Rodolfo Mondolfo

Umanismo di Marx - Scritti filosofici 1908-1966

Einaudi, Torino 1975

 

La concezione dell'uomo in Marx (pp. 312-345)

I. Il materialismo storico come umanismo realistico.

Quando il Consiglio Interuniversitario Regionale mi chiese di dettare alcune lezioni sopra il concetto dell'uomo in Marx, pensai che la discussione di questo tema esigeva un'introduzione, costituita dall'esposizione della dottrina filosofica di Marx, cioè del «materialismo storico», per mostrare quale sia la sua relazione con la concezione dell'uomo delineata dallo stesso Marx.

Senonché tale esposizione, anziché un'introduzione, mi pare possa dirsi parte della stessa trattazione che mi è stata chiesta; perché in realtà, se esaminiamo senza prevenzioni il materialismo storico, quale ci risulta dai testi di Marx ed Engels, dobbiamo riconoscere che non si tratta di un materialismo ma di un vero umanismo, che al centro di ogni
considerazione e discussione pone il concetto dell'uomo. E’ un umanismo realistico (reale Humanismus), come lo chiamarono i suoi stessi creatori, il quale vuoi considerare l'uomo nella sua realtà effettiva e concreta, vuoi comprendere l'esistenza di lui nella storia e comprender la storia come realtà prodotta dall'uomo per via della sua attività, del suo lavoro, della sua azione sociale, attraverso i secoli in cui si va svolgendo il processo di formazione e trasformazione dell'ambiente nel quale l'uomo vive, e si va sviluppando l'uomo stesso come effetto e causa, ad un tempo, di tutta l'evoluzione storica.

In questo senso troviamo che il materialismo storico non può confondersi con una filosofia materialistica; e per ciò lo storico principale del materialismo, il Lange, nella sua celebre Storia del materialismo, non s'è occupato affatto dei materialismo storico, che pur conosceva, perché riconosceva che non era materialismo. Possiamo dire anzi che la critica più decisiva della teoria materialista è stata espressa per l'appunto da Marx ed Engels in tutta la loro opera, a partire dagli scritti giovanili che, come le Tesi su Feuerbach di Marx (1845), contengono precisamente la critica di tutto il materialismo anteriore compreso lo stesso così detto materialismo di Feuerbach.

Dice infatti Marx nella prima di queste Tesi su Feuerbach:

«Il difetto capitale di tutto il materialismo passato - compreso quello del Feuerbach - è che il termine del pensiero, la realtà, il sensibile, è stato concepito sotto la forma di oggetto o di intuizione; e non già come attività sensitiva umana, come praxis, non soggettivamente. Quindi è avvenuto che il lato dell'attività fu sviluppato dall'idealismo in opposizione al materialismo, ma solo in astratto, perché naturalmente l'idealismo non sa nulla dell'attività reale sensitiva, come tale. Il Feuerbach vuole distinti realmente gli oggetti sensibili dagli intelligibili; ma egli non concepisce l'attività stessa umana come attività che ponga l'oggetto. Perciò nell'Essenza del cristianesimo considera il solo contenuto teoretico come schiettamente umano; laddove la praxis viene concepita e fissata soltanto nelle sordide forme giudaiche. Perciò egli non intende il significato che i rivoluzionari dànno all'attività pratico-critica».

Ciò che deve cercarsi nell'uomo è la sua attività concreta, sensibile: quell'attività critico-pratica che può anch'essere un'attività rivoluzionaria, in quanto l'attività rivoluzionaria deve partire dalla conoscenza effettiva della realtà esistente, e di questa, nella propria reazione, deve cercar di produrre la modificazione, il mutamento storico. Dice appunto Marx nella terza di queste Tesi su Feuerbach, passando dalla citata affermazione di un attivismo umano alla concezione dello storicismo, che la trasformazione sociale è sempre opera dell'uomo stesso.

«La dottrina materialistica, che gli uomini sono il prodotto dell'ambiente e dell'educazione, e variano col variare dell'ambiente e dell'educazione, dimentica che l'ambiente viene mutato appunto dagli uomini e che l'educatore stesso deve essere educato».

C'è un intervento continuo dell'uomo nel produrre le modificazioni dell'ambiente sociale, storico; c'è in questa azione un processo continuo di educazione per cui l'educatore stesso risulta educato, ed opera poi sopra gli altri, compiendo la loro educazione. Aggiunge Marx: «Il coincidere del variar dell'ambiente e dell'attività umana, o autotrasformazione, può esser concepito ed inteso razionalmente soltanto come praxis rivoluzionaria».

Come si modifica l'ambiente storico, sociale? Si modifica per via della attività dell'uomo, che Marx chiama la praxis, comprensiva di ogni forma di attività umana, teorica e pratica al tempo stesso. Questa attività dell'uomo, che va modificando continuamente la situazione esistente, nel modificar le circostanze modifica anche se stessa, produce un cambiamento interiore nello stesso spirito proprio, sicché il suo prodotto reagisce sopra il medesimo suo produttore. Si verifica un'azione reciproca, uno scambio di azioni, ossia ciò che Marx chiama «il rovesciamento della praxis» (umwälzende Praxis): l'effetto diviene causa, e produce, per mezzo della modificazione di se stesso, la modificazione continua dell'uomo.

La filosofia della praxis affermata da Marx, si riferisce evidentemente all'uomo ed alla sua storia, cioè rappresenta un umanismo storicistico.

La conoscenza e l'azione dell'uomo non son considerate da Marx come ricezione passiva dell'azione dell'ambiente. Marx dice che l'ambiente deve esser modificato dall'uomo stesso; non soltanto l'ambiente influisce sull'uomo, ma, reciprocamente, l'uomo crea l'ambiente e lo va modificando, in modo che c'è sempre un'azione effettiva dell'uomo e non una ricettività passiva di fronte all'azione dell'ambiente.

Dice Marx nella seconda delle sue Tesi su Feuerbach, parlando della conoscenza umana e della sua realtà, che la questione di sapere se al pensiero umano corrisponde una verità oggettiva, deve esser considerata in relazione con la vita umana e con l'attività che l'uomo svolge: l'uomo ha bisogno della conoscenza per operare, ma di una conoscenza che sia previsione, la quale può esser vera, ma può anche a volte essere erronea. Ora il problema se essa sia vera o erronea non si risolve se non nell'azione, nella pratica.

Dice il testo della II Tesi: «La questione se al sapere umano pervenga la verità oggettiva non è una questione teoretica, ma pratica. Nella praxis può l'uomo provare la verità, cioè la realtà e potenza, l'oggettività del proprio pensiero. La discussione sulla realtà o irrealtà di un pensiero che si isoli dalla praxis, è una questione puramente scolastica».

Dire che la verità del pensiero può riconoscersi unicamente nella praxis, significa che quando crediamo di conoscere qualcosa, facciamo previsioni su ciò che accadrà nell'usare quell'oggetto della nostra conoscenza. Le nostre previsioni possono trovare nell'esperienza ulteriore una conferma o una smentita: se trovano conferma, ciò vuoi dire che la nostra conoscenza era vera; se trovano smentita, significa che eravamo nell'errore.

E lo stesso punto di vista che al principio di questo secolo è stato affermato dal pragmatismo, che ha interpretato la conoscenza in termini di previsione. Marx aveva anticipato tale idea; ma dice anche qualcosa di più, giacché non si riferisce solo all'esperienza che sopraggiunge indipendentemente dalla nostra iniziativa, ma vuoi parlare dell'esperimento attivo, che decide sulla verità della nostra conoscenza, in quanto l'uomo agisce sopra l'oggetto e lo conosce appunto quando cerca di modificarlo. Per ciò dice Marx nella undecima delle sue Tesi: «i filosofi hanno soltanto variamente interpretato il mondo; ma si tratta di cambiarlo».

Afferma dunque una filosofia attivista, volontarista, dinamica, la filosofia della praxis, che è proprio ciò che può pensarsi di più contrario al materialismo, passivista, meccanicista, statico.

Il centro di tutta la teoria filosofica, il nucleo di tutta la comprensione della realtà, la spiegazione del mondo in cui viviamo e dell'esistenza dell'uomo e della storia umana non son cercati da Marx in un concetto astratto com'è quello della materia, cui il materialismo attribuisce appunto un'esistenza in sé e per sé, riducendo l'uomo a un puro prodotto dell'azione di questa materia, ad un prodotto passivo dell'azione dell'ambiente in cui vive. Per Marx, al contrario, è proprio l'azione dell'uomo quella che interviene continuamente, quella che determina la conoscenza, e determina la stessa costituzione spirituale propria, formandola e trasformandola ininterrottamente.

Posto dunque che il processo della storia è concepito da Marx come un processo attivo della praxis e del suo continuo rovesciamento, della praxis che reagisce sul proprio produttore che è l'uomo stesso, possiamo chiederci: perché allora Marx ed Engels diedero alla loro teoria il nome di materialismo storico? Questo fatto è in relazione con l'ambiente ideologico in cui pensavano, operavano e scrivevano Marx ed Engels: un ambiente dominato dall'idealismo hegeliano, che considerava tutta la realtà come idea e spirito, e tutto il processo della storia come sviluppo dialettico dell'idea e dello spirito, che si produce in modo automatico. Di fronte a questa concezione, per la quale la soggettività umana, cioè la realtà sensibile concreta degli uomini, non era (secondo la frase di Hegel), altro che «materia dell'astuzia della Ragione» universale, trascendente, Marx ed Engels reagiscono affermando che tale pretesa materia dell'astuzia della ragione (cioè gli uomini, l'umanità) era invece la vera realtà, centrale e fondamentale, del mondo e della storia.

Per ciò eran già spinti a chiamar materialismo la propria concezione ed a contrapporla come tale all'idealismo hegeliano. Ma c'era anche un altro motivo per ciò; ed era che allora una parte della sinistra hegeliana, con Bruno Bauer ed i cosI detti Liberi di Berlino, aveva svolto una teoria aristocratica, con una concezione della storia come produzione di élites, che si servivano della massa come di materia della propria iniziativa. Marx ed Engels vogliono appunto rivendicare l'importanza della massa, che per Bauer e compagni era solo materia dell'azione delle élites; e anche per questo parlano di materialismo.

La rivendicazione della massa, della sua azione collettiva, era stata preceduta già da Feuerbach, che aveva scritto che «la nuova filosofia dev'essere un atto nuovo, collettivo, libero ed autonomo dell'umanità. Ciò che resta confinato una sola testa è teoria; ciò che unisce molte teste fa massa e si fa luogo nel mondo, è praxis.”

