L'aspetto più importante di questo libro non è la limpida interpretazione che l'autore dà di Marx filosofo, che recupera l'Illuminismo, il Romanticismo e l'Hegelismo, giungendo infine al Materialismo storico e al Comunismo. La linea interpretativa è ancora oggi valida, sotto il profilo storiografico, anche se essa tiene forse poco conto del fatto che Marx non ha inteso fondare una nuova filosofia, ma porre i presupposti per una pratica critica e teorica orientata a cambiare radicalmente l'esistente.
L'aspetto più interessante è nella Premessa, che non riporto, nella quale Cornu, evidentemente alle prese con l'ortodossia del Partito Comunista francese, che in Europa è stato in assoluto, sino alla sua scomparsa, il più fedele all'U.R.S.S., riconosce (in realtà confessa) di aver troppo accentuato l'aspetto filosofico di Marx trascurando quello scientifico, legato a Il Capitale, e sembra quasi chiedere scusa.
La circostanza storica che traspare nella premessa dà l'idea del perché l'impegno intellettuale di recuperare Marx come un panantropologo umanista, il cui pensiero è denso di filosofia, ma al tempo stesso la trascende, alludendo ad una scienza totale dell'uomo e dei fatti umani, è naufragato contro gli scogli di un'ortodossia quasi ridicola nel suo economicismo, che ha finito con l'affossare se stessa e, per ora, l'eredità di Marx.
Come testimonianza di quell'impegno, il saggio merita di essere letto. Troppa filosofia, è vero: ma all'epoca altro non si poteva fare.
Nell'evoluzione generale del pensiero moderno, il marxismo segna il punto d'approdo dei tentativi fatti dopo il Rinascimento e la Riforma per adattare alla profonda trasformazione economica e sociale determinata dalla costituzione e dall'evoluzione del sistema di produzione capitalistico una nuova concezione del mondo, non più di carattere statico ma dinamico.
Nel suo movimento il pensiero moderno segue lo sviluppo della classe che sale, la borghesia, e, al momento del declino di essa, questo pensiero, ripreso della nuova classe in ascesa, il proletariato, traduce col marxismo una concezione del mondo rispondente a un nuovo sistema di organizzazione economica e sociale.
1. Nascita del Razionalismo.
Al regime feudale caratterizzato dalla relativa stabilità del sistema di produzione e di vita, succede, a partire dal sec. XV, sotto l'influenza delle grandi scoperte che allargano all'infinito i limiti del mondo e provocano un rapido accrescimento dei bisogni, una nuova organizzazione economica e sociale, fondata su una più grande libertà di produzione e di circolazione della ricchezza. Questo nuovo regime, spezzando a poco a poco i vecchi quadri economici e sociali, determina un profondo cambiamento nel modo di vita degli uomini e, nello stesso tempo, una progressiva trasformazione della concezione statica del mondo in una concezione dinamica, dominata, come lo era esso stesso, dalle nozioni di libertà, di movimento, di progresso.
La liberazione economica e sociale che a poco a poco si afferma con questo regime, si accompagna innanzitutto con un movimento di liberazione spirituale che si esprime, su due piani differenti, nel Rinascimento e nella Riforma.
Battendo in breccia il principio d'autorità col rifiuto della tradizione e delle regole, il Rinascimento afferma il diritto alla libertà di pensiero e di critica. Questo movimento di liberazione dello spirito, che segna un primo passo nell'adattamento della concezione generale del mondo al nuovo regime economico e sociale, è completato dalla Riforma che, malgrado il suo carattere dogmatico, costituisce ugualmente uno sforzo di liberazione spirituale nell'allora essenziale dominio della coscienza religiosa.
Questo movimento di liberazione spirituale è continuato dopo il Rinascimento e la Riforma dal razionalismo, che, aggiungendo all'idea di libertà la nozione di progresso determinata dallo sviluppo continuo del regime capitalistico, costituisce un secondo passo nell'adattamento della concezione generale del mondo al nuovo modo di vita.
Filosofia della borghesia che si afferma, il razionalismo sostiene e giustifica, in nome della ragione, l'azione rivoluzionaria di questa classe, i suoi disegni economici, politici e sociali.
Rifiutando la nozione di un ordine prestabilito, immutabile ed eterno, il razionalismo critica come irrazionale il presente stato di cose ed afferma la necessità di trasformare il mondo, per dare ad esso un contenuto e un carattere conformi a ragione.
Per l'impotenza della nascente borghesia a realizzare le sue aspirazioni politiche e sociali, e per l'insufficienza dello sviluppo economico e scientifico che ancora non permette di dare una spiegazione del mondo concepito nella sua totalità organica e nel suo divenire, il razionalismo è inizialmente condotto a considerare la libertà da un punto di vista astratto, e a limitare il progresso ad un progresso spirituale, riducendo l'evoluzione del mondo allo sviluppo della ragione.
Trasponendo la concezione cristiana sul piano filosofico, il razionalismo considera come essenziale la realtà spirituale e oppone lo spirito alla materia, l'uomo alla natura. Esso tende con ciò a limitare il progresso all'uomo, separato cosi dal suo ambiente naturale e incarnante lui solo la ragione divina, e a ridurre così l'evoluzione umana ad uno sviluppo intellettuale e ad un perfezionamento morale.
Tuttavia, a misura che il regime capitalistico si sviluppa, togliendo al progresso il carattere di postulato morale per dare ad esso un fondamento e un contenuto economico e sociale, il razionalismo perde il suo carattere spiritualistico e si evolve verso il materialismo, esprimendo con ciò, sul piano ideologico, la parte sempre più grande che la realtà concreta, materiale, ha nell'organizzazione e nello sviluppo della vita umana.
Il passaggio dalla concezione di una liberazione spirituale che si esprime nel Rinascimento e nella Riforma, alla concezione di un progresso razionale realizzantesi nella libertà, quale è quella del razionalismo, non si è svolto in modo parallelo e uniforme nei tre grandi paesi che allora avevano una funzione preponderante in Europa, la Germania, l'Inghilterra e la Francia, e il carattere che il razionalismo assume in ciascuno di questi paesi dipende dal loro diverso grado dì evoluzione economica e sociale. È in Germania che questa evoluzione avviene più lentamente.
Rovinata dalla scoperta dell'America e delle Indie, che da essa distoglie a vantaggio delle limitrofe potenze atlantiche il commercio internazionale cui doveva la sua fortuna, devastata e disgregata dalla guerra dei Trent'Anni e del trattato di Westfalia, la Germania rimane per circa due secoli ai margini del grande sviluppo economico e sociale che trasforma profondamente l'Inghilterra e la Francia.
Chiusi negli angusti limiti di una vita che nessun soffio rinnovatore viene a scuotere, i Tedeschi sono spinti a interiorizzarsi e a trovare nella religione l'alimento essenziale della loro vita spirituale.
La concezione del mondo predominante in questo periodo in Germania, è una concezione semistatica, corrispondente a un periodo di ristagno economico e sociale. Lo provano l'influenza della Riforma, che permane preponderante, ed i lenti progressi del razionalismo, il quale non si manifesta che sotto la forma attenuata dell'Aufklärung, della «filosofia dei lumi», adattamento del pensiero del razionalismo alle concezioni religiose, pallido riflesso del razionalismo inglese e francese che esprimeva un più rapido sviluppo del nuovo regime di produzione.
In Inghilterra, che è il primo paese in cui questo regime prende un grande sviluppo e in cui la borghesia accede perciò molto presto al potere per un compromesso che si stabilisce tra essa, la monarchia e la nobiltà, il razionalismo assume un carattere semiconservatore e tende a giustificare l'organizzazione economica e sociale della borghesia e insieme la realtà immediata e concreta. Anziché opporre lo spirito alla materia, l'uomo alla natura, esso cerca di dimostrare i legami che uniscono l'uomo all'ambiente in cui vive, ed evolvendo cosi, più rapidamente che altrove, dallo spiritualismo al materialismo, assume la forma di empirismo e di sensismo.
Infine in Francia, dove in conseguenza dello sviluppo meno rapido del nuovo sistema di produzione, la borghesia non può come in Inghilterra accedere immediatamente al potere e si subordina alla monarchia che essa sostiene nella lotta contro la nobiltà feudale, il razionalismo, che ne traduce le aspirazioni, lo fa all'inizio non su un piano concreto come in Inghilterra, ma su un piano più teorico ed astratto e prende perciò un carattere spiritualistico. Esprimendo ideologicamente il mutamento che si verifica nell'organizzazione economica e sociale, il razionalismo francese dimostra come il progresso si realizzi nel corso della storia ad opera della ragione. E siccome dà al progresso un carattere essenzialmente spirituale, il compito che assegna all'uomo è quello di elevarsi mediante un più vasto sapere ed una più alta moralità fino al grado di perfezione in cui l'individuo si confonde con l'umanità considerata nella sua generalità, cosa che lo conduce alla astratta nozione di un tipo d'uomo universale incarnantesi con le sue qualità specifiche in ogni individuo.
Tuttavia, sotto l'influenza del rapido sviluppo economico e tecnico che integra sempre più profondamente l'uomo nel mondo, questa concezione fa luogo nel sec. XVIII ad una nuova concezione, che tende a legare più strettamente la vita spirituale alla realtà concreta, l'uomo al suo ambiente naturale e sociale. Il progresso razionale appare determinato non soltanto dallo sviluppo intellettuale e morale, ma altresì dal dominio sempre più grande dell'uomo sulla natura, ciò che implica lo stabilirsi di una correlazione più stretta tra l'evoluzione spirituale e l'evoluzione economica e sociale.
Ispirandosi all'empirismo inglese e alla meccanica cartesiana, il razionalismo francese tende allora a rifiutare lo spiritualismo per assumere un carattere materialistico, che da una parte risponde alla necessità della borghesia impegnata nella conquista del potere politico di ripudiare lo spiritualismo per combattere la Chiesa, sostegno principale della monarchia e della nobiltà, e che esprime, dall'altra, l'importanza sempre maggiore assunta, in conseguenza dell'accresciuto sviluppo della produzione, dalla realtà concreta, materiale nella vita umana. Cosi gli Enciclopedisti, in particolare Diderot, Helvétius e d'Holbach, considerano lo spirito non più sotto l'aspetto dell'anima opposta alla materia, ma nella sua integrazione mediante la percezione e l'azione nell'insieme . del reale, e cercano di dimostrare, sottolineando la funzione dello sviluppo delle scienze e della tecnica nell'evoluzione storica, i rapporti intercorrenti tra i l progressi dell'industria e quelli della ragione.
Malgrado questa tendenza ad unire più strettamente la realtà spirituale alla realtà materiale, questo razionalismo materialistico non concepisce ancora, come farà Karl Marx, il legame organico che integra l'uomo nel suo ambiente; esso resta perciò ugualmente incapace di risolvere il problema essenziale che si poneva al razionalismo, e che consisteva nello stabilire una stretta correlazione tra il progresso razionale e quello reale integrando effettivamente la vita dell'uomo in quella del mondo esterno.
La difficoltà profonda che impediva al razionalismo, tanto a quello materialistico che a quello spiritualistico, di pervenire ad una concezione che considerasse il mondo nella sua totalità organica, dipendeva dalla contraddizione inerente al regime capitalistico , tra un sistema di produzione sempre più collettivo, che associava le attività umane per integrarle nella 'natura e nella società, e un sistema di appropriazione. individualistico, che, al contrario, opponeva l'individuo alla collettività.
Riflesso dell'organizzazione economica e sociale capitalistica fondata sulla proprietà privata, il razionalismo materialistico è portato, come il razionalismo spiritualistico, a considerare l'uomo in quanto individuo. Per quanto si sforzi, come il razionalismo spiritualistico, di dare all'individuale un carattere generalmente umano, esso non può, per la contraddizione inerente al . regime capitalistico, coordinare queste due concezioni sul piano della giustificazione storica. Approda cosi ugualmente ad una concezione atomistica della società, che lo rende impotente a dimostrare il legame che unisce l'attività spirituale alla realtà materiale, l'uomo al suo ambiente, e a spiegare lo sviluppo dell'uomo e del mondo esterno considerati nella loro unità.
Non potendo quindi accedere a una concezione organica del mondo, il razionalismo materialistico, come il razionalismo spiritualistico, non supera il dualismo e lascia sussistere, ma in un ordine inverso, l'opposizione tra lo spirito e la materia, l'uomo e la natura.
In quanto vede non nello spirito ma nella materia la realtà essenziale, non subordina più la natura all'uomo, ma l'uomo alla natura, e mette capo cosi ad una concezione meccanicistica e deterministica del mondo.
Tuttavia, lo sviluppo stesso del nuovo regime di produzione, che comportava una 'integrazione sempre più profonda dell'uomo nel suo ambiente ed una associazione sempre più stretta degli uomini nella loro attività economica e sociale, doveva portare alla trasformazione di questo dualismo che opponeva lo spirito alla materia, l'uomo al mondo esterno, l'individuo alla società, in una concezione organica, integrante l'uomo nel mondo considerato nella sua unità e totalità.
Ma tutti i tentativi fatti fino al socialismo per superare l'individualismo sopprimendo l'opposizione tra l'individuo e la collettività e arrivare a una concezione organica del mondo, falliscono perché sono intrapresi sulla base del regime capitalistico.
Poiché il superamento dell'individualismo, mediante la soppressione della contraddizione inerente al regime capitalistico, si effettua nell'ambito stesso di questo regime che essi non curano di modificare essenzialmente, i filosofi e i riformatori borghesi sono portati a trasporre il problema economico e sociale che questa soppressione fa sorgere su un piano ideologico, e a risolverlo perciò in un modo che non può essere che utopistico.
Nella seconda metà del sec. XVIII si hanno due tentativi di stabilire, mediante una più stretta correlazione tra l'uomo e il suo ambiente naturale e sociale, una concezione del mondo nella sua totalità organica; questi tentativi si debbono a Rousseau e a Kant.
2. Rousseau.
L'opera di Rousseau si ispira alle due tendenze contraddittorie del regime capitalistico: la tendenza all'integrazione dell'uomo nel suo ambiente, determinata dallo sviluppo della produzione, e la tendenza all'individualismo, determinata dalla concorrenza e dal profitto. Nel suo desiderio di superare l'individualismo per giungere a una concezione organica del mondo, Rousseau integra l'individuo in un ambiente immaginario ed idealizzato, la natura prima, poi la società.
Muovendo dalla concezione individualistica ed atomistica dell'uomo, Rousseau fa dell'uomo un individuo considerato in sé, e per una trasposizione ideologica della lotta condotta dalla borghesia contro la società feudale, oppone questo individuo alla società, condannata come artificiale e cattiva.
Alla società, che in realtà costituisce l'ambiente naturale dell'uomo, sostituisce una natura idealizzata, concepita nella forma di una natura primitiva recante in sé tutta la purezza della creazione divina e rispondente in virtù di una armonia prestabilita a tutti i bisogni e a tutti i desideri degli uomini. Nella natura cosi idealizzata l'opposizione tra l'individuo e la società è abolita, e l'uomo, in comunione con l'insieme degli esseri e delle cose, può integrarsi totalmente nel suo ambiente e svilupparsi liberamente.
Questa concezione, per quanto utopistica e falsa, permetteva, tuttavia, col superamento dell'individualismo e del dualismo, d: sopprimere almeno in linea di principio la contraddizione inerente al regime capitalistico. Essa costituiva un primo tentativo di spiegare il mondo nella sua unità vivente e nella sua totalità; e il fatto che essa cercasse di integrare cosi pienamente l'uomo nel suo ambiente è probabilmente la ragione principale della immensa e profonda risonanza che ebbe subito l'opera di Rousseau.
Spingendosi oltre questa prima concezione, ancora un poco semplicistica, dell'unione organica dell'uomo e del suo ambiente, Rousseau giunge nel Contratto sociale a concepire più esattamente l'integrazione dell'uomo nel mondo, associando l'individuo non più alla vita della natura, ma allo sviluppo della società. In questo libro egli si propone di dimostrare che per passare dallo stadio dell'animalità in cui è dominato dall'istinto allo stadio della moralità in cui obbedisce alla ragione, l'uomo deve adattare la sua esistenza individuale alla vita collettiva, che è quella della società, non più concepita ora come uno strumento d'oppressione, ma come un organismo nato dall'accordo spontaneo tra gli uomini eguali e liberi, e perciò tale da costituire il loro ambiente naturale. L'influenza della prima concezione che Rousseau si era fatta dell'integrazione dell'uomo nel suo ambiente si manifestò nelle fantasticherie di un ritorno allo stato di natura (Bernardin de Saint-Pierre); l'influenza del Contratto sociale doveva esprimersi invece nei tentativi di rinnovamento sociale, compiuti in nome dei principi di libertà, eguaglianza, fraternità, dai grandi rivoluzionari del 1789.
Traducendo le aspirazioni della borghesia che si affermava, questi rivoluzionari, in particolare Robespierre e Saint-Just, ponevano l'accento sul principio di libertà, che corrispondeva sul piano economico alla libertà di produzione e di circolazione della ricchezza, e sul piano politico e sociale al diritto per l'individuo di non trovare ostacoli nella ricerca e nei godimento del profitto. Desiderosi come Rousseau di sopprimere l'individualismo egoistico, questi rivoluzionari si sforzavano di subordinare l'individuo allo Stato; ma poiché conservavano e difendevano i principi essenziali della società borghese, la proprietà privata e il profitto, fondamenti reali dell'individualismo, non potevano sopprimere l'individualismo che in maniera utopistica, integrando l'individuo in uno Stato immaginario, ispirato allo Stato antico idealizzato; Stato immaginario che il Direttorio, dopo la loro caduta, doveva sostituire con una forma di Stato più adatta alle necessità e agli interessi del regime capitalistico.
3. Kant.
Questo medesimo tentativo d'integrazione dell'uomo nel suo ambiente naturale e sociale è intrapreso in Germania, parallelamente a Rousseau, prima da Kant, e dopo di lui da Goethe e dalla filosofìa idealistica romantica, che si sforzano di dimostrare in virtù di quali necessità e di quali leggi l'uomo si unisce effettivamente al mondo esterno.
Malgrado il ritardo della Germania nello sviluppo economico e sociale, si verificava nei pensatori tedeschi che partecipavano attivamente al movimento generale delle idee in Europa, una evoluzione parallela a quella che si effettuava in Francia verso una concezione del mondo considerato nella sua unità e totalità. Ma questa concezione, che in Germania non rispondeva alla realtà economica e sociale, assumeva un carattere più astratto in questi filosofi, naturalmente portati a dare una soluzione ideologica ai problemi che in fnghilterra e in Francia si ponevano sul piano concreto.
Il carattere astratto dei loro sistemi di spiegazione del mondo si manifesta in modo particolare in quello fornito da Kant, che è il primo e che, malgrado il suo apparente dualismo, costituisce un grande tentativo di arrivare a una concezione organica e totale del mondo.
Il suo pensiero nasce dalla congiunzione tra una corrente mistica derivata dalla Riforma, il pietismo, che tende a considerare tutta la natura come partecipe dell'unione in Dio e tutta animata dallo spirito divino, ed il movimento razionalistico, che riconduce lo sviluppo della storia a un progresso insieme intellettuale e morale, diretto verso la verità e la libertà. Questo incontro spiega lo sforzo di Kant per unire, come nella stessa epoca faceva Rousseau, la vita dell'uomo alla vita del mondo, assegnando a entrambi come fine la realizzazione della libertà. Ma, in realtà, in conseguenza delle condizioni arretrate della Germania, il suo tentativo si allontana ancor più di quello di Rousseau da una soluzione positiva e concreta.
L'idea di totalità, infatti, non va in lui oltre lo stadio della pura forma, e questo formalismo non gli permette di superare realmente il dualismo né sul piano della conoscenza, né su quello dell'azione.
Considerando come essenziale l'attività spirituale, Kant riduce la realtà concreta — realtà in cui l'uomo, in Germania, non era profondamente integrato a causa del debole sviluppo economico del paese, — alla cosa in sé, inaccessibile nella sua essenza. Alla cosa in sé Kant oppone il mondo fenomenico sottomesso alle forme a priori della conoscenza, e limita cosi l'integrazione dell'uomo nel suo ambiente, la sua unione col mondo esterno, alle forme che lo spirito impone alla realtà oggettiva.
Il carattere formale di questa integrazione si manifesta ugualmente nel dominio della coscienza morale, dell'attività pratica; infatti il comportamento dell'uomo, invece di essere regolato dai dati concreti, reali della vita, è subordinato a un dovere assoluto, a un imperativo categorico, ed è cosi determinato a priori, da una legge puramente formale ed estranea allo spazio e al tempo.
Tuttavia, malgrado questo formalismo che separa la realtà oggettiva dalla conoscenza e che lascia sussistere un dualismo fondamentale tra il mondo della causalità e il mondo della libertà, — essendo per cosi dire l'uno e l'altro congelati nella propria identità e incompenetrabili tra loro, — l'opera di Kant presentava già gli elementi di una concezione monistica e organica del mondo.
L'applicazione delle forme a priori della conoscenza al mondo esterno richiedeva come necessario un adattamento prestabilito del mondo esterno a queste forme, e il primato della coscienza morale, della ragion pratica, implicava la subordinazione del mondo della causalità al mondo della libertà; questo permetteva perciò di dare alla natura e alla società, almeno in una certa misura, l'aspetto di organismi evolventisi verso la libertà.
E Kant, infatti, dimostrava nella sua filosofia della storia come dal gioco delle passioni umane nasca un progresso incessante che avvia gli uomini verso la libertà, e nella sua Critica del Giudizio spiegava come la natura si elevi alla libertà mediante l'arte, che ne è il simbolo.
Rifiutando il razionalismo dualistico e il formalismo kantiano, la filosofia idealistica romantica tedesca giunge a una concezione organica e vitalistica del mondo, associando il principio mistico dell'unione in Dio, esteso a tutta la natura, alla filosofia di Spinoza, che vedeva nello spirito e nel mondo esterno due manifestazioni del divino, differenti nella forma, ma identiche nell'essenza.
I. Goethe.
Ispirandosi allo spinozismo, cui conferisce un carattere dinamico, Goethe, che sta all'origine della filosofia romantica, identifica la rivelazione di Dio nell'azione profonda esercitata sull'uomo dalla natura, nella quale l'uomo deve integrarsi per partecipare alla sita universale che anima il mondo.
