Finora, quella parte della giornata lavorativa che produce soltanto un equivalente del valore della forza-lavoro pagato dal capitale, è stata per noi una grandezza costante, lo è di fatto in date condizioni di produzione, a un dato grado di sviluppo economico della società. Oltre questo suo tempo necessario di lavoro, l’operaio poteva lavorare due, tre, quattro, sei ore, ecc. Il saggio del plusvalore e la grandezza della giornata lavorativa dipendevano dalla grandezza di quel prolungamento. Se il tempo necessario di lavoro era costante, la giornata lavorativa complessiva era invece variabile. Si supponga ora una giornata lavorativa la cui grandezza e la cui suddivisione in lavoro necessario e pluslavoro siano date. Per esempio: la linea a -----------------------------c, a ------------- b ------ c, rappresenti una giornata lavorativa di 12 ore, il segmento a----------- b rappresenti 10 ore di lavoro necessario, il segmento b ----- c rappresenti 2 ore di pluslavoro.
Si domanda ora: come si può aumentare la produzione di plusvalore, cioè come si può prolungare il pluslavoro, senza ulteriori prolungamenti, ossia indipendentemente da ogni altro prolungamento di a--------------------- c?
Nonostante che i limiti della giornata lavorativa a -----------------------c siano dati, b ------ c sembra prolungabile, se non mediante estensione oltre il suo termine c, che è anche termine della giornata a --------------------- c, mediante lo spostamento del suo inizio b in direzione opposta, verso a.
Supponiamo che in a---------b1-b--c, b1 --- b sia eguale alla metà di b ------ c, cioè a 1 ora lavorativa. Se ora nella giornata lavorativa a -------------------------- c, di 12 ore, si sposta a b’ il punto b, b ------ c si estenderà a b’ ------------ c, il pluslavoro crescerà della metà, cioè da 2 a 3 ore, benchè la giornata lavorativa conti come prima soltanto 12 ore. Ma questa estensione del pluslavoro da b ------ c a b’ -------------- c, da 2 a 3 ore, è evidentemente impossibile senza una simultanea contrazione del lavoro necessario da a ------------- b ad a ----------b’, da 10 a 9 ore.
Al prolungamento del pluslavoro corrisponderebbe l’accorciamento del lavoro necessario: cioè, una parte del tempo di lavoro, che fin allora l’operaio ha consumato di fatto per se stesso, si trasforma in tempo di lavoro per il capitalista. Quel che vien cambiato, non sarebbe la durata della giornata lavorativa, ma la sua suddivisione in lavoro necessario e pluslavoro.
D’altra parte, la grandezza del pluslavoro è evidentemente data, anch’essa, quando siano dati la grandezza della giornata lavorativa e il valore della forza-lavoro. Il valore della forza-lavoro, cioè il tempo di lavoro richiesto per la produzione di essa, determina il tempo di lavoro necessario per la riproduzione del suo valore.
Se un’ora di lavoro si rappresenta in una quantità d’oro di 6 € e se il valore della forza-lavoro ammonta a 60 € al giorno, l’operaio deve lavorare 10 ore al giorno per reintegrare quel valore giornaliero della sua forza-lavoro che gli è pagato dal capitale, ossia per produrre un equivalente del valore dei mezzi di sussistenza che gli sono necessari giornalmente. Quando è dato il valore di questi mezzi di sussistenza, è dato il valore della forza-lavoro dell’operaio1, e quando è dato questo, è data anche la grandezza del suo tempo di lavoro necessario.