Così già in Feuerbach c'era una concezione, per lo meno parziale, dell'importanza della collettività, della massa, dell'umanità. Ma ciò che in Feuerbach era una concezione essenzialmente naturalistica, in Marx ed Engels diventa una concezione essenzialmente storicistica. Un umanismo storicistico si afferma con loro, quando dichiarano che non può accettarsi l'idea hegeliana che la storia abbia un'esistenza autonoma, come se fosse una persona dotata di un potere enorme, al quale sian sottoposti gli uomini.

Scrive Marx nell'opera giovanile La sacra famiglia: «La storia non fa nulla; non possiede nessun enorme potere; non interviene in nessuna lotta; è invece l'uomo, l'uomo effettivo e vivente, colui che ha fatto tutto, che possiede, che combatte. La storia non è una realtà qualsiasi che si serva dell'uomo come di un mezzo per raggiungere i propri fini, come se fosse una persona esistente per se stessa, ma non è altro che l'attività dell'uomo perseguente i suoi fini».

Si afferma così un realismo umanistico contro la hegeliana filosofia dello spirito assoluto. Aggiunge Marx: «la filosofia dello spirito riduce ogni pratica ed ogni attività umana a un processo dialettico (dell'idea). Ma le idee non potrebbero portarci mai al di là delle vecchie condizioni del mondo, ma solo al di là delle idee di queste condizioni. Perché le idee si traducano in fatti, è necessario che gli uomini spieghino una forza pratica».

CosI si rivendica ciò che Hegel considerava «materia dell'astuzia della Ragione». Questa «materia» di Hegel è, per Marx ed Engels, la vera autrice della storia. Scrive per ciò Marx: «nella storia la metafisica dello Spirito soccomberà per sempre di fronte al materialismo, che coincide con l'umanismo».

Qui troviamo la dichiarazione che Marx considera realtà essenziale ciò che Hegel considerava materia; e per ciò parla di materialismo che coincide con l'umanismo. Vuoi affermare un umanismo realistico, un umanismo che già aveva avuto un'affermazione parziale da parte di Feuerbach, ma che con Marx compie un nuovo passo di grande importanza.

Feuerbach aveva considerato l'umanità come la realtà essenziale nel mondo e nella storia; ma la sua concezione dell'umanità era essenzialmente naturalistica. Poneva l'umanità di fronte alla natura, considerando l'azione che l'umanità esercita sopra la natura, la lotta che deve sostenere continuamente contro le difficoltà e i pericoli naturali. Ma siccome la natura è sempre statica, sempre uguale e non dinamica per se stessa, cosI non si poteva giungere a una concezione storicistica, ad una comprensione e spiegazione del cambiamento continuo che si produce nell'umanità nel corso della sua storia.

Ora Marx vuole considerare l'uomo nella storia, vuol considerarlo non già come essere naturale, ma come essere essenzialmente sociale. Allora le variazioni che l'uomo produce nella società e che reagiscono su lui, le lotte che sorgono nella società con le divisioni e formazioni di caste, classi ecc. con l'antagonismo dei loro interessi, queste lotte determinano sempre l'attività umana, lo sforzo di dominar sempre l'avversario, costituito non già dalla natura statica, ma dalle classi opposte; ed allora, in questa lotta continua, si producono sempre cambiamenti, variazioni sociali, cioè si produce effettivamente il processo storico dell'umanità. Appunto questo dice Marx nella terza delle sue Tesi su Feuerbach: «la coincidenza del variare dell'ambiente con il variare dell'attività umana, o autotrasformazione, può concepirsi ed intendersi razionalmente solo come praxis rivoluzionaria».

L'autotrasformazíone si produce attraverso il processo della trasformazione che l'uomo compie nella costituzione sociale. Ma in questa trasformazione l'uomo dev'essere stimolato da motivi; e i motivi che possono spingerlo al superamento della situazione esistente debbono esser bisogni che l'uomo sente, devono essere una insoddisfazione della situazione attuale che determina nell'uomo un'esigenza di superamento; solo cosI si può raggiungere una vera comprensione della storia. Dice Marx (Tesi XI): «I filosofi non han fatto altro che interpretare il mondo in diverse maniere, ma si tratta di trasformarlo».

Si tratta di trasformarlo, cioè di riconoscere l'importanza dell'attività trasformatrice degli uomini; si tratta di giungere ad una concezione critico-pratica della storia, alla comprensione dei conflitti interni che dominano in essa e determinano negli uomini la esigenza di superamento, cioè svegliano la forza d'impulso per la modificazione della situazione esistente. Questa forza d'impulso è la coscienza di un bisogno. Il bisogno è una realtà che l'uomo sente nella sua interiorità, di cui si dà conto nella sua coscienza; è una necessità soggettiva, ma quando si comunica ad una molteplicità di persone ed appartiene a tutta la massa di una collettività allora può da soggettiva convertirsi in oggettiva.

Dicono Marx ed Engels in un loro scritto del 1846: «Il bisogno dà agli uomini la forza. Chi ha bisogno di aiuto s'aiuta da sé. Le condizioni reali di questo mondo ci gridano: le cose non possono continuare cosI; è necessario cambiarle; e noi stessi, noi uomini dobbiamo cambiarle. Questa ferrea necessità dà diffusione e proseliti agli sforzi».

Una ferrea necessità; ma non una necessità esterna agli uomini, bensì una necessità che essi sentono nella loro coscienza; è una necessità oggettiva ma costituita dall'unità dell'esigenze soggettive, di modo che non è una fatalità, non è nulla che domini gli uomini senza intervento della loro coscienza e volontà, ma è costituita dalla stessa confluenza delle volontà umane. Non c'è automatismo, non c'è una dialettica delle cose che si svolga da sé, come han creduto erroneamente i falsi interpreti della dottrina di Marx.

Contro questa interpretazione, per la quale Duhring aveva attribuito a Marx ed Engels un fatalismo automatico, reagisce Engels nell'AntiDuhring, protestando per «la bislacca affermazione del metafisico Dühring, che per Marx la storia si compia quasi automaticamente, senza l'opera degli uomini, che la fanno, e che questi uomini sian mossi come pezzi di un gioco di scacchi dalle condizioni economiche, che son pura opera degli uomini». E lo stesso concetto ripete Engels nella nota lettera del gennaio 1894, dove dice: «non c'è, dunque, come taluno arriva a immaginare, un'azione automatica delle condizioni economiche. Gli uomini fanno per se stessi la storia, benché in un ambiente dato, che li condiziona».

Così Engels non vuole ammettere qui ciò che attribuivano al materialismo storico i suoi avversari, vale a dire che si tratti di un automatismo dell'economia, di un determinismo economico. L'economia, secondo questo travisamento, avrebbe quasi una personalità reale, che si svilupperebbe da sé ed eserciterebbe una azione sugli uomini, i quali sarebbero unicamente il prodotto e quasi i pezzi della scacchiera mossi dall'economia. Contro questa concezione reagiscono Marx ed Engels, affermando che la stessa economia è creazione degli uomini, che opera senza dubbio sopra di loro come prodotto che reagisce sul suo produttore; ma a loro volta i produttori reagiscono sul prodotto e sviluppano o limitano o deviano il processo del suo svolgimento.

In ciò consiste appunto il processo del rovesciamento della praxis: la creazione dell'uomo reagisce su di lui, ma l'uomo reagisce alla reazione del suo prodotto, e in questa catena di reazioni si ha uno scambio continuo fra i termini del rapporto, per cui l'uomo, indirettamente, nel crear l'ambiente e produrne le modificazioni, crea se stesso e produce le modificazioni del suo spirito.

Per questo processo di rovesciamento della praxis, quindi, non possono darsi leggi ineluttabili che s'impongano all'uomo; non può esserci una fatalità nella storia, come quella che attribuivano a Marx ed Engels i loro avversari ed attribuiscono loro anche ora molti che parlano del marxismo come di una teoria che crede nei processi automatici della concentrazione delle ricchezze, della formazione del proletariato sempre più esteso, della miseria crescente, della legge di bronzo dei salari - tutti processi contro i quali l'uomo non potrebbe lottare, tutte leggi fatali, ineluttabili. Per Marx ed Engels, invece, sono unicamente leggi di tendenza; vale a dire: le cose avrebbero ognuna in sé la tendenza a svilupparsi in una certa forma determinata; ma questa stessa tendenza produce la reazione dell'uomo; e la reazione umana può giungere a deviar la tendenza, ad annullarla o a modificarla in qualsiasi senso.

Come dice Engels nell'Anti-Duhring: «le forze attive nella società agiscono assolutamente come le naturali, cieche, violente e distruttrici finché non le conosciamo. In modo speciale le forze di produzione, finché ci neghiamo a intendere la loro natura e il loro carattere, operan fuori di noi e contro la nostra volontà e finiscono per dominarci. Ma una volta che si sia compresa la loro natura, è facile trasformarle da tiranni demoniaci in servi volonterosi. La necessità è cieca solo finché non la si comprende».

E necessario dunque comprendere, ma non solo comprendere, bensì anche agire. La concezione critico-pratica del materialismo storico dice: «non basta conoscere per sottomettere le forze sociali alla sovranità della società: per ciò è necessario un atto sociale».

E’ necessaria l'azione storica degli interessati, che reagiscano contro le forze cieche che operano nella società; le quali son state create dagli uomini, ma giungerebbero a dominarli se gli uomini non reagissero contro esse. Per ciò è necessaria la coscienza, sono necessarie la conoscenza e la volontà: una esigenza critico-pratica domina nella storia. E qui appare la funzione della coscienza di classe, che Marx ed Engels vogliono destare.

Il processo della storia produce un differenziarsi della società umana. La divisione del lavoro va differenziando la società in gruppi, strati, classi differenti; si vanno scindendo gli interessi dei diversi gruppi e degli strati distinti; si va creando la distinzione e il contrasto delle classi. Ma l'esistenza di una classe, di qualsiasi classe, non è un'esistenza puramente oggettiva; non è un'esistenza reale come puro fenomeno economico, bensì, soprattutto, come fenomeno spirituale, cioè come coscienza di classe. Non si tratta solo di una formazione automatica, ma di una formazione lenta e progressiva, che si compie nella stessa azione, cioè nella lotta fra le classi.

CosI per Marx ed Engels l'essenza della storia è rappresentata dalla lotta delle classi; e questa lotta costituisce il fattore delle trasformazioni sociali progressive. Il processo dell'umanità è costituito dalla formazione e dallo sviluppo di ciò che Marx ed Engels chiamano le forze produttive. Ora queste forze produttive, economiche abbisognano sempre, ad ogni stadio di sviluppo, di raggiungere un certo equilibrio, di ottenere una certa protezione del loro sviluppo, una sistemazione in forme giuridiche e politiche. Queste forme costituiscono, finché esercitano tale azione protettiva, una necessità per lo sviluppo delle stesse forze produttive, come il guscio dell'uovo costituisce una protezione necessaria per lo sviluppo del pulcino. Ma se questo guscio non potesse rompersi a un certo momento, il pulcino morrebbe, non potrebbe uscirne e svilupparsi ulteriormente.