Questa integrazione si ^realizza essenzialmente, come egli fa vedere nel Werther, mediante l'intuizione e il sentimento, ma essa si realizza anche, e in maniera più profonda, mediante l'azione, la cui funzione determinante nella vita umana è sottolineata da Faust nel suo celebre commento alla frase iniziale del Vangelo secondo San Giovanni, «In principio era il Verbo», commento in cui il Verbo assume successivamente il significato di spirito, di forza e infine di azione.
Con questa nuova concezione organica e vitalistica del mondo, Goethe apriva la via al romanticismo, che si sarebbe sforzato di realizzare l'unione dinamica dello spirito e della materia, dell'uomo e del mondo esterno mediante una riduzione della realtà essenziale allo spirito; e, al di là del romanticismo, annunciava già Karl Marx, che doveva dimostrare come questa unione si realizzi effettivamente mediante l'azione.
2. La filosofia idealistica romantica.
I filosofi romantici tedeschi Fichte, Schelling e Hegel, ispirandosi al panteismo di Goethe, aggiungono all'idea dell'unione organica dell'uomo e della natura il concetto di sviluppo e di progresso, che il razionalismo tendeva a limitare all'attività spirituale e morale dell'uomo e che essi estendono alla totalità degli esseri e delle cose. Essi giungono cosi a una nuova concezione del mondo, non più considerato come un insieme di cose rette dal di fuori e funzionanti come un meccanismo, ma come la manifestazione di un'unica vita animante tutti gli esseri, come un organismo immenso incessantemente evolventesi per l'azione di forze e di leggi interne.
Poiché la vita non si può concepire che nella sua unità e nel suo svolgimento, una tale concezione organica e vitalistica del mondo conduceva necessariamente questi filosofi a ridurre ad una unità organica l'insieme della realtà spirituale e materiale, e a mostrare come questa realtà, cosi ricondotta ad unità, si. trasformi e si evolva.
Profondamente imbevuti di pensiero cristiano ed eredi della fede razionalistica nel primato e nella onnipotenza dello spirito, questi filosofi, data la debolezza dello sviluppo sociale ed economico della Germania, che non consentiva loro di pervenire alla concezione della integrazione dell'uomo nel mondo mediante il lavoro, erano naturalmente condotti a concepire questa integrazione come operata dallo spirito, la qual cosa li portava, nella loro spiegazione del mondo concepito nella sua totalità organica e nel suo divenire, a subordinare ogni realtà ed ogni attività all'attività spirituale ed a ridurre cosi l'evoluzione del mondo a quella dello spirito.
A tale riguardo essi si ispiravano a Kant che, nel suo tentativo di spiegazione del mondo, aveva dimostrato che lo spirito si integra nel reale imponendogli le sue forme. Superando la concezione di questa unità ancora puramente formale, in quanto lasciava sussistere un dualismo fondamentale tra lo spirito e la materia, tra l'uomo e il mondo esterno, questi filosofi, considerando che la ragione non può penetrare il mondo e determinarne Io sviluppo se lo spirito non costituisce l'essenza stessa del reale, aboliscono la cosa in sé, che conservava alla realtà concreta una esistenza indipendente dal soggetto pensante, e pongono il principio che tutto il mondo ha carattere spirituale.
Riducendo cosi tutto il reale allo spirito, essi affermano, all'opposto di Kant che negava allo spirito la possibilità di creare una realtà concreta e di affermare dalla semplice idea di un essere o di una cosa la sua esistenza oggettiva, che lo spirito non soltanto penetra, il reale, ma che lo crea in ciò che ha di essenziale-
Lo spirito, costituendo cosi non soltanto lo strumento della conoscenza, ma l'elemento creatore e ordinatore del mondo, diviene, con l'inclusione in esser della realtà concreta, soggetto e oggetto insieme; il reale s'identifica perciò col sapere, in cui il soggetto che conosce e l'oggetto conosciuto si confondono, e il suo movimento si spiega con l'autodeterminazione dello spirito, con lo sviluppo logico delle idee.
Nel loro sforzo di mostrare come lo spirito, al quale essi riconducono il reale in tutta la sua vitalità, generi il mondo e ne regoli lo sviluppo, questi filosofi giungono a una prima nozione dell'evoluzione, che costituisce un termine medio tra la concezione statica e la concezione dinamica del mondo.
Non arrivando ancora a scorgere come il mutamento abbia la sua ragione d'essere nelle cose, cercano una giustificazione trascendentale, che attribuisce questo mutamento ad un principio primo superiore e insieme inerente al mondo, nel quale si realizza e di cui costituisce nello stesso tempo la causa e il fine, l'origine e il termine. Trasponendo la concezione cristiana sul piano filosofico, questi filosofi fanno di Dio uno Spirito assoluto, esistente in sé, che crea il mondo con l'esteriorizzazione di ciò che esso contiene in potenza, con l'alienazione della propria sostanza che gli diviene cosi estranea, ma che egli progressivamente riporta in sé penetrando il mondo e spiritualizzandolo.
Siccome al termine del proprio sviluppo questo principio primo ritrova ciò che esso era in potenza, l'evoluzione tende ad assumere, in questi filosofi, un carattere d'involuzione, di ritorno in sé che, in una certa misura, imparenta ancora i loro sistemi all'antica concezione statica del mondo.
All'evoluzione cosi concepita, questi filosofi assegnano come fine la libertà, che appare loro come l'espressione stessa del divino nel mondo.
Questo primato della libertà era implicito nei loro sistemi che, ponendo il principio della determinazione del reale da parte dello spirito, dovevano necessariamente attribuirgli come essenza la libertà, cioè una possibilità infinita di trasformazione razionale del mondo. Il primato della libertà traduceva nello stesso tempo, sul piano ideologico, le aspirazioni politiche e sociali della borghesia.
Infatti, come nella loro concezione del mondo considerato nel suo divenire questi filosofi riflettevano il carattere essenziale del nuovo regime economico ponendo in primo piano i concetti di trasformazione, di svolgimento e di progresso, cosi, ponendo come fine dell'evoluzione storica la realizzazione della libertà, essi esprimevano le tendenze della borghesia che rivendicava questo principio tanto nel campo economico che in quello politico e sociale.
Questo fine da essi in tal modo assegnato allo sviluppo del mondo, era stato ispirato loro dalla Rivoluzione francese, che consideravano, almeno al suo inizio, come il trionfo della verità e della ragione. Sembrava loro, infatti, che la Rivoluzione francese realizzasse- la trasformazione razionale del mondo, mediante un duplice superamento, il superamento della realtà immediata, dell'organizzazione economica e sociale tradizionale per effetto della volontà attiva degli uomini, e il superamento dell'uomo, considerato nella sua individualità egoistica, mediante l'esaltazione dell'ideale nazionale, che lo portava a subordinare l'interesse particolare a quello generale, a staccarsi dallo egoismo per elevarsi ad un modo di vita più alto e più nobile, ed a realizzare cosi la. personalità morale.
Questa integrazione dell'individuo nella nazione e nello Stato permetteva alla filosofia romantica di superare la contraddizione fondamentale del regime capitalistico, ma, data la condizione arretrata della Germania, soltanto in maniera ideologica ed utopistica.
Trasformando in problemi filosofici i concreti problemi economici, politici e sociali posti dall'integrazione dell'uomo nello Stato e nella nazione, essi trasferivano l'azione sul piano del pensiero, convinti che per il fatto della correlazione tra lo svolgimento della realtà materiale e quello della realtà spirituale, si potesse, con la sola forza del pensiero, agire sul mondo e trasformarlo1. Malgrado il loro idealismo trascendentale, che si traduceva nella riduzione della realtà concreta allo spirito, ponendo in primo piano i concetti di libertà e di progresso, questi sistemi esprimevano le tendenze profonde del regime economico e sociale capitalistico, e segnavano un momento essenziale del passaggio da una concezione metafisica a una concezione storica e dialettica del mondo, determinata dallo sviluppo dì questo regime.
Da questa filosofia scaturivano, infatti, quattro nozioni essenziali che caratterizzavano questa nuova concezione.
a) Anzitutto la nozione che la realtà concreta, che il mondo esterno è creazione del soggetto pensante, indissolubilmente ad esso legata. Questo principio, che rifletteva la trasformazione profonda apportata al reale dal nuovo sistema di produzione, implicava, con l'unione e l'interdipendenza che esso stabi: liva tra lo spirito e la materia, tra l'uomo e il suo ambiente, la necessità di non considerare più le idee, i fatti, gli esseri e le cose metafisicamente, in se stessi, ina dialetticamente, nelle loro reciproche relazioni e nel loro divenire.
b) Questo passaggio da una concezione metafisica ad una concezione dialettica del mondo determinava la sostituzione dell'idea di trascendenza, che pone al di fuori del reale un princìpio primo che lo crea e ne regola l'evoluzione, con l'idea d'immanenza, che ripone nella realtà stessa la sua ragione di essere. Il primato dell'idea di immanenza si esprimeva in questi sistemi nell'importanza fondamentale accordata alla storia, che reintegra per cosi dire l'assoluto nelle cose.
e) Questa concezione dialettica e storica del mondo implicava la nozione che, essendo la realtà essenziale la realtà vivente, bisogna per comprenderla considerarla nel suo sviluppo; il mondò deve essere concepito nel suo mutamento, nella sua trasformazione, nel suo divenire.
d) Dà questa nozione derivava, infine, l'idea che l'elemento essenziale del reale non è, come dichiarava la concezione statica e metafisica del mondo, l'identità, che segna l'arresto di ogni mutamento, di ogni sviluppo, e cristallizza cosi la realtà nell'immutabilità e nella morte, ma l'opposizione e la contraddizione, che determinano una trasformazione incessante delle idee, degli esseri e delle cose e che è perciò la sorgente della vita, il principio di ogni divenire e di ogni progresso.
Con questa concezione dell'evoluzione storica e dialettica del mondo, la filosofia romantica aveva il merito di risolvere, sul piano dell'idealismo, il problema sino allora rimasto insoluto dell'unione organica del pensiero e dell'essere, dell'uomo e del mondo esterno, mostrando come, attraverso l'opposizione dei contrari, si effettui lo sviluppo del reale considerato nella sua totalità vivente e nel suo divenire.
Il difetto di questa filosofia — come di tutte le filosofie idealistiche — era di togliere alla realtà concreta la sua propria natura, con la riduzione di tutto il reale allo spirito, e di sostituire, facendo degli esseri e delle cose il prodotto dell'attività spirituale, un mondo immaginario al mondo concreto.
Malgrado il loro comune carattere idealistico, questi sistemi si differenziavano tra loro per una tendenza sempre più dichiarata verso il realismo, tendenza che li conduceva progressivamente a dare al mondo, considerato dapprima come una semplice espressione dello spirito, una realtà sempre più concreta e oggettiva.
Da Fichte a Hegel si passa, infatti, da un idealismo assoluto che nega ogni realtà oggettiva al mondo esterno, a un idealismo più realistico, che si sforza di integrare lo spirito nel mondo, conservando a questo un carattere concreto.
Ciò che ugualmente differenzia tra loro i sistemi di questi filosofi e insieme ne determina la tendenza generale e gli aspetti particolari, è la diversità del fine che essi assegnano all'evoluzione storica.
Infatti, dopo aver salutato nella Rivoluzione francese l'inizio di un'era di verità e di ragione, ben presto le loro opinioni su questo grande movimento politico e sociale divergono, perché di esso conservano soltanto l'idea generale di libertà che interpretano differentemente, secondo gli interessi particolari delle classi di cui traducono le tendenze e le aspirazioni; e questo li conduce a dare alla concezione dello sviluppo organico del mondo, che costituisce il fondamento delle loro dottrine, un significato che può essere non soltanto diverso, ma addirittura opposto.
3. Fichte e Schelling,
Interpretando le aspirazioni rivoluzionarie del suo tempo, Fichte considera nell'evoluzione organica del mando essenzialmente il fine da raggiungere, e pone cosi l'accento non su un passato che più non è, né sull'immutabile presente, ma sull'avvenire, nella cui preparazione è la sola ragione di essere di quelle aspirazioni. Mancando in Germania una vera classe rivoluzionaria, capace di realizzare, come in Francia, la libertà sul piano politico e sociale, Fichte riduce l'azione rivoluzionaria all'attività della Ragione, concepita come volontà morale. Di qui la sua ideologia utopistica, che lo conduce a subordinare totalmente la realtà esterna allo Spirito; opponendo come gli utopisti alla realtà presente l'ideale che essa deve realizzare, all'essere un dover essere, egli annulla il mondo esterno in quanto tale riconducendolo al non-Io, facendo di esso la creazione, l'espressione, lo strumento del soggetto pensante, dell'Io.
A questo proposito Fichte si ispira alla nozione del sapere in cui l'oggetto conosciuto e il soggetto che conosce si confondono. Questa riduzione assoluta del reale concreto al pensiero che si effettua nel sapere, gli permette di fare delle cose la creazione incessante del soggetto pensante, di un Io che si oppone senza posa un non-Io per determinarsi ed elevarsi, attraverso un processo dialettico, ad una autonomia sempre maggiore e a un grado sempre più alto di moralità. Questo sviluppo dialettico determina la trasformazione razionale del reale e, insieme, il superamento dell'Io individuale, che giunge progressivamente a confondersi con la volontà collettiva rappresentata dallo Stato.
Malgrado il suo carattere idealistico, questo sistema, nei suoi aspetti essenziali, era il riflesso della sua epoca, caratterizzata dall'integrazione sempre più profonda dell'uomo nel mondo esterno.
Ne scaturiva infatti la nozione che l'Io spirituale, il soggetto pensante, non esiste in se stesso, come una entità astratta, e non può prendere coscienza di sé e svilupparsi se non attraverso i suoi rapporti co! non-Io, col mondo esterno al quale è indissolubilmente legato; e cosi l'idea che l'azione e la reazione che nascono dai rapporti tra l'Io e il non-Io, tra l'uomo e il mondo esterno, generano lo svolgimento dialettico della storia umana, determinato dalla opposizione dei contrari.
In questo sistema, tuttavia, l'integrazione dell'uomo nel mondo esterno non si realizza che in modo illusorio. Oltre al comune difetto di tutte le dottrine idealistiche, di abolire il reale concreto in quanto tale, il sistema di Fichte ha quello di stabilire, con l'opposizione costante dell'Io al non-Io, una dissociazione, una contraddizione perpetua tra l'attività umana e il mondo esterno, tra il dover essere e l'essere, tra l'ideale e il reale, dissociazione che si apponeva alla integrazione effettiva dell'uomo nel suo ambiente e che tendeva, per ciò stesso, a dare all'azione un carattere teorico e astratto.
Lo sforzo dei filosofi romantici che gli succedono, Schelling e Hegel, consisterà nel dare, pur conservando l'essenziale del suo sistema, maggior realtà al mondo esterno, per integrarvi realmente l'uomo.
In rapporto alla filosofia di Fichte, quella di Schelling segna una prima evoluzione dell'idealismo assoluto, che riduce tutto il reale al soggetto pensante, verso un idealismo più oggettivo. All'opposto di Fichte, Schelling, esprimendo le aspirazioni controrivoluzionarie della classe feudale decadente, dà all'idea dello sviluppo organico del mondo un senso non già rivoluzionario ma reazionario, e posa perciò l'accento non sull'avvenire ma sul passato.
Per giustificare questa concezione reazionaria, Schelling sottolinea la "funzione essenziale dell'origine, della fonte di ogni sviluppo, cosa che gli permette di attribuire una importanza fondamentale al passato e di condannare, in nome di questo, non soltanto ogni movimento rivoluzionario, ma, in generale, ogni idea di progresso.
Ai suoi Occhi, l'elemento essenziale del presente, 'la sua vera ragione di essere è il passato, verso il quale è necessario risalire per giungere veramente alla verità ed alla libertà. Questo passato ideale gli sembrava incarnarsi nel Medioevo, epoca di alta e forte spiritualità, in cui lo Spirito penetrava effettivamente tutti gli elementi della vita e del mondo e in cui l'unione dello Spirito e della materia aveva trovato nelle opere d'arte, in particolare nelle cattedrali, la sua forma compiuta.
Questa concezione generale del mondo determina l'intero suo sistema, caratterizzato, in rapporto a quello di Fichte, dall'importanza sempre maggiore attribuita alla realtà concreta, come pure da una tendenza estetica e contemplativa che riduce la funzione sia dell'azione che della dialettica nel divenire della storia.
Rifiutando l'opposizione tra l'Io e il non-Io, che aveva condotto Fichte ad abolire il reale concreto in quanto tale, Schelling concede alla natura, al mondo esterno, che d'altra parte non apprezza se non nella misura in cui esso è saturo di spiritualità, una realtà al di fuori dell'Io, considerando al pari di Spinoza e di Goethe lo Spirito e la materia come due espressioni, differenti nella forma, ma uguali nell'essenza, del divino.
Ponendo come tutti i romantici il primato dello spirito, egli dimostra, ispirandosi alla Critica del Giudizio di Kant, come la Natura si elevi progressivamente allo Spirito, che dal suo canto la penetra realizzandosi in essa, e come il mondo giunga, nell'opera d'arte, ad uno stato di indifferenziazione totale, in cui lo Spirito è Natura e la Natura Spirito.
Con Hegel, infine, l'evoluzione verso il realismo, o piuttosto verso una concezione organica del mondo che unisca intimamente l'Idea alla realtà concreta, lo Spirito alla materia, si manifesterà più nettamente ancora; la sua dottrina, nella quale la spiegazione dell'evoluzione si estende alla totalità del mondo materiale e spirituale, annuncia e prepara l'opera di Karl Marx, con l'immenso sforzo che essa testimonia di liberarsi dall'idealismo astratto integrando nello Spirito la totalità del reale considerato nel suo divenire.
Come per Fichte e per Schelling, l'essenza della dottrina di Hegel si spiega con le sue tendenze politiche e sociali.
La sua opera esprime le aspirazioni della classe media tedesca, della borghesia allora in formazione e desiderosa di liberarsi dal regime feudale ancora preponderante, ma impotente a rovesciarlo, come aveva fatto la borghesia francese, e obbligata perciò ad adattarsi alle sopravvivenze del passato.
Condannando insieme le tendenze rivoluzionarie di Fichte e le tendenze reazionarie di Schelling, Hegel interpreta la concezione dello sviluppo organico del mondo in senso conservatore.
Egli non si adopera a giustificare l'avvenire come Fichte, né il passato come Schelling, ma il presente, e arrestando lo sviluppo dialettico del mondo al presente, a questo conferisce, come tutti i dottrinari conservatori, un valore assoluto, considerandolo come il risultato necessario e perfetto dell'evoluzione razionale.
Nel suo desiderio di giustificare il presente, Hegel si sforza di dare all'idealismo romantico un carattere piti concreto, dimostrando che lo Spirito non esiste veramente se non nella misura in cui esso si integra effettivamente nella realtà oggettiva.
Trasponendo sul piano ideologico l'azione sempre più profonda che lo sviluppo del sistema di produzione capitalistico permetteva all'uomo di esercitare sul proprio ambiente, Hegel mostra come l'integrazione dello Spirito nel mondo si realizzi attraverso l'azione sempre più intensa che esso esercita sul mondo.
Questa concezione gli è ispirata dalla Rivoluzione francese, che gli offriva un sorprendente esempio del potere dello spirito umano di trasformare il reale per dare ad esso un carattere razionale.
Ma mentre in Francia l'attività razionale era legata alla vita concreta, all'organizzazione economica, politica, sociale, Hegel è condotto, date le condizioni arretrate della Germania, a considerare questa attività essenzialmente sul piano spirituale ed a ridurla, come avevano fatto prima di lui i razionalisti del sec. xvii, a uno sviluppo della conoscenza, a una elaborazione di concetti.
1. Le linee essenziali del sistema hegeliano.
Non arrivando a concepire la realtà come oggetto dell'attività concreta, pratica dell'uomo, ed a comprendere la causa efficiente della trasformazione del mondo, Hegel rimane, nella sua evoluzione verso il realismo, essenzialmente idealista.
Considerando il reale come oggetto dell'attività spirituale, il problema fondamentale che gli si pone è di dimostrare come la realtà concreta si confonda effettivamente con la sua rappresentazione spirituale e come lo sviluppo dello Spirito non solamente traduca, ma determini l'evoluzione del mondo. Per stabilire l'identità della realtà materiale e della realtà spirituale, Hegel si sforza di spogliare il reale concreto della sua propria sostanza per includerlo, almeno per quanto ha di essenziale, nello Spirito e farne cosi l'espressione dell'elemento spirituale, in cui esso trovi la propria ragione di essere e la propria verità.
In Hegel, come in Fichte, la realtà concreta diviene dunque la creazione del soggetto pensante, l'oggettivazione dello Spirito, ma mentre Fichte, nel suo desiderio di trasformare il mondo, ne fa l'opera d'una volontà assoluta che nessuna realtà determinata può soddisfare, Hegel fa procedere lo sviluppo del mondo non dalla volontà, ma da una forma di ragione superiore alla ragione individuale, soggettiva, dalla Ragione oggettiva, che, riunendo in sé lo Spirito e l'Essere, è insieme soggetto e oggetto.
Legando così l'attività dello Spirito allo sviluppodella realtà oggettiva, Hegel cerca di dimostrare come questa unione si realizzi nel corso della storia mediante una integrazione progressiva dello Spirito nel mondo, cosicché nel suo sistema il movimento della Ragione traduce la razionalizzazione progressiva del mondo risultante dal lungo sforzo degli uomini. nel corso della storia.
Nella sua concezione della determinazione del reale da parte dell'attività dello Spirito, Hegel si ispira alla nozione cristiana della creazione, che traspone, come Fichte e Schelling, sul piano filosofico. Egli fa di Dio lo Spirito del mondo, l'Idea assoluta che crea l'insieme del reale con l'esteriorizzazione, con l'alienazione della propria sostanza, e concependo questo atto di creazione, nello stesso modo dei mistici, come un ritorno all'unione originaria precedente la separazione, egli mostra come l'Idea assoluta dopo avere esteriorizzato la propria sostanza nel mondo, la riassuma progressivamente in sé giungendo alla piena coscienza di se stessa.
