Il Capitale - Libro I

Sezione III - La produzione del plusvalore assoluto

CAPITOLO 5

PROCESSO LAVORATIVO E PROCESSO DI VALORIZZAZIONE

1. PROCESSO LAVORATIVO.

L'uso della forza-lavoro è il lavoro stesso. Il compratore della forza-lavoro la consuma facendo lavorare il suo venditore. Attraverso tale processo quest'ultimo diventa actu quel che prima era solo potentia, forza-lavoro in azione, lavoratore. Per rappresentare il suo lavoro in merci, deve rappresentarlo prima di tutto in valori d'uso, cose che servono alla soddisfazione di bisogni d'una qualche specie. Dunque quel che il capitalista fa eseguire all'operaio è un valore d'uso particolare, un articolo determinato. La produzione di valori d'uso o beni non cambia la sua natura generale per il fatto che essa avviene per il capitalista e sotto il suo controllo. Quindi il processo lavorativo deve essere considerato in un primo momento indipendentemente da ogni forma sociale determinata.

In primo luogo il lavoro è un processo che si svolge fra l'uomo e la natura, nel quale l'uomo per mezzo della propria azione produce, regola e controlla il ricambio organico fra se stesso e la natura: contrappone se stesso, quale una fra le potenze della natura, alla materialità della natura. Egli mette in moto le forze naturali appartenenti alla sua corporeità, braccia e gambe, mani e testa, per appropriarsi i materiali della natura in forma usabile per la propria vita. Operando mediante tale moto sulla natura fuori di sé e cambiandola, egli cambia allo stesso tempo la natura sua propria. Sviluppa le facoltà che in questa sono assopite e assoggetta il gioco delle loro forze al proprio potere.

Qui non abbiamo da trattare delle prime forme di lavoro, di tipo animalesco e istintive. Lo stadio nel quale il lavoro umano non s'era ancora spogliato della sua prima forma di tipo istintivo si ritira nello sfondo lontano delle età primitive, per chi vive nello stadio nel quale il lavoratore si presenta sul mercato come venditore della propria forza-lavoro.

Il nostro presupposto è il lavoro in una forma nella quale esso appartiene esclusivamente all'uomo. Il ragno compie operazioni che assomigliano a quelle del tessitore, l'ape fa vergognare molti architetti con la costruzione delle sue cellette di cera. Ma ciò che fin da principio distingue il peggiore architetto dall'ape migliore è il fatto che egli ha costruito la celletta nella sua testa prima di costruirla in cera. Alla fine del processo lavorativo emerge un risultato che era già presente al suo inizio nella idea del lavoratore, che quindi era già presente idealmente. Non che egli effettui soltanto un cambiamento di forma dell'elemento naturale; egli realizza nell'elemento naturale, allo stesso tempo, il proprio scopo, che egli conosce, che determina come legge il modo del suo operare, e al quale deve subordinare la sua volontà. E questa subordinazione non è un atto singolo e isolato. Oltre lo sforzo degli organi che lavorano, è necessaria per tutta la durata del lavoro, la volontà conforme allo scopo, che si estrinseca come attenzione: e tanto più è necessaria quanto meno il lavoro, per il proprio contenuto e per il modo dell'esecuzione, attrae seco l'operaio; quindi quanto meno questi lo gode come gioco delle proprie forze fisiche e intellettuali.

I momenti semplici del processo lavorativo sono la attività conforme allo scopo, ossia il lavoro stesso; l'oggetto del lavoro; e i mezzi di lavoro.

La terra (nella quale dal punto di vista economico è inclusa anche l'acqua), come originariamente provvede l'uomo di cibarie, di mezzi di sussistenza bell'e pronti1 si trova ad essere, senza contributo dell'uomo, l'oggetto generale del lavoro umano. Tutte le cose che il lavoro non fa che sciogliere dal loro nesso immediato con l'orbe terracqueo, sono oggetti di lavoro che l'uomo si trova davanti per natura. Così il pesce, che vien preso e separato dal suo elemento vitale, l'acqua, il legname che viene abbattuto nella foresta vergine, il minerale strappato dalla sua vena. Se invece l'oggetto del lavoro è già filtrato, per così dire, attraverso lavoro precedente, lo chiamiamo materia prima. Per esempio il minerale già estratto, quando viene sottoposto a lavaggio. Ogni materia prima è oggetto di lavoro; ma non ogni oggetto di lavoro è materia prima. L'oggetto di lavoro è materia prima soltanto quando ha subito un cambiamento mediante il lavoro.

Il mezzo di lavoro è una cosa o un complesso di cose che il lavoratore inserisce fra sé e l'oggetto del lavoro, e che gli servono da conduttore della propria attività su quell'oggetto. L'operaio utilizza le proprietà meccaniche, fisiche, chimiche delle cose, per farle operare come mezzi per esercitare il suo potere su altre cose, conformemente al suo scopo2. Immediatamente - fatta astrazione dall'afferrare mezzi di sussistenza già bell'e pronti, per esempio frutta, nel che gli servono come mezzi di lavoro i soli organi del suo corpo - il lavoratore non s'impadronisce dell'oggetto del lavoro, ma del mezzo di lavoro. Così lo stesso elemento naturale diventa organo della sua attività: un organo che egli aggiunge agli organi del proprio corpo, prolungando la propria statura naturale, nonostante la Bibbia. La terra è non solo la sua dispensa originaria, ma anche il suo arsenale originario di mezzi di lavoro. Per esempio gli fornisce la pietra che gli serve per il lancio, per macinare e limare, per premere e pestare, per tagliare, ecc. La terra stessa è un mezzo di lavoro, eppure presuppone a sua volta, prima di poter servire come mezzo di lavoro nell'agricoltura, tutta una serie di altri mezzi di lavoro e uno sviluppo della forza lavorativa relativamente già elevato3.

In genere, appena il processo lavorativo è sviluppato almeno in piccola parte, ha bisogno di mezzi di lavoro già preparati. Strumenti e armi di pietra si trovano nelle più antiche caverne abitate da uomini. All'inizio della storia dell'umanità, la parte principale fra i mezzi di lavoro, assieme a pietre, legna, ossa e conchiglie lavorate, è rappresentata dall'animale addomesticato, dunque cambiato anch'esso per mezzo del lavoro, allevato4. L'uso e la creazione dei mezzi di lavoro, benché già propri, in germe, di certe specie animali, contraddistinguono il processo lavorativo specificamente umano; per questo il Franklin definisce l'uomo «a toolmaking animal», un animale che fabbrica strumenti. Le reliquie dei mezzi di lavoro hanno, per il giudizio su formazioni sociali scomparse, la stessa importanza che ha la struttura delle reliquie ossee per conoscere l'organizzazione di generi animali estinti. Non è quel che vien fatto, ma come vien fatto, con quali mezzi di lavoro, ciò che distingue le epoche economiche5.

I mezzi di lavoro non servono soltanto a misurare i gradi dello sviluppo della forza lavorativa umana, ma sono anche indici dei rapporti sociali nel cui quadro vien compiuto il lavoro. Fra i mezzi di lavoro i mezzi meccanici di lavoro, il cui complesso possiamo chiamare il sistema osseo e muscolare della produzione, ci offrono note caratteristiche d'una epoca sociale di produzione che sono più decisive di quanto non siano quei mezzi di lavoro che servono soltanto da ricettacoli dell'oggetto di lavoro, e il cui complesso può essere designato in modo del tutto generale come sistema vascolare della produzione, come tubi, botti, ceste, orci, ecc. Questi hanno una funzione importante soltanto quando comincia la fabbricazione chimica5a.