Ma la grandezza del pluslavoro si ottiene sottraendo dalla giornata lavorativa complessiva il tempo necessario di lavoro. Sottraendo 10 ore da 12 ore, ne restano 2; e non è prevedibile come nelle condizioni date il pluslavoro possa venire prolungato oltre 2 ore. Certo, il capitalista può pagare all’operaio solo 54 €, o anche meno, invece di 60 €. Per riprodurre questo valore di 54 € basterebbero nove ore di lavoro; quindi spetterebbero al pluslavoro 3 invece che 2 ore delle 12 che fanno la giornata lavorativa; e il plusvalore stesso salirebbe da 12 € a 18 € . Ma questo risultato sarebbe raggiunto tuttavia soltanto comprimendo il salario dell’operaio al di sotto del valore della forza-lavoro dell’operaio. Coi 54 € che egli produce in 9 ore, l’operaio adesso dispone d’un decimo di mezzi di sussistenza meno di prima, e così ha luogo soltanto una riproduzione deteriorata della sua forza-lavoro. Qui il pluslavoro verrebbe prolungato soltanto sorpassando i suoi limiti normali, i suoi domini verrebbero estesi soltanto con una mutilazione usurpatrice dei domini del tempo di lavoro necessario. Malgrado che questo metodo rappresenti una parte importante nel movimento reale del salario, esso qui viene escluso per il presupposto che le merci, e quindi anche la forza-lavoro, vengano comprate e vendute al loro pieno valore.
Una volta stabilito questo presupposto, il tempo di lavoro necessario per la produzione della forza-lavoro ossia per la riproduzione del suo valore non può diminuire per il fatto che il salario dell’operaio cali al di sotto del valore della sua forza-lavoro, ma può diminuire soltanto quando cali questo valore stesso.
Data la durata della giornata lavorativa, il prolungamento del pluslavoro deve derivare dall’accorciamento del tempo di lavoro necessario, e non viceversa, cioè l’accorciamento del tempo di lavoro necessario non deve derivare dal prolungamento del pluslavoro.
Nel nostro esempio il valore della forza-lavoro deve calare effettivamente di un decimo affinché il tempo di lavoro necessario diminuisca di un decimo, cioè da 10 a 9 ore e affinché per questa ragione il pluslavoro si prolunghi da 2 a 3 ore.
Ma tale diminuzione di un decimo del valore della forza-lavoro comporta, a sua volta, che la stessa massa di mezzi di sussistenza che prima veniva prodotta in 10 ore, ora venga prodotta in 9. Ma ciò è impossibile senza un aumento della forza produttiva del lavoro.
Un calzolaio, per esempio, è in grado di fare, con dati mezzi, in una giornata lavorativa di 12 ore, un paio di stivali. Se dovesse fare due paia di stivali nello stesso tempo, la forza produttiva del suo lavoro dovrebbe raddoppiare; ma essa non può raddoppiare senza un mutamento dei suoi mezzi di lavoro o del suo metodo di lavoro, o dell’uno e degli altri insieme.
Deve dunque subentrare una rivoluzione nelle condizioni di produzione del suo lavoro, cioè nel suo modo di produzione, e quindi nello stesso processo lavorativo. Per aumento della forza produttiva del lavoro intendiamo qui in genere un mutamento nel processo lavorativo per il quale si abbrevia il tempo di lavoro richiesto socialmente per la produzione di una merce, per il quale dunque una minor quantità di lavoro acquista la forza di produrre una maggior quantità di valore d’uso2.
Dunque, mentre nella produzione del plusvalore nella figura che abbiamo fin qui considerato, si supponeva come dato il modo di produzione, per la produzione di plusvalore mediante trasformazione di lavoro necessario in pluslavoro, non basta affatto che il capitale s’impossessi del processo lavorativo nella sua figura storica mente tramandata ossia presente e poi non faccia altro che prolungarne la durata. Il capitale non può fare a meno di metter sotto sopra le condizioni tecniche e sociali del processo lavorativo, cioè lo stesso modo di produzione, per aumentare la forza produttiva del lavoro, per diminuire il valore della forza-lavoro mediante l’aumento della forza produttiva del lavoro, e per abbreviare così la parte della giornata lavorativa necessaria alla riproduzione di tale valore.
Chiamo plusvalore assoluto il plusvalore prodotto mediante prolungamento della giornata lavorativa; invece, chiamo plusvalore relativo il plusvalore che deriva dall’accorciamento del tempo di lavoro necessario e dal corrispondente cambiamento nel rapporto di grandezza delle due parti costitutive della giornata lavorativa.
L’aumento della forza produttiva, se vuol diminuire il valore della forza-lavoro, deve impadronirsi di quei rami d’industria i cui prodotti determinano il valore della forza-lavoro, cioè appartengono. alla sfera dei mezzi di sussistenza abituali, oppure li possono sostituire.