Poiché si propone essenzialmente di giustificare la realtà presente, Hegel sottolinea non l'opposizione fondamentale tra Dio e il mondo, tra lo Spirito e la realtà concreta, ma la loro unione profonda, simboleggiata ai suoi occhi dalla figura del Cristo. Alla visione pessimistica del mondo, caratterizzata dalla «coscienza infelice» che, isolandosi dalla realtà presente, si riporta verso un passato che più non esiste o verso un futuro illusorio, egli oppone la visione ottimistica di una unione in Dio nella realtà presente.
Questa unione in Dio, che egli traspone sul piano filosofico nella forma dell'unione del razionale e del reale, non ha un carattere immediato e sereno, ma si manifesta attraverso la razionalizzazione progressiva del reale, frutto del faticoso lavoro degli uomini nel corso della storia.
Questa riconciliazione mediante il dolore e lo sforzo, senza i quali non c'è profondità di vita e che la figura di Cristo simboleggia, costituisce l'idea madre del suo sistema ed egli applica questa concezione dell'unione che succede all'opposizione alla intera vita dello Spirito, che non giunge a dare al reale un carattere razionale se non superando le opposizioni senza posa generate dal suo sviluppo '.
L'identità del reale e del razionale esistente in origine' nell'Idea assoluta, è rotta nell'atto dell'esteriorizzazione di questa in una realtà che le appare dapprima estranea, poi è progressivamente ristabilita dall'attività dello Spirito che, eliminando dal reale gli elementi irrazionali, porta il reale a superarsi continuamente e ad assumere forme e contenuto sempre più adeguati alla Ragione.
L'unione progressiva dello Spirito e dell'Essere determinata da questa razionalizzazione del mondo si realizza sotto la forma di idee concrete, di concetti che non sono una semplice rappresentazione che l'uomo si fa degli esseri e delle cose, ma costituiscono la realtà stessa, in ciò che essa ha di essenziale.
Poiché nel concetto, nell'Idea concreta, l'elemento spirituale e l'elemento materiale si confondono, Hegel, assimilando la funzione del concetto a quella di Cristo, fa di esso il legame necessario, l'intermediario, il termine medio tra il pensiero puro e il reale concreto, tra l'uomo e il mondo esterno, la qual cosa gli permette di realizzare la sintesi organica della realtà spirituale e della realtà materiale e di affermare che lo Spirito racchiude realmente l'essenza stessa delle cose e ne regola l'evoluzione.
Essendo cosi il mondo integrato nello Spirito, di cui costituisce la sostanza, l'Idea indissolubilmente legata al reale non ha valore se non in quanto concreta, carica, per cosi dire, della realtà che rappresenta, e il suo movimento non è determinato dalla Coscienza soggettiva, che si oppone al proprio oggetto, ma dallo Spirito oggettivo che è insieme soggetto e oggetto.
Di conseguenza, la. realizzazione dell'Idea non avviene sul piano del pensiero astratto, della logica pura, ma è legata alla evoluzione generale del mondo, al divenire della storia. Di qui il duplice carattere, insieme logico e storico, dello sviluppo dello Spirito in Hegel e l'importanza fondamentale attribuita alla storia, nella quale si realizza l'identità del soggetto e dell'oggetto mediante l'unione del pensiero agente e del fatto attuato. Da questa associazione della logica e della storia deriva il carattere particolare del sistema di Hegel che tende, con l'integrazione dell'Idea nel reale, a eliminare la concezione trascendentale che attribuisce allo Spirito una esistenza particolare, estranea al mondo sensibile.
Dato che lo sviluppo dell'Idea è legato a quello dell'Essere, che trova in essa la sua vera realtà, e che di conseguenza il razionale si confonde necessariamente col reale, Hegel rifiuta tanto il dogmatismo che specula al di fuori dei fatti, e l'astrazione che non tiene conto della realtà concreta, quanto l'empirismo, che a questa realtà concreta resta vincolato e non ne afferra l'essenziale, il suo carattere spirituale '.
Condannando il dogmatismo che, separando il pensiero dal reale, lo rende impotente e sterile, Hegel rifiuta tutte le dottrine utopistiche che pretendono di sottomettere la realtà a un ideale arbitrario, posto in nome di un principio astratto, e sottolineando la vanità di ogni tentativo diretto a ricercare un ideale al di fuori della realtà presente, assegna come compito al filosofo di comprendere il reale in quanto espressione della Ragione3.
Ma se rifiuta il dogmatismo e l'astrazione e se concede all'empirismo il grande merito di impegnarsi nello studio della realtà concreta che sola permette di raggiungere la verità3, Hegel non si appaga tuttavia della conoscenza pura e semplice del mondo e, non riconoscendo un valore al reale se non in quanto espressione e prodotto dello Spirito, ' rimprovera all'empirismo di non sollevarsi al di sopra dei dati immediati della realtà concreta e di perdersi nella massa infinita dei fatti e delle cose, invece di liberarne l'essenza spirituale.
La realtà essenziale, infatti, quella in cui si incarna lo Spirito è, ai suoi occhi, egualmente lontana dal l'astrazione vuota di ogni contenuto reale e dalla realtà immediata, accidentale e contingente. Legata allo sviluppo dell'Idea di cui costituisce la sostanza, essa ha un carattere insieme razionale e necessario. È questa realtà essenziale che solo importa riconoscere, poiché essa sola incarna la Ragione.
Così Hegel, trascurando tra gli elementi del reale quelli che non hanno rapporto con la concatenazione razionale di essi, vale a dire il contingente, l'accidentale, non ritiene dell'insieme dei fatti, degli esseri e delle cose che quelli che esprimono un momento del l'Idea e realizzano l'opera della Ragione ".
La realtà concreta essendo cosi purificata, sublimata fino a non essere che l'espressione dell'Idea, ed essendo perciò soppressa ogni specifica differenza tra il reale e il razionale, Hegel può integrare nello Spirito il reale, in ciò che esso ha di essenziale, riducendolo a un insieme di concetti, e può modellare, per cosi dire, l'evoluzione del mondo nel quadro della logica per dimostrare come i fatti e le cose seguano nel loro sviluppo un andamento razionale e traducano il movimento dello Spirito.
Siccome la realtà concreta, in ciò che ha di essenziale, trova insieme la sua forma e la sua sostanza nello Spirito, le necessità reali si confondono con le necessità razionali; di conseguenza le leggi dello Spirito si applicano al mondo esterno e la logica, cioè il movimento delle idee, diviene la creatrice del reale, il cui sviluppo appare perciò deducibile per la sola opera del pensiero.
Questa concezione dell'Idea che realizza la sua essenza nel mondo, si risolve in un panlogismo che conduce Hegel a spiegare l'evoluzione con lo sviluppo di ciò che l'Idea contiene in potenza e a subordinare il cammino della storia a quello della logica, regolando l'ordine di successione degli avvenimenti nel tempo sul loro ordine di successione logica1.
Questa concezione, che subordina lo sviluppo del mondo al fine che esso deve realizzare, dà un carattere dogmatico e utopistico all'evoluzione, che appare determinata a priori dall'identità fondamentale stabilita tra il suo principio e il suo termine, identità che le conferisce, d'altra parte, un carattere d'involuzione, di ritorno su di sé che rende il progresso in realtà illusorio.
Il movimento dell'Idea, in cui sono inclusi lo Spirito e l'Essere, è determinato dalla Ragione concreta. A differenza della Ragione astratta che, operando per via analitica, si mostra atta a dissociare ma non a costruire, la Ragione concreta, operando per, via sintetica, coglie il reale nella sua totalità, insieme nella sua identità e diversità, nella sua unità e molteplicità, e acuendo le contraddizioni, le opposizioni in esso incluse, provoca uno sviluppo continuo, un progredire costante del mondo.
Da questa Ragione concreta procede una logica nuova e dinamica, la dialettica, diversa dall'antica logica che rispondeva ad una concezione statica del mondo.
Mentre l'antica logica, considerando gli esseri e le cose sotto un aspetto eterno e immutabile, si proponeva essenzialmente di fissarli nella loro identità con l'esclusione dei contrari, la dialettica rifiuta il principio di identità, che con l'isolamento e l'arresto di ogni sviluppo che esso implica non consente di giustificare i legami che uniscono i diversi elementi del reale né la loro trasformazione. Considerando questi elementi nel loro mutamento e nel loro divenire, la dialettica dimostra come essi, anziché semplicemente includersi o escludersi come voleva l'antica logica, si implichino vicendevolmente e come dai loro rapporti reciproci nasca la loro trasformazione.
A differenza dell'antica logica, operante su un piano spaziale di inclusione o di esclusione atto a stabilire l'identità degli esseri e delle cose con l'eliminazione dei contrari, la dialettica si fonda sulla nozione di tempo, che permette di spiegare il mutamento, lo sviluppo, il divenire, e associando la nozione di spazio a quella di tempo, le dà un carattere non più statico, come aveva nell'antica logica, ma dinamico. Già Kant aveva ammesso che il mutamento, inconcepibile nello spazio, era concepibile nel tempo, nel quale uno stesso essere può passare attraverso stati diversi e anche contraddittori.
Questa semplice successione non soddisfa Hegel, perché conserva l'identità, l'immutabilità di un determinato momento, il che è contrario alla stessa nozione di divenire, che implica un mutamento continuo.
Considerando gli esseri e le cose nella loro trasformazione incessante, Hegel pone nell'intimo di ogni realtà spirituale o materiale, idea, fatto, essere o cosa, le opposizioni, le contraddizioni inerenti alla realtà vivente, e dimostra che gli elementi contradditori, lungi dall'escludersi semplicemente come voleva l'antica logica, si condizionano reciprocamente e determinano con la loro trasformazione l'evoluzione del . reale.
Ciascuno degli elementi antitetici, contraddittori che coesistono cosi in tutta la realtà, è reale e razionale, poiché esprime un momento, un aspetto dell'Idea o dell'Essere, ma, ed è questo uno degli aspetti fondamentali della dialettica hegeliana, dal punto di vista del divenire è il termine contraddittorio, l'elemento negativo, quello che costituisce l'elemento essenziale.
Lungi dall'avere un carattere puramente negativo e di risolversi nel nulla, come voleva la logica statica, la negazione, la contraddizione, in quanto negazione di un elemento determinato del reale, assume un carattere ed un contenuto ugualmente determinati, e costituisce col mutamento che essa determina la viva fonte del divenire.
Si produce in tal modo nella dialettica un capovolgimento dei valori rispetto all'antica logica. L' identità che in questa logica era l'elemento positivo, fondamentale, acquista nella dialettica un valore negativo, in quanto segna l'arresto dello sviluppo e per ciò stesso il ristagno e la morte, méntre al contrario, la negazione, la contraddizione a cui la logica statica non attribuiva che un valore negativo, assume un valore essenzialmente positivo, divenendo l'elemento attivo e fecondo senza il quale non si dà sviluppo né vita.
Già in Fichte si rivelava il carattere positivo dell'antitesi, del non-Io, ma nel suo sistema, che faceva della volontà l'anima del reale, essa aveva una funzione piuttosto passiva che attiva, essendo il non-Io soltanto lo strumento che l'Io si crea per determinarsi e svilupparsi. In Hegel la negazione si muta in positività, diviene l'elemento motore, che sotto forma di opposizione, di critica, si afferma contro tutto ciò che pretende di persistere nella propria identità1.
Dal carattere della contraddizione, della negazione, dell'antitesi, concepite come elementi motori del reale, deriva il carattere della sintesi hegeliana.
Rifiutando la soluzione dell'antica logica, la soluzione dell'esclusione dei contrari che costituisce un impoverimento del reale e non consente ad esso di svilupparsi, Hegel mostra come i contrari si uniscano per realizzare una unità superiore.
Questa unione non può risultare da un compromesso, da un accomodamento tra i contrari, compromesso in cui risultano mascherati gli antagonismi necessari e vitali e che smussando le opposizioni e le contraddizioni porta in conclusione ad un ristagno del reale; all'opposto questa unione risulta da una accentuazione dell'antagonismo tra gli elementi contraddittori, fino al momento in cui essi non possono più coesistere. Si produce allora una crisi, nel corso della quale gli elementi contrari, la tesi e l'antitesi, sono soppressi in quanto tali e riassorbiti in una unità superiore, qualitativamente diversa, che costituisce la sintesi.
Lo sviluppo dello Spirito si traduce in questo prò-' cesso dialettico, in cui i contrari si trasformano e si unificano in sintesi nel seno delle quali appaiono nuove contraddizioni che si risolvono a loro volta in nuove sintesi; lo Spirito, nel suo movimento per superare le contraddizioni senza posa rinascenti, progredisce di nozione in nozione, di concetto in concetto, ciascuno dei quali rappresenta un grado della realtà materiale e della realtà spirituale che riunisce in sé '.
Da questa concezione generale muove Hegel nel suo grandioso tentativo di ricostruire e spiegare il reale ridotto ad un insieme di concetti, e di mostrare come nel corso del suo sviluppo esso segua un cammino razionale e traduca il movimento stesso dello Spirito.
2. La Fenomenologìa dello Spirito.
Prima di affrontare lo studio della realtà oggettiva e della società umana, Hegel analizza lo sviluppa delle forme della Cosciènza e del pensiero, sviluppo che determina l'evoluzione del mondo.
Egli si propone innanzi tutto di dimostrare, nella Fenomenologia dello Spirito, come lo Spirito prenda progressivamente coscienza di se stesso realizzando tutta la serie delle proprie forme, dalla Coscienza empirica che corrisponde alla esperienza sensibile, fino allo Spirito assoluto, che è l'espressione della perfetta verità.
Dato che lo Spirito non esiste in se stesso, indipendentemente dal reale concreto che ne costituisce la sostanza, Hegel lo studia nelle sue relazioni col mondo esterno e mostra la trasformazione dei rapporti tra la Coscienza e l'oggetto che si effettua nel corso di questo sviluppo.
Di conseguenza, i problemi fondamentali della filosofia, concernenti la natura del soggetto e dell'oggetto, della Coscienza e del mondo, sono concepiti non come problemi astratti, unicamente filosofici, ma come problemi interessanti l'intera vita umana. Cosi Hegel, abbandonando il punto di vista metafisico, li studia da un punto di vista storico e dialettico, come espressione dei rapporti tra l'uomo e il mondo.
Ma siccome lo sviluppo della storia concreta si riconduce, per l'integrazione del reale nel concetto, all'evoluzione dello Spirito, Hegel fa degli individui e del mondo esterno la Coscienza e l'oggetto della Coscienza, e dei loro rapporti reciproci le differenti attitudini che la Coscienza assume di fronte al proprio oggetto.
All'origine, l'oggetto, il mondo esterno, sembra avere una realtà in sé indipendente dalla Coscienza.
La conoscenza assume allora la forma della certezza sensibile e il soggetto della conoscenza, la Coscienza, non svincolandosi ancora dal reale, si manifesta sotto 4a forma di Coscienza empirica. Ma nel corso della progressiva presa di possesso della realtà concreta da parte della Coscienza, presa di possesso che corrisponde, sul piano storico, all'azione sempre più intensa che l'uomo in virtù della ragione esercita sulla natura, il soggetto pensante si rende conto che il suo oggetto non è indipendente da lui e che il mondo esterno non esiste effettivamente se non per la capacità di comprensione del soggetto, che costituisce la vera realtà.
Per liberarsi dalla presa del mondo esterno e riconoscere in esso la propria realtà, l'uomo deve fare dell'oggetto la sua creazione, una cosa sua propria. È quello che si produce nel corso della storia, l'evoluzione della quale si confonde con lo sviluppo della Coscienza; ai grandi momenti della storia, che segnano la liberazione progressiva dell'uomo, corrispondono i successivi modi di essere della Coscienza che, liberandosi dalla servitù in cui la teneva il mondo, raggiunge la libertà.
In questo processo di liberazione, la Coscienza che sì confondeva dapprima con l'esperienza sensibile, se ne libera con un atto di riflessione su se stessa, che la trasforma da Coscienza empirica in Autocoscienza.
Superando l'esperienza sensibile che, limitandosi alla realtà immediata, considera il mondo come una totalità di oggetti indipendenti dal soggetto pensante, l'Autocoscienza riconosce se stessa nella realtà oggettiva e giunge cosi alla nozione che, al di là delle apparenze, non c'è oggetto indipendente dal soggetto pensante, il quale costituisce effettivamente la vera essenza del mondo sensibile.
Staccandosi dalla realtà immediata e liberandosi dalla esperienza oggettiva, l'Autocoscienza si rende conto che il mondo non è che la realizzazione dello Spirito.
Questa realizzazione si compie mediante il lavoro, ii cui prodotto costituisce non una cosa morta, ma l'espressione stessa, l'esteriorizzazione dell'essenza umana.
Analizzando allora la natura, la funzione e gli effetti del lavoro, Hegel ne espone gli aspetti essenziali, che sono quelli del regime di produzione capitalistico e che cosi possono riassumersi: trasformazione progressiva del mondo mediante l'attività umana, la quale integra sempre più l'uomo nella realtà oggettiva che egli umanizza progressivamente adattandola ai propri bisogni; associazione sempre più stretta tra gli individui in un sistema di produzione che, assumendo un carattere collettivo, fa nascere tra gli uomini un sentiménto di solidarietà; contraddizione tra un sistema
di produzione collettivo e un sistema di appropriazione individuale che, opponendo gli uomini tra loro, ostacola la loro integrazione nella società e lo sviluppo di questo sentimento di solidarietà.
Nella sua analisi del lavoro, Hegel dà del carattere e degli effetti di esso in regime capitalistico una interpretazione ideologica.
Cosi infatti traduce il risultato essenziale dell'attività umana, che permette all'uomo di dominare il mondo per trasformarlo, esprimendolo nella forma del dominio della Coscienza sull'oggetto, in cui essa realizza la propria essenza.
Analogamente esprime in maniera ideologica il carattere collettivo del lavoro che associa gli uomini nel compimento di un'opera comune, dicendo che l'uomo non può realizzare la propria essenza se non attraverso gli altri uomini e che la sua vera esistenza consiste nell'essere per gli altri.
Egli dà ugualmente una interpretazione ideologica della rottura della solidarietà tra gli uomini, rottura provocata, nella società presente, dalla ricerca del profitto che oppone l'interesse particolare all'interesse generale. Sottolineando nella sua analisi dei rapporti 'tra il signore e il servo ' questa opposizione fondamentale e, insieme, la servitù generale prodotta dalla potenza del denaro nel regime capitalistico, Hegel si sforza di superare questa contraddizione, ma in quanto egli difende la società fondata sulla proprietà privata che la genera, non può attuare questo superamento che in modo utopistica.
A questo proposito egli sottolinea che il lavoro, il quale divide gli uomini con le ineguaglianze sociali che crea tra di essi, permette d'altra parte, col superamento dell'individualismo e dell'egoismo, l'integrazione dell'individuo nella collettività.
Ma invece di legare come i socialisti questa integrazione alla trasformazione effettiva del sistema di produzione, ponendosi da un punto di vista ideologico egli riconduce la trasformazione sociale alla trasformazione della Coscienza che, elevandosi alla Autocoscienza, dà all'individuo di sentire che la sua vera essenza è nell'essere per gli altri.
Il mondo del lavoro è diviso in due sfere: quella del servo e quella del signore.
Il servo ha per compito essenziale la produzione di oggetti che appartengono ad altri. Poiché non può staccare la propria esistenza da questi oggetti, egli dipende da colui che li possiede e il suo vero essere è costituito da questa servitù.
Ma d'altra parte, come si rende conto che mediante il proprio lavoro perpetua il mondo, egli si libera da questa serviti! e giunge all'Autocoscienza comprendendo che la sua vera essenza è nell'essere per gli altri. Da questo momento egli si riconosce nelle cose che crea; e i prodotti del suo lavoro, nei quali la sua coscienza si esteriorizza, invece di presentarglisi sotto forma di oggetti estranei che lo asserviscono, gli appaiono come modi di realizzazione del suo essere.
Il signore giunge all'Autocoscienza per un cammino inverso. A differenza del servo egli si sente indipendente dagli oggetti di cui dispone senza doverli creare e alienare la propria essenza in essi. Ma trattando questi oggetti come sua proprietà, li integra in sé, e perciò si rende dipendente dall'essere che li fabbrica per lui, dal suo servo, e giunge cosi, come il servo, alla coscienza che la sua vera essenza è nell'essere per gli altri.
Come il signore e il servo prendono entrambi coscienza del loro vero essere nel prodotto del lavoro, nell'oggetto, la differenza iniziale tra il soggetto e l'oggetto che aveva generato l'opposizione tra il padrone e il servo scompare; ad entrambi, infatti, l'oggetto appare non più come qualcosa di esterno, di estraneo ad essi, ma come l'oggettivazione della loro coscienza, che costituisce la vera sostanza di esso.
Questa identificazione della Coscienza e della sostanza, del soggetto e dell'oggetto, fa evolvere la Coscienza verso un terzo stadio, che succede a quello dell'Autocoscienza e che è lo stadio della Ragione.
Questa prende coscienza di se stessa non attraverso un'opposizione al mondo, ma nel prodotto della propria attività, e riconoscendo che la realtà è identica alla sua propria natura, giunge alla nozione di costituire la vera sostanza, l'essenza stessa del mondo.
La Coscienza, riconoscendo se stessa nella realtà che crea, si confonde allora col sapere, in cui il mondo concreto appare come la realizzazione, l'oggettivazione del soggetto pensante; e l'oggetto stesso non giunge alla vera realtà che assumendo la forma del concetto, divenendo l'espressione dello sviluppo della Coscienza.
Questa identificazione della Coscienza e della realtà oggettiva si realizza nello Spirito, che sa di costituire il principio, l'essenza del reale che esso abbraccia in tutte le sue determinazioni come suoi propri momenti.
