Lewis. A. CoserI Maestri del pensiero sociologicoIl Mulino, Bologna 1983 |
Capitolo secondo. Karl Marx1. L'operaKarl Marx fu un teorico e un organizzatore socialista, un grande profeta sociale, una figura rilevante nella storia del pensiero economico e filosofico; tuttavia, in questa sede è come teorico della sociologia che s'impone al nostro interesse. 1.1 Tratti fondamentali del pensieroLa società consiste, secondo Marx, in un equilibrio instabile, di forze contrapposte, che, attraverso le loro lotte e le loro tensioni, generano il mutamento sociale. Marx assunse come punto di partenza una concezione di tipo evolutivo; egli pose alla base del processo non lo sviluppo pacifico ma la lotta e, all’origine dì tutto, la tensione tra opposti, considerando il conflitto sociale, in particolare, come l'elemento determinante del processo storico. Tale modo di pensare, che non si accordava con la maggior parte delle dottrine dei suoi predecessori del secolo precedente, era però in sintonia con gran parte del pensiero del diciannovesimo secolo. Per Marx, il modo in cui gli uomini stabiliscono rapporti tra loro nella incessante lotta per strappare alla natura i mezzi di sussistenza era la forza motrice della storia. "La prima azione storica è... la produzione della vita materiale stessa, e questa è precisamente un'azione storica, una condizione fondamentale di qualsiasi storia" 1. Il procacciamento di quanto indispensabile per mangiare e per bere, cosi come dell'abitazione e degli indumenti fu sin dall'origine della specie il fine primario dell'uomo e, tuttora, nel momento in cui s’intenda analizzare la complessa anatomia della società moderna, è fondamentale porre tali bisogni al centro dell'analisi; infatti, anche quando essi risultino appagati, la lotta dell'uomo contro la natura non cessa, giacché l’uomo è un animale permanentemente insoddisfatto. Il soddisfacimento delle esigenze fa nascere "nuovi bisogni: e questa produzione di nuovi bisogni è la prima azione storica" 2. Quando i mezzi per appagare i bisogni avvertiti in precedenza sono stati reperiti, nascono nuove necessità. Dopo aver superato il primitivo stadio comunitario di sviluppo, gli uomini, nello sforzo di soddisfare bisogni primari e quelli secondari, danno vita a rapporti di cooperazione di tipo antagonista. Non appena nella società umana si crea una divisione del lavoro, essa determina la formazione di classi antagoniste protagoniste del dramma storico. Secondo Marx, la cui concezione storia è dunque relativistica, tutte le relazioni sociali poste in essere dagli uomini così come tutti i sistemi di pensiero affondano in modo specifico le loro radici nei diversi periodi storici. "Cosi queste idee, queste categorie sono tanto poco eterne quanto i rapporti che esse esprimono. Sono prodotti storici e transitori" 3. Per esempio, mentre gli economisti classici avevano considerato la tripartizione tra proprietari fondiari, capitalisti e salariati come un dato eterno dell'ordine naturale delle cose, Marx riteneva tali categorie come espressione specifica di determinati periodi storici, come prodotti di uno stato di cose storicamente transitorio. La specificità storica è la connotazione essenziale del pensiero di Marx; quando, ad esempio, sosteneva che tutti i periodi storici del passato erano stati caratterizzati dalla lotta tra le classi, subito dopo aggiungeva che a seconda dei periodi storici tali lotte avevano assunto caratteri diversi. Mentre i suoi predecessori avevano inteso considerare la storia come una monotona successione di lotte tra i ricchi e i poveri, tra i detentori e i non detentori del potere, Marx, differenziandosi nettamente da essi, sosteneva che certamente le lotte di classe avevano contrassegnato l'intero corso della storia, ma di volta in volta le parti in lotta erano diverse. Nonostante vi possano essere stati taluni elementi di somiglianza tra i garzoni del tardo Medioevo, che lottavano con i maestri delle corporazioni, e i lavoratori dell'industria moderna, che si contrapponevano ai capitalisti, le parti contendenti erano tuttavia in una situazione funzionalmente diversa. Il carattere dell'intera matrice sociale determinava le forme di lotta che in essa si sviluppavano. Il fatto che i moderni lavoratori dell'industria, a differenza dei garzoni del Medioevo, siano per sempre espropriati della disponibilità dei mezzi di produzione e siano costretti a vendere la loro forza-lavoro a coloro che controllano tali mezzi, fa di essi una classe qualitativamente diversa da quella degli artigiani e dei garzoni. Il fatto che i moderni lavoratori siano formalmente "liberi" di vendere il proprio lavoro, quantunque di fatto vi siano costretti, rende la loro condizione storicamente specifica e funzionalmente diversa da quella delle precedenti classi sfruttate. Il pensiero di Marx si differenziava nettamente sia da quello di Comte sia da quello di Hegel; per essi, infatti, l’evoluzione dell'umanità era determinata innanzitutto dall’evoluzione delle idee o da quella dello spirito umano. Per Marx, al contrario, il punto di partenza era costituito dall'evoluzione delle condizioni materiali degli uomini, dai diversi modi in cui gli uomini si associano per procurarsi i mezzi di sussistenza: "tanto i rapporti giuridici quanto le forme dello Stato non possono essere compresi né per se stessi, né per la cosiddetta evoluzione generale dello spirito umano, ma hanno le loro radici, piuttosto, nei rapporti materiali dell'esistenza il cui complesso viene abbracciato da Hegel... sotto il termine di "società civile"... l'anatomia della società civile è da cercare nell'economia politica" 4. Secondo Marx, il mutamento dei sistemi sociali non poteva essere spiegato con il ricorso a fattori extra-sociali, come la realtà geografica o il clima, poiché questi, a fronte delle più rilevanti trasformazioni storiche, rimangono relativamente costanti; né tale mutamento può essere spiegato facendo riferimento al sorgere di nuove idee. La genesi e l'accettazione delle idee dipendono da qualcosa che non è un'idea: le idee non sono le forze motrici, ma il riflesso, diretto o indiretto, degli interessi materiali che muovono gli uomini nei loro rapporti5. Da Hegel, o forse anche da Montesquieu, Marx derivò quella concezione olistica della società, in base alla quale essa appare come un tutto strutturalmente interrelato, ed egli ritenne, conseguentemente, che qualsiasi aspetto dell'insieme — sia esso il sistema giuridico, l'istruzione, la religione o l'arte — non potesse essere compreso se considerato isolatamente. Aggiunse inoltre che le società non sono soltanto insiemi strutturati, ma anche totalità in divenire. In ordine ad esse il modo di produzione, che nel sistema hegeliano svolgeva soltanto un ruolo secondario, agisce, secondo Marx, come variabile indipendente. Proprio in questa precisazione risiede il suo contributo specifico. Sebbene i fenomeni storici fossero il risultato di un'interazione di molteplici fattori, tutti, tranne quello economico, erano, in ultima analisi, variabili dipendenti. "L'evoluzione politica, giuridica, filosofica, religiosa, letteraria, artistica, ecc. riposa sull'evoluzione economica. Ma esse reagiscono tutte anche l'una sull'altra, e sulla base economica. Non è che la situazione economica sia la sola causa attiva e tutto il resto nient'altro che effetto passivo. Vi è al contrario un'azione reciproca sulla base della necessità economica che, in ultima istanza, s'impone sempre" 6. L'insieme dei rapporti di produzione, cioè i rapporti che gli uomini stabiliscono tra loro quando, per il perseguimento dei loro fini produttivi, utilizzano le materie prime e le tecnologie esistenti, costituisce la base reale su cui si viene ad erigere l'intera sovrastruttura culturale della società. Per rapporti di produzione Marx intende non soltanto la tecnologia, sebbene questa ne costituisca una parte rilevante, ma tutti quei rapporti sociali che gli uomini stabiliscono attraverso la loro partecipazione alla vita economica. "Le macchine non sono una categoria economica più di quanto lo sia il bue che trascina l'aratro. Le macchine non sono che una forza produttiva. La fabbrica moderna, che si basa sull'impiego delle macchine, è un rapporto sociale di produzione, una categoria economica" 7. Il modo di produzione si realizza mediante relazioni tra gli uomini, che non dipendono da questo o da quell'individuo particolare, né sono soggette alle volontà e agli scopi dei singoli. "Nella produzione sociale della loro esistenza, gli uomini entrano in rapporti determinati, necessari, indipendenti dalla loro volontà, in rapporti di produzione che corrispondono a un determinato grado di sviluppo delle loro forze produttive materiali. L'insieme di questi rapporti di produzione costituisce la struttura economica della società, ossia la base reale sulla quale si eleva una sovrastruttura giuridica e politica e alla quale corrispondono forme determinate della coscienza sociale. Il modo di produzione della vita materiale condiziona, in generale, il processo sociale, politico e spirituale della vita. Non è la coscienza degli uomini che determina il loro essere, ma è, al contrario, il loro essere sociale che determina la loro coscienza" 8. Da queste osservazioni risulta che il fatto che gli uomini nascano in società in cui i rapporti di proprietà sono già stati definiti, è fondamentale: sono questi rapporti a determinare, a loro volta, il sorgere di classi sociali differenti. Un uomo infatti come non può scegliere il proprio padre cosi non ha alcuna possibilità di scelta in ordine alla propria classe (la mobilità sociale, anche se ammessa da Marx, non svolge in pratica, nella sua analisi, alcun ruolo). L'appartenenza di un uomo ad una classe determinata in conseguenza della sua nascita, l'essere un signore feudale o un servo della gleba, un lavoratore industriale o un capitalista, è ciò che determina i suoi modi di comportamento: "individui determinati che svolgono un'attività produttiva secondo un modo determinato entrano in... determinati rapporti sociali e politici" 9. L'uomo risulta dunque determinato in modo rilevante proprio dai ruoli connessi alle classi. Nella sua prefazione a Il capitale Marx scriveva: "qui si tratta delle persone soltanto in quanto sono la personificazione di categorie economiche, incarnazione di determinati rapporti e di determinati interessi di classe” 10. Con tale affermazione, Marx non nega l'azione di altre variabili, anche se concentra la propria attenzione sulle determinanti di classe che considera fattori decisivi. Una diversa collocazione all'interno della struttura di classe conduce a differenti interessi di classe. Tali contrastanti interessi non derivano dalla coscienza di classe o dalla mancanza di essa negli individui, ma dalla posizione che obiettivamente essi hanno in relazione al processo di produzione. Gli uomini potrebbero anche non essere consapevoli dei loro interessi di classe e, tuttavia, essere, a loro insaputa, da essi sollecitati. Nonostante il rilievo dato ai fattori che oggettivamente determinano il comportamento degli uomini, quale espressione della loro appartenenza ad una classe, Marx non reificava né la società né la classe a spese dei singoli individui. "E’ da evitare innanzi tutto di fissare ancora la "società" come un'astrazione di fronte all'individuo. L'individuo è l'ente sociale. La sua manifestazione di vita — anche se non appare nella forma immediata di una manifestazione di vita comune compiuta a un tempo con altri — è quindi una manifestazione e una affermazione della vita sociale" 11. L'uomo, che soltanto nella società si realizza come essere umano, è inevitabilmente inserito in un insieme di relazioni sociali che ne condizionano le azioni; conseguentemente, tutti i tentativi tesi ad abolire tali condizioni sono destinati a fallire. Tuttavia, in specifiche congiunture storiche è possibile che egli muti la natura di tali costrizioni. La divisione della società in classi determina il sorgere di concezioni del mondo di carattere politico, etico, filosofico e religioso, che sono espressione degli esistenti rapporti di classe e che tendono o a consolidare o a indebolire il potere e l'autorità della classe dominante. "Le idee della classe dominante sono in ogni epoca le idee dominanti; cioè, la classe che è la potenza materiale dominante della società è in pari tempo la sua potenza spirituale dominante. La classe che dispone dei mezzi della produzione materiale dispone con ciò, in pari tempo, dei mezzi della produzione intellettuale" 12. Tuttavia le classi oppresse, benché ostacolate dal predominio ideologico degli oppressori, creano, per combatterli, ideologie alternative. Nei periodi rivoluzionari o pre-rivoluzionari può persino accadere che taluni rappresentanti della classe dominante vengano meno alla propria fedeltà di classe. Cosi, "una parte degli ideologi borghesi che sono giunti a comprendere teoricamente il movimento storico nel suo insieme" 13 passa al proletariato. Un continuo mutamento delle forze materiali di produzione, cioè di quelle forze della natura che possono essere controllate attraverso l'uso appropriato di tecnologie e capacità umane, caratterizza ogni ordine sociale: "i rapporti sociali di produzione, si modificano, dunque, si trasformano con la trasformazione e con lo sviluppo dei mezzi materiali di produzione, delle forze produttive" 14. Ad un certo punto i mutati rapporti sociali di produzione entrano in conflitto con gli esistenti rapporti di proprietà, cioè con le esistenti divisioni tra proprietari e non proprietari. Quando ciò si verifica, i rappresentanti delle classi emergenti giungono a percepire i rapporti di proprietà esistenti come un impedimento ad ogni ulteriore sviluppo e quelle classi che ritengono di ottenere, attraverso il mutamento del rapporto di proprietà, una più larga partecipazione al potere, diventano rivoluzionarie. Man mano che all'interno delle vecchie strutture cominciano a svilupparsi nuovi rapporti sociali, come risultato di contraddizioni e di tensioni in esse presenti, essi, a loro volta, contribuiscono ad esasperare la situazione. Cosi, quando, per esempio, i nuovi modi di produzione industriale sviluppatisi lentamente nella tarda società feudale permisero alla borghesia, che controllava questi nuovi modi di produzione, di contestare efficacemente il potere delle classi dominanti nell'ordine feudale e il modo borghese di produzione venne ad acquistare un peso a ciò sufficiente, esso progressivamente distrusse i rapporti feudali entro cui inizialmente si era affermato. "La struttura economica della società capitalistica è derivata dalla struttura economica della società feudale. La dissoluzione di questa ha liberato gli elementi di quella" 15. Analogamente, il modo capitalistico di produzione porta alla costituzione di una classe di proletari industriali. Questi nel momento in cui acquistano una coscienza di classe, scoprono il loro fondamentale antagonismo con la classe borghese, si uniscono tra loro per abbattere un regime cui pur devono la loro esistenza. "Il proletariato esegue la condanna che la proprietà privata pronuncia su se stessa producendo il proletariato" 16. Tutte le nuove forme sociali ed economiche si realizzano all'interno di quelle che le hanno precedute. 1.2 La teoria delle classiLa teoria della classi di Marx si fonda sulla premessa che "La storia di ogni società sinora esistita è storia di lotte di classi" 17. Secondo tale concezione, sin da quando la società umana è uscita dal suo stadio primitivo e relativamente indifferenziato, essa ha continuato a reggersi sulla base di una fondamentale divisione in classi in lotta tra loro per il perseguimento dei rispettivi interessi. Nella realtà del sistema capitalistico, per esempio, la fabbrica, che ne costituisce la cellula elementare, non è tanto un punto di collaborazione funzionale quanto la sede principale in cui si sviluppa l'antagonismo tra le classi, tra sfruttatori e sfruttati, tra coloro che si appropriano della forza-lavoro e coloro che sono costretti a venderla. Gli interessi di classe e lo scontro di potere che essi provocano sono, a giudizio di Marx, la principale determinante del processo sociale e storico. Il modo in cui i rapporti tra gli uomini vengono ad essere modellati in funzione delle rispettive posizioni in ordine ai mezzi di produzione, cioè in relazione alle loro differenziate possibilità di accesso a risorse e poteri limitati, costituisce il punto focale di tutta l'analisi di Marx. Egli osserva che tale differenziata possibilità di accesso non necessariamente conduce in ogni tempo e con qualunque condizione ad una effettiva lotta di classe. Tuttavia, poiché ogni società differenziata genera sistematicamente conflitti di interesse tra persone e gruppi collocati in modo differenziato all'interno della struttura sociale e, in particolare, situati in funzione diversa rispetto ai mezzi di produzione, Marx riteneva che l'esistenza presso le società di un potenziale per il conflitto di classe fosse un fatto assiomatico. L'interesse di Marx si rivolse, dunque, ai modi attraverso cui le specifiche posizioni occupate all'interno delle strutture sociali tendevano a modellare le esperienze sociali dei titolari di tali posizioni e a predisporli verso azioni tese al miglioramento del loro comune destino. Nella sociologia marxiana tuttavia gli interessi di classe non sono dati ab initio: essi si sviluppano quando coloro che occupano particolari posizioni sociali si trovano coinvolti in particolari circostanze sociali. Cosi, nelle prime imprese industriali, la concorrenza divideva gli interessi personali di "una folla di persone sconosciute le une alle altre... Ma il mantenimento del salario, questo interesse comune che essi hanno contro il padrone, li unisce"18. "I singoli individui formano una classe solo in quanto debbono condurre una lotta comune contro un'altra classe; per il resto, essi stessi si ritrovano l'uno di contro all'altro come nemici, nella concorrenza" 19. A differenza di quanto si sosteneva in Inghilterra nella scuola utilitaristica e nell'economia politica classica, gli interessi di classe sono fondamentalmente diversi dagli interessi individuali e non possono derivarsi da essi. Per il fatto che uno strato sociale occupa una specifica posizione all'interno delle strutture sociali particolari e dei rapporti di produzione, gli appartenenti ad esso hanno interessi solo potenzialmente comuni: il passaggio dalla potenzialità alla realtà, per cui la classe in sé diventa classe per sé, si ha soltanto quando gli individui che occupano posizioni simili si trovano coinvolti in lotte collettive e insieme sviluppano una rete di comunicazione che li rende consapevoli della loro sorte comune. Soltanto allora gli individui