Il Capitale - Libro I

SEZIONE VI - IL SALARIO

CAPITOLO 20

DIFFERENZA NAZIONALE DEI SALARI

Nel capitolo quindicesimo ci siamo occupati delle molteplici combinazioni che possono esser provocate da un variare della grandezza di valore assoluta o di quella relativa (ossia paragonata al plus valore) della forza-lavoro, mentre d’altra parte la quantità dei mezzi di sussistenza nella quale si realizza il prezzo della forza-lavoro poteva a sua volta percorrere movimenti indipendenti64 o differenti dalle variazioni di questo prezzo. Come già è stato osservato, tutte quelle leggi si trasformano in leggi del movimento del salario mediante una semplice traduzione del valore o del prezzo della forza-lavoro nella forma essoterica del salario. Quello che può apparire entro tale movimento come combinazione variabile, per paesi diversi può apparire come differenza contemporanea di salari nazionali. Quindi, paragonando i salari nazionali, bisogna considerare tutti gli elementi che determinano la variazione della grandezza di valore della forza- lavoro: prezzo e volume dei primi bisogni vitali naturali e storicamente sviluppati, spese di istruzione dell’operaio, funzione del lavoro delle donne e dei fanciulli, produttività del lavoro, grandezza estensiva e intensiva di quest’ultimo. Anche il confronto più superficiale richiede in primo luogo la riduzione del salario giornaliero medio nelle stesse industrie in paesi diversi a giornate lavorative di eguale durata. Dopo tale ragguaglio dei salari giornalieri il salario a tempo deve a sua volta essere tradotto in salario a cottimo, poichè soltanto quest’ultimo è misura sia della produttività sia della grandezza intensiva del lavoro.

In ogni paese vale una certa intensità media del lavoro al di sotto della quale il lavoro consuma nella produzione di una merce più del tempo socialmente necessario, e quindi non conta come lavoro di qualità normale. In un paese dato, solo un grado di intensità che sia al di sopra della media nazionale cambia la misura del valore mediante la semplice durata del tempo di lavoro. Diversamente accade sul mercato mondiale le cui parti integranti sono i singoli paesi. L’intensità media del lavoro varia di paese in paese; ora è maggiore ora è minore. Queste medie nazionali costituiscono quindi una scala la cui unità di misura è la unità media del lavoro universale. A confronto del lavoro meno intenso, il lavoro nazionale più intenso produce dunque nello stesso tempo più valore, che si esprime in più denaro.

Ma la legge del valore viene modificata nella sua applicazione internazionale anche più dal fatto che sul mercato mondiale il lavoro nazionale più produttivo vale anche come lavoro più intenso tutte le volte che la nazione più produttiva non sia costretta dalla concorrenza ad abbassare il prezzo di vendita della sua merce al suo valore.

In un paese, anche la intensità e produttività nazionali del lavoro si innalzano al di sopra del livello internazionale nella stessa misura in cui vi si è sviluppata la produzione capitalistica64a. Le differenti quantità di merce dello stesso genere che sono pro dotte in differenti paesi nell’identico periodo di lavoro, hanno dunque valori internazionali ineguali che si esprimono in prezzi differenti ossia in somme di denaro differenti a seconda dei valori internazionali. Il valore relativo del denaro sarà dunque minore nella nazione che ha un modo di produzione capitalistico più sviluppato che non in quella che lo ha poco sviluppato. Ne consegue quindi che il salario nominale, l’equivalente della forza-lavoro espresso in denaro, sarà anch’esso più alto nella prima nazione che non nella seconda; il che non significa affatto che questo valga anche per il salario reale ossia per i mezzi di sussistenza messi a disposizione dell’operaio.

Ma anche astraendo da questa differenza relativa del valore del denaro nei differenti paesi, si troverà spesso che il salario giornaliero, settimanale, ecc., è più alto nella prima nazione che non nella seconda, mentre il prezzo relativo del lavoro, ossia il prezzo del lavoro in rapporto sia con il plusvalore sia con il valore del prodotto, è più alto nella seconda nazione che non nella prima65.