Facendo cosi del reale il prodotto della attività della Coscienza, Hegel traduceva di fatto, sul piano ideologico, l'attività che spinge l'uomo a dominare il mondo esterno, ed esprimeva questo dominio sotto la forma della supremazia della Coscienza sull'oggetto. Egli sottolineava nello stesso tempo gli effetti essenziali e contraddittori di questa attività in regime capitalistico. E anzitutto l'integrazione sempre più profonda dell'uomo nel mondo ad opera della produzione, integrazione che esprimeva dicendo che il soggetto pensante, che la Coscienza, concepita come attività creatrice, costituisce la sostanza dell'oggetto. Parallelamente a questa integrazione, mostrava come fossero sempre piti stretti i legami di solidarietà tra gli uomini, legami che li conducevano a subordinare l'interesse particolare all'interesse generale, e questo esprimeva dicendo che il soggetto, che l'Autocoscienza ha la sua vera essenza negli altri; analizzava infine l'opposizione prodotta tra gli uomini dal regime della proprietà privata e dal sistema dell'appropriazione individuale, di cui sottolineava gli effetti nel suo studio dei rapporti tra il signore e il servo.
Denunciando la servitù generata nel sistema capitalistico dalla subordinazione dell'individuo al prodotto della sua attività, all'oggetto del suo lavoro, con l'alienazione della propria essenza in questo oggetto, egli mostrava la necessità di liberarsi da questa servitù attraverso una liberazione dall'azione dell'oggetto sul soggetto.
Ma per la sua posizione conservatrice, che gli faceva ammettere come necessario il regime della proprietà privata e che lo conduceva a riallacciare la nozione della personalità umana a quella della proprietà, non poteva superare questa contraddizione che in modo ideologico ed utopistico. Trasformando il problema economico e sociale posto dal fenomeno di alienazione che il regime della proprietà privata determina e dalla servitù che esso genera, in un problema di rapporti tra la Coscienza e il suo oggetto, egli trasponeva la soluzione di questo problema su un piano ideologico, e riconduceva la liberazione dell'uomo dalla servitù che fa pesare su di lui lo stesso oggetto del suo lavoro all'elevazione della Coscienza su un piano superiore ove essa si riconosce nel suo oggetto; mentre Marx, ponendo il problema dell'alienazione su un piano concreto, sul piano economico e sociale, dava di esso una soluzione concreta con la soppressione della causa effettiva di questa alienazione, con l'abolizione del regime della proprietà privata.
3. La Logica.
Dopo aver mostrato, nella Fenomenologia dello Spirito, l'evoluzione insieme storica e logica delle forme della Coscienza nei suoi rapporti con l'oggetto, e aver ridotto, per l'identità della Coscienza e della sostanza, l'oggetto al concetto, Hegel espone nella Logica l'evoluzione dello Spirito, e ci fa conoscere il mondo delle idee, dei concetti nel loro sviluppo.
Con una evoluzione analoga a quella della Coscienza empirica che, nei suoi rapporti col reale concreto, diviene Autocoscienza, poi Ragione, il Concetto che esiste dapprima in sé, sotto forma di Essere, diviene, sotto la forma di essenza, Soggetto, per un atto di riflessione che lo oppone a ciò che è altro da sé, e infine Idea, prendendo coscienza che in lui soggetto e oggetto si confondono.
Immerso all'inizio nell'incosciente della natura da cui non si distingue, il Concetto si confonde con l'Essere immediato e, come la Coscienza empirica nella Fenomenologia dello Spirito, subisce l'influenza del mondo invece di determinarlo.
In seguito, opponendosi alla realtà immediata con la quale fino allora si era confuso, l'Essere prende a poco a poco coscienza della sua vera natura, della sua essenza, e fa allora delle sue determinazioni i mo-meriti della sua realizzazione.
Trasformandosi cosi in Soggetto, l'Essere, divenuto Essenza, è da allora implicato in una continua evoluzione, nel- corso della quale, per realizzare la sua vera natura, è condotto a negare ogni modo particolare di esistenza, che per il suo carattere determinato e definito costituisce un ostacolo al suo sviluppo. La contraddizione tra le sue particolari condizioni di esistenza e la sua essenza si manifesta sotto la forma del Dovere, che lo spinge a realizzare, mediante il superamento di ogni modo determinato di esistenza, tutte le possibilità che sono in lui.
In questo continuo superamento della realtà immediata per giungere alla realtà essenziale, l'unirà dell'Essere appare non sotto una forma stabile, cristallizzata, immobile, ma nel suo stesso mutamento, sotto l'aspetto di un processo di differenziazione e di unificazione nel corso del quale esso si arricchisce di tutto ciò che integra in sé.
Questo processo, incompatibile con la logica statica che fondandosi sul principio di identità tende a perpetuare la realtà immediata considerata nella sua immutabilità, determina nello stesso tempo che il rifiuto di questa logica, la sua sostituzione con una logica nuova, la dialettica, che, non riconoscendo valore assoluto alla realtà immediata, tende all'opposto a trasformarla per adattarla alla sua essenza.
L'elemento fondamentale della dialettica, che è la legge generale dell'Essere, è la negazione, la contraddizione, che spinge tutto l'Essere a superare il suo modo determinato di esistenza per giungere a un nuovo modo di esistenza in cui si realizzi la sua essenza, non sotto una forma cristallizzata e morta come nella logica statica, ma nel corso di un processo in cui si manifestano tutte le possibilità che sono in esso.
Il principio negativo, che porta cosi l'Essere a negare incessantemente le sue forme apparenti per giungere alla sua essenza e realizzare il suo vero contenuto, non ha come in Fichte il carattere di un dover essere indeterminato. La negazione, infatti, in quanto negazione di un contenuto particolare, ha un carattere positivo, determinato, e la negazione della- negazione, che costituisce il superamento di questo contrario e per cui l'Essere realizza la propria essenza, ha ugualmente un carattere determinato.
L'Essenza non è il termine finale dell'evoluzione del Concetto. La contraddizione che oppone il Concetto al reale, scompare quando esso acquista la coscienza di costituire la sostanza stessa delle cose, liberandosi cosi dalla realtà «cosificate», considerata come estranea al soggetto pensante.
L'Essenza si trasforma allora in Idea, nella quale il Concetto, prendendo coscienza della propria integrale realtà, insieme soggettiva ed oggettiva, si identifica con la totalità del reale. Il passaggio dall'Essenza all'Idea è segnato dal superamento della realtà immediata cosificata, e dalla trasformazione di essa in verità razionale, insieme soggettiva ed oggettiva, realizzata nel Concetto. Esprimendo la sostanza stessa del reale, l'attività del soggètto pensante si confonde allora col movimento dell'Idea, che realizza in sé l'identità del soggetto e dell'oggetto, concependo l'intera realtà come propria sostanza.
Come la Fenomenologia dello Spirito, la Logica si spiega col desiderio di Hegel di superare le contraddizioni inerenti al regime capitalistico che si oppongono all'integrazione totale dell'uomo nel mondo e sono di ostacolo alla prganizzazione razionale del reale da parte dell'uomo. Portato, come tutti i pensatori borghesi, a superare questa contraddizione restando sul piano della contraddizione, in quanto considera la società fondata sulla proprietà privata come il" sistema necessario e razionale di organizzazione economica e sociale, egli ricorre ad una soluzione ideologica e utopistica e cerca di realizzare la Libertà assoluta e la Ragione perfetta non con una trasformazione delle reali condizioni di vita degli uomini, ma con una trasposizione dell'attività umana nel campo del pensiero, nella sfera dell'Idea che, includendo in sé tutta la realtà e non avendo altro oggetto che se stessa, appare interamente libera e può facilmente trionfare delle contraddizioni del reale.
Riducendosi cosi l'attività pratica alla conoscenza, che sola per Hegel conduce alla verità razionale, l'esistenza, considerata essenzialmente sotto il suo aspetto spirituale, si riconduce al sapere e si presenta in una forma purificata da ogni materiale realtà immediata, nella forma sublimata del Concetto.
L'Idea, riunendo in sé il pensiero e l'essere, il soggetto e l'oggetto, diviene allora la sola realtà e, creando se stessa attraverso lo sviluppo della propria sostanza, si trasforma in Dio, in Spirito creatore del mondo.
Facendo allora della Logica una teologia, Hegel si propone di dimostrare come si effettui questo atto di creazione. Dopo aver descritto nella Fenomenologia dello Spirito e nella Logica l'evoluzione in certo senso teorica dello Spirito fino al momento in cui esso diviene Ragione perfetta e Idea assoluta, egli dimostra come l'Idea, dopo essersi realizzata in maniera rudimentale dapprima nella natura, che appare come la sua antitesi, poi in maniera sempre più perfetta nella storia, dove essa si libera a poco a poco dalla realtà oggettiva considerandola come l'espressione della sua propria sostanza, giunge alla sua piena realizzazione nell'arte, nella religione e nella filosofia e tocca infine il suo termine ultimo nella filosofia hegeliana, che abbraccia il mondo come una totalità razionale in cui sì trova realizzata l'identità del soggetto e dell'oggetto, del pensiero e dell'essere.
Nel suo immenso sforzo per fare dell'insieme del mondo la realizzazione progressiva dell'Idea assoluta, Hegel riduce i fatti e le cose a concetti, ciò che gli permette di dimostrare che essi seguono nel loro sviluppo un'andatura razionale e traducono il movimento dello Spirito.
Ma questo metodo non è ugualmente applicabile ad ogni cosa e la sua applicazione si dimostra sempre più difficile man mano che ci si allontana dal dominio del puro pensiero. Se in questo dominio, infatti, è facile stabilire tra i concetti un concatenamento razionale, un ordine dialettico, già è più difficile stabilirlo nella storia, dove la parte del contingente, dell'accidentale è maggiore, e quando infine si entra nel campo della natura questa identificazione del reale e del razionale non può essere compiuta che in modo molto arbitrario.
4. Filosofia della Natura.
Questo spiega la debolezza e la stranezza della Filosofia della Natura di Hegel. Rifiutando il metodo scientifico che, eliminando dal reale l'elemento qualitativo per conservare soltanto quello quantitativo, permette di applicare mediante là determinazione di misure un ragionamento matematico, Hegel, ponendosi su un piano filosofico e logico, cerca di ricondurre la concatenazione naturale dei fenomeni alla evoluzione dialettica dei concetti.
, Poiché tale riduzione si dimostra particolarmente difficile, Hegel spiega l'incapacità della Natura di rea-" lizzare il Concetto col fatto che essa è l'alienazione, l'esteriorizzazione dell'Idea sotto forma di altro da sé, che essa è in qualche modo la negazione dell'Idea, e ciò è manifesto per la gran parte di contingente e di irrazionale che contiene '.
Estranea alla Ragione, la Natura è sottomessa al caso e alla cieca necessità; in essa il mutamento ha un carattere meccanico (il minerale), incosciente (la pianta) o istintivo (l'animale) e non risulta, come nell'attività umana, da un atto di volontà destinato a dare alla realtà un carattere razionale '.
Tuttavia, in quanto ritiene che il reale è, nella sua essenza, razionale, Hegel pensa che la Natura, pure apparentemente estranea allo Spirito, è nelle sue linee essenziali conforme alla Ragione, che la può penetrare, almeno nelle sue grandi linee!.
Cosi, senza pretendere di dedurre l'intera Natura, Hegel si sforza di stabilirvi un ordine e uno sviluppo razionali, per dimostrare deduttivamente tutto ciò che è in essa di essenziale. Muovendo a tale scopo dai dati generali delle scienze empiriche, la cui funzione consiste per lui nell'elaborare i materiali destinati a edificare la scienza speculativa s, egli si sforza di concatenare i fenomeni, — portati a un grado di generalità che permette di ridurli a concetti, — in un processo dialettico e di fare cosi una logica della Natura.
La sostituzione della spiegazione matematica con questo metodo di concatenamento logico, è determinata dal fatto che il mutamento per Hegel non può spiegarsi che col movimento del Concetto, la qual cosa dà alla sua concezione dell'evoluzione un carattere assolutamente differente da quello della concezione moderna-
Questa evoluzione, che traduce il movimento dell'Idea, non si applica affatto alla Natura, al mondo fisico e organico, in cui domina l'elemento irrazionale e che appare in definitiva poco adatto a fermare l'attenzione del filosofo; essa si manifesta soprattutto nei campi in cui lo Spirito esercita più liberamente e pienamente la propria attività, nella storia e nella filosofia.
5. La Filosofia della Storia.
Dopo aver esposto nella Filosofia della Natura come l'Idea si manifesti in maniera ancora rudimentale nel mondo fisico e organico, Hegel mostra nella Filosofia della Storia come essa si realizzi in maniera,sempre più perfetta nel corso dell'evoluzione umana, mediante una unione sempre più stretta del pensiero e del reale.
Muovendo dal postulato che la Ragione governa il mondo e ne regola l'evoluzione, Hegel si sforza di ridurre la storia allo sviluppo progressivo dell'Idea assoluta, estraendo dall'insieme degli avvenimenti storici i momenti essenziali che segnano i gradi successivi che lo Spirito percorre.
Inserendo cosi la storia nel quadro della logica, Hegel dimostra che lo svolgimento di essa non è che il riflesso del movimento dello Spirito, che nella storia realizza ciò che contiene in potenza, la propria essenza, la propria sostanza2.
Questa riduzione dell'evoluzione storica ad uno sviluppo logico dà alla Filosofia della Storia di Hegel un carattere a priori e deduttivo.
Poiché la storia è la rivelazione progressiva dello Spirito, Hegel ritiene della immensa quantità dei fatti, della folla degli individui e della infinita successione degli avvenimenti, che con la loro massa superflua oscurano il cammino della storia, soltanto quelli che esprimono un momento dell'Idea e realizzano l'opera della Ragione.
Questa concezione a priori della storia come espressione dello sviluppo razionale e perciò necessario dello Spirito, lo porta a considerare lo svolgimento reale degli avvenimenti come secondario rispetto alla loro concatenazione razionale, e a subordinare cosi l'ordine della successione nel tempo all'ordine della successione logica, la qual cosa gli permette di procedere con metodo deduttivo per stabilire le linee generali dell'evoluzione storica.
Tuttavia, dato che in Hegel l'Idea è inseparabile dal reale e non ha valore se non nella misura in cui essa lo esprime, la storia non assume un carattere astratto e non si riduce a uno sviluppo puramente spirituale. Hegel si sforza di integrare pienamente l'evoluzione delle grandi idee, nazione, libertà, democrazia, che costituisce per lui l'essenziale della storia, nello svolgimento della realtà storica positiva e concreta.
Cosi la sua concezione a priori e deduttiva della storia, implicante l'eliminazione del contingente, dell'accidentale, sembra invalidata dalle sue numerose dichiarazioni sul valore eminente dei fatti considerati in se stessi e sulla necessità, per lo storico, di procedere con metodo non dogmatico, ma empirico \
Ma queste affermazioni concernenti il valore eminente del reale sono un po' sullo stesso piano di quelle in cui egli sottolinea l'importanza che si deve dare ai dati delle scienze empiriche. Se il carattere razionale dello svolgimento storico deve risultare dall'esame dei fatti ed essere da essi corroborato, i fatti, considerati per se stessi, non dimostrano nulla e non assumono il loro vero significato se non quando sono interpretati e organizzati in un ordine logico dalla filosofia speculativa.
Ciò che caratterizza la sua filosofia della storia, come del resto tutta la sua filosofia, è questa riduzione del movimento storico a uno svolgimento logico.
Sforzandosi di legare lo svolgimento del reale a quello dell'Idea, Hegel s'impegna a procedere con metodo empirico, ma in quanto non utilizza i dati concreti della storia che nella misura in cui essi esprimono il movimento delle idee, è portato a piegare i fatti verso il fine che essi devono realizzare e a trasformarli in concetti, per inserirli in uno sviluppo logico.
Pur senza essere privata di una certa base empirica, la storia in Hegel è cosi essenzialmente ricondotta ad una costruzione ideologica, il cui compito è di dare al sistema economico, politico e sociale del. suo tempo una giustificazione insieme razionale e storica e di determinare regole d'azione conformi agli interessi della classe borghese che egli difende.
La sua concezione di uno svolgimento logico della storia è fondata sulla nozione del progresso, comune a tutta la filosofia razionalistica, nozione che esprimeva, sul piano ideologico, il movimento ascendente della borghesia e che permetteva di giustificare, per il fatto stesso di un movimento della storia, il suo accesso al potere.
Poiché Hegel esprime le aspirazioni di una borghesia non più rivoluzionaria come la borghesia francese del sec. xvin, ma semiconservatrice, l'idea del progresso risulta attenuata in lui dalla tendenza a giustificare la realtà presente nell'intera misura in cui essa risponde agli interessi di questa classe.
Questo desiderio di giustificazione, che lo induce a dare un valore eminente al reale, lo porta a rifiutare il dogmatismo e l'utopismo e, nello stesso tempo, ogni tentativo rivoluzionario, e a proclamare la vanità di ogni impresa diretta a superare la realtà presente. In ciò è da cercare il senso dei due celebri aforismi «La storia del mondo è un giudizio universale» e «L'uccello di Minerva non si leva che al calar della notte», i quali significano da un lato che non si possono giudicare e determinare a priori, con l'aiuto di un principio astratto, i momenti dello svolgi mento storico, che portano in se stessi la loro giustificazione; e significano dall'altro che, essendo la Ragione legata al reale e realizzandosi progressivamente in esso, la filosofia deve limitarsi a registrare la sua opera, e a ricavarne il significato, senza cercare di speculare sull'avvenire.
Da ciò risulta la contraddizione fondamentale che sta al fondo della filosofia della storia, tra l'infinito movimento dialettico dello Spirito, che determina l'evoluzione storica, e l'arresto di quel movimento nel l'epoca presente, arresto che si esprime nell'apologia dello Stato prussiano e della religione cristiana, ai quali Hegel attribuisce un valore assoluto.
Il progresso nella storia è determinato da un principio primo, da un soggetto trascendentale, lo Spirito assoluto, che nel mondo prende progressivamente coscienza della propria essenza, che è la libertà. Questo prendere coscienza si traduce nello sviluppo dell'umanità, la quale si eleva ugualmente a poco a poco alla coscienza della libertà, che realizza nel succedersi dei grandi periodi storici '.
È la libertà che dà alla storia umana il suo carattere particolare. A differenza degli altri esseri, oggetti, piante, animali, che subiscono ciecamente e passivamente l'influenza del loro ambiente, l'uomo, essere pensante, è il soggetto attivo della propria esistenza, che determina liberamente; e questa libera attività caratterizza la storia umana.
Questa idea di libertà si presenta, nella Filosofìa della Storia, sotto la forma di una liberazione dello Spirito, inizialmente immerso nell'incosciente della natura, e insieme, sotto la forma di una liberazione progressiva dell'umanità.
La fusione del movimento storico e di quello dello Spirito, che si realizza nello svolgimento del concetto
di libertà, permette a Hegel di dare alla evoluzione storica un carattere di necessità logica, paragonando i diversi momenti dello sviluppo dell'umanità ai differenti gradi che lo Spirito percorre '.
Questa assimilazione dello svolgimento dello Spirito a quello della storia, è facilitata dalla nozione dei gradi successivi attraverso i quali si realizza l'idea di libertà, nozione che permette di mantenere un certo parallelismo in questo svolgimento.
Questa nozione dell'evoluzione dell'umanità sviluppantesi a gradi, era già stata, prima di Hegel, quella di Kant e di Herder, ma mentre nei loro sistemi ogni grado era considerato in sé, conservando cosi un carattere semistatico, Hegel si dedica allo studio dell'evoluzione storica non soltanto in ciascuno dei suoi gradi, di cui egli ricerca il carattere essenziale, ma nel suo movimento, mostrando ciò che determina il passaggio dialettico da un grado all'altro.
In questa evoluzione, Hegel accorda valore e importanza agli individui solo nella misura in cui essi sono lo strumento di fini più alti e in quanto incarnano un momento dello Spirito assoluto.
La funzione dei grandi uomini, quali Alessandro, Cesare, Napoleone, è di essere gli esecutori, generalmente inconsapevoli, dello Spirito del mondo. Perseguendo i loro particolari interessi, che li portano a capovolgere l'ordine stabilito, essi realizzano sotto l'azione di ciò che Hegel chiama «l'astuzia della storia», la verità della loro epoca, stabilendo un ordine nuovo e determinando insieme lo sviluppo della verità e il progresso della storia.
Questo progresso si esprime essenzialmente attraverso la successione dei grandi popoli storici, ciascuno dei quali, dando una nuova forma alla libertà, rappresenta un grado superiore dello sviluppo dello Spirito del mondo. Il momento in cui un grande popolo assolve la propria missione, segna anche quello della sua decadenza, perché determina la nascita della propria antitesi, cioè di un nuovo grado nello sviluppo dello Spirito del mondo che un altro popolo ha il compito di realizzare.
Questa concezione che riconduce la storia alla successione dei grandi popoli, ciascuno dei quali rappresenta un momento, un grado particolare dello sviluppo dello Spirito, non corrisponde alla realtà. L'attività di un popolo non si limita infatti alla realizzazione di un unico principio e, d'altra parte, non risponde a realtà neppure la ripartizione che fa Hegel dei gradi dell'evoluzione storica tra i popoli, lo sviluppo dei quali generalmente non segue un ordine di successione, ma è parallelo, giungendo a piena maturazione solo per qualcuno di essi.
Esagerando la funzione di questi- popoli giunti alla pienezza del loro sviluppo, Hegel dà alla storia la forma di un dramma immenso, del quale essi occupano successivamente la scena, e che nel suo insieme si riduce a tre grandi atri, ognuno dei quali segna un determinato grado della coscienza della libertà.
Nel mondo orientale, che corrisponde al primo grado della liberazione dello Spirito e dove l'umanità, uscendo dallo stato selvaggio e dalla barbarie, giunge alla ragione, la libertà, sotto forma di volontà razionale, s'incarna nel despota che solo è libero. Nel mondo greco-romano, dove lo Spirito giunge a una maggior coscienza di sé, la libertà s'incarna nell'aristocrazia che sola è libera. Nel mondo germanico, infine, tutto penetrato dal cristianesimo, lo Spirito giunge alla piena coscienza di sé e la libertà si realizza nell'intera umanità.
Lo sviluppo della libertà nella storia si manifesta nella trasformazione delle forme dello Stato, incarnazione dello Spirito del mondo che costituisce il soggetto attivo, l'elemento determinante del divenire storico.
Per Hegel non c'è storia, propriamente parlando, al di fuori dello Stato e tutte le forme sociali anteriori alla costituzione di esso (stato selvaggio, barbarie) appartengono piuttosto alla vita animale, da cui lo Spirito è assente, che a quella umana '.