diventano parte di una classe saldamente unita che con consapevolezza organizza i propri interessi comuni. Come Carlyle ebbe a notare, "Potente è la voce degli uomini uniti". Più individui possano occupare all'interno del processo produttivo posizioni simili, le loro vite possano subire condizionamenti obiettivamente comuni, tuttavia essi si costituiscono in classe autocosciente e diventano soggetto di storia soltanto quando, attraverso i conflitti con le classi antagoniste, acquistano coscienza della similarità dei loro interessi. Per Marx, la base su cui poggiano i sistemi di stratificazione è il rapporto tra i gruppi umani e i mezzi di produzione. "I proprietari della semplice forza-lavoro, i proprietari del capitale e i proprietari fondiari, le cui rispettive fonti di reddito sono salario, profitto e rendita fondiaria" 20, costituiscono le tre classi fondamentali della società moderna. Per classe si intende un insieme di persone che si trovano a svolgere, all'interno dell'organizzazione produttiva, una medesima funzione. Tuttavia, affinché le classi possano costituirsi in soggetti coscienti di sé e, come tali distinguersi da un semplice insieme di individui uniti da una sorte comune, sono necessarie alcune condizioni, tra cui una rete di comunicazioni, la concentrazione di grandi masse, un nemico comune e una qualche forma di organizzazione; soltanto se e quando si realizza una convergenza tra ciò che Max Weber chiamò più tardi interessi "ideali" e "materiali", cioè il sovrapporsi di istanze economiche e politiche a sollecitazioni di ordine morale e ideologico, le classi si costituiscono come soggetti autocoscienti. Come Marx affermava che la classe lavoratrice, una volta verificatesi le condizioni necessarie, sarebbe stata portata a sviluppare una propria coscienza di classe, cosi, con un ragionamento analogo giungeva a sostenere che la borghesia, a causa dei rapporti concorrenziali esistenti tra i produttori capitalisti, non sarebbe stata in grado di sviluppare una coscienza totale dei suoi interessi collettivi. Gli economisti classici rappresentavano il sistema economico basato sull'economia di mercato come un sistema in cui, pur essendo ciascuno impegnato nella ricerca del proprio interesse e teso unicamente a rendere massimo il proprio profitto, contribuiva ciò nonostante a realizzare gli interessi e l'armonia del tutto. Differenziandosi nettamente da essi, Marx sosteneva, come ha precisato Raymond Aron, che "ognuno, lavorando nel suo interesse, contribuisce al funzionamento necessario e alla distruzione finale del sistema" 21. Mentre gli utilitaristi consideravano l'interesse individuale l'elemento su cui poggia l'armonia della società, Marx vedeva negli interessi individualmente perseguiti dai capitalisti la forza che avrebbe corroso il loro generale interesse di classe e avrebbe condotto alla autodistruzione finale del capitalismo: proprio il fatto che ciascun capitalista agisce razionalmente per il perseguimento del proprio esclusivo interesse determina crisi economiche sempre più profonde e quindi la distruzione dei comuni interessi. La medesima condizione di lavoro ed il ruolo ad essa conseguente predispone i lavoratori a solidarizzare e a superare l'iniziale situazione concorrenziale in favore di un'azione concertata, diretta al perseguimento dei loro comuni interessi di classe. D'altra parte, costretti dalla concorrenza del mercato, i capitalisti si trovano in una posizione strutturale che non consente loro di raggiungere una coerente rivendicazione degli interessi comuni. Il mercato e il modo di produzione concorrenziale propri del sistema capitalistico tendono a dividere i singoli produttori. E' vero che, secondo Marx, i capitalisti avrebbero potuto trovare anche una qualche forma di superamento del loro esclusivo ed immediato interesse, ma egli riteneva che ciò si sarebbe realizzato non tanto nel settore economico quanto in quello politico ed ideologico. Divisi tra loro dalla concorrenza economica, i capitalisti sviluppavano un'ideologia legittimante e un sistema di dominazione politica funzionale rispetto ai loro interessi collettivi: "lo Stato è la forma in cui gli individui di una classe dominante fanno valere i loro interessi comuni" 22. "Le idee della classe dominante sono... le idee dominanti" 23. Per i capitalisti il potere politico e l'ideologia sembrano dunque svolgere quelle stesse funzioni che la coscienza di classe svolge per la classe lavoratrice. Il parallelismo è, tuttavia, soltanto apparente, poiché per Marx il settore economico era sempre, in ultima analisi, quello decisivo, quello in cui la borghesia sarebbe rimasta in ogni caso vittima della situazione concorrenziale inerente ai meccanismi economici. Infatti anche se si fosse potuta sviluppare una coscienza, si sarebbe trattato sempre di una "falsa coscienza", cioè di una coscienza che non superava il fatto di essere radicata in un modo di produzione basato sulla concorrenza; conseguentemente né la borghesia come classe né lo stato borghese né l'ideologia borghese avrebbero potuto realmente contribuire ad indurre i borghesi a superare gli interessi individualisticamente perseguiti. Quando le condizioni economiche fossero state mature, quando la classe lavoratrice unita dalla solidarietà, cosciente dei propri interessi comuni e stimolata da un appropriato sistema di idee, avesse affrontato i suoi antagonisti disuniti, si sarebbe realizzata la condanna del dominio borghese. Una volta che i lavoratori fossero diventati consapevoli di essere alienati dal processo di produzione, si sarebbe iniziato il tramonto dell'era capitalista24. 1.3 L'alienazioneLa storia dell'umanità presentava, secondo Marx, un duplice aspetto: era ad un tempo la storia dell'uomo che realizza un controllo crescente sulla natura e la storia della sua progressiva alienazione. L'alienazione si può definire come una condizione nella quale gli uomini sono dominati da forze che essi stessi hanno create e che si contrappongono loro come forze alienate. In tutti gli scritti filosofici e giovanili di Marx tale concetto occupa una posizione centrale, ma esso ispira, sebbene non più come problema filosofico ma come fenomeno sociale, anche le sue opere successive. L'interrogativo del giovane Marx consisteva nel chiedersi in quali circostanze gli uomini tendano a proiettare su oggetti che sfuggono al loro controllo i propri poteri e valori e quali siano le cause sociali di questo fenomeno. Marx riteneva che tutte le principali istituzioni della società capitalistica, come la religione, lo stato, l'economia politica avessero alla base una condizione di alienazione, i cui molteplici aspetti erano inoltre tra loro interdipendenti. "L'alienazione è la pratica dell'espropriazione. Come l'uomo, fino a che è schiavo del pregiudizio religioso, sa oggettivare il proprio essere soltanto facendone un estraneo essere fantastico, cosi sotto il dominio del bisogno egoistico egli può operare praticamente, praticamente produrre oggetti, soltanto ponendo i propri prodotti, come la propria attività, sotto il dominio di un essere estraneo, e conferendo ad essi il significato di un essere estraneo: il denaro"25. "Il denaro è l'essenza, estraniata all'uomo, del suo lavoro e della sua esistenza, e questa essenza estranea lo domina, ed egli l'adora"26. "Lo Stato è il mediatore tra l'uomo e la libertà dell'uomo. Come Cristo è il mediatore che l'uomo carica di tutta la sua divinità, di tutto il suo pregiudizio religioso, cosi lo Stato è il mediatore nel quale egli trasferisce tutta la sua mondanità, tutta la sua spregiudicatezza umana" 27. L'alienazione è dunque presente nell'uomo in tutte le istituzioni nelle quali si trova irretito. Tuttavia l'alienazione sul luogo del lavoro ha, per Marx, un'importanza fondamentale, giacché egli considerava l'uomo soprattutto come homo faber, l'uomo in quanto produttore. "L'importante nella Fenomenologia hegeliana... è dunque che Hegel intende l'autoprodursi dell'uomo come un processo... che egli dunque coglie l'essenza del lavoro e concepisce l'uomo oggettivo... come risultato del proprio lavoro" 28. Con il capitalismo l'alienazione economica, a differenza delle altre forme di alienazione, non interessa soltanto le menti degli uomini, ma tutte le loro attività quotidiane. "L'alienazione religiosa come tale si produce soltanto nel dominio della coscienza, dell'interno dell'uomo, ma l'alienazione economica è l'alienazione della vita reale: la sua soppressione abbraccia quindi ambo i lati" 29. Nel mondo del lavoro l'alienazione si sostanzia in quattro aspetti. L'uomo si aliena: a) dagli oggetti che produce, b) dal processo di produzione, e) da se stesso, d) dalla comunità dei propri simili. L'oggetto, prodotto dal lavoro, prodotto suo, sorge di fronte al lavoro come un ente estraneo, come una potenza indipendente dal producente... quanto più l'operaio si consuma nel lavoro tanto più acquista potenza il mondo estraneo, oggettivo, che egli si crea di fronte, e tanto più povero diventa egli stesso, il suo mondo interiore, e tanto meno egli possiede30. "Ma l'alienazione non si mostra solo nel risultato, bensì anche nell'atto della produzione, dentro la stessa attività producente... Se, dunque, il prodotto del lavoro è la espropriazione, la stessa produzione deve essere espropriazione in atto... Nella alienazione dell'oggetto del lavoro si riassume soltanto l'alienazione, l'espropriazione, che avviene nell'attività stessa del lavoro" 31. Alienato dagli oggetti del proprio lavoro e dal processo di produzione, l'uomo è anche alienato da se stesso, nel senso che non può pienamente sviluppare i molteplici aspetti della sua personalità: "Il lavoro resta esterno all'operaio, cioè non appartiene al suo essere; ...l'operaio quindi non si afferma nel suo lavoro, bensì si nega ...L'operaio si sente quindi con se stesso soltanto fuori del lavoro e fuori di sé nel lavoro" 32. "In esso egli non appartiene a sé, bensì a un altro" 33. "Rapporto ch'è il rapporto dell'operaio con la sua propria attività come estranea, non sua, l'attività come passività, la forza ch'è debolezza, la generazione ch'è impotenza, l'energia fisica e spirituale propria dell'operaio, la sua vita personale ...come un'attività rivolta contro lui stesso, da lui indipendente, a lui non appartenente" 34. Infine, l'uomo alienato è anche alienato dalla comunità umana, dalla sua "specie": "lo straniarsi dell'uomo dall'uomo. Quando l'uomo sta di fronte a se stesso, gli sta di fronte l'altro uomo. Ciò che vale del rapporto dell'uomo al suo lavoro, al prodotto del suo lavoro e a se stesso, ciò vale del rapporto dell'uomo all'altro uomo... il dire che la sua essenza specifica è estraniata dall'uomo significa che un uomo è estraniato dall'altro, come ognuno di essi dall'essenza umana" 35. A Marx sarebbero piaciuti i versi del poeta A. E. Housman: "Io, estraneo ed impaurito, in un mondo da me non costruito". Solo che Marx avrebbe sostituito l’"io" del poeta con un "noi". Negli scritti successivi di Marx il termine alienazione non è presente, tuttavia sbagliano i commentatori moderni quando affermano che Marx abbia abbandonato tale idea. Essa, infatti, ispira gli scritti maturi e in particolare II capitale. Nella nozione di "feticismo delle merci", che nell'analisi economica di Marx è centrale, egli utilizza frequentemente il concetto di alienazione. Le merci sono prodotti alienati del lavoro dell'uomo, manifestazioni cristallizzate, che come Frankenstein dominano i loro creatori: "la forma di merce", scrive Marx nel Capitale, "e il rapporto di valore dei prodotti di lavoro nel quale essa si presenta non ha assolutamente nulla a che fare con la loro natura fisica e con le relazioni fra cosa e cosa che ne derivano. Quel che qui assume per gli uomini la forma fantasmagorica di un rapporto fra cose è soltanto il rapporto sociale determinato fra gli uomini stessi. Quindi, per trovare un'analogia, dobbiamo involarci nella regione nebulosa del mondo religioso. Quivi, i prodotti del cervello umano appaiono figure indipendenti, dotate di vita propria, che stanno in rapporto tra di loro e in rapporto con gli uomini. Cosi, nel mondo delle merci, fanno i prodotti della mano umana. Questo io chiamo il feticismo che s'appiccica ai prodotti del lavoro appena vengono prodotti come merci" 36. Esplicita o sottintesa, la nozione di alienazione occupa una posizione centrale nell'analisi sociale ed economica di Marx. In una società alienata, tutto il sistema concettuale degli uomini — la loro coscienza — è, in larga misura, soltanto il riflesso delle condizioni in cui essi si trovano e della diversa posizione da essi occupata nel processo di produzione. È questo l'oggetto della sociologia della conoscenza di Marx, cui noi ora ci volgeremo. 1.4 La sociologia della conoscenzaNel tentativo di distinguersi sia dal sistema panlogistico di Hegel, suo primo maestro, sia dalla "filosofia critica" dei giovani hegeliani, suoi amici di un tempo, Karl Marx, in alcuni scritti giovanili, giunse a stabilire una connessione tra le filosofie, le idee in generale, e le concrete strutture sociali in cui esse si sviluppano. "A nessuno di questi filosofi è venuto in mente di ricercare", egli scriveva, "il nesso esistente tra la filosofia tedesca e la realtà tedesca, il nesso tra la loro critica e il loro proprio ambiente materiale" 37. Una volta stabilito questo orientamento programmatico, Marx prosegui analizzando i modi in cui i sistemi delle idee apparivano dipendere dalle posizioni sociali, e particolarmente dalle posizioni di classe dei loro proponenti. Nell'opporsi alle idee dominanti del suo tempo, Marx giunse a sottolinearne la relatività. Le verità eterne del pensiero dominante si risolvevano, dopo un attento esame, in null'altro che nell'espressione diretta o indiretta degli interessi dei loro portatori. Marx si sforzava di spiegare sistematicamente le idee sulla base delle loro funzioni e di collegare il pensiero dei singoli con i loro ruoli sociali e la loro posizione di classe. Egli riteneva che "Se... si svincolano le idee della classe dominante dalla classe dominante e si rendono autonome, se ci si limita a dire che in una epoca hanno dominato queste o quelle idee, senza preoccuparsi delle condizioni della produzione e dei produttori di queste idee e se quindi si ignorano gli individui e le situazioni del mondo che stanno alla base di queste idee" 38, ci si smarrisce. Le idee, secondo Marx, devono farsi risalire alle condizioni di vita e alle situazioni storiche che le sostengono; per esempio, non basta dichiarare che le idee degli scrittori borghesi sono le idee della borghesia. Bisogna distinguere tra le idee che si formano all'inizio e quelle che si sviluppano al culmine dell'era borghese. I concetti utilitaristici contenuti negli scritti di Helvétius e di d'Holbach si differenziano da quelli esposti da James Mill e da Bentham. "La prima [posizione] corrisponde alla borghesia combattente, non ancora sviluppata, la seconda alla borghesia dominante, sviluppata" 39. Questo vale tanto per le idee rivoluzionarie quanto per quelle conservatrici. "L'esistenza di idee rivoluzionarie in una determinata epoca presuppone già l'esistenza di una classe rivoluzionaria" 40; "le idee dominanti di un'epoca furono sempre soltanto le idee della classe dominante. Si parla di idee che rivoluzionano tutta una società; con ciò si esprime soltanto il fatto che in seno alla vecchia società si sono formati gli elementi di una società nuova, che con la dissoluzione dei vecchi rapporti di esistenza procede di pari passo il dissolvimento delle vecchie idee" 41. Non è necessario che gli ideologi e i rappresentanti politici di una classe ne condividano tutte le caratteristiche materiali, ciò che è necessario è che essi partecipino al carattere complessivo di essa e se ne facciano portatori. "Tanto meno si deve credere che i rappresentanti democratici siano tutti shop keepers [bottegai] o che nutrano per questi un'eccessiva tenerezza. Possono essere lontani dai bottegai, per cultura e situazione personale, tanto quanto il cielo è lontano dalla terra. Ciò che fa di essi dei rappresentanti del piccolo borghese è il fatto che la loro intelligenza non va al di là dei limiti che il piccolo borghese stesso non oltrepassa nella sua vita, e perciò essi tendono, nel campo della teoria, agli stessi compiti e alle stesse situazioni a cui l'interesse materiale e la situazione sociale spingono il piccolo borghese nella pratica" 42. Marx ammetteva, inoltre, che i singoli individui non sempre pensino in termini di interessi di classe, che essi "non siano "sempre" determinati dalla classe cui appartengono" 43. Ma, categorie di persone, in quanto distinte dai singoli individui, sono in tal senso influenzate. Nei suoi scritti più polemici, Marx usava la sua analisi funzionale dei rapporti tra le idee e la posizione sociale dei loro proponenti come mezzo di smascheramento e di demistificazione di specifici avversari e delle loro idee. I suoi obiettivi erano tuttavia più vasti, come rilevò Karl Mannheim quando scrisse: "L'intenzione [di Marx]... poteva raggiungere il suo scopo solo non limitandosi a smascherare la natura "legata all'interesse" e determinata dall'"essere" di singole idee della classe dominante ma riuscendo a far dipendere dalla realtà sociale, l'intera sovrastruttura ideologica...; quindi, mettere in rilievo non singole idee nella loro determinatezza esistenziale ma la totalità di un "sistema di Weltanschauung"... nella sua dipendenza dall'"essere"..." 