è espresso in forme diverse dagli economisti politici, benché in parte ne facciano un sol fascio con fenomeni analoghi, è vero, ma sostanzialmente diversi, dei modi di produzione precapitalistici.

Il monaco veneziano Ortes, uno dei grandi scrittori di economia nel secolo XVIII, concepisce l’antagonismo della produzione capitalistica come legge universale di natura della ricchezza sociale. «Il bene ed il male economico in una nazione [sono] sempre all’istessa misura, o la copia dei beni, in alcuni sempre eguale alla mancanza di essi in altri... giacchè l’affluenza de’ beni in alcuni, accompagnata dall’assoluta privazione di essi in più altri è un fenomeno di tutti i tempi e di tutti i luoghi... La ricchezza di una nazione corrisponde alla sua popolazione, e la sua miseria corrisponde alla sua ricchezza. La laboriosità di alcuni impone l’ozio in altri. I poveri e gli oziosi sono un frutto necessario dei ricchi e degli attivi» ecc.89. Il prete protestante della Chiesa alta Townsend glorificò in maniera affatto grossolana, circa dieci anni dopo l’Ortes, la povertà come condizione necessaria della ricchezza. «La costrizione legale al lavoro è legata a troppa fatica, violenza e a troppo rumore, mentre la fame non sol tanto è una pressione pacifica, silenziosa, incessante, ma, come motivo più naturale dell’industria e del lavoro, desta gli sforzi più potenti». Dunque tutto dipende dal render permanente la fame fra la classe operaia e a questo pensa, secondo il Townsend, il principio della popolazione che agisce particolarmente fra i poveri. «Sembra una legge di natura che i poveri siano in una certa misura sventati (improvident) (ossia così sventati da nascere senza cucchiai d’oro in bocca), cosicché ve ne siano sempre (that there always may be some) per l’adempimento delle funzioni più servili, più sudicie e più volgari della comunità. Il fondo di felicità umana (the fund of human happiness) viene in tal modo molto accresciuto, le persone più delicate (the more delicate) sono liberate dal lavoro molesto e possono accudire indisturbate alla loro superiore missione... La legge sui poveri ha la tendenza di distruggere l’armonia e la bellezza, la simmetria e l’ordine di questo sistema che Dio e la natura hanno instaurato nel mondo»90.

Se il monaco veneziano aveva trovato, nella deliberazione del destino che rende perenne la miseria, il diritto all’esistenza della beneficenza cristiana, del celibato, dei monasteri e delle pie fondazioni, il prebendario protestante vi trova, al contrario, il pretesto per condannare le leggi che concedono al povero il diritto a una misera sovvenzione pubblica. «Il progresso della ricchezza sociale», dice lo Storch, «produce quella utile classe della società.., che sbriga le occupazioni più noiose, più volgari e più nauseanti, che, in una parola, si addossa tutto ciò che la vita ha di sgradevole e di servile, e appunto per questo procura alle altre classi il tempo, la serenità di spirito e la dignità convenzionale (c’est bon!) del carattere, ecc.»91, Lo Storch si chiede quale sia dunque il pregio di questa civiltà capitalistica, con la sua miseria e con la sua degradazione delle masse, nei confronti della barbarie? Egli trova una risposta sola... la sicurezza! «In virtù del progresso dell’industria e della scienza», dice il Sismondi, «ogni operaio può produrre giornalmente molto di più di quello che gli occorra per il proprio consumo. Ma al tempo stesso, mentre il suo lavoro produce la ricchezza, la ricchezza, se fosse destinato a consumarla egli stesso, lo renderebbe poco atto al lavoro».

Secondo lui «gli uomini (ossia coloro che non lavorano) rinuncerebbero probabilmente a tutti i perfezionamenti delle arti, come a tutti i godimenti che l’industria ci procura, se dovessero acquistarli al prezzo di un lavoro perseverante come quello dell’operaio... Le fatiche oggi sono separate dal loro compenso; non è uno stesso uomo quello che prima lavora e poi si riposa; al contrario, appunto perché l’uno lavora, l’altro deve riposarsi... La infinita moltiplicazione delle forze produttive del lavoro non può quindi avere altro risultato se non l’aumento del lusso e dei godimenti dei ricchi oziosi»92. Destutt de Tracy infine, il gelido dottrinario della borghesia, esprime la cosa brutalmente: «Le nazioni povere sono quelle in cui il popolo sta bene, e le nazioni ricche sono quelle in cui esso è abitualmente povero»93.

5. ILLUSTRAZIONE DELLA LEGGE GENERALE DELL’ACCUMULAZIONE CAPITALISTICA.

a) L’Inghilterra dal 1846 al 1866.

Nessun periodo della società moderna è favorevole allo studio dell’accumulazione capitalistica quanto il periodo dei vent’anni or ora trascorsi. È come se la società avesse trovato la borsa magica della fortuna. Ma fra tutti i paesi l’Inghilterra offre ancora una volta l’esempio classico, perché tiene il primo posto sul mercato mondiale, perché solo qui il modo di produzione capitalistico è pienamente sviluppato, e finalmente perché l’introduzione del regno del Millennio liberoscambista dopo il 1846 ha tolto all’economia volgare l’ultimo rifugio. Il progresso titanico della produzione, per il quale la seconda metà di questo periodo ventennale supera a sua volta di gran lunga la prima metà, è stato già accennato abbastanza nella quarta sezione.

Benché l’accrescimento assoluto della popolazione inglese sia stato grandissimo nell’ultimo mezzo secolo, l’accrescimento relativo, o saggio dell’aumento, è caduto costantemente, come mostra la seguente tabella riportata dal censimento ufficiale:

Aumento annuo percentuale della popolazione dell’Inghilterra e del Galles in numeri decimali

1811-1821
 1,533%
 1821-1831  
 1,446%
   1831-1841    
   1,326%
1841-1851
 1,216%
185 1-1861
 1,141%

Consideriamo ora d’altra parte l’accrescimento della ricchezza. Il punto di riferimento più sicuro è qui fornito dal movimento dei profitti, rendite fondiarie ecc. soggetti all’imposta sull’entrata. L’aumento dei profitti (esclusi i fittavoli ed alcune altre rubriche) soggetti a imposta ammontava per la Gran Bretagna dal 1853 al 1864 al 50,47% (o 4,58% nella media annua)94, l’aumento della popolazione durante lo stesso periodo ammontava all’incirca al 12%. Lo aumento delle rendite imponibili del terreno (comprese le case, le ferrovie, le miniere, le peschiere ecc.) ammontava dal 1853 al 1864 al 38% ossia al 3 e 5/12% annuo, e la parte più importante è presa dalle seguenti rubriche:

Eccedenza dell’entrata annua del 1864 su quella del 1853
Aumento annuo
Di case
     38,60%      
3,50%
di cave
84,76%
7,70%
di miniere
68,85%  
6,26%
di ferriere
39,92%   
3,63%
di peschiere
           57,37%             
5,21%
di officine gas
126,02%     
11,45%
di ferrovie
83,29%  
7,57%

                                                       

Se si paragonano gli anni del periodo 1853-1864 a quattro a quattro, il grado d’aumento delle entrate cresce costantemente. Per esempio per le entrate derivanti dal profitto è per il 1853-1857 dell’1,73% annuo, per il 1857-1861 del 2,74% annuo e del 9,30% annuo per il 1861-1864.

La somma totale delle entrate soggette a imposta sull’entrata nel Regno Unito ammontava

anno
sterline
1856
307.068.898
  1859   
328.127.416
   1862    
351.745.241
1863  
359.142.897
1864
362.462.279
1865
    385.530.020 96

         

L’accumulazione del capitale è stata accompagnata anche dalla concentrazione e dalla centralizzazione del capitale. Benché non esistesse per l’Inghilterra (ma per l’Irlanda sì) una statistica ufficiale per l’agricoltura, dieci contee l’hanno fornita volontariamente. Essa ha dato il risultato che dal 1851 al 1861 i contratti di fitto al di sotto dei cento acri erano diminuiti da 31.583 a 26.567, cioè 5016 si erano fusi con contratti maggiori97. Dal 1815 al 1825 nessun patrimonio mobiliare al di sopra di un milione di sterline era stato colpito dall’imposta di successione, invece dal 1825 al 1855 ve ne furono otto, dal 1855 al giugno 1859, cioè in quattro anni e mezzo, quattro98. Tuttavia la centralizzazione si riscontrerà meglio con una breve analisi dell’imposta sull’entrata per la rubrica D (profitti, esclusi i fitta- voli ecc.) negli anni 1864 e 1865. Premetto l’osservazione che le entrate di questa categoria pagano l’income tax (Imposta sull’entrata) a partire dalle sessanta sterline in su. Queste entrate soggette a imposta ammontavano nel 1864 in Inghilterra, Galles e Scozia a 95.844.222 sterline; nel 1865 a 105.435.787 sterline99; mentre il numero delle persone che pagavano l’imposta ammontava nel 1864 a 308.416 persone su una popolazione complessiva di 23.891.009 e nel 1865 a 332.431 persone su una popolazione complessiva di 24.127.003.

Ecco la tabella della distribuzione di queste entrate nei due anni:

 anno concluso il 5 aprile 1864   
  anno concluso il 5 aprile 1865
  entrate da profitti lire sterline   
 persone  
 entrate da profitti lire sterline     
persone
entrate complessive
   95.844.222  
 308.416
105.435.787
332.431
delle quali:  
     57.028.290    
     22.334    
  64.554.297  
  24.075
delle quali:
    36.415.225    
 3.619
    42.535.576   
  4.021
delle quali:  
 22.809.781  
 822
     27.555.313    
     973
delle quali:
   8.744.762   
   91
    11.077.238   
   107

                                                                                                                         

Nel Regno Unito venivano prodotte

anno  
  tonnellate  
  sterline
1855
carbone
   61.453.079      
16.113.167
1864
carbone  
  92.787.873     
23.197.968
1855
ferro grezzo
 3.218.154  
 8.045.385
1864
ferro grezzo
4.767.951
           11.919.877     100

                                          

Nel 1854 le ferrovie in funzione nel Regno Unito coprivano 8.054 miglia, con un capitale versato di 286.068.794 sterline; nel 1864 le miglia erano 12.789 con un capitale versato di 425.719.613 sterline.

Nel 1854 l’esportazione e l’importazione complessiva del Regno Unito ammontava a 268.210.145 sterline; nel 1865 ammontava a 489.923.285. La tabella sottostante mostra il movimento dell’esportazione:

anno
   lire sterline
1847
58.842.377
  1849  
 63.956.052
1856
 115.826.948
1860
 135.842.817
1865
165.862.402
1866
  188.917.563

In base a questi pochi dati si capisce il grido di trionfo del registratore generale del popolo inglese: «Per quanto la popolazione sia cresciuta rapidamente, non ha tenuto il passo col progresso dell’industria e della ricchezza»101. Volgiamoci ora agli agenti diretti di quest’industria, ossia ai produttori diretti di questa ricchezza, alla classe operaia. «È uno dei tratti più malinconici nello stato sociale del paese o, dice il Gladstone, «che mentre si ha una diminuzione del potere di consumo del popolo e un aumento delle privazioni e della miseria della classe lavoratrice, abbia luogo contemporaneamente una costante accumulazione di ricchezza nelle classi superiori e un aumento costante di capitale»102. Così parlava questo mellifluo ministro alla Camera dei Comuni il 13 febbraio 1843. IL 16 aprile 1863, vent’anni dopo, nel discorso per la presentazione del suo bilancio, dichiara:

«Dal 1842 al 1852 le entrate imponibili di questo paese sono cresciute del 6%... Negli otto anni dal 1853 al 1861 sono cresciute, se prendiamo come punto di partenza il 1853, del 20%. Il fatto è tanto stupefacente da esser quasi incredibile... Questo inebriante aumento di ricchezza e di potenza... è limitato interamente alle classi possidenti, ma... ma dev’essere di vantaggio indiretto per la popolazione operaia, perché esso riduce più a buon mercato gli articoli di consumo generale — mentre i ricchi sono diventati più ricchi, i poveri sono divenuti ad ogni modo meno poveri. Non oso dire che gli estremi della povertà siano diminuiti»103. Che misero finale I Se la classe operaia è rimasta «povera», solo «meno povera» in proporzione all’inebriante aumento di ricchezza e potenza» da essa prodotto per la classe dei proprietari, essa è rimasta proporzionalmente povera come prima. Se gli estremi della povertà non sono diminuiti, vuoi dire che sono aumentati, perché sono aumentati gli estremi della ricchezza. Per quanto riguarda il più a buon mercato dei mezzi di sussistenza, la statistica ufficiale, per esempio i dati dei London Orphan Asylum, mostrano un rincaro del 20% per la media dei tre anni dal 1860 al 1862 in confronto al periodo 1851-1853. Nel triennio successivo 1863-1865 si ha un rincaro progressivo di carne, burro, latte, zucchero, sale, carbone e di una massa di altri mezzi di sussistenza di prima necessità104. Il discorso successivo del Gladstone sul bilancio, del 7 aprile 1864, è un ditirambo pindarico sul progresso dell’arricchimento e sulla felicità del popolo temperata dalla «povertà». Parla di masse «sull’orlo del pauperismo», dei rami d’industria «dove il salario non è cresciuto» e conclude riassumendo la felicità della classe operaia con le parole: «In nove casi su dieci la vita è solo una lotta per l’esistenza»105. Il professor Fawcett, che non è vincolato da considerazioni ufficiali come il Gladstone, dichiara chiaro e tondo: «Non nego naturalmente che il salario in denaro sia cresciuto (negli ultimi decenni) con questo aumento del capitale, ma questo vantaggio apparente va perduto a sua volta, in gran misura, perché molte necessità vitali diventano costantemente più care (egli crede che sia per la caduta del valore dei metalli nobili)... I ricchi diventano rapidamente più ricchi (the rich grow rapidiy richer), mentre non è percepibile nessun aumento nel comfort delle classi lavoratrici... Gli operai diventano quasi schiavi dei negozianti dei quali sono debitori»106.

Nelle sezioni sulla giornata lavorativa e sulle macchine è stato svelato in quali circostanze la classe operaia inglese ha creato un «aumento inebriante di ricchezza e potenza» per le classi possidenti. Tuttavia allora il nostro interesse andava prevalentemente all’operaio durante la sua funzione sociale. Per chiarire pienamente le leggi dell‘accumulazione occorre prendere in esame anche la situazione dell’operaio al di fuori dell’officina, cioè le condizioni del nutrimento e dell’abitazione dell’operaio. I limiti di questo libro ci impongono di occuparci qui soprattutto della parte peggio pagata del proletariato industriale e degli operai agricoli, cioè della maggioranza della classe operaia.

Prima, ancora poche parole sul pauperismo ufficiale, ossia su quella parte della classe operaia che ha perduto la condizione della sua esistenza, cioè la vendita della forza-lavoro, e vegeta sull’elemosina pubblica. La lista ufficiale dei poveri contava in Inghilterra107.

    anno     
 persone
1855
 851.369
1856
 877.767
1865
 971.433

        

In seguito alla carestia del cotone la lista s’ingrossò negli anni 1863 e 1864 a 1.079.382 e 1.014.978. La crisi del 1866 che colpì Londra più gravemente delle altre città creò nel 1866 in questa sede del mercato mondiale, più popolosa del regno di Scozia, un aumento dei poveri del 19,5% in confronto col 1865 e del 24,4% in confronto col 1864, e un aumento ancor maggiore per i primi mesi del 1867 in confronto col 1866. Nell’analisi della statistica dei poveri occorre rilevare due punti. Da una parte, il movimento di rialzo e di ribasso della massa dei poveri rispecchia le vicende periodiche del ciclo industriale. Dall’altra parte, la statistica ufficiale diventa sempre più ingannevole circa il volume reale del pauperismo, nella misura in cui si sviluppa, con lo svilupparsi dell’accumulazione del capitale, la lotta delle classi, e quindi la coscienza di se stessi degli operai. Per esempio la barbarie nel trattamento dei poveri, sulla quale ha gridato così forte durante gli ultimi due anni la stampa inglese (Times, Pali Mall Gazette, ecc.), è di vecchia data. F. Engels constata nel 1844 gli stessi precisi orrori e gli stessi precisi ipocriti lai che fan parte della «letteratura sensazionale». Ma il terribile aumento della morte per fame («deaths by starvation») a Londra durante l’ultimo decennio dimostra senza lasciar dubbio come sia in aumento l’orrore degli operai per la schiavitù della workhouse108, questo ergastolo della miseria.

b) Gli strati mal pagati della classe operaia industriale britannica.

Rivolgiamo ora la nostra attenzione agli strati mal pagati della classe operaia industriale. Durante la carestia del cotone del 1862 il dott. Smith ebbe dal Privy Council ( Consiglio segreto della Corona.) l’incarico di compiere una inchiesta sullo stato di nutrizione degli operai cotonieri del Lancashire e del Cheshire caduti in miseria. Osservazioni di anni compiute nel passato lo avevano condotto al risultato che «per evitare malattie dovute all’inedia (starvation diseases)», il nutrimento giornaliero di una donna media doveva contenere per lo meno 3.900 grani di carbonio con centottanta grani di azoto, che il nutrimento giornaliero di un uomo medio doveva contenere per lo meno 4.300 grani di carbonio uniti a duecento grani di azoto, per le donne all’incirca la quantità di sostanza nutritiva contenuta in due libbre di buon pane di grano, per gli uomini un nono di più, e per la media settimanale degli adulti femmine e maschi per lo meno 28.600 grani di carbonio e 1.330 grani di azoto. Il suo calcolo viene mirabIlmente confermato in pratica dal fatto che esso si accorda in pieno con la misera quantità di nutrimento alla quale lo stato d’indigenza aveva abbassato il consumo degli operai cotonieri. Nel dicembre 1862 essi ricevevano 29.211 grani di carbonio e 1.295 grani di azoto alla settimana.

Nel 1863 il Privy Council ordinò un’inchiesta circa l’indigenza della parte peggio nutrita della classe operaia inglese. Il dott. Simon, funzionario sanitario del Privy Council, prescelse per questo lavoro il sopra menzionato dott. Smith. La sua inchiesta si estende da una parte agli operai agricoli, dall’altra a tessitori di seta, cucitrici, guantai in pelle, calzettai, tessitori di guanti e calzolai. Queste ultime categorie nono esclusivamente cittadine, ad eccezione dei calzettai. All’inchiesta fu fatta regola di prescegliere per ogni categoria le famiglie più sane e che si trovassero, relativamente, nelle condizioni migliori.

Il risultato generale ottenuto fu che «solo in una delle classi esaminate degli operai urbani l’immissione di azoto superava d’un po’ la misura minima assoluta al di sotto della quale si verificano malattie da inedia, che in due classi si aveva una deficienza, e in una precisamente una deficienza fortissima, di apporto di nutrimento contenente sia azoto sia carbonio, che fra le famiglie agricole investigate più di un quinto riceveva meno dell’apporto indispensabile di nutrimento contenente carbonio, più di un terzo meno dell’apporto indispensabile di nutrimento contenente azoto, e che in tre contee (Berkshire, Oxfordshire e Somersetshire) si era in media al di sotto del minimo del nutrimento contenente azoto»109. Fra gli operai agri coli quelli dell’Inghilterra, la parte più ricca del Regno Unito, erano i peggio nutriti110. La sottonutrizione fra gli operai agricoli colpiva in genere principalmente le mogli e i bambini, giacchè «l’uomo deve mangiare per fare il suo lavoro». Una deficienza anche maggiore infuriava fra le categorie investigate degli operai urbani. «Sono così mal nutriti che devono verificarsi111 molti casi di privazioni crudeli e rovinose per la salute» (» astinenza» del capitalista, tutto questo!

Cioè astinenza dal pagamento dei mezzi di sussistenza indispensabili al mero vegetare delle sue braccia!).

La tabella seguente indica il rapporto dello stato di nutrizione delle categorie sopra accennate di operai urbani rispetto alla misura minima supposta dal dott. Smith e alla misura della nutrizione degli operai cotonieri durante l’epoca della loro maggiore miseria112.

  media settimanale di carbonio  
 media settimanale di azoto
ambedue i sessi  
  grains *
   grains *
cinque rami industriali urbani  
 28.876   
 1.192
operai di fabbrica disoccupati del Lancashire     
   29.211     
  1.295

quantità minima proposta per gli operai del

Lancashire per un numero eguale di uomini e donne

 28.600  
   1.330

                                                    

* (1 grains = 0,0648 grammi)

Metà delle categorie operaie dell’industria investigate, il 60/125, non riceveva affatto birra, il 28 % non riceveva latte. La media settimanale degli alimenti liquidi oscillava nelle famiglie da sette once presso le cucitrici, a ventiquattro e tre quarti presso i calzettai. La maggioranza di coloro che non ricevevano latte era costituita dalle cucitrici di Londra. La quantità delle sostanze da panificazione consumate settimanalmente variava da sette libbre e tre quarti per le cucitrici, a undici libbre e un quarto per i calzolai e dava una media totale di libbre nove e nove decimi settimanali per persona adulta. Lo zucchero (melassa ecc.) variava da quattro once settimanali per i guantai in pelle a undici once per i calzettai; la media totale settimanale per tutte le categorie era per gli adulti di otto once. La media totale settimanale di burro (grassi ecc.) ammontava a cinque once per gli adulti. La media settimanale di carne (lardo ecc.) oscillava per gli adulti, da 7 once e un quarto per i setaiuoli a 18 once e un quarto per i guantai in pelle; media totale per le varie categorie once tredici e sei decimi. La spesa settimanale di vitto per adulti dava le seguenti cifre medie generali: setaiuoli due scellini e due pence e mezzo, cucitrici due scellini e sette pence, guantai in pelle due scellini e nove pence e mezzo, calzolai due scellini e sette pence e tre quarti, calzettai due scellini e sei pence e un quarto. Per i setaiuoli di Macclesfield la media settimanale ammontava a un solo scellino e otto pence e mezzo. Le categorie peggio nutrite erano le cucitrici i setaiuoli e i guantai in pelle113.

Il dott. Simon nella sua relazione generale sulla salute dice circa questo stato alimentare: «Che siano innumerevoli i casi in cui la deficienza di nutrimento produce o acuisce le malattie sarà confermato da chiunque abbia familiarità con la cura medica dei poveri o con i pazienti degli ospedali, siano essi degenti o pazienti esterni... Tuttavia a questo fatto si aggiunge, dal punto di vista sanitario, anche un’altra circostanza molto decisiva... Bisogna ricordare che la privazione dei mezzi alimentari viene sopportata solo con grande riluttanza, e che di regola una grande scarsezza della dieta non fa che accodarsi al corteo di altre privazione antecedenti. Molto prima che la deficienza alimentare abbia il suo peso dal punto di vista igienico, molto prima che il fisiologo pensi al conteggio dei grains di azoto e di carbonio, fra i quali sono sospesi la vita e la morte d’inedia, la casa sarà spogliata in tutto e per tutto di ogni conforto materiale. Il vestiario e il riscaldamento saranno stati anche più scarsi del cibo. Nessuna difesa adeguata contro l’inclemenza del tempo; limitazione dello spazio abitabile fino a un grado che produce o acuisce le malattie; quasi nessuna traccia di utensili domestici o di mobili; la stessa pulizia sarà diventata costosa o difficile. Qualora per un senso di rispetto di se stessi si tenti ancora di conservarla, ogni tentativo del genere rappresenterà un ulteriore tormento di fame. La casa si troverà là dove si potrà affittare l’alloggio a minor prezzo, in quartieri dove la polizia sanitaria agirà meno, in quartieri dove vi sarà la peggiore fognatura, il minor traffico, il maggiore cumulo di immondizie pubbliche, la più misera o la peggiore fornitura d’acqua, e, nelle città, la più grande mancanza di luce e di aria. Questi sono i pericoli igienici a cui la povertà è esposta inevitabilmente. E se la somma di questi gravi inconvenienti è di terribile grandezza come pericolo alla vita, la sola deficienza alimentare di per sé è cosa or renda... Sono riflessioni penose queste, specialmente se si ricorda che la povertà di cui si tratta non è la povertà meritata dell’ozio. È povertà di operai. E inoltre, trattandosi di operai di città, il lavoro con cui è acquistato quello scarso boccone di nutrimento, è per o più prolungato smisuratamente. Eppure solo in un senso molto relativo si può dire che questo lavoro mantenga chi lo compie... Su scala molto larga il mantenimento nominale di se stesso non può essere che un giro più o meno lungo che conduce al pauperismo»114.