In realtà, la storia comincia con la creazione dello Stato, che si forma quando gli individui organizzano i loro rapporti in maniera razionale. Questa alta concezione dello Stato era stata ispirata a Hegel dall'esempio della Rivoluzione francese, che gli aveva mostrato l'importante funzione avuta dallo Stato nel destino di una nazione; inoltre essa rispondeva alle sue tendenze conservatrici, che lo portavano a difendere nello Stato lo strumento di dominazione della classe borghese.
L'evoluzione degli Stati è determinata da un conflitto senza posa rinnovantesi tra la Ragione e il carattere irrazionale che assume, in un dato momento, l'organizzazione politica e sociale esistente, conflitto che provoca la distruzione dell'attuale forma di Stato e insieme la sua sostituzione con una forma più alta.
Questa evoluzione trova il suo termine ultimo nello Stato prussiano, Stato razionale, in cui l'accordo tra la volontà degli individui e la volontà generale permette di associare la libertà individuale all'autorità e di fare della subordinazione volontaria alla legge il principio supremo della società.
Questo Stato fondato sul rispetto dell'ordine e della legge, egualmente lontano dal potere arbitrario e dalla demagogia rivoluzionaria, costituiva agli occhi di Hegel la miglior garanzia degli interessi essenziali della borghesia, nei quali identificava gli interessi dell'umanità in generale; e facendo di questo Stato l'incarnazione perfetta dello Spirito del mondo, egli arrestava ad esso e alla sua filosofia il cammino della storia.
6. La Filosofia del Diritto.
Questa concezione dello Stato, considerato come l'incarnazione dello Spirito assoluto, domina la Filosofia del Diritto di Hegel, in cui egli giustifica lo Stato non più dal punto di vista storico, ma da! punto di vista giuridico e morale.
Dopo aver esposto nella Filosofia della Storia la funzione dello Stato nell'evoluzione storica, egli Io analizza nella Filosofia del Diritto nei suoi rapporti con. gli individui e la società.
Il diritto è per Hegel, come la storia, l'espressione della volontà razionale, che si realizza progressivamente sotto la forma della libertà. Il suo sviluppo ha perciò, come quello della storia, un carattere insieme storico e logico; la realtà giuridica è da Hegel inserita in un quadro logico, e questo gli permette di giustificare da un punto di vista storico e razionale la concezione a priori che egli si fa del diritto.
Come l'insieme della sua filosofia, la sua concezione del diritto è ispirata dalle sue tendenze semi-conservatrici, che erano quelle della borghesia tedesca. Troppo debole per realizzare, come la borghesia francese, le sue aspirazioni mediante una rivoluzione politica e sociale, la borghesia tedesca era costretta ad adattarsi al regime feudale ancora predominante e dal quale tuttavia essa desiderava liberarsi.
È questa concezione semiconservatrice che determina il pensiero di Hegel nella Filosofia del Diritto e che lo allontana insieme dalla concezione razionalistica rivoluzionaria e dalla concezione romantica reazionaria.
Egli rifiuta infatti la concezione razionalistica che, considerando il diritto in maniera assoluta, al di fuori della storia, lo fa derivare da principi eterni, universalmente validi, applicabili uniformemente a qualsiasi società ed ai quali essa pretende di sottomettere l'evoluzione storica.
Al razionalismo Hegel rimprovera egualmente di muovere da una concezione atomistica della società, di considerare nell'uomo l'individuo e non l'elemento sociale e di subordinare perciò il diritto alla soddisfazione dei desideri e dei bisogni degli individui, senza tener conto delle necessità superiori della società e dello Stato.
Questa critica del razionalismo, espressione del liberalismo rivoluzionario, va di pari passo in lui con la critica del romanticismo reazionario. Se ammette, infatti, coi romantici, che è necessario riallacciare il diritto alla realtà sociale e allo svolgimento storico, e che l'individuo deve integrarsi nella collettività e subordinarsi ad essa, rifiuta però di ricondurre il diritto al costume e di conferirgli cosi un carattere non già razionale, ma empirico, e di ridurre la subordinazione dell'individuo alla collettività a una sottomissione passiva alle forze e alle istituzioni del passato, legittimate dai romantici in nome del diritto tradizionale, del diritto positivo.
Combattendo cosi insieme il diritto rivoluzionario e il diritto tradizionale, Hegel, interprete delle aspirazioni della classe media tedesca, adotta in teoria i nuovi principi giuridici proclamati dalla Rivoluzione francese, ma, inclinando sempre più verso le tendenze controrivoluzionarie della Santa Alleanza che prendeva al congresso di Karlsbad (1816) una serie di misure contro il movimento liberale, condanna il liberalismo e proclama la necessità di subordinare la volontà degli individui alla autorità assoluta dello Stato.
Questa integrazione si compie in Hegel in uno Stato ideale che, a differenza dello Stato reale, riflesso e strumento della società, della società costituisce l'antitesi e rappresenta di contro ad essa l'interesse generale, la vita collettiva. Nella sua Filosofia del Diritto, lo Stato segna il termine ultimo del diritto, la cui evoluzione, come quella della storia, esprime la razionalizzazione progressiva del reale mediante la realizzazione della libertà, principio fondamentale dell'organizzazione economica, politica e sociale della società capitalistica nella sua fase ascendente.
La libertà non è concepita da Hegel nel suo aspetto soggettivo, come espressione della volontà individuale, ma consiste nella subordinazione liberamente consentita dell'individuo ai principi generali della moralità oggettiva, che trova la sua espressione perfetta nello Stato.
II principio della libertà, elemento essenziale del diritto, è associato da Hegel al principio della proprietà privata, che egli giustifica dal punto di vista giuridico e morale e di cui fa la condizione necessaria della libertà.
La volontà razionale, fonte della libertà, tende necessariamente, dice Hegel, ad impadronirsi del proprio oggetto. Questa facoltà di appropriazione, espressione oggettiva della libertà, è cosi legata alla proprietà, che implicando l'esclusione degli altri nell'appropriazione dell'oggetto, riveste il carattere di proprietà privata.
La volontà razionale fondata sulla libertà di appropriazione, elemento essenziale del regime capitalistico, si manifesta anzitutto sotto la forma della individualità, della personalità, che si esprime esteriormente nel diritto che essa acquista sulle cose, nella proprietà attestata dai contratti e sanzionata dalle leggi.
La personalità ha un carattere egoistico e la sua attività è essenzialmente determinata dall'interesse particolare.
Tuttavia, i contratti, creando obbligazioni tra gli uomini attraverso il riconoscimento della proprietà altrui, danno vita, col superamento dell'interesse particolare, ad una nuova forma di moralità, non più soggettiva ma oggettiva, e con essa determinano un nuovo grado del diritto.
Questa moralità oggettiva si realizza nella famiglia, nella società, nello Stato.
Lo sviluppo della moralità oggettiva non risulta dall'evoluzione naturale dell'umanità, ma è determinata, come lo svolgimento della natura e della storia, dall'evoluzione dello Spirito. Dopo essersi abbassato, nella famiglia e nella società, a modi di essere ancora imperfetti e limitanti la sua essenza, lo Spirito, liberandosi da queste forme, trova la sua espressione perfetta nello Stato, in cui assume piena coscienza di se stesso '.
Anziché considerare la famiglia e la società come gli elementi costitutivi dello Stato, che non può esistere senza di essi e al di fuori di essi, Hegel fa dello Stato, che rappresenta ai suoi occhi la realizzazione perfetta, il termine ultimo della moralità oggettiva, l'elemento determinante a priori l'evoluzione del diritto.
L'evoluzione del diritto non si riduce tuttavia in lui ad una successione di concetti astratti, e come nella Filosofia della Storia egli riallaccia lo svolgimento del concetto di libertà alla successione dei grandi periodi storici, cosi, nella Filosofia del Diritto, congiunge l'eyoluzione della moralità oggettiva a quella dell'economia politica.
Ma come già le scienze empiriche nella Filosofia della Natura, e la storia narrativa nella Filosofia della Storia, l'economia politica serve soltanto a fornirgli gli elementi per una costruzione speculativa, che ha il compito di giustificare in nome della morale e del diritto Io stato politico e sociale che gli appare desiderabile.
In questa costruzione speculativa, la famiglia, la società, lo Stato sono i tre stadi successivi attraverso i quali l'individuo si eleva dalla moralità soggettiva alla moralità oggettiva, nella quale i fini che l'individuo deve realizzare si confondono coi bisogni e le aspirazioni della collettività.
Il primo grado di questa moralità oggettiva è rappresentato dalla famiglia, in cui l'individuo impara a subordinare il suo interesse particolare a un interesse superiore di carattere collettivo, all'interesse generale. L'associazione delle famiglie costituisce la società, che Hegel concepisce non come un aggregato d'individui, ma come un organismo nel quale essi si integrano. Nella sua concezione della società, egli si ispira non alla società indifferenziata retta dal diritto naturale, quale la si concepiva nel sec. xvin, ma alla società capitalistica, i cui caratteri essenziali apparivano già nettamente delineati al principio del sec. xix e che egli qualifica, dal nome della classe dominante, come società borghese.
Fondata sulla concorrenza e sulla ricerca del profitto, la società borghese gli appare come il teatro del conflitto inconciliabile degli interessi privati. Per il predominio degli interessi particolari, lo sviluppo della proprietà, fondamento della libertà e della personalità, è falsato e si oppone a un vero ordine sociale. La ricerca del profitto, infatti, trae con sé la subordinazione del diritto delle persone al diritto delle cose, fatto che conduce l'uomo a comportarsi come un oggetto, ad alienarsi vendendo il proprio lavoro e i propri servigi, e aumenta l'ineguaglianza tra gli uomini determinando insieme un eccesso di ricchezza e un eccesso di povertà.
Tuttavia, malgrado le sue tare, Hegel non condanna la società borghese fondata sulla proprietà privata, perché l'abolizione della proprietà sopprimerebbe per lui la libera individualità e con essa la personalità umana.
D'altra parte, pur con le sue mancanze, la società borghese segna il passaggio verso un grado più elevato della moralità oggettiva, portando l'individuo a realizzare sia pure parzialmente e in modo ancora imperfetto la sua vera essenza, integrandosi nella collettività.
Per quanto preoccupati di soddisfare egoisticamente i loro bisogni e i loro desideri mediante la ricerca del profitto personale, i membri della società borghese sono condotti infatti ad associarsi in un lavoro collettivo o ad integrarsi in un ambito sociale. Superando per ciò stesso l'individualismo e l'esclusiva ricerca dell'interesse particolare, essi acquistano il senso dell'interesse generale.
Nella società, teatro della lotta degli interessi particolari, si forma già in tal modo una unione dell'individuo e della collettività, che prepara la subordinazione dell'interesse particolare all'interesse generale.
La preponderanza dell'interesse generale non può tuttavia affermarsi nell'ambito della società, perché questo è contrario alla stessa essenza di essa; deve perciò essere imposta contro la volontà degli individui, da un organismo superiore alla società, lo Stato.
Nello Stato, termine ultimo della moralità oggettiva, l'integrazione dell'individuo nella collettività, mediante la subordinazione dell'interesse particolare all'interesse generale, trova la sua perfetta realizzazione.
La funzione essenziale dello Stato è di neutralizzare gli effetti nefasti dei conflitti tra gli interessi particolari, che farebbero naufragare la società nell'anarchia se un ordine superiore non fosse da esso realizzato.
Garante dell'interesse generale, lo Stato non può essere creato dagli individui, portati come sono alla soddisfazione di interessi particolari.
Esso risulta da una volontà superiore a quella degli individui, da una volontà razionale che si impone ad essi.
Di conseguenza, i rapporti tra gli individui e lo Stato differiscono necessariamente dai rapporti degli individui tra di essi nell'ambito, della società, rapporti retti da contratti che suppongono l'eguaglianza delle parti contraenti.
Nelle relazioni tra gli individui e lo Stato, il contratto è soppresso e sostituito dalla nozione di dovere e di subordinazione, che dà allo Stato sovrano un carattere autoritario.
In questa concezione dello Stato, rappresentante la volontà generale che regola e organizza in modo razionale gli interessi particolari, Hegel si opponeva a Rousseau, che giustamente aveva visto essere la libertà l'essenza dello Stato, ma concepiva questa libertà, questa volontà razionale, come la somma delle libertà individuali unite da un contratto; e insieme si opponeva a Haller, che considerava si lo Stato come espressione di una volontà superiore a quella degl'individui, ma riduceva questa volontà al potere arbitrario e assoluto del monarca.
Questa concezione dello Stato incarnante la volontà razionale, la cui autorità sovrana ma non arbitraria si esprime nella legge, gli era ispirata da Napoleone, che gli sembrava avesse realizzato, nel forte Stato da lui creato, una perfetta sintesi dell'interesse particolare e dell'interesse generale, lottando contro gli eccessi della libertà individuale, che abbandonata a se stessa aveva messo capo alla guerra civile e al Terrore, e insieme contro un feudalesimo superato, che invece si opponeva a qualsiasi libertà.
È nello Stato, in cui la volontà individuale è subordinata alla volontà generale, che lo Spirito trova la sua perfetta realizzazione e che la moralità oggettiva giunge al suo ultimo termine.
Nella sua missione di realizzare quell'autentico ordine sociale che la società è incapace di creare, lo Stato deve rispettare i diritti dell'individuo libero, e questo realmente si verifica, perché l'individuo trova nello Stato la sua vera essenza, l'essere collettivo, e perché in esso si effettua in tal modo l'unione profonda, l'identità della volontà particolare e della volontà generale.
Questa armonia delle volontà individuali e della volontà collettiva, degli interessi particolari e dell'interesse generale, si realizza nella legge, espressione della volontà razionale e perciò tale che gli individui le sono liberamente consenzienti.
Nella istituzione di quest'ordine razionale, che risulta dall'accordo tra le volontà individuali e gli interessi particolari e dalla loro subordinazione alla volontà collettiva e all'interesse generale, lo Stato si vale della giustizia e della polizia, che tengono a freno le volontà individuali con la repressione dei delitti e dei crimini e vegliano alla rigorosa applicazione della legge, e si vale della corporazione, da esso regolata e diretta. Questa, imponendo obblighi ai suoi membri, conduce gli individui, nell'ambito stesso della loro attività sociale, a subordinare i loro interessi particolari a quelli della collettività e a dare in tal modo ad essi un carattere generale che permette di includerli nello Stato.
L'autorità dello Stato s'incarna nel monarca, il cui potere è insieme garantito e limitato dalla Costituzione e dalle Camere che, riunendo i rappresentanti delle classi possidenti, costituiscono il legame organico tra il principe e il popolo.
Questo Stato ideale, che in realtà corrispondeva alla società de! suo tempo, Hegel lo vedeva realizzato nello Stato prussiano che, nella divisione del potere tra il re e le classi possidenti, gli sembrava offrire le migliori garanzie sia contro il dispotismo che contro la democrazia.
Attribuendo a questo Stato ideale, che ai suoi occhi soddisfaceva tutte le esigenze della giustizia e della ragione, un carattere definitivo ed un valore assoluto, Hegel arrestava ad esso il cammino della storia e l'evoluzione dello Spirito.
Questo valore assoluto attribuito allo Stato, permetteva a Hegel di giustificare dal punto di vista della morale e della ragione le istituzioni politiche e sociali conformi agli interessi della borghesia del suo tempo, e insieme di risolvere, in modo ideologico, il problema del superamento dell'individuo con la sua integrazione nella collettività.
7. La Filosofia dello Spirito.
La concezione dell'Idea assoluta che realizza la sua essenza nel mondo, domina, infine, la Filosofia dello Spirito, che costituisce il coronamento dell'opera di Hegel.
Questa realizzazione si compie in forma triadica con l'arte, che è l'espressione sensibile dello Spirito assoluto, con la religione, che ne è la rappresentazione simbolica, e con la filosofia, in cui esso giunge alla piena coscienza di sé.
Eliminando della religione l'aspetto mistico e irrazionale, Hegel ne riconduce il contenuto dogmatico a simboli che esprimono in forma di rappresentazioni, di immagini, i concetti fondamentali della filosofia.
Nel succedersi delle religioni, Hegel attribuisce una parte di primo piano al cristianesimo, nel quale vede l'espressione simbolica della propria filosofia. La Trinità diviene cosi per lui il simbolo del movimento triadico con cui si realizza l'unità dei contrari; il Cristo, per la sua duplice natura divina e umana e per la riconciliazione che si attua in lui dell'uomo con Dio, è l'immagine dell'unione dell'universale e del particolare, la sintesi del pensiero e dell'essere realizzata nell'Idea concreta; il dogma della caduta e della Redenzione, infine, diviene il simbolo dello Spirito che aliena dapprima la propria essenza e che poi supera il dualismo e la contraddizione per giungere alla piena coscienza di se stesso e quindi alla verità oggettiva ed eterna.
Come aveva fatto per lo Stato prussiano, Hegel attribuiva alla religione cristiana un valore assoluto e arrestava ad essa lo sviluppo dello Spirito sul piano ' religioso.
Lo Spirito, infine, trovava la sua realizzazione suprema, non più sotto forma di simboli, ma sotto forma di idee, nella filosofia; i grandi sistemi filosofici esprimevano per Hegel l'evoluzione stessa del divino nel mondo, e l'ultimo di essi, il suo, costituiva la rivelazione definitiva e perfetta dello Spirito assoluto.
La dottrina di Hegel segnava il termine ultimo della filosofia idealistica romantica, la quale costituiva, dopo il razionalismo, una trasposizione progressiva sul piano ideologico dello sviluppo economico e sociale capitalistico, che, con l'accrescimento della produzione, trasformava il mondo su scala sempre più vasta e integrava l'uomo in modo sempre più profondo nel suo ambiente naturale e sociale.
Ponendo in primo piano le nozioni di movimento, di trasformazione, di progresso, che caratterizzavano, il nuovo regime di produzione, questa filosofia passava da una concezione semistatica a una concezione dinamica del mondo e si sforzava di ridurre il dualismo che opponeva lo Spirito alla materia, l'uomo alla realtà esterna, a un monismo vitalistico ed organico, riconducendo lo sviluppo della realtà concreta, della natura e della società, a quello dello Spirito, concepito come principio creatore e regolatore degli esseri e delle cose.
1. L e contraddizioni hegeliane.
Malgrado la sua tendenza al realismo, la dottrina di Hegel aveva il difetto di togliere alla realtà concreta la stia propria natura, di svuotarla della sua sostanza, riducendola allo Spirito e dando cosi all'integrazione dell'uomo nel mondo un carattere spirituale.
Questo difetto dipendeva essenzialmente dalla contraddizione inerente al regime capitalistico che, ostacolando l'integrazione effettiva dell'uomo nel suo ambiente naturale e sociale, conduceva Hegel, come tutti i filosofi borghesi, a superare questa contraddizione in modo ideologico, trasponendo questa integrazione su un piano illusorio. Lo sforzo di Hegel per dare a differenza degli altri filosofi romantici un carattere concreto a questa integrazione, si spiega da un lato per le sue tendenze conservatrici, che lo portavano a giustificare la realtà presente con l'attribuirle un carattere razionale, e dall'altro per lo sviluppo crescente della produzione, che dava al mondo esterno, alla realtà concreta, un valore e una importanza sempre più grandi nella vita umana.
Questa tendenza contraddittoria spiega i caratteri generali della dottrina hegeliana, e in primo luogo il carattere di transizione e di compromesso che essa condivide con la sua epoca, contraddistinta dal passaggio da un'organizzazione ancora semifeudale al regime economico e sociale capitalistico.
Dal punto di vista filosofico, questa dottrina costituiva un compromesso tra l'idealismo trascendentale che pone al di fuori delle cose il loro principio e il loro fine ultimo, e il realismo che, ispirandosi a una concezione immanentistica, reintegra nelle cose il loro principio e il loro fine e ne riconduce lo sviluppo alla loro propria natura.
Riflettendo nel suo sistema l'influenza sempre più considerevole che lo sviluppo industriale esercitava sulla vita economica e sociale, Hegel non si accontentava più di una concezione puramente idealistica del mondo e, nel suo sforzo di abbracciare il reale nella sua totalità, integrava lo Spirito nella realtà concreta. Ma eliminando da questa il particolare, il contingente, per identificarla con lo Spirito, la privava di fatto della sua sostanza e la riduceva a non essere che l'espressione dell'Idea. Con l'integrazione del reale nello Spirito, dava al suo sistema un carattere storico, ma la storia, ricondotta allo sviluppo dei concetti, si confondeva con la logica.
Tuttavia, nonostante il suo idealismo, ricollegando l'Idea al reale questa dottrina segnava il passaggio al realismo e al materialismo, e vi si delineava, per il posto preponderante accordato alla storia, la tendenza ad abbandonare il punto di vista metafisico e trascendentale per considerare le cose sotto il loro aspetto immanente e concreto. Già in Hegel lo sviluppo dell'Idea non esprimeva in sostanza che quello del reale al quale essa è indissolubilmente legata, e sarebbe bastato, come farà K. Marx, far derivare con un capovolgimento del sistema l'evoluzione delle idee da quella della realtà concreta, per giungere ad una concezione materialistica del mondo.
Questa dottrina costituiva d'altra parte un compromesso tra la concezione statica e la concezione dinamica del mondo. Essa segnava la conclusione della filosofia romantica che, ponendo in primo piano le nozioni di vita e di trasformazione, non ammetteva più che il movimento derivasse da un principio esterno, diverso dalle cose, senza tuttavia arrivare a concludere ancora, per l'insufficienza della spiegazione causale, che questo principio si confonde interamente con esse.
Proponendosi di spiegare il mutamento continuo, l'evoluzione incessante degli esseri e delle cose, questa dottrina era tutta permeata di dinamismo, ma di un dinamismo ancora determinato da un principio superiore, dall'Idea assoluta, esistente in sé dall'eternità. Elemento stabile nell'eterno divenire di cui insieme costituisce la causa è il termine, l'Idea assoluta, contenendo in potenza tutta la realtà che essa esteriorizza nel mondo, per riassumerla in sé nel corso della storia, si trova ad essere al termine della sua evoluzione ciò che era all'origine. Di conseguenza, lo sviluppo dialettico non era che apparente e l'evoluzione, risultando illusoria, rivestiva le forme e il carattere di una involuzione, di un ritorno su di sé, che imparentava la dottrina di Hegel all'antica concezione statica del mondo.