J. W. Cowell, membro della commissione per le fabbriche del 1833, dopo aver fatto un’accurata inchiesta sulle filande, era giunto al risultato che «in Inghilterra i salari sono virtualmente più bassi per i fabbricanti che sul continente, benchè per l’operaio possano essere più alti» (Ure, p. 314). L’ispettore di fabbrica inglese Alexander Redgrave nella relazione sulle fabbriche del 31 ottobre 1866 documenta, mediante una statistica comparata con gli Stati continentali, che malgrado il salario più basso e il tempo di lavoro molto più lungo, il lavoro continentale è più caro, in rapporto al prodotto, del lavoro inglese. Il direttore (manager) inglese di una fabbrica di cotone a Oldenburg dichiara che ivi il tempo di lavoro dura dalle cinque e mezzo del mattino fino alle otto di sera, incluso il sabato, e che quegli operai, se vigilati da sorveglianti inglesi, non forniscono durante quel periodo tutta la quantità di prodotti che gli inglesi forniscono in dieci ore, e se vigilati da sorveglianti tedeschi ne forniscono ancora molto meno. Che il salario era molto più basso che in Inghilterra, in molti casi del cinquanta per cento, che però il numero delle braccia in proporzione alle macchine era molto maggiore; in diversi dipartimenti la proporzione era di cinque a tre. Il signor Redgrave dà particolari molto precisi sui cotonifici russi. I dati gli sono forniti da un manager inglese che fino a poco tempo prima vi si trovava ancora occupato. Su questa terra russa, così feconda di tutte le infamie, sono in piena fioritura anche tutti i vecchi orrori del periodo d’infanzia delle factories inglesi. I dirigenti sono naturalmente inglesi, giacchè il capitalista russo del luogo non è idoneo a condurre una fabbrica. Malgrado tutto il sopralavoro, l’ininterrotto lavoro diurno e notturno e malgrado il più vergognoso sottopagamento degli operai, i manufatti russi tirano avanti solo in virtù della proibizione dei manufatti esteri. — Infine riporto ancora una rassegna comparativa del signor Redgrave sul numero medio dei fusi per fabbrica e per filatore nei differenti paesi d’Europa. Il signor Redgrave stesso osserva di aver raccolte queste cifre alcuni anni fa e che da quel tempo la grandezza delle fabbriche e il numero dei fusi per operaio sono notevolmente cresciuti in Inghilterra. Ma egli presuppone un progresso relativamente eguale nei paesi continentali enumerati, cosicchè le cifre date avrebbero conservato il loro valore comparativo.

 Numero medio di fusi per ogni fabbrica

In     
Numero medio di fusi per fabbrica
Inghilterra   
 12.800
Svizzera  
8000
Austria   
 7.000
Sassonia  
4.500
Belgio
 4.000
Francia     
 1.500
Prussia   
 1.500

Numero medio di fusi per uomo

In
 Una persona per
Francia   
 14 fusi
Russia      
 28 fusi
Prussia
37 fusi
Baviera
46 fusi
Austria       
 49 fusi
Belgio    
 50 fusi
Sassonia    
 50 fusi
Stati tedeschi minori  
 55 fusi
Svizzera   
 55 fusi
Gran Bretagna
74 fusi

«Questo raffronto», dice il signor Redgrave, «è sfavorevole alla Gran Bretagna, oltre che per altre ragioni, in modo particolare perchè ivi esiste un numero altissimo di fabbriche in cui la tessitura meccanica è unita alla filatura, mentre il computo non detrae nessun uomo per i telai. Le fabbriche estere sono al contrario quasi sempre filande soltanto. Se potessimo paragonare esattamente cosa eguale con cosa eguale, potrei enumerare nel mio distretto molte filande di cotone in cui mules da 2.200 fusi sono sorvegliate da un unico uomo (minder) e da due donne manovali e in cui si fabbricano giornalmente 220 libbre di filato, per 400 miglia (inglesi) di lunghezza» (Reports of Insp. of Fact. 31st Oct. 1866, pp. 31-37 passim).

Si sa che nell’Europa orientale come anche in Asia la costruzione delle ferrovie è stata assunta da compagnie inglesi e che per essa oltre ai lavoratori indigeni viene impiegato anche un certo numero di operai inglesi. Costrette così dalla necessità pratica a tener conto delle differenze nazionali nell’intensità del lavoro, tuttavia le compagnie non ne hanno risentito nessun danno. La loro esperienza insegna che anche se il livello del salario corrisponde più o meno alla intensità media del lavoro, il prezzo relativo del lavoro (in rapporto al prodotto) si muove in generale nel senso opposto.