Oltre le cose che trasmettono l'efficacia del lavoro al suo oggetto, e quindi in un modo o nell'altro servono come conduttori dell'attività, il processo lavorativo annovera fra i suoi mezzi, in un senso più ampio, anche tutte le condizioni oggettive che in genere sono richieste affinché esso abbia luogo. Queste condizioni non rientrano direttamente nel processo lavorativo, il quale però senza di esse può non verificarsi affatto, o si verifica solo incompletamente. Il mezzo universale di lavoro di questo tipo è ancora una volta la terra stessa, poiché essa da al lavoratore il locus standi e al processo lavorativo dà il suo campo d'azione (field of employment). Mezzi di lavoro di questo genere già procurati mediante il lavoro sono per esempio edifici di lavoro, canali, strade, ecc.

Dunque nel processo lavorativo l'attività dell'uomo opera, attraverso il mezzo di lavoro, un cambiamento dell'oggetto di lavoro che fin da principio era posto come scopo. Il processo si estingue nel prodotto. Il suo prodotto è un valore d'uso, materiale naturale appropriato a bisogni umani mediante cambiamento di forma. Il lavoro s'è combinato col suo oggetto. Il lavoro si è oggettivato, e l'oggetto è lavorato. Quel che dal lato del lavoratore s'era presentato nella forma del moto, ora si presenta dal lato del prodotto come proprietà ferma, nella forma dell'essere. L'operaio ha filato e il prodotto è un filato.

Se si considera l'intero processo dal punto di vista del suo risultato, cioè del prodotto, mezzo di lavoro e oggetto di lavoro si presentano entrambi come mezzi di produzione6, e il lavoro stesso si presenta come lavoro produttivo7.

Se dal processo lavorativo risulta come prodotto un valore d'uso, in esso entrano come mezzi di produzione altri valori d'uso, prodotti di processi lavorativi precedenti. Lo stesso valore d'uso che è il prodotto di questi ultimi costituisce il mezzo di produzione di quel lavoro. Quindi i prodotti non sono soltanto risultato, ma anche, insieme, condizione del processo lavorativo.Con l'eccezione dell'industria estrattiva che trova in natura il suo oggetto di lavoro, come l'attività mineraria, la caccia, la pesca (l'agricoltura solo in quanto dissoda la terra vergine, in prima istanza), tutte le branche dell'industria trattano un oggetto che è materia prima, cioè oggetto di lavoro già filtrato attraverso il lavoro, che è già anch'esso prodotto del lavoro. Così, per esempio, la semente dell'agricoltura. Animali e piante che si è soliti considerare come prodotti naturali, sono non solo prodotti del lavoro, forse del lavoro dell'anno precedente, ma anche, nella loro forma del momento, prodotti di una trasformazione continuata attraverso molte generazioni, sotto controllo umano, e per mezzo di lavoro umano. E per quel che riguarda in particolare i mezzi di lavoro la loro stragrande maggioranza mostra tracce di lavoro trascorso, anche allo sguardo più superficiale.

La materia prima può costituire la sostanza principale d'un prodotto, oppure può entrare nella sua formazione soltanto come materiale ausiliario. Il materiale ausiliario viene consumato dal mezzo di lavoro, come il carbone dalla macchina a vapore, l'olio dalla ruota, il fieno dal cavallo da tiro, oppure viene aggiunto alla materia prima, per operarvi un cambiamento materiale, come il cloro vien dato alla tela non candeggiata, il carbone vien combinato col ferro, il colore vien dato alla lana; oppure può aiutare a compiere il lavoro stesso, come per esempio i materiali adoperati per l'illuminazione e il riscaldamento del locale di lavoro. La differenza tra materiale principale e materiale ausiliario si dissolve nella fabbricazione di prodotti chimici veri e propri, poiché nessuna della materie prime adoperate torna a presentarsi come sostanza del prodotto8.

Poiché ogni cosa possiede varie proprietà, e quindi è atta a essere applicata a usi differenti, lo stesso prodotto può costituire materia prima di differentissimi processi lavorativi. Per esempio il grano è materia prima per il mugnaio, per il fabbricante d'amido, per il distillatore, per l'allevatore di bestiame, ecc. Come semente diventa materia prima della propria produzione. Così il carbone viene dall'industria mineraria come prodotto, e vi ritorna come mezzo di produzione.Lo stesso prodotto può servire da mezzo di lavoro e da materia prima nello stesso processo lavorativo. Per esempio nell'ingrassamento del bestiame, dove il bestiame, che è la materia prima che quivi si lavora, è anche mezzo della preparazione del concime.Un prodotto che esista in forma finita e pronta per il consumo può tornare a divenire materia prima di un altro prodotto, come l'uva diventa materia prima del vino. In altri casi il lavoro può congedare il suo prodotto in forme nelle quali esso sia usabile soltanto, ancora, come materia prima. La materia prima in questo stato si chiama semifabbricato e si chiamerebbe meglio fabbricato graduale, come per esempio il cotone, il filo, il refe. Benché sia già prodotto essa stessa, la materia prima iniziale può dover passare attraverso tutta una scala di processi distinti nei quali tornerà sempre a funzionare da materia prima, in forma sempre cambiata, fino all'ultimo processo lavorativo, che la distaccherà da sé come mezzo di sussistenza finito o come mezzo di lavoro finito.

Ecco dunque: che un valore d'uso si presenti come materia prima, mezzo di lavoro o prodotto dipende assolutamente dalla sua funzione determinata nel processo lavorativo, dalla posizione che occupa in esso; e col cambiare di questa posizione cambiano quelle determinazioni.

Dunque, col loro ingresso in nuovi processi lavorativi in qualità di mezzi di produzione, i prodotti perdono il carattere di prodotti e funzionano ormai soltanto come fattori oggettivi del lavoro vivente. Il filatore tratta il fuso solo come mezzo col quale fila, il lino come oggetto ch'egli fila. Certo, non si può filare senza materiale da filare e senza fusi: quindi, quando comincia la filatura, la presenza di questi prodotti è presupposta. Ma in questo processo della filatura è indifferente che lino e fusi siano prodotti di lavoro trascorso, quanto è indifferente, nell'atto della nutrizione, che il pane sia il prodotto dei lavori trascorsi del contadino, del mugnaio, del fornaio, ecc. E viceversa. Quando i mezzi di produzione fanno valere nel processo produttivo il loro carattere di prodotti di lavoro trascorso, ciò avviene per mezzo dei loro difetti. Un coltello che non taglia, refe che si strappa continuamente, fan ricordare vividamente il coltellaio A, il filatore B. Quando il prodotto è riuscito, la mediazione delle sue qualità d'uso per opera di lavoro trascorso è estinta.

Una macchina che non serve nel processo lavorativo è inutile, e inoltre cade in preda alla forza distruttiva del ricambio organico naturale. Il ferro arrugginisce, il legno marcisce. Refe non tessuto o non usato in lavori a maglia, è cotone sciupato. Queste cose debbono essere afferrate dal lavoro vivo, che le evochi dal regno dei morti, le trasformi, da valori d'uso possibili soltanto, in valori d'uso reali e operanti. Lambite dal fuoco del lavoro, divenute propria parte di esso come corpi, animate per le funzioni che hanno, secondo la loro definizione e secondo il loro compito, nel processo, certo quelle cose vengono anche consumate, ma appropriatamente, come elementi della formazione di nuovi valori d'uso, di nuovi prodotti, capaci di entrare nel consumo individuale come mezzi di sussistenza o in un nuovo processo lavorativo come mezzi di produzione.Se dunque i prodotti presenti non sono soltanto risultati ma anche condizioni d'esistenza del processo lavorativo, d'altra parte, l'unico mezzo per conservare e realizzare come valori d'uso questi prodotti di lavoro trascorso è gettarli nel processo lavorativo, dunque il loro contatto con il lavoro vivente.