Nel campo politico, infine, questo compromesso tra una concezione statica e una concezione dinamica del mondo si traduceva nel tentativo di conciliare un sistema conservatore che, considerando lo Stato prussiano e la religione cristiana come le forme definitive e perfette dell'Idea assoluta, arrestava ad esse lo sviluppo dello Spirito, col movimento dialettico della storia, implicante un mutamento continuo, cui non si può assegnare come limite e come fine una forma politica, sociale o religiosa determinata.
Nonostante gli sforzi di Hegel per stabilire un compromesso durevole tra l'idealismo e il realismo, tra un sistema statico e conservatore e il metodo dialettico rivoluzionario, questo compromesso non poteva essere che precario e momentaneo.
In verità, fino alla sua morte avvenuta nel 1831, la sua dottrina appariva cosi solida agli occhi di quasi tutti i suoi contemporanei, che sembrava loro dovesse sfidare il tempo. Ogni cosa aveva in essa un tale carattere di razionalità e di verità, che essi arrivavano a domandarsi cosa si sarebbe potuto aggiungere a quest'opera che aveva apparentemente dato una soluzione definitiva ai problemi che si pongono allo spirito umano.
E, in realtà, la maggior parte dei suoi discepoli si accontentava di commentare e di sviluppare in uno spirito di stretta ortodossia le diverse parti di questa vasta Enciclopedia, in cui Hegel aveva, per cosi dire, stabilito la somma delle conoscenze del suo tempo.
Tuttavia, la rivoluzione del 1830 che distruggeva il sistema della Santa Alleanza e della Restaurazione, e il risveglio economico della Germania, favorito dalla formazione dell'unione doganale (lo Zollverein) del 1834, dovevano far scoppiare le contraddizioni inerenti alla dottrina di Hegel e provocare la progressiva demolizione del monumentale edificio della sua filosofia.
L'importanza sempre più grande che, per il rapido sviluppo dell'industria, la trasformazione del mondo esterno acquistava nella vita umana, permetteva sempre meno di ricondurre l'insieme della realtà concreta all'Idea e di integrare in questa tutto il mondo sensibile. Sotto l'effetto di questa rivoluzione economica, si doveva produrre, come nel sec. XVIII in Francia, un rapido passaggio da una concezione spiritualistica a una concezione materialistica del mondo.
Questa evoluzione verso il materialismo si accompagnò, come in Francia nel sec. XVIII e per le stesse ragioni, con un movimento liberale favorito dall'ascesa della borghesia, movimento che tendeva a far rifiutare completamente il sistema politico conservatore di Hegel, già battuto in breccia dalla rivoluzione del 1830.
2. Il radicalismo liberale.
Nel seno stesso della scuola hegeliana, si produsse una scissione tra una destra conservatrice, composta di discepoli ortodossi del maestro, e una sinistra liberale, la sinistra hegeliana, che si sforzò di adattare la dottrina di Hegel alle nuove condizioni economiche, politiche e sociali.
Esprimendo anzitutto le aspirazioni politiche e sociali della borghesia rafforzata dal rapido sviluppo del commercio e dell'industria, la sinistra hegeliana, che riuniva in sé i discepoli liberali del maestro, i Giovani Hegeliani, operò una dissociazione e una trasformazione della filosofia hegeliana per adattarla al liberalismo.
Rifiutando gli elementi statici e conservatori del sistema per non conservarne che l'elemento dialettico rivoluzionario, la sinistra hegeliana ne ricavò una dottrina di azione; ma, priva com'era di un qualsiasi appoggio effettivo da parte della borghesia tedesca, di tendenze semiconservatrici, essa limitò questa azione, come già prima aveva fatto la filosofia romantica, essenzialmente al dominio spirituale, conferendole un carattere ideologico.
A differenza della borghesia francese del sec. XVIII che, passando dallo stadio della produzione artigiana a quello della manifattura, non vedeva levarsi di fronte a sé, per la debole concentrazione della produzione, un proletariato organizzato e forte e che perciò, dovendo lottare su un solo fronte, poteva dirigere tutta la sua azione rivoluzionaria contro le forze conservatrici, la monarchia, la nobiltà e la Chiesa, la borghesia tedesca, passando quasi senza transizione dallo stadio della produzione artigiana a quello della fabbrica e creando nell'atto stesso di svilupparsi la propria classe antagonista, il proletariato, era condotta ad adottare, come la borghesia francese del 1830, una politica del «giusto mezzo», di carattere semiconservatore e incline a un accordo con la monarchia nella lotta contro il comune nemico, il proletariato.
Di conseguenza, a differenza del movimento francese dell'Enciclopedia del sec. XVIII, il movimento della sinistra hegeliana, privo del sostegno di una borghesia rivoluzionaria, si arena assai presto come movimento politico liberale, e la sua azione, restata senza un oggetto reale, si trasforma rapidamente in una critica astratta della realtà, in un puro gioco dello spirito.
Di fronte alla sconfitta del liberalismo rivoluzionario, una parte della sinistra hegeliana, allontanandosi dalla borghesia conservatrice, esprime allora le aspirazioni della nuova classe che sale, il proletariato.
Condotta cosi a dare alla sua azione un carattere non già teorico ed astratto, ma concreto e pratico, essa opera dapprima, con Feuerbach, un capovolgimento completo della dottrina di Hegel, capovolgimento che porta a un materialismo meccanicistico analogo a quello francese del sec. XVII, nel quale l'uomo subordinato alla natura subisce l'influenza del suo ambiente senza trasformarlo; poi, con K. Marx, essa dà a questo materialismo un carattere dinamico, mostrando come l'uomo trasformi il mondo con una azione incessante, che lo integra sempre più profondamente nel suo ambiente naturale e sociale.
Collegando cosi l'azione, non più come gli idealisti ad uno sviluppo spirituale, ma all'attività concreta, pratica degli uomini, alla loro attività economica e sociale, K. Marx giunge a una concezione storica e dialettica del materialismo e, attraverso questa, a una nuova concezione del comunismo, che esprime le aspirazioni di un proletariato più sviluppato e già pervenuto alla sua piena coscienza di classe.
Soltanto per gradi, nel corso di una lotta religiosa, poi politica e sociale, la sinistra hegeliana opera questa trasformazione della dottrina di Hegel, per adattarla prima al liberalismo, poi al comunismo.
La separazione tra la destra e la sinistra hegeliana si stabilisce quando quest'ultima, ispirandosi agli Enciclopedisti francesi del sec. XVIII che, con le loro critiche della religione e della monarchia assoluta, avevano sostenuto la borghesia nella sua lotta per l'accesso al potere, afferma la necessità di un progresso illimitato della ragione e della libertà e indirizza la sua critica sui due elementi fondamentali del sistema conservatore di Hegel: la religione cristiana e lo Stato prussiano.
Poiché era meno pericoloso criticare i dogmi che le istituzioni dello Stato, la sinistra hegeliana, con una evoluzione analoga a quella degli Enciclopedisti francesi, dirige i suoi primi attacchi contro la religione, prima di impegnare apertamente la lotta sul terreno politico e sociale.
D. F. Strauss. — Questa polemica, che sotto apparenze religiose e filosofiche aveva un carattere ed uno scopo essenzialmente politici, si apre col libro di D. F. Strauss, La vita di Gesù, apparso nel 1836.
La disputa doveva decidere se, come affermava Hegel, la filosofia e la religione avessero la medesima essenza, o se fossero, al contrario, di natura differente ed incompatibili tra di loro.
Nella Filosofia della Religione, Hegel, identificando il contenuto della religione con quello della filosofia, aveva sostenuto che solo una differenza di forma le separava, rivelando la religione per mezzo di simboli il contenuto razionale della filosofia.
Levandosi contro questa identificazione e questa riduzione della religione alla filosofia, D. F. Strauss sosteneva nel suo libro che non si potevano trasformare i dogmi in concetti filosofici senza alterare il contenuto della fede.
Al contrario di Hegel, il quale sosteneva che nello studio della religione cristiana si possono trascurare la realtà storica ed i racconti biblici ed evangelici per attenersi soltanto al loro contenuto simbolico, D. F. Strauss riteneva che questi racconti costituiscano l'essenziale della religione cristiana e vedeva nei Vangeli, non simboli filosofici, ma miti che hanno la loro origine nelle profezie messianiche e che traducono le aspirazioni profonde del popolo ebraico.
Riprendendo la nozione di un dio impersonale, la cui esistenza si confonde con la storia stessa dell'umanità, nozione implicitamente contenuta nella filosofia hegeliana e in particolare nella sua concezione dello Spirito assoluto e nella sua cristologia, Strauss, negando la realtà storica di Gesù, sosteneva che il Cristo, a cui egli non attribuiva che un valore simbolico, costituisce non la totalità, ma soltanto un momento essenziale della rivelazione divina, e che solo l'umanità intera dà, nel corso del suo sviluppo, un'immagine completa di Dio.
Con questo libro, D. F. Strauss inferiva un grave colpo alla filosofia hegeliana.
Infrangendo l'armonia istituita da Hegel tra la religione e la filosofia e stabilendo la diversità della loro essenza, Strauss distruggeva nello stesso tempo l'identità posta da Hegel tra l'evoluzione storica e lo sviluppo razionale e dimostrava che a fianco della verità razionale e logica esiste una realtà storica che non concorda necessariamente con la prima e che ad essa non è riducibile.
Con la negazione di qualsiasi principio primo esterno all'uomo, egli toglieva d'altra parte alla filosofia hegeliana il suo carattere ancora metafisico e trascendentale, e ne rifiutava l'aspetto conservatore negando alla religione cristiana un valore assoluto.
Minando cosi alla base l'edificio laboriosamente costruito da Hegel, D. F. Strauss apriva la via all'attacco generale che la sinistra hegeliana avrebbe lanciato contro tutto il sistema.
Il problema fondamentale che le si poneva consisteva nell'eliminare la contraddizione tra il metodo dialettico, che giustificava una azione rivoluzionaria, e il sistema conservatore di Hegel, estendendo all'avvenire il movimento dell'Idea determinante quello del reale, che Hegel aveva limitato al passato e arrestato al presente.
Resi arditi dalla critica di Strauss, i Giovani Hegeliani estesero progressivamente questa critica dal campo religioso a quello politico e sociale, per stabilire, in nome della ragione, una armonia effettiva tra il reale e il razionale.
Permeati della dottrina hegeliana, non dubitavano della onnipotenza dello Spirito a guidare il corso del mondo e pensavano che bastasse rilevare e denunziare gli elementi irrazionali inclusi nella realtà concreta, nella organizzazione economica, politica e sociale, per eliminarli e dare cosi allo sviluppo del reale un carattere razionale.
Opponendo la dialettica, che implicava una trasformazione incessante del mondo, al sistema conservatore hegeliano che ne segnava l'arresto, essi trasformavano la dottrina hegeliana in una filosofia dell'azione, rispondente alle aspirazioni della borghesia tedesca e inizialmente limitata, per il fatto stesso della debolezza di questa borghesia, al dominio spirituale, trasformando cosi con un curioso rovesciamento la filosofia hegeliana, che era servita a giustificare la politica conservatrice della Restaurazione, in una dottrina rivoluzionaria.
Nei suoi Prolegomeni ad una Filosofia della Storia (1838), il von Cieszkowski, esponendo la necessità di valersi della filosofia per trasformare il mondo, sosteneva, contro Hegel che aveva limitato l'applicazione della dialettica alla spiegazione del presente ed aveva interdetto ai filosofi di speculare sull'avvenire, che la filosofia doveva servire non tanto a dedurre il presente dal passato, quanto a concludere dal presente all'avvenire e a determinare cosi il corso razionale del mondo. L'evoluzione storica, asseriva il Cieszkowski, che fino allora non si era prodotta in modo cosciente, doveva diventare l'opera dell'attività razionale.
Non si deve, perciò, limitare al passato l'applicazione delle leggi dello sviluppo storico che Hegel ha avuto il merito di scoprire, né arrestare al presente l'evoluzione della storia, ma è necessario fondarsi su queste leggi per dedurre dalla conoscenza del passato e del presente le linee generali dell'evoluzione futura ed orientare cosi l'attività umana.
Alla filosofia hegeliana che, arrestandosi al presente, non esercita alcuna influenza sul destino degli uomini, si deve sostituire una nuova filosofia, una filosofia dell'azione che permetterà all'uomo di determinare l'avvenire, guidando in modo razionale il corso della storia.
Questa dottrina dell'azione, che modificava profondamente la filosofia hegeliana nel senso di quella di Fichte, subordinando l'evoluzione del reale alla volontà razionale e facendo della determinazione dell'avvenire l'oggetto essenziale della filosofia, troverà il suo principale teorico in Bruno Bauer, amico di K. Marx.
B. Bauer. — Teologo come D. F. Strauss, B. Bauer era stato in origine un hegeliano ortodosso, prima di intraprendere una critica dei Vangeli da un punto di vista opposto a quello di D. F. Strauss. (Critica del Vangelo secondo San Giovanni, 1840. Critica dei Sinottici: San Marco, San Matteo, San Luca, 1841). L'essenziale della religione cristiana non stava per lui nel contenuto sostanziale, dogmatico e filosofico, ma nel fatto che essa costituiva un nuovo momento nello sviluppo della Coscienza universale.
Escludendo nella sua spiegazione dei Vangeli il dogma della rivelazione, come pure l'interpretazione filosofica di Hegel e l'ipotesi di Strauss di una tradizione messianica che li avrebbe preformati, B. Bauer si propose di dimostrare che la comunità cristiana, lungi dall'aver incarnato nel Cristo il dogmatismo messianico, aveva espresso in lui i propri pensieri e le proprie aspirazioni.
Studiando i Vangeli nei loro rapporti con la filosofia ad essi contemporanea, dimostrava che, come le dottrine filosofiche di quel tempo — l'epicureismo, lo stoicismo, lo scetticismo, — essi erano il prodotto della «coscienza infelice», dello spirito oppresso che nella miseria spirituale e morale nata dalla decadenza del mondo antico, si era ripiegato su se stesso per salvaguardare la propria libertà.
Considerando i Vangeli come un momento particolare dello sviluppo della Coscienza universale, B. Bauer attribuiva ad essi, come a tutte le creazioni di questa Coscienza, soltanto un'importanza e una funzione storiche limitate, e negava cosi alla religione cristiana il valore assoluto ed eterno cui essa pretende e che Hegel le aveva riconosciuto.
Da questa critica dei Vangeli, B. Bauer traeva una dottrina dell'azione, la filosofia critica, che sarebbe servita come arma di combattimento ai Giovani Hegeliani \
Nell'evoluzione generale del mondo, asseriva Bauer, ciò che importa è la Coscienza, cioè lo Spirito giunto all'Autocoscienza, e non la sostanza, cioè la forma che la Coscienza assume nel corso del suo sviluppo e che, come il non-Io di Fichte, è soltanto lo strumento di cui lo Spirito si serve per manifestarsi ed elevarsi.
Nel suo infinito svilupparsi, la Coscienza universale progredisce, come l'Io in Fichte, distruggendo senza posa la realtà che essa stessa crea.
Infatti, non appena la Coscienza si realizza in una sostanza e assume in essa una forma definita, determinata, questa forma costituisce per lei un limite, un impedimento da cui deve liberarsi per poter progredire.
Ciascune delle forme filosofiche, religiose, politiche o sociali che la Coscienza universale riveste nel corso della sua evoluzione storica, non è quindi giustificata che per un momento determinato. Perpetuandosi, una forma particolare non può divenire che irrazionale e costituire un arresto dello sviluppo della Coscienza, e deve perciò essere sostituita da una nuova e più elevata forma di essa.
Qui si inserisce l'opera della Critica, strumento essenziale del progresso, che, con la sua analisi dei dogmi e delle istituzioni, elimina dal reale gli elementi irrazionali e determina così lo sviluppo incessante della Coscienza universale.
L'azione di questa Critica, secondo B. Bauer, doveva tendere essenzialmente a liberare lo Spirito dalla religione cristiana, che dopo aver trasformato il mondo antico dando un valore preminente alla personalità umana, era divenuta, con la sua fedeltà ai dogmi, cioè ad una forma definita, ad una sostanza determinata dello Spirito, un ostacolo allo sviluppo della Coscienza.
La filosofia critica, ancor più profondamente di quanto l'avesse fatto il von Cieszkowski, modificava la dottrina di Hegel per farne uno strumento della lotta condotta dal liberalismo contro le istituzioni conservatrici.
Da un lato, infatti, ponendo il principio dello sviluppo dialettico infinito della Coscienza universale e negando a qualsiasi sostanza, a qualsiasi forma definita del reale il diritto di incarnare questa Coscienza in modo assoluto, questa filosofia demoliva definitivamente il sistema conservatore di Hegel; dall'altro, opponendo senza posa la Coscienza alla sostanza, rompeva l'unione indissolubile stabilita da Hegel tra l'Idea e la realtà concreta, riducendo quest'ultima, come in Fichte, ad essere soltanto l'espressione passeggera e incessantemente mutevole dello Spirito, e faceva rinascere l'antagonismo fichtiano tra l'essere e il dover essere che Hegel aveva cosi aspramente combattuto.
Con questa riduzione dell'Idea, separata dunque da ogni realtà, alla Coscienza, e con l'opposizione stabilita tra la Coscienza e la sostanza, questa filosofia segnava un ritorno all'idealismo e al soggettivismo. Trasposto infatti nel dominio dello Spirito invece di essere integrato, come in Hegel, nel reale, il movimento dialettico non derivava più dalla natura stessa delle cose, dall'Essere considerato come Spirito, ma dal soggetto pensante, dall'Io; l'antitesi che aveva in Hegel un valore positivo, in quanto esprimeva un aspetto del reale, tendeva ad assumere di conseguenza un carattere di pura negazione e a trasformare la dialettica, dissociata dal reale, in un puro gioco dello Spirito.
Questa dottrina, che in tal modo affermava il potere che ha lo Spirito di modificare a sua volontà il reale e che riduceva l'attività politica a una semplice critica delle istituzioni e dei dogmi, fu senz'altro adottata dai Giovani Hegeliani che, altrettanto impotenti quanto avidi d'azione, erano naturalmente portati a esagerare l'influenza delle idee sulle cose e a credere che con la sola forza del pensiero si potesse determinare una trasformazione radicale del mondo.
Questa filosofia critica doveva essere messa immediatamente alla prova nel corso della lotta sostenuta dalla sinistra hegeliana contro Federico Guglielmo IV, pietista e reazionario, che, condannando l'hegelismo favorito da suo padre, combatteva il liberalismo sotto tutte le sue forme. Inebriandosi nel gioco distruttore della filosofia critica, i Giovani Hegeliani, dopo aver dichiarato guerra al cristianesimo, entrarono in guerra contro l'assolutismo, ma privi, per le tendenze semiconservatrici della borghesia tedesca, dell'appoggio di una classe rivoluzionaria, il loro movimento falli ben presto, e la sconfitta determinò tra di essi una scissione.
Gli uni, con B. Bauer, si ripiegarono su se stessi e si volsero, secondo una tendenza naturale propria a tutti gli elementi isolati dalla loro classe, verso l'individualismo e l'egocentrismo.
Spingendo all'eccesso la filosofia critica, essi si divertivano a sopprimere, in teoria, l'attuale stato di cose e facevano della Critica un gioco vano e sterile che riusciva non alla trasformazione, ma alla distruzione di ogni realtà.
Isolati dalla borghesia e dal popolo, impotenti a legare, perciò, l'Idea, la teoria all'azione politica e sociale e a dare una soluzione concreta a quello che era per loro il problema essenziale, il problema della libertà, dalla loro impotenza essi concludevano a una irriducibile opposizione tra la massa e lo Spirito. Giudicando il popolo, che si era mostrato indifferente alla filosofia critica, incapace di giungere alla libertà e di promuoverla, essi tendevano a separare lo svolgersi della Coscienza universale da quello dell'umanità e a confondere la Coscienza universale con la Coscienza individuale riconducendola all'Io.
Ricavando tutte le conseguenze di questa tendenza all'individualismo e all'egocentrismo, un membro del gruppo, Stirner, rifiutando tutti i limiti imposti dalla religione, dalla società o dallo Stato all'autonomia dell'individuo, non riconosceva che una sola realtà, l'Io, che un solo principio, il culto dell'Io, e facendo dell'egoismo assoluto il solo motore dell'attività umana, approdava al nichilismo e all'anarchismo.
3. Il radicalismo sociale.
Mentre una parte della sinistra hegeliana, con B. Bauer e Stirner, evolveva così verso l'individualismo e l'anarchismo nichilista, una altra parte con L. Feuerbach, M. Hess, K. Marx e F. Engels, seguendo una via diametralmente opposta, si sarebbe sforzata invece di unire più strettamente il pensiero al reale, la teoria all'azione.
Allontanandosi dalla borghesia conservatrice per avvicinarsi alla classe rivoluzionaria in ascesa, il proletariato, essi dovevano, e innanzitutto attraverso una nuova critica della filosofia hegeliana, passare dal liberalismo al comunismo.
Erano guidati in questa evoluzione da L. Feuerbach, che da una critica parallela della religione cristiana e della filosofia idealistica, ricavava allora una dottrina sociale.
L. Feuerbach. — Nel 1838, in una critica della filosofia hegeliana, Feuerbach, rovesciando il rapporto stabilito da Hegel tra il Concetto e l'Essere, poneva il principio che l'Idea, lungi dal determinare la realtà, ne è generata. Nella sua opera capitale, l'Essenza del Cristianesimo (1840), applicava questo principio a una analisi della religione cristiana, concepita non dal punto di vista dogmatico, filosofico o storico, ma dal punto di vista antropologico.
Feuerbach in essa dimostrava che la religione è un prodotto dell'uomo, in particolare dell'uomo primitivo che, nella sua angoscia davanti ai pericoli che lo minacciano costantemente, fa appello a una forza soprannaturale, a un essere superiore al quale attribuisce il potere di intervenire in suo favore in maniera miracolosa.