44. Negli scritti successivi di Marx, e soprattutto in quella rilevante serie di lettere di Engels che risale agli anni Novanta, talune drastiche affermazioni contenute nei polemici scritti giovanili vennero smussate. Marx ed Engels erano ora portati a ripudiare l'idea che la "struttura" economica determinasse, da sola, il carattere della "sovrastruttura" delle idee e mantenevano ferma solo l'affermazione che essa fosse "alla fin fine" o in "ultima analisi" il fattore determinante. "Secondo la concezione materialistica della storia il fattore che in ultima istanza è determinante nella storia è la produzione e la riproduzione della vita reale... Se ora qualcuno travisa le cose, affermando che il fattore economico sarebbe Vunìco fattore determinante, egli trasforma quella proposizione in una frase vuota, astratta, assurda. La situazione economica è la base, ma i diversi momenti della sovrastruttura... esercitano pure la loro influenza sul corso delle lotte storiche e in molti casi ne determinano la forma in modo preponderante" 45. Sia Marx sia Engels nei loro scritti maturi giunsero ad ammettere l'esistenza di un certo grado di intrinseca autonomia nello sviluppo delle idee giuridiche, politiche, religiose, letterarie ed artistiche. Essi sottolinearono che la matematica e le scienze naturali non subirono la diretta influenza della struttura sociale ed economica ed ammisero che le sovrastrutture non erano soltanto il riflesso delle strutture, potendo a loro volta agire su di esse. Le tesi marxiane, cosi interpretate, diventavano molto più flessibili46, ma perdevano talune delle loro caratteristiche distintive. La dinamica del cambiamento socialeIl processo di mutamento sociale è cosi centrale nel pensiero di Marx da informare di sé tutti i suoi scritti. Per Marx, la forza motrice della storia non va cercata nell'azione di elementi extraumani, siano essi la "provvidenza" o lo "spirito oggettivo": per Marx sono proprio gli uomini a fare la loro storia. La storia umana è il processo attraverso cui gli uomini, opponendosi alla natura per dominarla, cambiano se stessi. Nel corso della loro storia gli uomini trasformano sempre più la natura per meglio adattarla ai propri obiettivi, e, nel processo di trasformazione della natura, essi trasformano se stessi. Diversamente dagli animali, che possono adattarsi soltanto passivamente alle condizioni imposte dalla natura, cercando nell'ordine ecologico una nicchia che permetta loro di continuare a vivere, l'uomo assume un atteggiamento attivo rispetto all'ambiente che lo circonda: forgia gli utensili con i quali trasformare il suo habitat naturale. Gli uomini "cominciarono a distinguersi dagli animali allorché cominciarono a produrre i loro mezzi di sussistenza. .. Producendo i loro mezzi di sussistenza, gli uomini producono indirettamente la loro stessa vita materiale" 47. Gli uomini che "rifanno ogni giorno la propria vita" 48 nel processo di produzione, possono farlo soltanto associandosi gli uni con gli altri. È ciò che fa dell'uomo uno zòon politicòn. I rapporti che gli uomini stabiliscono con la natura, attraverso il loro lavoro, si riflettono nei loro rapporti sociali. "La produzione della vita, tanto della propria nel lavoro quanto dell'altrui nella procreazione, appare già in pari tempo come un duplice rapporto: naturale da una parte, sociale dall'altra, sociale nel senso che si attribuisce a una cooperazione di più individui, non importa sotto quali condizioni, in quale modo e per quale scopo. Da ciò deriva che un modo di produzione o uno stadio industriale determinato è sempre unito con un modo di cooperazione o uno stadio sociale determinato, e questo modo di cooperazione è anche esso una "forza produttiva"" 49. Nella loro lotta contro la natura per procurarsi, attraverso il lavoro associato, i mezzi di sussistenza, gli uomini creano specifiche forme di organizzazioni sociali in armonia con gli specifici modi di produzione. Tutte queste forme di organizzazione sociale, ad eccezione di quelle in vigore nell'originario stadio di comunismo primitivo, sono caratterizzate dalla disuguaglianza sociale. Quando dalle originarie orde indifferenziate emergono le società, la conseguente divisione del lavoro produce la stratificazione sociale e la formazione delle classi, tra loro distinte per le differenziate possibilità di accesso ai mezzi di produzione e per il loro diverso potere. Data la relativa scarsità del surplus economico accumulato, qualunque esso sia, di esso si approprieranno coloro che, grazie all'espropriazione dei mezzi di produzione, avranno imposto il loro predominio. Tuttavia tale predominio non è mai incontrastato: è questa la ragione per cui "La storia di ogni società sinora esistita è storia di lotte di classe". Liberi e schiavi, patrizi e plebei, baroni e servi della gleba, membri delle corporazioni e garzoni, sfruttatori e sfruttati, da sempre, si sono contrapposti gli uni agli altri. Marx, tuttavia, insisteva sul principio della specificità storica, riteneva cioè essenziale sottolineare che ogni particolare antagonismo di classe, affondando le radici in specifiche condizioni di produzione, poteva essere analizzato correttamente solo tenendo presente tale connessione. Ogni stadio della storia va considerato come un insieme funzionale, con i propri peculiari modi di produzione, che producono differenziati tipi di antagonismi tra classi sfruttatrici e sfruttate. Non tutte le classi sfruttate hanno la possibilità di affermarsi contro i loro sfruttatori attraverso una lotta vittoriosa. Le rivolte degli schiavi nell'antichità e dei contadini tedeschi al tempo della Riforma erano destinate al fallimento proprio perché quelle classi non rappresentavano un modo di produzione in grado di divenire dominante nel futuro. Al contrario, la borghesia del tardo feudalesimo e il proletariato dei tempi moderni, rappresentando futuri modi di produzione e di organizzazione sociale, erano destinati ad una positiva affermazione. Se certamente Marx può essere considerato un evoluzionista storico, sarebbe un errore ritenerlo assertore dello sviluppo unilineare. Egli era ben consapevole che nella storia umana esistevano periodi di relativa stasi — per esempio nelle società orientali — e sapeva bene che taluni momenti storici avevano conosciuto situazioni di stallo, un equilibrio provvisorio tra le classi sociali. I suoi scritti sul regime di Napoleone III descrivono in modo magistrale una situazione storica in cui le forze del vecchio ordine classista e quelle del nuovo si bilanciavano a tal punto da non rendere possibile il prevalere delle une sulle altre, dando cosi luogo alla situazione di stasi "bonapartista". Inoltre, benché Marx fosse rimasto fedele per tutta la vita al convincimento che il futuro sarebbe appartenuto alla classe lavoratrice, che avrebbe condotto alla formazione di una società senza classi, egli era tuttavia disposto a prendere in considerazione la possibilità di una classe operaia non all'altezza del suo "compito storico", per cui l'umanità sarebbe degenerata in una nuova specie di barbarie. Nella storia dell'umanità, dopo lo stadio iniziale del comunismo primitivo, Marx individuò quattro successivi modi di produzione fondamentali: il modo di produzione asiatico, quello antico, quello feudale e l'attuale modo borghese. Ognuno di essi nasceva dalle contraddizioni e dagli antagonismi, che si erano sviluppati nell'ordine precedente. "Una formazione sociale non perisce finché non si siano sviluppate tutte le forze produttive a cui può dar corso; nuovi e superiori rapporti di produzione non subentrano mai, prima che siano maturate in seno alla vecchia società le condizioni materiali della loro esistenza" 50. Gli antagonismi di classe specifici ad ogni particolare modo di produzione portavano alla formazione di classi i cui interessi nell'ambito del vecchio ordine non potevano essere più sostenuti; nello stesso tempo, la crescita delle forze produttive giungeva fino ai limiti imposti dai rapporti di produzione precedenti. Quando ciò accadeva, le nuove classi, che rappresentavano un nuovo principio produttivo, abbattevano il vecchio ordine e le nuove forze produttive che in esso si erano sviluppate, e creavano le condizioni materiali per un nuovo sviluppo. Tuttavia, "I rapporti di produzione borghese sono l'ultima forma antagoni stica del processo di produzione sociale" 51. Con la vittoria del proletariato che rovescia quei rapporti di produzione, "si chiude dunque la preistoria della società umana" 52: il principio dialettico che regolava il precedente sviluppo dell'umanità cessa allora di operare e, nell'agire umano, l'armonia subentra al conflitto sociale. Quali che siano le riserve che all'opera di Marx si possano avanzare, il rilievo da lui dato alla dipendenza delle idee da precise radici sociali e l'insistenza con la quale ha sottolineato la necessità di considerare il pensiero come una tra le tante attività sociali costituiscono una delle parti della sua opera certamente destinate a durare. Insieme all'interpretazione economica della storia umana, alla sua teoria dei rapporti di classe, e all'attenzione posta sugli aspetti alienanti della vita sociale nella società moderna, tali concetti sono divenuti parte integrante della costruzione sociologica. 2. L'uomoKarl Marx, il maggiore dei figli di Heinrich e di Henrietta Marx, nacque il 5 maggio 1818, nella città renana di Treviri, dove suo padre esercitava la professione di avvocato, divenendo più tardi presidente del tribunale. Sia il padre sia la madre da lunghe generazioni discendevano da famiglie di rabbini, quella di Heinrich dalla Renania e quella di Henrietta dall'Olanda. 53 Il padre di Marx, il primo della sua famiglia a ricevere una educazione laica, aveva rotto con il mondo del ghetto ed era diventato un discepolo dell'Illuminismo, di Leibniz e di Voltaire, di Kant e di Lessing. La nativa Treviri, già sede di un principato-arcivescovado, all'inizio del secolo era stata occupata dai Francesi ed incorporata da Napoleone nella Confederazione del Reno. Sotto il regime francese gli ebrei, che precedentemente avevano subito gravi discriminazioni civili, raggiunsero la parità giuridica con gli altri cittadini. Le porte del commercio e delle professioni, che erano state loro precluse fino a quel momento, venivano ora aperte. Gli ebrei della Renania, in quanto dovevano la loro emancipazione al regime napoleonico, lo sostennero con passione: ma quando, dopo la sconfitta di Napoleone la Renania fu assegnata dal Congresso di Vienna alla Prussia, dove gli ebrei erano ancora privi dei diritti civili, essi si trovarono di fronte ad una grave situazione. Temendo di perdere l'esercizio della propria attività legale, nel 1817, il padre di Marx decise di convertirsi alla Chiesa luterana di Prussia, moderatamente liberale. Professando un vago deismo e non avendo avuto più alcun rapporto con la sinagoga, egli considerò la conversione come un semplice espediente senza alcun particolare significato. Il giovane Marx crebbe in una famiglia borghese nella quale le tensioni derivanti da una posizione di minoranza erano latenti. Sua madre, donna poco colta, che non imparò mai a scrivere correttamente il tedesco né a parlarlo senza accento, non sembra aver avuto una grande influenza sul figlio. Invece, i rapporti col padre, nonostante qualche attrito, rimasero quasi sempre saldi. Egli introdusse il giovane Marx nel mondo delle scienze umane e in quello della letteratura, gli fece conoscere le grandi figure dell'Illuminismo ed i classici greci e tedeschi. Sebbene Marx, a causa dell'atteggiamento servile del padre nei confronti dell'autorità governativa e dei potenti, avesse ben presto provato un senso di fastidio, i legami intellettuali che si erano stabiliti tra padre e figlio cominciarono ad incrinarsi solo nell'ultimo anno di vita del padre, quando Karl divenne, all'università di Berlino, un giovane hegeliano ribelle. Il giovane Marx ebbe la fortuna di trovare, in aggiunta a quello del padre, un altro modello nel barone Ludwig von West-phalen, suo vicino di casa. Westphalen, anche se socialmente superiore, era felice di mantenere relazioni cordiali con il padre di Marx: erano entrambi, almeno formalmente, protestanti in una città largamente cattolica e condividevano l'ammirazione per l'Illuminismo e per le idee liberali. Westphalen, uomo di cultura non comune, parlava diverse lingue, conosceva Omero a memoria ed era estremamente versato nella filosofia antica e moderna e nella letteratura. Ben presto si manifestò in lui un interesse per il figlio del proprio vicino: lo incoraggiava, gli dava libri in prestito e lo accompagnava in lunghe passeggiate durante le quali gli parlava di Shakespeare e di Cervantes ed anche delle nuove dottrine sociali, in particolare di quelle dei sansimoniani che, di recente, avevano creato a Parigi un significativo movimento. I legami tra i due divennero assai stretti e l'eminente funzionario del governo prussiano, di nobile nascita, divenne il consigliere spirituale del futuro leader del socialismo proletario. 2.1 Marx diventa un giovane hegelianoDopo i tranquilli anni trascorsi nel ginnasio di Treviri, il giovane Marx, seguendo il consiglio del padre, si iscrisse a diciassette anni alla facoltà di legge dell'università di Bonn. Nel 1836 lasciò Bonn per trasferirsi all'università di Berlino. Tale trasferimento, che pur non sembrava avere alcun'altra motivazione se non il desiderio di un provinciale di conoscere l'atmosfera più eccitante ed animata della capitale, rappresentò, come risultò più tardi, una svolta decisiva nella vita del giovane Marx. Quando Marx entrò all'università di Berlino, Hegel era già morto, ma il suo spirito dominava ancora pienamente e Marx, anche se dopo un breve periodo di resistenza, gli si arrese. I suoi professori nella facoltà di legge, Savigny in giurisprudenza e Gans in diritto penale, esercitarono una certa influenza sul giovane Marx. Savigny, fondatore della scuola storica del diritto, lo attrasse per la sua erudizione storica e per la sua abilità di argomentazione; Gans gli insegnò il metodo della critica teoretica alla luce della filosofia della storia. Tuttavia, non furono questi vecchi hegeliani, o quanti erano vicini alla loro dottrina, a convertire il giovane alla nuova concezione; furono invece i cosiddetti giovani hegeliani, un gruppo di amici più o meno della sua stessa età, che, pur sentendosi per molti aspetti vicini al maestro, si erano allontanati dai suoi insegnamenti ed avevano costituito un piccolo gruppo di dissidenti. Per loro tramite Marx fu iniziato al sistema hegeliano e diventò, al tempo stesso, parte di un gruppo di dissacratori, che, senza riguardi, cominciavano a porre problemi e a muovere imbarazzanti critiche sulle parti fondamentali della sintesi del grande pensatore. Il Dokctorclub, il circolo informale di cui Marx era entrato a far parte, era costituito da giovani accademici di secondaria importanza, alquanto antireligiosi, di tendenze radicali e dagli atteggiamenti notevolmente bohémiens. Tra essi emergevano i fratelli Bruno ed Edgar Bauer, entrambi hegeliani di sinistra, radicali e liberi pensatori, e Max Stirner, l'ultimo esponente di un anarchismo ultra individualistico. Sotto la loro influenza Marx abbandonò gli studi giuridici, decidendo di dedicarsi interamente alla filosofia. Divenne pure "un uomo alla moda", presente nei salotti più ricercati della capitale, ma anche nelle birrerie, dove i giovani hegeliani discutevano per ore ed ore sui punti più sottili della dottrina di Hegel. Nel periodo in cui Marx era studente pensava a sé come a un futuro professore di filosofia; infatti, Bruno Bauer, che aveva avuto da poco un incarico d'insegnamento nell'università di Bonn, gli aveva promesso di trovargli un posto nella stessa università. Ma ben presto, a causa delle sue idee liberali e antireligiose, allo stesso Bauer fu tolto l'incarico e Marx abbandonò per sempre la speranza di ottenere un posto all'università. I suoi studi universitari si conclusero nel 1841 con la presentazione, nell'università di Jena, della tesi di laurea: Differenza tra la filosofia della natura di Democrito e quella di Epicuro, un lavoro abbastanza tradizionale se si esclude la prefazione, dichiaratamente antireligiosa, che, per consiglio degli amici, non fu presentata alle autorità accademiche. Marx aveva di fronte a sé un futuro incerto: ventitreenne, cultore di studi filosofici, uomo di successo nei salotti all'avanguardia e nelle compagnie bohémiennes, non aveva, peraltro, alcuna prospettiva di carriera. Non deve dunque meravigliare che, quando uno dei suoi primi ammiratori, il convinto socialista Moses Hess gli chiese di scrivere regolarmente per la "Rheinische Zeitung" di Colonia, il nuovo giornale borghese liberal-radicale, egli non si lasciasse sfuggire l'occasione. Dopo aver scritto alcuni articoli di grande rilievo, dieci mesi più tardi ne divenne il redattore capo. Fu nella nativa Renania, quando assunse l'incarico di direttore di quest'importante pubblicazione radicale, che Marx si trovò, per la prima volta, coinvolto in battaglie su concreti problemi quotidiani; scrisse una serie di articoli sulle condizioni sociali, tra cui quelli relativi alla miseria dei viticoltori della Mosella e al duro trattamento riservato ai poveri per il furto della legna nelle foreste, l'accesso alle quali, essi ritenevano, fosse un diritto dell'intera comunità. Tali articoli suscitarono un notevole interesse e Marx cominciò ad essere considerato uno dei più importanti pubblicisti radicali. L'attività di direzione giornalistica fu, tuttavia, di breve durata: i continui scontri con la censura lo costringevano ad usare tutta l'abilità di cui era capace per riuscire a far passare la sua propaganda velatamente democratica e repubblicana. Tuttavia, quando Marx in un pungente ritratto definì il governo russo il principale sostegno della reazione in Europa, la tolleranza del governo venne meno; lo zar Nicola I, che ebbe per caso l'occasione di leggere uno degli attacchi di Marx, se ne lamentò con l'ambasciatore prussiano e, conseguentemente, la "Rheinische Zeitung" venne soppressa. L'intera avventura era durata solo sei mesi e Marx era di nuovo senza occupazione. Poco dopo, nel giugno del 1843, Marx, pur con la costernazione di gran parte della famiglia di lei, che mal sopportava l'idea di un'unione con una persona che non solo era di condizione sociale inferiore, ma che, per di più, non aveva alcuna posizione, sposò Jenny von Westphalen, che amava fin dall'infanzia. Dopo il matrimonio, la giovane coppia rimase a Bad Kreuznach per alcuni mesi; furono mesi idillici di luna di miele e di giovanile passione, durante i quali Marx riempi cinque grandi quaderni con appunti tratti da quasi un centinaio di volumi di storia e di teoria politica e sociale, tra cui Lo spirito delle leggi di Montesquieu e II contratto sociale di Rousseau. Nell'atmosfera sempre più reazionaria della Germania, Marx perse qualsiasi speranza di ottenere un'occupazione, nel novembre 1843 parti con la moglie alla volta di Parigi. 