Il lavoro consuma i suoi elementi materiali, i suoi oggetti e il suo mezzo, se ne ciba, ed è quindi processo di consumo. Tale consumo produttivo si distingue dal consumo individuale per il fatto che quest'ultimo consuma i prodotti come mezzi di sussistenza dell'individuo vivente, mentre il primo li consuma come mezzi di sussistenza del lavoro, cioè della attuantesi forza-lavoro dell'individuo stesso. Il prodotto del consumo individuale è quindi lo stesso consumatore, il risultato del consumo produttivo è un prodotto distinto dal consumatore.

In quanto il suo mezzo e il suo oggetto stesso sono già prodotti, il lavoro consuma prodotti per creare prodotti, ossia utilizza prodotti come mezzi di produzione di prodotti. Ma come il processo lavorativo si svolge originariamente soltanto fra l'uomo e la terra che esiste già senza il suo contributo, in esso continuano ancora sempre a servire quei mezzi di produzione che esistono per natura, che non rappresentano nessuna combinazione di materiale naturale e di lavoro umano.

Il processo lavorativo, come l'abbiamo esposto nei suoi movimenti semplici e astratti, è attività finalistica per la produzione di valori d'uso; appropriazione degli elementi naturali pei bisogni umani; condizione generale del ricambio organico fra uomo e natura; condizione naturale eterna della vita umana; quindi è indipendente da ogni forma di tale vita, e anzi è comune egualmente a tutte le forme di società della vita umana. Perciò non abbiamo avuto bisogno di presentare il lavoratore in rapporto con altri lavoratori. Sono stati sufficienti da una parte l'uomo e il suo lavoro, e dall'altra la natura e i suoi materiali. Come dal sapore del grano non si sente chi l'ha coltivato, così non si vede da questo processo sotto quali condizioni esso si svolga, sotto la sferza brutale del sorvegliante di schiavi o sotto l'occhio inquieto del capitalista, non si vede se lo compie Cincinnato arando i suoi pochi jugeri o il selvaggio che abbatte una bestia con un sasso9.

Torniamo al nostro capitalista in spe. L'abbiamo lasciato dopo che aveva acquistato sul mercato tutti i fattori necessari al processo lavorativo, i fattori oggettivi ossia i mezzi di produzione, il fattore personale ossia la forza-lavoro. Ha scelto, con l'occhio scaltro del conoscitore, i mezzi di produzione e le forze-lavoro convenienti al suo genere particolare di operazioni, filatura, calzoleria, ecc. Dunque il nostro capitalista si mette a consumare la merce che ha comprato: la forza-lavoro; cioè fa consumare i mezzi di produzione al detentore della forza-lavoro, all'operaio, attraverso il suo lavoro. Naturalmente la natura generale del processo lavorativo non cambia per il fatto che il lavoratore lo compie per il capitalista invece che per se stesso. Ma neppure la maniera determinata di fare stivali o di filare il refe può cambiare in un primo momento per l'inserirsi del capitalista. In un primo momento questi deve prendere la forza-lavoro come la trova sul mercato; tanto vale anche per il lavoro da essa compiuto, com'era sorto in un periodo nel quale non c'erano ancora capitalisti. La trasformazione anche del modo di produzione attraverso la subordinazione del lavoro al capitale può avvenire solo più tardi, e va quindi considerata più tardi.

Ora, il processo lavorativo nel suo svolgersi come processo di consumo della forza-lavoro da parte del capitalista ci mostra due fenomeni peculiari.

L'operaio lavora sotto il controllo del capitalista, al quale appartiene il tempo dell'operaio. Il capitalista sta attento a che il lavoro si svolga per bene e che i mezzi di produzione vengano impiegati appropriatamente; dunque fa attenzione a che non si sperperi materia prima, e che lo strumento di lavoro non venga danneggiato, cioè che venga logorato soltanto quanto è reso necessario dal suo uso nel lavoro.

Però, in secondo luogo: il prodotto è proprietà del capitalista, non del produttore diretto, dell'operaio. Il capitalista paga, per esempio, il valore giornaliero della forza-lavoro. Dunque per quel giorno l'uso di essa gli appartiene come quello di ogni altra merce, per esempio di un cavallo noleggiato per un giorno. Al compratore della merce appartiene l'uso della merce, e intatti il possessore della forza-lavoro, dando il suo lavoro, non da altro che il valore d'uso che ha venduto. Dal momento che egli è entrato nell'officina del capitalista, il valore d'uso della sua forza-lavoro, cioè l'uso di essa, il lavoro, è appartenuto al capitalista. Questi, mediante la compera della forza-lavoro ha incorporato il lavoro stesso, come lievito vivo, ai morti elementi costitutivi del prodotto, che anch'essi gli appartengono. Dal suo punto di vista il processo lavorativo è semplicemente il consumo della merce forza-lavoro, da lui acquistata, merce ch'egli tuttavia può consumare soltanto aggiungendole mezzi di produzione. Il processo lavorativo è un processo che si svolge fra cose che il capitalista ha comprato, fra cose che gli appartengono. Dunque il prodotto di questo processo gli appartiene, proprio come gli appartiene il prodotto del processo di fermentazione nella sua cantina10.

2. PROCESSO DI VALORIZZAZIONE.

Il prodotto - proprietà del capitalista - è un valore d'uso, refe, stivali, ecc. Ma benché per esempio gli stivali costituiscano in certo senso la base del progresso sociale e il nostro capitalista sia un deciso progressista, egli non fabbrica gli stivali per amor degli stivali. Il valore d'uso non è affatto la cosa qu'on aime pour elle-même, nella produzione delle merci. Quivi in genere i valori d'uso vengono prodotti soltanto perché e in quanto essi sono sostrato materiale, depositari del valore di scambio. E per il nostro capitalista si tratta di due cose: in primo luogo egli vuol produrre un valore d'uso che abbia un valore di scambio, un articolo destinato alla vendita, una merce; e in secondo luogo vuol produrre una merce il cui valore sia più alto della somma dei valori delle merci necessarie alla sua produzione, i mezzi di produzione e la forza-lavoro, per le quali ha anticipato sul mercato il suo buon denaro. Non vuole produrre soltanto un valore d'uso, ma una merce, non soltanto valore d'uso, ma valore, e non soltanto valore, ma anche plusvalore.

In realtà noi abbiamo considerato finora, com'è evidente, soltanto un lato del processo, dato che qui si tratta di produzione di merci. Come la merce stessa è unità di valore d'uso e valore, anche il processo di produzione della merce deve essere unità di processo lavorativo e di processo di formazione di valore.

Consideriamo ora il processo di produzione anche come processo di formazione di valore.

Noi sappiamo che il valore di ogni merce è determinato dalla quantità del lavoro materializzato nel suo valore d'uso, dal tempo di lavoro socialmente necessario per la produzione di essa. Questo vale anche per il prodotto che il nostro capitalista ha ottenuto come risultato del processo lavorativo. Si deve quindi calcolare per prima cosa il lavoro che è aggettivato in questo prodotto.Si tratti, per esempio, di refe.