Questo essere superiore, che è Dio, l'uomo lo crea a sua immagine, esteriorizzando e alienando in esso le qualità più alte della specie umana. Si verifica cosi nella religione un rovesciamento, una inversione dei veri rapporti tra il soggetto e l'oggetto, tra l'uomo e Dio. Il vero soggetto, l'uomo, diviene l'attributo dell'essere da lui creato, cioè di Dio, mentre Dio, che è l'attributo dell'uomo che lo crea, diviene l'elemento creatore, il soggetto.
Con questa critica radicale della religione, Feuerbach trasformava completamente il significato e la natura dell'alienazione religiosa. L'alienazione, infatti, non appariva più, come nella religione o come pure in Hegel e B. Bauer, un atto creatore con cui Dio, divenuto Idea assoluta o Coscienza universale, crea il mondo esteriorizzando la propria sostanza che riprende progressivamente in sé, ma un atto che spoglia l'uomo della sua essenza, della sua vera natura e che lo rende estraneo a se stesso.
Da questa analisi della religione, Feuerbach ricavava una critica generale della filosofia idealistica e, in particolare, della filosofia hegeliana, alla quale rimproverava di fare dell'uomo e della natura la creazione dello Spirito, con una analoga inversione del soggetto e dell'attributo.
Nelle sue Tesi provvisorie sulla Riforma della Filosofia (1843), dimostrava che la filosofia hegeliana trasponeva, come la teologia, l'essenza dell'uomo e della natura nell'Idea, promossa, come Dio, al rango di soggetto creatore del mondo. Ma riducendo in tal modo tutta la realtà all'Idea, Hegel non giungeva a stabilire la vera sintesi del pensiero e dell'essere, quale egli pretendeva realizzare nell'Idea concreta. Questa sintesi infatti si rivelava illusoria, perché lo sviluppo del reale restava interno allo Spirito, che, nella sua attività creatrice, non poteva realizzare che astrazioni. Estendendo questa critica a B. Bauer, Feuerbach dimostrava che questi, dissociando l'Idea da ogni sostanza per ridurla alla Coscienza, non aveva fatto altro che accentuare e aggravare l'idealismo hegeliano.
Per realizzare l'unione effettiva del pensiero e dell'essere, dello Spirito e della materia, dell'uomo e della natura, bisogna, diceva Feuerbach, muovere non dall'Idea, ma dalla realtà concreta e sensibile, dalla natura e dall'uomo, integrare lo Spirito nella materia e non la materia nello Spirito e fare dell'uomo col suo pensiero, ma anche con la sua sensibilità e i suoi bisogni, l'espressione organica di questa sintesi.
All'idealismo oggettivo di Hegel e all'idealismo soggettivo di B. Bauer, Feuerbach opponeva una concezione materialistica del mondo, il cui elemento essenziale non era più lo sviluppo dell'Idea o della Coscienza, ma l'integrazione dell'uomo concreto nella natura e nella società.
Dopo la filosofia critica, che aveva portato alla luce la contraddizione tra il sistema conservatore e la dialettica rivoluzionaria di Hegel, la critica di Feuerbach doveva provocare la rovina di tutta l'ideologia hegeliana. Rifiutando infatti insieme alla religione ogni fede nel soprannaturale e ogni metafisica, sostituiva all'idealismo hegeliano un positivismo materialistico, che riconduceva ogni cosa all'uomo sensibile e alla natura concreta.
Approdava cosi a un umanesimo su cui fondava una dottrina sociale ispirata dalla sua critica della religione e di cui esponeva le linee principali nei Principi della Filosofia dell'Avvenire (1843). Il problema fondamentale, ai suoi occhi, era quello di liberare l'uomo dalla religione, che lo spoglia della sua vera natura e lo conduce ad alienare, a esteriorizzare in Dio la propria essenza. Alienando in Dio le sue qualità essenziali, che sono le qualità della specie umana, l'uomo non soltanto si impoverisce, ma diviene un individuo egoista, isolato dalla vita collettiva, nella quale soltanto può realizzare la propria essenza. Per restituire all'uomo il suo vero essere, che è l'essere collettivo, e permettergli di condurre una vita conforme alla sua vera natura, bisogna, diceva Feuerbach, dissipare l'illusione religiosa e reintegrare l'al di là nel mondo presente e le qualità alienate in Dio nell'umanità. Liberato dall'egoismo e dall'individualismo che si oppongono alla vita collettiva, l'uomo può allora integrarsi pienamente nella società e, sostituendo all'amore di Dio l'amore della specie umana, accogliere come legge suprema l'amore dell'umanità. Il grande merito di Feuerbach, e in questo sta, dal punto di vista sociale, l'importanza della sua dottrina, era di dare in Germania una prima soluzione, invero ancora ideologica, del problema fondamentale dell'integrazione dell'uomo nel suo ambiente naturale e sociale, superando la contraddizione che è propria del regime capitalistico tra un sistema di produzione collettivistico e un sistema di appropriazione individualistico, e di stabilire cosi un primo ponte di passaggio tra l'hegelismo e il socialismo. Questa filosofia costituiva, infatti, sotto un aspetto ideologico, una prima critica del sistema capitalistico e un primo tentativo di stabilire, su questa critica, una dottrina socialista.
L'elemento fondamentale di questa filosofia, la critica dell'alienazione religiosa che è di ostacolo alla vita collettiva per l'egoismo e l'individualismo che essa genera, era in realtà, sotto una trasposizione ideologica, una critica dell'alienazione effettiva che si produce nel regime capitalistico della forza di lavoro dell'operaio nella merce, dell'individualismo e dell'egoismo generati da un sistema di appropriazione fondato* sulla ricerca del profitto, e insieme un tentativo di superare l'egoismo e di giungere alla vita collettiva facendo partecipare l'uomo alla vita delle specie.
Il difetto di questa dottrina era di porsi nell'assoluto, al di fuori dello sviluppo storico, e di restare perciò ancora vaga e astratta. Per quanto desse una importanza fondamentale alla realtà concreta e sen sibile e si sforzasse di integrare l'uomo nella natura e nella società, Feuerbach non arrivava a superare, in realtà, la concezione astratta dell'uomo, e il rovesciamento della dottrina di Hegel si produceva in lui sempre nell'ambito della filosofia speculativa, piuttosto che sul piano della realtà economica e sociale.
La sua tesi fondamentale, l'alienarsi dell'essenza umana nella religione, non era né esposta né spiegata come un fatto storico-sociale, ma presentata come un atto in qualche modo metafisico dell'uomo considerato in sé. D'altra parte, Feuerbach identificava la società, di cui non aveva che una vaga nozione, a un essere immaginario, alla specie umana concepita come essenza dell'umanità, che diveniva, come lo Spirito del mondo in Hegel, una entità metafisica superiore agli uomini.
Poiché concepiva l'uomo e la società da un punto di vista assoluto, era portato a respingere, oltre che l'idealismo di Hegel, anche la sua concezione storica e dialettica del divenire. Di conseguenza, collocando l'attività umana al di fuori della evoluzione storica, al di fuori dello svolgimento economico e sociale e tenendo conto, con un ritorno al materialismo meccanicistico del sec. XVIII, dell'azione dell'ambiente sull'uomo, ma non di quella dell'uomo sul suo ambiente, Feuerbach faceva dell'uomo un essere pressoché passivo che subiva l'influenza di una natura idealizzata, e trasformava la società in un tutto indistinto e indifferenziato, in una vaga solidarietà collettiva nella quale sparivano le forze concrete opponentisi le une alle altre, che egli riduceva a un antagonismo mal definito tra l'egoismo e l'altruismo. L'evoluzione umana assumeva cosi un carattere ed un fine essenzialmente morali, e la sua filosofia sentimentale e contemplativa culminava in un'etica, in una vaga religione della felicità e dell'amore universali.
Se Feuerbach non aveva trovato la soluzione del problema dell'integrazione effettiva dell'uomo nella società, aveva però indicato la direzione in cui era necessario impegnarsi. Non restava ora che studiare l'uomo e la società nella loro realtà concreta e colle-gare la liberazione dell'uomo non alla sua emancipazione religiosa, ma alla sua emancipazione economica e sociale per giungere alla soluzione concreta di questo problema.
Sarà questo il compito al quale si consacreranno dapprima M. Hess, poi K. Marx e F. Engels.
Moses Hess. — Come Feuerbach, K. Marx e F. Engels, M. Hess faceva parte del piccolo gruppo di Giovani Hegeliani che, allontanandosi dal liberalismo, evolvevano verso il comunismo.
Nel 1841, nel suo libro su La Triarchia Europea , Hess sottolineava l'impotenza del liberalismo a risolvere il problema essenziale, che era per lui il problema sociale. Assegnando come compito all'epoca presente l'emancipazione dell'umanità, pensava che questa sarebbe stata realizzata non da riforme religiose o politiche, che potevano costituirne al più una tappa, ma da una rivoluzione sociale, mediante una trasformazione radicale della società 2.
Rifiutando la filosofia speculativa cui era ancora legata la sinistra hegeliana, Hess dimostrava che questa rivoluzione sarebbe stata l'opera non della semplice critica del reale, impotente a trasformarlo di fatto, ma dell'azione.
La concezione comunista alla quale era giunto nella sua critica della società era ancora assai vaga; come tutti gli utopisti, egli poneva come un postulato la realizzazione del comunismo, senza saper dimostrare come esso fosse generato dallo sviluppo stesso del regime capitalistico.
Ispirandosi a Feuerbach, Hess precisò la sua concezione comunista in quattro articoli, scritti tra il 1843 e il 1844: «La filosofia dell'azione», «Il socialismo e il comunismo», «La libertà nella sua unità e nella sua totalità», e soprattutto «L'essenza del denaro», nei quali realizzava una sintesi della filosofia di Feuerbach e del comunismo, applicando il principio dell'alienazione alla critica del regime capitalistico.
Hess dimostrava che il fenomeno dell'alienazione, studiato da Feuerbach nel campo religioso e da lui denunciato come la fonte di tutti i mali di cui soffriva l'umanità, aveva un carattere sociale ed era determinato dal regime capitalistico.
La grande legge di questo regime fondato sulla proprietà privata e sulla ricerca del profitto, è la legge della concorrenza che, opponendo l'uno all'altro gli individui e isolandoli dalla collettività, genera e generalizza l'egoismo. A causa della concorrenza e dell'egoismo, si produce nel regime capitalistico uno sfruttamento dell'uomo da parte dell'uomo, in forza del quale i più deboli sono obbligati a creare ricchezze che loro non appartengono, in cui essi alienano la loro propria sostanza, la loro forza di lavoro, e che li asserviscono. Tali ricchezze assumono in questo regime la forma di denaro, che è il vero Dio della società presente, quello in cui l'uomo adora la propria essenza divenutagli estranea.
Per sopprimere questa alienazione che avvilisce e asserve gli uomini, è necessario abolire la proprietà privata e la concorrenza e sostituire il regime capitalistico con un regime comunista, che solo permette, con la soppressione dell'egoismo, di stabilire tra gli uomini relazioni umane e di fondare la società sull'altruismo e sull'amore.
La dottrina di Hess era l'espressione di un socialismo nascente che, non discernendo ancora le origini e le cause delle tare sociali che denunciava e non concependo la possibilità di abolirle con una rivoluzione sociale che nascesse dalle contraddizioni del regime capitalistico e fosse realizzata dal proletariato, non sapeva dare altra soluzione al problema sociale se non quella di una concezione utopistica della società futura.
Come i primi sistemi utopistici, questa dottrina riduceva le opposizioni prodotte dal regime della proprietà privata ad un antagonismo fra le tendenze egoistiche e quelle altruistiche dell'umanità.
Trasponendo cosi i problemi economici e sociali su un piano morale, essa faceva della lotta contro l'egoismo considerato in sé l'elemento essenziale della lotta sociale, e toglieva quindi tanto al capitalismo quanto al comunismo il loro carattere peculiare. Da un lato, infatti, l'egoismo diveniva la qualità specifica, l'attributo in certo modo metafisico della società borghese; dall'altro, il comunismo, trasformato in espressione delle tendenze altruistiche dell'umanità, diveniva una verità generale indeterminata, senza legami particolari col proletariato.
L'azione, assumendo cosi un carattere morale, tendeva a distinguersi dall'attività sociale per confondersi con la propaganda e con l'educazione, e restava perciò anche in Hess, come in B. Bauer e in Feuerbach, confinata in una sfera essenzialmente ideologica.
Come i Giovani Hegeliani idealisti, Hess faceva consistere la ragione profonda del divenire sociale nell'evoluzione spirituale e morale, e tendeva quindi ad attribuire un'importanza fondamentale all'attività della Coscienza e a ricondurre ad essa, come B. Bauer, l'evoluzione della storia.
La sua dottrina costituiva cosi una specie di mezzo termine tra il comunismo e l'individualismo anarchico. Esaltando l'eguaglianza e insieme la libertà per garantire l'autonomia della Coscienza, Hess poneva come fine ultimo della vita umana la libera attività, ma invece di fondarla, come B. Bauer e Stirner, sull'individualismo e sull'egoismo, la inquadrava nel comunismo.
Malgrado i suoi difetti e le sue insufficienze, questa dottrina costituiva un ponte di passaggio tra la filosofia di Feuerbach e il socialismo francese, che erano le sue due fonti di ispirazioni, e apriva la via a K. Marx che, muovendo da dati analoghi, avrebbe portato una nuova soluzione al problema dell'azione e al problema sociale.
Permeato come gli altri Giovani Hegeliani della filosofia di Hegel, che lo fa passare fin dai suoi primi anni di studio all'università di Berlino da un idealismo assoluto a una forma più realistica di pensiero, K. Marx conserva di questa filosofia tre nozioni essenziali:
i) La concezione dell'unione necessaria del pensiero e dell'essere, che fin da principio lo tiene lontano dall'astrazione, dal dogmatismo e dall'utopia che teorizzano su idee isolate del reale e ad esso le oppongono.
2) La concezione dello svolgimento dialettico della storia, generato dalle opposizioni e dalle contraddizioni inerenti ad ogni realtà vivente.
3) La nozione che la causa efficiente e la causa finale di questo svolgimento dialettico è la razionalizzazione sempre più grande del reale.
1. Dal liberalismo al comunismo.
Partecipando al movimento della sinistra hegeliana, Marx rifiuta il sistema conservatore di Hegel e crede dapprima con gli altri Giovani Hegeliani che si debba, per determinare il cammino della storia, eliminare dal reale gli elementi irrazionali per mezzo della critica. Ma, a differenza dei Giovani Hegeliani e fedele in ciò al pensiero fondamentale di Hegel, non ammette che lo Spirito abbia il potere assoluto di trasformare a sua volontà il mondo. Nella sua tesi del 1841, egli dimostra l'inanità di questa pretesa in una nota su Plutarco — relativa alle prove dell'esistenza di Dio, — nella quale riprende la critica fatta da Kant dell'argomento ontologico che deduce l'esistenza concreta di un essere dall'idea di esso, da una pura rappresentazione dello Spirito.
Con ciò egli toccava il punto più debole della filosofia critica fondata, come ogni filosofia idealistica, sul principio della possibilità formale, che ammette l'esistenza reale di un essere o di una cosa se questa esistenza non contrasti alle leggi della logica. A questa possibilità puramente formale Marx opponeva con Hegel la possibilità reale, che limita la possibilità alle condizioni non puramente logiche, ma effettive d'esistenza, e si sforzava perciò di legare secondo il metodo di Hegel lo sviluppo del pensiero a quello della realtà concreta.
Ma questa integrazione completa della verità razionale nei fatti, lo portava già da questo periodo a superare anche Hegel, negando alla filosofia ogni valore intrinseco al di fuori del reale.
Marx dimostrava infatti, in questa stessa tesi, che la filosofia, opponendosi al mondo con la Critica, si trasforma necessariamente in volontà, in attività pratica, ciò che implica la sua integrazione nel mondo e quindi la sua soppressione in quanto principio astratto opposto al mondo. Questa concezione fondamentale determina il suo atteggiamento nella lotta che impegna allora insieme ai Giovani Hegeliani, per il liberalismo prima, poi per il comunismo.
Marx compie il suo tirocinio politico come redattore, poi come direttore del grande giornale liberale «La Gazzetta Renana».
Attirato, per la sua stessa attività, più degli altri Giovani Hegeliani dai problemi politici, economici e sociali, si allontana assai rapidamente dai problemi puramente filosofici o religiosi e, imbevuto ancora dell'ideologia hegeliana che gli fa considerare lo Stato come l'agente ordinatore della società, si propone di riformarlo mediante una critica delle istituzioni politiche e giuridiche.
Nel corso di una lunga ed aspra lotta che lo pone a contatto immediato con la realtà politica, economica e sociale, egli si rende progressivamente conto che i fatti sono più forti delle idee e non si piegano docilmente ad esse, e che è necessario, attraverso una revisione della dottrina hegeliana, adattare non la realtà alle idee, ma le idee alla realtà.
Rompendo allora con B. Bauer e coi Giovani Hegeliani liberali, che privi di un solido appoggio nella borghesia, spostavano invece la loro attività su un piano puramente spirituale e la riducevano sempre più ad un gioco dello Spirito, Marx si sforza di ricavare dalla realtà stessa i principi dell'azione, stabilendo una connessione, una interdipendenza più stretta tra le idee e i fatti.
Questa tendenza si rafforza in lui nel progressivo passaggio dal liberalismo al comunismo, che dà al suo pensiero il solido fondamento degli interessi di classe, e la sua funzione e importanza originali datano dal nuovo orientamento di una parte della sinistra hegeliana che, ispirandosi a Feuerbach, si allontana dalla borghesia conservatrice per farsi interprete delle aspirazioni della classe rivoluzionaria in ascesa, il proletariato.
La soppressione della «Gazzetta Renana» e l'aggravarsi della censura rendevano particolarmente acuti i due problemi che si erano posti a Marx nel corso della sua attività di redattore capo di quel giornale: il problema dello Stato e il problema sociale.
Da un lato diveniva evidente, davanti alla reazione trionfante che sopprimeva ogni libertà, che la critica filosofica e politica era impotente da sola a trasformare le istituzioni presenti e che lo Stato non aveva quel carattere razionale e morale che Hegel gli aveva attribuito; d'altro lato risultava chiaramente che la questione essenziale non era d'ordine religioso o politico, ma d'ordine sociale, e che non poteva essere risolta, come Marx aveva tentato di fare nella «Gazzetta Renana», su un piano puramente giuridico.
Marx si rendeva conto, infatti, che tale questione non si riduceva a una semplice interpretazione e applicazione del diritto, ma che essa era essenzialmente legata al conflitto degli interessi tra le differenti classi sociali.
Indotto cosi a riesaminare la sua concezione dello Stato e a studiare i rapporti tra questo e la società, egli procede a questa revisione e a questo studio con una Critica della Filosofia del Diritto di Hegel, vale a dire con una critica dell'opera dalla quale, come la maggior parte dei Giovani Hegeliani, aveva tratto fino allora l'essenziale delle sue concezioni giuridiche, politiche e sociali, e questa critica lo conduce dal liberalismo politico a un radicalismo sociale vicino al comunismo.
2. La Critica della Filosofia del Diritto.
È guidato in quest'opera da Feuerbach; ma pur ispirandosi ai principi di Feuerbach, che con la sua critica dell'idealismo gli apriva la via ad una concezione nuova del mondo, Marx lo supera dando al suo materialismo meccanicistico ed alla sua teoria contemplativa un carattere dinamico e rivoluzionario.
Egli dimostra nella sua Critica della Filosofia del Diritto che quest'opera di Hegel costituisce una applicazione al campo giuridico del principio generale della filosofia hegeliana. Rovesciando i rapporti effettivi tra la realtà e l'Idea, Hegel spoglia il reale concreto della sua propria sostanza per farne la creazione, l'attributo dell'Idea, promossa al grado di Soggetto. Di conseguenza, i differenti aspetti del reale non sono più che le manifestazioni particolari, i momenti successivi dell'Idea, la quale include cosi nel suo svolgimento tutta la realtà. Questa riduzione della realtà concreta all'Idea permette a Hegel di ricondurre lo svolgimento del reale ad una concatenazione di concetti, al movimento dialettico delle idee, e di inserirlo cosi nell'ambito della logica.
Con questa riduzione del diritto alla logica, Hegel, invece di ricavare la filosofia del diritto dalla realtà politica e sociale, la fa derivare dall'Idea assoluta, dalla moralità oggettiva, che determina a priori l'organizzazione della famiglia, della società e dello Stato.
Hegel dimostra, infatti, come l'Idea, dopo essersi calata nella famiglia e nella società a modi di esistenza ancora imperfetti, se ne libera per realizzare pienamente la sua essenza nello Stato, che costituisce il termine ultimo della moralità oggettiva.
Criticando questa concezione, Marx dimostra che essa trae origine da un'inversione dei veri rapporti tra la società e lo Stato. In realtà, non è lo Stato che determina l'organizzazione sociale, ma l'organizzazione sociale che determina la forma dello Stato. Per giungere dunque ad una nozione esatta della natura e della funzione dello Stato, bisogna, con un rovesciamento analogo a quello operato da Feuerbach nel campo della religione, fare della società il soggetto e dello Stato l'attributo2.
Per giustificare il primato dello Stato, Hegel fa di esso l'organismo rappresentativo dell'interesse generale e lo oppone alla società, sfera degli interessi particolari. In realtà, dice Marx, ciò che attesta la funzione determinante della società in rapporto allo Stato è che nel regime attuale, in cui la realtà fondamentale è la proprietà privata che costituisce la sostanza della società presente, la missione essenziale dello Stato è di difenderne gli interessi e i diritti.
Lo stesso sistema di Hegel ne è, del resto, la prova. Malgrado il primato che accorda in teoria all'interesse generale, l'interesse particolare vi resta in realtà predominante.
La proprietà privata, che Hegel pone a fondamento dell'individualità, costituisce per lui l'essenza non solo della società, ma anche dello Stato, e ciò che egli esalta sotto il nome di moralità non è in verità che la religione, il dogma della proprietà privata.