Il nesso intimo fra la fame che tormenta gli strati operai più laboriosi e il consumo dilapidatore dei ricchi fondato sull’accumulazione capitalistica, grossolano o raffinato che sia, si svela solo con la conoscenza delle leggi economiche. Diversamente per le condizioni dell’abitazione. Ogni osservatore spregiudicato vede che quanto più in massa sono centralizzati i mezzi di produzione, tanto maggiore è il corrispondente ammucchiarsi degli operai nello stesso spazio, che quindi quanto più è rapida l’accumulazione capitalistica, tanto più misere sono le condizioni d’abitazione degli operai. Il «miglioramento» (improvements) delle città mediante la demolizione di quartieri mal costruiti, la costruzione di palazzi per banche, grandi magazzini ecc., l’allargamento delle strade per il traffico e per le carrozze di lusso, l’introduzione di diligenze ecc., che accompagna il progresso della ricchezza, caccia evidentemente i poveri in buchi sempre peggiori e sempre più affollati. D’altra parte ognuno sa che il costo delle abitazioni sta in proporzione inversa della loro qualità e che le miniere della miseria vengono sfruttate dagli speculatori dell’edilizia con maggiore profitto e con minore spesa di quanto siano mai state sfruttate le miniere di Potosì. Il carattere antagonistico dell’accumulazione capitalistica e quindi dei rapporti di proprietà capitalistici in genere115 diventa qui così evidente, che perfino le relazioni ufficiali inglesi su questo tema pullulano di attacchi eterodossi contro la «proprietà e i suoi diritti». Questo malanno è proceduto di pari passo con lo sviluppo dell’industria, con l’accumulazione del capi tale, con l’aumento e con l’«abbellimento» delle città tanto che soltanto la paura delle malattie contagiose, che non risparmiano nemmeno «le persone rispettabili e, provocò fra il 1847 e il 1864 niente meno che 10 Atti parlamentari sull’igiene pubblica, e che la cittadinanza spaventata di alcune città, come Liverpool, Glasgow ecc., intervenne per opera delle proprie municipalità. Eppure, esclama il dottor Simon nella sua relazione del 1865: «Generalmente parlando, questi malanni in Inghilterra sono incontrollati». Per ordine del Privy Council nel 1864 si fece un’inchiesta sulle condizioni di alloggio degli operai agricoli, nel 1865 sulle classi più povere delle città. I magistrali lavori del dott. Julian Hunter si trovano nella settima e ottava relazione sulla Public Health. Degli operai agricoli mi occuperò più avanti. Per lo stato delle abitazioni in città premetto un’osservazione a carattere generale del dott. Sirnon: «Benché il mio punto di vista ufficiale», egli dice, «sia esclusivamente medico, il più comune senso di umanità non consente di ignorare l’altro lato di questo male. Al suo grado più alto esso determina quasi ineluttabilmente una tale negazione di ogni delicatezza, una promiscuità così sudicia di corpi e di funzioni del corpo, una tale esposizione di nudità sessuali, che sono bestiali e non umane. Esser soggetti a questi influssi è una degradazione che tanto più si aggrava quanto più perdura. Per i bambini nati sotto questa maledizione essa significa battesimo nell’infamia (baptism into infamy). Ed. è cosa disperata oltre ogni misura augurarsi che persone poste in queste circostanze debbano aspirare per altri rispetti a quell’atmosfera di civiltà la cui natura consiste nella pulizia fisica e morale»116.

Il primo posto per gli alloggi sovraffollati o per gli alloggi assolutamente inadatti ad esseri umani è occupato da Londra. «Due punti», dice il dott. Hunier, «sono sicuri: primo, a Londra vi sono circa venti grandi colonie, ognuna composta di circa 10.000 persone, la cui misera situazione supera tutto quello che si può aver mai visto altrove in Inghilterra, e questa situazione è quasi esclusivamente il risultato della cattiva sistemazione del loro alloggio; secondo, il grado di affollamento e di rovina delle case di queste colonie è molto peggiore di quello che era venti anni or sono»117. «Non è un’esagera razione dire che in molte parti di Londra e di Newcastle la vita è un inferno»118.

Anche la parte della classe operaia che sta meglio, insieme coi piccoli bottegai e ad altri elementi della piccola classe media, a Londra viene colpita sempre più dalla maledizione di queste indegne condizioni di alloggio, nella misura in cui progrediscono i «miglioramenti» e con questi la demolizione di vecchie strade e case, nella misura in cui aumentano le fabbriche e l’afflusso di uomini nella metropoli e infine salgono le pigioni insieme colla rendita fondiaria della proprietà urbana. «Le pigioni sono salite così eccessivamente che pochi operai possono pagare più di una stanza»119. A Londra quasi nessuna proprietà di case è senza l’aggravio di un numero infinito di «middlemen» (Intermediari, sensali.). Infatti a Londra il prezzo del terreno è molto elevato in confronto alle entrate annue che se ne possono trarre, giacchè ogni compratore specula sul fatto di potersene di nuovo disfare prima o poi a un Jury price (prezzo di arbitrato fissato da una giuria in caso di esproprio), oppure di arraffare un aumento straordinario del valore a causa della vicinanza di una grande impresa. Conseguenza di ciò è un regolare commercio per l’acquisto di contratti d’affitto prossimi alla scadenza. «Dai gentlemen dediti a questi affari ci si può aspettare che agiscano come agiscono, che cavino agli inquilini della casa il più possibile e che lascino la casa stessa nelle condizioni peggiori possibili ai loro successori»120. Le pigioni sono settimanali, e quei signori non corrono alcun rischio. In seguito alle costruzioni ferroviarie all’interno della città, «s’è visto poco tempo fa un sabato sera aggirarsi nell’est di Londra un buon numero di famiglie cacciate dalle loro vecchie abitazioni, con i loro pochi beni terreni sulle spalle, senza un qualsiasi posto di sosta tranne la work house»121. Le workhouses sono già strapiene, e i «miglioramenti» ormai approvati dal parlamento cominciano appena ad essere eseguiti. Quando gli operai vengono cacciati sulla strada dalla distruzione delle loro vecchie case, essi non lasciano la loro parrocchia, oppure tutt’al più si domiciliano ai suoi confini, nella parrocchia più vicina. «Naturalmente cercano di abitare il più vicino possibile ai loro luoghi di lavoro. Conseguenza: invece che a due stanze, tocca a una stanza sola accogliere la famiglia. Anche nel caso di una pigione più elevata il domicilio sarà peggiore di quello scadente da cui sono cacciati. Già in questo momento metà degli operai dello Strand deve fare un viaggio di due miglia per arrivare sul posto di lavoro». Questo Strand, la cui via principale dà allo straniero un’impressione imponente della ricchezza di Londra, può servire da esempio dell’impacchettamento umano che si ha a Londra. In una parrocchia dello Strand il funzionario dell’igiene ha contato 581 persone per acro, benché nella misura fosse compresa metà del Tamigi. Va da sé che ogni provvedimento d’igiene pubblica che, come è accaduto sinora a Londra, caccia da un quartiere gli operai demolendo le case inservibili, serve solo ad affollarli ancor più fitti in un altro. Il dott. Hunter dice: «O tutta la procedura deve necessariamente arrestarsi come cosa assurda, o deve destarsi la simpatia (!) pubblica per quello che ora può chiamarsi senza esagerazione un dovere nazionale, cioè l’approntamento di un tetto per la gente che per mancanza di capitale non può procurarselo da sé, ma può indennizzare i locatori con pagamenti periodici»122. Si ammiri la giustizia capitalistica! Il proprietario fondiario, il proprietario di case, l’uomo d’affari, espropriati da «improvements» come ferrovie, ricostruzione delle strade ecc., non soltanto ricevono il pieno risarcimento, ma per giunta debbono essere confortati da Dio e dalla legge nella loro forzata «astinenza», mediante un rilevante profitto. L’operaio viene gettato sul lastrico con moglie e figli e tutto quello che ha, e se troppo in massa cerca di spostarsi in quartieri in cui la municipalità tiene al decoro, viene perseguito dal regolamento d’igiene pubblica!

All’inizio del secolo XIX non vi era nessuna città in Inghilterra all’infuori di Londra che contasse 100.000 abitanti. Solo cinque ne contavano più di 50.000. Ora esistono ventotto città con più di 50.000 abitanti. «Il risultato di questo cambiamento è stato non soltanto un aumento enorme della popolazione urbana, ma le vecchie cittadine sovraffollate sono ora centri circondati da tutti i lati da costruzioni in cui l’aria non entra neanche in un punto. Siccome per i ricchi non rappresentano più un soggiorno piacevole, vengono abbandonate da essi in cambio dei sobborghi che sono più divertenti. I successori di questi ricchi entrano nelle case più grandi, una famiglia, spesso con subinquilini per giunta, per ogni stanza. In tal modo una popolazione è stata spinta dentro case non destinate ad essa e alle quali essa è assolutamente inadatta, in un ambiente veramente degradante per gli adulti e rovinoso per i fanciulli»123. Quanto più è rapida in una Città industriale o Commerciale l’accumulazione del capitale, tanto più è rapido l’afflusso del materiale umano sfruttabile, tanto più misere sono le abitazioni improvvisate degli operai. Quindi Newcastle-upon-Tyne, come centro di un distretto carbonifero e minerario sempre più fertile, occupa il secondo posto dopo Londra nel l’inferno delle abitazioni. Non meno di 34.000 persone vi abitano in stanze singole. A causa dell’assoluto pericolo che presentano per la comunità, è stato demolito di recente a Newcastle e a Gateshead un numero rilevante di case, per disposizione di polizia. La costruzione delle case nuove procede molto lentamente, gli affari rapidissimamente. Nel 1865 la città si è quindi trovata ad essere sovraffollata più che mai in passato. Neanche una singola stanzetta, si può dire, era da affittarsi. Il dott. Embleton, dell’ospedale di Newcastle per la cura delle febbri dice: «Senza dubbio alcuno la causa del perdurare e del dilagare del tifo sta nel sovraffollamento e nella sporcizia delle abitazioni. Le case in cui spesso vivono gli operai si trovano in vicoli chiusi e in cortili. Quanto alla luce, all’aria, allo spazio e alla pulizia sono veri modelli di deficienze e di insalubrità, una vergogna per ogni paese civile. Uomini, donne e bambini vi giacciono la notte uno addosso all’altro. Quanto agli uomini, il turno di notte succede al turno di giorno in un flusso ininterrotto, cosicché i letti trovano a mala pena il tempo di freddarsi. Le case sono mal provvedute di acqua e peggio di cessi, sporche, prive di ventilazione e pestilenziali»124. Il prezzo settimanale di simili buchi sale da 8 pence a 3 scellini. «Newcastle-upon-Tyne», dice il dott. Hunter, «offre l’esempio di una delle più belle stirpi dei nostri compatrioti, che a causa delle circostanze esteriori di alloggio e di strada è sprofondata spesso in una degenerazione quasi selvaggia»125.

In seguito al flusso e riflusso del capitale e del lavoro lo stato delle abitazioni di una città industriale può essere tollerabile oggi e diventare esecrabile domani. Oppure l’autorità edilizia municipale può finalmente essersi decisa ad eliminare oggi gli orrori più scandalosi: e domani immigra uno sciame di cavallette irlandesi stracciate o di operai agricoli inglesi finiti male, che vengono cacciati nelle cantine e nei solai, oppure si trasforma per loro la casa operaia fin qui rispettabile in un alloggio in cui le persone cambiano con la rapidità degli acquartieramenti durante la guerra dei Trent’anni. Esempio: Bradford. Quivi i filistei del municipio si stavano per l’appunto occupando della riforma urbanistica, e inoltre nel 1861 c’erano ancora 1751 case disabitate. Ma ecco sopraggiungere i buoni affari su cui tempo fa il signor Forster, il soave liberale amico dei negri, ha fatto sentire con tanto garbo il suo chicchirichì. Con i buoni affari ecco naturalmente la inondazione causata dal sempre fluttuante «esercito di riserva» ossia dalla «sovrappopolazione relativa». Le orribili abitazioni in cantine e in stanze, registrate nella lista in nota126, avuta dal dott. Hunter da parte dell’agente di una società di assicurazioni, erano per lo più abitate da operai ben retribuiti. Questi dichiaravano che di buon grado avrebbero pagato abitazioni migliori se fosse stato possibile averle. Nel frattempo decadono moralmente e si ammalano loro e le loro famiglie, mentre il soave liberale Forster, membro del parlamento, versa lacrime sulle benedizioni del libero scambio e sui profitti degli eminenti uomini di Bradford che commerciano in pettinati. Nella sua relazione del 5 settembre 1865, il dott. Bell, uno dei medici dei poveri di Bradford, spiega la mortalità terribile dei malati di febbre del suo distretto con le condizioni delle loro abitazioni: «In una cantina di 1500 piedi cubi abitano dieci persone... La via Vincent, la Green Air Piace e the Leys albergano duecento ventitre case con 1450 inquilini, quattrocentotrentacinque letti e trentasei cessi... I letti, e per letto intendo un qualsiasi mucchio di stracci sporchi o una manciata di trucioli, ospitano in media ognuno tre persone e tre decimi, alcuni quattro e sei persone. Molti dormono senza letto sulla nuda terra con i vestiti addosso, uomini e donne giovani, sposati e non sposati, tutti mischiati alla rinfusa gli uni agli altri. Occorre forse aggiungere che questi abituri sono per lo più antri puzzolenti, scuri, umidi e sporchi, del tutto inadatti ad albergare esseri umani? Sono questi i centri da cui si propagano malattie e morte mietendo le loro vittime anche fra gli agiati (of good circumstances), i quali hanno permesso a questi bubboni pestilenti di suppurare in mezzo a noi»127.

Bristol occupa, dopo Londra, il terzo posto per la piaga delle abitazioni. «Qui, in una delle città più ricche di Europa, vi è la più grande abbondanza di povertà nuda e cruda («blank poverty») e di miseria domestica»128.

c) La popolazione nomade.

Ci volgiamo ora a uno strato della popolazione l’origine del quale è rurale, e l’occupazione in gran parte industriale. Esso costituisce la fanteria leggera del capitale che a seconda del suo fabbisogno la getta ora in un punto ora in un altro. Se non si trova in marcia, «si accampa». I lavoratori vaganti vengono usati per diverse operazioni edilizie e di drenaggio, per la fabbricazione dei mattoni, per la cottura della calce, la costruzione di ferrovie, ecc. Colonna ambulante della pestilenza, essi importano nelle località presso le quali si stabiliscono, il vaiuolo, il tifo, i! colera, la scarlattina, ecc.129. Quando si tratta di imprese che comportano rilevante esborso di capitale, come la costruzione di ferrovie, è per lo più l’imprenditore stesso che fornisce al suo esercito capanne di legno o simili, villaggi improvvisati senza alcun provvedimento sanitario e fuori del controllo da parte delle autorità locali, che rappresentano un forte utile per il signor appaltatore il quale sfrutta gli operai in duplice maniera, cioè come soldati dell’industria e come inquilini. A seconda che la capanna di legno contiene uno, due, o tre buchi, il suo inquilino, terrazziere, ecc. deve pagare due, tre, quattro scellini alla settimana130. Basti un solo esempio. Nel settembre 1864, riferisce il dott. Simon, arrivò al ministro degli interni, Sir George Grey, la seguente denuncia da parte del presidente del Nuisance Removal Committee (Comitato di polizia sanitaria) della parrocchia di Sevenoaks: «In questa parrocchia il vaiuolo era del tutto sconosciuto fino a circa dodici mesi fa. Poco prima di quel l’epoca furono iniziati i lavori per una ferrovia da Lewisham a Tunbridge. Non solo i lavori principali furono eseguiti nelle immediate vicinanze di questa città, ma vi fu anche impiantato il deposito principale di tutti i lavori. Perciò vi fu occupato un gran numero di persone. Siccome era impossibile ospitarle tutte in cottages, l’appaltatore, signor Jay, fece approntare delle capanne in diversi punti lungo la linea ferroviaria, per alloggiarvi gli operai. Queste capanne non erano munite di ventilazione né di fognatura ed erano inoltre necessariamente sovraffollate, giacchè ogni inquilino doveva accogliere dei coabitanti per quanto fosse numerosa la sua famiglia e benché ogni capanna fosse di sole due stanze. Secondo la relazione medica ricevuta, ciò ha avuto per conseguenza che di notte quella povera gente era costretta a soffrire tutte le pene del soffocamento per evitare le esalazioni pestilenziali che salivano dall’acqua stagnante sudicia e dai cessi posti direttamente sotto le finestre. Infine furono inoltrate lagnanze al nostro comitato da parte di un medico che aveva avuto occasione di visitare queste capanne. Egli si è espresso circa lo stato di questi cosiddetti alloggi con le parole più aspre, e temeva che ne sarebbero venute conseguenze molto serie qualora non si fosse provveduto con qualche norma sanitaria. Un anno fa circa il p. p. («praemissis praemittendis» = premessi tutti i titoli che gli spettano) Jay s’impegnò di sistemare una casa nella quale sarebbero subito state allontanate le persone da lui occupate colpite da malattie contagiose. Ripetè questa promessa alla fine del luglio scorso, ma non fece mai il minimo passo per attuarla, benché a partire da tale data vi fossero stati diversi casi di vaiuolo e di conseguenza due casi di morte. Il 9 settembre il medico Kelson mi riferì di ulteriori casi di vaiuolo in quelle stesse capanne e me ne definì le condizioni come orribili. Per vostra (del ministro) informazione devo aggiungere che la nostra parrocchia possiede una casa isolata, la cosiddetta casa della peste, dove sono assistiti i membri della parrocchia che soffrono di malattie contagiose. Questa casa è da mesi costantemente sovraffollata di pazienti. In una famiglia sono morti cinque bambini di vaiuolo e febbre. Dal primo aprile al primo settembre di quest’anno si sono verificati ben dieci casi mortali di vaiuolo; e quattro di essi nelle dette capanne che sono focolai di contagio. È impossibile indicare il numero dei casi di malattia, perché le famiglie colpite cercano di tenerli segreti il più possibile»131.

Gli operai nelle miniere carbonifere ed altre fanno parte delle categorie meglio pagate del proletariato britannico. È stato mostrato altrove a quale prezzo essi conquistino il loro salario132. Qui darò un rapido sguardo alle loro condizioni di abitazione. Di regola lo sfruttatore della miniera, che sia proprietario o appaltatore, appronta un certo numero di cottages per le sue braccia, che ricevono «gratuitamente» cottages e carbone per il riscaldamento; ossia cottages e carbone costituiscono una parte del salario fornita in natura. Coloro che non si possono sistemare in questa maniera ricevono in cambio quattro sterline all’anno. I distretti minerari attraggono rapidamente una popolazione numerosa, composta dei minatori stessi e degli artigiani, bottegai, ecc. che si raggruppano attorno ad essi. Come ovunque dove la popolazione è densa, qui la rendita fondiaria è elevata. L’imprenditore minerario cerca quindi di mettere in piedi, alle bocche delle miniere, nello spazio più ristretto possibile, la quantità di cottages strettamente necessaria ad impacchettarvi le sue braccia e le loro famiglie. Se nelle vicinanze si aprono nuove miniere oppure vengono riaperte vecchie miniere, l’affollamento aumenta. Al momento della costruzione dei cottages vige un solo punto di vista, «astinenza» del capitalista da ogni esborso di contanti non assolutamente inevitabile. «Le abitazioni degli operai minatori e degli altri operai collegati alle miniere di Northumberland e di Durham», dice il dott. Julian Hunter, «sono forse in media la cosa peggiore e più costosa che, l’Inghilterra offra su larga scala a questo riguardo, eccezion fatta tuttavia per i distretti analoghi nel Mon mouthshire. L’estrema cattiva qualità consiste nel numero elevato di persone che riempiono una stanza, nella ristrettezza del terrena fabbricabile su cui viene gettata una gran massa di case, nella mancanza d’acqua e nell’assenza di cessi, nel metodo spesso impiegato di collocare una casa sopra l’altra oppure di divider in flats (piani) (cosicché i diversi cottages costituiscono piani sovrapposti verticalmente)... L’imprenditore tratta tutta la colonia come se fosse semplicemente accampata, non come se risiedesse»133. «Eseguendo le istruzioni datemi», dice il dott. Stevens, «ho visitato la maggior parte dei grandi villaggi minerari della Durham Union... Con pochissime eccezioni si può dire di tutti che ogni mezzo per la tutela della salute degli abitanti vi è trascurato... Tutti i minatori sono vincolati («bound»), espressione che come bondage risale all’epoca della servitù della gleba) all’appaltatore («lessee») o proprietario della miniera per dodici mesi. Se danno sfogo al proprio malcontento o se molestano in qualche modo il sorvegliante («viewer»), questi pone un segno o un’osservazione accanto al loro nome nel libro di controllo e li licenzia al momento del nuovo vincolo annuo... Mi pare che nessun tipo di truck-system (Pagamento in natura.) possa essere peggiore di quello che regna in questi distretti a densa popolazione. L’operaio è costretto a ricevere come parte del salario una casa circondata da emanazioni pestilenziali. Non può fare come vuole. Egli è sotto ogni riguardo un servo della gleba (he is to all intents and purposes a serf). È dubbio che qualcun altro possa aiutarlo all’infuori del suo proprietario, e questo proprietario consulta soprattutto il proprio bilancio; e il risultato è pressappoco immancabile. L’operaio riceve dal proprietario anche la sua provvista d’acqua. Che questa sia buona o cattiva, che venga fornita o trattenuta, egli deve pagarla, ossia deve adattarsi a una trattenuta sui salario»134.

Quando è in conflitto con l’«opinione pubblica» o con l’ufficio d’igiene il capitale non si perita di «giustificare» le condizioni in parte pericolose, in parte degradanti alle quali costringe a sottoporsi la funzione e il domicilio dell’operaio, asserendo che sono necessarie per sfruttano con maggiori profitti. Così, quando si astiene da impianti protettivi contro le macchine pericolose nella fabbrica, da mezzi di ventilazione e di protezione nelle miniere, ecc. Così, qui con gli alloggi dei minatori. «Come scusa e, dice il dott. Simon, sanitario per il Privy Council, nella sua relazione ufficiale, «come scusa per gli alloggi assolutamente indegni si dice che le miniere vengono sfruttate per lo più in appalto, che la durata del contratto (che per le miniere è quasi sempre di 21 anni) è troppo breve perché l’appaltatore ritenga che valga la pena di fornire dei buoni alloggi agli operai e artigiani ecc. che l’impresa attrae; anche se avesse l’intenzione di procedere liberalmente da questo lato, quest’intenzione sarebbe resa vana dal proprietario fondiario. Costui infatti pare abbia la tendenza di chiedere subito un esorbitante fitto addizionale per il privilegio di costruire sulla superficie del suo terreno un villaggio decente e confortevole per alloggiarvi coloro che lavorano la sua proprietà sotterranea. Questo prezzo proibitivo, qualora non si tratti di proibizione diretta, pare trattenga anche altri che in condizioni diverse sarebbero ben disposti a costruire... Non indagherò oltre sul valore di questa scusa, né indagherò su chi in ultimo ricadrebbe la spesa addizionale per alloggi decenti, se sul proprietario fondiario, sul l’appaltatore della miniera, sugli operai o sul pubblico... Ma dinanzi a dati di fatto così ignominiosi come quelli rilevati dalle accluse relazioni (quelle del dott. Hunter, Stevens, ecc.) deve essere applicato T un rimedio... Titoli di proprietà fondiaria vengono in tal modo usati per commettere una grande ingiustizia pubblica. Nella sua qualità di proprietario della miniera il proprietario fondiario invita una colonia industriale a lavorare nel suo fondo, e poi, nella sua qualità di proprietario della superficie del suolo, rende impossibile agli operai da lui raccolti di trovare l’alloggio adatto, indispensabile alla loro vita. L’appaltatore della miniera» (lo sfruttatore capitalistico) «non ha alcun interesse pecuniario a opporsi a questa suddivisione dell’affare giacché egli sa molto bene che se quelle ultime pretese sono esorbitanti, le conseguenze non ne ricadono su di lui, che gli operai sui quali ricadono sono troppo poco istruiti per conoscere i propri diritti sanitari, e che né l’alloggio più osceno né l’acqua potabile più putrida saranno mai motivo di sciopero»135.

d) Effetto delle crisi sulla parte meglio pagata della classe operaia.