Nel Saggio sul saggio del salario66, uno dei suoi primi scritti di economia, H. Carey cerca di dimostrare che i differenti salari nazionali stanno fra loro direttamente come i gradi di produttività delle giornate di lavoro nazionali, per dedurre da questo rapporto internazionale che il salario sale e scende in genere come la produttività del lavoro. Tutta la nostra analisi della produzione del plusvalore dimostra l’assurdo di questa deduzione, anche se il Carey avesse dimostrato la sua premessa invece di mischiare alla rinfusa del materiale statistico arraffato acriticamente e in maniera superficiale, come è sua consuetudine. Il più bello si è che egli non sostiene che le cose stiano realmente così, come dovrebbero secondo la teoria. Giacchè l’interferenza dello Stato avrebbe falsato il rapporto economico naturale. Si devono perciò calcolare i salari nazionali come se quella parte che ne tocca allo Stato in forma di imposte, toccasse all’operaio stesso. Non dovrebbe il signor Carey continuare le sue riflessioni per vedere se queste « spese dello Stato» non sono anch’esse «frutti naturali» dello sviluppo capitalistico? Il ragionamento è un tutto degno dell’uomo che prima dichiara che i rapporti di produzione capitalistici sono leggi eterne della natura e della ragione la cui azione liberamente armonica viene turbata solo dall’interferenza dello Stato, per scoprire in seguito che l’influsso diabolico dell’Inghilterra sul mercato mondiale — che deriva, a quanto pare, non dalle leggi naturali della produzione capitalistica, — rende necessaria l’interferenza dello Stato ossia la protezione di quelle leggi della natura e della ragione da parte dello Stato, in altre parole, il sistema protezionistico. Egli ha scoperto inoltre che i teoremi del Ricardo, ecc, nei quali sono formulati antagonismi e contraddizioni sociali esistenti, non sono il prodotto ideale del reale movimento economico, ma che, viceversa, i reali antagonismi della produzione capitalistica in Inghilterra e altrove sono il risultato della teoria del Ricardo e di altri! Infine ha scoperto che in ultima istanza è il commercio che distrugge le innate bellezze e armonie del modo di produzione capitalistico. Un altro passo ed egli scoprirà forse che l’unico inconveniente della produzione capitalistica è il capitale stesso. Solo un uomo di così terrificante mancanza di critica e di simile erudizione de faux aloi (di cattiva lega) meritava di diventare, nonostante la sua eresia protezionistica, la fonte arcana della sapienza armonica di un Bastiat e di tutti gli altri ottimisti liberoscambisti dell’età presente.

Note

64 «Non è esatto dire che i salari» (Si tratta qui del loro prezzo) «sono cresciuti per il fatto che essi possono comperare una maggiore quantità di un articolo più a buon mercato» (David Bachanan nella sua edizione di A. SMITH, Wealth of Nations 1814, vol. I, p. 417, nota).

64a Altrove indagheremo quali circostanze, rispetto alla produttività, possono modificare questa legge per singoli rami della produzione.

65 James Anderson osserva, polemizzando con A. Smith: « Merita parimente osservare che, sebbene il prezzo apparente del lavoro sia di solito più basso nei paesi poveri dove i prodotti del suolo e il grano sono generalmente a buon mercato, esso è in realtà tuttavia più alto che in altri paesi. Giacchè non è il salario dato all’operaio per la sua giornata che costituisce il reale prezzo del lavoro, anche se è il suo prezzo apparente. Il prezzo reale è quello che una determinata quantità di lavoro compiuto costa realmente all’imprenditore; e da questo punto di vista il lavoro è quasi sempre più a buon mercato nei paesi ricchi che in quelli più poveri, benchè in questi ultimi il prezzo del grano e di altri mezzi di sussistenza sia abitualmente molto più basso che non nei primi... Il lavoro retribuito a giornata è molto più a buon mercato in Scozia che in Inghilterra... Il lavoro con salario a cottimo è in generale più a buon mercato in Inghilterra» (JAMES ANDERSON, Observations on the Means of exciting a spirit of National Jndustry ecc., Edimburgo, 1777, pp. 350, 351). Viceversa, il basso livello del salario produce a sua volta il rincaro del lavoro. « Il lavoro è più caro in Irlanda che non in Inghilterra... perchè i salari sono tanto più bassi» (n. 2074 in Royal Commjssion on Railways. Minutes, 1867).

66 Essay on the Rate of Wages: with an Examination of the Causes of the Differences in the Conditions of the Labouring Population throughout the World, Filadelfia, 1835.