Per la preparazione del refe è stata necessaria in primo luogo la sua materia prima, per esempio 10 qli di cotone. Non abbiamo da metterci a indagare qual è il valore del cotone, perché il capitalista l'ha comprato sul mercato al suo valore, per esempio a 120 €. Il lavoro richiesto per la produzione del cotone è già rappresentato come lavoro generalmente sociale nel suo prezzo. Ammettiamo inoltre che la massa di fusi che si sono logoranti nella lavorazione del cotone, la quale rappresenta per noi tutti gli altri mezzi di lavoro, abbia un valore di 24 €. Se una massa aurea di 144 € è il prodotto di ventiquattro ore lavorative ossia di due giornate lavorative, ne segue in primo luogo che nel refe sono oggettivate due giornate lavorative.

Non ci deve sconcertare la circostanza che il cotone ha cambiato la sua forma, e che la massa logorata dei fusi è scomparsa del tutto. Secondo la legge generale del valore, per esempio 10 qli di refe sono un equivalente di 10 qli di cotone e di ¼ di fuso quando il valore di 40 qli di refe è eguale al valore di 40 qli di cotone più il valore di 1 fuso intero, vale a dire, quando per produrre le due parti di questa equazione è richiesto lo stesso tempo di lavoro. In questo caso il medesimo tempo di lavoro si presenta, una volta nel valore d'uso refe, l'altra volta nei valori d'uso cotone e fusi. Per il valore è dunque indifferente presentarsi nel refe, nel fuso, o nel cotone. Che fuso e cotone invece di starsene tranquilli l'uno accanto all'altro entrino col processo di filatura in una combinazione che cambia le loro forme d'uso e li trasforma in refe, non tocca il loro valore più che se fossero stati sostituiti con un equivalente in refe per mezzo d'un semplice scambio.

Il tempo di lavoro richiesto per la produzione del cotone è parte del tempo di lavoro richiesto per la produzione del refe del quale esso costituisce la materia prima; perciò è contenuto nel refe. Altrettanto vale per il tempo di lavoro richiesto per la produzione della massa di fusi senza il cui logoramento e consumo non si può filare il cotone11.

Dunque, in quanto si considera il valore del refe, cioè il tempo di lavoro richiesto per la sua produzione, i differenti e particolari processi lavorativi, separati nel tempo e nello spazio, che debbono venir percorsi per produrre il cotone stesso e la massa logorata dei fusi, e infine per fare, con il cotone e coi fusi, il refe, possono venir considerati come fasi distinte e successive di un solo e medesimo processo lavorativo. Tutto il lavoro contenuto nel refe è lavoro trascorso. Che il tempo di lavoro richiesto per la produzione dei suoi elementi costitutivi sia trascorso prima, si trovi cioè al passato remoto, mentre invece il lavoro adoperato direttamente per il processo conclusivo, per la filatura, stia più vicino al presente, e sia al passato prossimo, è una circostanza del tutto indifferente. Se per la costruzione d'una casa è necessaria una determinata misura di lavoro, per esempio trenta giornate lavorative, il fatto che la trentesima giornata lavorativa è passata nella produzione ventinove giorni dopo la prima, non cambia nulla alla quantità complessiva del tempo di lavoro incorporato in quella casa. Così pure il tempo di lavoro contenuto nel materiale lavorativo e nei mezzi di lavoro può essere considerato senz'altro come speso semplicemente in uno stadio precedente del processo della filatura, prima del lavoro applicato in ultimo sotto la forma della filatura.

I valori dei mezzi di produzione, del cotone e dei fusi, espressi nel prezzo di 144 €, sono dunque parti costitutive del valore di refe, cioè del valore del prodotto. Solo che occorre adempiere a due condizioni. Uno: cotone e fusi debbono esser serviti realmente alla produzione d'un valore d'uso. Nel nostro caso, dev'esserne sorto il refe. Per il valore è indifferente quale valore d'uso ne sia il portatore, ma da un valore d'uso deve pur essere portato. Due: si presuppone che sia stato adoperato soltanto il tempo di lavoro necessario nelle condizioni sociali della produzione date nel momento. Se dunque fosse necessaria solo 1 qle di cotone per filare 1 qle di refe, nella preparazione di 1 qle di refe non si dovrebbe consumare più di 1 qle di cotone. Altrettanto per il fuso. Se al capitalista viene la fantasia di adoperare fusi d'oro invece che di ferro, nel valore del refe però quel che conta è soltanto il lavoro socialmente necessario, cioè il tempo di lavoro necessario alla produzione di fusi di ferro.

Adesso sappiamo qual parte del valore del refe costituiscono i mezzi di produzione, cotone e fusi. È eguale a 144 €, cioè alla materializzazione di due giornate lavorative. Ora si tratta dunque della parte del valore che viene aggiunta al cotone dal lavoro del filatore stesso.

Dobbiamo ora considerare questo lavoro da un punto di vista del tutto differente da quello usato durante il processo lavorativo. Là si trattava dell'attività, idonea al suo fine, di trasformare il cotone in refe. Tanto più appropriato allo scopo il lavoro, tanto migliore il refe, presupponendo che tutte le altre circostanze rimangano eguali. Il lavoro del filatore era distinto specificamente da altri lavori produttivi e la distinzione si manifestava soggettivamente e oggettivamente, nello scopo particolare della filatura, nella particolarità delle sue operazioni, nella natura particolare dei suoi mezzi di produzione, nel particolare valore d'uso del prodotto di essa; cotone e fuso servono quivi come mezzi di sussistenza del lavoro di filatura, ma con essi non si possono fare cannoni rigati. Invece, appena il lavoro del filatore è produttivo di valore, cioè fonte di valore, esso non è affatto distinto dal lavoro del rigatore di cannoni, ossia, ed è ciò che qui più ci importa, non è affatto distinto dai lavori del piantatore di cotone e del fusaio. Soltanto per questa identità il coltivare cotone, fare fusi e filare possono costituire parti del medesimo valore complessivo, del valore del refe, distinte solo quantitativamente. Qui non si tratta più della qualità, della natura e del contenuto del lavoro, ma ormai soltanto della sua quantità. E questa ha da essere semplicemente contata. Supponiamo che il lavoro di filatura sia lavoro semplice, lavoro sociale medio. Più avanti vedremo che l'ipotesi opposta non cambia niente alla cosa.

Durante il processo lavorativo il lavoro si converte continuamente dalla forma dinamica in quella dell'essere, dalla forma del movimento in quella dell'oggettività. Alla fine di un'ora il movimento della filatura si presenta in una quantità determinata di refe, cioè in una quantità determinata di lavoro; è un'ora di lavoro, oggettivata nel cotone. Diciamo ora di lavoro; cioè dispendio di forza vitale del filatore durante un'ora, poiché qui il lavoro della filatura conta soltanto in quanto dispendio di forza-lavoro, non in quanto è il lavoro specifico del filare.

Ora, è d'importanza decisiva che per tutta la durata del processo, cioè della trasformazione del cotone in refe, venga consumato soltanto il tempo di lavoro socialmente necessario. Se in condizioni di produzione normali, cioè in condizioni sociali medie, a qli di cotone debbono essere trasformati durante una ora lavorativa in b Qli di refe, solo la giornata lavorativa che trasforma 12 a qli di cotone in 12 b qli di refe conta come giornata lavorativa di 12 ore. Poiché soltanto il tempo di lavoro socialmente necessario conta come creatore di valore.

Come il lavoro, anche la materia prima e il prodotto appaiono qui in una luce del tutto differente da quella del punto di vista del processo lavorativo vero e proprio. La materia prima si presenta qui come assorbente di una determinata quantità di lavoro. Infatti essa si trasforma in refe mediante questo assorbimento perché la forza-lavoro è stata spesa in forma di filatura e le è stata aggiunta. Ma adesso il prodotto, il refe, è ormai soltanto misura del lavoro assorbito dal cotone.