Un fenomeno analogo succede nella società con le forze produttive, che si vanno sviluppando sotto la protezione delle forme giuridiche e politiche di ogni epoca; ma ad un certo momento queste forme si convertono da elemento di protezione in ostacolo e pericolo che bisogna eliminare. Dice Marx nella famosa prefazione al suo scritto Per la critica dell'economia politica:

«A un certo punto del loro sviluppo le forze produttive materiali della società entrano in conflitto con le relazioni di produzione esistenti, cioè con le relazioni di proprietà nel cui ambito s'eran mosse fino allora. Tali relazioni sociali, che fin allora furon forme evolutive delle forze di produzione, diventano ostacoli. Allora sopraggiunge un'epoca di rivoluzione sociale».

Ciò è accaduto in tutto il processo della storia, che è stato sempre un processo di superamento, cioè di trasformazione rivoluzionaria delle costituzioni economiche, giuridiche e politiche esistenti. Dalla società antica (della schiavitù) alla medievale (del feudalismo) alla moderna (del capitalismo borghese), si è prodotta una evoluzione e uno sviluppo che ad un certo momento doveva spezzare la sistemazione antecedente, che si trasformava da elemento di protezione in ostacolo allo sviluppo ulteriore.

Marx ed Engels osservano che nella forma attuale della società il capitalismo forma il proletariato, in cui l'uomo si trova ridotto a una forza di lavoro, a una merce che deve vendersi. Con ciò si produce il fenomeno della alienazione dell'uomo, un fenomeno di disumanizzazione (Unmenschlichkeit), contro il quale il proletariato rivendica la propria qualità di uomo. E in ciò consiste l'aspirazione al superamento della società attuale, a una società ugualitaria di uomini liberi o, come dice il Manifesto dei comunisti del 1848, ad «un'associazione in cui il libero sviluppo di ciascuno sia condizione del libero sviluppo di tutti».

In tutto questo processo è evidente che il fattore economico è fondamentale e costituisce (si può dire) la base di tutti gli altri fattori e processi. Ma la base non è il tutto, le fondamenta non son tutta la casa, la radice non è tutto l'albero. La base entra in scambio d'azione con l'uomo sociale: c'è uno scambio di azioni mutue di tutti gli aspetti della vita umana con l'aspetto economico. Non c'è unicamente nell'economia la causa e nel resto unicamente l'effetto; ma ciò che è causa si converte in effetto, ciò che è effetto si converte in causa. C'è uno scambio di azione reciproca, continua.

L’economia è una creazione dell'uomo (come s'è visto), una creazione che opera sul suo creatore, ma contro la quale l'uomo stesso reagisce. Non solo l'ha creata, ma la va trasformando continuamente, e lo fa anche per l'impulso di altre esigenze diverse dell'economia, di altri elementi della sua vita totale.

Se consideriamo, ad esempio, il passaggio dalla società primitiva, dell'orda primordiale, in cui non c'era nessuna forma di proprietà, alla società patriarcale in cui s'introduce la proprietà e quindi anche l'eredita, vediamo che questa trasformazione si produce per iniziativa dell'uomo che introduce la pastorizia. E la pastorizia, che significa una trasformazione dell'economia e introduce una proprietà, introduce altresì il bisogno di una maggior stabilità e coesione dei gruppo sociale. Questa maggior coesione determina una convivenza più ferma e continua, in cui i padri giungono a conoscere ed amare i propri figli, che non conoscevano o non consideravano nel regime anteriore dell'orda. Allora si sviluppano i primi affetti familiari, e con il costume della proprietà privata s'introduce la trasmissione ereditaria ai figli.

CosI abbiamo un fatto economico nel punto di partenza e un fatto economico nel punto d'arrivo: la introduzione della pastorizia nel punto di partenza, e la proprietà privata con la sua trasmissione ereditaria nel punto d'arrivo; ma il passaggio dal primo fatto economico al secondo non s'è prodotto per un fattore economico bensì per un fattore sentimentale, cioè il sentimento della paternità, che determina la preferenza verso i propri figli e la volontà di trasmettere ad essi la propria proprietà personale.

Di modo che si ha questo scambio fra la struttura fondamentale e le soprastrutture, uno scambio in cui non c'è soltanto causa da una parte e soltanto effetto dall'altra, ma la causa diventa effetto e l'effetto diventa causa; e così, nel costante rovesciamento della praxis, si va determinando il processo storico, in cui l'economia non è l'unico fattore, ma c'è l'interezza e unità della vita nella molteplicità dei suoi aspetti, che sono vincolati intimamente e indissolubilmente gli uni con gli altri, ed operano e reagiscono continuamente gli uni sugli altri.

Nel processo storico c'è sempre questa azione reciproca fra la sottostruttura e le soprastrutture; le trasformazioni si debbono sempre a tutto l'insieme, alle relazioni reciproche di tutti gli elementi, nell'unità della vita dell'uomo.

Senonché, per lo stesso principio del rovesciamento della praxis, l'azione storica degli uomini, per il fatto di compiersi e inserirsi nella storia, non può essere arbitraria e dipendere unicamente dalla loro volontà; al contrario, si trova sempre condizionata dalla situazione storica in cui si compie. Marx ha determinato, nella già citata prefazione alla Critica dell'economia politica, le condizioni che limitano la possibilità delle trasformazioni rivoluzionarie che la volontà umana aspiri a compiere.

Si esige per ogni trasformazione sociale nella storia una doppia maturità storica: oggettiva (delle cose, cioè della realtà economico-sociale) e soggettiva (delle coscienze). Quanto alla maturità oggettiva, Marx scrive: «Una formazione sociale non tramonta prima che si sian sviluppate tutte le forze produttive di cui è capace; e nuove relazioni di produzione non si sostituiscono alle vecchie prima che le loro condizioni materiali di esistenza si sian sviluppate precisamente in seno all'antica società». E quanto alla maturità soggettiva dichiara: «L'umanità si propone unicamente i fini che può raggiungere»; il che significa che in ogni momento storico una collettività può proporsi soltanto le innovazioni per le quali son mature le coscienze, non meno che le condizioni oggettive.

Le due forme di maturità si associano e si condizionano reciprocamente: non possono separarsi l'una dall'altra. Senza dubbio qualche individuo o gruppo può, nelle sue concezioni ed aspirazioni, precorrere i tempi; ma allora si hanno le utopie, irrealizzabili nella storia per la mancanza delle condizioni imprescindibili. Engels ha presentato un esempio tipico di questa situazione nella Guerra dei contadini tedeschi del secolo XV, il cui condottiero (Münzer) si ispirava ad un programma comunista, irrealizzabile nella situazione storica del suo tempo. Si trovava cosI in un conflitto insolubile fra ciò che poteva fare nelle condizioni reali esistenti e ciò che doveva fare secondo il suo programma. «Chi cada in tale disgraziata situazione - concludeva Engels - è perduto in modo irrimediabile».

Orbene può parere che la rivoluzione russa abbia smentito le esigenze affermate da Marx ed Engels, in quanto non si basò sulle condizioni positive della maturità economico-politica (oggettiva e soggettiva) che Marx esigeva, ma sulla condizione negativa della debolezza del regime zarista, che poteva facilmente esser rovesciato da un assalto energico e deciso. Così, con la loro conquista del potere, i bolscevichi pretesero compiere un salto dal regime feudale, ancora dominante nell'impero degli zar, al regime socialista, senza passare per la fase intermedia dello sviluppo del capitalismo e della formazione del proletariato e della sua coscienza di classe. Per ciò un marxista rivoluzionario come Gramsci poté chiamar la rivoluzione russa: «La rivoluzione contro il Capitale», cioè contro la dottrina di Marx.

Senonché la dottrina di Marx, con le sue esigenze della doppia maturità, oggettiva e soggettiva - che lo stesso Gramsci riconobbe come «punto catartico» o «punto di partenza di tutta la filosofia della praxis» - non ha trovato una confutazione ma una conferma nel processo della rivoluzione russa.

Questa si vide fin dal principio dominata dalle esigenze imprescindibili dell'accumulazione del capitale e del compimento dello sviluppo industriale, che sono la conditio sine qua non di ogni possibilità di socialismo. E siccome tale compito preparatorio non poteva esser adempito in Russia (com'era stato nelle nazioni occidentali) dalla borghesia capitalista, già eliminata, dovette essere assunto dallo Stato onnipotente, con la creazione di una specie di capitalismo di Stato, che dovette sottoporre tutti i lavoratori (da cui esigeva ed esige sacrifici e rinuncia ad ogni autonomia) ad una dittatura inesorabile.

In questo modo non s'è eliminata l'alienazione dell'uomo, la cui abolizione doveva, secondo Marx, essere il compito del proletariato e della sua rivoluzione liberatrice. E ‘mancata, per l'assenza delle condizioni stabilite da Marx, la traduzione in atto dell'umanismo marxistico, che era un'esigenza universale di libertà e dignità della persona, esigenza (come dice il Manifesto) di «un'associazione nella quale il libero sviluppo di ciascuno sia condizione del libero sviluppo di tutti».

La dittatura imperante è negazione di ogni autogoverno; mantiene la alienazione dei lavoratori, che non possono disporre di se stessi a propria elezione; proibisce ai loro stessi sindacati qualsiasi azione di difesa dei loro interessi e di rivendicazione di miglioramenti, imponendo loro invece l'ufficio di vigilanza sui lavoratori per l'aumento della produzione e la disciplina del lavoro nell'interesse superiore dello Stato.

Il salto dell'epoca capitalista non s'è verificato, e l'ammonimento di Marx conserva tutto il suo valore. Non senza ragione un marxista rivoluzionario come Sorel defini il materialismo storico: «consiglio di prudenza ai rivoluzionari». Il materialismo storico (come ho detto) è un umanismo, ma un umanismo realistico, che vede l'umanità nella realtà della sua storia, la quale è, senza dubbio, opera degli uomini, ma non opera arbitraria e senza limitazioni, bensì sempre condizionata dalla realtà esistente, nel suo stesso sforzo di superamento e trasformazione.

In questo senso, precisamente, il materialismo storico fu definito dai suoi creatori un reale Humanismus, e come tale dobbiamo riconoscerlo.

2. La concezione dell'uomo in Marx.

Nella lezione antecedente, interpretando il materialismo storico come una forma di umanismo realistico, ho messo in evidenza specialmente il carattere attivistico che questa filosofia dell'uomo assume nel pensiero di Marx: è una filosofia della praxis, dell'attività umana comprendente tutte le forme, intellettuali e materiali, teoriche e pratiche in cui essa può esplicarsi. E precisamente in tale unità di tutti gli aspetti e tutti gli elementi della vita e dell'attività umana consiste questo umanismo realistico che Marx volle affermare, sopra tutto contro l'idealismo hegeliano.