2.2 Gli anni parigini. Marx diventa socialistaGli anni di Parigi, dal 1843 al 1845, furono per lo sviluppo intellettuale di Marx tanto decisivi quanto lo erano stati gli anni trascorsi a Berlino con i giovani hegeliani. Durante la monarchia di luglio, relativamente tollerante, Parigi era diventata il centro dell'attività sociale, politica ed artistica e il punto d'incontro dei radicali e dei rivoluzionari provenienti da ogni parte d'Europa. Durante gli anni parigini Marx si immerse nello studio delle diverse teorie riformiste e socialiste, la cui conoscenza in Germania gli era stata preclusa: lesse Proudhon e Louis Blanc, Cabet e Fourier, Saint-Simon e i sansimoniani, cosf come i seguaci rivoluzionari di Babeuf, tra cui Blanqui; inoltre acquisi familiarità anche con le teorie degli economisti politici inglesi, da Adam Smith a Ricardo, e con i loro critici radicali, come Sismondi. A Parigi, Marx, oltre ad avere la possibilità di studiare nuove dottrine, ebbe anche l'opportunità d'incontrare di persona alcuni radicali: tra gli emigrati, il rivoluzionario russo Michele Bakunin suscitò in lui un interesse particolare, tra i tedeschi frequentò i poeti radicali Heinrich Heine e Ferdinand Freiligrath, il rivoluzionario Wilhelm Weitling, sarto itinerante, e lo scrittore radicale Arnold Ruge, un hegeliano di sinistra. Tra i francesi che Marx conobbe di persona, Proudhon fu quello che gli fece maggior impressione; Marx aveva già letto il suo libro Che cos'è la proprietà, quando si trovava a Colonia e lo aveva apprezzato molto. All'inizio i due sembrarono fatti l'uno per l'altro, ma dopo un periodo di tempo piuttosto breve l'amicizia si dissolse. Alcuni anni più tardi, Marx, con la sua Miseria della filosofia, attaccò pesantemente il libro di Proudhon La filosofia della miseria, accusandolo di aver fatto cattivo uso dei concetti economici di Ricardo e di sopprimere, trascurando e neutralizzando la spinta delle contraddizioni dialettiche, il movimento della storia. Fu ancora a Parigi — ed è questo il fatto più rilevante — che ebbe inizio la straordinaria amicizia con Friedrich Engels, destinata a durare tutta la vita; li Marx divenne intimo amico del figlio dell'industriale tessile, diventato socialista per reazione alle condizioni della classe lavoratrice, osservate sia nella natia Rena-nia sia in Inghilterra, dove era diventato dirigente di una delle fabbriche del padre. Attraverso Engels e le sue opere, Marx giunse alla comprensione delle concrete condizioni e della miserevole vita della classe lavoratrice. Oltre ai principali intellettuali del movimento radicale e liberale, che Marx ebbe modo d'incontrare a Parigi, egli per la prima volta conobbe anche quei lavoratori autonomi e quegli artigiani radicali, tedeschi e francesi, che, insieme con gli intellettuali, costituivano il nerbo del movimento socialista rivoluzionario. Nei contatti quasi quotidiani con essi, Marx, benché spesso ne criti casse il semplicismo e la mancanza di raffinatezza intellettuale, si subì l'influenza di questo nuovo tipo di uomo tanto diverso da quegli intellettuali del mondo accademico, con cui fino ad allora era stato in rapporto. Nella stimolante atmosfera di Parigi Marx, ancora liberal-radicale, completò la propria conversione al socialismo: fu qui che, a volte da solo a volte in collaborazione con Engels, scrisse quei primi lavori che servirono a definire la sua nuova posizione filosofica e politica e che lo aiutarono a recidere i legami che lo avevano unito ai suoi amici di un tempo, i giovani hegeliani. Alcuni di questi scritti furono pubblicati come articoli in una rivista di breve durata, gli "Annali franco-tedeschi", che Marx diresse con Arnold Ruge. La maggior parte di essi, tuttavia, come gli ormai famosi Manoscritti economico-filosofici del 1844 e L'Ideologia tedesca (che fu completata a Bruxelles), essendo stati scritti soprattutto come strumento per la propria chiarificazione intellettuale, durante la sua vita non vennero mai pubblicati. Nel 1845, a Francoforte, fu pubblicata La sacra famiglia, con cui egli intese liquidare definitivamente le maggiori figure della "famiglia" dei giovani hegeliani. Essa fu accolta con scarso interesse, in quanto sembrò alla maggior parte dei lettori, e non senza ragione, una noiosa lite intestina tra i seguaci della sinistra hegeliana; nel 1847 venne pubblicata, in francese, La miseria della filosofia. All'inizio del 1845, Marx fu espulso da Parigi dal governo di Guizot; come il governo prussiano aveva posto termine all'attività giornalistica di Marx in conseguenza delle proteste della Russia, cosi il governo francese lo espulse a seguito delle rimostranze della Prussia, risentitasi per i commenti antimonarchici del giornale socialista "Vorwàrts", al quale collaborava. Marx si trasferì a Bruxelles e prese contatto con i rifugiati tedeschi che vi avevano trovato asilo. Vi ritrovò, in particolare, quanto restava della radicale Lega dei Giusti, un'organizzazione rivoluzionaria internazionale, ormai disciolta, in cui Weitling, già ricordato, esercitava una notevole influenza. Marx, che si considerava ora membro del movimento rivoluzionario internazionale, ebbe cura di stabilire e mantenere costanti contatti non soltanto con i socialisti e le organizzazioni tedesche, ma anche con quelle belghe e con tutte le altre. Era diventato un rivoluzionario di professione: scriveva, teneva conferenze, cospirava al servizio di una rivoluzione che egli, come i suoi compagni, riteneva imminente. Da quel momento, come ha detto Isaiah Berlin, "la sua biografia, che fino a questo momento poteva apparire come una serie di episodi appartenenti ad una vita individuale, diventa ormai inseparabile dalla storia generale del socialismo europeo" 54. 2.3 La fine dell'apprendistatoTra le organizzazioni socialiste con le quali Marx entrò in contatto a Bruxelles vi fu l'Associazione operaia tedesca di cultura. Capeggiata da un tipografo (Schapper), un calzolaio (Bauer) e un orologiaio (Moli), essa aveva il suo quartiere generale a Londra ed era affiliata ad una federazione chiamata La Lega dei Comunisti. Nel 1847 Marx ricevette da tale gruppo l'incarico di redigere un documento che ne esponesse i principi e gli obiettivi. Rielaborando un primo testo messo a punto da Engels, Marx scrisse, in uno slancio creativo, Il manifesto del partito comunista, che, inviato a Londra all'inizio del 1848, venne pubblicato qualche settimana prima dello scoppio della rivoluzione di Parigi, senza produrre alcuna apprezzabile reazione. La prima proposizione, "la storia di ogni società finora esistita è storia di lotte di classi", da allora familiare, lascia intravvedere l'aspetto che caratterizza l'intera opera successiva di Marx. Il periodo dell'apprendistato era terminato: egli avrebbe più tardi elaborato e perfezionato il proprio messaggio, le sue concezioni e i suoi orientamenti politici particolari avrebbero subito molti cambiamenti, ma la linea principale del suo sviluppo intellettuale era ormai definita. Quando nel 1848 scoppiò la rivoluzione in Germania, Marx, dopo aver trascorso un po' di tempo nella Parigi rivoluzionaria, ritornò in Renania e ancora una volta assunse la direzione di un giornale radicale, la Neue Rheìnische Zeitung; insieme ad Engels, si adoperò per stabilire, contro il governo reazionario, un'alleanza tra la borghesia liberale ed il nascente movimento della classe lavoratrice. Quando la rivoluzione falli, Marx, tornato in esilio, ebbe per un certo periodo l'illusoria speranza di un nuovo ed imminente scoppio rivoluzionario. Criticando aspramente i liberali per la loro incapacità e per la loro codardia, Marx era ancora convinto che la fiammata rivoluzionaria si sarebbe nuovamente riaccesa in un futuro non molto lontano. Nell'agosto del 1849, Marx, posto dal governo francese di fronte all'alternativa di ritirarsi in un luogo remoto della provincia oppure di lasciare il paese, decise di imbarcarsi per Londra, città che non avrebbe più lasciato se non per brevi periodi. Durante la prima fase della sua permanenza londinese, Marx considerò Londra solo come un rifugio temporaneo da abbandonare non appena sul continente fosse di nuovo scoppiata la rivoluzione. In questi primi anni scrisse i saggi storici più significativi, Le lotte di classe in Francia dal 1848 al 1850 (1850) e II 18 brumaio di Luigi Bonaparte (1852). Questi lavori, caratterizzati da un'ardente passione rivoluzionaria, rivelano un Marx — ed è questo forse l'aspetto più importante — nel nuovo ruolo di eminente storico sociale in cui esprime il meglio di sé. Man mano che nel suo rifugio londinese trascorrevano gli anni, Marx, pur non avendo perduto la speranza in un nuovo sussulto rivoluzionario, si rendeva conto che i fuochi del 1848 si erano spenti per sempre. Rifiutandosi di partecipare alle più diverse cospirazioni insurrezionali, sostenute dai rivoluzionari del continente, Marx ed Engels si allontanarono sempre più dalla maggior parte dei loro compagni d'esilio. Poiché non era riuscito a stabilire molti contatti con il movimento socialista e laburista britannico, Marx si ritirò quasi completamente nella stretta cerchia costituita dalla famiglia, da Engels e da pochi altri amici e seguaci devoti. Rimase in tale isolamento per la maggior parte della vita: quando scrisse ad Engels del "nostro partito" si riferiva solo ad Engels ed a se stesso. Nel giugno del 1852 Marx ottenne una tessera d'ingresso per la sala di lettura del British Museum. Lì rimaneva ogni giorno dalle dieci di mattina alle sette di sera, piegato sui "libri blu" degli ispettori di fabbrica. L'analisi che egli effettuò della vastissima documentazione sulle ingiustizie provocate dal sistema capitalistico avrebbe poi costituito una parte importante del Capitale; sempre al British Museum, riempiendo quaderni su quaderni, approfondì la conoscenza dell'economia politica inglese, che aveva già cominciato a studiare al tempo del suo soggiorno parigino. Durante gran parte del periodo londinese, Marx visse nella più squallida miseria; solo una volta tentò di trovare un'occupazione regolarmente retribuita, come impiegato in un ufficio delle ferrovie, ma venne respinto a causa della grafia illeggibile. Assolutamente convinto che l'analisi dell'economia politica del capitalismo, che allora egli era intento ad effettuare, avrebbe potuto fornire uno strumento indispensabile per l'emancipazione "necessaria" della classe lavoratrice, Marx si consacrò interamente al lavoro e continuò l'attività di studioso anche quando la propria famiglia ed egli stesso vennero perseguitati da accaniti creditori e quando si trovò in difficoltà nella ricerca di un alloggio. A causa di una carente nutrizione e della mancanza di cure appropriate tre dei suoi figli morirono: alla morte di uno di essi, egli non aveva nemmeno il denaro necessario per comprare la bara, e gli venne in aiuto un compagno d'esilio. La famiglia ed egli stesso erano prostrati da continue malattie, alcune delle quali provocate sicuramente dalle loro miserevoli condizioni di vita. Ciò nonostante Marx continuò a resistere e, se non fosse stato per il sostegno finanziario che il devoto Engels gli dava in misura pienamente corrispondente alle proprie possibilità, la famiglia sarebbe andata completamente in rovina. Frattanto il lavoro relativo a ciò che avrebbe dovuto divenire II capitale si rivelò persino più impegnativo e lungo di quanto non avesse previsto. Una prima stesura intitolata Per la critica dell'economia politica era stata pubblicata nel 1859, ma suscitò scarso interesse. Il primo libro del Capitale apparve nel 1867; Marx non completò mai i libri successivi, che vennero alla fine pubblicati, dopo la sua morte, a cura di Engels e di Kautsky. Quando il capo dei servizi esteri del "New York Daily Tribune", un quotidiano di orientamento radicale, ed allora probabilmente il più diffuso del mondo, chiese a Marx di divenire stabile corrispondente per gli affari europei con il compenso di una sterlina per ogni articolo, l'opprimente povertà venne, per un certo periodo di tempo, almeno in parte alleviata. Per quasi dieci anni Marx avrebbe inviato, settimanalmente, regolari corrispondenze. Quando la cattiva salute, la mancanza di competenza specifica, oppure il pressante impegno relativo al Capitale gli impedivano di scrivere, Engels, che era un giornalista più versatile di lui, gli si sostituiva nell'impegno. Di recente, i tentativi diretti a stabilire quali degli articoli non firmati fossero stati scritti da Marx e quali da Engels, sono risultati per gli studiosi di Marx un positivo lavoro. Ad ogni modo, tali scritti occasionali costituiscono uno strumento prezioso per comprendere il processo intellettuale di Marx. Gli articoli, trattando una grande varietà di temi — avvenimenti diplomatici, storia sociale dell'Inghilterra e del continente, analisi delle cause segrete delle guerre e delle crisi, resoconti dettagliati sulle conseguenze della dominazione britannica in India — ci hanno rivelato le sue reazioni agli avvenimenti contingenti, che diversamente avremmo potuto conoscere solo facendo ricorso alla sua corrispondenza, soprattutto a quella con Engels. Durante gli anni cinquanta Marx ed Engels attesero con ansia i sintomi della grande crisi economica che avrebbe dovuto dare inizio ad un nuovo periodo rivoluzionario; ma per molti anni non se ne verificò alcuna e persino quando, alla fine nel 1857, si ebbe un forte crollo dei prezzi, esso non comportò alcuna conseguenza di tipo rivoluzionario. Allora Marx non s'interessò tanto dell'attesa crisi economica quanto dell'organizzazione della classe lavoratrice, ma, di nuovo, per molto tempo non ebbe che delusioni. È vero che Ferdinand Lassalle, il romantico esponente del socialismo tedesco, aveva creato in Germania un movimento di lavoratori, ma Marx disapprovava la sua impostazione politica ancor più delle sue maniere istrioniche. Uno dei motivi dell'ostilità di Marx può essere stata proprio la gelosia nei suoi confronti, poiché Lassalle aveva derivato da Marx la maggior parte delle proprie posizioni teoriche; tuttavia vi erano anche ragioni obiettive, giacché Marx guardava con diffidenza alla tendenza di Lassalle a basare la costituzione di un movimento socialista su una sorta di alleanza non dichiarata con Bismarck e il governo prussiano. Nelle altre parti del continente, particolarmente in Francia, il movimento della classe operaia, che non si era ripreso interamente dai disastri del 1848, si trovava in una posizione di immobilità; per quanto riguarda l'Inghilterra, Marx non riuscì mai ad avere molta simpatia per i suoi stolidi leaders, pragmatici e privi di ideologie, che dominavano il movimento sindacale: egli considerava la maggior parte di essi con totale disprezzo ed essi, a loro volta, per quanto non lo conoscessero affatto, si comportavano nello stesso modo. 2.4 La fondazione della Prima IntemazionaleIl grande avvenimento si realizzò nel 1863, anno in cui, in occasione dell'apertura dell'Esposizione dell'industria moderna che si teneva a Londra, fu permesso ad una delegazione di lavoratori francesi di visitare l'Inghilterra, allo scopo di studiare gli sviluppi dell'industria e di stabilire contatti con i lavoratori in glesi. I leaders dei lavoratori inglesi e francesi decisero ben presto di dar vita ad una permanente collaborazione economica e politica e di invitare i rappresentanti degli altri paesi europei ad associarsi, con lo scopo di costituire una federazione internazionale di lavoratori, che si impegnasse a metter fine al sistema economico dominante e a sostituirlo con qualche forma di proprietà collettiva. L'Internazionale, come poi sarebbe stata chiamata, si componeva di diversi elementi: tra i francesi, la maggioranza era costituita da proudhoniani e da blanquisti; tra gli italiani, vi erano dei democratici radicali non socialisti di tendenza mazziniana; tra gli inglesi, lavoravano fianco a fianco sindacalisti non impegnati politicamente e riformisti radicali, alcuni dei quali seguaci di Comte. Marx, abbandonando il precedente atteggiamento di indifferenza per quelle organizzazioni che non si trovavano interamente sulle sue posizioni, intuì l'importanza di questa associazione e decise non solo di parteciparvi ma anche di assumerne la direzione. Gli artigiani tedeschi residenti a Londra ne fecero il loro rappresentante e, subito dopo la prima riunione, Marx ne as sunse la piena responsabilità. L'indirizzo inaugurale e statuti provvisori dell'Associazione internazionale degli operai, che Marx compose e che venne adottato dall'organizzazione, rappresenta un documento storico che difficilmente può essere considerato per la dottrina marxista meno importante del Manifesto del partito comunista, scritto quindici anni prima. Durante i successivi dieci anni, Marx dedicò una parte considerevole delle proprie energie all'attività dell'Internazionale: si batté per far prevalere il proprio orientamento teorico contro quello dei riformisti borghesi e contro quello degli anarchici ba-kuninisti; diede continuamente battaglia ai discepoli di Blanqui e di Proudhon in Francia e ai lassalliani in Germania. Durante questi anni si sforzò di trasformare ciò che si era costituito come una libera unione di ideologie diverse in un saldo movimento ispirato a quell'ideologia rivoluzionaria che egli aveva elaborato nei molti anni di solitudine ed isolamento dell'esilio britannico. L'Internazionale divenne presto un movimento tanto forte da preoccupare i difensori dello status quo: sezioni dell'Internazionale si costituirono in tutti i principali paesi europei. D'allora in poi, Marx, come capo del Consiglio Generale dell'Internazionale, mantenne il controllo effettivo del movimento, insistendo su una rigida adesione alla linea che egli aveva tracciato. Lo spettro del comunismo, che Marx aveva visto aggirarsi in Europa nel 1847, alla fine degli anni sessanta, apparve molto più concreto agli uomini di potere di quanto non lo fosse stato vent'anni prima. L'oscuro studioso del British Museum divenne subito oggetto di particolare attenzione da parte dei vari servizi segreti che setacciavano il mondo dei rivoluzionari londinesi per avere informazioni sulle loro attività sovversive. Nel 1867, quando venne pubblicato il primo libro del Capitale, Marx era già considerato il leader dell'Internazionale. Il libro, che non suscitò un interesse immediato tanto grande quanto quello egli si era convinto di ottenere, riuscì comunque ad ottenere ben presto una certa rispondenza, soprattutto presso i socialisti del continente. In Inghilterra ricevette una sola recensione in cui si sottolineava ironicamente che "la presentazione dell'argomento conferisce alle più ardue questioni economiche un certo fascino del tutto particolare". Sul continente invece si ebbe una reazione più favorevole: alcuni amici di Marx gli fecero molta propaganda ed alcuni dei suoi vecchi compagni tedeschi gli inviarono i loro complimenti; in Russia, in particolare, le recensioni furono molto favorevoli e più penetranti che in qualsiasi altro paese. Nel complesso, il libro venne letto dai membri dell'Internazionale in modo del tutto indipendente dai suoi meriti scientifici. I precedenti libri di Marx erano stati trascurati perfino nei paesi di lingua tedesca: nei primi dieci anni dalla sua pubblicazione il primo libro del Capitale fu tradotto in russo, francese, inglese e italiano. Alla fine degli anni sessanta Marx, come capo dell'Internazionale e autore di un libro che si proponeva di svelare "la legge economica del movimento della società moderna", deve aver avvertito di essere alla fine giunto alla saldatura tra teoria socialista e prassi rivoluzionaria, obiettivo che aveva sempre perseguito fin dal 1847. Egli aveva fornito la base teorica ad un movimento socialista