Se in un'ora vien filata ossia trasformata in 1 qle e 2/3 di refe 1 qle e 2/3 di cotone, 10 qli di refe indicano 6 ore lavorative assorbite. Determinate quantità di prodotto, fissate in base alla esperienza, non rappresentano ormai altro che determinate quantità di lavoro, masse determinate di tempo di lavoro cristallizzato. Ormai sono semplicemente materializzazione di un'ora, di due ore, d'un giorno di lavoro sociale.

Che il lavoro sia per l'appunto lavoro di filatura, la sua materia prima il cotone e il suo prodotto il refe, qui diventa tanto indifferente quanto che l'oggetto del lavoro sia anch'esso già prodotto, e quindi materia prima. Se l'operaio fosse occupato nella miniera di carbone invece che nella filanda, l'oggetto del lavoro, il carbone, sarebbe presente per natura. Tuttavia una quantità determinata di carbone estratto dalla vena, per esempio, un quintale, rappresenterebbe una quantità determinata di lavoro assorbito.

Per la vendita della forza-lavoro si era presupposto che il suo valore giornaliero fosse eguale a 36 € e che in questi fossero incorporate 6 ore lavorative, e che dunque per produrre la somma media dei mezzi di sussistenza giornalieri del lavoratore fosse richiesta tale quantità di lavoro. Ora, se il nostro filatore durante un'ora lavorativa trasforma 1 qle e 2/3 di cotone in 1 qle e 2/3 di refe12, in 6 ore trasformerà 10 qli di cotone in 10 qli di refe. Quindi durante il processo di filatura il cotone assorbe 6 ore lavorative. Lo stesso tempo di lavoro è rappresentato da una quantità d'oro di 36 €. Dunque mediante la filatura stessa viene aggiunto al cotone un valore di 36 €.

Guardiamo ora il valore complessivo del prodotto, cioè ai 10 qli di refe. In questi 10 qli sono oggettivate 2 giornate lavorative e mezza; 2, contenute nel cotone e nel fuso, mezza, di lavoro assorbito durante il processo della filatura. Il medesimo tempo di lavoro è rappresentato in una massa d'oro di 180 €. Dunque il prezzo adeguato al valore dei 10 qli di refe ammonta a 180 €, il prezzo di 1 qle di refe a 18 €.

Il nostro capitalista si adombra: il valore del prodotto è eguale al valore del capitale anticipato. Il valore anticipato non si è valorizzato, non ha generato nessun plusvalore, e così il denaro non si è trasformato in capitale. Il prezzo dei 10 qli di refe è di 180 € e 180 € erano stati spesi al mercato per gli elementi costitutivi del prodotto, cioè, il che è la stessa cosa, per i fattori del processo lavorativo: 120 € per il cotone, 24 € per la massa dei fusi logorati e 36 € per la forza-lavoro. Non serve a niente che il valore del refe sia gonfiato, poiché questo suo valore è soltanto la somma dei valori che prima erano distribuiti fra il cotone, il fuso e la forza-lavoro; e da tale semplice addizione di valori esistenti non può sorgere né ora né mai un plusvalore13. Ora questi valori tono tutti concentrati su di una cosa sola, ma altrettanto accadeva per la somma di denaro di 180 €, prima che questa si frantumasse attraverso tre acquisti di merce.

In sé e per sé questo risultato non è strano. Il valore di 1 qle di refe è 18 € e quindi per 10 qli di refe il nostro capitalista avrebbe dovuto pagare sul mercato 180 €. Che egli comperi la sua abitazione privata bell'e fatta, sul mercato, o che se la faccia costruire, nessuna di queste due operazioni aumenterà il denaro sborsato nel procurarsi la casa.

Forse il capitalista, che sa il fatto suo quanto a economia politica volgare, dirà di aver anticipato il suo denaro con l'intenzione di farne più denaro. Ma di buone intenzioni è lastricata la via dell'inferno, e tanto varrebbe che avesse l'intenzione di far denaro senza produrre14. Minaccia che non ci cascherà più. In futuro comprerà la merce bell'e fatta sul mercato, invece di fabbricarla egli stesso. Ma se tutti i suoi fratelli capitalisti faranno altrettanto, dove trovare la merce sul mercato? E non può mangiare denaro. Si mette a catechizzare: si rifletta alla sua astinenza. Avrebbe potuto scialacquare i suoi 180 €. Invece, li ha consumati produttivamente e ne ha fatto del refe. Ma in compenso, ha ben del refe invece di rimorsi. E non deve a nessun costo ricadere nella parte del tesaurizzatore che ci ha mostrato qual è il risultato dell'ascetismo. E poi, dove non c'è niente, l'imperatore non ha più diritti. Qualunque possa essere il merito della rinuncia del capitalista, non c'è nulla per pagarla a parte, poiché il valore del prodotto che risulta dal processo lavorativo è eguale soltanto alla somma dei valori delle merci immessevi. Se ne resti dunque quieto pensando che della virtù la virtù è premio. Invece, il capitalista diventa indiscreto. Il refe è inutile per lui. L'ha prodotto per venderlo. E che lo venda; - oppure, più semplicemente ancora, in futuro produca solo per il suo fabbisogno personale, come dice la ricetta che gli ha prescritto il suo medico curante MacCulloch come mezzo sperimentato contro l'epidemia della sovrapproduzione. Il capitalista s'inalbera: allora l'operaio avrebbe creato dal nulla, con le sole sue braccia, i frutti del lavoro, avrebbe prodotto merci dal nulla? Non è stato lui, il capitalista, a dargli il materiale col quale e nel quale soltanto quegli può incarnare il suo lavoro? E poiché la maggior parte della società consiste di questi nullatenenti, non ha reso alla società, coi suoi mezzi di produzione, il suo cotone e i suoi fusi, un servizio incommensurabile, e così all'operaio, che ha per giunta provveduto di mezzi di sussistenza? E non deve mettere in conto questo servizio? E l'operaio non gli ha reso il servizio di trasformare cotone e fuso in refe?

Inoltre, qui non si tratta di servizi15. Un servizio non è altro che l'effetto utile d'un valore d'uso, sia della merce, sia del lavoro16. Ma quello che conta qui è il valore di scambio. Il capitalista ha pagato all'operaio il valore di 36 €. L'operaio gli ha restituito un equivalente esatto nel valore di 36 € aggiunto al cotone: gli ha restituito valore per valore. Il nostro amico, che poco fa era ancora tanto fiero del suo capitale, assume d'un tratto il contegno modesto del proprio operaio. Non ha lavorato anche lui? Non ha compiuto il lavoro di sorveglianza, di sovraintendenza nei confronti del filatore? E questo suo lavoro non crea valore anch'esso? Il suo sorvegliante e il suo direttore si stringono nelle spalle. Ma intanto il capitalista ha ripreso, ridendo allegramente, la sua antica fisionomia. Ci ha voluto canzonare, con tutta quella litania. Non gliene importa niente. Lascia questi sciocchi pretesti e questi vuoti sofismi ai professori di economia politica, che proprio per questo sono pagati. Egli è un uomo pratico, che fuori degli affari non riflette sempre a quel che dice, ma negli affari sa sempre quel che fa.