Prima di passare ai veri e propri operai agricoli mostrerò ancora con un esempio come le crisi agiscano perfino sulla parte meglio pagata della classe operaia, sulla sua aristocrazia. Si ricorderà: l’anno 1857 portò con sé una delle grandi crisi con le quali si conclude ogni volta il ciclo industriale. Il termine successivo scadeva nel 1866. Già scontata nei distretti di fabbrica veri e propri ad opera della carestia del cotone che spinse molto capitale dalla sfera abituale d’impiego alle grandi sedi centrali del mercato monetario, la crisi assunse quella volta carattere prevalentemente finanziario. Il suo scopo fu contrassegnato nel maggio del 1866 dal crollo di una gigantesca banca londinese, cui fece seguito immediato il tracollo di innumerevoli società di brogli finanziari. Una delle grandi branche d’affari di Londra colpite dalla catastrofe, fu la costruzione delle navi in ferro. Durante il periodo dei brogli i magnati di questa branca non soltanto avevano prodotto in quantità smisurata, ma avevano per giunta assunto enormi contratti di forniture speculando che la fonte del credito avrebbe continuato a sgorgare con eguale abbondanza. Allora subentrò una reazione terribile che perdura sino a questo mmento (fine marzo 1867), anche in altre industrie londinesi136. Per indicare i caratteri della situazione degli operai riporterò il seguente passo dall’ampia relazione di un corrispondente del Morning Star che ai primi del 1867 visitò le sedi principali delle zone colpite. «Nel l’Est di Londra, nei distretti di Poplar, Miliwall, Greenwich, Deptford, Limehouse e Canning Town, per lo meno 15.000 operai e famiglie si trovano in uno stato di bisogno estremo; fra di essi ci sono 3000 meccanici qualificati. I loro fondi di riserva sono esauriti in seguito a una disoccupazione di più di sei mesi... Ho fatto grande fatica a spingermi fino al portone della workhouse (di Poplar) perché era assediata da un mucchio di gente quasi morta di fame. Costoro aspettavano i buoni per il pane, ma l’ora della distribuzione non era ancora arrivata. Il cortile costituisce un grande quadrato con una tettoia che corre tutt’intorno lungo le mura. Grossi mucchi di neve coprivano il lastricato in mezzo al cortile. Quivi alcuni piccoli spazi erano cintati con un intreccio di vimini, come recinti di pecore, e in essi lavoravano gli uomini quando il tempo era discreto. Il giorno della mia visita i recinti erano così invasi dalla neve che nessuno vi poteva stare seduto. Eppure gli uomini, protetti dalla tettoia sporgente, erano occupati nella macadamizzazione (Frantumazione delle pietre; procedimento inventato dal MacAdam per la pavimentazione delle strade.) di pietre da lastricato. Ognuno aveva come sedile una grossa pietra e con un pesante martello batteva il granito coperto di ghiaccio finché ne aveva staccato 5 bushel. Allora la sua giornata era compiuta ed egli riceveva tre pence (due grossi d’argento e sei Pfennig) e un buono per il pane. In un’altra parte del cortile si trovava una piccola casa di legno dal l’aspetto rachitico. Aprendo la porta la trovammo piena di uomini, spalla a spalla per tenersi caldi. Sfilacciavano gomene da nave e litigavano fra di loro per stabilire chi potesse lavorare più a lungo con un minimo di nutrimento, poiché la perseveranza era il point d’honneur. In questa sola workhouse venivano sussidiate 7000 persone, fra le quali molte centinaia che sei o otto mesi prima guadagnavano in questo paese i salari più elevati del lavoro qualificato. Il loro numero sarebbe stato il doppio se non ve ne fossero tanti che, esaurita tutta la loro riserva di denaro, sono tuttavia restii a ricorrere alla parrocchia finché hanno ancora qualche cosa da impegnare... Lasciando la workhouse feci un giro per le strade formate per lo più da case a un piano che a Poplar sono così numerose. La mia guida era membro del comitato per i disoccupati. La prima casa in cui entrammo fu quella di un operaio siderurgico disoccupato da ventisette settimane. Trovai l’uomo seduto assieme a tutta la sua famiglia in una stanza sul dietro. La stanza non era ancora del tutto spoglia di mobili, e vi ardeva un fuoco. Questo era necessario per proteggere contro il gelo i piedi nudi dei bambini piccoli, poiché la giornata era tremendamente fredda. Su di un piatto di fronte al fuoco c’era una quantità di stoppa che la moglie e i bambini sfilacciavano in cambio del pane che ricevevano dalla workhouse. L’uomo lavorava in uno dei cortili sopra descritti in cambio di un buono per il pane e tre pesce al giorno. Veniva a casa allora per il pranzo, molto affamato, come ci disse con un amaro sorriso, e il suo pranzo consisteva di alcune fette di pane spalmate di grasso e di una tazza di tè senza latte... La seconda porta a cui bussammo fu aperta da una donna di media età, la quale, senza dire parola, ci condusse in una piccola stanza sul dietro, dove sedeva tutta la famiglia, in silenzio e con gli occhi fissi su un fuoco che andava rapidamente spegnendosi. Questa gente e la loro piccola stanza erano avvolte in una tale desolazione, in una tale disperazione, che non mi auguro di vedere mai più una scena simile. “Nulla hanno guadagnato, signore“, disse la donna indicando i suoi ragazzi, “nulla per 26 settimane, e tutto il nostro denaro è finito, tutto il denaro che io e il loro padre avevamo messo da parte in tempi migliori, illudendoci di assicurarci un appoggio nel periodo cattivo degli affari. Guardate“, gridò quasi selvaggiamente tirando fuori un libretto di banca con le sue regolari documentazioni del denaro versato e ritirato, cosicché potemmo vedere come il piccolo patrimonio era nato con un primo deposito di cinque scellini, come a poco a poco era aumentato a venti sterline e poi si era contratto di nuovo, da sterline a scellini, finché l’ultima registrazione rendeva il libretto privo di valore come un pezzo di carta bianca. Questa famiglia riceveva giornalmente uno scarso pasto dalla workhouse... La nostra visita successiva ci portò dalla moglie di un irlandese che aveva lavorato nei cantieri navali. La trovammo malata per mancanza di nutrimento, stesa vestita su di un materasso, miseramente coperta con un pezzo di tappeto, perché tutta la biancheria da letto era stata impegnata L’assistevano i poveri figlioli che avevano l’aspetto di avere essi bisogno dell’assistenza materna. Diciannove settimane di ozio forzoso l’avevano ridotta a tal punto, e mentre ci raccontava la storia dell’amaro passato, emetteva alci lamenti come se avesse perduto ogni speranza di un avvenire migliore... All’uscita dalla sua casa ci si avvicinò di corsa un giovane pregandoci di entrare in casa sua e di- vedere se si potesse fare qualcosa per lui. Una giovane moglie, due graziosi bambini, un mucchio di polizze di pegno e una stanza del tutto vuota era tutto quello che aveva da mostrarci».

Sui postumi della crisi del 1866 ecco l’estratto di un giornale tory. Non bisogna dimenticare che la parte orientale di Londra, di cui qui si tratta, è non soltanto sede degli operai che lavorano alla costruzione delle navi di ferro menzionati nel capitolo, ma è anche sede di un cosiddetto «lavoro domestico» sempre pagato al di sotto del minimo. «Uno spettacolo orribile si è svolto ieri in una parte della metropoli. Benché le migliaia di disoccupati dell’East End che recavano bandiere nere di lutto non sfilassero in massa, la fiumana di uomini era sempre abbastanza imponente. Ricordiamoci quello che soffre questa popolazione. Essa muore di fame. Questo è il dato di fatto semplice e terribile. Sono in 40.000... Alla nostra presenza, in un quartiere di questa meravigliosa metropoli, nelle vicinanze immediate dell’accumulazione più enorme di ricchezza che il mondo abbia mai veduto, in queste vicinanze immediate 4 persone che muoiono di fame senza alcun aiuto! Queste migliaia irrompono ora negli altri quartieri; essi, che sono mezzo morti di fame in tutti i tempi, ci fan sentire con le nostre orecchie il grido delle loro sofferenze, le gridano al cielo, ci raccontano delle loro abitazioni colpite dalla miseria, che è impossibile per loro trovare lavoro e inutile mendicare. Coloro che sono soggetti alla tassa per i poveri del luogo sono essi stessi spinti sull’orlo del pauperismo dalle esigenze delle parrocchie» (Standard, 5 aprile 1866).

Siccome fra i capitalisti inglesi è di moda descrivere il Belgio come paradiso dell’operaio, perché colà «la libertà del lavoro» o, il che è la stessa cosa, «la libertà del capitale», non è atrofizzata né dal dispotismo delle Trades Unions né da leggi sulle fabbriche, diremo qui solo poche parole sulla «felicità» dell’operaio belga Certamente nessuno era più iniziato ai misteri di questa felicità del defunto signor Ducpétiaux, ispettore generale delle carceri e degli istituti di beneficenza belgi, e membro della commissione centrale delle statistiche belghe. Prendiamo la sua opera: Budgets économiques des classes ouvrières eri Belgique, Bruxelles, 1855. Vi troviamo fra l’altro una famiglia operaia belga normale, le cui spese ed entrare annue sono calcolate secondo dati molto esatti, e le cui condizioni alimentari sono poi messe a raffronto con quelle del soldato, del marinaio della flotta militare e del carcerato. La famiglia «è composta di padre, madre e quattro figli». Di queste sei persone «quattro possono essere occupate utilmente per tutto l’anno»; si presuppone «che fra di esse non vi siano né persone malate né persone incapaci al lavoro», «né vi siano spese per fini religiosi, morali e intellettuali eccettuato pochissimo per i posti in chiesa», né «contributi alle casse di risparmio o casse di previdenza», né vi siano «spese di lusso o altre spese superflue». Ma padre e figlio maggiore devono essere autorizzati a fumare tabacco e ad andare all’osteria di domenica, spese per le quali sono preventivati ben 86 centesimi alla settimana Dal quadro complessivo dei salari consentiti agli operai dei diversi rami d’industria consegue... che la media più elevata del salario giornaliero ammonta: a i franco e 56 centesimi per gli uomini, 89 centesimi per le donne, 56 centesimi per i ragazzi e 55 centesimi per le ragazze. Calcolate su questa base le entrate della famiglia ammonterebbero annualmente tutt’al più a 1068 franchi... Nella famiglia considerata tipica abbiamo sommato tutte le entrate possibili. Ma se calcoliamo un salario per la madre, sottraiamo con ciò la casa alla sua direzione; chi ha cura della casa, dei bambini piccoli? Chi dovrebbe cucinare, lavare, rammendare? Questo dilemma si presenta agli operai ogni giorno».

Il bilancio della famiglia risulta di conseguenza:

 giornate lavorative  
 fr. per giornata    
  totale fr.
il padre
   300   
 1,56  
  468
la madre  
  300  
 0,89
  267
il ragazzo  
300
   0,56   
 168
la ragazza
  300   
   0,55  
   165
totale
 1068

La spesa annua della famiglia e il suo deficit ammonterebbero, qualora l’operaio avesse il nutrimento:

   a fr.  
  deficit fr.
del marinaio della flotta militare
    1828    
760
del soldato  
1473
 405
del carcerato
 1112
   44

«Si vede che poche famiglie operaie possono procacciarsi il nutrimento, non parliamo del marinaio o del soldato, ma neanche del carcerato. In inedia ogni carcerato del 1847/49 è costato in Belgio 63 centesimi al giorno, il che a raffronto con le spese giornaliere di mantenimento dell’operaio costituisce una differenza di 13 centesimi. Le spese di amministrazione e di sorveglianza si compensano invece in quanto il carcerato non paga pigione... Ma come avviene che un grande numero, potremmo dire la grande maggioranza degli operai, vive in condizioni ancora più parsimoniose? Solo ricorrendo a rimedi estremi di cui l’operaio soltanto detiene il segreto; riducendo la razione giornaliera, mangiando pane di segala invece che di grano, mangiando meno carne o non mangiandone affatto; altrettanto per il burro e i condimenti; comprimendo la famiglia entro una o due camere in cui ragazze e ragazzi dormono insieme, spesso sullo stesso pagliericcio; economizzando sul vestiario, sulla biancheria, sui mezzi di pulizia; rinunciando ai divertimenti domenicali, in breve adattandosi alle privazioni più dolorose. Una volta giunti a questo limite estremo, il minimo aumento del prezzo dei mezzi di sussistenza, un ristagno del lavoro, una malattia, aumentano la miseria dell’operaio e lo rovinano completamente.. I debiti si accumulano, il credito viene negato, i vestiti, i. mobili più necessari emigrano al monte di pietà, e infine la famiglia chiede di essere iscritta nella lista dei poveri»137. Effettivamente in questo «paradiso dei capitalisti» al minimo aumento di prezzo dei mezzi di sussistenza più necessari segue una variazione del numero dei casi di morte e dei delitti! (Vedi manifesto della Maatschappij: De Vlamingen Vooruit!, (Associazione Avanti Fiamminghi!) Bruxelles, 1860, pp. 15, 16). Tutto il Belgio conta 930.000 famiglie di cui, secondo le statistiche ufficiali: 90.000 ricche (elettori) = 450.000 persone; 390.000 famiglie della piccola classe media, in città e nei villaggi, di cui una gran parte precipita costantemente nel proletariato, = 1.950.000 persone. Infine 450.000 famiglie operaie 2.250.000 persone, fra le quali le famiglie modello godono la felicità descritta da Ducpétiaux. Fra le 450.000 famiglie operaie più di 200.000 sono nella lista dei poveri!

e) Il proletariato agricolo della Gran Bretagna.

Il carattere antagonistico della produzione e accumulazione capitalistica non si svela in nessun luogo in modo più brutale che nel progresso della agricoltura inglese (compreso l’allevamento del bestiame) è nel regresso dell’operaio agricolo inglese. Prima di passare alla sua situazione attuale, un rapido sguardo retrospettivo. L’agricoltura moderna risale in Inghilterra alla metà del secolo XVIII, benché il rivolgimento dei rapporti della proprietà fondiaria, dal quale parte il cambiamento del modo di produzione, sia di data molto anteriore.

Se prendiamo le notizie di Arthur Young, osservatore preciso benché pensatore superficiale, sull’operaio agricolo del 1771, quest’ultimo rappresenta una parte molto misera a paragone del suo predecessore della fine del secolo XIV, «allorchè egli poteva vivere nell’abbondanza e accumulare una ricchezza»138 per non parlare del secolo XV, «l’età dell’oro degli operai inglesi in città e nelle campagne». Ma non abbiamo bisogno di risalire tanto addietro.

In uno scritto pieno di notizie e materiali del 1777 si legge: «Il grande fittavolo si è quasi elevato al rango di un gentleman, mentre il povero operaio agricolo è quasi gettato a terra... La sua situazione infelice si manifesta chiaramente con uno sguardo comparativo alle sue condizioni di oggi e di 40 anni prima... Proprietario fondiario e fittavolo collaborano in pieno nell’oppressione dell’operaio»139. Viene comprovato poi nei particolari che dal 1737 al 1777 il salario reale è sceso nelle campagne di quasi un quarto ossia del venticinque per cento. «La politica moderna», dice allo stesso tempo il dott. Richard Price, «favorisce le classi superiori della popolazione; conseguenza ne sarà che presto o tardi tutto il regno sarà composto solo di gentlemen e di mendicanti, di grandi e di schiavi»140.

Pur tuttavia la situazione dell’operaio agricolo inglese negli anni dal 1770 al 1780, sia per le sue condizioni alimentari e di alloggio, sia per la sua coscienza di se stesso, i divertimenti ecc., costituisce un ideale mai più raggiunto in seguito. Espresso in pinte di grano, il suo salario medio ammontava dal 1770 al 1771 a 90 pinte, all’epoca di Eden (1797) a sole 65, e nel 1808 a 60141.

Lo stato degli operai agricoli alla fine della guerra antigiacobina durante la quale nobili terrieri, fittavoli, fabbricanti, commercianti, banchieri, avventurieri di Borsa, fornitori dell’esercito ecc. si erano arricchiti così straordinariamente, è stato accennato già prima. Il salario nominale aumentò in parte in seguito al deprezzamento delle banconote, in parte in seguito a un aumento, indipendente da quest’ultimo, nel prezzo dei primi mezzi di sussistenza. Il reale movimento dei salari si può però constatare in maniera molto semplice senza ricorrere a particolari che qui sarebbero fuori posto. La legge sui poveri e la sua amministrazione erano le stesse nel 1795 e nel 1814. Si ricorderà come questa legge venisse maneggiata in campagna: sotto forma di elemosina la parrocchia integrava il salario nominale fino alla somma minima richiesta per la pura e semplice vegetazione dell’operaio. La proporzione fra il salario pagato dal fittavolo e il deficit salariale compensato dalla parrocchia ci indica due cose; primo, quanto il salario si sia abbassato al di sotto del suo minimo; secondo, in che grado l’operaio agricolo è composto di operaio salariato e di povero, ossia il grado in cui lo si è trasformato in servo della gleba della sua parrocchia. Sceglieremo una contea che rappresenta la proporzione media di tutte le altre contee. Nel 1795 il salario settimanale medio ammontava nel Northamptonshire a sette scellini, sei pence, la spera complessiva annua di una famiglia di sei persone ammontava a trentasei sterline, dodici scellini, cinque pence, le sue entrate complessive erano di ventinove sterline e diciotto scellini; il deficit compensato dalla parrocchia era di sei sterline, quattordici scellini e cinque pence. Nella medesima contea, nel 1814, il salario settimanale era di dodici scellini e due pence, la spesa complessiva annua di una famiglia di cinque persone era di cinquanta quattro sterline, diciotto scellini, quattro pence, le sue entrate complessive erano di trentasei sterline e due scellini, il deficit compensato dalla parrocchia era di diciotto sterline, sei scellini e quattro pence142. Nel 1795 il deficit ammontava a meno di un quarto del salario, nel 1814 a più della metà. Va da sé che in queste condizioni le modeste comodità che Eden ancora trovava nel cottage dell’operaio agricolo erano scomparse nel 1814143. Da quel momento in poi fra tutti gli animali che tiene il fittavolo, l’operaio, l’instrumentum vocale, rimase l’animale più tormentato, peggio nutrito e trattato nella maniera più brutale.

Questo stesso stato di cose perdurò tranquillamente finché «le insurrezioni Swing (così dette dalla firma fittizia di Capitano Swing [ Capitan Forca] e, della lettera che circolava allora: quest’sano distruggiamo i covoni, l’anno prossimo i preti, il terzo i governanti. Si incendiavano anche le trebbiatrici.) del 1830 non ci (ossia alle classi dominanti) rivelarono alla luce dei falò dei covoni di grano, che la miseria e un oscuro e ribelle malcontento serpeggiavano e ardevano violenti tanto sotto la superficie dell’Inghilterra agricola quanto sotto quella dell’Inghilterra industriale»144. Il Sadler battezzò allora alla Camera dei Comuni gli operai agricoli «schiavi bianchi» (white slaves), un vescovo fece riecheggiare l’epiteto alla Camera dei Lord. Il più importante economista politico di quel periodo, E. G. Wakefield, dice: «L’operaio agricolo dell’Inghilterra meridionale non è uno schiavo, non è un uomo libero, è un pauper»145.

Il periodo immediatamente precedente all’abolizione delle leggi sul grano gettò nuova luce sulla situazione degli operai agricoli. Da un lato era nell’interesse degli agitatori borghesi comprovare quanto fosse esigua la protezione che quelle leggi protettive accordavano al vero produttore di grano. Dall’altro la borghesia industriale s’impennò infuriata per le denunce delle condizioni nelle fabbriche da parte dei nobili terrieri, per la smancerosa simpatia di quei distinti oziosi, corrotti fino alle midolla e privi di cuore, verso le sofferenze dell’operaio di fabbrica, e per il loro «zelo diplomatico» per la legislazione sulle fabbriche. Un antico proverbio inglese dice che, ogni volta che due ladri si prendono per i capelli, ne viene sempre qualche cosa di utile. E infatti la rissa rumorosa e appassionata fra le due frazioni della classe dominante sul problema: quale delle due sfruttasse l’operaio nella maniera più spudorata, divenne levatrice della verità da una parte e dall’altra. Il conte Shaftesbury, alias Lord Ashley, fu all’avanguardia della campagna filantropica condotta dall’aristocrazia contro la fabbrica. Egli costituisce perciò dal 1844 al 1845 uno dei temi preferiti nelle rivelazioni del Morning Chronicle sulle condizioni degli operai agricoli. Quel giornale, che allora era l’organo liberale più importante, mandava nei distretti agricoli suoi propri commissari, i quali non si accontentavano affatto di una descrizione e statistica generale, ma pubblicavano i nomi sia delle famiglie operaie esaminate sia dei loro proprietari fondiari. La lista sottoriportata dà i salari pagati in tre villaggi nelle vicinanze di Blanford, Wimbourne e Poole. I villaggi sono proprietà del sig. G. Bankes e del conte di Shaftesbury. Si noterà come papa della «low church» («Chiesa bassa»: movimento entro la Chiesa Anglicana, contrapposto alla High Church, «chiesa alta». Il movimento della chiesa bassa propugnava maggiore aderenza al protestantesimo quanto alla dottrina, maggiore «democrazia» nella amministrazione e nella predicazione.) questo capo dei pietisti inglesi, torni a intascare, sotto il pretesto della pigione della casa, una parte rilevante dei salari infami degli operai, allo stesso modo del p. p. Bankes.

Primo villaggio

bambini numero dei membri di famiglia salario settimanale degli uomini  salario settimanale dei bambini entrate settimanali di tutta la famiglia  affitto settimanale salario settim. complessivo detratto l'affitto salario settiman. a testa
a     b     c d   e    f      g      h
2   4    8   8 sc      2 sc  6 sc      1 sc e 6 p
 5      8 sc  1 sc e 6 p  6 sc e 6 p    1 sc e 3 ½ p
2  4    8   8 sc  1 sc     7 sc     1 sc e 9 p
2   8    8 sc    1 sc       7 sc  1 sc e 9 p
6  8        7  1-1 sc e 6 p  10 sc e 6 p    2 sc     8sc e 6 p   1 sc e ¾ p
3  5    7    1-2 sc  7 sc   1sc e 4 p  5 sc e 8 p        1 sc e 1½ p

 

 Secondo villaggio   

a
bambini

numero dei

membri di famiglia

salario settimanale

degli uomini

salario settimanale

dei bambini

entrate settimanali

di tutta la famiglia

affitto

settimanale

salario

settimanale

detratto l'affitto

sSalario settimanale a testa
a  b       c   d       e   f   g  h
6  8   7   1-1 sc e 6p 10 sc  1 sc e 6 p   8 sc e 6 p          1 sc e ¾ p
6     8           7   1-1 sc e 6p    7 sc      1 sc 3 ½ p    5 sc 8 ½ p         8 ½ p
8 10        7     7 sc   1 sc 3 ½ p    5 sc 8 ½ p    7 p
4    6     7        7 sc   1 sc 6 ½ p  5 sc 5 ½ p    11 p 
3   5   7  7 sc   1 sc 6 ½ p  5 sc 5 ½ p      1 sc 1 p

                                                                                                                    

terzo villaggio

bambini

numero dei membri

di famiglia

salario settimanale

degli uomini

salario settimanale

dei bambini

entrate settimanali

di tutta la famiglia

affitto

settimanale

salario sett. compl.

detratto l'affitto

salario

settimanale

a testa

a    b   c   d  e   f  g    h
4   6   7              7 sc    1 sc   6 sc   1 sc
3    5   7     1 -2 sc  11 sc e 6p    10 p 10 sc e 8 p 2 e 1½ p
0  2     5  1 – 2 e 6 p 5 sc  1 sc  4 sc  2 sc          146
 salario set                                                                                                                                     

L’abolizione delle leggi sul grano diede un enorme impulso all’agricoltura inglese. Drenaggi su scala larghissima147, nuovi sistemi per il foraggiamento nella stalla e per la coltivazione delle erbe artificiali da foraggio, introduzione di apparecchi meccanici per la concimazione, nuovo trattamento dell’argilla, aumento dell’uso di con cimi minerali, applicazione della macchina a vapore e di ogni specie di nuovo macchinario da lavoro ecc. e in generale l’intensificazione della coltivazione, costituiscono i tratti caratteristici di quest’epoca. Il presidente della Società reale d’agricoltura, signor Pusey, afferma che le spese d’esercizio (relative) sono state diminuite quasi di metà in virtù del macchinario di nuova introduzione. D’altra parte il reddito reale del suolo venne aumentato rapidamente. Condizione fondamentale del nuovo metodo148 era un maggiore esborso di capitale per acro, quindi anche una concentrazione accelerata dei fitti. Allo stesso tempo negli anni fra il 1846 e il 1856 l’area coltivata si estese di 464.119 acri, per non parlare delle vaste superfici delle contee orientali trasformate per incanto da conigliaie e da magri pascoli in ubertosi campi di grano. Sappiamo già che allo stesso tempo diminuì il numero complessivo delle persone occupate nell’agricoltura. Quanto agli agricoltori veri e propri di entrambi i sessi e di tutte le età, il loro numero scese nel 1861149 a 1.163.217 da 1.241.269 che erano stati nel 1851. Se quindi l’ufficio anagrafico generale inglese osserva a ragione: «L’aumento dei fittavoli e degli operai agricoli a partire dal 1801 non è assolutamente proporzionato all’aumento del prodotto agricolo»150, tale sproporzione sussiste anche, e più forte, per quest’ultimo periodo, in cui la diminuzione positiva della popolazione operaia rurale procedette di pari passo con l’estensione dell’area coltivata, con la intensificazione delle colture, con un’accumulazione inaudita del capitale incorporato al suolo e dedicato alla sua lavorazione, con un aumento del prodotto del suolo che è senza paralleli nella storia dell’agronomia inglese, con le ricchissime rendite dei proprietari fondiari e la turgida ricchezza dei fittavoli capitalistici. Sommando tutto questo con l’ininterrotto e rapido ampliamento del mercato di smercio delle città e con il dominio del libero scambio, l’operaio agricolo post tot discrimina rerum (dopo tante rischiose e alterne vicende. Per tot discrimina rerum, Virgilio, Eneide, I, 204) era infine posto in condizioni che secundum artem (Secondo le regole dell’arte.) avrebbero dovuto renderlo pazzo di felicità.

Il professor Rogers invece giunge al risultato che l’operaio agricolo inglese di oggi, per non parlare del suo predecessore della seconda metà del secolo XIV e del XV, ma semplicemente a paragone del suo predecessore del periodo 1770 -1780, ha peggiorato straordinariamente la propria situazione; che «è ridiventato un servo della gleba» e precisamente un servo della gleba mal nutrito e male alloggiato151. Il dott. Julian Hunter dice in quella sua relazione sugli alloggi degli operai agricoli che ha fatto epoca: «Le spese di sussistenza dello hind (nome dell’operaio agricolo che risale all’epoca della servitù della gleba) sono fissate alla somma più bassa possibile che gli per metta di vivere.., il suo salario e alloggio non sono calcolati in base al profitto che da lui si conta di ottenere. Egli è eguale a zero nei calcoli del fittavolo152... I suoi mezzi di sussistenza sono sempre trattati come quantità fissa»153. «Quanto a una qualsiasi riduzione ulteriore delle sue entrate, egli può dire: nihil habeo, nihil curo (Nulla possiedo e di nulla mi preoccupo.)

Non ha timori per l’avvenire perché non dispone di nulla all’infuori di quanto è assolutamente indispensabile per la sua esistenza: è arrivato a quel punto zero, dal quale partono i calcoli del fittavolo. Accada quel che vuole, egli non ha parte alcuna né a fortune né a disgrazie»154.