sul quale esercitava un pieno controllo organizzativo. Questo sogno, tuttavia, doveva infrangersi presto. Paradossalmente la Comune di Parigi del 1871, primo esempio di classe lavoratrice che aveva conquistato il potere da sola e che così, almeno in apparenza, sembrava rafforzare la concezione di Marx, provocò, in aggiunta alla propria, la rovina della stessa Internazionale. Sebbene la Comune di Parigi fosse dominata da proudhoniani e da neogiacobini piuttosto che da marxisti, Marx era insorto a sua difesa con un eloquente indirizzo pubblicato con il titolo La guerra civile in Francia. Ma quando la Comune venne soffocata nel sangue, i dissensi, prima latenti, nelle fila dell'Internazionale divennero evidenti. Nei sindacalisti inglesi la preoccupazione di venire associati, nella mente dei pacifici lavoratori inglesi, ai "terroristi rossi di Parigi" diveniva sempre più grande. Il movimento francese era distrutto e i suoi leaders in esilio; cosi come avviene di solito tra i politici emigrati, questi si misero a polemizzare tra loro. I seguaci di Bakunin tentarono di cogliere l'occasione per strappare a Marx il controllo dell'Internazionale. Marx, per continuare ad assicurarsene la supremazia, riusci ad ottenere il trasferimento della sede negli Stati Uniti, dove i suoi seguaci avevano il controllo della situazione; tuttavia questo doveva rivelarsi il colpo di grazia: l'Internazionale si sciolse definitivamente a Filadelfia nel 1876. Nei pochi anni che gli rimanevano, Marx, distrutto dalle malattie, non scrisse più alcuna opera importante. Ma quando, nel 1875, i suoi seguaci e quelli di Lassalle parteciparono al congresso di Gotha, per costituire un partito socialista unito, Marx scrisse, a margine del programma di unificazione, una serie di annotazioni molto critiche, nelle quali esponeva per l'ultima volta la propria concezione della teoria e della prassi che doveva guidare il movimento socialista. La Critica al programma di Gotha, pubblicata dopo la morte, fu il suo ultimo scritto importante. Verso la fine della sua esistenza, Marx raggiunse un livello di vita confortevole; Engels, allora abbastanza ricco, aveva fornito una rendita vitalizia a Marx, permettendogli di trascorrere gli ultimi anni di vita in relativa tranquillità. Egli era divenuto un uomo famoso, e i socialisti di tutta Europa lo consultavano per lettera o di persona. In particolare, i radicali russi — con grande stupore di Marx, che per trenta anni aveva attaccato la Russia, definendola la camera mortuaria d'Europa — si affollavano adesso intorno a lui e gli chiedevano consiglio. Inoltre, lo andavano a trovare per consultarlo su tutte le questioni più rilevanti i giovani leaders del nuovo Partito Socialdemocratico Tedesco: Bebel, Bernstein e Kautsky. Il movimento tedesco prosperava, il movimento francese si era ricostituito e uno dei leaders, Jules Guesde, consultò Marx sul programma da adottare. In Italia e in Svizzera, lentamente, l'influenza bakuninista veniva eliminata dai leaders marxisti con i quali Marx continuava a mantenere una fitta corrispondenza. Figura riverita dall'affermantesi movimento socialista, Marx aveva alla fine trovato un pubblico e un ruolo soddisfacenti: ma le sue forze creative erano diminuite: leggeva ancora avidamente (imparò perfino da solo, nuove lingue, come il russo e il turco), ma, con disappunto di Engels, scriveva sempre meno ed in modo più incomprensibile che mai. Nel 1881 la moglie mori di cancro. Un anno dopo, morì anche la figlia maggiore, moglie del leader socialista francese Jean Longuet. Marx non si riprese mai da tale colpo; mori in una poltrona dello studio il 14 marzo 1883. Soltanto alcuni amici e i rappresentanti socialisti esteri accompagnarono la sua bara al cimitero di Highgate; e la sua morte fu a mala pena notata dal grande pubblico. 3. Il contesto intellettualeSpesso si è detto che Marx trasse la propria dottrina da tre fonti principali: l'idealismo tedesco, in particolare nella sua versione hegeliana, la tradizione socialista francese e l'economia politica inglese. Sebbene tale affermazione non sia inesatta, essa non è nemmeno del tutto corrispondente al vero, giacché diverse correnti di pensiero, anzitutto l'Illuminismo tedesco e quello francese, furono per lui altrettanto importanti. Anche prima di entrare in contatto con tali dottrine, Marx aveva già derivato dal padre e da Ludwig von Westphalen un apprezzamento profondo per l'Illuminismo e per la filosofia di Spinoza. Per tutta la vita Marx lesse avidamente di tutto e riuscì a fondere nel suo pensiero molte correnti intellettuali a lui precedenti, rivelando soprattutto una mente portata alla sintesi. Come dice Isaiah Berlin: "L'originalità del risultato raggiunto non risiede nei singoli elementi che lo compongono, ma nell'ipotesi centrale che collega gli uni agli altri: in modo che le diverse parti siano reciprocamente conseguenti e si sostengano a vicenda in un unico complesso sistematico" 55. Diversamente da come è stato talvolta dipinto da studiosi poco informati, Marx non si mosse nella cultura occidentale come un toro nel negozio di porcellane. Al contrario, la sua opera si colloca in linea diretta nella grande tradizione del pensiero europeo. Egli era in debito sia nei confronti di molte dottrine del passato sia nei confronti di pensatori a lui contemporanei. Soprattutto quattro sono i temi rilevanti ai fini della comprensione dell'opera di Marx, presenti nel pensiero dei suoi predecessori: l'idea di progresso, realizzato sia in modo pacifico sia in modo conflittuale, l'idea di alienazione, l'idea di perfettibilità e la visione olistica della società e delle epoche storiche. 3.1 L'idea di progressoIl progresso, lo sviluppo, il divenire e altri concetti analoghi furono sin da Leibniz le idee centrali della tradizione filosofica tedesca; all'inizio del XVIII secolo, Leibniz aveva sottolineato che ogni entità, nel suo sviluppo, passava attraverso diversi stadi, che "la natura non faceva mai salti" e che essa era in ogni momento "carica del passato e gravida del futuro". Egli scrisse poco di argomenti di carattere storico, ma i suoi scritti religiosi sulla teodicea e le sue considerazioni secolari sul progresso attestano l'assunto secondo cui l'umanità avrebbe progressivamente raggiunto un più elevato grado di felicità e di perfezione proprio attraverso l'ulteriore diffusione della scienza56. Nel corso del XVIII secolo, l'idea di progresso assunse connotazioni sempre più laiche. Nell'Educazione del genere umano, Lessing basò la sua visione del progressivo sviluppo morale dell'umanità su una teoria dei tre stadi, che, sebbene fosse sostanzialmente laica, era ancora radicata nella tradizione cristiana. A Lessing la storia umana appare divisa in un mondo morale precristiano, basato su severe punizioni e tangibili ricompense, in uno stadio cristiano caratterizzato da una morale più raffinata e spirituale e in un terzo stadio, di imminente realizzazione, in cui l'uomo morale non avrebbe dovuto più temere punizioni esterne o colpevolezze interiori, ma avrebbe espresso, liberamente e autonomamente, ragionati giudizi morali. Nel futuro l'intero genere umano avrebbe goduto dei vantaggi della consapevolezza razionale e della autonomia morale. Alle dottrine dell'Illuminismo, che sottolineavano il graduale e il più o meno armonioso progresso dell'umanità, si contrappose, verso la fine del secolo, una filosofia più severa: Kant, in particolare, pur continuando a mantener la fede nel progresso umano, introdusse una nota più pessimistica: a suo avviso, la fondamentale forza motrice della storia era proprio l'antagonismo tra gli uomini, che, lungi dall'associarsi armoniosamente tra loro, erano dediti ad un "insocievole socievolezza". Egli riteneva che gli uomini, pur essendo portati a vivere separatamente a causa del loro desiderio poco socievole di avere ogni cosa a proprio modo, accettavano di associarsi proprio perché, soltanto cosi, potevano sviluppare le loro naturali inclinazioni. Il progresso scaturiva dalla cooperazione antagonistica: è possibile che gli uomini desiderino la concordia, ma la natura ha creato la discordia per scuoterli dalla loro pigra passività. Il progresso del genere umano altro non era che il risultato di una serie innumerevole di antagonismi individuali 57. Soltanto nel genere umano considerato come un tutto, e non nei singoli individui si manifestano le naturali potenzialità di uno sviluppo ed una perfezione ulteriori. La visione kantiana della centralità del conflitto divenne uno dei punti di partenza della dottrina hegeliana. In essa si abbandonava la concezione leibniziana del progresso come graduale sviluppo dalla potenzialità all'atto. La storia dell'umanità è, difatti, la storia della progressiva realizzazione dello spirito, ma è anche storia di cruenti battaglie, di guerre e di rivoluzioni, di rivendicazioni e di tragici coinvolgimenti. La storia dell'uomo si svolge secondo momenti necessari, nei quali lo spirito assoluto progressivamente si realizza e l'umanità lentamente giunge alla vera autocoscienza; tuttavia dal punto di vista dei singoli attori storici la storia è tragica ed il progresso è percepibile solo se si considerano i benefici del Tutto. "Si può chiamare astuzia della ragione il fatto che quest'ultima faccia agire per sé le passioni, e che quanto le serve di strumento per tradursi in esistenza abbia da ciò scapito e danno. Esso è infatti il fenomeno, di cui una parte è nulla e una parte è affermativa. Il particolare è per lo più troppo poco importante a paragone dell'universale: gli individui vengono sacrificati e abbandonati al loro destino" 58. Per fare un esempio, il problema della libertà, secondo Hegel, non può mai essere risolto in termini di desideri e di propensione individuali, poiché si tratta di un problema storico. Per Hegel, come per Spinoza, la libertà è soltanto il riconoscimento della necessità. Quando lo spirito universale è ancora a uno stadio iniziale di realizzazione, solamente alcuni potevano raggiungere la libertà ed essi potevano ottenerla soltanto a scapito dei molti che non erano liberi. Solo nella nuova era iniziata con la rivoluzione francese l'uomo può incominciare ad intravvedere la possibilità di una libertà generale. La dottrina del progresso, sviluppatasi in Germania, era, almeno fin dal tardo Settecento, notevolmente meno ottimista e meno semplicista di quella francese ad essa contemporanea, che si è presa in esame nel capitolo precedente. Marx venne influenzato da entrambe, in quanto egli era figlio dell'Illuminismo francese come di quello tedesco, ma, come si può dedurre dal suo concetto di alienazione, l'influenza della tradizione tedesca fu forse più profonda. 3. 2 L'idea di alienazioneIl secondo Discorso di Rousseau è una delle fonti principali del concetto di alienazione. La sua vivace descrizione della naturale bontà degli uomini e della loro corruzione da parte della società, la sua insistenza "sull'eguaglianza in cui la natura ha posto gli uomini, e sull'ineguaglianza che essi hanno istituita", l'orrore con il quale egli osservava la devastazione che la società con la sua influenza aveva prodotto sulla natura umana, tutti questi elementi provocarono una concezione critica nei confronti della condizione di caduta dell'uomo. Tuttavia, l'influenza di Rousseau non si limitò a "l'ardito individualismo del Discorso sull'ineguaglianza", nel quale egli descriveva come i legami naturali fra gli uomini fossero stati recisi da leggi sociali ingiuste ed oppressive; nel Contratto sociale Rousseau dimostrava altresì come gli uomini, associandosi in una nuova comunità, avrebbero potuto creare volontariamente nuovi legami che, attraverso la comune soggezione alla volontà generale, avrebbero posto fine alle loro sofferenze. L'individualismo del secondo Discorso era seguito "dall'altrettanto ardito collettivismo del Contratto sociale" 59. L'opera di Rousseau può essere letta — e senza dubbio lo fu spesso — come una versione laica dell'antica storia del peccato dell'uomo e della sua successiva redenzione. Molti lettori tedeschi di Rousseau non si lasciarono impressionare dalla sua idillica descrizione della nobiltà dei selvaggi. Schiller, per esempio, la definì come "la tranquilla nausea del suo paradiso!". Tuttavia, l'accusa di Rousseau alla società e ai suoi effetti deleteri divenne, tra la fine del Settecento e l'inizio dell'Ottocento, un tema ricorrente in molti pensatori tedeschi, che, benché scettici sullo stato di pienezza di vita dei selvaggi, concordavano tuttavia con lui nel deplorare la condizione di lacerazione dell'uomo nella società contemporanea. All'integrazione comunitaria e alla pienezza dell'esistenza individuale presente nell'antichità si contrapponeva, nell'età moderna, la disintegrazione della comunità e la scissione dell'esistenza individuale. Schiller, per esempio, sosteneva che l'uomo era lacerato dalla moderna divisione del lavoro: ridotto a semplice ingranaggio all'interno del meccanismo della moderna società, non poteva più sviluppare pienamente le proprie potenzialità. "Eternamente legato solo ad un piccolo frammento del tutto, l'uomo stesso si forma solo come frammento, e... non sviluppa qui l'armonia del suo essere, e invece di esprimere nella sua natura l'umanità, diventa soltanto una copia della sua occupazione o della sua scienza". "Noi vediamo non solo singoli soggetti, ma intere classi di uomini sviluppare solo una parte delle loro attitudini, mentre le altre, come nelle piante deformi, sono appena accennate con deboli tracce". Nella presente situazione di caduta non solo i singoli individui sono destinati a non svilupparsi in modo armonico, ma anche la società risulterà corrotta. "Allora furono separati l'uno dall'altro lo Stato e la Chiesa, le leggi e i costumi; il piacere fu separato dal lavoro, il mezzo dallo scopo, lo sforzo dal compenso" 60. Simili accuse contro l'alienazione dell'uomo moderno si ritrovano anche in altri rappresentanti dell'idealismo tedesco. Per Fichte, per esempio, l'età moderna era contrassegnata dalla "caduta", dalla "assoluta peccaminosità", dalla "distruzione di tutto ciò che è positivo", dalla "anarchia". Tali pensatori erano tuttavia accomunati non solo dalla critica alle condizioni presenti, ma anche dalla comune tensione verso un futuro di reintegrazione e di sintesi positiva. Essendo stati scissi, l'uomo e la società devono essere nuovamente riuniti. L'umanità deve ricostruire razionalmente un futuro in cui ciò che è stato separato possa essere di nuovo riunito, in modo tale che gli individui di nuovo possano divenire un Tutto e ritrovare il loro posto in una società armoniosamente organizzata. 3. 3 L'idea di perfettibilitàSe vi è un'idea comune alle dottrine dell'Illuminismo francese e di quello inglese, pur su altri punti divergenti, questa fu l'idea della perfettibilità umana. Sia che fossero razionalisti alla maniera della maggior parte dei philosophes francesi o sensisti come la maggior parte degli inglesi, compreso Locke, o materialisti come La Mettrie, i filosofi dell'Illuminismo condividevano la fede nella possibilità di modificare l'ambiente umano in modo da consentire un più completo ed armonioso sviluppo delle facoltà umane. L'uomo, e su questo punto essi concordavano, non ha un'anima divina, è un oggetto nella natura, ma ha tuttavia la capacità di autoperfezionarsi per mezzo dell'educazione e dei mutamenti ambientali: quando gli uomini si affrancheranno dalle catene della superstizione e, attraverso l'educazione, diverranno capaci di fare pieno uso della loro intelligenza, solo allora il genere umano realizzerà pienamente se stesso. Gli uomini subiscono dunque il condizionamento delle circostanze e dell'educazione, che, una volta mutate, renderanno gli uomini migliori. 3. 4 L'idea di totalitàContrariamente alla maggior parte dei philosophes, che, nella loro concezione, tendevano ad essere individualisti ed atomisti e ad avere una immaginazione storica piuttosto debole, Hegel insisteva sul concetto delle totalità culturali e del determinismo storico. Nella dottrina hegeliana è necessario considerare, contemporaneamente, due dimensioni: quella verticale o storica e quella orizzontale o strutturale 61. Nella prima, la storia è vista come una successione temporale, come una serie di momenti necessari. Ogni frammento storico deve essere cioè considerato sotto un duplice aspetto: come determinato da quello precedente e come contenente in sé i semi del futuro. Nella prospettiva orizzontale, invece, l'interesse si concentrerà sull'unità strutturale di una società o di un'epoca, intese come un insieme di interconnessioni secondo un modello o una forma unitari. Secondo l'insegnamento di Hegel l'errore di tutti i pensatori precedenti era stato quello di presumere la relativa indipendenza delle varie sfere della cultura. Essi avevano separato lo studio della guerra da quello dell'arte, la filosofia dalla vita quotidiana. Gli storici avevano considerato isolatamente fenomeni che potevano essere compresi solo se considerati come parte di un tutto. Al contrario, lo storico moderno, secondo Hegel, deve orientarsi in senso olistico. Per citare Isaiah Berlin egli deve "sforzarsi di dipingere il ritratto di un'epoca in movimento, di raccogliere ciò che è caratteristico, distinguere fra i suoi elementi componenti, fra il vecchio e il nuovo, fra ciò che è fecondo e ciò che è sterile, fra i residui morenti di un'epoca e i segni premonitori del futuro, nati prima del loro tempo" 62. Gli storici devono descrivere i fenomeni culturali collocandoli nel loro più ampio contesto storico. Da allora in poi la storia dell'arte o la storia della filosofia avrebbero dovuto essere trattate come elementi complementari all'interno di una storia generale della cultura; e perfino attività come lo scambio, il commercio, le arti meccaniche, ritenute insignificanti dagli storici del passato, avrebbero dovuto essere considerate elementi essenziali nelT"organica" storia istituzionale dell'umanità. I concetti di progresso e di perfettibilità, di alienazione e di integrazione, tra loro connessi, entrarono a far parte del patrimonio intellettuale di Marx già prima che questi iniziasse a scrivere la propria sintesi, sulla base delle idee derivate dagli studiosi a lui contemporanei o da quelli di poco precedenti. 3. 