Vediamo un po' più da vicino. Il valore giornaliero della forza-lavoro ammontava a 30 € perché in esso è oggettivata una mezza giornata lavorativa, cioè perché i mezzi di sussistenza necessari giornalmente alla produzione della forza-lavoro costano una mezza giornata lavorativa. Ma il lavoro trapassato, latente nella forza-lavoro, e il lavoro vivente che può fornire la forza-lavoro, cioè i costi giornalieri di mantenimento della forza-lavoro e il dispendio giornaliero di questa sono due grandezze del tutto distinte. La prima determina il suo valore di scambio, l'altra costituisce il suo valore d'uso. Che sia necessaria una mezza giornata lavorativa per tenerlo in vita per ventiquattro ore, non impedisce affatto all'operaio di lavorare per una giornata intera. Dunque il valore della forza-lavoro e la sua valorizzazione nel processo lavorativo sono due grandezze differenti. A questa differenza di valore mirava il capitalista quando comperava la forza-lavoro. L'utile qualità di produrre refe e stivali, propria della forza-lavoro, era per il capitalista soltanto la conditio sine qua non, poiché, per creare valore, il lavoro dev'essere speso in forma utile: ma decisivo era invece il valore d'uso specifico di questa merce, che è quello di esser fonte di valore, e di più valore di quanto ne abbia essa stessa. Questo è il servizio specifico che il capitalista se ne aspetta. E in questo egli procede secondo le eterne leggi dello scambio delle merci. Di fatto, il venditore della forza-lavoro realizza il suo valore di scambio e aliena il suo valore d'uso, come il venditore di qualsiasi altra merce. Non può ottenere l'uno senza cedere l'altro. Il valore d'uso della forza-lavoro, il lavoro stesso, non appartiene affatto al venditore di essa, come al negoziante d'olio non appartiene il valore d'uso dell'olio da lui venduto. Il possessore del denaro ha pagato il valore giornaliero della forza-lavoro; quindi a lui appartiene l'uso di essa durante la giornata, il lavoro di tutt'un giorno. La circostanza che il mantenimento giornaliero della forza-lavoro costa soltanto una mezza giornata lavorativa, benché la forza-lavoro possa operare, cioè lavorare, per tutta una giornata, e che quindi il valore creato durante una giornata dall'uso di essa superi del doppio il suo proprio valore giornaliero, è una fortuna particolare per il compratore, ma non è affatto un'ingiustizia verso il venditore.

II nostro capitalista ha previsto questo caso, che lo mette in allegria. Quindi il lavoratore trova nell'officina non solo i mezzi di produzione necessari per un processo lavorativo di 6 ore, ma quelli per 12 ore. Se 10 qli di cotone hanno assorbito 6 ore lavorative e si sono trasformati in 10 qli di refe, 20 qli di cotone assorbiranno 12 ore di lavoro e si trasformeranno in 20 qli di refe. Consideriamo il prodotto del processo lavorativo prolungato. Adesso nei 20 qli di refe sono oggettivate 5 giornate lavorative: 4, nella massa di cotone e di fusi consumata; 1, assorbita dal cotone durante il processo di filatura. Ma l'espressione in oro di 5 giornate lavorative è: 360 €. Questo è dunque il prezzo dei 20 qli di refe. Il quintale di refe costa, come prima, 18 €. Ma il totale del valore delle merci immesse nel processo ammontava a 324 €. Il valore del refe ammonta a 360 €. Il valore del prodotto è cresciuto di un nono oltre il valore anticipato per la sua produzione. Così 324 € si sono trasformati in 360 €. Hanno deposto un plusvalore di 36 €. Il colpo è riuscito, finalmente. Il denaro è trasformato in capitale.

Tutti i termini del problema sono risolti e le leggi dello scambio delle merci non sono state affatto violate. Si è scambiato equivalente con equivalente; il capitalista, come compratore, ha pagato ogni merce al suo valore, cotone, massa dei fusi, forza-lavoro; poi ha fatto quel che fa ogni altro compratore di merci; ha consumato il loro valore d'uso. Il processo di consumo della forza-lavoro che insieme è processo di produzione della merce, ha reso un prodotto di 20 qli di refe del valore di 360 €. Il capitalista torna ora sul mercato e vende merce, dopo aver comprato merce. Vende il quintale di cotone a 18 €, non un quattrino più o meno del suo valore. Eppure trae dalla circolazione 36 € di più di quelli che vi ha immesso inizialmente.

Tutto questo svolgimento di trasformazione in capitale del denaro del nostro capitalista, avviene e non avviene nella sfera della circolazione. Avviene attraverso la mediazione della circolazione, perché ha la sua condizione nella compera della forza-lavoro sul mercato delle merci; non avviene nella circolazione, perché questa non fa altro che dare inizio al processo di valorizzazione, il quale avviene nella sfera della produzione. E così «tout est pour le mieux dans le meilleur des mondes possibles ».

Il capitalista, trasformando denaro in merci che servono per costituire il materiale di un nuovo prodotto ossia servono come fattori del processo lavorativo, incorporando forza-lavoro vivente alla loro morta oggettività, trasforma valore, lavoro trapassato, oggettivato, morto, in capitale, in valore autovalorizzantesi; mostro animato che comincia a «lavorare» come se avesse amore in corpo.

Ma confrontiamo il processo di creazione di valore e il processo di valorizzazione: quest'ultimo non è altro che un processo di creazione di valore prolungato al di là di un certo punto. Se il processo di creazione di valore dura soltanto fino al punto nel quale il valore della forza-lavoro pagato dal capitale è sostituito da un nuovo equivalente, è processo semplice di creazione di valore; se il processo di creazione di valore dura al di là di quel punto, esso diventa processo di valorizzazione.

Inoltre, se confrontiamo il processo di creazione del valore col processo lavorativo, quest'ultimo consiste nel lavoro utile, che produce valori d'uso. Qui il movimento viene considerato qualitativamente, nel suo modo e nella sua caratteristica particolari, secondo il suo fine e il suo contenuto. Il medesimo processo lavorativo si presenta invece solo dal suo lato quantitativo nel processo di creazione del valore. Qui si tratta ormai soltanto del tempo del quale il lavoro abbisogna per condurre a termine le sue operazioni, ossia della durata del dispendio utile di forza-lavoro. Qui anche le merci che vengono immesse nel processo lavorativo non valgono più come fattori materiali, determinati in base alla loro funzione, della forza-lavoro operante per il proprio fine: contano ormai soltanto come quantità determinate di lavoro oggettivato. Che sia contenuto nei mezzi di produzione o che venga aggiunto mediante la forza-lavoro, il lavoro conta ormai soltanto secondo la sua misura di tempo. Ammonta a tante ore, tante giornate, ecc.

Tuttavia il lavoro conta solo in quanto il tempo consumato per la produzione del valore d'uso è necessario socialmente. Ciò comprende vari elementi. La forza-lavoro deve funzionare in condizioni normali. Se la filatrice meccanica è il mezzo di lavoro per la filatura che predomina nella società, non si può mettere fra le mani dell'operaio un filatoio a mulinello. L'operaio non deve ricevere, invece di cotone di bontà normale, dello scarto che si strappi ad ogni momento. In tutti e due i casi, egli consumerebbe per la produzione di un quintale di refe più del tempo di lavoro socialmente necessario, e questo tempo eccedente non creerebbe valore o denaro. Tuttavia, il carattere normale dei fattori oggettivi del lavoro non dipende dall'operaio, ma dal capitalista. Un'altra condizione è il carattere normale della forza-lavoro stessa. Questa deve possedere, per la specialità nella quale viene adoperata, la misura media prevalente di attitudine, rifinitura e sveltezza. Ma il nostro capitalista ha comprato sul mercato del lavoro forza-lavoro di bontà normale. Questa forza dev'essere spesa con la misura media abituale di sforzo, nel grado d'intensità usuale in quella data società. Il capitalista veglia a ciò con lo stesso scrupolo che mette in atto perché non si sprechi tempo senza lavorare. Ha comprato la forza-lavoro per un periodo determinato, e ci tiene ad avere il suo. Non vuole essere derubato. E infine - e per questo lo stesso personaggio ha un proprio code pénal - non ci deve essere nessun consumo irrazionale di materia prima e di mezzi di lavoro, perché materiale o mezzi di lavoro sciupati rappresentano quantità di lavoro oggettivato spese in maniera superflua, e quindi non contano e non entrano nel prodotto della creazione del valore17.