Ma il valore di una merce non è determinato soltanto dalla quantità del lavoro che le dà l’ultima forma, ma anche e altrettanto dalla massa di lavoro contenuta nei suoi mezzi di produzione.
Per esempio: il valore d’uno stivale non è determinato soltanto dal lavoro del calzolaio, ma anche dal valore del cuoio, della pece, del filo, ecc. Dunque, anche l’aumento della forza produttiva e la corrispondente riduzione a più buon mercato delle merci nelle industrie che forniscono gli elementi materiali del capitale costante, cioè i mezzi di lavoro e il materiale di lavoro per la produzione dei mezzi di sussistenza necessari, fanno anch’essi calare il valore della forza — lavoro.
Invece, nelle branche della produzione che non forniscono nè mezzi di sussistenza necessari, né mezzi di produzione per la preparazione di questi, l’aumento della forza produttiva lascia intatto il valore della forza-lavoro.
È ovvio che la merce ridotta più a buon mercato fa calare il valore della forza-lavoro solo pro tanto, cioè soltanto nella proporzione in cui trapassa nella riproduzione della forza-lavoro. Le camicie, per esempio, sono un mezzo di sussistenza necessario, ma sono solo un mezzo di sussistenza fra molti altri. Ch’esse vengano ridotte più a buon mercato, diminuisce soltanto la spesa che l’operaio sostiene per le camicie. La somma complessiva dei mezzi di sussistenza necessari consiste tuttavia solo di merci differenti, tutte prodotti di industrie particolari, e il valore di ognuna di queste merci costituisce sempre una parte aliquota del valore della forza-lavoro. Questo valore decresce col decrescere del tempo di lavoro necessario per la sua riproduzione e l’accorciamento complessivo di questo tempo di lavoro è eguale alla somma dei suoi accorciamenti in tutti quei rami particolari di produzione. Noi qui trattiamo questo risultato generale come se esso fosse risultato immediato e fosse fine immediato in ogni singolo caso. Quando un singolo capitalista riduce più a buon mercato per es. le camicie mediante un aumento della forza produttiva del lavoro, non è affatto necessario che si proponga il fine di far calare pro tanto il valore della forza-lavoro e quindi il tempo di lavoro necessario; ma egli contribuisce ad aumentare il saggio generale del plusvalore solo in quanto e per quanto finisce per contribuire a quel risultato di far calare il valore della forza-lavoro3.
Bisogna distinguere le tendenze generali e necessarie del capitale dalle forme nelle quali esse si presentano.
Ora non abbiamo da considerare come e perché le leggi immanenti della produzione capitalistica si presentino nel movimento esterno dei capitali, come e perché si facciano valere come leggi coercitive della concorrenza e quindi giungano alla coscienza del capitalista individuale come motivi direttivi del suo operare: ma fin da principio è evidente che una analisi scientifica della concorrenza è possibile soltanto quando si sia capita la natura intima del capitale, proprio come il moto apparente dei corpi celesti è intelligibile solo a che ne conosca il movimento reale, ma non percepibile coi sensi. Tuttavia, per intendere la produzione del plusvalore relativo e sul solo fondamento dei risultati già raggiunti, è da osservare quanto segue.
Se 1 ora di lavoro si rappresenta in una quantità d’oro di 6 €, nella giornata lavorativa di 12 ore si produce un valore di 6 x 12 = 72 €. Supponiamo che con la forza produttiva del lavoro data si finiscano in queste 12 ore, 12 pezzi d’una merce e che il pluslavoro sia di 2 ore.
Il valore dei mezzi di produzione, materie prime, ecc. consumate in ogni pezzo, sia di 6 €.
Costo mezzi di produzione | Costo forza lavoro | Plusvalore Totale | valore della merce prodotta |
€ | € | € | € |
72 | 60 | 12 | 144 |
A queste condizioni, la singola merce costa
[(6 x 12) + (6 x 10) + (6 x 2)] : 12 = 144 : 12 = 12 €
cioè 6 € per il valore dei mezzi di produzione e 6 € per il valore nuovo aggiunto nella sua lavorazione.