Nell’anno 1863 ebbe luogo un’inchiesta ufficiale sulle condizioni di vitto e di lavoro dei criminali condannati alla deportazione e ai lavori pubblici forzati. I risultati sono esposti in due voluminosi libri azzurri. «Un accurato raffronto», vi è detto fra l’altro, «fra la dieta dei criminali nelle carceri inglesi e quella dei paupers nelle workhouses e dei liberi operai agricoli inglesi rivela incontestabilmente che i primi sono nutriti molto meglio di una delle altre due classi»155, mentre «la massa di lavoro richiesta da un condannato ai lavori pubblici forzati costituisce circa la metà del lavoro eseguito dall’operaio agricolo comune»156. Ecco qualche caratteristica deposizione di testimoni: John Smith, direttore del carcere di Edimburgo, depone,

N. 5056: «La dieta delle carceri inglesi è molto migliore di quella dell’operaio agricolo comune».

N. 5075: «È un dato di fatto che gli operai agricoli comuni della Scozia ricevono molto di rado carne di qualche genere».

N. 3047: «Le consta una qualche ragione per nutrire i criminali molto meglio (much better) degli operai agricoli comuni? — No, di certo».

N. 3048: «Ritiene opportuno fare altri esperimenti per avvicinare la dieta dei carcerati condannati ai lavori forzati a quella dei liberi operai agricoli?»157, «L’operaio agricolo», è scritto, «potrebbe dire: io lavoro duramente e non ho da mangiare a sufficienza. Quando ero in carcere non lavoravo così duramente e avevo da mangiare in abbondanza, e perciò è meglio per me trovarmi in carcere che in libertà»158. Ecco un quadro riassuntivo comparato in base alle tabelle annesse al primo volume della relazione.

Ammontare del nutrimento settimanale 158a

 elementi contenenti azoto
 elementi privi di azoto
  elementi minerali
somma complessiva
 
  once  
 once  
  once    
once
criminale nel carcere di Portland
 28,95  
 150,06
4,68
183,69
  marinaio della flotta reale  
 29,63   
 152,91   
4,52
187,06
soldato
25,55  
 114,49  
3,94  
143,98
carrozziere (operaio)
24,53  
 162,06
4,23
190,82
tipografo
21,24
 100,83
3,12
125,19
   operaio agricolo  
17,73
 118,06
3,29  
 139,08

                                                                                      

Il risultato generale della commissione medica d’inchiesta del 1863 sulle condizioni alimentari delle classi peggio nutrite della popolazione è già noto al lettore. Egli ricorderà che la dieta di una gran parte delle famiglie operaie agricole sta al di sotto della misura minima «per la protezione dalle malattie da inedia». Questo vale in modo particolare per tutti i distretti puramente agricoli della Cornovaglia, di Devon, di Somerset, di Wilts, di Stafford, di Oxford, di Berks e di Herts. «Il nutrimento che riceve l’operaio agricolo», dice il dott. Smith, «è maggiore di quanto indichi la quantità media, giacchè egli riceve personalmente una parte dei mezzi di sussistenza indispensabili per il suo lavoro, molto maggiore di quanto abbiano tutti gli altri membri della sua famiglia; nei distretti più poveri egli riceve quasi tutta la carne o il lardo. La quantità di nutrimento che tocca alla moglie e così pure ai bambini nel periodo di rapida crescita è scarsa e in molti casi, e precisamente in quasi tutte le contee, è povera principalmente di azoto»159, I servi e le serve che abitano in casa del fittavolo sono nutriti con abbondanza. Il loro numero è sceso da 288.277 nell’anno 1851 a 204.962 nel 1861. «Il lavoro delle donne nei campi», dice il dott. Smith, «per quanto accompagnato da altri svantaggi, è nelle condizioni attuali di grande vantaggio per la famiglia, poiché fornisce a questa i mezzi per le scarpe, il vestiario, il pagamento dell’affitto di casa, e in tal modo le dà la possibilità di mangiare meglio160. Uno dei risultati più notevoli di questa in chiesta è stata la constatazione che l’operaio agricolo inglese è di gran lunga il peggio nutrito nei confronti delle altre parti del Regno Unito («is considerably the worst fed»), come mostra la tabella.

Consumo settimanale di carbonio e azoto da parte dell’operaio agricolo medio161

 carbonio
azoto
 grains 
grains  
Inghilterra
40.673
1.594
Galles
 48.354
 2.031
Scozia
 48.980    
  2.348
Irlanda       
43.366
2.434

                                  

"Ogni pagina della relazione del dott. Hunter», dice il dottor Simon nella sua relazione ufficiale sulle condizioni sanitarie, «attesta quanto sia insufficiente la quantità e misera la qualità dell’alloggio del nostro operaio agricolo. E da molti anni le sue condizioni a questo riguardo sono peggiorate progressivamente. Ora è molto più difficile per lui trovare alloggio e, quando l’ha trovato, è molto meno rispondente ai suoi bisogni di quanto accadeva probabilmente da secoli. In particolare negli ultimi 30 o 20 anni questo male sta aumentando rapidamente, e le condizioni d’abitazione dell’operaio agricolo sono ora sommamente lamentevoli. L’operaio agricolo non ha alcuna possibilità di provvedere se non in quanto coloro che il suo lavoro arricchisce ritengano che valga la pena di trattarlo con una specie di compassionevole indulgenza. Che egli trovi o non trovi alloggio sulla terra che coltiva, che questo sia adatto a uomo o a bestia, che abbia un piccolo orto che tanto allevia il peso della povertà, tutto ciò non dipende dal fatto che l’operaio agricolo sia deciso o capace di pagare un affitto adeguato, ma dall’uso che altri si compiacciono di fare del “diritto di disporre della loro proprietà come vogliono “. Una tenuta in affitto può essere grande quanto si voglia, non esiste alcuna legge per la quale in essa debba trovarsi un certo numero di alloggi per gli operai e meno ancora che debbano essere decenti; allo tesso modo la legge non riserva all’operaio il benché minimo diritto al suolo per il quale il suo lavoro è altrettanto necessario della pioggia e del sole.. Un’altra ben nota circostanza getta tutto il suo peso sulla bilancia a suo sfavore.., l’influenza della legge sui poveri con le sue disposizioni circa il domicilio e la tassazione per i poveri162. Sotto la sua influenza ogni parrocchia ha un interesse economico a limitare al minimo il numero dei propri operai agricoli residenti; poiché sciaguratamente il lavoro agricolo, invece di garantire al l’operaio che sgobba duramente e alla sua famiglia un’indipendenza sicura e permanente, conduce per lo più soltanto al pauperismo attraverso un giro più o meno lungo: a un pauperismo che per tutto il giro è così prossimo, che ogni malattia o una qualsiasi disoccupazione transitoria rende necessario il ricorso all’aiuto della parrocchia; e quindi ogni residenza di una popolazione agricola è nella parrocchia evidentemente un aumento alla sua tassa dei poveri... I grandi proprietari fondiari163 non hanno che da deliberare che nei loro fondi non debbano esservi alloggi operai, e si liberano immediatamente di metà della loro responsabilità per i miserabili. Fino a che punto fosse intenzione della costituzione e delle leggi inglesi che si potesse giungere a questa specie di proprietà fondiaria incondizionata che autorizza un landlord, il quale “ della sua proprietà fa quello che vuole “, a trattare i coltivatori della terra come stranieri e a cacciarli dal suo territorio, è un problema che non mi arrogo di discutere... Questo potere di sfratto non è una semplice teoria. Esso viene fatto valere in pratica su scala larghissima. È una delle circostanze che domi nano le condizioni d’alloggio dell’operaio agricolo... L’estensione di questo male può esser giudicata dall’ultimo censimento, secondo il quale la demolizione di case, malgrado l’aumento della domanda locale, è aumentata durante gli ultimi dieci anni in 821 distretti inglesi, cosicché, fatta astrazione dalle persone costrette a diventare non resi denti (cioè non residenti nella parrocchia in cui lavorano), nel 1861 a paragone del 1851 una popolazione accresciuta del cinque e un terzo per cento fu pigiata in uno spazio d’abitazione diminuito del quattro e mezzo per cento... Appena il processo di spopolamento ha raggiunto il suo fine, il risultato è, dice il dottor Hunter, un villaggio di parata (show-village), in cui i cottages sono ridotti a pochi e in cui non possono vivere che i pastori di pecore, i giardinieri o i guardiacaccia, servitori regolari che dai loro benevoli signori ricevono il buon trattamento d’uso per la loro classe164. Ma la terra ha bisogno di essere coltivata, e si troverà che gli operai occupati in questo lavoro non sono inquilini del proprietario fondiario, ma provengono da un villaggio aperto, distante forse tre miglia, dove sono stati accolti da numerosi piccoli proprietari di case dopo che i loro cottages dei villaggi chiusi erano stati demoliti. Dove si ha la tendenza a questo risultato, per lo più i cottages attestano con il loro misero aspetto la sorte cui sono condannati. Si trovano negli stadi diversi della rovina naturale. Finché il tetto regge, l’operaio è autorizzato a pagarne l’affitto, e spesso egli è lietissimo di poterlo fare, anche se deve pagare il prezzo di un’abitazione buona. Ma nessuna riparazione, nessuna aggiustatura all’infuori di quelle che può sostenere l’inquilino, che è senza un soldo. Quando alla fine la casa è del tutto inabitabile, non si tratta che di un cottage demolito in più e di altrettanta tassa per poveri da pagarsi in meno in futuro.

Mentre in tal modo i grandi proprietari si scrollano di dosso la tassa per i poveri spopolando le terre da loro controllate, la cittadina rurale più vicina o la più vicina località aperta accolgono gli operai estromessi; dico la più vicina, ma questa “più vicina” può anche essere a tre o quattro miglia dal fondo nel quale l’operaio deve sgobbare giorno per giorno. Così alla sua giornata di lavoro viene aggiunta, come se nulla fosse, la necessità di una marcia quotidiana di sei od otto miglia che gli dia modo di guadagnarsi il pane quotidiano. E ora anche il lavoro agricolo compiuto dalla moglie e dai figli si svolge nelle stesse circostanze che aggravano le difficoltà. E non è questo tutto il male che viene causato all’operaio dalla distanza. Nella località aperta, speculatori dell’edilizia acquistano pezzetti di terreno che seminano il più densamente possibile di spelonche, le meno costose possibili. E in questi alloggi miserabili che perfino dando sull’aperta campagna condividono i più mostruosi tratti caratteristici delle peggiori abitazioni in città, si rannicchiano gli operai agricoli inglesi...165. D’altra parte non bisogna immaginarsi che l’operaio alloggiato sul terreno che coltiva trovi un alloggio come merita la sua vita di produttiva industriosità. Perfino nei fondi più principeschi il suo cottage è spesso del tipo più misero. Vi sono dei landlords che considerano una stalla alloggio sufficientemente buono per i loro operai e famiglie, e che ciò nonostante non disdegnano di ricavare dall’affitto quanto più denaro è possibile166. Che si tratti anche semplicemente di una capanna cadente con una sola stanza da letto, senza focolare, senza cesso, senza finestre apribili, senza fornitura d’acqua che non sia quella del fossato, senza orto, l’operaio non ha alcuna possibilità di difendersi contro l’ingiustizia. E le nostre leggi sulla sanità pubblica (The Nuisances Removal Acts) sono lettera morta. La loro esecuzione è, appunto, affidata ai proprietari che affittano buchi del genere...

Non ci si deve lasciar abbagliare da scene eccezionalmente più luminose e non si deve dimenticare la soffocante preponderanza di fatti che costituiscono un’ignominia della civiltà inglese. Orrendo dev’essere infatti lo stato delle cose se, malgrado l’evidente mostruosità degli alloggi attuali, osservatori competenti giungono unanimemente alla conclusione che la stessa generale indegnità delle abitazioni è ancor sempre un male infinitamente meno opprimente della loro semplice deficienza numerica. Da anni il sovraffollamento delle abitazioni degli operai agricoli è stato oggetto di profondo rammarico non solo per l persone che tengono alla salute, ma per tutti coloro che tengono a una vita decente e morale. Infatti i relatori ritornano sempre, e con espressioni così uniformi da sembrar stereotipate, quando parlano della diffusione delle malattie epidemiche nei distretti rurali, a denunziare l’eccessivo affollamento delle case come causa che annienta ogni tentativo di arrestare il diffondersi dell’epidemia una volta che sia scoppiata. E a più riprese è stato provato che, mal grado i molti effetti salubri della vita rurale, l’agglomerazione che tanto accelera la diffusione di malattie contagiose favorisce anche il sorgere di malattie non contagiose. E le persone che hanno denunciato questo stato di cose non hanno taciuto su altri guai. Perfino là dove in origine l’argomento riguardava soltanto l’igiene, sono state quasi costrette a trattare altri aspetti del tema. Nel dimostrare come spesso persone adulte di ambo i sessi, sposate e non sposate, vengano buttate l’una addosso all’altra (huddled) in strette stanze da letto, le loro relazioni non potevano fare a meno di destare la convinzione che nelle condizioni descritte il senso del pudore e della decenza venisse leso nella maniera più grossolana e che ogni moralità venisse quasi ineluttabilmente rovinata...167. Per esempio, nella sua relazione in appendice alla mia ultima relazione, il dott. Ord, parlando delle febbri scoppiate a Wing nel Buckinghamshire, ricorda come a Wing fosse giunto un giovane da Wingrave, affetto da febbre.

Nei primi giorni della sua malattia dormi in una stanza assieme ad altre nove persone Nel corso di due settimane furono infettate diverse persone, e entro poche settimane cinque delle nove persone presero la febbre, e una morì! Allo stesso tempo il dottor Harvey dell’Ospedale di San Giorgio, che visitò Wing durante l’epidemia per faccende della sua pratica privata, mi riferì nello stesso senso: «Una giovane donna, malata di febbre, dormiva di notte in una stessa stanza col padre, la madre, il proprio figlio bastardo, due giovani (suoi fratelli), e con le sue due sorelle, ognuna con un figlio bastardo; in tutto dieci persone. Poche settimane prima in quella stessa stanza dormivano tredici bambini »168.

Il dott. Hunter visitò 5.375 cottages di operai agricoli, non soltanto nei distretti puramente agricoli, ma in tutte le contee inglesi. Fra questi 5.375 cottages 2.195 avevano una sola stanza da letto (spesso usata anche come stanza di soggiorno); 2.930 ne avevano solo 2 e 250 ne avevano più di 2. Ecco un breve fiorilegio per una dozzina di contee.

1. Bedfordshire.

Wrestlingworth: stanza da letto lunga dodici piedi e larga dieci all’incirca, benché molte siano più piccole. La piccola capanna a un piano viene spesso divisa, con un assito, in due stanze da letto, spesso c’è un letto in una cucina alta cinque piedi e sei pollici. Canone d’affitto tre sterline. Gli inquilini devono costruirsi i cessi, il proprietario della casa fornisce solo una fossa. Tutte le volte che qualcuno costruisce un cesso, questo viene usato da tutto il vicinato. Una casa detta dei Richardson era di una beltà impareggiabile. Le sue pareti di malta erano rigonfie come un vestito da signora al momento della genuflessione. Un’estremità del tetto era convessa, l’altra con cava, su quest’ultima si trovava per sventura un comignolo, cioè una canna di argilla e di legno simile alla proboscide di un elefante. Un lungo bastone serviva da appoggio per impedire la caduta del comignolo. Porta e finestre a forma romboidale. Fra le diciassette case visitate soltanto quattro avevano più di una stanza da letto, e queste erano pigiatissime. I cots (Capanna; anche giaciglio, covile.) a un posto da dormire albergavano tre adulti con tre bambini, una coppia sposata con sei bambini ecc.

Dunton: canoni d’affitto elevati, dalle quattro alle cinque sterline, salario settimanale degli uomini dieci scellini. Sperano di ricavare l’affitto facendo fare la treccia di paglia alla famiglia. Quanto più elevato è l’affitto, tanto maggiore il numero di coloro che devono unirsi per pagarlo. Sei adulti che stanno in una stanza da letto con quattro bambini, pagano tre sterline e dieci scellini. La casa più a buon mercato di Dunton, lunga all’esterno quindici piedi e larga dieci, viene affittata per tre sterline. Una sola casa delle quattordici visitate aveva due stanze da letto. Un po’ fuori del villaggio vi era una casa con le pareti esterne insudiciate dagli escrementi degli inquilini e con i cinque pollici inferiori della porta scomparsi, semplicemente per un processo di imputridimento; di sera al momento della chiusura vi si collocavano ingegnosamente dall’interno alcuni mattoni e si nascondeva il tutto con un pezzo di stuoia. Una mezza finestra assieme ai vetri e agli infissi se n’era andata dove finiscono tutte le cose terrene. In questo luogo, senza mobili, erano pigiati tre adulti e cinque bambini. Dunton non è peggiore del resto della Biggleswade Union.

2. Berkshire.

Beenham: nel giugno 1864 un uomo con moglie e quattro bambini abitava in un cot (cottage a un piano). Una delle figlie ritornò dal servizio con la scarlattina. Morì. Un bambino si ammalò e morì. La madre e un bambino soffrivano di tifo quando fu chiamato il dott. Hunter. Il padre e uno dei bambini dormivano altrove, ma la difficoltà di assicurare l’isolamento si rivelò nel fatto che la biancheria della famiglia colpita dalla febbre giaceva, in attesa del bucato, sulla sovraffollata piazza del mercato del misero villaggio. La pigione della casa di H. era di uno scellino alla settimana; la sua unica stanza da letto serviva per marito, moglie e sei figli. Una casa affittata a otto pence alla settimana, lunga quattordici piedi e sei pollici, larga sette piedi, aveva la cucina alta sei piedi; la stanza da letto senza finestra, senza caminetto, senza porta né apertura salvo quella sul corridoio, niente orto. Un uomo vi abitò poco tempo fa con due figlie adulte e con un figlio adolescente; padre e figlio dormivano sul letto, le ragazze nel corridoio. Tutte e due ebbero un bambino durante il tempo in cui la famiglia visse in quel luogo, ma una se ne andò alla workhouse per il parto e poi tornò a casa.

3. Buckinghamshire.

Trenta cottages — su mille acri di terra — contengono qui al l’incirca da centotrenta a centoquaranta persone. La parrocchia di Bradenbam comprende mille acri; aveva nel 1851 trentasei case e una popolazione di ottantaquattro uomini e cinquantaquattro donne. Questa diseguaglianza dei sessi fu sanata nel 1861, allorchè la popolazione fu di novantotto uomini e di ottantasette donne; un aumento di quattordici uomini e di trentatre donne in questi dieci anni. Nel frattempo il numero delle case era diminuito di uno.

Winslow:, una grande parte è ricostruita in un buono stile; la domanda di case sembra notevole, perché cots molto miseri vengono affittati a uno scellino e uno scellino e tre pence alla settimana.

Water Eaton: qui i proprietari, in vista della popolazione in aumento, hanno demolito circa il venti per cento delle case esistenti. Un povero operaio che doveva percorrere circa quattro miglia per andare al suo lavoro, alla domanda se non poteva trovare un cot più vicino, rispose: «No, si guarderanno maledettamente dall’accogliere un uomo che abbia una famiglia grande come la mia».

Tinker’s End, presso Winslow: una stanzetta da letto in cui abitano quattro adulti e cinque bambini, lunga undici piedi, larga nove e alta nel punto più elevato sei piedi e cinque pollici; un’altra lunga undici piedi e sette pollici, larga nove, alta cinque piedi e dieci pollici, ospitava sei persone. Ognuna di queste famiglie disponeva di uno spazio minore di quello necessario per un galeotto. Nessuna casa aveva più di una stanza da letto, nessuna una porta posteriore, acqua molto di rado. L’affitto andava a uno scellino e quattro pence a due scellini alla settimana. In sedici case visitate vi era un unico uomo che guadagnasse dieci scellini alla settimana. La riserva d’aria concessa a ogni persona nel caso accennato corrisponde a quanto gliene verrebbe se di notte fosse rinchiusa in una scatola di quattro piedi cubi. È vero però che queste vecchie capanne offrono molta ventilazione naturale.

4. Cambridgeshire.

Gamblingay appartiene a diversi proprietari. Contiene i cots più miserabili che si possano trovare. Si lavora molto alla treccia di paglia. Una fiacchezza mortale, un abbandono disperato alla sporcizia dominano Gamblingay. Quel che è trascuratezza nel suo centro diventa tortura alla periferia, a nord e a sud, dove le case imputridiscono a pezzo a pezzo. I landlords assenti dissanguano ben bene quel povero covo. Gli affitti sono altissimi; da otto a nove persone pigiate dentro una stanza destinata ad accoglierne una sola, in due casi sei adulti con uno o due bambini ognuno in una piccola stanza da letto.

5. Essex.

In questa contea, in molte parrocchie la diminuzione delle persone e quella dei cottages procedono di pari passo. In non meno di ventidue parrocchie tuttavia la distruzione delle case non ha arrestato l’aumento della popolazione, né ha causato quella espulsione che sotto il nome «migrazione nelle città» si verifica dappertutto.

A Fingringhoe, parrocchia di 3.443 acri, nel 1851 vi erano cento quarantacinque case, nel 1861 soltanto centodieci, ma la popolazione non volle andarsene e riuscì ad aumentare perfino con questo trattamento. A Ramsden Crags, nel 1851, duecentocinquanta persone abitavano sessantun case, ma nel 1861 duecentosessantadue persone si trovavano stipate in quarantanove case. A Basildon nel 1851 su 1.827 acri vivevano centocinquantasette persone in trentacinque case, alla fine del decennio centottanta persone vivevano in ventisette case. Nelle parrocchie di Fingringhoe, South Farnbridge, Widford, Basildon e Ramsden Crags vivevano nel 1851 su 8.449 acri 1.392 persone in trecentosedici case, nel 1861 sulla stessa area vivevano 1.473 persone in duecentoquarantanove case.

6. Herefordshire.

Questa piccola contea ha sofferto più di ogni altra in Inghilterra dello «spirito dello sfratto». A Nadby i cottages sovraffollati, per lo più con due stanze da letto, appartengono in gran parte ai fittavoli. Li affittano facilmente a tre o quattro sterline all’anno, e pagano salari settimanali di nove scellini!

7 . Huntingdonshire

Hartford aveva nel 1851 ottantasette case; poco dopo, in questa piccola parrocchia di 1.720 acri furono distrutti diciannove cottages; abitanti, nel 1831: 452 persone; nel 1851: 382 e nel 1861: 341. Furono visitati 14 cots da un posto. In uno abitava una coppia sposata, cori tre figli adulti, una ragazza adulta, quattro bambini, totale dieci, in un altro tre adulti, sei bambini Una di queste stanze in cui dormivano otto persone, era lunga dodici piedi e dieci pollici, larga dodici piedi e due pollici, alta sei piedi e nove pollici, la misura media, senza detrazione delle sporgenze, risultava di circa centotrenta piedi cubi a testa Nelle quattordici stanze da letto dormivano trentaquattro adulti e trentatre bambini. Questi cottages sono di rado muniti di un piccolo orto, ma molti degli inquilini potevano prendere in affitto piccoli pezzi di terreno, a dieci o dodici scellini il rood (un quarto di acro) Questi allotments si trovano a distanza dalle case sprovviste di cesso La famiglia e costretta o ad andare al proprio pezzetto di terreno a deporvi i propri escrementi o, come avviene qui, con rispetto parlando, a riempirne il cassetto di un cassettone. Appena è pieno viene tirato fuori e vuotato dove il suo contenuto si rende necessario. In Giappone il ciclo delle condizioni vitali si svolge in maniera più pulita.

8. Lincolnshire.,

Langtoft: un uomo abita qui nella casa di Wright con la moglie, con la madre di questa e cinque figli; la casa ha la cucina sul davanti, il lavatoio, la stanza da letto sopra la cucina; quest’ultima e la stanza da letto sono lunghe dodici piedi e due pollici, larghe nove piedi e cinque pollici, tutta la superficie ha una lunghezza di ventun piedi e tre pollici e una larghezza di nove piedi e cinque pollici. La stanza da letto è una soffitta. Le pareti convergono a pan di zucchero, e sul davanti si apre un abbaino. perché quell’uomo vi abitava? L’orto? Straordinariamente minuscolo. L’affitto? Elevato: uno scellino e tre pence alla settimana. Vicino al suo lavoro? No, perché era distante sei miglia, cosicché fra andata e ritorno l’operaio compiva giornalmente dodici miglia. Vi abitava perché era un cot affittabile, e perché voleva avere un cot solo per sé, in qualunque località si trovasse, a qualunque prezzo, in qualunque stato. Ecco i dati statistici per dodici case a Langtoft, con dodici stanze da letto, trentotto adulti e trentasei bambini.