L'idealismo hegeliano vedeva negli uomini reali e concreti nient'altro che la materia della storia, il mezzo di cui si serve l'astuzia della Ragione universale; e Marx, invece, vuol mostrare che sono essi stessi il soggetto della storia, sono essi stessi coloro che fanno la storia, che creano la società e la civiltà umana e tutte le forme che di queste si van svolgendo nella successione dei tempi.

Questa rivendicazione dell'uomo reale e attivo deve servire inoltre a mostrare che l'uomo ha in se stesso, nella sua attività, oltre che il potere di crear la storia, anche la capacità della libertà della persona umana. Sono concetti che appaiono affermati da Marx in tutto un insieme di opere giovanili, che in parte notevole sono rimaste inedite e sconosciute sino a non molti anni fa; scritti che vanno dal 1843 al 1845, e sono precisamente: oltre le note di Critica della filosofia del diritto di Hegel (261-313), la Introduzione alla critica della filosofia del diritto di Hegel, scritta nel 1843 e pubblicata da Marx l'anno dopo; La sacra famiglia, scritta in collaborazione con Engels nel 1844 e pubblicata nel 1845 col titolo: «La sacra famiglia o critica della critica critica, contro Bruno Bauer e compagni»; i Manoscritti economico-filosofici del 1844, rimasti inediti fino a pochi decenni or sono; come pure L'ideologia tedesca del 1845, composta anch'essa in collaborazione con Engels «per fare i conti con la filosofia», e poi abbandonata manoscritta «alla critica roditrice dei topi». Il suo lungo sottotitolo diceva: «Critica della nuovissima filosofia tedesca nelle persone dei suoi rappresentanti Feuerbach, Bruno Bauer e Stirner, e del socialismo tedesco nelle persone dei suoi differenti profeti», che erano gli scrittori degli Annali Renani, Karl Grün, Georg Kuhlmann, ecc. Infine a completare l'elenco van ricordate le Tesi su Feuerbach, scritte da Marx nello stesso anno 1845 e pubblicate parecchi anni più tardi da Engels in appendice al suo saggio su Ludwig Feuerbach e il punto d'approdo della filosofia classica tedesca.

In tutte queste opere il pensiero filosofico di Marx si determina già nelle sue linee essenziali, anzi si esprime in forma più ampia e completa che negli scritti posteriori (compreso Il capitale), che non han più per oggetto i problemi filosofici, ma quelli economici, politici e storici.

Le opere dei tre anni ricordati - dal 1843 al 1845 - sono decisive per la formazione del pensiero di Marx e per l'espressione delle sue concezioni filosofiche: in esse troviamo una rivendicazione dell'uomo reale concreto, dell'uomo attivo capace di libertà e creatore della storia; i cui tratti essenziali possono riassumersi con una pagina molto significativa dei. Manoscritti economico-filosofici del 1844.

Nel terzo di questi manoscritti, nel capitolo Critica della dialettica e in generale della filosofia di Hegel, c'è precisamente un passo in cui Marx contrappone il naturalismo o umanismo ai due sistemi opposti dell'idealismo e del materialismo, e mostrando che esso rappresenta la loro unificazione nel concetto dell'uomo reale - essere naturale ed umano, attivo e passivo al tempo stesso - porta il naturalismo a sboccare nello storicismo.

«Vediamo qui - scrive Marx - come il naturalismo o umanismo. condotto al proprio termine si distingua tanto dall'idealismo che dal materialismo, e sia ad un tempo la verità che unisce entrambi. E insieme vediamo che solo il naturalismo è in grado di comprendere l'azione della storia universale» (trad. Bobbio, Torino 1949, p. 177).

Il passaggio dal naturalismo (al quale si fermava Feuerbach) allo storicismo (che è appunto la novità di Marx) si compie attraverso la considerazione delle esigenze imprescindibili della realtà dell'uomo, che è, prima di tutto, un essere naturale, vivente (cioè attivo), e non può quindi aver realtà se non è reale il mondo fuori di lui, che è il suo oggetto; ed è in secondo luogo un essere umano, e come tale vive ed opera nella specie umana.

Marx quindi rivolge la sua confutazione in primo luogo contro la riduzione di tutta la realtà allo spirito o soggetto assoluto, compiuta da Hegel nella Fenomenologia dello spirito, dove considera la oggettività come alienazione dello spirito, che deve quindi riconquistarla e riappropriarsela, annullandola come realtà oggettiva esteriore. Riassumendo il capitolo finale della Fenomenologia, Marx espone il pensiero hegeliano nel modo seguente: «La cosa principale è che l'oggetto della coscienza non è altro che l'autocoscienza o che l'oggetto è soltanto l'autocoscienza oggettivata, l'autocoscienza come oggetto. (Posizione dell'uomo autocoscienza).

«Si tratta quindi di superare l'oggetto della coscienza. La oggettività come tale vale come rapporto umano estraniato, non corrispondente all'essere umano, all'autocoscienza. La nuova appropriazione dell'essere umano oggettivo, fatto estraneo sotto la determinazione dell'estraniazione, ha dunque il significato di sopprimere non soltanto l'estraniazione, ma anche l'oggettività; onde l'uomo vale come un essere non oggettivo, spiritualistico» (ed. cit., pp. 173 sg.).

A tutto ciò Marx oppone la sua concezione realistica dell'uomo, che esige la realtà della natura.

«L'uomo - seguita Marx - è immediatamente un essere naturale. Come essere naturale, come essere naturale vivente, egli è in parte fornito di forze naturali, di forze vitali, cioè è un essere naturale attivo» (e queste forze esistono in lui come disposizioni e facoltà, come impulsi); «in parte egli è, in quanto essere naturale, oggettivo, dotato di corpo e di sensi, un essere passivo, condizionato e limitato al pari degli animali e delle piante: vale a dire, gli oggetti dei suoi impulsi esistono fuori di lui, come oggetti da lui indipendenti, ma questi oggetti sono oggetti del suo bisogno, oggetti essenziali, indispensabili ad attuare e confermare le sue forze essenziali. Che l'uomo sia un essere reale ed oggettivo dotato di corpo, di forze naturali, di vita, di sensi, significa che egli ha per oggetto del suo essere, delle sue manifestazioni vitali, oggetti reali e sensibili, o che egli può estrinsecare la sua vita soltanto su oggetti reali e sensibili». Essere noi oggettivi, naturali sensibili, e parimenti avere oggetto, natura, e sensi fuori di noi, o essere noi stessi oggetto, natura e sensi nei confronti di un terzo, è la stessa cosa. «La fame è un bisogno naturale; essa ha quindi bisogno di una natura fuori di sé, di un oggetto fuori di sé, per soddisfarsi e calmarsi...»

«Un essere che non abbia la propria natura fuori di sé, non è un essere naturale, non partecipa all'essere della natura. Un essere, che non abbia un oggetto fuori di sé, non è un essere oggettivo. Un essere, che non sia esso stesso oggetto nei confronti di un terzo, non ha nessun essere per suo oggetto, cioè non si comporta oggettivamente, il suo essere non è oggettivo.

«Un essere non oggettivo è un non essere».

Ma tutto questo vale anche per gli animali, è una condizione comune a tutti gli esseri senzienti; e bisogna quindi, oltre tutto ciò, considerare anche il carattere differenziale fra l'uomo e gli animali. E per ciò, precisamente, Marx prosegue: «Ma l'uomo non è soltanto un essere naturale; è anche un essere naturale umano, cioè è un essere che è per se stesso, e quindi un essere generico; come tale egli si deve attuare e confermare tanto nel suo essere che nel suo sapere. Perciò gli oggetti umani non sono gli oggetti naturali, come si presentano in modo immediato...

«Né la natura oggettivamente, né la natura soggettivamente è immediatamente presente all'essere umano in forma adeguata. E come tutto ciò che è naturale deve avere un'origine, cosI anche l'uomo ha il suo atto d'origine, la storia, che però è per lui un atto d'origine di cui egli ha conoscenza... La storia è la vera storia naturale dell'uomo...»

Così mentre l'animale può e deve esser considerato nella natura, l’uomo invece dev’essere considerato nella storia. Il naturalismo, cioè l'affermazione della realtà della natura e dell’uomo come essere naturale, è per Marx il punto di partenza; ma il punto d'arrivo è lo storicismo che si raggiunge attraverso Ia considerazione più completa che l’uomo è un essere naturale umano.

Questa affermazione del naturalismo Marx la compie contro l'idealismo hegeliano. Ma la sua critica ad Hegel si era già cominciata a svolgere l'anno prima, nello scritto del 1843, Per la critica della filosofia del diritto di Hegel, dove la sua preoccupazione fondamentale, riguardante il concetto dell'uomo reale, già si affermava come critica di ogni concezione astratta e sopra tutto come difesa della dignità umana ed esigenza di una rivoluzione che spezzi tutte le catene radicali che umiliano l'uomo e gli negano una condizione umana, e compia nella lotta la riconquista totale dell'uomo.

In questo scritto, pubblicato nei «Deutsch-französische Jahrbucher» del 1844, Marx dichiarava che «la critica della filosofia tedesca del diritto e dello Stato, che ha trovato in Hegel la sua espressione ultima, più conseguente e ricca» è critica della «filosofia speculativa del diritto, astratta dall'uomo reale». E nel contrapporre appunto a questo idealismo il suo realismo, egli è condotto a integrare il concetto dell'uomo col concetto delle masse, in cui ritrova la forza storica capace di tradurre in atto, rivoluzionariamente, la rivendicazione universale della qualità di uomo.

«Certamente l'arma della critica non può sostituire la critica delle armi, e il potere materiale si deve abbattere per mezzo del potere materiale; ma anche la teoria si converte in potere materiale, appena si impadronisce delle masse. E la teoria è capace di impadronirsi delle masse quando argomenta e dimostra ad hominem, ed essa argomenta e dimostra ad hominem quando si fa radicale. Esser radicale è attaccare il problema per la radice. E la radice, per l'uomo, è l'uomo stesso. La prova evidente del radicalismo della teoria tedesca, e pertanto della sua energia pratica, consiste nel saper partire dal deciso superamento positivo della religione. La critica della religione sbocca nella dottrina che l'uomo è l'essenza suprema per l'uomo, e quindi l’imperativo categorico è gettare a terra tutte le relazioni, in cui l'uomo sia un essere umiliato, soggiogato, abbandonato e disprezzabile.”

Afferma cosI Marx l'esigenza di una rivoluzione radicale. Ma «una rivoluzione radicale può esser soltanto la rivoluzione di bisogni radicali», e per ciò abbisogna di una classe che sia portatrice di questi bisogni radicali, e tale non può essere né la borghesia né la classe media.