Vediamo ora che la distinzione precedentemente ottenuta attraverso l'analisi della merce, fra il lavoro in quanto crea valore d'uso, e il medesimo lavoro in quanto crea valore, si è ora presentata come distinzione fra i differenti aspetti del processo di produzione.

Il processo di produzione, in quanto unità di processo lavorativo e di processo di creazione di valore, è processo di produzione di merci; in quanto unità di processo lavorativo e di processo di valorizzazione, è processo di produzione capitalistico, forma capitalistica della produzione delle merci.

Abbiamo già notato che per il processo di valorizzazione è del tutto indifferente che il lavoro appropriatosi dal capitalista sia lavoro semplice, lavoro sociale medio, oppure lavoro più complesso, lavoro di importanza specifica superiore. Il lavoro che viene stimato come lavoro superiore, più complesso, in confronto al lavoro sociale medio, è l'estrinsecazione d'una forza-lavoro nella quale confluiscono costi di preparazione superiori, la cui produzione costa più tempo di lavoro, e che quindi ha valore superiore a quello della forza-lavoro semplice. Se il valore di questa forza è superiore, essa si manifesterà anche in lavoro superiore e si oggettiverà quindi, negli stessi periodi di tempo, in valori relativamente superiori. Tuttavia, qualunque sia la differenza fondamentale fra lavoro di filatura e lavoro di gioielleria, la porzione di lavoro per mezzo della quale il lavorante gioielliere non fa che reintegrare il valore della propria forza-lavoro, non si distingue affatto qualitativamente dalla porzione aggiuntiva di lavoro con la quale egli crea plusvalore. In entrambi i casi, il plusvalore risulta soltanto attraverso un'eccedenza quantitativa di lavoro, attraverso la durata prolungata del medesimo processo produttivo, in un caso, processo di produzione di refe, nell'altro, processo di produzione di gioielli18.

D'altra parte, in ogni processo di creazione di valore il lavoro superiore dev'essere ridotto sempre a lavoro sociale medio, per esempio una giornata di lavoro superiore deve essere ridotta a x giornate di lavoro semplice19. Dunque, con l'ipotesi che l'operaio adoperato dal capitale compia lavoro sociale medio semplice si risparmia un'operazione superflua e si semplifica l'analisi.

NOTE

1 «Poiché le spontanee produzioni della terra sono di piccola quantità e del tutto indipendenti dall'uomo, sembrano essere state fornite dalla natura proprio come si da a un giovanotto una piccola somma affinché si metta sulla strada dell'industriosità e possa fare la sua fortuna» (JAMES STEUART, Principles of political economy, ed. Dublino, 1770, vol. I, p. 116).

2 «La ragione è tanto astuta quanto potente. L'astuzia consiste in genere nell'attività mediatrice, la quale, facendo agire gli oggetti gli uni sugli altri conformemente alla loro propria natura e facendoli logorare dal lavorio dell'uno sull'altro, mentre non s'immischia immediatamente in questo processo, non fa tuttavia che portare a compimento il proprio fine») (HEGEL, Enzyklopädie, parte prima, Logica, Berlino, 1840, p. 382).

3 Il Ganilli nel suo scritto, del resto assai misero, Théorie de l’économie politique, Parigi, 1815, enumera giustamente, contro i fisiocratici, la lunga serie di processi di lavoro che costituiscono il presupposto dell’agricoltura vera e propria.

4 Nelle Réflexions sur la formation et la distribution des richesses (1766) il TURGOT spiega bene l'importanza dell'animale addomesticato per gli inizi della civiltà.

5 Fra tutte le merci le vere e proprie merci di lusso sono le meno importanti per il confronto tecnologico fra differenti epoche di produzione.

5a Nota alla seconda edizione. Per quanto poco la storiografia che si è avuta sinora conosca lo svolgimento della produzione materiale, e dunque il fondamento di ogni vita sociale e quindi di ogni storia reale, per lo meno l'epoca preistorica è stata divisa, in base a ricerche di naturalisti, non di cosiddetti storici, a seconda del materiale, degli strumenti e delle armi, in età della pietra, età del bronzo, età del ferro.

6 Sembra paradossale chiamare mezzo di produzione della pesca, per esempio, il pesce non ancora pescato. Però finora non è stata ancora inventata l'arte di pescare pesci in acque nelle quali non ce ne sono.

7 Questa definizione del lavoro produttivo come risulta dal punto di vista del processo lavorativo semplice, non è affatto sufficiente per il processo di produzione capitalistico.

8 Loo Storch distingue la materia prima vera e propria come «matière» dalle materie ausiliario quali «matériaux»; lo Cherbuliez designa le materie ausiliarie come «matières instrumentales».

9 Per questa logicissima ragione, certo, il colonnello Torrens scopre nel sasso del selvaggio... l'origine del capitale. «Nella prima pietra che il selvaggio getta sull'animale selvatico che egli insegue, nel primo bastone da lui afferrato per tirar giù il frutto che non può cogliere con le mani, noi vediamo già l'appropriazione d'un articolo allo scopo di procurarsene un altro e scopriamo così... l'origine del capitale» (R. TORRENS, An essay on the production of wealth ecc., pp. 70, 71). Forse si può spiegare con quel primo bastone (stock) perchè in inglese stock sia sinonimo di capitale.

10 «I prodotti vengono appropriati... prima di essere convertiti in capitale, e questa conversione non li sottrae a quella appropriazione» (CHER-BULIEZ, Riche ou pauvre, ed. Parigi, 1841, pp. 53, 54). «Il proletario, dando il suo lavoro per un determinato vettovagliamento, ... rinuncia completamente a ogni diritto... sui prodotti che il suo lavoro farà nascere. L'attribuzione di questi prodotti rimane quella che era prima; non è modificata in nessun modo dalla convenzione della quale parliamo. I prodotti, per dirla in breve, continuano ad appartenere esclusivamente al capitalista che ha fornito le materie prime e il vettovagliamento. Questa è una conseguenza rigorosa della legge di appropriazione, la stessa legge il principio fondamentale della quale era viceversa l'attribuzione esclusiva ad ogni lavoratore dei prodotti del suo lavoro» (ivi, p. 58). JAMES MILL, Elements of political economy, p. 70: ) «Quando i lavoratori vengono pagati per il loro lavoro... il capitalista è proprietario non solo del capitale» (qui intende dire: mezzi di produzione) «ma anche del lavoro (of labour also). Se quel che viene pagato come salario al lavoro, com'è uso, viene incluso nel concetto di capitale, è assurdo parlare di lavoro separatamente dal capitale. Il termine capitale in questo senso include l'uno e l'altro, capitale e lavoro».

11 «Non il solo lavoro applicato direttamente alle merci influisce sul loro valore, ma anche il lavoro che viene adoperato per gli attrezzi, gli strumenti e per gli edifici coi quali si assiste quel lavoro» (RICARDO, Principles of political economy, p. 16).