12 case a Langtoft

2 12                         1                       2                      4                                6
n° case
 stanze da letto  
adulti
 bambini
 n° delle persone
1
1
 3
5
8
2
1
4
3
7
3
 1 
4
4
 8
4
1
 5
4
9
5
1
2
2
4
6
                              1                              
 5
3
8
7
                            1                             
3
3
6
8
                               1                                
3
2
 5
9
                            1                             
 2   
0
2
10
                             1                               
2
3
5
11
                             1                                
 3
3
6
12
1
2
4
6

 

9. Kent.

Kennington, tristissimamente sovraffollata nel 1859, quando apparve la difterite e il medico della parrocchia provocò un’indagine ufficiale sulle condizioni della classe più povera della popolazione. Egli aveva trovato che in questa località, dove c’è bisogno di molto lavoro, erano stati distrutti diversi cots e non ne erano stati costruiti dì nuovi. In un distretto vi erano quattro case, chiamate b i r d - c a g e s (gabbie da uccelli); ognuna di esse aveva quattro stanze delle seguenti dimensioni in piedi e pollici:

cucina 9,5 x 8,11 x 6,6
lavatoio 8,6 x 4,6 x 6,6
stanza da letto 8,5 x 5,10 x 6,3
stanza da letto 8,3 x 8,4 x 6,3

       

10. Northarnptonsliire.

Brinworth, Pickford e Floore: d’inverno, in questi villaggi da venti a trenta uomini ciondolano per le strade per mancanza di lavoro. I fittavoli non sempre coltivano sufficientemente la campagna a grano e a rape, e il landlord ha ritenuto opportuno unire tutte le sue affittanze i due o tre soltanto. Da ciò, mancanza di occupazione. Mentre da un lato del fosso i campi implorano lavoro, dall’altro i lavoratori truffati gettano ad essi sguardi ardenti di desiderio. Febbrilmente sovraccarichi di lavoro nell’estate e quasi morti di fame nell’inverno, non deve meravigliare che dicano nel loro dialetto che «the parson and gentlefolks seem frit to death at them» («prete e i nobili pare si sian dati parola per farli morire»).

A Floore, esempi di coppie con quattro, cinque, sei bambini in una stanza da letto in edizione ridottissima, idem tre adulti con cinque bambini, idem una coppia con il nonno e con sei bambini malati di scarlattina ecc.; in due case con due stanze da letto due famiglie rispettivamente di Otto e nove adulti.

11. Wiltshire.

Stratton: visitate trentun case: otto hanno una sola stanza da letto. Pentill nella stessa parrocchia: un cot, affittato a uno scellino e tre pence alla settimana a quattro adulti e quattro bambini, all’infuori di buone pareti non aveva nulla di buono, dal pavimento di pietra rozzamente scalpellata fino su al tetto di paglia marcescente.

12. Worcestershire.

La distruzione delle case qui non è così tremenda; pure, dal 1851 al 1861 gli inquilini aumentarono da quattro e due decimi a quattro e sei per ogni casa.

Badsey: qui si trovano molti cots e piccoli orti. Alcuni fittavoli definiscono i cots «a great nuisance here, because they bring the poor» (i cots sono un gran malanno perché attirano i poveri). Alle parole di un gentieman: «I poveri non per questo vengono a trovarsi meglio; se si costruiscono cinquecento cots, se ne vanno come il pane, effettivamente, quanti più se ne costruiscono, tanti più se ne rendono necessari» — secondo lui sono le case che producono gli inquilini i quali per legge di natura premono su «le possibilità di alloggio» — il dott. Hunter osserva: «Ebbene, questi poveri devono pur provenire da qualche parte, e siccome a Badsey non esistono attrattive particolari come elargizioni caritatevoli, dev’essere una repulsione per un luogo ancor più scomodo, a spingerli a Badsey. Se ognuno potesse trovare un cot e un pezzetto di terra vicino al proprio posto di lavoro, certo li preferirebbe a Badsey, dove per la sua manciatina di terra paga due volte tanto di quel che il fittavolo paga per la sua».

La costante emigrazione nelle città, il costante «metter in soprannumero» nelle campagne mediante la concentrazione delle affittanze, la trasformazione dei campi in pascoli, le macchine ecc., e la costante estromissione della popolazione rurale mediante la distruzione dei cottages procedono di pari passo. Quanto più spopolato è il distretto, tanto maggiore è la sua «sovrappopolazione relativa»; tanto maggiore la pressione esercitata da questa sui mezzi d’occupazione, tanto maggiore l’eccedenza assoluta della popolazione rurale sui propri mezzi d’alloggio, tanto maggiore quindi nei villaggi la sovrappopolazione locale e l’ammucchiamento pestilenziale di esseri umani. L’ispessimento del groviglio umano nei piccoli villaggi e borghi dispersi corrisponde allo spopolamento forzoso dell’aperta campagna. L’ininterrotto «metter in soprannumero» degli operai agricoli mal grado la diminuzione del loro numero, che è concomitante all’aumento della massa del loro prodotto, è la culla del loro pauperismo. Il possibile pauperismo degli operai agricoli è motivo della loro estromissione ed è anche la fonte principale delle loro miserabili condizioni d’abitazione, che spezzano l’ultima loro capacità di resistenza e li rendono semplici schiavi del padrone del fondo169 e del fittavolo, cosicché per essi il minimo del salario si consolida in legge naturale. D’altra parte la campagna, malgrado la sua costante «sovrappopolazione relativa», è anche sottopopolata. Questo fatto si manifesta non soltanto nei punti in cui il deflusso umano verso le città, le miniere, le costruzioni ferroviarie ecc. procede troppo rapidamente; ma si manifesta dappertutto sia all’epoca del raccolto sia di prima vera che d’estate, durante i numerosi momenti in cui l’agricoltura inglese molto accurata e intensiva abbisogna di braccia in più. Gli operai agricoli sono costantemente troppi per il fabbisogno medio e sempre troppo pochi per il fabbisogno eccezionale o temporaneo dell’agricoltura170. Perciò nei documenti ufficiali si trova registrata la contraddittoria lamentela delle stesse località per la mancanza di lavoro e per la sovrabbondanza di lavoro, allo stesso tempo. La mancanza di lavoro temporanea o locale non determina un aumento del salario, bensì costringe al lavoro agricolo donne e bambini, e preme perché Io sfruttamento cominci a un’età sempre più bassa. Appena lo sfruttamento delle donne e dei bambini s’estende a una sfera d’una certa entità, diventa a sua volta un mezzo per mettere in soprannumero l’operaio agricolo maschio e per tenere basso il suo salario. Nell’est dell’Inghilterra fiorisce un bel frutto di questo cercle vicieux, il cosiddetto gang-system (sistema della gang o della banda) sul quale mi fermerò qui in breve171.

Il sistema della gang si trova quasi esclusivamente nel Lincolnshire, Huntingdonshire, Cambridgeshire, Norfolk, Suffolk e Nottinghamshire, sporadicamente nelle contee vicine di Northampton, Bedford e Rutland. Come esempio servirà qui il Lincolnshire.

Gran parte di questa contea è nuova, costituita da antiche paludi e anche, come in altre fra le contee orientali menzionate, da terreno tolto al mare da poco tempo. La macchina a vapore ha fatto miracoli per il prosciugamento. Quello che prima era terreno paludoso e sabbioso presenta ora un ubertoso mare di grano e dà le rendite fondiarie più, elevate. Lo stesso vale per il terreno alluvionale bonificato artificialmente, come sull’isola di Axholme e nelle altre parrocchie sulla riva del Trent. Mano a mano che sorgevano i nuovi fondi d’affittanza, non soltanto non si costruivano cottages nuovi, ma quelli vecchi venivano demoliti in parte e la provvista di lavoro veniva procurata a miglia di distanza dai villaggi aperti, lungo le strade maestre che costeggiano serpeggiando le pendici delle colline.

Prima la popolazione aveva trovato protezione dalle lunghe inondazioni invernali soltanto in quelle colline. I lavoratori che abitano nei poderi dei fittavoli che hanno da quattrocento a mille acri (qui sono chiamati «confined labourers») servono esclusivamente per il lavoro agricolo permanente, pesante ed eseguito con l’ausilio dei cavalli. Per ogni cento acri (un acro = 40,49 are ossia = 1,584 Morgen prussiani) si ha in media a mala pena un cottage. Un fittavolo di fenland ( Terra proveniente da palude; anche terra paludosa, maremma.) depone per esempio, davanti alla commissione d’inchiesta: «Il fondo che tengo in fitto si estende per trecentoventi acri, tutta terra da grano. Non ha cottages. Un operaio abita ora a casa mia. Ho quattro uomini addetti ai cavalli che alloggiano nei dintorni. Il lavoro leggero, per il quale occorrono braccia numerose, viene compiuto da gangs»172. I campi richiedono molto lavoro leggero come la sarchiatura, la zappatura, certe operazioni per la concimazione, la raccolta delle pietre ecc. Questi lavori sono compiuti dalle gangs o bande organizzate, il cui domicilio si trova nelle località aperte.

La gang è composta da dieci fino a quaranta o cinquanta persone ossia donne e giovani di entrambi i sessi (dai tredici ai diciotto anni), benché i ragazzi, compiuti i tredici anni, di solito se ne vadano, infine di bambini d’ambo i sessi (da sei a tredici anni). A capo della gang si trova il gangmaster (mastro della banda), che è sempre un comune operaio agricolo, per lo più un cosiddetto tipaccio, uomo amorale, incostante, ubriacone, ma dotato di un certo spirito d’iniziativa e di savoir faire. Egli arruola la banda, la quale lavora al suo comando, non a quello del fittavolo. Con quest’ultimo egli si accorda per lo più su un cottimo; le sue entrate, che in media non superano di molto quelle di un comune lavoratore agricolo173, dipendono quasi interamente dall’abilità con cui egli sa spremere dalla sua banda la maggior quantità possibile di lavoro entro il più breve tempo. I fittavoli hanno scoperto che le donne lavorano sul serio solo sotto una dittatura maschile, e che le donne e i bambini, una volta avviati, prodigano la loro energia vitale con vero impeto, cosa che sapeva già il Fourier, mentre il lavoratore adulto maschio è tanto maligno da economizzarla il più possibile. Il mastro della banda se ne va da un fondo all’altro occupando in tal modo la propria banda per 6 mesi all’anno. L’essere suoi clienti è quindi molto più redditizio e sicuro per le famiglie degli operai che non l’essere clienti di un fittavolo singolo, che solo occasionalmente occupa dei bambini. Questa circostanza consolida la sua influenza nelle località aperte a tal punto che per lo più i bambini si possono assumere solo con la sua mediazione. Prestarli uno per uno, separatamente dalla gang, costituisce uno dei suoi affari accessori

I «rovesci» del sistema sono il lavoro eccessivo dei bambini e dei giovani, le marce lunghissime che fanno giornalmente per andare nelle tenute distanti cinque, sei e talvolta sette miglia e per tornarsene, e infine la degradazione morale delle «gangs». Benché il mastro della banda, che in alcune regioni è chiamato «the driver» (il guardiano), sia munito di un lungo bastone, lo usa tuttavia solo di rado, e le lamentele su un trattamento brutale sono un’eccezione. Egli è un imperatore democratico ossia qualcosa come il Pifferaio di Hameln (protagonista dell’omonima leggenda dei fratelli Grimm e di una ballata del Browning): ha dunque bisogno di popolarità fra i suoi sudditi e li lega a se con il disordine zingaresco che fiorisce sotto i suoi auspici.

Una rozza libertà, un’allegra sfrenatezza e un’oscena spudoratezza danno ali alla gang. Per lo più il mastro della banda dà le paghe in una bettola e se ne torna poi a casa magari barcollando, appoggiato a destra e a sinistra a una donna ben piantata, a capo del corteo di bambini e giovani che lo seguono sfrenati cantando canzoni beffarde e oscene Sulla via del ritorno e all’ordine del giorno quella che il Fourier chiama «fanerogamia» È caso frequente che i coetanei maschi rendano incinte ragazze di tredici e quattordici anni. I villaggi aperti che forniscono il contingente della gang diventano Sodome e Gomorre174 e danno un numero di nascite illegittime doppio di quello del resto del regno. Le imprese morali delle ragazze allevate a questa scuola, quando sono donne ammogliate, sono state accennate già sopra. I loro figli, quando non sono stati eliminati dall’oppio, sono le reclute nate della gang.

La gang nella forma classica or ora descritta si chiama gang pubblica, comune o ambulante (public, common or tramping gang). Vi sono infatti anche gang private (private gangs). Queste sono composte come la gang comune, ma sono meno numerose e lavorano, invece che sotto il mastro della banda, sotto un vecchio servo agricolo per il quale il fittavolo non abbia uso migliore. In esse scompare l’allegria zingaresca, ma secondo tutte le deposizioni di testimoni il pagamento e il trattamento dei ragazzi sono peggiori.

Il sistema della gang, che da alcuni anni in qua è in costante aumento175, evidentemente non esiste per amore del mastro della banda. Esiste per l’arricchimento del grosso fittavolo176 o del padrone del fondo177. Per il fittavolo non v’è metodo più razionale per tenere il proprio personale da lavoro molto al di sotto del livello normale e per trovar sempre pronte, ciò malgrado, le braccia in più per ogni lavoro in più, per spremere la maggior quantità possibile di lavoro con il minimo di denaro178 e per mettere «in soprannumero» l’operaio maschio adulto. Dopo quanto esposto sopra si capisce come da un lato venga ammessa la maggiore o minore disoccupazione del lavoratore della terra, e dall’altro, contemporaneamente, il sistema della gang venga dichiarato «necessario» a causa della deficienza del lavoro maschile e della sua migrazione nelle città179 campi sgombri di gramigna e la gramigna umana del Lincolnshire sono i poli opposti della produzione capitalistica180».

f) Irlanda.

Alla fine di questa sezione dobbiamo trasferirci ancora per un momento in Irlanda. Anzitutto i dati di fatto che qui importano.

La popolazione dell’Irlanda era aumentata nel 1841 a 8.222.664 persone, nel 1851 si era ridotta a 6.623.985, nel 1861 a 5.850.309, nel 1866 a cinque milioni e mezzo, all’incirca al livello del 1801. La diminuzione iniziò nell’anno della fame 1846, cosicché l’Irlanda in meno di 20 anni perdette più di cinque sedicesimi della sua popolazione181. La emigrazione complessiva irlandese ammontava dal maggio 1851 al luglio 1865 a 1.591.487 persone; l’emigrazione durante gli ultimi cinque anni 1861-1865 a più di mezzo milione. Il numero delle case abitate dal 1851 al 1861 è diminuito di 52.990. Dal 1851 al 1861 il numero dei fondi affittati da 15-30 acri è aumentato di 61.000, quello dei fondi affittati da più di 30 acri di 109.000, mentre il numero complessivo di tutte le affittanze è diminuito di 120.000, diminuzione dovuta dunque esclusivamente all’eliminazione delle affittanze al di sotto dei 15 acri, ossia alla centralizzazione delle affittanze. Nell’insieme, la diminuzione della massa della popolazione fu accompagnata naturalmente da una diminuzione della massa dei prodotti. Per il nostro scopo basterà considerare i 5 anni 1861-1865, durante i quali è emigrato più di mezzo milione e il numero assoluto della popolazione è diminuito di più di un terzo di milione (v. tabella A).

Tabella A

Bestiame

 cavalli    
   bovini
anno Totale complessivo diminuzione Totale complessivo diminuzione  aumento
1860  619.811    3.606.374
1861 614.232 5.579  3.471.688 134.686
1862  602.894 11.338  3.254.890  216.798
1863    579.978 22.916 3.144.231 110.695
1864 562.158 17.820 3.262.294 118.063
1865  547.867   14.291 3.493.414  231.120

 

ovini
suini
anno

Totale

complessivo

diminuzione aaumento Totale complessivo diminuzione aumento
1860 3.542.080  1.271.072
1861 3.556.050     13.970  1.102.042 169.030
1862 3.456.132 99.918      1.154.324   52.282
1863  3.308.204 147.928   1.067.458 86.866
1864 3.366.941   58.737 1.058.480  8.978
1865 3.688.742 321.801  1.299.893    241.413

                                                                                                                

Da questa tabella risulta:

cavalli   bovini  ovini  suini
diminuzione assoluta diminuzione assoluta aumento assoluto  aumento assoluto
71.944 112.960  146.662  28.821                      182

                                                                 

113Passiamo ora all’agricoltura che fornisce i mezzi alimentari per il bestiame e per le persone. Nella tabella sottostante la diminuzione e l’aumento sono calcolati per ogni singolo anno in riferimento.

Tabella B

aumento o diminuzione dell’area usata per la coltivazione e come prato (risp. pascolo) in acri

anno  cereali  ortaglie  terreno erboso e trifoglio  lino   

superficie totale dedicata

all’allevamento bestiame

e all'agricoltura

- -  + +  -  -   - +
1861 15.701  36.974 47.969 19.271 81.873
1862 72.734  74.785  6.623 2.055 138.841
1863 144.719  19.358  7.724  63.922 92.431
1864 122.437  2.317  47.486  87.761  10.493
1865 72.450   25.421 68.970 50.159   28.218
1861/5 428.041 108.013 108.013 82.834 122.850  330.370

                                                       

all’anno immediatamente precedente. I cereali comprendono frumento, avena, orzo, segala, fagioli e piselli, le ortaglie patate, turnips ( Rape.) , bietole e barbabietole, cavoli, carote, parsnips (Pastinache.) veccia ecc.

Nell’anno 1865 alla rubrica «terreno erboso» si aggiunsero 127.470 acri, principalmente per la ragione che la superficie della rubrica «suolo deserto non usato e bog (paludi torbose)» diminuì di 101.543 acri. Paragonando il 1865 con il 1864 ci risulta una diminuzione dei cereali di 246.667 quarters, di cui 48.999 di frumento, 166.605 di avena, 29.892 di orzo ecc.; una diminuzione di patate, benché la superficie della loro coltivazione fosse cresciuta nel 1865, di 446.398 tonnellate ecc. (v. tabella C)183.

TAB C

Aumento e diminuzione dell’area di suolo coltivato, del prodotto per acro e del prodotto totale del 1865 paragonato al 1864

Dal movimento della popolazione e della coltivazione del suolo d’Irlanda passiamo al movimento nella borsa dei suoi landlords, grossi fittavoli e capitalisti industriali. Esso si rispecchia negli alti e bassi dell’imposta sul reddito. Per la comprensione della tabella D sottostante osserveremo che la rubrica D (profitti con esclusione dei profitti provenienti dall’affittanza) include anche i cosiddetti profitti «professionali», ossia le entrate di avvocati, medici ecc., e che le rubriche C ed E non specificate in particolare comprendono le entrate di funzionari, ufficiali, titolari di sinecure statali, creditori dello Stato ecc.

Per la rubrica D l’aumento del reddito in media annua per il periodo 1853-1864 ammontava a soli 0,93, mentre nello stesso periodo ammontava in Gran Bretagna a 4,58. La tabella seguente indica la distribuzione dei profitti (con esclusione dei profitti di fittavolo) per gli anni 1864 e 1865:

L’Inghilterra, paese a produzione capitalistica sviluppata e a carattere prevalentemente industriale, sarebbe morta dissanguata se avesse avuto una diminuzione della popolazione eguale a quella irlandese. Ma l’Irlanda attualmente non è che un distretto agricolo dell’Inghilterra recinto da un largo fossato d’acqua, e le fornisce grano, lana, bestiame, reclute industriali e militari.

Lo spopolamento ha sottratto alla coltivazione molta terra, facendo diminuire fortemente i prodotti del suolo186, e malgrado l’estensione della superficie per l’allevamento del bestiame, ha provocato in alcuni rami della coltivazione una diminuzione assoluta, in altri un progresso quasi insignificante, interrotto da costanti regressi. Ciò nonostante, con la caduta della massa della popolazione le rendite fondiarie e i profitti dei fittavoli sono costantemente saliti, benché questi ultimi non siano saliti con altrettanta costanza delle prime. La ragione è facilmente comprensibile. Da un lato, per la fusione delle affittanze e per la trasformazione delle terre coltivate in pascoli, una parte considerevole del prodotto complessivo si è trasformata in plusprodotto. Il plusprodotto è cresciuto, benché il prodotto complessivo di cui costituisce una frazione sia diminuito. Dall’altro lato il valore in denaro di questo plusprodotto è cresciuto con rapidità anche maggiore della massa del plusprodotto in seguito all’aumento dei prezzi di mercato inglesi della carne, lana ecc. verificatosi negli ultimi venti anni e particolarmente negli ultimi dieci anni.

I mezzi di produzione dispersi che servono come mezzi di occupazione e sussistenza direttamente ai produttori, senza valorizzarsi mediante l’incorporamento di lavoro altrui, non sono affatto capitale, come il prodotto consumato dal suo produttore non è merce. Se insieme colla massa della popolazione è diminuita anche la massa dei mezzi di produzione impiegati nell’agricoltura, la massa del capitale impiegato nell’agricoltura è aumentata perché una parte dei mezzi di produzione prima dispersi è stata trasformata in capitale.

Il capitale complessivo dell’Irlanda investito al di fuori dell’agri coltura, nell’industria e nel commercio si è accumulato lentamente durante gli ultimi due decenni e con fluttuazioni costanti e forti. Con tanto maggiore rapidità si è sviluppata invece la concentrazione delle sue parti costitutive individuali. Infine, per quanto esiguo il suo aumento assoluto, esso aveva avuto, relativamente, in proporzione del numero della popolazione molto ridotto, un forte aumento.

Qui dunque si svolge, su larga scala e sotto i nostri occhi, un processo come l’economia ortodossa non poteva augurarselo più bello a conferma del suo dogma secondo cui la miseria nasce dalla sovrappopolazione assoluta e l’equilibrio viene ristabilito mediante lo spopolamento. È questo un esperimento molto più importante della peste alla metà del secolo XIV tanto glorificata dai malthusiani. Un’osservazione di sfuggita: se era ingenuo e pedantesco applicare ai rapporti di produzione e al corrispondente movimento della popolazione del secolo XIX la misura del secolo XIV, quell’ingenuità per giunta non s’era accorta che, certo, quella peste e la decimazione che le succedette furono seguite di pari passo, di qua dalla Manica in Inghilterra, dall’emancipazione e dall’arricchimento della popolazione rurale, in vece al di là della Manica, in Francia, peste e decimazione furono seguite da un maggiore asservimento e da una miseria maggiore186a.

La carestia abbattè nel 1846 in Irlanda più di un milione di uomini, ma soltanto poveri diavoli. Non pregiudicò minimamente la ricchezza del paese. L’esodo ventennale che le seguì e che ancora aumenta non decimò affatto, come ad esempio la guerra dei Trent’anni, i mezzi di produzione assieme agli uomini. Il genio irlandese escogitò un metodo novissimo per far volar via d’incanto una popolazione povera a mille miglia dalla scena della sua miseria. Gli emigrati che si sono trasferiti negli Stati Uniti mandano a casa ogni anno delle somme di denaro che sono le spese di viaggio per coloro che sono rimasti. Ogni scaglione che emigra quest’anno, se ne tira dietro un altro l’anno prossimo. In tal modo, invece di causare spese all’Irlanda, l’emigrazione costituisce uno dei rami più proficui dei suoi affari d’esportazione. Essa è infine un processo sistematico che non si limita a crear vuoti transitori nella massa della popolazione, ma ne pompa annualmente un numero di uomini maggiore di quello che è reintegrato dalle generazioni nuove, cosicché il livello assoluto della popolazione scende di anno in anno186b.

Quali sono state le conseguenze per i rimasti, per gli operai d’Irlanda liberati dalla sovrappopolazione? Eccole: la sovrappopolazione relativa è eguale oggi a quella che si aveva prima del 1846, cosicché i salari sono bassi come prima e la durezza del lavoro è aumentata; la miseria nelle campagne spinge di nuovo a una nuova crisi. Le cause sono semplici. La rivoluzione nell’agricoltura è proceduta di pari passo con l’emigrazione. La produzione della sovrappopolazione relativa è stata anche più rapida dello spopolamento assoluto. Un’occhiata alla tabella C mostra come la trasformazione della coltivazione della terra arabile in pascolo deve avere in Irlanda un effetto anche più aspro che in Inghilterra. Quivi, la coltivazione delle ortaglie aumenta con l’aumento dell’allevamento del bestiame, là diminuisce. Mentre vaste estensioni di campi che prima venivano coltivate ora vengono lasciate incolte o trasformate in terreno erboso permanente, una gran parte del suolo deserto prima non usato e del terreno torboso serve all’estensione dell’allevamento del bestiame. I fittavoli piccoli e medi — fra di essi comprendo tutti coloro che non coltivano più di 100 acri — costituiscono tuttora all’incirca gli otto decimi della cifra complessiva186c. Essi vengono schiacciati, progressiva mente e con forza ben maggiore di prima, dalla concorrenza del l’agricoltura esercitata capitalisticamente: e perciò forniscono costantemente nuove reclute alla classe dei salariati. All’unica grande industria dell’Irlanda, la fabbricazione del lino, occorrono relativamente pochi uomini adulti, e in genere si può dire che essa occupa, mal grado la sua espansione dopo il rincaro del cotone nel 1861-66, solo una parte relativamente insignificante della popolazione. Come ogni altra grande industria, quella del lino, a causa delle continue oscillazioni, produce costantemente entro la propria sfera una sovrappopolazione relativa, anche se la massa umana che assorbe aumenta in via assoluta. La miseria della popolazione rurale costituisce il piedistallo di gigantesche fabbriche di camicie ecc., il cui esercito operaio è disseminato per la maggior parte nelle campagne. Ritroviamo qui il sistema di lavoro a domicilio che abbiamo già descritto prima, e che nel pagamento al di sotto del minimo e nell’eccesso di lavoro possiede i suoi mezzi metodici per «mettere in soprannumero» gli operai. Infine, benché lo spopolamento non abbia le stesse conseguenze distruttrici che ha in un paese a produzione capitalistica sviluppata, esso si compie non senza una costante ripercussione sul mercato interno. La lacuna creata qui dall’emigrazione restringe non soltanto la domanda locale di lavoro, ma anche le entrate dei piccoli bottegai, degli artigiani, dei piccoli industriali in genere. Quindi regresso delle entrate fra le sessanta e le cento sterline nella tabella E.