«Perché coincidano la rivoluzione di un popolo e la emancipazione di una classe speciale... perché una classe valga per tutta la società, è necessario per contro che tutti i difetti della società si condensino in una classe, che... riassuma in sé la ripulsa generale... sia considerata com e il delitto notorio di tutta la società, in modo che la liberazione da essa appaia come l'autoliberazione universale».

Per ciò «la possibilità positiva dell'emancipazione» sta nella formazione di «una classe con catene radicali,... di una sfera che possegga un carattere universale per le sue sofferenze universali,.. che è, in una parola, la perdita totale dell'uomo, e pertanto può conquistar se stessa mediante la riconquista totale dell'uomo. Questa dissoluzione della società come classe speciale è il proletariato».

E di qui la conclusione dello scritto: «come la filosofia trova nel proletariato le sue armi materiali, il proletariato trova nella filosofia le sue armi spirituali... La filosofia non può giungere a tradursi in atto senza l'abolizione del proletariato, e il proletariato non può giungere ad abolirsi senza la traduzione in atto della filosofia».

E evidente che la filosofia di cui parla qui Marx non è la filosofia hegeliana, dell'idea, ma vuoi già essere la filosofia dell'uomo, anzi dell'uomo considerato come essere naturale umano, secondo le espressioni che abbiamo già citato dal Manoscritto del seguente anno 1844.

Questo punto è sviluppato da Marx, insieme con Engels nella Sacra famiglia, l'opera scritta in collaborazione nello stesso anno 1844, dove è espresso il ripudio della concezione hegeliana della storia, considerata come un enorme potere trascendente, che domina gli uomini e si serve di essi come del mezzo per i propri fini.

Ma ancor più che Hegel, La sacra famiglia combatte i fratelli Bauer e i Liberi di Berlino, che affermavano una concezione aristocratica, contrapponendo lo spirito, che è proprio delle élites intellettuali (con cui si identificavano essi stessi), alla «massa nella sua massiccia qualità di massa». Ora Marx, che già nello scritto citato dell'anno anteriore aveva affermato la funzione storica e rivoluzionaria della massa (il proletariato), insorge con Engels nella Sacra famiglia contro le concezioni dei Bauer, ed aderisce alla filosofia di Feuerbach, il quale già aveva dichiarato che «la teoria che non si limita a una o poche teste, ma fa massa, si fa luogo nel mondo, è praxis.»

CosI la teoria che s'impadronisce degli spiriti della collettività (il che, secondo lo scritto marxiano del 1843, può avvenire nelle condizioni storiche di una classe oppressa, costretta a lottare per la sua emancipazione) può tradursi in una realtà storica, e convertir la filosofia - che e Pura teoria quando risiede in una sola testa - in praxis che ha come Proprio strumento e mezzo di attuazione la collettività. E per Marx ed Engels il compito di effettuare simile passaggio dalla teoria alla praxis è precisamente l'ufficio dell'umanismo, che essi affermano come nuovi filosofia.

Che l'umanismo dovesse servire come forza di unificazione fra gli uomini, lo aveva già affermato Feuerbach, considerando tutta l'umanità collegata internamente, nelle relazioni reciproche fra i suoi componenti, dalla forza dell'amore. L'amore era per Feuerbach la forza unificatrice dell'umanità; e ciò lo portava a una specie di religione dell'umanità, ad un culto dell'uomo. Ma Engels e Marx, dopo una transitoria adesione a questa concezione, riconoscono che l'uomo di cui parlava Feuerbach era un uomo astratto, non l'uomo reale, storicamente concreto. E la coscienza di quella astrazione si esprime in loro nella successiva critica a Feuerbach, sviluppata l'anno dopo nell'Ideologia tedesca.

Come dirà poi Engels, nel suo saggio su Ludwig Feuerbach e il punto d'approdo della filosofia classica tedesca, «il passo che non compiva Feuerbach doveva pur essere compiuto. Ii culto dell'uomo astratto, che costituiva il modello della nuova religione feuerbachiana, doveva necessariamente cedere il posto alla scienza dell'uomo reale e del suo sviluppo storico». Tuttavia Engels ammette che questo riconoscimento dell'uomo reale era uno «sviluppo ulteriore del punto di vista feuerbachiano, passando al di sopra di Feuerbach».

Tale processo di superamento si delinea già in parte nella Sacra famiglia, e Marx lo accentua nello sviluppo che dà al suo orientamento nei Manoscritti economico-filosofici, dove vuol determinare la concezione dell'uomo come uomo sociale, creatore e risultato ad un tempo della società in cui vive. La concezione e il suo sviluppo si completano poi nell'Ideologia tedesca e nelle Tesi su Feuerbach, che sono del 1845.

In queste opere appunto troviamo la prima affermazione esplicita del materialismo storico. Il passaggio dal naturalismo feuerbachiano allo storicismo, che costituisce la concezione propria di Marx ed Engels, si compie entro la stessa concezione dell'uomo che essi affermano. Questa concezione vuol affermare le esigenze reali della vita, e specialmente l'esigenza in cui si trova l'uomo per poter vivere, di produrre i mezzi necessari alla sua esistenza. In questa produzione e creazione che l'uomo compie, consiste per l'appunto il fondamento ed elemento essenziale della creazione della storia.

Dice Marx nell'Ideologia tedesca (p. 57 dell'ed. Adoratskij, Berlin 1932): «Dobbiamo cominciare col riconoscere il primo presupposto di ogni esistenza umana, e quindi anche di ogni storia, cioè che gli uomini debbono essere in condizioni di vivere, per poter "far storia". Ma per vivere occorre prima di tutto mangiare, bere, avere una abitazione, un vestito e alcune altre cose. Il primo fatto storico, quindi, è la produzione dei mezzi per la soddisfazione di questi bisogni, cioè la produzionedella vita materiale stessa, e senza dubbio è questo un fatto storico, una condizione fondamentale di ogni storia, che ancor oggi, come migliaia di anni fa, dev'essere compiuta ogni giorno e ogni ora, per mantenere solamente gli uomini in vita... Per conseguenza la prima cosa in ogni concezione storica è che si osservi questo fatto fondamentale in tutto il suo significato e in tutta la sua portata e lo si faccia giungere al [riconoscimento dei] suoi diritti».

Qui dunque Marx si trova a dover rilevare e spiegare il differenziamento fra l'uomo e l'animale; ed egli lo riconosce nella creazione della tecnica, nel lavoro che è opera dell'uomo e dell'ambiente sociale, in cui per l'appunto la tecnica si va creando e sviluppando. In questo modo si ha la creazione della storia, ed in essa l'uomo va modificando e sviluppando se stesso, sicché la storia rappresenta un'autocreazione dell'uomo medesimo.

Questo differenziamento fra l'uomo e gli animali era stato stabilito già da Marx nei Manoscritti economico-filosofici (pp. 89 sgg., ed. cit.), dove scriveva:

«L'animale è immediatamente una cosa sola con la sua attività vitale. Non si distingue da essa... L'uomo fa della sua attività vitale l'oggetto stesso della sua volontà e della sua coscienza... l'attività vitale cosciente dell'uomo distingue l'uomo immediatamente dall'attività vitale dell'animale. Proprio soltanto per questo egli è un essere della specie...

«La creazione pratica di un mondo oggettivo, la trasformazione della natura inorganica è la riprova che l'uomo è un essere generico dotato di coscienza, cioè un essere che si comporta verso il genere come verso il suo proprio essere, o verso se stesso come verso il suo essere generico.

Certamente anche l'animale produce. Si fabbrica un nido, delle abitazioni come fanno le api, i castori, le formiche, ecc. Solo che l'animale produce unicamente ciò che gli occorre immediatamente per sé e per i suoi nati; produce in modo unilaterale, mentre l'uomo produce in modo universale; l'animale produce solo sotto l'impero del bisogno fisico immediato, mentre l'uomo produce anche libero dal bisogno fisico, e produce veramente soltanto quando è libero da esso; l'animale riproduce soltanto se stesso, mentre l'uomo riproduce l'intera natura; il prodotto dell'animale appartiene immediatamente al suo corpo fisico, mentre l'uomo si pone liberamente di fronte al suo prodotto. L'animale costruisce soltanto secondo la misura e il bisogno della specie a cui appartiene, mentre l'uomo sa produrre secondo la misura di ogni specie e sa ovunque predisporre la misura inerente a quel determinato oggetto...

«Proprio soltanto nella trasformazione del mondo oggettivo l'uomo si mostra quindi realmente come un essere generico. Questa produzione è la sua vita attiva come essere generico. Mediante essa la natura appare come la sua opera e la sua realtà. L'oggetto del lavoro è quindi l'oggettivazione della vita dell'uomo come essere generico, in quanto egli si raddoppia non soltanto, come nella coscienza, intellettualmente, ma anche attivamente, realmente, e si guarda quindi in un mondo da esso creato...»

Questa è la distinzione fra uomo e animali che Marx presenta nei Manoscritti economico-filosofici. Ma nell'Ideologia tedesca il differenziamento fra uomo e animale è delineato in modo un po' diverso, e più complesso, che offre la possibilità di stabilire la distinzione fra il carattere statico della produzione dell'animale, sempre uguale e invariabile, e il dinamismo della produzione umana, che si va diversificando e sviluppando continuamente. Questa possibilità procede dal fatto che nell'Ideologia tedesca Marx introduce il concetto della produzione dei mezzi di vita, compiuta dall'uomo e non dagli animali.

Scrive Marx (L'ideologia tedesca, p. 10 dell'ed. Adoratskij): «Si possono differenziare gli uomini dagli animali per via della coscienza, della religione o di che altro si voglia. Ma essi stessi cominciano a differenziarsi dagli animali dal momento stesso in cui cominciano a produrre i loro mezzi di vita... In quanto gli uomini producono i loro mezzi di vita, producono indirettamente la loro stessa vita materiale».

C'è dunque una differenza dai Manoscritti: qui Marx parla di produzione dei mezzi di vita, mentre nei Manoscritti parlava solo della produzione di ricoveri (nidi, abitazioni) che può appartenere anche agli animali. Animali come gli uccelli, le api, i castori, le formiche, si costruiscono nidi e ricoveri in modo costantemente uguale, mentre l'uomo che crea o produce i suoi mezzi di vita, è spinto continuamente a modificare le creazioni antecedenti, ad introdurvi innovazioni, a sviluppare nel corso della storia le sue invenzioni; vi è spinto dalle esigenze stesse della sua vita, dallo svolgersi e moltiplicarsi dei suoi bisogni e desideri di miglioramento.