Supponiamo ora che a un capitalista riesca di raddoppiare la forza produttiva del lavoro e quindi di produrre 24 invece di 12 pezzi di quel genere di merci, nella giornata lavorativa di 12 ore. Rimanendo invariato il valore dei mezzi di produzione,
Costo mezzi di produzione | Costo forza lavoro | Plusvalore | Totale valore della merce prodotta |
€ | € | € | € |
144 | 60 | 12 | 216 |
ora il valore della singola merce cala a
[(6 x 24) + (6 x 10) + (6 x 2)] : 24 = 216 : 24 = 9 €
e, cioè: 6 € per il valore dei mezzi di produzione, 3 € per il nuovo valore aggiunto con l’ultimo lavoro (72 / 24).
Nonostante il raddoppio della forza produttiva, la giornata lavorativa produce anche adesso solo un neovalore di 72 €, come prima: ma questo si distribuisce ora su un numero doppio di prodotti singoli. Quindi ad ogni prodotto tocca ormai soltanto un ventiquattresimo invece di un dodicesimo di questo valore complessivo, 3 € invece di 6 € : ossia, — il che è lo stesso — ora ai mezzi di produzione viene aggiunta soltanto una mezz’ora di lavoro durante la loro trasformazione in prodotti, calcolando pezzo per pezzo, invece di un’ora intera come prima. Il valore individuale di questa merce sta ora al di sotto del suo valore sociale, cioè, essa costa meno tempo di lavoro di quanto ne costi il gran cumulo degli stessi articoli prodotto nelle condizioni sociali medie.
Il pezzo costa in media 12 €, ossia rappresenta due ore di lavoro sociale: col modo di produzione cambiato, costa solo 9 €, ossia contiene solo un’ora e mezza di lavoro sociale.
Ma il valore reale di una merce non è il suo valore individuale, bensì il suo valore sociale: cioè il suo valore sociale non viene misurato mediante il tempo di lavoro che essa costa di fatto al produttore nel singolo caso, ma mediante il tempo di lavoro richiesto socialmente per la sua produzione.
Dunque se il capitalista che applica il nuovo metodo vende la propria merce al suo valore sociale di 12 €, la vende 3 € al di sopra del suo valore individuale realizzando così un plusvalore straordinario di 3 €.
Ma d’altra parte per lui ora la giornata lavorativa di 12 ore è rappresentata da 24 pezzi della merce, invece che dai 12 di prima. Dunque, per vendere il prodotto di una sola giornata lavorativa, egli ha bisogno di uno smercio doppio, ossia di un mercato due volte più grande. Rimanendo invariate per il resto le circostanze, le sue merci conquistano un mercato più vasto solo mediante una contrazione dei loro prezzi. Le venderà quindi al di sopra del loro valore individuale, ma al di sotto del loro valore sociale, diciamo a 10 € il pezzo. Anche in tal caso, ricaverà sempre un plusvalore straordinario di 1 € per ogni singolo pezzo. Per lui, questo aumento del plusvalore ha luogo tanto se la sua merce appartiene alla sfera dei mezzi di sussistenza necessari, e quindi trapassa, con funzione determinante, nel valore generale della forza-lavoro, quanto se ciò non avviene. Fatta astrazione dall’ultima circostanza, per ogni singolo capitalista esiste dunque il motivo per ridurre la merce più a buon mercato aumentando la forza produttiva del lavoro.
Però, anche in questo caso, l’aumento della produzione di plusvalore deriva dall’accorciamento del tempo di lavoro necessario e dal corrispondente prolungamento del pluslavoro3a.
Supponiamo che il tempo di lavoro necessario ammonti a 10 ore, ossia che il valore giornaliero della forza-lavoro ammonti a
6 x 10 = 60 €,
il pluslavoro a 2 ore e quindi il plusvalore prodotto giornalmente a
6 x 2 = 12 €.
Ma ora il nostro capitalista produce 24 pezzi, che vende a 10 € il pezzo, ossia, in tutto, a
10 x 24 = 240 €.
Poichè il valore dei mezzi di produzione è eguale a
6 x 24 = 144 €,
ne deriva che
144 :10 = 14,4 pezzi non fanno che reintegrare il capitale costante anticipato.
La giornata lavorativa di 12 ore è rappresentata nei
24 – 14,4 = 9,6 pezzi che rimangono.