5 Il debito di Marx verso i suoi contemporaneiLa critica di Hegel che Marx trovò nei giovani hegeliani, influenzò profondamente il suo pensiero. Nell'ultimo periodo del suo insegnamento a Berlino, Hegel aveva assunto un orientamento sempre più conservatore. Pur avendo da giovane accolto con grande entusiasmo la rivoluzione francese, da vecchio, Hegel si era irrigidito al punto da temere ogni successiva rivoluzione ed ogni ulteriore riforma e da considerare lo stato prussiano sotto Federico Guglielmo III la personificazione stessa della libertà e della razionalità: tanto vicino alla perfezione quanto avrebbe potuto esserlo un'istituzione umana. Egli affermava adesso che "ciò che è reale è razionale, e ciò che è razionale è reale", proposizione che veniva generalmente interpretata, nonostante egli smentisse questa interpretazione, nel senso che l'esistente era razionale e degno pertanto di essere mantenuto. Fu contro questo quietismo politico e filosofico del vecchio maestro che, negli anni trenta, si sollevarono i suoi giovani discepoli di un tempo. Facendo proprie alcune osservazioni che Hegel aveva effettuato verso la fine della vita, essi affermavano che veramente reale era il perfettamente ideale, e che la lotta per raggiungerlo era ancora iscritta nel calendario della storia63. Hegel aveva insegnato loro a vedere come, attraverso il passato dell'umanità, il pensiero filosofico fosse sempre stato critico nei confronti di un dato stato di cose, come la critica negativa della filosofia fosse stata uno strumento fondamentale per distruggere il sentimento di compiacimento nei confronti del dato e per preparare la strada alla nascita di nuove possibilità culturali. Essi sostenevano che nel momento presente la necessità di una critica radicale nei confronti dello status quo non era certamente venuta meno: la filosofia aveva ancora come missione essenziale la necessità di essere critica. Risentendo dell'oppressione spirituale che caratterizzava il regno del sovrano, che invece Hegel esaltava, essi volsero le loro armi critiche all'analisi della cultura del loro tempo. I giovani hegeliani affermavano che la situazione della Germania, contrassegnata com'era dal caos spirituale e dalla cieca mancanza di ragione, difficilmente poteva considerarsi "reale", nel senso metafisico. In particolare, la cultura tedesca era ancora dominata da una religiosità oscurantistica ed oppressiva. La critica nei confronti della religione divenne, quindi, per essi, il principale compito filosofico del momento. Uno dei giovani hegeliani, David Strauss, pubblicò nel 1835 una critica, La vita di Gesù, nella quale usò il metodo storico hegeliano per dimostrare che alcune parti dei Vangeli erano pura invenzione mentre altre non erano che il riflesso di credenze semi-mitologiche diffuse presso le comunità cristiane primitive. Un giovane hegeliano più radicale, Bruno Bauer, si spinse ancora più avanti negando l'esistenza storica di Gesù e trattando i Vangeli come lavori di pura fantasia, come semplice espressione dell'ideologia dell'epoca. Infine, Ludwig Feuerbach, nella sua opera L'Essenza del Cristianesimo (1841) e in altre opere filosofiche, definì le credenze religiose soltanto in termini di proiezione di elementi dell'esperienza umana in oggetti di adorazione64. Adattando ai propri obiettivi le idee hegeliane, Feuerbach rappresentò i fenomeni religiosi come reificazioni alienate che possono essere analizzate in termini di rapporti sociali ai quali essi devono la loro origine. Per Feuerbach, il segreto della teologia si trova nell'antropologia; l'esistenza della religione testimonia che l'uomo è da se stesso alienato. Attraverso la religione, gli uomini venivano guidati ed oppressi dalla loro stessa creazione inconscia. Feuerbach sosteneva che era venuto il momento di un'effettiva rivoluzione copernicana nella storia delle idee. Gli uomini che agiscono in relazione con i loro simili e non Dio o lo Spirito assoluto hegeliano dovevano essere da allora il centro per la comprensione del passato e del futuro dell'uomo. Il mondo teocentrico del passato imprigionato doveva cedere il posto all'universo antropocentrico del futuro liberato. Compiuta questa liberazione, l'uomo diventerà veramente la misura di tutte le cose. Lo sviluppo filosofico di Marx fu notevolmente sollecitato dalla filosofia critica dei giovani hegeliani, che vedevano nelle credenze religiose solo il riflesso dei fenomeni sociali "reali". Marx fu in particolare colpito da Ludwig Feuerbach che aveva spostato l'interesse da un mondo che poneva al proprio centro lo spirito o Dio, verso l'analisi di quelle infelici condizioni sociali che avevano indotto gli uomini a trovare conforto in un mondo di entità religiose, da essi stessi create. Marx venne anche variamente influenzato da altri elementi della filosofia dei giovani hegeliani, come il radicalismo attivistico di Arnold Ruge e l'individualismo dissacratore di Max Stirner. Anche un'altra figura di rilievo, il socialista ribelle Moses Hess, contribuì in misura considerevole alla conversione di Marx dal liberalismo critico ad una radicale analisi socialista dei rapporti sociali. Feuerbach aveva utilizzato il concetto di alienazione soprattutto per combattere la religione, Moses Hess lo impiegò per effettuare una critica corrosiva ai congegni sociali ed economici. Per Hess il regno del denaro e della proprietà privata costituiva il simbolo della condizione alienata dell'umanità non meno di quanto lo fosse l'esistenza della religione rivelata. Nei suoi scritti giovanili Hess aveva avuto la tendenza ad indulgere alle astrazioni piuttosto oscure di un socialismo evanescente, ma nel 1847 si volse ad una realistica analisi dei fenomeni economici. Ha scritto Sidney Hook, nel "suo saggio Die Folgen der Revolution des Proletariats... si trovano... la teoria della concentrazione e centralizzazione del capitale, la teoria della miseria crescente, la teoria della sovraproduzione che rende conto della periodicità delle crisi, la dottrina dell'inevitabilità del crollo del capitalismo... teorie che troveranno una formulazione classica... alcuni mesi più tardi nel Manifesto del partito comunista" 65. Sebbene Marx non l'abbia affatto riconosciuto, il suo debito verso Hess è considerevole. I giovani hegeliani in generale, e Ludwig Feuerbach in particolare, fornirono a Marx gli elementi di una preparazione teorica che gli consenti di "mettere Hegel sulla testa". Essi lo indussero, cioè, ad indirizzare i suoi obiettivi all'esame del sistema sociale — vale a dire il sistema delle relazioni sociali nel quale gli uomini si erano sviluppati — piuttosto che nel mondo delle idee incorporee e dello spirito. Soltanto negli anni del soggiorno parigino Marx si converti al socialismo, grazie anche al rapporto con alcuni tra i suoi principali esponenti e dalla lettura completa delle loro opere, parte delle quali egli già aveva cominciato ad approfondire in Germania, indirizzato in tal senso da Hess e dalla lettura dell'opera di Lorenz von Stein, Socialismo e Comunismo nella Francia contemporanea (1842). In questo contesto non è tanto rilevante trattare della specifica dottrina socialista di Marx quanto piuttosto considerare in quale misura egli abbia utilizzato taluni aspetti del pensiero sociale francese, a lui contemporaneo o quasi contemporaneo, nel perfezionare la propria visione della storia e dell'ordine sociale: da Saint-Simon e dai sansimoniani, cosi come dagli storici borghesi, quali Guizot e Thierry, egli derivò gli elementi della teoria della lotta di classe. A Saint-Simon, in particolare, Marx deve l'idea secondo cui la storia umana è, in larga misura, storia di guerre tra le classi. Scrive Frank Manuel: "Nella filosofia della storia di Saint-Simon le classi svolgevano un ruolo fondamentale. Nella sua costruzione globale, la storia era il conflitto di classe e il processo storico poteva essere spiegato solo in questi termini" 66 In Saint-Simon si può trovare non soltanto l'idea della lotta di classe, ma anche quella secondo cui i rapporti di proprietà più delle forme di governo sono la base per la comprensione della storia. Egli scrisse "la forma di governo... non è che una forma, e l'istituto della proprietà ne è la base; è dunque questo istituto a costituire la base reale dell'edificio sociale" 67. In contrasto con la tradizione hegeliana, che aveva concentrato il suo interesse sullo stato, il pensiero di Saint-Simon e dei suoi seguaci si concentrò sui rapporti sociali. Va inoltre ricordato che Saint-Simon fu tra i primi a considerare la società come un gigantesco laboratorio di relazioni industriali. La lotta di classe, la fondamentale importanza della classe lavoratrice nel moderno mondo industriale, l'accento posto sulla centralità dell'industria e del lavoro e soprattutto il rilievo dato ad una filosofia sociale attivistica, che invitava non soltanto ad interpretare il mondo ma anche a cambiarlo, tutti questi elementi della sintesi di Marx furono sollecitati dalla lettura dei socialisti francesi o delle dottrine francesi vicine al socialismo, in particolare di quella sansimoniana nelle sue molteplici espressioni. Più tardi Marx ed Engels negarono, per quanto possibile, una tale eredità e finirono con il considerare "utopistici" i socialisti francesi, a cui contrapponevano la propria versione "scientifica" del socialismo. Ma lo storico delle idee non deve accettare il loro giudizio, giacché essi dovevano a questi utopisti molto più di quanto essi furono poi disposti a riconoscere. Durante il soggiorno a Parigi, Marx abbandonò il proprio interesse per la filosofia per dedicarsi all'analisi delle contraddizioni e delle lotte all'interno della società civile, cioè all'interno delle strutture sociali. Inoltre fu proprio durante il soggiorno a Parigi che si convinse dell'idea che "l'anatomia della società civile è da cercare nell'economia politica". Gli economisti classici da Smith a Ricardo e Malthus, oltre che i loro critici eterodossi quale Sismondi, erano fortemente presenti nella sintesi finale di Marx. Tale tradizione di pensiero non sarà trattata nel presente contesto in modo dettagliato giacché essa riguarda principalmente la sua dottrina economica che è stata spesso analizzata, in modo particolarmente acuto, tra l'altro, da Joseph Schumpeter68. E' sufficiente quanto abbiamo detto per confermare l'affermazione secondo cui il pensiero di Marx si situa al punto di confluenza di una vasta molteplicità di correnti del pensiero europeo: l'Illuminismo francese e quello tedesco; l'idealismo tedesco, in particolare quello rappresentato da Hegel; la tradizione critica dei giovani hegeliani e la concezione antropologica di Feuerbach; il pensiero sociale francese, specialmente nella sua versione sansimoniana; e l'economia politica inglese. 4. Il contesto sociale4.1 Il quadro generaleGli anni compresi tra il 1830 e l'inizio del decennio 1840-50, gli anni della giovinezza di Marx, rappresentarono per le classi colte tedesche un periodo di profonda disperazione. Una pesante cappa repressiva si stendeva su quanti tentavano di pensare in modo autonomo. La Santa Alleanza, istituita dalle potenze che avevano sconfitto Napoleone per reprimere le forze della rivoluzione, della libertà, del radicalismo e dei diritti dell'uomo, sembrava in grado di soffocare perfino i movimenti più timidamente liberali. Il regime repressivo irritava soprattutto coloro che, come gli abitanti della Renania, avevano respirato, sotto l'amministrazione napoleonica, un'aria di relativa libertà; tuttavia, la guerra di liberazione nazionale e le riforme, realizzate per ottenere l'appoggio di tutta la popolazione ed in particolare delle classi colte nella crociata antinapoleonica, avevano fatto sorgere grandi speranze anche in altre parti della Germania; ma, in seguito, esse erano svanite. I patrioti liberali che, dopo la disfatta di Napoleone, avevano sognato una grande riforma, si ritrovarono, invece, sotto un regime di polizia considerevolmente più rigido di quelli precedenti. Soprattutto in Prussia, durante il regno di Federico Guglielmo III, ogni speranza di riforma politica e sociale andò delusa. Quando nel 1840 sali al trono il principe ereditario, un romantico che aveva molto parlato di alleanza patriottica, di principi democratici, di monarchia costituzionale, e che era stato la grande speranza dei liberali, divenne subito evidente che ancora una volta le aspirazioni dei liberali sarebbero andate deluse. Ciò che egli cercava di raggiungere attraverso il costituzionalismo non era un'unità di tipo liberale, ma una rinascita delle glorie mistiche di una monarchia patriarcale consacrata da Dio. Gli intellettuali tedeschi, soprattutto gli studenti, avevano or ganizzato talune società liberali (Burschenschaften): si riunivano in grandi raduni come il festival di Wartburg del 1817, durante il quale vennero bruciati i simboli della reazione, e il festival di Ham-bach del 1832, dove venticinquemila persone brindarono a La Fayette e inneggiarono ad una Repubblica tedesca unificata. Tutto ciò non portò ad alcun risultato. Già dal 1819, i sovrani della Confederazione tedesca si erano impegnati a controllare, attraverso speciali commissioni, le universita nei loro territori ed avevano adottato misure di rigorosa censura nei confronti di tutte le pubblicazioni. Negli anni trenta, come risposta al timore di un'estensione alla Germania della Rivoluzione francese di Luglio, furono adottate ulteriori misure repressive, che comprendevano la proibizione di tutte le riunioni politiche, la sorveglianza degli "agitatori politici sospetti", e un controllo ancora più stretto sulle università. La Germania non aveva né parlamento né tribunali con giurie né erano riconosciuti i diritti di libertà di parola e di riunione. Non deve dunque meravigliare che la Germania in generale ed il suo principale stato, la Prussia, in particolare, apparissero ai liberali delle classi colte come un minaccioso baluardo della reazione. La Germania era in ritardo rispetto alla Francia e all'Inghilterra non solo sotto l'aspetto politico, ma anche sotto quello sociale ed economico. Le classi medie non erano riuscite a conquistare il potere e diversi interessi, tradizionali, settoriali e religiosi, dividevano il paese, impedendo cosi il sorgere di un movimento unitario delle classi medie. La Germania, ancora prevalentemente agricola, dominata in larga misura, soprattutto in Prussia, da una nobiltà semifeudale, mancava di una borghesia cosciente di sé. E' vero che l'industria manifatturiera, quella mineraria e il commercio marittimo nel periodo post-napoleonico si erano sviluppati rapidamente, determinando un incremento della ricchezza nazionale, ma è anche vero che le classi medie, divise come erano dai confini dei trentanove stati tedeschi, finivano per concentrarsi su questioni di scarso rilievo ed erano, nel complesso, poco disposte a pensare in termini di interesse nazionale. Nella Ruhr i Krupp installarono nel 1835 le loro prime macchine a vapore e nel 1837 le prime trivelle penetrarono nei giacimenti di carbone della regione. Si svilupparono nuove aree industriali, come le città tessili di Barmen e di Krefeld, in Prussia. Vennero create nuove reti di trasporto, mentre un più rapido servizio postale, istituito dopo il 1824 per collegare Berlino a Magdeburgo, aveva abbreviato i tempi di viaggio da due giorni e mezzo a quindici ore. Ma tali episodi non costituivano che frammenti di modernizzazione, ancora largamente sopraffatti da una vasta e consolidata tradizione. La maggior parte della produzione era ancora concentrata nella bottega artigianale piuttosto che nella fabbrica. Il tradizionale sistema delle corporazioni dei maestri, degli operai e degli apprendisti continuava a prevalere e ad impedire la mobilità del lavoro e l'iniziativa imprenditoriale. Il controllo governativo inoltre intralciava lo sviluppo del sistema del libero mercato. Fino agli anni trenta ogni governo, mercantilista e paternalista, interveniva a regolare l'esportazione e l'importazione: in seguito l'Unione doganale tra gli Stati fece cadere le barriere relative al commercio interno, ma nell'ambito dei propri confini ciascuno stato continuò a controllare le attività produttive. Il governo prussiano, per esempio, controllava la qualità e il prezzo della produzione artigianale e le attività dell'industria tessile a carattere familiare della Slesia. Per poter aprire una miniera era richiesta l'autorizzazione governativa ed essa poteva essere ritirata anche dopo che il proprietario aveva già dato avvio alla propria attività 69. In tali condizioni sociali ed economiche, gli strati inferiori e medi, cioè quelli dei professionisti, degli amministratori e degli intellettuali, in altre parole le persone fornite di istruzione, divennero i principali esponenti del nazionalismo e del liberalismo; alla guida di tale movimento si trovavano i giovani non ancora gravati da responsabilità e legami di ordine occupazionale. Però, mentre si concedeva a tali categorie di persone di tessere astratte e complesse teorie sul concetto di libertà, si impediva loro d'impegnarsi in qualsiasi attività di ordine pratico che potesse condurre allo sviluppo di una concreta forma di libertà. Tali condizioni generali costituiscono gli elementi in ordine ai quali può essere valutata la specifica situazione di Marx. 4. 