Un’esposizione trasparente della situazione dei giornalieri rurali in Irlanda si trova nelle relazioni degli ispettori irlandesi per l’assistenza ai poveri (1870)186d, funzionari di un governo che si regge solo con le baionette e con uno stato d’assedio ora aperto, ora mascherato, essi devono usare nel loro linguaggio tutti quei riguardi che i loro colleghi in Inghilterra disprezzano; ciò malgrado non permettono al loro governo di cullarsi in illusioni. Secondo loro il saggio del salario, tuttora molto basso nelle campagne, è tuttavia aumentato negli ultimi venti anni del cinquanta e fino al sessanta per cento, ed è ora in media di sei e fino a nove scellini alla settimana. Però, dietro a questo aumento apparente si nasconde una diminuzione reale del salario, poiché esso non compensa nemmeno l’aumento del prezzo dei mezzi di sussistenza necessari che si è avuto nel frattempo; prova ne è il seguente estratto dai calcoli ufficiali di una work house irlandese.

Media settimanale delle spese di mantenimento a testa

anno      nutrimento   vestiario   insieme
29 sett. 1848 fino 29 sett. 1849 1 scell. 3 ¼ p    O scell. 3 p  1 scell. 6 ¼ p
29 sett. 1868 fino 29 sett. 1869  2 scell. 7 ¼ p  O scell 6 p   3 scell. 1 ¼ p.

                                                         

Il prezzo dei mezzi di sussistenza necessari è dunque quasi il doppio e quello del vestiario esattamente il doppio di quello di venti anni fa.

Ma anche prescindendo da questa sproporzione, un semplice raffronto del saggio del salario espresso in denaro sarebbe ben lontano dal dare un risultato esatto. Prima della carestia la gran massa dei salari rurali era pagata in natura, e in denaro era pagata solo la minima parte; oggi il pagamento in denaro è regola. Già da questo consegue che, qualunque fosse il movimento del salario reale, il suo saggio in denaro doveva aumentare. «Prima della carestia il giornaliero agricolo possedeva un pezzetto di terra sul quale coltivava patate e allevava maiali e pollame. Oggigiorno non solo deve comprare tutti i suoi mezzi di sussistenza, ma gli sfuggono anche le entrate derivanti dalla vendita di suini, pollame e uova»187. Effettivamente in passato i lavoratori agricoli finivano per far tutt’uno coi piccoli fittavoli e per lo più costituivano semplicemente la retro guardia delle affittanze medie e grandi sulle quali trovavano occupazione. Soltanto a partire dalla catastrofe del 1846 essi avevano cominciato a costituire una frazione della classe dei salariati puri e semplici, un ceto particolare che è ormai legato ai propri padroni salariali soltanto da rapporti di denaro.

Sappiamo quali fossero le condizioni d’alloggio degli operai agri coli irlandesi nel 1846. Da allora le cose sono ancora peggiorate. Una parte dei giornalieri agricoli, che però va diminuendo di giorno in giorno, abita ancora sulle terre dei fittavoli in capanne sovraffollate, i cui orrori superano di gran lunga il peggio che a questo riguardo ci hanno rivelato i distretti rurali inglesi. E questo vale in generale, ad eccezione di alcune parti dell’Ulster; nel sud nelle contee di Cork, Limerick, Kilkenny ecc.; ad est a Wicklow, Wexford ecc.; nella parte centrale nella King’s e Queen’s County, a Dublino ecc.; nel nord a Dow, Antrim, Tyrone ecc.; nell’ovest a Sligo, Roscommon, Mayo, Galway ecc. «È», esclama uno degli ispettori, «è una vergogna per la religione e per la civiltà di questo paese» Per rendere più tollerabile ai giornalieri l’alloggio nei loro antri, si confiscano sistematicamente i pezzetti di terreno che ne fanno parte da tempi immemorabili. «La consapevolezza di questa specie di bando al quale sono posti dai loro padroni del fondo e amministratori ha destato nei giornalieri agricoli i corrispondenti sentimenti di antagonismo e di odio contro coloro che li trattano come una razza proscritta»187a.

Il primo atto della rivoluzione nell’agricoltura fu di spazzar via su scala larghissima, e come obbedendo a una parola d’ordine dall’alto, le capanne situate sui campi di lavoro. Così molti lavoratori furono costretti a cercar rifugio in villaggi e in città, dove venivano gettati come spazzatura in soffitte, antri, cantine e nei cantucci dei quartieri peggiori. Migliaia di famiglie irlandesi che anche in base alla testimonianza di inglesi impigliati in pregiudizi nazionali si distinguevano per il loro raro attaccamento al focolare, per la loro spensierata allegria e per la purezza dei loro costumi domestici, trovavano così improvvisamente trapiantate nei vivai del vizio. Gli uomini devono ora cercare lavoro presso i fittavoli vicini e sono arruolati solo a giornata, quindi con la forma di salario più precaria con tutto ciò «devono percorrere molta strada per andare e tornare dal fondo, spesso bagnati come ratti, ed esposti ad altri malanni che di frequente determinano indebolimento, malattie e con ci povertà» 187b.

«Le città hanno dovuto accogliere anno per anno quanto veniva considerato come eccedenza di operai nei distretti rurali»187c, e poi ci si meraviglia ancora «che nelle città e nei villaggi vi sia un’eccedenza di operai e che in campagna ve ne sia deficienza»!187d La verità è che questa deficienza diventa sensibile solo «al momento dei lavori agricoli urgenti, in primavera e in autunno, mentre per il resto dell’anno molte braccia rimangono in ozio»187e, che «dopo il raccolto, dall’ottobre alla primavera, difficilmente vi è occupazione per esse»187f, e che anche durante il tempo dell’occupazione «perdono spesso giornate intere e sono esposti a interruzioni del lavoro d’ogni specie»187g.

Queste conseguenze della rivoluzione agricola ossia della trasformazione di terre arate in pascoli, dell’impiego delle macchine del più rigoroso risparmio di lavoro ecc. sono ancora inasprite dai padroni fondiari modello, cioè da quelli che invece di consumai le rendite all’estero, si degnano di abitare in Irlanda nei loro domini. Affinché la legge della domanda e dell’offerta rimanga completamente illesa, questi signori «si procurano ora quasi tutto il loro fabbisogno di lavoro dai propri piccoli fittavoli, i quali in tal modo sono costretti a sgobbare per i loro padroni in cambio di un compenso generalmente più esiguo di quello dei giornalieri comuni, e tutto quasi senza alcuna considerazione degli scomodi e delle perdite che derivano dal fatto che nei momenti critici della semina o del raccolto devono trascurare i propri campi»187h.

La precarietà e l’irregolarità dell’occupazione, il ritorno frequente e la lunga durata delle interruzioni del lavoro, tutti questi sintomi di una sovrappopolazione relativa figurano quindi nelle relazioni degli ispettori per l’assistenza ai poveri come altrettante lamentele del proletariato agricolo irlandese. Si ricorderà che fenomeni analoghi sono stati riscontrati parlando del proletariato rurale inglese. Ma la differenza è questa: in Inghilterra, paese industriale, la riserva industriale si recluta in campagna, mentre in Irlanda, paese agricolo, la riserva agricola si recluta nelle città che sono rifugio dei lavoratori rurali scacciati dalla campagna. In Inghilterra, coloro che sono in soprannumero nell’agricoltura si trasformano in operai di fabbrica; in Irlanda, coloro che sono cacciati nelle città rimangono lavoratori rurali premendo allo stesso tempo sui salari delle città e vengono costantemente rimandati in campagna in cerca di lavoro.

I relatori ufficiali riassumono la situazione materiale dei giornalieri agricoli nella maniera seguente: «Benché vivano con estrema frugalità, tuttavia il loro salario è a mala pena sufficiente a procurare nutrimento ed alloggio per loro e per le loro famiglie; per il vestiario hanno bisogno di altre entrate... L’atmosfera delle loro abitazioni, in aggiunta alle altre privazioni, espone questa classe al tifo e alla tisi in maniera del tutto particolare»187i, Di conseguenza non fa meraviglia che, a testimonianza unanime dei relatori, un cupo scontento penetri le schiere di questa classe, che essa desideri il ritorno del passato, aborra il presente e disperi del futuro, «si abbandoni alle riprovevoli influenze di demagoghi» e abbia quell’unica idea fissa di emigrare in America. Ecco la terra di Bengodi nella quale la grande panacea malthusiana, lo spopolamento, ha trasformato la verde Erin!

Basti un solo esempio per illustrare la vita di agi condotta dagli operai delle manifatture irlandesi:

«Durante la mia recente ispezione del nord d’Irlanda», dice un ispettore di fabbrica, l’inglese Robert Baker, «mi hanno colpito gli sforzi di un operaio irlandese qualificato per procurare con i suoi poverissimi mezzi un’educazione ai suoi figli. Riproduco testualmente la sua deposizione così come l’ho avuta dalla sua bocca. Che sia un operaio di fabbrica qualificato risulterà quando dico che lo si impiega nella fabbricazione di articoli per il mercato di Manchester. Johnson: sono un beetler (addetto alla gramolatura - del lino o della canapa) e lavoro dalle sei di mattina fino alle undici di notte, dal lunedì al venerdì; sabato finiamo alle sei di sera; abbiamo tre ore per i pasti e per il riposo. Ho cinque figli.

Per questo lavoro ricevo dieci scellini e sei pence alla settimana; mia moglie lavora anch’essa e guadagna cinque scellini alla settimana. La ragazza maggiore, dodicenne, accudisce alla casa. E la nostra cuoca e unico aiuto in casa. Prepara i più piccoli per la scuola.

Mia moglie si alza insieme a me ed esce con me. Una ragazza che passa davanti alla nostra casa mi sveglia alle cinque e mezzo del mattino. Prima di andare al lavoro non mangiamo nulla. La bambina di dodici anni provvede per i piccoli durante la giornata. Facciamo colazione alle otto e per farla andiamo a casa. Una volta alla settimana prendiamo il tè; le altre volte prendiamo una farinata (stirabout) a volte di farina d’avena, a volte di farina di mais, secondo quel che siamo capaci di procurarci. D’inverno prendiamo un po’ di zucchero e acqua insieme alla farina di mais. D’estate raccogliamo un po’ di patate, che piantiamo noi stessi su un pezzettino di terra e quando sono finite torniamo alla farinata. Così si va avanti giorno per giorno, giorno di festa e giorno di lavoro, per tutto l’anno, là sono sempre molto stanco la sera dopo aver fatto la giornata. In via eccezionale vediamo un boccone di carne, ma molto di rado. Tre dei nostri bambini frequentano la scuola per la quale paghiamo un penny a testa alla settimana. Il nostro affitto ammonta a nove pence alla settimana, torba e fuoco costano per lo meno uno scellino e sei pence ogni due settimane»188. Ecco i salari irlandesi, ecco la vita in Irlanda!

Effettivamente, la miseria dell’Irlanda è di nuovo il tema dei giorno in Inghilterra. Alla fine del 1866 e ai primi del 1867 uno dei magnati terrieri irlandesi, Lord Dufferin, s’accinse a risolvere il problema sul Times. «Che cosa umana da parte di sì gran signore!» ( Goethe, Faust, Prologo, 353-354.)

Dalla tabella E s’è visto che, mentre nel. 1864 delle sterline 4.368.610 di profitto complessivo tre facitori di plusvalore ne guadagnavano solo 262.819, nel 1865 questi medesimi tre virtuosi della «astinenza» di 4.669.979 sterline di profitto complessivo ne intascarono invece 274.528; nel 1864: ventisei facitori di plusvalore, 646.377 sterline; nel 1865: ventotto facitori di plusvalore, 736.448 sterline; nel 1864: centoventuno fecero 1.076.912 sterline, nel 1865: centocinquanta ne fecero 1.320.906; nel 1864: 1131 fecero 2.150.818 i sterline, quasi la metà del profitto annuo complessivo: nel 1865: 1194 fecero 2.418.833 sterline, più della metà del profitto annuo complessivo. Ma la parte leonina del reddito annuo nazionale che un numero estremamente esiguo di magnati terrieri ingoia in Inghilterra, Scozia e in Irlanda, è così enorme che la ragion di Stato inglese trova opportuno fornire per la distribuzione della rendita fondiaria materiale statistico diverso da quello per la distribuzione del profitto. Lord Dufferin è uno di questi magnati terrieri. Che i ruoli delle rendite e i profitti possano mai esser «in soprannumero», o che la loro pletora sia in qualche modo connessa alla pletora della miseria popolare, è naturalmente un’idea tanto «poco rispettabile» quanto «malsana» (unsound). Egli si attiene ai dati di fatto. Ed è dato di fatto che mano a mano che diminuisce il numero della popolazione irlandese, i ruoli delle rendite si gonfiano, cosicché lo spopolamento «fa bene» al proprietario fondiario, quindi anche alla terra, quindi anche al popolo, che non è che un accessorio della terra. Egli dichiara dunque che l’Irlanda è tuttora sovrappopolata e che la fiumana dell’emigrazione scorre tuttora troppo lentamente. Per essere completamente felice, l’Irlanda dovrebbe disfarsi ancora per lo meno di un terzo di milione di lavoratori. E non si pensi che questo Lord, che per giunta è anche poetico, sia un medico della scuola del Sangrado il quale, quando trovava che il paziente non era migliorato, ordinava un salasso, e poi un altro salasso, finché il paziente perdeva il sangue e la malattia insieme. Lord Dufferin chiede un nuovo salasso di appena un terzo di milione, invece di circa 2 milioni, senza la cui eliminazione infatti non è possibile attuare il Millennio in Erin. È facile fornirne la prova.

La centralizzazione ha distrutto dal 1851 al 1861 specialmente le affittanze delle prime tre categorie, al di sotto di un acro e non oltre i quindici acri. Sono queste che devono scomparire prima delle altre. Ne risultano 307.058 fittavoli «in soprannumero», e calcolando la famiglia alla media bassa di quattro teste, 1.228.232 persone. Con la stravagante supposizione che un quarto di esse sia di nuovo assorbibile a rivoluzione agricola avvenuta, rimangono destinate all’emigrazione: 921.174 persone. Le categorie 4, 5 e 6, superiori ai quindici acri e non oltre i cento, sono troppo piccole per la cerealicoltura capitalistica e costituiscono grandezze quasi incalcolabili per l’allevamento delle pecore, come in Inghilterra si sa da molto tempo. Rimanendo ferme le premesse fatte prima, devono dunque emigrare altre 788.761 persone, totale: 1.709.532. E, comme l’appetit vient en mangeant, gli occhi del ruolo delle rendite scopriranno ben presto che l’Irlanda, con tre milioni e mezzo di abitanti, è ancor sempre miserabile, e miserabile perché sovrappopolata, che quindi il suo spopolamento deve spingersi ben oltre, affinché l’Irlanda compia la sua vera missione che è quella di pascolo ovino e bovino per gli inglesi188b.

Questo metodo redditizio ha, come ogni cosa buona di questo mondo, il suo inconveniente. Con l’accumulazione della rendita fondiaria procede di pari passo l’accumulazione degli irlandesi in America. L’irlandese eliminato dalle pecore e dai buoi risorge al di là dell’Oceano, come feniano *• E di fronte alla vecchia regina dei mari si erge sempre più minacciosa la giovane repubblica gigantesca.

Acerba fata Romanos agunt

Scelusque fraternae necis**

* Feniani: associazione irlandese fondata nel 1861 per la liberazione dell’Irlanda dalla oppressione inglese.

** Aspro destino incalza i romani / E il delitto del fratricidio (Orazio).

Note

70 Karl MARX, Lavoro salariato e capitale. «Eguale essendo l’oppressione delle masse, un paese sarà tanto più ricco, quanti più sono i suoi proletari». (COLINS, L’Economie Politique, Source des Révolutions et des Utopies prétendues Socialistes, Parigi, 1857, voI, III, p. 331). Per «proletario» dal punto di vista economico non si deve intendere se non l’operaio salariato che produce e valorizza «capitale ed è gettato sul lastrico non appena sia diventato superfluo per i bisogni di valorizzazione di Monsieur Capita!», come il Pecqueur chiama questa persona. «Il proletario malaticcio della foresta vergine» è un grazioso fantasma roscheriano. L’abitante della foresta vergine è proprietario della stessa e la tratta, proprio con la stessa disinvoltura dell’orangutan, come sua proprietà. Egli non è proletario quindi. Lo sarebbe soltanto se la foresta vergine sfruttasse lui e non lui invece la foresta vergine. Quanto alle sue condizioni di salute, l’abitante della foresta vergine non solo regge al confronto del proletario moderno, ma anche a quello degli «onorabili» sifilitici e scrofolosi. Ma il signor Wilhelm Roscher per foresta vergine intende probabilmente la vasta landa di Lüneburg.

71«As the labourers make rich, so the more labourers there will be the more rich men.... the labour of the poor being the mine: of the rich» (JOHN BELLERS, Proposals for raising cit., p. 2).

72 B. DE MANDEVILLE, The Fable of the Bees, V edizione, Londra, 1728, Remarks, pp. 212, 213, 328. «Una vita moderata e il lavoro costante sono per il povero la strada della felicità materiale (con il quale termine egli intende dire la giornata lavorativa più lunga possibile e la minor quantità possibile di mezzi di sussistenza) e della ricchezza per lo Stato (Ossia per i proprietari fondiari, i capitalisti e i loro dignitari ed agenti politici)» (An Essay on Trade and Commerce, Londra, 1770, p. 54).

73 Eden avrebbe dovuto domandare di chi siano mai creature «le istituzioni civili». Dal punto di vista dell’illusione giuridica egli non considera la legge come prodotto dei rapporti materiali di produzione, ma, viceversa, considera i rapporti di produzione come prodotto della legge. Linguet mandò all’aria l’illusorio Esprit des Lois di MONTESQ!JIEU con questa sola parola: «L’esprit des lois, c’est la propriété».

74 EDEN, The State of the Poor cit., voI. I, libro I, cap. I, pp. 1, 2 e prefazione p.XX

75 Se il lettore dovesse ricordarmi il Malthus, il cui Essay on Population uscì nel 1798, io gli ricorderò che questo scritto nella sua prima forma non è che un plagio superficiale da scolaretto, declamatorio in maniera pretesca, di scritti di De Foe, Sir James Steuart, Townsend, Franklin, Wallace ecc., e non contiene nemmeno una proposizione originale.

Il grande scalpore destato da quest’opuscolo fu dovuto unicamente a interessi di partito. La rivoluzione francese aveva trovato nel regno britannico degli appassionati difensori; il «principio della popolazione», elaborato lentamente nel secolo XVIII, annunciato poi a suon di tromba nel bel mezzo di una grande crisi sociale come antidoto infallibile contro le dottrine del Condorcet e di altri, fu salutato entusiasticamente dall’oligarchia inglese come il grande sterminatore di tutte le voglie di progresso umano. Il Malthus, altamente stupito del proprio successo, si mise poi a riempire il vecchio schema di materiale compilato superficialmente e di materiale nuovo, che si era semplicemente annesso senza averlo scoperto. Inoltre, benché Malthus fosse prete dell’Alta chiesa anglicana, aveva fatto il voto monastico del celibato. Questa è infatti una delle condizioni del fellowship dell’università protestante di Cambridge. «Non permettiamo che i membri dei collegi siano sposati, bensì, non appena qualcuno prenda moglie, cessa con ciò di essere membro del collegio» (Reports of Cambridge University Commission, p. 172). Questa circostanza distingue favorevolmente il Malthus dagli altri preti protestanti i quali si sono scrollati di dosso il comandamento cattolico del celibato e hanno rivendicato il «Fruttate e moltiplicatevi» come loro missione biblica specifica, in modo tale da contribuire in ogni luogo all’aumento della popolazione in una misura veramente indecente, mentre allo stesso tempo predicano agli operai il «principio della popolazione».

E’ caratteristico che il peccato originale economico travestito, il pomo d’Adamo, l’«appetito che urge», «gli intralci che cercano di spuntare le frecce di Cupido», come si esprime allegramente il prete Townsend, che questo punto scabroso sia stato e sia ancora monopolizzato dai signori della teologia anzi chiesa protestante. Ad eccezione del monaco veneziano Ortes, scrittore originale e intelligente, la maggior parte dei maestri della teoria della popolazione sono preti protestanti. Così BRUCKNER, Théorie du Système animal, Leida 1767, in cui è esaurita tutta la moderna teoria della popolazione e al quale la passeggera lite fra Quesnay e il suo scolaro Mirabeau père ha fornito idee sullo stesso tema, poi il prete Wallace, il prete Townsend, il prete Malthus e il suo scolaro, il pretissimo Th. Chalmers, per non parlare di minori scribacchini preteschi in this line.

In origine di economia politica si occupavano filosofi come Hobbes, Locke, Hume, persone d’affari e statisti come Tomaso Moro, Temple, Sully, de Witt, North, Law, Vanderlint, Cantillon, Franklin e, specialmente per la parte teorica e con il massimo successo, medici come Petty, Barbon, Mandeville, Quesnay. Ancora alla metà del secolo XVIII il Rev. Mr. Tucker, economista importante per la sua epoca, si scusa per essersi occupato di mammona. Più tardi e precisamente con «il principio della popolazione» venne l’ora dei preti protestanti. Come se avesse presentito quest’interferenza che guastava tutto, e, come Adam Smith, nemico dichiarato dei preti, il Petty, il quale considerava la popolazione base della ricchezza, dice: «La religione fiorisce più rigogliosa quando i sacerdoti vengono più mortificati nella carne, come il diritto fiorisce più rigoglioso là dove gli avvocati muoiono di fame».. Egli consiglia quindi ai preti protestanti che, dal momento che non seguono l’apostolo Paolo e non vogliono «mortificar la carne» con il celibato, «per lo meno non mettano al mondo più preti (it will not be safe to breed more churchmen) di quanti ne possano assorbire i benefici (benefices) esistenti; ossia, se in Inghilterra e nel GaIles vi sono solo 12.000 benefici, non è saggio metter al mondo 24.000 preti (it will not be safe to breed 24.000 ministers), poiché i 12.000 sprovvisti di un beneficio cercheranno sempre di guadagnarsi il pane in qualche modo, e come potrebbero farlo più agevolmente se non andando fra il popolo e convincerlo che i 12.000 beneficiari avvelenano le anime affamandole e indicando ad esse la via sbagliata per giungere in cielo?» (PETTY, A Treatise on Taxes and Contributions, Londra, 1667, p. 57).

La posizione di Adam Smith nei confronti del pretume protestante del suo tempo è caratterizzata da quanto segue. In A letter to A. Smith, L. L. D. On the Life, Death and Philosophy of his Friend David Hume. By One of the People called Christians, 4. edizione, Oxford, 1784, il dott. Horne, vescovo dell’Alta chiesa a Norwich, dà una lavata di testa ad Adam Smith perché in una pubblica lettera al signor Strahan «imbalsamava il suo amico David (cioè Humes)» perché raccontava al pubblico come «Hume sul letto di morte si divertiva con Luciano e col whist [gioco di carte]» e perché aveva perfino la spudoratezza di scrivere: «Ho sempre considerato Hume, sia in vita, sia dopo la sua morte, vicino all’ideale di un uomo pienamente saggio e virtuoso nella misura in cui lo consente la fragilità della natura umana». Il vescovo esclama indignato: «È giusto da parte sua, signore, di descriverci come pienamente saggio e virtuoso il carattere e la vita di un uomo preso da inguaribile antipatia per tutto quello che significa religione e teso con ogni suo nerbo ad estirparla il più possibile, perfino il suo nome, dal ricordo degli uomini?» (ivi, p. 8). «Ma non lasciatevi scoraggiare, amanti della verità, l’ateismo ha vita breve» (p. 17). Adam Smith «commise l’atroce malvagità (the atrocious wickedness) di propagandare l’ateismo in tutto il paese (ossia mediante la sua Theory of moral sentiments)... Conosciamo i vostri trucchi, signor dottore! La vostra intenzione è buona, ma questa volta fate i conti senza l’oste. Volete darci da intendere con l’esempio di David Hume che l’ateismo è l’unica acquavite (cordial) per sollevare un animo depresso e l’unico antidoto contro la paura della morte... Ridete pure di Babilonia in rovine e congratulatevi pure con l’impenitente e malvagio Faraone!» (ivi, pp. 21, 22).

Una mente ortodossa fra i frequentatori delle lezioni di A. Smith scrive dopo la sua morte: «L’amicizia di Smith per David Hume... gli impedì di essere cristiano... Egli credeva tutto a Hume sulla parola. Se Hume gli avesse detto che la luna era un formaggio verde, egli l’avrebbe creduto. Perciò gli credeva anche quando diceva che non esistevano né dio né i miracoli... Nei suoi principi politici rasentava il repubblicanesimo» (The Bee, di JAMES ANDERSON, 18 voll., Edimburgo, 1791-1793, voI. 3, pp. 166, 165). Il prete Th. Chalmers sospetta che A. Smith abbia inventato la categoria dei «lavoratori improduttivi» per pura malizia e appositamente per i preti protestanti, malgrado la loro opera benedetta nella vigna del signore.

76 Nota alla seconda edizione, «Ma il limite dell’impiego di operai industriali e di operai agricoli è il medesimo: ossia la possibilità dell’imprenditore di ricavare un profitto dal prodotto del loro lavoro... Se il saggio del salario sale tanto che l’utile del padrone scende al di sotto del profitto medio, egli cessa di impiegarli oppure li impiega solo a condizione che consentano a una riduzione del salario» (JOHN WADE, History of the middle and working Classes, p. 240).