12 Le cifre sono qui del tutto arbitrarie.

13 Questa è la proposizione fondamentale sulla quale poggia la dottrina fisiocratica della improduttività di ogni lavoro non agricolo, ed è inconfutabile per gli economisti... di professione. «Questo modo d'imputare a una cosa sola il valore di molte altre (per esempio, alla tela quel che consuma il tessitore), di ammucchiare molti valori su di uno solo, per così dire, a strati, ha per effetto che quel valore s'ingrossa d'altrettanto... II termine di addizione dipinge benissimo il modo col quale si forma il prezzo delle opere della mano d'opera; questo prezzo non è altro che un totale di più valori consumati e addizionati; ma addizionare non è moltiplicare» (MERCIER DE LA RIVIÈRE, L'ordre naturel cit, p. 599).

14 Così per esempio il capitalista sottrasse nel 1844-47 parte del suo capitale alle imprese produttive per giocarselo nelle speculazioni sulle azioni ferroviarie. Così, al tempo della guerra civile americana, chiuse la fabbrica e gettò l'operaio sul lastrico, per giocare alla Borsa del cotone di Liverpool.

15 «Lascia pure celebrare, adornare, e lisciare... Ma chi prende più o meglio (di quel che dia), ciò è usura, e si chiama aver fatto non servizio ma danno al suo prossimo, come accade rubando e rapinando. Non tutto è servizio e beneficio al prossimo quel che si chiama servizio e beneficio. Poiché un adultero e un'adultera si fan reciprocamente gran servizio e compiacenza. Un cavalleggero fa gran servizio da cavalleggero a un masnadiero incendiario aiutandolo a rapinare per le strade, a saccheggiare le terre e le genti. I papisti rendono gran servizio ai nostri non affogandoli tutti, non bruciandoli tutti, non assassinandoli tutti, non facendoli tutti marcire in carcere, ma lasciandone vivere alcuni, o scacciandoli, o togliendo loro tutto quel che hanno. Anche il diavolo rende grandi, incommensurabili servizi ai suoi servitori... In conclusione il mondo è pieno di grandi, bei servizi e benefici giornalieri» (MARTIN LUTERO, An die Pfarrherrn, wider den Wucher su predigen ecc., Wittenberg, 1540).

16 In Per la critica dell'economia politica, p. 14, ho osservato fra l'altro su questo argomento: «Si capisce che "servizio" la categoria "servizio" (service) debba fare ad economisti della specie di J. B. Say e di F. Bastiat».

17 Questa è una delle circostanze che rincarano la produzione fondata sulla schiavitù. In questo tipo di produzione il lavoratore va distinto, secondo l'esatta espressione degli antichi, soltanto come instrumentum vocale dall'animale, instrumentum semivocale, e dall'inerte strumento di lavoro come instrumentum mutum. Ma ci pensa lui a far sentire all'animale e allo strumento di lavoro che non è loro eguale, ma è un uomo, e si procura, maltrattandoli e sciupandoli con amore [con amore: in italiano nel testo], la sicurezza di quella differenza. Quindi in tale modo di produzione vale come principio economico l'adoprare gli strumenti di lavoro più rozzi, più pesanti, ma difficili a esser rovinati proprio per la loro goffa pesantezza. Perciò, fino allo scoppio della guerra civile, negli stati schiavisti del golfo del Messico si trovavano aratri di struttura cinese antica, che rimuovono il terreno come fa il maiale o la talpa, ma non lo spaccano e non lo rivoltano. Cfr. J. E. CAIRNES, The slave power, Londra, 1862, p. 46 sgg. L'OLMSTED, nel suo Seabord slave states [p. 46 sgg.], racconta fra l'altro : «Mi sono stati mostrati attrezzi che fra noi nessun uomo ragionevole permetterebbe appesantissero un lavoratore da lui salariato: il loro peso eccessivo e la loro struttura grossolana renderebbero il lavoro, a mio giudizio, più grave almeno del dieci per cento di quel che fanno gli attrezzi ordinariamente usati da noi. E mi si assicura che non potrebbe esser fornito agli schiavi niente di più leggero o meno rozzo, per la maniera trascurata e grossolana con la quale gli schiavi ne usano, e che attrezzi come noi diamo costantemente ai nostri lavoranti, trovandoci il nostro profitto, non durerebbero neppure un giorno in un campo di grano della Virginia. Con tutto che quivi il terreno è più leggero e più libero da pietre del nostro. Così pure, quando ho domandato perché nelle fattorie i muli sono generalmente sostituiti ai cavalli, la prima ragione che ne è stata data, e che è dichiaratamente anche la decisiva, è che i cavalli non possono sopportare il trattamento che ricevono costantemente dai negri, mentre i muli possono sopportare le bastonate o anche la perdita di un pasto o due ogni tanto, senza risentirne materialmente, e non sentono il freddo e non si ammalano se sono trascurati o sovraccaricati di lavoro. Ma non ho bisogno di andar oltre la finestra della stanza dove scrivo, per vedere quasi di continuo un trattamento del bestiame che assicurerebbe l'immediato licenziamento del guidatore da parte di quasi ogni proprietario di bestiame nelle fattorie del Nord».

18 La differenza fra lavoro superiore e lavoro semplice, «skilled» e «unskilled labour» poggia in parte su pure e semplice illusioni, o per lo meno su differenze che hanno cessato da lungo tempo di essere reali e continuano a sussistere ormai soltanto nella convenzione tradizionale; e in parte sulla situazione ancor più diseredata di certi strati della classe operaia, che permette loro ancor meno che ad altri di ottenere il valore della propria forza-lavoro. Qui le circostanze casuali hanno una parte così grande che gli stessi generi di lavoro cambiano di rango. Dove per esempio la sostanza fisica della classe operaia è indebolita e relativamente esaurita come accade in tutti i paesi a produzione capitalistica sviluppata, i lavori brutali che chiedono molta forza muscolare, salgono di rango nei confronti di lavori molto più fini, che scendono al gradino del lavoro semplice: come per esempio il lavoro d'un bricklayer (muratore) prende in Inghilterra un grado molto più alto di quello di un tessitore di damasco. Dall'altra parte il lavoro di un fustian cutter (tagliatore di fustagno), benché costi tanto sforzo corporeo e per giunta sia insalubre, figura come lavoro «semplice». Del resto, non ci si deve immaginare che il cosiddetto «skilled labour» occupi un posto importante dal punto di vista quantitativo nel lavoro nazionale. Il Laing calcola che in Inghilterra (e Galles) la vita di più di undici milioni di persone s'appoggi su lavoro semplice. Detratti un milione di aristocratici e un milione e mezzo di poveri, vagabondi, delinquenti, prostitute, ecc. dai diciotto milioni del totale della popolazione, al tempo dello scritto del Laing, rimanevano 4.650.000 persone della classe media, con inclusione di persone che vivono dell'interesse di piccoli investimenti, impiegati, scrittori, artisti, insegnanti, ecc. Per ottenere questi quattro milioni e due terzi, egli annovera nella parte lavoratrice della classe media, oltre i banchieri, ecc., anche gli «operai di fabbrica» meglio pagati! Neppure i bricklayers (muratori) mancano fra i «lavoratori potenziati». E così rimangono gli undici milioni che si è detto (S. LAING, National distress ecc., Londra, 1844, [p. 51]). «La grande classe che non ha nulla da dare in cambio del suo cibo fuor che lavoro ordinario, è la gran massa del popolo» (JAMES MILL nell'articolo Colony in Supplement to the Encyclopaedia Britannica, 1831, [p. 8]).

19 «Dove ci si riferisce al lavoro come misura del valore, s'implica necessariamente: lavoro di un tipo particolare..., poiché è facile stabilire la proporzione nella quale gli altri tipi di lavoro stanno con il primo» (Outlines of political economy, Londra, 1832, pp, 22, 23).</p>