2 L'ambiente familiare e le prime amicizie dì MarxSe è mai esistito un uomo cui si può applicare in modo perfetto l'idea di marginalità, questi è Karl Marx. Si ricorderà che la famiglia di Marx si era convertita al cristianesimo per ragioni di prudenza. Era diventata luterana, ma, a Treviri, dove risiedeva la famiglia di Marx e dove predominavano i cattolici, i protestanti, pur godendo di prestigio, non erano che una piccola minoranza. Inoltre, anche se l'idea razzista dell'inferiorità degli ebrei non era ancora divenuta prevalente, gli ebrei convertiti erano cionondimeno sottoposti a discriminazioni e a pregiudizi. Di conseguenza, gli intellettuali ebrei, contemporanei o quasi di Marx, convertiti o non convertiti, provavano un abituale disagio a causa della loro origine ebraica. Per esempio, Ludwig Boeme, Heinrich Heine, Ferdinand Lassalle, Rahel Varnhagen, come molti altri, pur avendo raggiunto una preminente posizione intellettuale, venivano ancora considerati socialmente inferiori 70. Molti tra loro soffrivano profondamente in seguito alle contraddizioni del loro status, il che, in misura maggiore o minore, conduceva a manifestazioni di odio per se stessi in quanto ebrei. Marx non fece eccezione. Per tutta la vita egli tentò infatti di liberarsi dalla sua condizione di ebreo, da una realtà impostagli dall'esterno e, in tale tentativo, egli giunse a considerare come tipiche della natura ebraica tutte quelle caratteristiche ed attività che egli disprezzava come detestabili e abbiette. Negli scritti di Marx, l'ebreo vi appare come usuraio e cambiavalute; i figli di Israele sono rappresentati come perennemente intenti a ballare davanti al vitello d'oro. (La reiterata avversione di Marx nei confronti di quanti si arricchiscono è probabilmente connessa con la lotta contro la sua condizione di ebreo). Le ripetute espressioni di disprezzo nei confronti degli ebrei e dell'ebraismo, contenute nelle sue lettere, rivelano uno degli aspetti di Marx meno accettabili. Espressioni come "vi sono qui molti ebrei e pulci", oppure quella di "negro ebreo", rivolta a Lassalle, sono purtroppo numerose. Nella fase più avanzata della sua carriera Marx fu fatto oggetto di una moltitudine di insulti antisemitici; tuttavia, è certo che, anche prima di allora, egli, come ebreo, abbia risentito profondamente della sua posizione marginale e non sia mai venuto a patti con essa. La situazione di Marx, che già risentiva della mancanza di equilibrio relativa al suo status personale, fu aggravata da ciò che si potrebbe chiamare uno squilibrio nei modelli che aveva di fronte e a cui si rifaceva. Suo padre, che egli ammirava per altri motivi, presentava caratteri che, nella propria mente, egli associava a difetti tipicamente ebraici: debolezza e sottomissione. Ludwig von Westphalen, d'altra parte, che sembrava presentare un ammirevole Zivilcourage, era tuttavia di uno status sociale di gran lunga più elevato di quello che Marx e la sua famiglia potevano sognare di raggiungere. Soltanto una volta, nella sua vita, Heinrich Marx aveva assunto una posizione pubblica coraggiosa: nel corso di un pubblico pranzo si era espresso a favore dell'auspicabilità della riforma. Tuttavia, quando la polizia cercò di prendere informazioni, il padre di Marx ritrattò immediatamente; tale atteggiamento sottomissivo produsse una decisiva impressione sul figlio, allora sedicenne. Quarant'anni dopo, quando una delle figlie gli sottopose uno di quei questionari caratteristici dell'epoca vittoriana, nel quale si chiedeva di indicare "il vizio che detestate maggiormente", egli scrisse: "il servilismo". E probabile che l'ammirazione di Marx per Ludwig von Westphalen, alla cui memoria, anziché a quella del padre, dedicò la tesi di laurea, possa essere stata connessa alla sensazione che Westphalen possedesse quelle virtù che egli ammirava, in particolare il coraggio, e di cui egli avvertiva una cosi evidente carenza in suo padre. Westphalen, di posizione sociale elevata e imbevuto di noblesse oblige, divenne per Marx, di livello sociale inferiore, un modello con cui confrontarsi, e ciò accrebbe il proprio senso di marginalità. La sensazione di essere ai margini della società fu rafforzata in Marx dalla scelta delle persone che frequentò nel periodo che trascorse a Berlino, come studente. Qui egli ebbe rapporti, quasi esclusivamente, con persone che rifiutavano di venire a patti con le convenzioni accademiche e che si consideravano per principio oppositori del regime politico. A dire il vero, alcuni di essi accarezzarono l'idea di ottenere un inserimento nel mondo accademico, ma solo pochi riuscirono temporaneamente ad entrarvi. Nel complesso si può comunque dire che il loro punto di riferimento non fu più l'università, ma quel vasto pubblico di liberali insoddisfatti, di rivoluzionari, provenienti dalle file dei professionisti e delle persone istruite, impegnati in modo precario, quando lo erano, in specifici ambienti istituzionali. Come i loro contemporanei francesi, di cui si è trattato in precedenza, erano giovani, che avevano ricevuto un'elevata istruzione e che avvertivano, tuttavia, in quell'atmosfera di torpore che si viveva in Germania, di essere stati educati a ciò che oggi definiremmo una "vita assurda". Trascorrevano ore ed ore seduti nei caffé o nelle birrerie e passavano da un salotto all'altro, dove venivano considerati anche dai progressisti più moderati come giovani audaci che facevano sul serio. Da tutto ciò essi ricavarono qualche soddisfazione e certamente quelle vivaci dispute intellettuali, sostenute nelle riunioni, svilupparono il loro ingegno, tuttavia questo frenetico attivismo intellettuale era come un potente motore che girava a vuoto. A Berlino, tra i propri coetanei, Marx aveva trovato amici e col leghi, con cui condividere quella situazione di marginalità fino ad allora sopportata in solitudine. Lo stile dei primi scritti di Marx ci illumina sull'ambiente in cui le sue idee si erano maturate: era uno stile che intendeva fare appello non alla massa, ma al piccolo ed esoterico gruppo di persone, come lui, costrette ai margini della società. In esso sono largamente presenti oscuri riferimenti alle dispute dei giovani hegeliani, che un lettore comune difficilmente potrebbe sperare di comprendere, ma in esso vi appare anche una brillante abilità dialettica, divertenti giuochi di parole pieni di allusioni ai precedenti dibattiti informali da cui quella abilità dialettica si era originata. Se certamente taluni di questi modi di esprimersi rappresentano un tentativo di uniformarsi allo stile di Hegel, ancor più essi ricordano quello delle discussioni settarie tra amici e colleghi esperti di retorica. Non deve quindi stupire se Marx decise di non pubblicare buona parte di questi scritti. Quando partì per Parigi, si era già allontanato dalla maggior parte dei suoi amici precedenti e, sebbene avesse deciso di non considerarli più come interlocutori, in realtà continuò con essi una specie di dialogo interiore, polemizzando con loro con la spietata abilità dialettica che aveva acquisito in loro compagnia. Tuttavia anche in questi primi scritti si possono trovare brani analitici e descrittivi che sembrano già molto lontani dai fuochi di artificio dialettici adoperati nelle polemiche con i colleghi del passato. Si può supporre che tutta la pur breve esperienza come redattore e direttore di un quotidiano gli sia stata di grande utilità successivamente, quando dovette rivolgersi ad un più ampio pubblico colto. Lo stile di denuncia dei suoi articoli per la "Rheinische Zeitung", pur distinguendosi ancora per giuochi dialettici di alto livello, è nettamente diverso da quello degli altri suoi scritti giovanili. Qui egli non tenta più di sopraffare l'avversario con l'abile maneggio della stoccata intellettuale, ma tenta, piuttosto, di ragionare e di convincere con l'argomentazione metodica e con la prova dei fatti. Lo stile di pensiero e il modo di argomentare che Marx aveva sviluppato quando era un giovane ribelle nell'inebriante atmosfera dei bohémiens di Berlino e il diverso modo di pensare e di scrivere che contraddistinse la sua collaborazione giornalistica, dovevano più tardi fondersi negli scritti dell'uomo maturo. 4. 3 Marx si rivolge alla classe lavoratriceGli strati colti della classe media francese costituivano per gli autori di quel paese un tipo di uditorio di cui i loro colleghi tedeschi non potevano invece disporre. Tranne qualche uomo di lettere come Heine, gli autori tedeschi in esilio dovevano principalmente fare affidamento sulla loro ristretta cerchia di amici e su quel pubblico del paese di origine che la censura consentiva di raggiungere. Ciò può spiegare, in parte, il carattere contorto, limitato e involuto di gran parte degli scritti degli emigrati. Ma, a Parigi, gli scrittori di sinistra, oltre agli esiliati del loro stesso status, individuarono tra di loro un gruppo di uomini cui potevano rivolgersi sia di persona sia con gli scritti: si trattava di artigiani specializzati e di lavoratori manuali che, come loro, avevano lasciato la patria dove erano stati perseguitati per la loro attività e le loro convinzioni. Attraverso i rapporti quasi quotidiani con questi uomini e la progressiva conoscenza degli scrittori socialisti che avevano, in un modo o nell'altro, tentato di esprimere le loro speranze e di dar voce alle loro incipienti aspirazioni, Marx si converti al socialismo. Da tale momento, le sue energie intellettuali, quasi demoniache, non si esercitarono più a vuoto: esse furono intenzionalmente poste al servizio dei fini rivoluzionari. Il compito del filosofo di interpretare il mondo arretrò di fronte alla decisa volontà del rivoluzionario di cambiarlo. Negli anni del soggiorno a Parigi e a Bruxelles, Marx frequentò, da pari a pari, varie e significative persone, tra cui Heine e Ruge, Proudhon e Bakunin, che erano assai diversi, per origine e mentalità, dal gruppo relativamente omogeneo dei giovani bohémiens, suoi compagni a Berlino; cosi, man mano che si allargava la sua cerchia di amicizie e di conoscenze, si ampliavano anche le sue lettere. Inoltre, egli era ora in contatto con lavoratori tedeschi e stranieri che, pur non potendo aspirare all'istruzione e all'erudizione dei suoi amici intellettuali, manifestavano quella saldezza morale e quella forza di carattere che Marx tanto ammirava. A dire il vero egli avrebbe prima o poi polemizzato con la maggior parte di essi cosi come si sarebbe allontanato da quasi tutti i suoi amici intellettuali del periodo parigino; cionondimeno, i lavoratori sarebbero rimasti il suo uditorio privilegiato, cui si sarebbe rivolto, anche se solo con il pensiero: a Londra, negli anni del suo quasi completo isolamento, egli non ebbe infatti alcun contatto diretto con alcuno di essi. Nell'ultimo periodo della loro vita, sia Marx sia Comte si rivolsero ad un uditorio di lavoratori, tuttavia — è bene sottolinearlo — la natura dei rapporti che essi stabilirono con loro era profondamente diversa. Comte, che considerava i suoi ammiratori della classe lavoratrice spiriti semplici da introdurre al vangelo mediante un richiamo emotivo alle loro limitate disponibilità intellettuali, parlava loro da una posizione di superiorità. Marx che, al contrario, cercava di educare i lavoratori per metterli in grado di dividere con lui i frutti della nuova scienza che andava sviluppando nel loro interesse, mai si rivolse loro in questo modo. Tentando di sviluppare in loro la consapevolezza della povertà e delle privazioni che subivano, dando loro una coscienza, sperava di elevarli al di sopra di quel livello a cui la loro misera condizione sociale li aveva condannati. Ciò che la tradizione idealistica tedesca e quella dei suoi precursori greci avevano tentato di insegnare a singoli individui — cioè che una vita non meditata non può essere degna di essere vissuta e che l'uomo raggiungeva la dignità soltanto attraverso la consapevolezza — Marx si sforzava di insegnarlo ad un'intera classe di uomini. Nel messaggio di Marx vi sono taluni elementi propagandistici, su cui Sorel più tardi tentò di costruire il concetto di miti utili, ma la forza innovativa degli scritti di Marx sta altrove: essi, mostrando alla classe lavoratrice sulla base di una spiegazione razionale e dell'insegnamento scientifico come le cose stessero realmente, avrebbero spinto i lavoratori all'azione, non attraverso vane esortazioni moralistiche o appelli alla loro emotività, ma attraverso la descrizione della realtà cosi come era percepibile, una volta tolti i veli di carattere ideologico. Alla base di tutti gli scritti di Marx maturo vi è la ricerca della realtà sociale. Per questa ragione Marx, nel tentativo di dar vita ad una dottrina "scientifica" al servizio della classe lavoratrice, ha lasciato un'eredità anche a coloro che, condividendo soltanto in parte o in nulla le sue passioni sociali, erano, come lui, interessati a comprendere in che modo i fattori sociali influivano sul destino degli uomini. Gli uomini cercano di trovare altri uomini, a cui ritengono di poter rivolgere il loro messaggio; in questo senso limitativo, essi ricercano menti congeniali ed affini. Marx, dopo aver trovato un piccolo pubblico tra gli intellettuali e i lavoratori di sinistra che condividevano le sue posizioni, riuscì a crearsi un uditorio: educando i lavoratori con la parola e con gli scritti, non solo li aiutava a comprendere i complessi aspetti delle proprie costru zioni, ma procurava, al tempo stesso, uno sbocco alle proprie teorie. Comte, al contrario, aveva una richiesta del suo pensiero cosi limitata che, nello sforzo disperato di farsi ascoltare, fu alla fine costretto a renderlo più semplice. Marx, inoltre, volle sempre rivolgersi anche agli esponenti più rappresentativi della comunità scientifica del tempo; nonostante scrivesse con bruciante disprezzo dei suoi avversari borghesi, egli era lontanissimo dalle posizioni dei suoi mediocri epigoni, i quali pensavano che il marxismo desse loro l'autorizzazione ad ignorare la "scienza borghese" dei loro contemporanei. Per essi, privi di talento, inetti, incapaci di farsi strada nelle istituzioni accademiche ufficiali, il marxismo diveniva l'estremo rifugio. Marx era invece molto lontano da tale posizione. E probabilmente vero che negli ultimi anni il suo pensiero era divenuto più rigido, tanto che si può applicare a lui quanto Vernon Parrington disse a proposito di Increase Mather: "Chiuse la sua mente agli apporti del nuovo pensiero", ma è anche vero che per tutta la vita Marx onorò di attenta considerazione i maggiori in gegni del "mondo borghese"; non solo egli rimase profondamente colpito dall'opera di Darwin, ma, come dimostrano ampiamente i voluminosi quaderni di appunti e le opere pubblicate, egli, conducendo una incessante e serrata battaglia contro i suoi avversari del mondo borghese, ne fece oggetti degni della sua polemica invettiva. Fin dai tempi di Parigi e di Bruxelles, Marx si era costruito una nuova immagine di sé, quella di colui che avrebbe fornito alla classe lavoratrice una nuova verità sulla realtà sociale. Il messaggio, elaborato attraverso una ricerca autonoma e un serrato confronto critico con i principali pensatori sociali della sua generazione e di quella precedente, egli l'avrebbe consegnato ai lavoratori. Engels sintetizzò tale posizione, quando scrisse: "Non avevamo alcun desiderio di offrire queste nuove conclusioni scientifiche in ponderosi tomi ai sapientoni professionisti. Al contrario, eravamo tutt'e due entrati con armi e bagagli nel movimento politico, avevamo determinati rapporti con gli ambienti colti... e stretti vincoli col proletariato organizzato. Avevamo il preciso dovere di basare le nostre vedute su un saldo fondamento scientifico, ma ci incombeva altresì il compito di convincere il proletariato europeo" 71. 4. 4 Isolamento e doppia marginalitàDurante il soggiorno a Parigi e quello a Bruxelles, Marx, per un periodo relativamente breve, potè lavorare in una situazione in cui alla presenza di un uditorio considerevole, quale era quello della classe lavoratrice, si aggiungeva la presenza di persone a lui affini per ingegno ed interessi. In tale contesto fu elaborato il Manifesto del partito comunista. Ma, quando Marx, dopo il breve e deludente intermezzo rivoluzionario del 1848, si stabili a Londra, rimase privo, ad un tempo, dello stimolo intellettuale degli amici e dell'ascolto dei suoi uditori, di cui, per una felice combinazione, aveva goduto sul continente. Nel primo periodo dell'esilio londinese, in parte per il suo carattere polemico ed autoritario, ma ancor più per ragioni obiettive, Marx visse in un isolamento quasi totale. Ben presto comprese che i sogni rivoluzionari dei compagni in esilio non erano altro che "sogni", costruzioni prive di un consistente fondamento nella realtà. Così, per quanto possibile, si allontanò dalla loro compagnia, pur condividendo con loro la posizione sociologica dello straniero, cioè di un uomo che, per usare la terminologia di Georg Simmel, non è un ospite di passaggio, oggi qui e domani là, ma un uomo costretto a fermarsi, senza tuttavia sviluppare quei legami organici con il mondo circostante propri dei residenti. La peculiare condizione dell'esule fu colta con superba fantasia letteraria da Edmund Wilson: Gli esiliati politici vanno soggetti a particolari stati d'animo che difficilmente coloro che possono vivere al loro paese sono in grado di capire. Pùi precisamente, le persone che per i loro principi e per i loro interessi sono innalzate al di sopra del comune cittadino, in mancanza della base costituita dal loro stato di cittadini e dal loro rapporto organico con la società, si trovano costrette su un piano inferiore. E anche a parte la difficoltà che l'esule incontra nel trovare lavoro e nel farsi amici in paese straniero, gli riesce arduo radicarsi nel luogo dove si è rifugiato, farvi una propria carriera, poiché vive sempre nella speranza di ritornare in patria, quando il regime che lo ha bandito sarà caduto 72. Nei primi anni londinesi, Marx visse in una situazione di duplice isolamento: si trovava in una posizione di distacco dagli emigrati ed aveva anche scarsi contatti con i teorici tedeschi ed inglesi. Nel febbraio 1851 Engels scrisse a Marx: "Si vede sempre più che l'emigrazione è un'istituzione nella quale chiunque non si tenga del tutto lontano da essa e non si accontenti della posizione di scrittore indipendente che se ne infischia anche del cosiddetto partito rivoluzionario, diventa necessariamente un pazzo, un somaro e un volgare briccone" 75. Marx affermò di gradire "il pubblico autentico isolamento in cui ci troviamo ora noi due, tu ed io. Corrisponde del tutto alla nostra posizione ed ai nostri principi" 74. Nella stessa lettera Engels diceva ancora a Marx che dovevano scrivere adesso dei "grossi volumi" senza avere bisogno nemmeno di "nominare uno di questi ragni... [della] plebaglia degli emigrati" 75. L'isolamento, la situazione di marginalità e la rottura di quasi tutti i legami con i compagni e gli amici di un tempo misero Marx in grado di assumere il distacco necessario dai problemi quotidiani per dedicarsi interamente all'attività principale, l'elaborazione del Capitale all'ombra protettiva del British Museum. Marx, che in quegli anni aveva soltanto alcuni discepoli devoti, aveva trovato in Engels il suo permanente alter ego. L'importanza di Engels nella vita di Marx può difficilmente essere sopravvalutata. Egli, che pure non ripeteva pedissequamente le affermazioni di Marx, ne condivideva tutte le posizione teoriche. Uomo di grande talento, era egli stesso in grado di formulare acute valutazioni critiche. Tuttavia a causa della sua profonda ammirazione per Marx tendeva ad assumere, nonostante fosse più giovane di lui di soli due anni, il ruolo di figlio superbamente dotato ma rispettoso. Marx, dunque, non era completamente solo nel proprio isolamento e, sostenuto, come era, da almeno un uomo disposto a condividerla con lui fino in fondo, poteva sopportare il peso della marginalità con maggiore tranquillità76. Engels, che rispetto a Marx era un uomo più semplice, più concreto e meno tormentato, rappresentò per Marx il saldo ancoraggio alla realtà, tanto che, senza la sua guida, Marx sarebbe stato tentato di allontanarsi da essa per inoltrarsi nel regno delle astrazioni. Ha scritto Edmund Wilson: "Forse il servigio più importante reso da Engels a Marx, in quel periodo, consistette nel dare un volto e una figura ben definiti al proletariato astratto di Marx e situarlo in una casa e in una fabbrica reali" 77. Senza l'aiuto di Engels probabilmente Marx non sarebbe mai riuscito a distaccarsi da quelle astratte