77 Cfr. KARL MARX, Zur Kritik cit., p. 165 sgg.

77a «Ma tornando alla nostra prima indagine dove è stato comprovato...., che il capitale stesso non è che il prodotto del lavoro umano.., sembra del tutto inconcepibile che l’uomo possa finire sotto il dominio del proprio prodotto — del capitale — ed esser subordinato a questo; e siccome nella realtà questo accade innegabilmente, senza volere s’impone la domanda: l’operaio, come è potuto diventare da dominatore del capitale — in quanto suo creatore — schiavo del capitale?» (VON THÜNEN, Der isolierte Staat, parte I!, sezione Il, Rostock, 1863, pp. 5, 6). È merito del THÜNEN l’aver posto la domanda. La sua risposta è semplicemente puerile.

77b (Alla quarta edizione. I più moderni trust inglesi e americani tendono già a questa meta cercando di unire in una grande società per azioni, avente pratica mente il monopolio, per lo meno tutte le grandi aziende di un ramo d’affari. F. E.)

77c Nota alla terza edizione. Nella copia personale di Marx si ha qui la seguente osservazione in margine: «Da osservare a questo punto per quanto si dirà poi: se l’ampliamento è solo quantitativo, in uno stesso ramo d’affari, con un capitale maggiore o minore, i profitti saranno nella stessa proporzione delle grandezze dei capitali anticipati. Se l’ampliamento quantitativo agisce qualitativamente, salirà allo stesso tempo il saggio del profitto per il capitale maggiore». F. E.

78 Il censimento per l’Inghilterra e il GalIes mostra fra l’altro:

Tutte le persone occupate nell’agricoltura (proprietari, fittavoli, giardinieri, pastori ecc. compresi) - 1851: 2.011.447, 1861: 1.924.110, diminuzione: 87.337. Manifattura pettinati - 1851: 102.714 persone, 1861: 79.242; fabbriche di seta - 1851: 111.940, 1861: 101.678; stampatori di cotone - 1851: 12.098, 1861: 12.556, aumento esiguo malgrado l’estensione enorme dell’industria, che comporta una forte diminuzione proporzionale del numero degli operai occupati. Cappellai — 1851: 15.957, 1861: 13.814;fabbriche di cappelli di paglia e di berretti— 1851: 20.393, 1861: 18.176; lavoratori della birra - 1851: 10.566, 1861: 10.677; industria delle candele - 1851: 4.949, 1861: 4.686. Quest’ultima diminuzione è dovuta fra l’altro all’aumento dell’illuminazione a gas. Fabbricazione dei pettini - 1851: 2.038, 1861: 1.478; segherie di legname - 1851: 30.552, 1861: 31.647, aumento esiguo a causa dello sviluppo delle seghe meccaniche; chiodaioli - 1851: 26.940, 1861: 26.130, diminuzione dovuta alla concorrenza delle macchine; operai in miniere di stagno e di rame - 1851: 31.360, 1861: 32.041. Invece: filande e tessiture di cotone - 1851: 371.777, 1861: 456.646; miniere di carbone - 1851: 183.389, 1861: 246.613. «L’aumento degli operai è generalmente più forte a partire dal 1851 in quei rami in cui le macchine non sono state ancora impiegate con successo» (Census of England and Wales for 1861, voI. III, Londra, 1863, pp. [35] 36, [ 37 sgg.]).

79 La legge della diminuzione progressiva della grandezza relativa del capitale variabile insieme coi suoi effetti sulla situazione della classe dei salariati è stata più intuita che compresa da alcuni eccellenti economisti della scuola classica. Il maggiore merito spetta a John Barton, benché egli faccia, come tutti gli altri, tutt’uno del capitale costante e di quello fisso, e tutt’uno del capitale variabile e di quello circolante. Egli dice: «La domanda.di lavoro dipende dall’aumento del capitale circolante e non di quello fisso. Se fosse vero che la proporzione fra queste due specie di capitale è identica in ogni tempo e in ogni situazione, ne conseguirebbe effettivamente che il numero degli operai occupati è proporzionato alla ricchezza dello Stato. Ma una affermazione del genere non ha l’aspetto della verosimiglianza. Mano a mano che le industrie vengono perfezionate e la civiltà si estende, il capitale fisso occupa una parte sempre maggiore nei confronti di quello circolante. L’importo di capitale fisso, impiegato nella produzione di una pezza di mussola britannica, è per lo meno cento volte, ma probabilmente mille volte, maggiore del capitale fisso impiegato nella produzione di una pezza analoga di mussola indiana. E la parte del capitale circolante è cento o mille volte minore... Anche aggiungendo tutti i risparmi annui al capitale fisso, non i avrebbe alcuna influenza sull’aumento della domanda di lavoro» (JOHN BARTON, Observations on the Circumstances which influence the conditions of the Labouring Classes of Society, Londra, 1817, pp. 16, 17).

«La medesima causa che fa aumentare le entrate nette del paese può allo stesso tempo produrre una sovrabbondanza di popolazione e peggiorare le condizioni dell’operaio» (RICARDO, Principles cit., p. 469). Aumentando il capitale «la domanda (di lavoro) si muoverà in proporzione decrescente» (ivi, p. 480, nota). «L’importo del capitale destinato al mantenimento del lavoro, può variare, indipendentemente da variazioni qualsiasi nell’ammontare complessivo del capitale... Forti oscillazioni nella misura dell’occupazione e grande povertà possono diventare più frequenti nella misura in cui il capitale stesso si fa più abbondante» (RICHARD JONES, An Introductory Lecture on Political Economy, Londra, 1833, p. 12). «La domanda (di lavoro) aumenterà... non in proporzione dell’accumulazione del capitale generale... Ogni aumento del capitale nazionale destinato alla riproduzione avrà quindi nel corso del progresso sociale un’influenza sempre minore sulle condizioni dell’operaio» (RAMSAY, An Essay on the Distribution of Wealth, pp. 90, 91).

80 H. MERIVALE, Lectures on Colonization and Colonies, Londra 1841 e 1842, voI. I, p. 146.

81 «Prudentia! habits with regard to marriage, carried to a considerable extent among the labouring class of a country mainly depending upon manufactures and commerce, might injure it... From the nature of a population, an increase of labourers cannot be brought into market, in consequence of a particular demand till after the lapse of 16 or 18 years, and the conversion of revenue into capital, by saving, may take place much more rapidly; a country is always liable to an increase in the quantity of the fundt for the maintenance of labour faster than the increase of population» (MALTHUS, Principles of Political Economy, pp. 215, 319, 320). In quest’opera il Malthus scopre finalmente con l’aiuto del Sismondi la bella trinità della produzione capitalistica: sovrapproduzione - soprappopolazione - sovracconsumo, three very delicate monsters, indeed [ davvero tre mostri molto delicati]! Cfr. F. ENGELS, Umrisse zu einer Kritik der Nationalökonomie cit., p. 107 sgg.

82 HARRIET MARTINEAU, The Manchester Strike, 1832, p. 101.

83 Perfino durante la carestia del cotone nel 1863 si trova in un opuscolo dei filatori di Blackburn una violenta denuncia del lavoro fuori orario, che in virtù della legge sulle fabbriche colpiva naturalmente solo operai maschi adulti. «Si è chiesto in questa fabbrica agli operai adulti un lavoro giornaliero di 12-13 ore, benché vi siano centinaia di persone costrette all’ozio che tuttavia amerebbero lavorare per una parte del tempo di lavoro onde poter mantenere le loro famiglie e salvare i loro fratelli operai da una morte prematura a causa del lavoro eccessivo» «Noi», è detto più avanti, «vorremmo chiedere se questa prassi del lavoro fuori orario, rende possibili rapporti in qualche modo tollerabili fra padroni e “servi”? Le vittime del lavoro fuori orario sentono l’ingiustizia proprio come la sentono coloro che in tal modo sono condannati a un ozio forzoso (condemned to forced idleness). In questo distretto il lavoro da farsi basterebbe per dare occupazione parziale a tutti se venisse distribuito equamente. Noi non esigiamo che un diritto invitando i padroni a lavorare in generale solo a orario ridotto, per lo meno finché dura lo stato attuale delle cose, invece di caricare di lavoro fuori orario una parte, mentre l’altra è costretta dalla mancanza di lavoro a campare di beneficenza» (Reports of Insp. of Fact. 31st Oct. 1863, p. 8). L’autore dell’Essay on Trade and Commerce con il suo consueto infallibile istinto di borghese capisce l’effetto di una sovrappopolazione relativa sugli operai occupati. «Altra causa della poltroneria (idleness) in questo regno è la mancanza di un numero sufficiente di braccia che lavorino. Tutte le volte che una domanda straordinaria di manufatti rende insufficiente la massa degli operai, costoro sentono la propria importanza e vogliono farla sentire anche ai loro padroni; è cosa che stupisce, ma i sentimenti di quei bricconi sono depravati al punto che in casi simili degli operai si sono uniti in gruppi per mettere nell’imbarazzo i loro padroni stando oziosi per una giornata intera» (Essay cit., pp. 27, 28). Quei bricconi chiedevano infatti un aumento del salario.

84 Economist, 21 gennaio 1860.

85 Mentre durante il secondo semestre del 1866 a Londra furono estromessi dal lavoro 80-90.000 operai, il rapporto sulle fabbriche per lo stesso semestre dice: «Non sembra essere del tutto esatto dire che la domanda determina l’offerta proprio nel momento in cui è necessaria. Per il lavoro non è stato così, poiché nell’anno passato molte macchine dovettero rimanere ferme a causa di mancanza di braccia» (Report of Insp. of Fact. for 31st Oct. 1866, p. 81).

85a Discorso inaugurale alla conferenza sanitaria tenuto a Birmingham il 14 gennaio 1875 da J. Chamberlain, allora mayor [sindaco] della città, attualmente (1883) ministro del commercio.

86 «781 città sono enumerate nel censimento del 1861 per l’Inghilterra e il Galles con 10.960.998 abitanti, mentre i villaggi e i distretti parrocchiali rurali ne contano solo 9.105.226... Nell’anno 1851 figuravano nel censimento 580 città, la cui popolazione era all’incirca eguale alla popolazione dei distretti rurali che le circondavano. Mentre però in questi ultimi durante i dieci anni successivi la popolazione aumentò di mezzo milione soltanto, nelle 580 città aumentò di 1.554.067. L’aumento della popolazione ammonta nei distretti parrocchiali rurali al 6,5%, nelle città al 17,3%. La differenza nel saggio dell’aumento è dovuta alla migrazione dalle campagne nelle città. Tre quarti dell’aumento complessivo della popolazione spettano alle città» (Census ecc., vol. III. pp. 11, 12).

87 «La povertà sembra favorire la procreazione (A. SMITH [Wealth of Nations, libro I, cap. VIII, ediz. Wakefieid, voi. I, p. 195]). Questa è perfino, secondo il galante e spiritoso abate Galiani, una disposizione particolarmente saggia di Dio: «Dio fa che gli uomini che esercitano mestieri di prima utilità nascono abbondantemente» (GALIANI, Della Moneta, p. 78). «La miseria, spinta al punto estremo della carestia e della pestilenza, invece di impedire l’aumento della popolazione, tende a favorirlo». (S. LAING, National Distress, 1844, p. 69). Dopo aver illustrato statisticamente la sua affermazione, il Laing continua: «Se tutti gli uomini ai trovassero in condizioni di agio, il mondo sarebbe ben presto spopolato» («if the people were all in easy circumstances, the world would soon be depopulated»).

88 «Di giorno in giorno diventa dunque più chiaro che i rapporti di produzione, entro i quali si muove la borghesia, non hanno un carattere unico, semplice, bensì un carattere duplice; che negli stessi rapporti entro i quali si produce la ricchezza, si produce altresì la miseria; che entro gli stessi rapporti nei quali si ha sviluppo di forze produttive, si sviluppa anche una forza produttrice di repressione; che questi rapporti producono la ricchezza borghese, ossia la ricchezza della classe borghese, solo a patto di annientare continuamente la ricchezza dei membri che integrano questa classe, e a patto di dar vita a un proletariato ognora crescente» (KARL MARX Misére de la Philosophie, p. 116).

89 G. ORTES, Della Economia Nazionale libri sei, 1774, in Custodi, parte moderna, vol. XXI, pp. 6, 9, 22, 25 [340, e passim] ecc. Ortes vi dice a p. 32: «In luogo di progettar sistemi inutili per la felicità de’ popoli, mi limiterò a investigare la ragione della loro infelicità» .

90 A Dissertation on the Poor bus. By a Wellwisher of Mankind (the Rev. Mr.J. Townsend), 1786, nuova edizione Londra, 1817, pp. 15, 39, 41. Questo prete «delicato», il cui scritto or ora citato insieme col suo viaggio attraverso la Spagna, è spesso copiato per pagine intere dal Malthus, prese a prestito la maggior parte della sua dottrina da Sir J. Steuart che egli però svisa. Così per esempio quando Steuart dice: «Qui, nella schiavitù, esisteva un metodo di forza per rendere l’umanità laboriosa (a favore dei non-lavoratori)... Gli uomini allora venivano costretti a lavorare (ossia a lavorare gratuitamente per altri), perché erano schiavi altrui; ora gli uomini sono costretti a lavorare (ossia a lavorare gratuitamente per i non-lavoratori) perché sono schiavi dei propri bisogni», non per questo egli ne deduce, come fa il grasso prebendario, che i salariati debbano sempre far la fame. Egli vuole, viceversa, aumentare i loro bisogni e fare del numero crescente dei loro bisogni anche lo sprone del loro lavoro per «coloro che sono più delicati».

91 STORCH, Cours d’Économie Politique, ed. di Pietroburgo, 1815, vol. III, p. 223.

92 SISMONDI Nouveaux Principes ecc., vol. I, pp. 79, 80, 85.

93 DESTUTT DE TRACY, Traité de la Volonté ecc., p. 231. «Les nations pauvres, C’est là où le peuple est à son aise; et les nations riches, c’est là où il est ordinairement pauvre».

94 Tenth Report of the Commissioners of H. M.’s Inland Revenue, Londra, 1866, p. 38.

95 Ivi.

96 Queste cifre sono sufficienti per la comparazione, ma sono errate se considerate in assoluto, poiché circa cento milioni di sterline d’entrate vengono «sottacciuti» ogni anno. La lagnanza dei Commissionere of Inland Revenue per l’inganno sistematico, specialmente da parte di commercianti e industriali, si ripete in tutte le loro relazioni. Così per esempio si trova: «Una società per azioni denunciò i suoi profitti imponibili in 6000 sterline, il revisore li elevò a 88.000 sterline, e alla fine l’imposta fu pagata per quest’ultima somma. Un’altra compagnia denunciò 190.000 sterline e fu costretta a confessare che l’ammontare reale era di 250.000» (ivi, p. 42).

97 Census ecc., p. 29. L’affermazione di John Bright che 150 proprietari fondiari posseggono la metà del suolo inglese e 12 la metà di quello scozzese, non è stata confutata.

98 Fourth Report ecc. of Inland Revenue, Londra, 1860, p. 17.

99 Queste sono le entrate nette, cioè con certe detrazioni legalmente ammesse.

100 In questo momento, marzo 1867, il mercato indo-cinese è di nuovo sovraccarico per gli affari a deposito dei fabbricanti cotonieri inglesi. La riduzione dei salari del 5% è cominciata fra gli operai cotonieri nel 1866; nel 1867 si è avuto uno sciopero di 20.000 uomini a Preston in conseguenza di un’operazione analoga. (Era il preludio della crisi scoppiata subito dopo. F. E.).

101 Census ecc., p. 11.

102 Gladstone alla Camera dei Comuni, 13 febbraio 1843: «It is one of the most melancholy features in the social state of this country that we see, beyond the possibility of denial, that while there is at this moment decrease in the consuming powers of the people, an increase of the pressure of privations and distress; there is at the same time a constant accumulation of wealth in the upper classes, an increase in the luxuriousness of their habits, and of their means of enjoyment» (Times, 14 febbraio, 1843. Hansard, 13 febbraio).

103 «From 1842 to 1852 the taxable income of the country increased by 6 per cent... In the 8 years from 1853 to 1861, it had increased from the basis taken in 1853, 20 per cent! The fact is so astonishing as to be almost incredible... this intoxicating augmentation of wealth and power... entirely confined to classes of property... must be of indirect benefit to the labouring population, because it cheapens the commodities ofgeneral consumption. While the rich have been growing richer, the poor have been growing less poor! at any rate, whether the extremes of poverty are less, I do not presume to say». GLADSTONE alla House of Commons, 16 aprile 1863, Morning Star, 17 aprile.

104 Vedi i dati ufficiali nel libro azzurro Miscellaneous Statistics of the Un. Kingdom, parte VI, Londra, 1866, pp. 260-273 passim. Invece della statistica degli orfanotrofi ecc. potrebbero servire come documentazione anche le declamazioni dei giornali ministeriali per raccomandare la dotazione dei figli della casa reale. Non vi si dimentica mai il rincaro dei mezzi di sussistenza.

105 «Think of those who ore on the border of that region (pauperism)», «wages... in others not increased... human life is but in fine cases out of ten, a struggle for existence» GLADSTONE, House of Commons, 7 aprile 1864. La versione del discorso pubblicata nello Hansard suona: «Again; and yet more at large, what is human life but, in the majority of cases, a struggle for existence» [Ancora, e detto in maniera più generale:che cos’è la vita umana nella maggior parte dei casi, se non una lotta per l’esistenza]. Le continue e stridenti contraddizioni nei discorsi del Gladstone sul bilancio del 1863 e 1864 vengono caratterizzate da uno scrittore inglese con la seguente citazione da Boileau:

«Ecco l’uomo com’è. Va dal bianco al nero,

Condanna la mattina i suoi sentimenti della sera,

Importuno a tutti gli altri, a se Stesso incomodo,

Cambia di mente ogni momento come la moda»

(The theory of Exchanges ecc., Londra, 1864, p. 135).

106 H. FAWCETT, The Economic Position ecc., pp. 67, 82. Per quanto riguarda la crescente dipendenza degli operai dai negozianti, essa è conseguenza dell’accrescersi delle oscillazioni e delle interruzioni dei periodi di occupazione degli operai stessi.

107 Nell’Inghilterra è sempre incluso il Galles, nella Gran Bretagna l’Inghilterra, il Galles e la Scozia, nel Regno Unito questi tre paesi e l’Irlanda.

108 Il fatto che per A. Smith la parola workhouse sia occasionalmente ancora sinonimo di manufactory getta una luce singolare sul progresso compiuto dai tempi di A. Smith in poi. Per esempio all’inizio del suo capitolo sulla divisione del lavoro: «Coloro che sono occupati nei diversi rami del lavoro possono spesso esser riuniti nella medesima casa di lavoro (workhouse)»

109 Public Health. Sixth Report ecc. for 1863, Londra, 1864, p. 13. 110

110 Ivi p. 17.

111 Ivi, p. 13.

112 Ivi, appendice, p. 232.

113 Ivi, pp. 232, 233.

114 Ivi, pp. 14, 15.

115 «In nessun campo i diritti della persona sono stati sacrificati così apertamente e così spudoratamente al diritto di proprietà come negli alloggi della classe lavoratrice. Ogni grande città è un luogo di sacrifici umani, un altare su cui vengono immolate al Moloch dell’avarizia migliaia di persone all’anno» (S. LAING, National Distress, p. 150).

116 Public Health. Eighth Report, Londra, 1866, p. 14, nota.

117 Ivi, p. 89. Riferendosi ai bambini di queste colonie il dott. Hunter dice:

«Non sappiamo come siano stati allevati i bambini prima di questa età di fitta agglomerazione dei poveri, e sarebbe un profeta audace colui il quale volesse predire quale condotta ci sia da aspettarsi da bambini i quali, in condizioni senza parallelo in questo paese, compiono ora la loro educazione per prepararsi ad essere in futuro classi pericolose, stando alzati metà della notte con persone di ogni età, ubriache, oscene e litigiose» (ivi, p. 56).

118 Ivi, p. 62.

119 Report of the Officer of Health of St. Martin’s in the Fields. 1865.

120 Public Health. Eighth Report, Londra, 1866, p. 91.

121 Ivi, p. 88.

122 Ivi, p. 89.

123 Ivi. p. 56

124 lvi, p. 149.

125 Ivi, p. 50.

126 Lista dell’agente di una società d’assicurazione per operai a Bradford:

Vulcan Street, n. 122 1 stanza 16 persone

Lumley Street, n. 13 1 stanza 11 persone

Bower Street, n. 41 1 stanza 11 persone

Portland Street, n. 112 1 stanza 10 persone

Hardy Street, n. 17 1 stanza 10 persone

North Street, n. 18 1 stanza 16 persone

North Street, n. 17 1 stanza 13 persone

Wymer Street, n. 19 1 stanza 8 adulti

Jowett Street, n. 56 1 stanza 12 persone

George Street, n. 150 1 stanza 3 famiglie

Rifle Court Marygate, n. 11 1 stanza 11 persone

Marshall Street, n. 28 1 stanza 10 persone

Marshall Street, n. 49 3 stanza 3 famiglie

George Street, n. 128 1 stanza 18 persone

George Street, n. 130 1 stanza 16 persone

Edward Street, n. 4 1 stanza 17 persone

George Street, n. 49 1 stanza 2 famiglie

York Street, n. 34 1 stanza 2 famiglie

Salt Pie Street 2 stanza 26 persone

Cantine

Regent Square 1 cantina 8 persone

Acre Street 1 cantina 7 persone

Robert’s Court, n. 33 1 cantina 7 persone

Back Pratt Street, usata come officina di ramaio 1 cantina 7 persone

Ebenezer Street, n. 27 1 cantina 6 persone

(Public Health,. Eighth Report, Londra, 1866, p. 111)

127 Public Health. Eighth Report, I.ondra, 1866, p. 114.

128 Ivi, p. 50.

129 Public Health. Seventh Report, Londra, 1865, p. 18.

130 Ivi, p. 165.

131 Ivi, p. 18, nota. Il preposto all’assistenza ai poveri della Chapel-en-le-Frith Union riferisce al registrar generai [direttore generale dei servizi anagrafici]: «A Doveholes è stato fatto un certo numero di piccole cavità in una grande collina di cenere di calce. Queste grotte servono da abitazione ai terrazzieri e ad altri operai occupati nella costruzione della ferrovia; sono strette, umide, senza scolo per le immondizie e senza cessi. Mancano di ogni mezzo di ventilazione, eccettuato un foro nella volta che serve anche da comignolo. Il vaiuolo vi infierisce e ha già causato diversi casi di morte (fra i trogloditi)» (ivi, nota 2).

132 I particolari riferiti nel tomo II, p. 207 sgg. riguardano specialmente gli operai nelle miniere di carbone. Sulle condizioni anche peggiori nelle miniere metallifere cfr. la coscienziosa relazione della Royal Commission del 1864.

133 Public Health. Seventh Report, Londra, 1865, pp. 180, 182.

134 Ivi, pp. 515, 517.

135 Ivi, p. 16.

136 «Morte d’inedia in massa dei poveri di Londra! («whotesale starvation of the London poor!»)... Durante questi ultimi giorni i muri di Londra erano coperti da grandi manifesti che recano il seguente strano annuncio: “Buoi grassi, uomini morenti di fame! I buoi grassi sono andati dai loro palazzi di vetro ad ingrassare i ricchi nelle loro opulenti dimore: mentre gli uomini che muoiono di fame vanno in rovina e muoiono nelle loro misere spelonche“. I manifesti con questa nefasta iscrizione sono attaccati a certi intervalli. Appena una serie è stata tolta o coperta, essa viene subito sostituita da una serie nuova o nello stesso luogo o in luogo egualmente frequentato... La cosa fa ricordare gli omina [cattivi presagi] che prepararono il popolo francese agli avvenimenti del 1789... In questo momento in cui operai inglesi muoiono di freddo e di fame assieme alle loro mogli e ai loro figli, milioni di denaro inglese, prodotto di lavoro inglese, vengono investiti in prestiti esteri russi, spagnoli, italiani e altri» (Reynolds’ Newspaper 20 gennaio 1867).

137 DUCPÉTIAUX, Budgets Économiques ecc., pp. 151, 154, 155, 156.

138 JAMES E. TH. ROGERS (professore di economia politica all’università di Oxford), A History of Agriculture and Prices in England, Oxford, 1866, voI. I, p. 690. Quest’opera, frutto di diligente lavoro, comprende nei due primi volumi finora pubblicati soltanto il periodo dal 1259 al 1400. Il secondo volume contiene soltanto materiale statistico. È questa la prima autentica history of prices [storia dei prezzil che abbiamo per quel periodo

139 Reasons for the late Increase of the Poor-Rates, or a comparative View of the Price of Labour and Provisions, Londra, 1777, pp. 5, 11.

140 Dott. RICHARD PRICE, Observations on Reversionary Payments, 6. ed. a cura di W. Morgan, Londra, 1803, voI. II, pp. 158, 159. Il Price osserva a p. 159: «Il prezzo nominale del lavoro di un giornaliero è ora non più di 4 o tutt’al più di 5 volte quello dell’anno 1514. Ma il prezzo del grano è 7 volte più alto, il prezzo della carne e del vestiario è circa 15 volte più alto. Il prezzo del lavoro è quindi rimasto tanto indietro all’aumento del costo della vita che ora, in proporzione a questo costo, esso non sembra ammontare neanche alla metà di quello che era prima».