Si ha così il passaggio dalla staticità caratteristica degli animali al dinamismo proprio degli uomini. Gli animali dipendono staticamente dalla natura, sempre uguale. L'uomo invece, con la sua creazione dinamica dell'ambiente sociale, si trova in rapporto con questo ambiente sociale, con la società in continuo cambiamento e incessante modificazione, e quindi deve modificare continuamente la sua azione, sviluppare le sue capacità e le sue produzioni; in altre parole, deve entrar nella storia.

La creazione che compie l'uomo è una creazione della sua stessa vita e, in realtà, una creazione progressiva di se medesimo. Crea le sue proprie modificazioni nel corso della storia; si va formando e trasformando per mezzo della sua attività. Scrive Marx nella stessa Ideologia tedesca:

«Il modo in cui gli uomini producono i loro mezzi di vita.., non deve considerarsi solo sotto l'aspetto che è costituito dalla riproduzione dell'esistenza fisica degli individui. E anzi già un modo determinato della attività di questi individui, un modo determinato di manifestar la loro vita, una determinata maniera di vita degli stessi. Come gli individui manifestano la loro vita, cosI essi sono. Ciò che sono, quindi, coincide con la loro produzione, tanto con ciò che producono, quanto col modo come la producono. Ciò che gli individui sono dipende pertanto dalle condizioni materiali della loro produzione» (pp. 10 sg. dell'ed. Adoratskij).

Orbene, nello sviluppo della produzione e delle forze produttive, Marx osserva che si va producendo e sviluppando la divisione del lavoro. Una divisione del lavoro si manifesta già nella famiglia e nella tribù, con la distinzione fra il patriarca e i membri della famiglia e della tribù e gli schiavi; in seguito, aggiunge Marx, si produce la separazione tra il lavoro agricolo e il lavoro industriale, la distinzione fra la campagna e la città; e questo differenziamento progressivo produce conseguenze sociali. «Ogni fase della divisione del lavoro determina anche le relazioni degli individui fra loro in rapporto al materiale, allo strumento e al prodotto del lavoro» (ed. cit., p. 11).

Così dalle relazioni materiali, cioè dalle attività economiche degli uomini nascono poi le relazioni spirituali, politiche, giuridiche, ecc.; e si vari modificando con il modificarsi di quelle. Dice Marx:

«La realtà è dunque questa: determinati individui, che nella loro attività produttiva operano in una determinata guisa, entrano fra loro in queste determinate relazioni sociali e politiche. L'osservazione empirica deve in ogni singolo caso mostrare empiricamente e senza qualsiasi mistificazione e speculazione, la connessione della struttura sociale e Politica con la produzione. L'organizzazione sociale e lo Stato provengono costantemente dal processo della vita di determinati individui; ma di questi individui non già come possono apparire nelle rappresentazioni proprie od altrui, bensì come sono realmente cioè come operano e Producono materialmente, e quindi come svolgono la loro attività sotto limiti, presupposti e condizioni materiali determinate e indipendenti dal loro arbitrio.

«La produzione delle idee, delle rappresentazioni, della coscienza è innanzi tutto immediatamente intrecciata con l'attività materiale e il materiale commercio degli uomini, è linguaggio della vita reale. La rappresentazione, il pensiero, il commercio spirituale degli uomini appaiono qui ancora come diretta emanazione del loro comportamento materiale. E io stesso vale per la produzione spirituale come si manifesta nel linguaggio della politica, delle leggi, della morale, della religione, della metafisica, ecc. di un popolo. Gli uomini sono i produttori delle loro rappresentazioni, delle loro idee, praemissis praemittendis; ma gli uomini reali, operanti, come sono condizionati da un determinato sviluppo delle loro forze produttive e del commercio corrispondente alle stesse fino alle sue formazioni più ampie. La coscienza non può esser mai nient'altro che l'essere cosciente, e l'essere degli uomini è il loro reale processo di vita» (ed. cit., p. 15).

Qui dunque troviamo un rovesciamento totale, completo del punto di vista della concezione idealista. E Marx vuol porlo in evidenza. Dice infatti, nelle linee seguenti:

«Tutto all'opposto della filosofia tedesca, che discende dal cielo sulla terra, qui si ascende dalla terra al cielo. Ossia non si parte da ciò che gli uomini dicono, si immaginano, si rappresentano e neppure dagli uomini detti, pensati, immaginati, rappresentati per giungere, movendo di qui, agli uomini in carne ed ossa; si parte invece dagli uomini realmente operanti, e movendo dal loro reale processo di vita si espone anche lo sviluppo dei riflessi ed echi ideologici di questo processo di vita...

«La morale, la religione, la metafisica e le altre ideologie e le forme di coscienza corrispondenti ad esse non possono con ciò conservar più a lungo l'apparenza della sussistenza autonoma. Non hanno affatto una storia propria, non hanno alcun sviluppo proprio; ma gli uomini che sviluppano la loro produzione materiale e il loro materiale commercio cambiano con questa loro realtà anche il loro pensiero ed i prodotti del loro pensiero. Non la coscienza determina1a vita, ma la vita determina la coscienza».

Ma la vita della quale parla Marx è la vita nella sua totalità, nella molteplicità integrale e piena delle sue forme, nell'unità di tutti i suoi aspetti, che son vincolati reciprocamente in modo inscindibile; è l'unità dell'azione e manifestazione dell'uomo in tutti i suoi campi; è l'unità dello sviluppo umano.

«Questa maniera di considerar le cose - soggiunge Marx - non è certo incondizionata. Essa parte dalle condizioni reali e non le trascura in nessun momento. Le sue condizioni sono gli uomini, ma non mai in un fantastico isolamento e una fantastica fissazione, bensì nel loro reale, empiricamente evidente processo di sviluppo sotto determinate condizioni. Subito che è rappresentato questo attivo processo di vita, la storia cessa d'essere una raccolta difatti morti, come è per gli stessi empirici ancora astratti, o un'azione immaginaria di soggetti immaginari, com'è per gli idealisti.

«Là dove termina la speculazione, nella vita reale, comincia anche la scienza reale positiva, la esposizione dell'attività pratica, del pratico processo di sviluppo degli uomini» (p. 16 dell'ed. cit.).

In questo sviluppo della coscienza umana, per tanto, appare in tutta la sua evidenza la natura sociale che la caratterizza. La coscienza umana non si sviluppa nell'individuo isolato, ma solamente nelle relazioni reciproche fra gli uomini, che si formano e si van sviluppando nella società. Spiega Marx: «Solo ora.., troviamo che l'uomo ha anche "coscienza". Ma neppur questa, fin dal principio, come coscienza "pura". Lo spirito ha fin dal principio in sé la maledizione di essere "infetto di materia", che qui si manifesta in forma di strati d'aria in movimento, di suoni, in somma, di linguaggio. Il linguaggio è tanto vecchio quanto la coscienza, - il linguaggio è la coscienza pratica, la coscienza reale esistente anche per gli altri uomini, e quindi esistente primieramente anche per me stesso; e il linguaggio nasce, come la coscienza, primieramente dal bisogno, dall'urgenza del commercio con gli altri uomini... La coscienza è dunque già fin dal principio un prodotto sociale e rimarrà tale fin tanto che in genere esistano uomini» (ed. cit., p. 19).

Quest'idea della socialità della coscienza l'aveva in parte già espressa Feuerbach, però Marx l'approfondisce molto più, come si vede nei Manoscritti economico-filosofici, dove mostra la reciprocità e inseparabilità che esiste fra l'uomo e la società umana.

«Sia il materiale del lavoro sia l'uomo come soggetto sono nella stessa misura tanto il risultato quanto il punto di partenza del movimento... Quindi il carattere sociale è il carattere universale di tutto il movimento: come la società produce l'uomo in quanto uomo, cosI l'uomo produce la società» (Manoscritti, ed. cit., p. 123).

C'è dunque una reciprocità completa, c'è scambio di azione e dipendenza «L'attività e lo spirito - prosegue Marx - sono sociali tanto per il loro contenuto quanto per la loro origine: perciò sono attività sociale e spirito sociale. L'essenza umana della natura esiste soltanto per l'uomo sociale: infatti soltanto qui la natura esiste soltanto per l'uomo come vincolo con l'uomo, come esistenza di lui per l'altro e dell'altro per lui, e così pure come elemento vitale della realtà umana; soltanto qui essa esiste come fondamento della sua propria esistenza umana. Soltanto qui la esistenza naturale dell'uomo è diventata per l'uomo esistenza umana; la natura è diventata uomo. Dunque la Società è l'unità essenziale, giunta al proprio compimento, dell'uomo con la natura, la vera risurrezione della natura, il naturalismo compiuto dell'uomo e l'umanismo compiuto della natura».

Ciò appare evidente in ogni forma di attività cosciente dell'uomo; e Marx lo dimostra con osservazioni acute e penetranti, seguitando il suo esame: «L'attività sociale e lo spirito sociale non esistono affatto soltanto nella forma di un'attività immediatamente sociale e di uno spirito immediatamente sociale... Anche quando io esplico soltanto un'attività scientifica, attività che io stesso posso esplicare in comunità immediata con altri, io esplico un'attività sociale, perché agisco come uomo. Non soltanto mi è dato come prodotto sociale il materiale della mia attività - come la stessa lingua di cui lo scienziato si vale per esplicare la propria attività -; ma è un'attività sociale la mia stessa esistenza, onde quel che io faccio da me, lo faccio da me per la società e con la coscienza di essere un essere sociale.

«La mia coscienza universale non è altro che la forma teoretica di ciò di cui la comunità reale, l'essere sociale, è la forma vivente...

«Anzi tutto bisogna evitar di fissare un'altra volta la "società" come astrazione di fronte all'individuo. L'individuo è l'essere sociale. Le sue manifestazioni di vita - anche se non appaiono nella forma immediata di manifestazioni di vita in comune, cioè compiute ad un tempo con altri - sono quindi un'espressione e una conferma della vita sociale» (Manoscritti, ed. cit., pp. 124 sgg.).

«Nella stessa formazione e nella trasformazione medesima dell'uomo e delle sue capacità intellettuali e perfino delle sue capacità sensibili, si ripercuote sempre questa essenza sociale dell'uomo, questa relazione necessaria con la società. «Soltanto attraverso l'intero svolgimento oggettivo della ricchezza dell'essere umano, viene in parte educata, in parte prodotta la ricchezza della sensibilità soggettiva dell'uomo, e parimenti un orecchio per la musica, un occhio per la bellezza della forma, in breve i soli sensi capaci di un godimento umano, quei sensi che si confermano come forze essenziali dell'uomo. In fatti non solo i cinque sensi, ma anche i cosí detti sensi spirituali, i sensi pratici (il volere, l'amore, ecc.) in una parola il senso umano, l'umanità dei sensi, si formano soltanto attraverso l'esistenza dell'oggetto loro proprio, attraverso la natura umanizzata. L'educazione dei cinque sensi è un'opera di tutta la storia del mondo sino ad oggi» (Manoscritti, ed. cit., pp. 128 sg.).