Siccome il prezzo della forza-lavoro è eguale a 60 €, nel prodotto di
60 : 10 = 6 pezzi è rappresentato il tempo di lavoro necessario
e il pluslavoro è rappresentato in
9,6 – 6 = 3,6 pezzi
Il rapporto fra lavoro necessario e pluslavoro, che nelle condizioni sociali medie ammontava a 5 : 1, adesso ammonta soltanto a 5 : 3
Lo stesso risultato si ottiene anche come segue: il valore in prodotti della giornata lavorativa di 12 ore è
10 x 24 = 240 €.
Di questi,
6 x 24 = 144 €
appartengono al valore dei mezzi di produzione, il quale non fa che ripresentarsi.
Rimangono dunque
240 - 144 = 96 € come espressione in denaro del valore nel quale si presenta la giornata lavorativa.
Questa espressione in denaro è più elevata dell’espressione in denaro del lavoro sociale medio dello stesso genere, poichè dodici ore di tale lavoro si esprimono in soli 72 €. Il lavoro di forza produttiva eccezionale opera come lavoro potenziato, ossia crea negli stessi periodi di tempo valori superiori a quelli creati dal lavoro sociale medio dello stesso genere. Ma il nostro capitalista paga ora solo 60 €, come prima, per il valore giornaliero della forza-lavoro.
Quindi ora l’operaio per riprodurre tale valore abbisogna, invece che delle 10 ore di prima, solo di
(12 : 96) x 60 = 7,5 ore
quindi il suo pluslavoro cresce di 2,5 ore, e il plusvalore da lui prodotto cresce da
72 - 60 = 12 € a 96 - 60 = 36 €.
Quindi il capitalista che applica il modo di produzione perfezionato, si appropria per il pluslavoro una parte della giornata lavorativa maggiore di quella appropriatasi dagli altri capitalisti nella stessa industria. Egli fa singolarmente quel che il capitale fa in grande e in generale nella produzione del plusvalore relativo.
Ma d’altra parte quel plusvalore straordinario scompare appena il nuovo modo di produzione si generalizza e con ciò scompare la differenza fra il valore individuale delle merci prodotte più a buon mercato e il loro valore sociale.
Quella stessa legge della determinazione del valore mediante il tempo di lavoro, che si fa sensibile al capitalista possessore del nuovo metodo nella forma del suo dover vendere la propria merce al di sotto del suo valore sociale, costringe i suoi concorrenti, nella forma di legge coercitiva della concorrenza, a introdurre il nuovo modo di produzione4.
Dunque, il saggio generale del plusvalore è insomma intaccato da tutto questo processo soltanto quando l’aumento della forza produttiva del lavoro s’è impadronito di rami di produzione, e dunque ha ridotto più a buon mercato merci che entrano nella cerchia dei mezzi necessari di sussistenza e quindi costituiscono elementi del valore della forza-lavoro.
Il valore delle merci sta in rapporto inverso alla forza produttiva del lavoro; e altrettanto il valore della forza-lavoro, perché determinato da valori di merci. Invece, il plusvalore relativo sta in rapporto diretto alla forza produttiva del lavoro. Cresce col crescere della forza produttiva, e cala col calare di essa. Una giornata lavorativa sociale media di 12 ore, presupponendo invariato il valore del denaro, dà sempre lo stesso prodotto di valore di 72 €, in qualunque modo poi questa somma si distribuisca fra equivalente per il valore della forza-lavoro e plusvalore. Ma se, in seguito all’aumento della forza produttiva, il valore dei mezzi di sussistenza quotidiani e quindi il valore giornaliero della forza-lavoro cala da 60 € a 36 €, allora il plusvalore sale da 12 € a 36 €. Per riprodurre il valore della forza-lavoro, prima erano necessarie dieci ore di lavoro, e ora solo sei. Quattro ore di lavoro sono disponibili e possono venire annesse ai domini del pluslavoro. È quindi istinto immanente e tendenza costante del capitale aumentare la forza produttiva del lavoro per ridurre più a buon mercato la merce, e con la riduzione a più buon mercato della merce ridurre più a buon mercato l’operaio stesso5.