141 BARTON, Observations ecc., p. 26. Per la fine del secolo XVIII cfr. EDEN, The State of the Poor.

142 PARRY The Question of the Necessity of existing Corn-Laws considered, p. 80.

143 Ivi, p. 213.

144 S. LAING, National Distress, p. 62.

145 Pauper; povero in latino, ma nell’uso di questo periodo corrisponde al «miserabile» di Victor Hugo, all’estrema indigenza e miseria; non alla povertà, ma alla mendicità. England and America, Londra, 1833, voI. I, p. 47.

146 London Economist, 29 marzo 1845, p. 290.

147 147 L’aristocrazia terriera a questo scopo anticipò a se stessa, dalla cassa dello Stato, naturalmente per mezzo del parlamento, dei fondi a interesse bassissimo, che i fittavoli devono pagarle raddoppiato.

148 La diminuzione dei fittavoli medi risulta specialmente dalle rubriche del «census»:«Figlio del fittavolo, figlio del figlio, fratello, nipote, figlia, figlia della figlia, sorella, nipote» in breve i membri della famiglia occupati dal fittavolo. Queste rubriche contavano neI 1851 216.851 persone, neI 1861 soltanto 176.151. Dal 1851 al 1871 in Inghilterra i poderi affittati di meno di 20 acri sono diminuiti di più di 900; quelli fra i 50 e 75 acri sono scesi da 8.253 a 6.370; similmente per tutti gli altri poderi affittati di meno di 100 acri. All’incontro durante gli stessi 20 anni è aumentato il numero dei grandi poderi affittati; quelli di 300-500 acri sono aumentati da 7.771 a 8.410, quelli di più di 500 acri da 2.755 a 3.914, quelli di più di 1000 acri da 492 a 582.

149 Il numero dei pastori di pecore aumentò da 12.517 a 25.559.

150 Census ecc., p. 36.

151 ROGERS, A History of Agriculture ecc., p. 693. «The peasant has again become a serf», ivi, p. 10. Il signor Rogers fa parte della scuola liberale, è amico personale di Cobden e Bright, quindi non è un laudator temporis acti.

152 Public Health. Seventh Report, Londra, 1865, p. 242. «The cost of the hind is fixed at the lowest possible amount on which he can live.., the supplies of wages or shelter are not calculated on the profit to be derived from him. He is a zero in farming calculations». Non è quindi affatto cosa fuori del comune che il locatore aumenti l’affitto all’operaio non appena senta che questi guadagna un. po’ di più, oppure che il fittavolo abbassi il salario dell’operaio perché sua moglie ha trovato un’occupazione» (ivi).

153 Ivi, p. 135.

154 Ivi, p. 134.

155 Report of the Commissioners... relating to Transportation and Penal Servitude, Londra, 1863, p. 42, n. 50

156 Ivi, p. 77. Memorandum by the Lord Chief Justice

157 Ivi voL II. Evidence.

158 Ivi, vol. I. Appendice, p. 280.

158a Ivi, pp. 274, 275.

159 Public Health. Sixth Report, 1863, pp. 238, 249, 261, 262.

160 Ivi, p. 262.

161 Ivi, p. 17. L’operaio agricolo inglese riceve solo un quarto del latte e solo una metà delle sostanze panificabili che riceve l’operaio agricolo irlandese. Già A. Young nel suo Tour through Ireland dei primi di questo secolo osserva le migliori condizioni alimentari di quell’ultimo. La causa è semplicemente che il povero fittavolo irlandese è senza paragone più umano del ricco fittavolo inglese. Quanto al Galles l’indicazione del testo non vale per il sud-ovest. «tutti i medici del luogo concordano nel dire che l’aumento dell’indice della mortalità a causa della tubercolosi, scrofolosi ecc, cresce d’intensità insieme col peggioramento delle condizioni fisiche della popolazione, e tutti attribuiscono questo peggioramento alla povertà. Il costo di vita giornaliero dell’operaio agricolo vi viene preventivato in 5 pence, in molti distretti il fittavolo (anch’egli molto malandato) paga meno. Un boccone di carne salata, seccata fino a diventare dura come mogano e a mala pena adeguata al difficile processo della digestione, o di lardo, servono a insaporire una gran quantità di brodo, di semola e cipolla o simili, o di farinata d’avena e giorno per giorno il pranzo dell’operaio agricolo è questo...

Il progresso dell’industria ha avuto per lui la conseguenza di soppiantare in questo clima aspro e umido il panno solido filato in casa e le bevande piuttosto forti sostituendoli con stoffe di cotone a buon mercato e con un cosiddetto tè... Dopo essere stato esposto per molte ore al vento e alla pioggia, il coltivatore se ne torna nel suo cottage per sedersi accanto a un fuoco di torba o di pallottole messe insieme con argilla e scarti di carbone, le quali mandano nuvole di acido carbonico e solforico. Le pareti della capanna sono fatte di argilla e di pietre, il pavimento è la nuda terra che vi si trovava prima che fosse costruita la capanna, il tetto è una massa di paglia non battuta e gonfia. Ogni fessura è tappata per mantenere il caldo, e in un’atmosfera di un puzzo diabolico, con sotto di sé un pavimento di melma, spesso con gli unici vestiti che gli si asciugano addosso, il coltivatore consuma la sua cena assieme a moglie e figli. Ostetrici costretti a passare parte della notte in queste capanne hanno descritto come i loro piedi sprofondassero nella melma del pavimento, e come fossero costretti, lavoro assai facile!, a scavare un foro nella parete per procurarsi un po’ di respirazione privata.

Numerosi testimoni di rango diverso attestano che il contadino sottonutrito (underfed) è esposto ogni notte a questi ed altri influssi antiigienici, e del fatto che il risultato sia una popolazione indebolita e scrofolosa, non difettano davvero le prove... Le comunicazioni degli addetti all’assistenza del Carmarthenshire e del Cardiganshire rivelano in pieno il medesimo stato di cose. Vi si aggiunge una pestilenza ancor maggiore, la diffusione dell’idiotismo. E ora ancora le condizioni climatiche. Fortissimi venti da sud-ovest soffiano in tutto il paese durante 8-9 mesi all’anno, portando con sé torrenti di pioggia che si scaricano soprattutto sulle pendici occidentali delle colline. Gli alberi sono rari fuorchè in località coperte; quando si trovano in luoghi esposti, l’infuriare dei venti toglie ad essi ogni forma. Le capanne sono rannicchiate sotto qualche terrazza della montagna, spesso anche in un burrone o in una cava di pietra, solo le pecore più minuscole e i bovini del luogo possono vivere sui pascoli... I giovani se ne vanno nei distretti minerari orientali di Glamorgan e Monmouth... il Carmarthenshire è il vivaio della popolazione mineraria: e anche il loro rifugio quando sono invalidi... La popolazione mantiene solo a stento il suo numero». Così nel Cardiganshire:

                                   1851                 1861

di sesso maschile:        45.155              44.446
      di sesso femminile       52.459              52.955
                        totale       97.614                97.401

(Il Report del dott. HUNTER in Public Health. Seventh Report, 7864, Londra, 1865, pp. 498-502 passim). -

162 Nel 1865 questa legge è stata un po’ corretta. Si imparerà presto con l’esperienza che simili rabberciature non giovano a nulla.

163 Per la comprensione di quanto segue: Close Villages (villaggi chiusi) sono chiamati i villaggi i cui proprietari fondiari sono uno o alcuni grandi landlords; Open - Villages (villaggi aperti) quelli le cui terre sono proprietà di molti piccoli proprietari. E’ in questi ultimi che gli speculatori dell’edilizia possono costruire cottages e case d’alloggio

164 Un villaggio di parata del genere ha un aspetto assai grazioso, ma è irreale come i villaggi che Caterina II vide durante il suo viaggio in Crimea. In questi ultimi tempi anche il pastore di pecore è spesso bandito da questi show-villages. Vicino a Market Harborough si trova per esempio un allevamento di pecore di circa 500 acri, il quale richiede il lavoro di un solo uomo. Per abbreviare le lunghe marce per queste ampie distese, i bei pascoli di Leicester e di Northampton, il pastore soleva tenere un cottage nella fattoria. Ora gli si dà un tredicesimo scellino per l’alloggio che deve cercarsi a gran distanza nel villaggio aperto.

165 «Le case degli operai (nelle località aperte che naturalmente sono sempre sovraffollate) sono per lo più costruite in file, con il dietro sull’orlo estremo del pezzetto di terreno che lo speculatore può chiamar suo. Sono perciò senza luce e senza aria, eccettuata la facciata, (Report del dott. Hunter, ivi, p. 135). Spessissimo il birraio o il bottegaio del villaggio è anche il locatore di queste case: allora l’operaio agricolo trova in lui un secondo padrone accanto al fittavolo, e deve essere anche suo cliente. Con 10 scellini alla settimana, meno un affitto annuo di 4 sterline, è obbligato ad acquistare il suo modicum [razioncina] di tè, zucchero, farina, sapone, candele e birra ai prezzi graditi al bottegaio» (ivi, p. 137). Questi villaggi aperti costituiscono effettivamente le «colonie penali del proletariato agricolo inglese. Molti dei cottages sono semplici locali di pernottamento per dove passa tutta la marmaglia vagabonda dei dintorni. Il lavoratore agricolo e la sua famiglia che spesso avevano serbato in modo veramente mirabile la forza e purezza del carattere malgrado le condizioni più sudice, qui vanno semplicemente in malora. Naturalmente è di moda fra gli Shylock distinti stringersi farisaicamente nelle spalle, quando si parla degli speculatori edili, dei piccoli proprietari e delle località aperte. Sanno benissimo che i loro «villaggi chiusi e villaggi da parata» sono i luoghi di nascita delle «località aperte» e non potrebbero esistere senza queste ultime. «Senza i piccoli proprietari delle località aperte la grande maggioranza degli operai agricoli dovrebbe dormire sotto gli alberi dei fondi su cui lavorano» (ivi, p. 135). Il sistema dei «villaggi aperti» e «chiusi» regna in tutti i Midlands e in tutto l’est dell’Inghilterra.

166 «Il locatore della casa (il fittavolo o il landlord) si arricchisce direttamente o indirettamente con il lavoro di un uomo cui paga 10 scellini alla settimana, e poi sottrae a questo povero diavolo di nuovo 4 o 5 sterline di affitto annuo per case che sul mercato aperto non valgono 20 sterline, ma vengono mantenute a questo prezzo artificiale mediante il potere che il proprietario ha di dire: “O tu prendi la mia casa, o vattene e cercati un pane altrove senza un mio attestato di lavoro “... Se un uomo cerca di migliorare la propria condizione e di esser assunto da una ferrovia per la posa delle rotaie o in una cava di pietra, quello stesso potere è pronto a dire: “ Lavora per me a questo salario basso, oppure vattene con una settimana di disdetta; Prenditi con te il tuo maiale se lo hai, e vedi quanto puoi ricavare delle patate che crescono nel tuo orto “. Se invece l’interesse è in senso contrario, in tal caso il proprietario (risp. fittavolo) preferisce talvolta un aumento dell’affitto come punizione della diserzione del servizio» (Dott. HUNTER Public Health Seventh Report, 1864 p. 132).

167 «Coppie sposate di fresco non costituiscono uno studio edificante per fratelli e sorelle adulti in una stessa stanza da letto; e benché non sia lecito registrare esempi, si hanno dati sufficienti per giustificare l’osservazione che grandi dolori e spesso la morte costituiscono la sorte delle donne che partecipano al reato d’incesto» (Dott. Hunter, iv p. 137). Un funzionario della polizia rurale, che aveva lavorato per molti anni come detective nei peggiori quartieri di Londra, depone sulle ragazze del suo villaggio: «Non ho mai visto eguagliata neppure durante la mia vita di poliziotto nelle parti peggiori di Londra la loro sfacciataggine e impudicizia e la loro precoce immoralità... Vivono come porci, ragazzi e ragazze grandi, madri e padri. tutti dormono spesso insieme nella medesima stanza» (Child. Empl. Comm. Sixth Report, Londra, 1867, appendice, p. 77, n. 155).

168 Public Health Seventh Report, 1864, pp. 9-14 passim.

169 «L’occupazione dello hind che è voluta da Dio (heaven-born) conferisce dignità perfino alla sua posizione. Egli non è uno schiavo, ma un soldato di pace e merita il suo posto in un’abitazione per uomini sposati la quale deve essere fornita dal landiord, il quale fa valere un suo diritto al lavoro forzato come fa il paese nei confronti del militare. Lo hind non riceve per il proprio lavoro il prezzo di mercato, così come non lo riceve il soldato. Come il soldato anch’egli è preso giovane, ignorante, che conosce solo il proprio mestiere e il luogo dove abita. Il matrimonio precoce e l’effetto delle diverse leggi sul domicilio agiscono su di lui come l’arruolamento e la legge sulle sommosse agiscono sull’altro» (Dott. HUNTER, ivi, p. 132). Talvolta qualche landlord dal cuore eccezionalmente tenero si commuove per il deserto ch’egli stesso ha creato. «È cosa malinconica l’esser soli nella propria terra», diceva il conte di Leicester allorchè gli fecero le congratulazioni quando ebbe ultimata la costruzione di Holkham «Mi guardo attorno e non vedo altra casa fuorchè la mia. Sono il gigante della torre dei giganti e ho divorato tutti i miei vicini».

170 Un movimento analogo si ha dagli ultimi decenni in Francia, nella misura in cui la produzione capitalistica vi si impadronisce dell’agricoltura e caccia nelle città la popolazione rurale o in «soprannumero». Anche qui alle origini dei a «soprannumero» si ha un peggioramento delle condizioni d’alloggio e delle altre. Sul particolare «prolétariat foncier» covato dal sistema parcellare, vedi fra l’altro lo scritto del Colins citato sopra, e KARL MARX, Il 18 Brumaio di Luigi Bonaparte, 2. ed., Amburgo, 1869, p. 88 sgg. Nel 1846 la popolazione urbana costituiva in Francia il 24,42%, la rurale il 75,58%, nel 1861 la popolazione urbana il 28,86%, la rurale il 71,14%. Negli ultimi cinque anni la diminuzione della percentuale rurale della popolazione è ancor più forte. Fin dal 1846 Pierre Dupont cantava nei suoi Ouvriers:

Mal vétus, logés dans des trous,

Sous les combles, dans les décombres,

Nous vivons avec les hiboux,

Et les larrons, amis des ombres.

171 Il Report sesto e finale della Child. Empl. Comm., pubblicato alla fine di marzo del 1867, tratta esclusivamente il sistema della gang agricola

172 Child. Empl. Comm. VI Report. Evidence, p. 37, n. 173.

173 Singoli mastri di banda sono riusciti tuttavia a diventare fittavoli di 500 acri o proprietari di file intere di case.

174 «La metà delle ragazze di Ludford è stata rovinata dalla gang». Child. Empl. Comm. VI Rep., appendice, p. 6, n. 32.

175 Il sistema si è diffuso molto negli ultimi anni. In alcuni luoghi è introdotto solo da poco, in altri dove è più inveterato vengono arruolati nella gang bambini in maggior numero e più piccoli (ivi, p. 79, n. 174).

176 «I piccoli fittavoli non impiegano il lavoro delle gangs» «Esso non viene impiegato per terreni poveri, ma per terreni che fruttano da 2 sterline a 2 sterline e 10 scellini di rendita per acro» (Child. Empl. Comm. VI Rep., pp. 17 e 14).

177 A uno di questi signori piacciono tanto le proprie rendite da dichiarare indignato alla commissione d’inchiesta che tutto il chiasso è dovuto semplicemente al nome del sistema. Se invece di «gang» la si battezzasse «associazione giovanile per l’automantenimento cooperativo industriale e agricolo», tutto sarebbe all right.

178 «Il lavoro della gang è più a buon mercato di ogni altro lavoro, ecco la causa per cui viene impiegato», dice un ex mastro di banda (Child. Empl. Comm. VI Rep., p 17, n. 14). «Il sistema della gang è indubbiamente il sistema più a buon mercato per il fìttavolo e altrettanto indubbiamente il più rovinoso per i ragazzi», dice un fittavolo (ivi, p. 16, n. 3).

179 «Senza dubbio alcuno molto lavoro compiuto ora da bambini nelle gangs veniva prima fatto da uomini e donne. Là dove ora si impiegano le donne e i bambini, ora si hanno più uomini disoccupati (more men are out of work) di prima» (Child. Empl. Comm. VI Rep., p. 43, n. 202). Invece fra gli altri: «Il problema dei lavoro (labour question) in molti distretti agricoli, specialmente in quelli produttori di grano, si fa così grave in seguito all’emigrazione e alla facilità che offrono le ferrovie per andarsene nelle grandi città, che io («l’io» è quello dell’agente rurale di un grande signore) ritengo assolutamente indispensabile i servizi dei bambini» (ivi, p. 80, n. 180). The labour question (il problema del lavoro) significa infatti nei distretti agricoli inglesi a differenza del resto del mondo civile, the landlords’ and farmers’ question (il problema dei proprietari fondiari e dei fittavoli): come si possa perpetuare, malgrado l’esodo degli operai agricoli che è in costante aumento, una sufficiente «sovrappopolazione relativa» nelle campagne, e con ciò il «minimo di salario» per l’operaio agricolo?

180 Il Public Health Report da me citato sopra, in cui in occasione della mortalità infantile si tratta di sfuggita del sistema della gang, non giunse a conoscenza della stampa e quindi neanche del pubblico inglese. Invece l’ultima relazione della Child. Empl. Comm. fu per la stampa un foraggio «sensational» gradito. Mentre la stampa liberale domandava come mai i distinti gentlemen e ladies e prebendari della Chiesa di Stato, di cui pullula il Lincolnshire, avessero potuto far sorgere un sistema del genere nei loro fondi, sotto i loro occhi, proprio loro che sogliono inviare agli antipodi le loro missioni per il miglioramento dei costumi dei selvaggi dei mari del sud», dall’altra parte la stampa più distinta faceva esclusivamente delle considerazioni sulla rozza corruzione della gente rurale che è capace di vendere i propri figli in simile schiavitù! Nelle circostanze maledette in cui «i più delicati» hanno confinato il lavoratore agricolo, sarebbe spiegabile che divorasse i propri figli. Quel che è veramente mirabile è la forza di carattere che egli ha in gran parte serbato. I relatori ufficiali dimostrano che nei distretti delle gangs i genitori stessi aborrono il sistema della gang. Si trovano abbondanti prove nelle deposizioni da noi raccolte che i genitori in molti casi sarebbero grati se vi fosse una legge coercitiva che li mettesse in grado di resistere alle tentazioni e alla pressione cui spesso sono soggetti. Ora è l’addetto alla parrocchia, ora il padrone minacciandoli di licenziamento, a spingerli a mandare i bambini a guadagnare invece che a scuola... Tutto il tempo e tutta la forza sperperati, tutte le sofferenze prodotte al lavoratore agricolo e alla sua famiglia da una stanchezza straordinaria e inutile, ogni caso in cui i genitori fanno derivare la rovina morale del loro figlio dal sovraffollamento dei cottages o dagli influssi insozzanti del sistema della gang, eccitano nel petto dei poveri che lavorano sentimenti che ben si comprenderanno e che è inutile descrivere nei particolari. Debbono esser ben consapevoli che molto dolore fisico e spirituale è stato loro inflitto a causa di circostanze di cui essi non sono responsabili in modo alcuno, alle quali, se fosse stato in loro potere, non avrebbero mai dato il consenso, e Contro le quali sono nell’impossibilità di lottare» (Child; Empl. Comm. VI Rep. XX, n. 82 e p. XXIII, n. 96).

181 Popolazione dell’Irlanda: 1801: 5.319.867 persone, 1811: 6.084.996, 1821:6.869.544, 1831: 7.828.347., 1841: 8.222.664.

182 Il risultato apparirebbe più sfavorevole se risalissimo più indietro. Così pecore 1865: 3.688.742, ma 1856: 3.694.294, suini 1865: 1.299.893, ma 1858: 1.409.883.

183 I dati del testo sono compilati con il materiale degli Agricultural Statistics, Ireland. Generai Abstracts, Dublino, per gli anni 1860 sgg., e Agricultural Statistics, Ireland. Tables showing the estimated Average Produce ecc., Dublino, 1866. Si sa che queste statistiche sono ufficiali e sono sottoposte al parlamento ogni anno.

Aggiunta alla 11 edizione. La statistica ufficiale indica per l’anno 1872 una diminuzione della superficie del terreno coltivato — a paragone del 1871 — di 134.915 acri. Vi fu un «aumento» nella coltivazione degli ortaggi, rape, barbabietole ecc.; Una «diminuzione» si ebbe nella superficie del terreno coltivato e cioè di 16.000 acri per il frumento, 14.000 acri per l’avena, 4.000 acri per l’orzo e la segala, 66.632 acri per le patate, 34.667 acri per il lino e 30.000 acri in meno di prati, trifoglio, veccia e colza. Il terreno elencato sotto la rubrica coltivazione a frumento dà per gli ultimi 5 anni la seguente scala decrescente: 1868 - 285.000 acri; 1869 - 280.000 acri; 1870 - 259.000 acri; 1871 - 244.000 acri; 1872 - 228.000 acri. Per il 1872 troviamo In cifra tonda una diminuzione di 2.600 cavalli, 80.000 bovini, 68.609 pecore e una diminuzione di 236.000 suini.

184 Tenth Report of the Commissioners of Inland Revenue, Londra, 1866.

185 Il reddito complessivo annuo della rubrica D si scosta qui dalla tabella precedente a causa di determinate detrazioni ammesse dalla legge.

186 Se il prodotto diminuisce anche relativamente per acro, non si dimentichi che l’Inghilterra ha esportato indirettamente il suolo irlandese da un secolo e mezzo senza concedere ai suoi coltivatori fossero anche soltanto i mezzi per reintegrare le parti costitutive del suolo.

186a Siccome l’Irlanda è considerata la terra promessa del «principio della popolazione», Th. Sadler fece uscire, prima della pubblicazione della sua opera sulla popolazione, il suo celebre libro, Ireland, its Evils and their Remedies, 2. ed., Londra, 1829, in cui, paragonando le statistiche delle singole province, e per ogni provincia quelle delle singole contee, dimostra che la miseria vi regna non, come pretende il Malthus, in proporzione del numero della popolazione, ma in proporzione inversa di questa ultima.

186b Per il periodo dal 1851 al 1874 il numero complessivo degli emigrati ammonta a 2.325.922.

186c Nota alla II edizione. Secondo una tabella in MURPHY, Ireland industrial, political and social, 1870 [ 103], il 94, 6% del suolo costituisce affittanze fino a 100 acri, e il 5,4% affittanze oltre i 100 acri.

186d Reports from the Poor Law Inspectors on the wages of Agricultural Labourer in Ireland Dublino, 1870. Cfr. anche Agricultural Labourers (Ireland) Return ecc., 8 marzo 1861, Londra, 1862.

187 Reports from the Poor Law Inspectors on the wages of Agricultural Labourer in Ireland, cit., p. 29, 1.

187a Ivi, p. 12.

187b Ivi, p.25.

187c Ivi, p.27

187d Ivi, p.26

187e Ivi, p.1.

187f Ivi, p.32.

187g Ivi, p.25.

187h Ivi, p.30.

187i Ivi, pp. 21, 13.

188 Reports of Insp. of Fact. 31st Oct. 1866, p. 96.

188a La superficie totale comprende anche palude torbosa e suolo deserto .

188b Dimostrerò in modo più particolareggiato nel libro III di questo scritto, nella sezione sulla proprietà fondiaria, come la grande carestia e le circostanze che ne furono conseguenza venissero sfruttate sistematicamente sia dai singoli proprietari fondiari sia dalla legislazione inglese per imporre con la forza la rivoluzione agricola e per assottigliare la popolazione dell’Irlanda nella misura confacente ai landlords. Ivi ritornerò anche sulle condizioni dei piccoli fittavoli e degli operai agricoli. Qui basti una citazione. Nassau W. Senior dice fra l’altro nel suo scritto postumo Journals, Conversations and Essays relating to Ireland, 2 volI., Londra, 1868, vol. Il, p. 282: «Molto esattamente il dott. G. osservò che abbiamo la nostra legge sui poveri, e che essa costituisce un grande strumento per dare la vittoria ai landlords; altro strumento è l’emigrazione. Nessun amico dell’Irlanda può augurare che la guerra (fra i landlords e i piccoli fittavoli celti) si prolunghi, meno ancora che finisca con la vittoria dei fittavoli... Quanto prima finirà (questa guerra), quanto prima l’Irlanda diventerà un paese di pascoli (grazing country) dalla popolazione relativamente scarsa che richiede un paese di pascoli, tanto meglio per tutte le classi». Le leggi inglesi sul grano del 1815 assicuravano all’Irlanda il monopolio della libera importazione di grano in Gran Bretagna. Favorivano dunque in maniera artificiosa la coltivazione del grano. Questo monopolio fu annullato improvvisamente nel 1846 con l’abolizione delle leggi sul grano. Astraendo da tutte le altre circostanze basta questo solo avvenimento per dare uno slancio potente alla trasformazione di terre coltivate irlandesi in pascoli, alla concentrazione delle affittanze, e alla Cacciata dei piccoli contadini. Dopo che dal 1815 fino al 1846 si era celebrata la fertilità del suolo irlandese e si era dichiarato ad alta voce che quel suolo era dalla natura stessa destinato alla coltivazione del grano, d’allora in poi improvvisamente gli agronomi, economisti, uomini politici scoprono che non è adatto che a produrre foraggio! Il signor Léonce de Lavergne si è affrettato a ripetere la cosa al di là della Manica. Ci vuole un uomo «serio» alla Lavergne per lasciarsi incantare da simili puerilità.