elucubrazioni, cui il solitario ricercatore del British Museum per temperamento era portato. Se si esclude la collaborazione giornalistica, retribuita, con "The New York Tribune", Marx non scrisse mai per pubblicazioni che non fossero socialiste né fece alcun tentativo per procurarsi un pubblico tra i colti lettori che sostenevano le più importanti riviste, settimanali o mensili, dell'Inghilterra vittoriana. Solo saltuariamente collaborava alle pubblicazioni inglesi ed europee degli emigrati radicali; anche i suoi due saggi storici, sulla rivoluzione del 1848 e sulle sue conseguenze, furono scritte per un pubblico di radicali europei. In essi Marx prevedeva l'insorgere di una nuova rivoluzione; ma, quando negli anni cinquanta e sessanta ciò non si verificò, avendo egli rotto ogni rapporto con i sopravissuti del 1848, si trovò a non avere più alcun pubblico. Furono questi anni di profonda prostrazione fisica e psicologica per Marx, che, tuttavia, poteva ancora contare sul sostegno di Engels, suo uditorio privilegiato, ancorché ridotto ad una sola persona, e su quello ideale dei lavoratori socialisti per la cui causa aveva scritto II Capitale. Lo stile di denuncia del Capitale e degli scritti affini, varia da capitolo a capitolo. Alcune volte, come nel famoso capitolo su "la giornata lavorativa", lo stile è limpido, ispirato da passione morale e da volontà di persuasione. Altre volte, come in taluni capitoli del primo libro ed in modo ancor più pronunciato negli ultimi libri, lo stile è astruso ed ermetico, serrato e denso come l'atmosfera delle sale non aerate e sature di fumo nelle quali Marx era costretto a scrivere; poi, di nuovo, un'abbondanza di immagini di violenza: stupri, repressioni, mutilazioni e massacri, morti premature, caccia ai cadaveri, vampiri che vivono del sangue delle loro vittime, immagini che rivelano l'enorme costo psichico e i furori presenti sotto l'aspetto calmo anche se austero con cui Marx si presentava al mondo. La collocazione di Marx ai margini estremi della società, il suo rifiuto di un pubblico, ancora realmente esistente, a favore di un uditorio, per il momento soltanto ideale, se, da un lato, spiegano talune sue debolezze, dall'altro, danno conto della lucidità della sua concezione. "Straniero" in una società capitalistica, era in grado di cogliere le crepe dell'imponente edificio celate neces sariamente alla maggior parte delle persone integrate. Marx pagò dunque con la solitudine e l'esilio le sue fondamentali idee sui conflitti e sulle contraddizioni della società capitalistica. Edmund Wilson ha probabilmente ragione quando scrive che Marx trovò nella propria condizione esistenziale la chiave per comprendere il più complesso modo di essere e di procedere della società nel sistema capitalistico. "La sua angoscia si riflette nel Capitale come l'angoscia dell'umanità sotto il peso dell'industrialismo; soltanto uno spirito tanto esulcerato, tanto a disagio nel mondo, avrebbe potuto ravvisare e analizzare le cause della gigantesca mutilazione dell'umanità, dei violenti contrasti, degli imprevisti rivolgimenti cui quell'era dei grandi profitti era condannata" 78. L'indignazione per la situazione sociale esistente, la fede nella realizzazione di un mondo migliore furono gli stimoli — senza dei quali non vi sarebbe stato alcun Capitale — che spinsero Marx ad un esame sempre più minuzioso e particolareggiato del funzionamento del sistema capitalistico. La situazione personale, l'acuta sofferenza derivante dall'isolamento e dalla marginalità, alimentarono, a loro volta, continuamente il sentimento di offesa e di sdegno presenti nelle sue opere. La sua vita privata, carica di tensioni e di conflitti, lo rendeva incline a vedere negli scontri e nelle lotte la nascosta forza motrice della storia. La capacità di osservazione e la perspicacia di Marx derivarono in larga misura dalla sua posizione sociale. Tuttavia, proprio quell'isolamento, che gli consenti di non rimanere coinvolto nei convenzionali valori della vita quotidiana e di penetrare in quei meccanismi della realtà sociale non ancora presi in considerazione dalle ricerche degli studiosi, è all'origine delle carenze della sua opera: il dogmatismo e la rigidità di molte sue affermazioni sono dovuti proprio alla mancanza di rapporti con i colleghi e con le persone a lui vicine. Marx si sforzò sempre, come egli stesso ammise, di scrivere secondo i canoni della procedura scientifica, sulla cui validità era d'accordo con i suoi avversari "borghesi"; ciò nonostante, la presenza nel Capitale di alcuni errori di logica e di contenuto — errori che i critici successivi si divertirono a sottolineare — molto probabilmente trovano la loro giustificazione proprio nella mancanza di una valida critica. Prima della fondazione dell'Internazionale, avvenuta nel 1864, Marx non poteva sapere con certezza quali fossero i destinatari dei propri scritti; successivamente riuscì nuovamente a raggiungere quella felice combinazione, già brevemente realizzatasi alla fine degli anni quaranta, in cui il ruolo dello studioso coesisteva con quello del politico. Il movimento dei lavoratori, che egli aveva contribuito a far nascere, divenne il fruitore delle sue opere. L'Internazionale aveva creato una struttura recettiva nei confronti dei suoi scritti, di cui per cosi lungo tempo Marx era stato privo. Non era più necessario che egli scrivesse per Engels o per un immaginario uditorio del futuro, poiché ora poteva scrivere per uomini che esistevano realmente e che cominciavano a considerarlo come la fonte principale del socialismo scientifico. E difficile immaginare quale sarebbe stato il destino del Capitale se fosse stato pubblicato prima della fondazione dell'Internazionale. A giudicare dall'iniziale accoglienza o piuttosto dalla non accoglienza riservatagli dal mondo degli studiosi e dal più vasto pubblico, è del tutto presumibile che anch'esso avrebbe seguito il destino dei primi e spesso penetranti trattati radicali di economia politica, come quelli dei socialisti ricardiani Thomas Hodgkings, William Thompson e John Gray o quelli di Sismondi. Chi li legge ancora? Il Capitale e gli altri scritti di Marx, al contrario, acquistarono subito quasi il valore di testi ufficiali del movimento dei lavoratori, soprattutto nei paesi di lingua tedesca. Tuttavia, quando ciò avvenne, le energie creative di Marx si stavano esaurendo. Gli "indirizzi" scritti negli anni sessanta e all'inizio degli anni settanta, a nome dell'Internazionale, lo mostrano al massimo delle sue capacità analitiche; ma, dopo l'ultima polemica con il grande avversario Bakunin e la dissoluzione dell'Internazionale, ben poco usci ancora dalla sua penna. Il pubblico, cosi lungamente desiderato per tanti anni era ormai disponibile, ma il vulcano, pur immerso nella gloria resagli dai suoi devoti seguaci, si era ormai spento. RiepilogoFormatosi in un paese e in una regione in cui le classi istruite ri sentivano di un malessere spirituale derivante dalle misure repressive del governo e da una generale arretratezza, portato a considerarsi un uomo marginale, profondamente insoddisfatto della situazione esistente, Marx si trovava nella condizione più idonea per divenire, su basi teoriche precise, un critico dell'ordine esistente. Le sue armi critiche vennero affilate nell'atmosfera inebriante delle sette radicali e degli esoterici circoli filosofici dove, nei dibattiti con i suoi compagni, egli sviluppò anche la sua abilità dialettica. Marx si impegnò a togliere quel velo ideologico che nascondeva alla classe lavoratrice il reale funzionamento della società esistente. La sua descrizione e la sua analisi dell'anatomia della società civile ha costituito l'impegno costante di tutta la sua vita. Come molti suoi predecessori egli si ergeva sulle spalle dei giganti. Tuttavia la profondità della sua concezione è connessa, in egual misura, oltre a ciò, anche al suo status di perenne "straniero" e al suo fermo convincimento in una prospettiva futura, che la rispondenza della classe lavoratrice era "destinata" a trasformare in realtà. Anche se per il sociologo è opportuno distinguere la profezia dall'analisi, tuttavia egli deve sempre ricordare che, nel caso di Marx, la seconda non si sarebbe realizzata senza la prima. L'ironia suprema ha voluto che le fatiche e le sofferenze dello "straniero" giovassero non soltanto ai dannati della terra, come egli aveva desiderato, ma anche a quei freddi e imparziali studiosi del mondo accademico, che egli aveva disprezzato per tutta la vita. Note1 K.Marx, Die Deutsche Ideologie. Kritik der neuesten deutschen Philosophie in ihren Repràsentanten Feuerbach, B. Bauer und Stimer, und des deutschen Socialismus in seinen verschiedenen Propheten, in MEGA, Moskva - Frankfurt, 1932, trad. it. L'ideologia tedesca. Critica della più recente filosofia tedesca nei suoi rappresentanti Feuerbach, B. Bauer e Stimer, e del socialismo tedesco nei suoi vari profeti, in K. Marx-F. Engels, Opere, Roma, Editori Riuniti, 1972, voi. V, p. 27. 2 K. Marx, L'ideologia tedesca, cit., p. 28. 3 K. Marx, Misere de la philosophie. Réponse à la philosophie de la misere de M. Proudhon, Paris-Bruxelles, A. Frank-C. G. Vogler, 1847, trad. it. Miseria della filosofia. Risposta alla "Filosofia della miseria" di Proudhon, in K. Marx-F. Engels, Opere, cit., 1973, voi. VI, p. 173 4 K. Marx, Zur Kritik dei Potitischen Okonomie, Berlin, F. Duncker, 1859, trad. it. Per la critica dell'economia politica, Roma, Editori Riuniti, 19713, p. 4. 5 In questa sezione e in quella seguente mi sono avvalso, in modo consistente, del l'intelligente articolo di Sidney Hook, Materialism, in Encyclopedia of the Social Sciences, New York, MacMillan, 1933. 6 F. Engels, Lettera a W. Borgius, 25 gennaio 1894, in K. Marx-F. Engels, Opere, 1977, cit., voi. L., p. 227. Si tratta qui di una formulazione "matura", mentre le prime affermazioni sono molto più dogmatiche nella loro insistenza sulla priorità dei fattori economici. 7 K. Marx, Miseria della filosofia, cit., p. 192. 8 K. Marx, Per la critica dell'economia politica, cit., p. 5. 9 K. Marx, L'ideologia tedesca, cit., p. 21. 10 K. Marx, Das Kapital. Kritik der politischen Òkonomie, voi. I, Hamburg, O. Meissner, 1867, trad. it. Il Capitale, Critica dell'economia politica, Roma, Editori Riuniti, 19727, libro I, 1, p. 18. 11 K. Marx, Òkonomisch-philosophische Manuscripte aus dem ]ahre 1844, in MEGA, Moskva-Frankfurt, 1932, trad. it. Manoscritti economico-filosofici de! 1844, in K. Marx-F. Engels, Opere, cit., 1976, vol. III, p. 326. 12 K. Marx, L'ideologia tedesca, cit., p. 44. 13 K. Marx-F. Engels, Manifest der Kommunistischen Partei, London, Burghard, 1848, trad. it. Manifesto del partito comunista, in K. Marx-F. Engels, Opere, cit., 1973, vol. VI, pp. 495-496. 14 K. Marx, Lohnarbeit und Kapital, in "Neue Rheinische Zeitung", nn. 264-7 e 269, Koln, 1849; trad. it. Lavoro salariato e capitale, in K. Marx-F. Engels, Opere scelte, a cura di L. Gruppi, Roma, Editori Riuniti, 1966, p. 341. 15 K. Marx, Il capitale, cit., libro I, 3, p. 173. 16 K. Marx-F. Engels, Die heilighe Familie, oder Kritik der kritiscken Kritik. Gegen Bruno Batter und Consorten, Frankfurt, Literarische Anstalt, 1845, trad. it. La sacra famiglia ovvero critica della critica. Contro Bruno Bauer e soci, in K. Marx-F. Engels, Opere, cit., 1972, voi. IV, p. 37. 17 K. Marx, Manifesto del partito comunista, cit., p. 486. 18 K. Marx, Miseria della filosofia, cit., p. 223. 19 K. Marx, L'ideologia tedesca, cit., p. 63. 20 K. Marx, Il capitale, cit., libro III, 3, p. 302. 21 R. Aron, Les étapes de la pensée sociologique, Paris, Gallimard, 1967, trad. it. Le tappe del pensiero sociologico, Milano, Mondadori, 1972, p. 162. 22 K. Marx, L'ideologia tedesca, cit., p. 76. 2' Ibidem, p. 44. 24 Nelle pagine precedenti ho usato alcune idee elaborate per la prima volta in L. A. Coser, Continuities in the Study of Social Conflict, New York, The Free Press, 1967. 25 K. Marx, Zur ]udenfrage, in "Deutsch-Franzòsische Jahrbùcher", n. 1-2, Paris, 1844, trad. it. Sulla questione ebraica, in Marx-Engels, Opere, cit., 1976, voi. III, p. 189. 26 Ibidem, p. 187. 27 Ibidem, p. 165. 28 K. Marx, Manoscritti economico-filosofici del 1844, cit., p. 360. 29 Ibidem, p. 324. 30 Ibidem, p. 298. 31 Ibidem, p. 300. 32 Ibidem. 53 Ibidem, p. 301 34 Ibidem. 35 Ibidem p. 304. 36 K. Marx, Il capitale, cit., libro I, 1, p. 86. 37 K. Marx, L'ideologia tedesca, cit., p. 16. 38 Ibidem, p. 45. 39 Ibidem, p. 427. 40 Ibidem, p. 45. 41 K. Marx - F. Engels, Manifesto del partito comunista, cit., p. 504. 42 K. Marx, Der Achtzehnte Brumaire des Louis Bonaparte, in "Die Revolution", n. 1, New York, 1852, trad. it. 7/ 18 brumaio di Luigi Bonaparte, in K. Marx - F. Engels, Opere, cit., 1982, vol. XI, p. 135. 43 K. Marx, Die moralisierende Kritik und die kritiscbe Mora!, in "Deutsche-Briisseler Zeitung, n. 86-94, Bruxelles, 1847, trad. it. La critica moraleggiante e la morale criticante, in K. Marx - F. Engels, Opere, cit., 1973, voi. VI, p. 349. 44 K. Mannheim, Das Problem einer Soziologie des Wissens, in "Archiv fùr Sozialwissenschaft und Sozialpolitik", LUI, pp. 577-652 (poi in Essays on the Sociology of Knowledge, New York, Oxford University Press, 1952), trad. it. Sociologia della conoscenza, Bari, Dedalo, 1974, p. 163. 45 F. Engels, Lettera a Joseph Bloch, 21 settembre 1890, in K. Marx - F. Engels, Opere scelte, cit., p. 1242. 46 In questa sezione ho utilizzato alcune parti del mio articolo Sociology of Knowledge, in International Encyclopedia of the Social Sciences, New York, Macmillan, 1968; per un confronto tra la sociologia della conoscenza di Marx e quella di altri autori, si veda Robert K. Merton, Social Theory of Social Strutture, New York, The Free Press, 1968, trad.it. Teoria e struttura sociale, Bologna, II Mulino, 19713, voi. IlI, cap. XIV e XV. 47 K. Marx, L'ideologia tedesca, cit., p. 17. 48 Ibidem, p. 28. 49 Ibidem. 50 K.Marx, Per la crìtica dell'economia politica, cit., p. 5. 51 ìbidem, p. 6. 52 Ibidem. 53 " Per l'elaborazione di questa sezione, mi sono basato principalmente sulle biografie di Marx, comunemente utilizzate. Tra esse, l'opera classica di Franz Mehring, Karl Marx, Geichichte seines Lebens, Berlin, Dietz, 1918, trad. it. Vita di Marx, Roma, Editori Riuniti, 1966, anche se superata per taluni aspetti, è tuttora molto utile; quella di E. H. Carr, Karl Marx, A study in Vanatichm, London, Dent, 1934, introduce molti particolari non presi in considerazione da Mehring, contrapponendo all'atteggiamento agiografico di quest'ultimo una posizione fortemente critica; quella di Isaiah Berlin, Karl Marx: His Life and Environment, Oxford University Press, London, 1963, trad. it. Karl Marx, Firenze, La Nuova Italia, 1967, è di gran lunga la migliore introduzione in inglese o in qualsiasi altra lingua. Ad essa ho attinto abbondantemente giacché nulla di quanto da allora è stato pubblicato (e su Marx sono stati scritti, dagli anni quaranta, interi scaffali di libri) l'ha potuto mettere in ombra. 54 Isaiah Berlin, Karl Marx, cit., p. 142. 55 Isaiah Berlin, Karl Marx, cit., p. 11. 56 Cfr. F. E. Manuel, Shapes of Philosopbical History, Stanford, Stanford University Press, 1965, pp. 78 e ss. 57 I. Kant, Idee zu einer allgemeinen Gescbichte in Weltbùrgerlichen Absicht, in "Berli-nische Monatsschrift", 1784, n. XI; trad. it. Idea per una storia universale dal punto di vista cosmopolitico in Scritti politici e di filosofia della storia e del diritto, Torino, Utet, 1972. 58 G. W. Hegel, Vorlesungen ùber die Philosophie des Geschicbte, Berlin, 1837, trad, it. Lezioni sulla filosofia della storia, 4 voli., Firenze, La Nuova Italia, 1963, voi. I, pp. 97-98. 59 C. E. Vaughan, in G. H. Sabine, A History of Politicai Thought, New York, Holt, Rinehart and Winston, 1961, trad. it. Storia delle dottrine politiche, Milano, Comunità, 1962, p. 465. 60 F. Schiller, Briefe ùber die dsthetische Erziehung des Menschen, (1795), trad. it. Lettere sull'educazione estetica dell'uomo, La Nuova Italia, Firenze, 1970, pp. 18-20. Cfr. anche H. Popitz, Der Entfremdete Mensch, Base], Verlag fur Recht und Gesellschaft, 1953; si tratta di una superba introduzione alle idee del giovane Marx, di cui mi sono largamente avvalso. 61 Per quanto segue, sono largamente debitore nei confronti di I. Berlin, Karl Marx, cit., soprattutto per le pp. 41-53. 62 Ibidem, p. 46. 63 Cfr. Sidney Hook, From Hegel to Marx, New York, Reynal and Hitchcock, 1936, trad. it. Da Hegel a Marx. Studi sullo sviluppo intellettuale di Karl Marx, Firenze, Sansoni, 1972. Per la comprensione dei rapporti tra Marx e i giovani hegeliani, quest'opera è tuttora indispensabile. 64 Ibidem, pp. 238 e ss. 65 Ibidem, p. 223. 66 F. E. Manule, The new world of Henri Sain-Simon, Cambridge, University Press, 1956, p. 224. 67 C. H. de Saint-Simon, L'industrie, Paris, 1817, in Oeuvres, 6 voli., Paris, E. 66 F. E. Manuel, The New World of Henri Saint-Simon, Cambridge (Mass.) Harvard University Press, 1956, p. 22 ' 67 C. H. de Saint-Simon, Paris, 1817, in Oeuvres, 6 voll., Paris, E. Dentu, 1868, vol. II, p. 83. 68 Joseph Schumpeter, Capitalismi, Socialism and Democracy, (New York, Harper Row, 1950)' trad. it. Capitalismo, socialismo e democrazia, Comunità, Milano, 1964; Ili-story of Economie Analysis, New York, Oxford University Press, 1954; trad. it. Storia dell'analisi economica, Boringhieri, Torino, 1959; Teti Great Economists: From Marx to Keynes, New York, Oxford University Press, 1951; trad. it. Epoche di storia delle dottrine e dei metodi. Dieci grandi economisti, Utet, Torino, 1953. 69 Cfr. E. J. Hobsbawm, The Age of Revolution, New York, Mentor, 1967, trad. it. Le rivoluzioni borghesi 1789-1848, Milano, Il Saggiatore, 1976, pp. 244-245. 70 Cfr. Hannah Arendt, The Origins of Totalitarianism, New York, Harcourt Brace, Jovanovich, 1963, trad. it. Le origini del totalitarismo, Milano, Comunità, 1967, cap. III. 71 F. Engels, cit. in Edmund Wilson, To the Finlanà Station, New York, Harcourt Brace, Jovanovich, 1940, trad. it. Stazione Finlandia, Milano, Rizzoli, 1974, p. 117. 72 E. Wilson, Stazione Finlandia, cit., p. 155. 73 F. Engels, Lettera a Marx, 12 febbraio 1851, in K. Marx - F. Engels, Opere, cit., vol. XXXVIII. 1972, p. 205. 74 K. Marx, Lettere a Engels, febbraio 1851, in K. Marx - F. Engels, Opere, cit., vol. XXXVIII, 1972, p. 204. [In realtà è Engels a rispondere a Marx e non viceversa (NAT.)]. 75 F. Engels, Lettera a Marx, 13 febbraio 1851 in K. Marx-F. Engels, Opere, voll. XXXVIII, cit., p. 210. [Non si tratta quindi della stessa lettera di Engels ma di una lettera successiva. (N.d.T.)]. 76 Arnold Kuenzli, Karl Marx: Line Psycbographie, Wein, Europa Verlag, 1966, p. 337. 77 E. Wilson, Stazione Finlandia, cit., p. 106 78 Ibidem, p. 218.
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