Ma bisogna ricordare qui che non si tratta di considerar l'individuo passivamente sottoposto alla società, ossia non si tratta di veder in esso un mero prodotto della società. Marx afferma decisamente la reciprocità dell'azione che si esercita fra l'uomo e la società. «Come la società - dice nel passo citato più sopra - produce l'uomo in quanto uomo, così l'uomo produce la società».

Questo è detto nei Manoscritti economico-filosofici. E nella terza delle Tesi sopra Feuerbach analogamente troviamo:

«La dottrina materialistica, che gli uomini sono il prodotto dell'ambiente e della educazione, e variano col variare dell'ambiente e dell'educazione, dimentica che l'ambiente viene mutato appunto dagli uomini e che l'educatore stesso dev'essere educato».

Ossia: c'è uno scambio continuo di azioni e reazioni fra uomini ed ambiente, fra individuo e società. L'uomo è un prodotto della società, ma la società è un prodotto dell'uomo. La società contribuisce alla trasformazione dell'uomo, ma l'uomo è colui che produce le modificazioni e trasformazioni della società. C'è un'applicazione del principio, che Marx afferma per primo in modo esplicito, del rovesciamento della praxis, per il quale il produttore, dopo aver creato il prodotto ed anzi nell'atto stesso di creano, subisce la reazione di questo suo prodotto, che tende a modificare il suo stesso produttore; ma il produttore reagisce a sua volta e modifica il proprio prodotto, e si svolge così una catena interminabile di scambi, che è precisamente il processo del rovesciamento della praxis.

Questa teoria salva il principio dell'attività umana, e permette a Marx di affermare che il vincolo con la società è proprio esso il fondamento della reale libertà dell'uomo, della sua indipendenza, della sua iniziativa, del suo dinamismo, di tutta la sua attività. In un frammento (scritto nel 1857, ma rimasto a lungo inedito, finché fu pubblicato nel libro Uber historische Materialismus, hrsg. von H. Duncker) di un'introduzione alla Critica della filosofia del diritto, scrisse Marx: «L'uomo è un zôon politikón nel senso più letterale; non solo è un animale sociale, ma anche un animale che non può singolarizzarsi se non nella società».

La possibilità di ogni singolarizzazione dell'uomo, di ogni affermazione della sua individualità e personalità, è condizionata secondo Marx dalla convivenza sociale. Senza la vita in società l'uomo non avrebbe neppure la possibilità della propria attività, della personalità propria e dei suo dinamismo.

In questa relazione fra uomo e società, in questo influsso permanente e continuo esercitato dalla società sull'uomo, si presenta quindi a Marx il problema della considerazione e valutazione della collettività, che i Bauer disprezzavano come massa nella sua massiccia qualità di massa, e che Marx invece, in collaborazione con Engels, vuoi rivendicare nella Sacra famiglia. Ma bisogna avvertire che il concetto di massa che si afferma in quest'opera, non ha nulla che possa farlo confondere con il concetto che della massa si afferma ai nostri giorni come effetto delle dottrine totalitarie.

In tutte queste dottrine, comprese quelle che pretendono presentarsi come espressione del pensiero di Marx, di cui son deformazione, l'individuo resta annientato e distrutto nella massa, perde ogni realtà e attività autonoma, perde ogni possibilità d'indipendenza personale di pensiero e d'azione. Marx invece non vuole in alcun modo vedere nell'uomo sociale ciò che oggi si chiama (con un'espressione resa comune specialmente dall'analisi critica di Ortega y Gasset) l'uomo massa. Al contrario egli rivendica contro i Bauer il valore spirituale che vuole attuato dalla massa; contro la concezione aristocratica dei Liberi di Berlino reclama una collettività composta di spiriti liberi e indipendenti, ossia vuole affermare e rivendicare il principio di libertà esteso universalmente a tutta l'umanità.

Si vedano specialmente della Sacra famiglia, il cap. II (di Engels): La critica critica del molinaio (Faucher); il cap. IV (pure di Engels): La critica critica come la pace del conoscere o come il sig. Edgar; e il cap. VI (di Marx): Prima campagna della critica assoluta: lo spirito e la massa.

La presentazione della massa come antitesi dello spirito, fatta da Bruno Bauer, è così riferita da Marx: «nella massa - c'insegna - e non altrove si deve cercare il vero nemico dello spirito». E seguita: lo spirito sa ora dove ha da cercare il suo unico avversario: nelle illusioni e nella mancanza di nucleo della massa». E Marx commenta (cap. VI): «da una parte sta la massa, come l'elemento passivo, privo di spirito, privo di storia, elemento materiale della storia: dall'altro lato sta lo spirito, la Critica, il Sig. Bruno e compagni, come l'elemento attivo, da cui proviene ogni azione storica». Ora ciò significa per Marx ed Engels un totale misconoscimerito della storia reale.»

Scrive Engels (cap. II); «la critica deve misconoscere la storia quale si è realmente svolta, perché riconoscerla significherebbe già riconoscere la vile massa nella sua massiccia qualità di massa (massenhaften Massenhaftigkeit), mentre invece si tratta precisamente della liberazione della massa dalla sua massiccità. La storia è perciò liberata dalla sua massiccità».

Anche Marx rivendica la storia come creazione della massa, approfondendo la comprensione della rivoluzione francese e del suo fallimento, imputato dai Bauer all'intervento della massa. «Se dunque - risponde Marx - la rivoluzione, che può rappresentare tutte le grandi azioni storiche, è fallita, è fallita perché la massa, entro le cui condizioni essa essenzialmente rimase, era una massa esclusiva, non comprensiva del suo insieme, limitata. Non perché la massa si entusiasmasse e interessasse per la rivoluzione, ma perché la parte più numerosa della massa, quella distinta dalla borghesia, non aveva nel principio della rivoluzione il suo interesse reale, il suo proprio principio rivoluzionario, ma solo un'idea, quindi solo un oggetto di momentaneo entusiasmo e di un'esaltazione soltanto apparente. Con la profondità dell'azione storica, dunque, aumenterà anche l'importanza della massa, della quale essa è azione. Nella storia critica [quella dei Bauer] certamente le cose debbono andar altrimenti».

Senonché l'importanza ed efficacia storica della massa è legata all'azione creativa degli uomini che la compongono - gli operai - la quale azione non è solo creazione di prodotti del lavoro e di progresso materiale, ma (segnalano Marx ed Engels) anche creazione spirituale, creazione dell'uomo stesso. CosI si afferma l'esigenza della personalità umana per ogni uomo; esigenza che la massa sia formata di uomini umani. E l'esigenza che afferma Engels (cap. IV, S i) contro Edgar Bauer, il quale, in polemica contro i socialisti francesi che dicevano che il lavoratore fa tutto e non ha nulla, aveva scritto che il lavoratore non crea nulla, in quanto il suo lavoro resta sempre qualcosa di particolare e transitorio, limitato al puro bisogno individuale giornaliero. Risponde Engels:

«Il lavoratore non crea nulla: questo principio è completamente pazzesco. La Critica critica non crea nulla; il lavoratore crea tutto, e tanto più egli produce tutto in quanto fa vergognare tutta la critica anche con le sue creazioni spirituali; i lavoratori inglesi e francesi potrebbero fornir la prova di ciò. Il lavoratore, anzi, crea l'uomo».

Questa ultima affermazione è ribadita e spiegata più oltre da Marx (cap. VI), mostrando la continuità fra le rivendicazioni ideali degli utopisti e l'azione storica del movimento proletario.

«Tutti gli scrittori comunisti e socialisti - dice Marx - partivano dall'osservazione che tutti i progressi dello spirito sono stati, finora, progressi contro la massa dell'umanità, che è stata spinta in una situazione sempre più disumanizzata. Per ciò dichiararono (cfr. Fourier) che il progresso è una frase insufficiente, astratta, e supposero (vedi, fra gli altri, Owen) un difetto fondamentale del mondo civilizzato: quindi sottoposero ad una critica incisiva i fondamenti reali della società attuale. A questa critica comunista corrispose subito praticamente il movimento della grande massa, in opposizione alla quale si era svolto fino allora tutto lo sviluppo storico. Bisogna aver appreso a conoscere lo studio, la bramosia di sapere, l'energia morale, l'instancabile sforzo di; sviluppo degli operai francesi e inglesi, per poter farsi un'idea della nobiltà umana di questo movimento».

Dunque il movimento proletario crea l'uomo in quanto afferma e rende operante l'esigenza della sua umanità, del suo sviluppo spirituale, della sua conquista della personalità. Che è appunto una rivendicazione universale affermata dal Manifesto dei comunisti contro la situazione storica che fa della personalità un privilegio della classe abbiente, reclamandola invece come esigenza universale e diritto umano.

«Nella società borghese si riserva al capitale ogni personalità e iniziativa; l'individuo lavoratore è privo di iniziativa e personalità. E l'abolizione di queste condizioni la borghesia la chiama abolizione della personalità e della libertà. E non ostante ha ragione. Aspiriamo effettivamente a veder abolita la personalità, l'indipendenza e la libertà borghesi», cioè concepita come privilegio di pochi, con negazione dell'esigenza universale.

«Con ciò confessate che per voi non c'è altra persona che il borghese, il capitalista. Ebbene, la personalità così concepita è quella che noi aspiriamo a distruggere». E come conseguenza di questa rivendicazione del titolo umano opposto ad ogni titolo storico, questa seconda parte del Manifesto conclude affermando l'esigenza di «un'associazione nella quale il libero sviluppo di ciascuno sia condizione del libero sviluppo di tutti».

Per questo fine si rende necessaria la lotta contro la alienazione dell'uomo. Marx in uno scritto - di commento a estratti dagli Elementi di economia politica di James Mill - che Adoratskij trovò in un quaderno di appunti compilato in Parigi tra il principio del 1844 e quello del 1845, e pubblicò nella collezione delle opere di Marx ed Engels sotto il titolo di Aus den Exzerptheften - scriveva (Gesamt- Ausg., Erste. Abt., Bd. III, p. 536):

«Fin tanto che l'uomo non si sia riconosciuto come uomo, e non abbia quindi organizzato il mondo umanamente, questo suo essere sociale si manifesta sotto la forma dell'alienazione (Entfremdung). Poiché il suo soggetto, l'uomo, è un essere estraniato (entfremdetes) a se stesso. Gli uomini sono quest'essere non in una astrazione, ma come individui reali, viventi, particolari. Come essi sono, così dunque è questo stesso essere. E’ dunque un'identica proposizione (il dire) che l'uomo si estrania a se stesso, e (il dire) che la società di quest'uomo estraniato è la caricatura del suo reale essere sociale, della sua vera vita di specie; che quindi la sua attività gli appare come tormento, la sua propria creazione gli appare come una potenza straniera, la sua ricchezza come povertà, il vincolo essenziale, che lo lega agli altri uomini, come un vincolo inessenziale; e che anzi la separazione dagli altri uomini gli appare come la sua vera esistenza; che la sua vita gli appare come il sacrificio della sua vita; che la realizzazione del suo essere gli appare come la irrealizzazione della sua vita, la sua produzione come la produzione del suo nulla; che il suo potere sull'oggetto gli appare come potere dell'oggetto su di lui; che egli stesso, il signore della sua creazione, gli appare come il servo di questa creazione».