Per il capitalista che produce la merce, il valore assoluto di questa è, in sé e per sé, indifferente: gli interessa solo il plusvalore insito nella merce e realizzabile nella vendita. La realizzazione di plusvalore implica di per se stessa la reintegrazione del valore anticipato. Ora, poichè il plusvalore relativo cresce in proporzione diretta dello sviluppo della forza produttiva del lavoro, mentre il valore delle merci cala in proporzione inversa dello stesso sviluppo, poichè dunque il medesimo e identico processo riduce più a buon mercato le merci e aumenta il plusvalore in esse contenuto, ecco risolto l’enigma perché il capitalista, il quale si preoccupa solo della produzione di valori di scambio, cerchi costantemente di far calare il valore di scambio delle merci: contraddizione con la quale il Quesnay, uno dei fondatori dell’economia politica, tormentava i suoi avversari, e alla quale essi non riuscivano a rispondere. «Voi ammettete», dice il Quesnay, «che nella fabbricazione di prodotti industri quanto più si possono risparmiare, senza svantaggio per la produzione, spese o lavori costosi, tanto più vantaggioso è questo risparmio, poichè diminuisce il prezzo del manufatto. E malgrado ciò voi credete che la produzione della ricchezza che proviene dai lavori degli operai consista nell’aumento del valore di scambio dei loro manufatti»6.
Dunque, nella produzione capitalistica la economia di lavoro mediante lo sviluppo della forza produttiva del lavoro7 non ha affatto lo scopo di abbreviare la giornata lavorativa. Ha solo lo scopo di abbreviare il tempo di lavoro necessario per la produzione di una determinata quantità di merci.
Che per l’aumento della forza produttiva del suo lavoro, l’operaio produca in un’ora per esempioil decuplo di merce di prima e consumi quindi per ogni pezzo il decimo di tempo di lavoro, non impedisce affatto di farlo lavorare dodici ore come prima, e che gli si facciano produrre in queste dodici ore milleduecento pezzi invece dei centoventi di prima. Anzi, la sua giornata lavorativa può essere contemporaneamente prolungata, cosicchè egli adesso produca millequattrocento pezzi in quattordici ore, ecc. Quindi si può leggere in una pagina di economisti dello stampo d’un Mac Culloch, d’un Ure, d’un Senior e tutti quanti, che l’operaio deve esser grato al capitale per lo sviluppo delle forze produttive, perché tale sviluppo abbrevia il tempo di lavoro necessario, e, nella pagina seguente, che l’operaio deve manifestare quella gratitudine lavorando per l’avvenire quindici invece di dieci ore.
Entro i limiti della produzione capitalistica, lo sviluppo della forza produttiva del lavoro ha lo scopo di abbreviare la parte della giornata lavorativa nella quale l’operaio deve lavorare per se stesso, per prolungare, proprio con questo mezzo, l’altra parte della giornata lavorativa nella quale l’operaio può lavorare gratuitamente per il capitalista. Nei metodi particolari di produzione dei plusvalore relativo, che ora passiamo a considerare, si vedrà fino a che punto questo risultato sia raggiungibile anche senza ridurre le merci più a buon mercato.
1 Il valore del salario medio giornaliero è determinato da ciò che occorre all’operaio per «vivere, lavorare e generare» (WILLIAM PETTY, Political Anatomy of Ireland, 1672, p. 64). «Il prezzo del lavoro è sempre costituito dal prezzo dei mezzi di sostentamento necessari». L’operaio non riceve il salario corrispondente «tutte le volte... che il salario dell’operaio non è sufficiente a nutrire una famiglia grande, come capita che molti di essi abbiano, in modo corrispondente al suo basso livello di vita e alla sua situazione di operaio» (J. VANDERLINT, Money answers cit., p. 15). «Il semplice operaio il quale ha solo le sue braccia e la sua laboriosità, non ha nulla, se non in quanto riesce a vendere la sua fatica ad altri... In ogni genere di lavoro si deve arrivare, e di fatto si arriva, al punto che il salario dell’operaio si limita a quanto gli è necessario per il suo sostentamento» (TURGOT, Réflexions ecc., in Oeuvres, ed. Daire, vol. I, p. 10). « Il prezzo dei mezzi di sussistenza è di fatto eguale al costo della produzione del lavoro» (MALTHUS, Inquiry into ecc. Rent, Londra, 1815, p. 48, nota).
2 «Quando si perfezionano le arti, che non è altro che la scoperta di nuove vie, onde si possa compiere una manifattura con meno gente o (che è lo stesso) in minor tempo di prima» (GALIANI, Della Moneta, pp. 158, 159). «L’economia sulle spese di produzione non può essere altro che l’economia sulla quantità di lavoro impiegata nella produzione» (SISMONDI, Etudes ecc., I, p. 22).
3 «Supponiamo che i prodotti del fabbricante siano raddoppiati da perfezionamenti nelle macchine.., egli sarà in grado di vestire i suoi operai con una minore quota parte del suo ricavo complessivo.., e così viene all’operaio una parte minore del ricavo complessivo» (RAMSAY, An Essay on the Distribution ecc., pp. 168, 169).
3a «Il profitto d’un uomo non dipende dal suo poter disporre del prodotto del lavoro d’altri uomini, ma dal suo poter disporre del lavoro stesso. Se egli può vendere le sue merci a un prezzo superiore, mentre i salari dei suoi operai rimangono inalterati, è chiaro che ne trae un beneficio... A mettere in moto quel lavoro è sufficiente una porzione minore di quel ch’egli produce, e di conseguenza ne rimane per lui una porzione maggiore» ( [CAZENOVE] Outlines of Political Economy, Londra, 1832, pp. 49, 50).
4 «Se il mio vicino, facendo molto con poco lavoro, può vendere a buon mercato, io devo fare in modo di vendere a buon mercato come lui. Cosicchè ogni arte, ogni metodo od ogni macchina che operi col lavoro di meno braccia, e di conseguenza più a buon mercato, genera negli altri una specie di costrizione e di emulazione, o di usare la stessa arte, metodo o macchina, o di inventare qualcosa di analogo, in modo che ognuno sia sullo stesso piano, e che nessuno sia in grado di vendere al di sotto del prezzo dei suoi vicini» (The Advantages of the East-India Trade to England, Londra, 1720, p. 67).
5 «In qualunque proporzione le spese di un operaio siano diminuite, nella stessa proporzione sarà diminuito il suo salario, se contemporaneamente saranno eliminate le restrizioni imposte all’industria» (Considerations concerning taking off the Bounty on Corn exported ecc., Londra, 1753, p. 7). «L’interesse dell’industria richiede che il grano e gli altri mezzi di sussistenza siano il più a buon mercato possibile, poichè qualunque cosa li faccia rincarare, fa rincarare per forza anche il lavoro... In tutti i paesi dove non ci sono restrizioni all’industria, il prezzo dei mezzi di sussistenza non può non influire sul prezzo del lavoro. Questo diminuirà sempre, quando le cose necessarie alla vita diventeranno più a buon mercato» (ivi, p. 3). «I salari sono diminuiti nella stessa proporzione in cui le forze produttive aumentano. È vero che le macchine rendono più a buon mercato le cose necessarie alla vita, ma rendono più a buon mercato anche l’operaio» (A Prize Essay on the comparative merits of Competition and Cooperation, Londra, 1834, p. 27)
6 «Ils conviennent que plus on peut, sans préjudice, épargner de frais ou de travaux dispendieux dans la fabrication des ouvrages des artisans, plus cette épargne est profitable par la diminution du prix de ces ouvrages. Cependant il croient que la production de richesse qui résulte des travaux des artisans consiste dans l’augmentation de la valeur vénale de leurs ouvrages» (QUESNAY, Dialogues sur le Commerce et sur les Travaux des Artisans, pp. 188, 189).
7 «Questi speculatori, così economi del lavoro degli operai che dovrebbero pagare » (J. N. BIDAUT, Du Monopole qui s’établit dans les arts industriels et le commerce, Parigi, 1828, p. 13). «Il padrone sarà sempre intento ad economizzare tempo e lavoro» (DUGALD STEWART, Works, edite da Sir W. Hamilton, vol. VIII, Edimburgo, 1855, Lectures on Political Economy, p. 318). «Il loro (dei capitalisti) interesse è che le forze produttive degli operai che essi impiegano siano le più grandi possibili. La loro attenzione è diretta quasi esclusivamente all’aumento di tale forza » (R. JONES, Textbook of lectures ecc., lezione III).