Simile alienazione, secondo la teoria di Marx, è una conseguenza ed un prodotto della divisione del lavoro, che implica fin dal suo principio l'introduzione della proprietà privata. Ed allora lo stesso uomo deve vendere non soltanto il suo prodotto, ma la sua medesima forza di lavoro. Dice a questo proposito il Manifesto dei comunisti (cap. I: Borghesi e proletari): «L'estensione dell'uso delle macchine e la divisione del lavoro tolgono a questo, nell'attuale regime proletario, ogni carattere di autonomia, ogni libera iniziativa, e perciò ogni attrattiva per l'operaio. Il lavoratore diventa un semplice accessorio della macchina, dal quale si esige soltanto un'operazione meccanica, monotona, di facile apprendimento

Conseguenza di questo processo è la perdita della condizione di uomo, autore cosciente ed autonomo della sua opera creatrice, la riduzione dell'uomo a un puro strumento (la mano) appendice degli strumenti meccanici e posta al servizio di questi nell'esercizio della forza di lavoro. Questa forza di lavoro deve vendersi come una merce, il cui prezzo di mercato è rappresentato dal costo necessario per il mantenimento della sua vita e la perpetuazione della sua razza.

Contro questa disumanizzazione dell'uomo (Unmenschlichkeit), Marx rinnova la protesta che già nel secolo anteriore aveva espresso Rousseau contro la divisione del lavoro che, riducendo ogni uomo ad una frazione della sua natura umana, gli toglie ogni possibilità di esser libero; e seguendo la via indicata da Vidal e Proudhon in Francia (e in parte anche da Carlyle in Inghilterra), rivendica il carattere di essere umano (Menschlichkeit) che deve appartenere ad ogni uomo, con tutta la capacità di sviluppo spirituale della sua humanitas. E nell'Ideologia tedesca (p. 270 dell'ed. Adoratskij) scrive: «i lavoratori nella loro propaganda comunista fan valere che la missione, la destinazione, il compito di ogni uomo consiste nello sviluppare se stesso in una molteplicità di aspetti, nella totalità delle sue disposizioni naturali, compresa, per esempio, anche la facoltà del pensare».

E polemizza contro Max Stirner, che voleva difendere la divisione del lavoro; questa (dice) riduce l'individuo a un moncone di se stesso, lo rinserra, contro il suo proprio bisogno, in un compito unilaterale, proclamato da altri come sua missione. Ciò che è fatto valere qui sotto forma di una missione o di un destino (dice Marx) è proprio la negazione - generata finora praticamente dalla divisione del lavoro - dell'unica missione realmente destinata all'uomo, ed è quindi la negazione della missione in generale. «La realizzazione dell'individualità in tutti i suoi aspetti cesserà di venir rappresentata come un ideale, come una missione, solo allorquando l'impulso universale, che spinge gli individui al loro sviluppo reale, sia preso sotto il controllo degli individui, come vogliono i comunisti» (p. 270 della ed. Adoratskij).

Ossia: quando ciascuno possa esser padrone del proprio destino e possa avere piena libertà nella scelta del proprio ufficio, piena autonomia di azione e di orientamento della sua vita ed attività, cioè quando possa tradursi in atto una situazione in cui non esista né una classe dominante onnipotente né uno Stato padrone assoluto della collettività e degli individui, e nessun potere superiore sottometta gli individui alle sue esigenze ed al suo dominio, ma la società umana sia diretta dalla volontà degli uomini umani e secondo le loro aspirazioni, soltanto allora si giungerà alla pienezza dell'esistenza umana. Prima non è possibile.

Scrive inoltre Marx: quando le condizioni sotto le quali vive l'individuo gli permettono soltanto lo sviluppo unilaterale di un'unica facoltà a spese di tutte le altre, quando esse gli dànno materiale e tempo per lo sviluppo solamente di quest'unica facoltà, ciò porta questo individuo soltanto a uno sviluppo unilaterale, monco. Nessuna predica morale giova...

«In un individuo, invece, la cui vita abbraccia una grande sfera di svariate attività e relazioni pratiche con il mondo, che quindi conduce una vita multilaterale, il pensiero ha lo stesso carattere di universalità che ogni altra manifestazione di vita di questo individuo» (op. cit., p. 242).

E contro il detto pericolo della riduzione dell'uomo a un frammento unilaterale di uomo, e per l'affermata esigenza di pienezza dello sviluppo umano, Marx giunge (come già Rousseau) a preconizzare la soppressione della divisione del lavoro. Per questa appunto le relazioni di produzione, di classe ecc., cioè le relazioni sociali formate e stabilite assumono un'esistenza autonoma, trascendente e dominante sopra gli individui, e li tiranneggiano e privano di ogni libertà. Dice quindi Marx, in polemica con Max Stirner: «Abbiamo già mostrato più sopra che il superamento dell'indipendenza delle relazioni di fronte agli individui, dell'assoggettamento dell'individualità alla casualità, della sussunzione delle loro relazioni personali sotto i rapporti universali di classe, ecc., è condizionato in ultima istanza dal superamento (Aufhebung) della divisione del lavoro.

«E abbiamo mostrato parimenti che il superamento della divisione del lavoro è condizionato dallo sviluppo del commercio e delle forze produttive fino ad una tale universalità, che la proprietà privata e la divisione del lavoro diventino un impedimento per esse (forze). E abbiamo poi mostrato che la proprietà privata può esser superata solo a condizione di uno sviluppo onnilaterale degli individui, appunto perché il commercio e le forze produttive con cui hanno a che fare sono onnilaterali e possono esser fatte proprie solo da individui sviluppantisi onnilateralmente, cioè verso la libera manifestazione attiva della loro vita» (op. cit., p. 417).

Questo è per Marx l'ideale, la cui traduzione in atto egli prevede nella società comunista: «Dentro alla società comunista, la unica in cui lo sviluppo originale e libero degli individui non è una frase, esso è condizionato dalla connessione degli individui, una connessione che consiste in parte nelle premesse economiche, in parte nella necessaria solidarietà del libero sviluppo di tutti, e infine nell'universale modo di manifestazione attiva degli individui sulla base delle forze di produzioni presenti» (pp. 417-18).

Da questi passi appaiono evidenti due cose: 1) che il preconizzato superamento della divisione del lavoro non deve intendersi nel senso di una abolizione di ogni specializzazione volontaria degli individui, d'accordo con le loro spontanee inclinazioni, capacità e preferenze personali (che Marx era ben lontano dal voler annullare), ma nel senso della soppressione delle condizioni che obbligano e condannano l'individuo ad una forma unilaterale, ristretta ed esclusiva di attività sempre uguale, e non gli permettono di svilupparsi in qualsiasi altro senso. Questo rappresenta appunto la condizione di disumanità, contro la quale Marx si ribella per la conquista delle condizioni umane, della libertà di scelta, della possibilità di cultura e sviluppo dello spirito, che deve appartenere a tutti gli uomini.

2) Che l'ideale di società che Marx propugna, è un ideale di libertà di sviluppo e d'iniziativa, che non può verificarsi nella collettività e caratterizzarla, se non a condizione di verificarsi in ogni individuo e caratterizzare il processo della sua formazione e tutta la sua esistenza reale. Questa dipendenza reciproca ed inscindibile fra il libero sviluppo di ogni persona e il libero sviluppo di tutta la società è precisamente ciò che Marx chiama «società comunista» o anche «comunità reale». E di questa comunità reale, appunto, dice Marx nell'Ideologia tedesca:

«Solo nella comunità con altri ogni individuo ha i mezzi per svolgere in tutti i lati le sue capacità; solo nella comunità, quindi, è possibile la libertà personale. Nei surrogati finora esistiti della comunità, nello Stato, ecc., la libertà personale esisteva solo per gli individui sviluppati nelle relazioni della classe dominante e solo in quanto essi erano individui di questa classe. La comunità apparente, in cui finora si sono associati gli individui, era costantemente sussistente per sé di fronte ad essi, ed insieme - in quanto era un'associazione di una classe di contro ad un'altra - non solo era per la classe dominata una comunità del tutto illusoria, ma anche una nuova catena. Nella comunità reale (invece) gli individui conseguono la loro libertà allo stesso tempo nella loro associazione e per mezzo di essa.

«Da tutto lo sviluppo fin qui compiuto risulta che la relazione di comunità in cui vennero gli individui di una classe, e che era condizionata dai loro interessi comuni di fronte a un terzo, era costantemente una comunità alla quale questi individui appartenevano solo come individui di una frazione, solo in quanto essi vivevano nelle condizioni d'esistenza della loro classe, una relazione in cui avevano parte non in quanto individui, ma in quanto membri della classe. Per contro nella comunità dei proletari rivoluzionari, che prendono sotto il loro controllo le condizioni di esistenza loro e di tutti i membri della comunità, è precisamente l'opposto: in essa prendono parte gli individui in quanto individui. Essa è appunto l'associazione degli individui (nel presupposto, naturalmente, delle forze di produzione finora sviluppate), che consegna al loro controllo le condizioni del libero sviluppo e movimento degli individui, condizioni che finora erano abbandonate al caso e avevano una esistenza per sé stante di fronte ai singoli individui, appunto per via della loro separazione come individui, per via della loro necessaria riunione, che era data con la divisione del lavoro ed era divenuta, per via della sua separazione, un vincolo ad essi straniero» (op. cit., p. 64).

Questo passo ci interessa particolarmente come introduzione e spiegazione della formula sintetica del Manifesto, che (secondo si è già ricordato), prevede l'avvento di «un'associazione nella quale il libero sviluppo di ciascuno sia condizione del libero sviluppo di tutti».

L'esigenza fondamentale affermata dalla concezione marxista dell'uomo, è un'esigenza di libertà, di rispetto alla personalità e al suo diritto di sviluppo indipendente, di rispetto all'autonomia dell'uomo. Non è necessario spendere parole ulteriori per mostrare la differenza e l'opposizione che esistono fra questo marxismo genuino, espresso dalle parole stesse di Marx, e le deformazioni totalitarie, che han pure la pretesa di monopolizzare il marxismo.