Il suo sistema esprime l'opposizione, la contraddizione tra lo Stato ideale che teoricamente rappresenta l'interesse generale e la vita collettiva, e lo Stato reale, espressione della società in cui l'uomo, che persegue interessi privati, vive una vita individuale, particolare, che lo oppone agli altri uomini. In rapporto allo Stato reale, allo Stato politico, lo Stato ideale non ha che una esistenza teorica e illusoria, e appare perciò all'uomo come qualcosa di esterno, di estraneo a lui. Si produce nell'uomo, sul piano politico e sociale, una alienazione analoga a quella che nella religione separa l'uomo dalla sua essenza esteriorizzata in Dio. Nello Stato ideale, come in Dio, l'uomo vive una vita collettiva conforme alla sua vera natura, ma soltanto in modo illusorio, puramente immaginario.
Per dare a questa vita collettiva una esistenza reale, è necessario abolire non soltanto la religione, ma anche l'attuale organizzazione sociale, di cui la religione non è che l'espressione ideologica.
L'abolizione di questa organizzazione sociale che porta l'uomo, con la ricerca del profitto e dell'interesse particolare, a vivere una vita egoistica e a trasporre la sua vera essenza, costituita dalla vita collettiva, in uno Stato teorico e illusorio, avverrà con lo stabilimento di uno Stato razionale fondato sulla vita collettiva, nel quale l'opposizione tra la società e lo Stato sarà soppressa, l'interesse particolare si confonderà con l'interesse generale e la vita collettiva, che costituisce la vera essenza dell'uomo, sarà effettivamente realizzata.
Con questa critica, Marx, rifiutando l'aspetto metafisico del sistema hegeliano, si liberava della filosofia speculativa e, spezzando l'armatura centrale di questo sistema, la sua concezione dello Stato, che era quella del liberalismo, rompeva con questa dottrina politica per evolvere verso un radicalismo sociale vicino al comunismo.
Considerando l'uomo come un essere sociale, lo Stato e la società come l'espressione e il prodotto della concreta attività umana, Marx superava Hegel che, riducendo essenzialmente questa attività a quella spirituale, concepiva metafisicamente l'uomo, la società e lo Stato nei loro rapporti con l'Idea assoluta e li spogliava della loro sostanza reale per farne il prodotto di astrazioni \
Oltre a Hegel superava Feuerbach che, considerando dell'uomo non tanto la qualità sociale quanto la natura fisica, aveva posto il problema dell'alienazione sul piano generale e vago dell'essenza umana e non ne aveva studiato che l'aspetto religioso.
Ponendo questo problema sul piano politico e sociale, Marx ricercava, come già Hess, le ragioni di questa alienazione nell'organizzazione sociale.
Indotto a sostituire la nozione di società a quella più vaga di specie umana e a studiare l'uomo in quanto essere sociale, non mediante un'analisi delle sue tendenze religiose e morali, ma con uno studio critico della società e dello Stato, Marx dimostrava che l'umanità, per reintegrare in sé la propria essenza, doveva abolire non soltanto la religione, ma anche e soprattutto lo Stato politico in cui tale essenza si trovava alienata.
Denunciando, dopo Hess, il carattere superficiale e limitato della democrazia liberale, democrazia puramente formale e incapace di abolire questa alienazione, dimostrava la necessità di sostituire ad essa la vera democrazia, la democrazia sociale.
Questa critica della Filosofia del Diritto, che lo portava, attraverso lo studio dei rapporti tra la società e lo Stato, ad una critica della società presente e dello Stato politico entrambi fondati sulla proprietà privata, segna assai esattamente il momento in cui Marx rifiuta si il liberalismo, in quanto egli pone il problema dell'alienazione sul piano politico e sociale, ma approda ad una soluzione ancora soltanto teorica e assai vaga della questione sociale, indicandola in ciò che egli chiama la vera democrazia.
Le riforme che Marx proponeva, abolizione della monarchia, istituzione del suffragio universale, non superavano l'ambito della democrazia liberale, e la sua concezione dello Stato, che egli non distingueva nettamente dalla società, era assai incerta. Se ne rifiutava la forma politica attuale, non lo condannava in sé, come strumento di dominio della classe dirigente, e lo considerava ancora, hegelianamente, come un organismo razionale, destinato a realizzare la vera essenza dell'umanità.
Tuttavia, dopo aver fatto della vera democrazia, in cui non esiste più opposizione tra gli interessi particolari e l'interesse generale, il contenuto dello Stato ideale, Marx sarà portato dalla sua critica della società presente fondata sulla proprietà privata e concepita come negazione della vita collettiva, ad adottare la dottrina comunista come soluzione del problema sociale e a vedere nel comunismo la realizzazione dell'umanismo.
3. Gli «Annali franco-tedeschi».
Marx doveva compiere questa tappa dalla democrazia sociale al comunismo in due articoli della rivista «Gli Annali franco-tedeschi», da lui fondata a Parigi nel 1844 : «Introduzione alla Critica della Filosofia del Diritto di Hegel» e «La questione ebraica».
Malgrado la diversità di contenuto questi due articoli sono strettamente collegati. Entrambi mostrano le ragioni della trasformazione della società borghese in una società comunista, indicandole il primo nell'accentuazione della lotta di classe tra il proletariato e la borghesia, il secondo nella necessità di dare alla società un carattere collettivo, per sopprimere il dualismo esistente tra lo Stato reale e lo Stato ideale e con esso l'alienazione in quest'ultimo dell'essenza sociale dell'uomo.
Nella «Introduzione alla critica della Filosofia del Diritto di Hegel», Marx dimostra perché la critica religiosa deve trasformarsi in critica sociale e come questa giunga necessariamente al comunismo.
La critica della religione compiuta da Feuerbach, ha rivelato all'uomo la sua vera natura, la sua essenza che egli aliena in Dio. Ma per reintegrare l'uomo nella sua essenza e permettergli di condurre una vita conforme alla sua vera natura, non basta svelare l'illusione religiosa, come fa Feuerbach, è necessario mutare l'organizzazione della vita reale, l'organizzazione sociale che la genera. La religione non è, in realtà, che l'espressione teorica, il riflesso spirituale della società; se essa costituisce un mondo a rovescio in cui la realtà diviene illusione e l'illusione realtà, e se in essa l'essenza umana non trova che una esistenza illusoria, una realizzazione immaginaria, è perché la società costituisce essa stessa un mondo a rovescio e perché in essa l'essenza umana non ha vera realtà l.
Per dissipare l'illusione religiosa e le sue promesse di una felicità irreale, che fanno di essa «l'oppio del popolo», è necessario criticare la società di cui essa è emanazione e che dà all'uomo una soddisfazione soltanto immaginaria dei suoi reali bisogni.
Dopo aver distrutto l'illusione dell'al di là, è necessario svelare l'alienazione dell'essenza umana nel mondo terreno, nella società e nello Stato, e trasformare cosi la critica della religione e della teologia in una critica del diritto e della politica.
Questa critica della politica, che in Inghilterra e in Francia è fatta sul piano della concreta realtà economica e sociale, in Germania non può essere fatta che attraverso la critica della filosofia e, in particolare, della filosofia del diritto di Hegel. Questo si deve alle condizioni arretrate della Germania, che fanno della sua storia un anacronismo; ma malgrado questo ritardo sul piano economico, politico e sociale, la Germania si è elevata al livello dei paesi più progrediti per mezzo della sua filosofìa che anticipa l'avvenire, e criticare la sua filosofia equivale perciò a criticare la società moderna.
Questa critica, è vero, pone dei compiti che solo l'attività pratica, l'azione politica e sociale può risolvere. Ma se la critica non può sostituire la forza materiale, essa diviene tuttavia una forza reale allorché, guadagnando le masse, assume un carattere radicale e le porta ad abolire uno stato sociale che fa dell'uomo una creatura avvilita ed asservita. Essa costituisce allora un elemento essenziale della rivoluzione sociale, che, per compiersi, ha bisogno, da un lato di una critica radicale della società presente, e dall'altro di una massa popolare che metta in opera questa critica.
La Germania riunisce in sé tutte le tare sociali nuove e antiche, e la rivoluzione non sarà qui, come in Francia, graduale e parziale, sarà una rivoluzione totale, realizzata dal proletariato che, liberandosi, emanciperà l'intera società.
Dopo aver dimostrato in quest'articolo la necessità di una rivoluzione sociale, Marx espone nell'altro suo articolo su «La questione ebraica» la natura e il compito di questa rivoluzione.
Criticando B. Bauer che aveva subordinato l'emancipazione civile degli ebrei alla loro emancipazione religiosa, Marx, collegando tale questione a quella più generale dell'emancipazione umana, dimostra che l'emancipazione non ha un carattere religioso o politico, ma sociale \ Riprendendo ed approfondendo lo studio dell'alienazione dell'essenza umana che aveva fatto nella sua Critica della Filosofia del Diritto di Hegel, egli stabilisce che l'emancipazione religiosa è insufficiente a sopprimere questa alienazione, come dimostra l'esistenza dello Stato, in cui la religione non ha più una funzione politica e in cui, tuttavia, questa alienazione sussiste.
L'emancipazione ebraica è in realtà legata alla emancipazione umana, che può essere realizzata soltanto mediante la trasformazione radicale della società.
Nel regime attuale, fondato sulla concorrenza, sull'egoismo e sull'individualismo, si stabilisce una opposizione tra la società e lo Stato, il quale costituisce in rapporto alla società una sfera ideale e incarna di fronte ad essa, ma in maniera puramente illusoria, l'essenza umana, la vita collettiva2. Perciò l'uomo conduce una doppia vita; nella società conduce una vita privata di individuo egoista, che costituisce la sua vita reale; nello Stato conduce una vita conforme alla sua vera natura, ma in modo puramente immaginario.
Per sopprimere questo dualismo e, con esso, l'alienazione della essenza umana nello Stato, è necessario integrare lo Stato nella società dando a questa un carattere collettivo.
In questi due articoli Marx faceva ancora rientrare la sua critica nel quadro e nelle formule della filosofia di Feuerbach, ma orientando deliberatamente il suo pensiero verso il comunismo e facendosi interprete del proletariato rivoluzionario, superava insieme Hegel, Feuerbach ed Hess nella soluzione del problema essenziale dell'integrazione dell'uomo nel suo ambiente sociale, da effettuare mediante il superamento del dualismo sorto dalla contraddizione tra il modo di produzione e il modo di appropriazione capitalistico.
Hegel aveva risolto questo problema mostrando come il superamento dell'individualismo egoistico avvenisse nello Stato con la subordinazione dell'interesse particolare all'interesse generale. Poiché lasciava sussistere l'organizzazione sociale capitalistica, la sua concezione dello Stato aveva necessariamente un carattere utopistico e la soppressione della contraddizione si effettuava sempre sul piano della contraddizione.
Feuerbach, considerando questo problema dal punto di vista religioso e sul piano di una umanità indifferenziata, aveva ricondotto il superamento della contraddizione alla reintegrazione nell'uomo della sua essenza alienata in Dio.
A differenza di Feuerbach, M. Hess pensava che la soppressione della alienazione, alla quale riconduceva ugualmente il superamento della contraddizione, dovesse effettuarsi con l'abolizione della proprietà privata e con l'instaurazione del comunismo. Ma conservando la nozione" di una umanità indifferenziata, trasponeva, come Feuerbach, il problema sociale sul piano morale e lo risolveva, come lui, con l'altruismo e l'amore universale.
Ponendo il problema dell'alienazione sul piano politico e sociale, con le differenziazioni di classe che esso comporta nel regime capitalistico, dimostrava che la soppressione dell'alienazione e, con essa, dell'opposizione tra la società e lo Stato e della contraddizione tra un modo di vita individualistico e un modo di vita collettivo, non può risultare che da una trasformazione radicale della società. Individuando non più nella dialettica delle idee, ma nella lotta di classe l'elemento motore della storia, sosteneva che questa trasformazione sarebbe stata operata da una rivoluzione sociale, generata dalla lotta di classe e realizzata dal proletariato.
Trasformando cosi quel conflitto morale tra l'egoismo e l'altruismo al quale Feuerbach ed Hess riducevano le contraddizioni economiche e sociali e di cui indicavano la soluzione nell'amore universale, in un conflitto sociale, Marx dava al comunismo il carattere di una dottrina dell'azione, concepita non su un piano teorico e astratto, ma sul piano politico e sociale.
Assegnando inoltre come fine al comunismo la reintegrazione dell'essenza umana, della vita collettiva nell'umanità, Marx dava forma dialettica allo sviluppo sociale e faceva del proletariato l'elemento antitetico incaricato di realizzare il progresso. Come voleva il movimento dialettico, il progresso doveva risultare dall'opposizione dei contrari, dall'accentuazione della lotta di classe.
La sua concezione del comunismo, quale risultava dai due articoli, non era ancora fondata su una critica obbiettiva della realtà; il proletariato, che non era analizzato in se stesso, aveva un po' il valore di una idea-forza posta al servizio del progresso, e la funzione eminente che Marx accordava ancora all'idea, alla critica in quanto preformazione del reale, dava ancora a quegli scritti un certo carattere dogmatico.
Tuttavia, integrando sempre più la filosofìa nella storia, egli tendeva a ricavare le ragioni dell'evoluzione della realtà dalla realtà stessa, e non gli restava ora che rendersi conto in maniera più precisa di quelle ragioni, per negare alla filosofia una funzione determinante nel divenire storico e unire in un'unica concezione il materialismo storico e dialettico e il comunismo.
3. Il socialismo francese.
In questa evoluzione Marx è guidato dal suo desiderio profondo di passare dalla teoria all'azione, di tradurre nei fatti le aspirazioni del proletariato, e non è un puro caso che questa evoluzione si compia, nel 1844, a Parigi. Trovava qui quattro elementi che gli avrebbero permesso di superare la concezione ancora vaga e astratta che aveva del comunismo : uno sviluppo economico molto più avanzato che in Germania e che già faceva apparire le contraddizioni interne del regime capitalistico; un proletariato industriale numeroso, con una netta coscienza di classe; l'esperienza di una grande rivoluzione sociale, la rivoluzione del 1789 compiuta e completata dalla rivoluzione del 1830; infine numerose dottrine socialistiche e comunistiche particolarmente notevoli per le loro critiche del regime economico e sociale capitalistico.
Queste dottrine costituiscono, insieme alla filosofia hegeliana e all'economia politica inglese, una delle tre fonti essenziali del marxismo.
Il carattere utopistico che le distingue dal marxismo, deriva loro dal fatto che si formano in un'epoca in cui il capitalismo è in via di formazione e in cui il proletariato, ancora poco sviluppato, non entra ancora in lotta aperta con la borghesia. Non scorgendo nel regime capitalistico le condizioni della sua trasformazione (da ricondurre a un aggravarsi delle sue contraddizioni interne), e incapaci di concepire, anche per la debolezza del proletariato, la lotta di classe come un mezzo di emancipazione, i dottrinari socialisti non riescono a ricavare dalla società stessa, dai dati della realtà attuale, la soluzione dei problemi economici e sociali che si pongono loro, e sono indotti a cercarla spostando questi problemi su un piano ideologico e morale.
Risulta quindi utopistica la soluzione che essi ne indicano mostrando come debba effettuarsi la trasformazione della società.
Nella loro soluzione del problema dell'integrazione dell'uomo nella società, essi superano l'ideologia borghese, che conservando la proprietà privata come fondamento della società mantiene le contraddizioni interne del regime capitalistico, e pongono il principio della necessità di adattare a un sistema di produzione collettivo un sistema di appropriazione collettiva. Ma restano ideologi e utopisti perché non comprendono come la trasformazione economica e sociale nasca dalla costituzione stessa della società, e perché oppongono alla realtà presente un ideale che la società deve realizzare.
Stabilendo cosi una netta opposizione tra il presente e il futuro, il presente che significa disordine, egoismo ed ingiustizia, e il futuro invece che rappresenta l'ordine, l'altruismo e la giustizia, essi si sforzano di dimostrare come la loro concezione del mondo futuro debba realizzarsi per il fatto solo della sua superiorità morale. Animati da una fede profonda nel valore e nella forza della ragione, credono che l'essenziale stia nel convincere gli uomini della bontà dei loro progetti. Di qui l'opposizione tra la parte critica della loro dottrina, che si attiene ai fatti, e la parte costruttiva, il piano di rinnovamento economico e sociale, che è opera di immaginazione, utopia.
Questo ricorso alla ragione come mezzo principale dell'azione, fa si che, dopo aver denunciato nella parte critica della loro opera gli antagonismi sociali, essi abbandonino nella parte costruttiva dei loro sistemi la nozione della lotta di classe per porsi sul piano di una umanità indifferenziata.
Poiché sul piano razionale il bene ha il medesimo carattere di universalità del vero, essi si rivolgono all'uomo in generale, riducono la nozione di classi tra loro opposte a quella di posizioni morali antitetiche, e in tal modo sostituiscono alla concezione dell'antagonismo di classe quella di un antagonismo tra il bene e il male, tra il giusto e l'ingiusto.
I conflitti di classe assumono di conseguenza il carattere di conflitti morali; ciò che divide l'umanità non sono tanto le opposizioni sociali quanto le divergenze morali. La questione sociale tende in tal modo a trasformarsi in una questione di educazione; e invece di rivolgersi nei loro progetti di riforme al proletariato, i socialisti utopisti si rivolgono al popolo in generale e, più particolarmente, alla borghesia illuminata, facendo appello ai suoi sentimenti di umanità e di giustizia.
Tuttavia, man mano che il proletariato si sviluppa e che le contraddizioni capitalistiche si fanno più evidenti, i socialisti utopisti prendono sempre più nettamente la difesa degli interessi specifici del proletariato e le loro concezioni si avvicinano progressivamente al marxismo, che essi annunciano e preparano.
Nel momento in cui Marx giunge a Parigi, c'è una vera fioritura di sistemi socialistici o comunistici, che si ispirano tutti alle critiche che i due primi grandi utopisti Saint-Simon e Fourier, avevano fatto al principio del secolo del regime capitalistico.
Tra questi teorici, gli uni, come V. Considérant, L. Blanc, Vidal, Proudhon, che esprimono le aspirazioni delle classi medie, degli artigiani e dei contadini sempre più proletarizzati, si levano contro la grande borghesia e insieme contro il proletariato, che sembra loro costituiscano un uguale pericolo per la piccola borghesia.
Pur criticando il regime capitalistico, di cui denunciano gli effetti distruttori dovuti alla concorrenza, vogliono conservarne l'essenziale, la proprietà privata; cosi si sforzano di adattare le forme economiche e sociali presenti agli interessi della classe media, salvaguardando la piccola proprietà dagli attacchi del grande capitale e del proletariato.
Gli altri, come Pecqueur, Cabet, Blanqui, esprimendo in misura diversa le aspirazioni di un proletariato più numeroso, più forte e già dotato di una netta coscienza di classe, vogliono non riformare, ma trasformare la società.
Pecqueur pensa che per assicurare la libertà sia necessario dare alla proprietà un carattere collettivo; Cabet, sopprimendo le limitazioni ammesse da Pecqueur per la proprietà collettiva, giunge ad un comunismo integrale; Blanqui, infine, riprendendo la dottrina di Babeuf, rifiuta qualsiasi collaborazione di classe e per trasformare la società fa appello all'azione rivoluzionaria del proletariato.
In questi diversi teorici si trovano all'incirca tutti gli elementi costitutivi del marxismo, ma poiché essi non comprendono che il regime capitalistico deve trasformarsi in un regime comunista per le sue stesse contraddizioni interne, che aggravano la lotta di classe, necessariamente restano tutti più o meno utopisti e oppongono alla società l'ideale da realizzare.
Ispirandosi a queste dottrine, Marx compie il suo passaggio dal comunismo ancora ideologico degli articoli sugli «Annali franco-tedeschi» a un comunismo fondato sulla sua nascente concezione del materialismo storico e dialettico, adattando la dialettica hegeliana e l'idea feuerbachiana di alienazione a una concezione non più semplicemente filosofica e politica, ma economica e sociale dell'evoluzione storica e del comunismo.
Marx è aiutato in questa evoluzione da due articoli di F. Engels e di M. Hess, uno dei quali fu pubblicato e l'altro doveva esserlo negli «Annali francotedeschi». Nel suo articolo «Lineamenti di una critica dell'economia politica», Engels dimostra che il sistema capitalistico non ha il valore assoluto ed eterno che ad esso attribuiscono gli economisti liberali, e che le categorie economiche rispondenti a questo sistema : prezzo, concorrenza, profitto, ecc., hanno soltanto un valore storico, relativo. Criticando il regime capitalistico fondato sulla proprietà privata e sulla concorrenza, Engels sottolinea che questo regime, a causa della separazione producentesi tra il capitale e il lavoro, fa sì che la maggioranza dei produttori sia privata del frutto della sua attività e sia cosi ridotta alla servitù ed alla miseria. D'altra parte, con lo squilibrio che crea tra la produzione e il consumo, la concorrenza genera le crisi che, eliminando gli elementi più deboli, producono la rovina progressiva delle classi medie e insieme una sempre maggiore concentrazione delle ricchezze, per non lasciare alla fine di fronte che i proletari e i grandi capitalisti3. Da questo antagonismo sociale che cresce, da questo aggravarsi costante della lotta di classe, nascerà necessariamente una trasformazione radicale della società presente, attraverso una rivoluzione sociale che, abolendo la proprietà privata e la concorrenza, instaurerà un regime comunista e darà all'organizzazione sociale un carattere umano.
Studiando la formazione del comunismo non tanto sul piano filosofico e politico quanto sul piano economico e sociale, e mostrando che esso era necessariamente generato dallo sviluppo stesso del regime capitalistico, F. Engels precisava e completava la concezione ancora teorica e astratta che ne aveva Marx.
Poiché sosteneva che elemento determinante dell'instaurazione del comunismo è la necessità di sopprimere l'alienazione dell'essenza umana che avviene in regime capitalistico, Marx doveva d'altra parte ispirarsi, per risolvere tale questione., all'articolo «Sull'essenza del denaro», che M. Hess gli aveva mandato per gli «Annali franco-tedeschi» '.
Non limitando, come Marx, l'analisi del fenomeno dell'alienazione a quello di una esteriorizzazione dell'essenza umana nello Stato, Hess dimostrava il carattere universale e fondamentale che questo fenomeno ha nella vita economica e sociale moderna e forniva cosi a Marx l'anello di collegamento tra la filosofia di Feuerbach, le dottrine dei socialisti francesi e la critica dell'economia politica fatta da Engels.
5. I manoscritti economico-filosofici del 1844.
Adottando questa nozione centrale di alienazione, ma non la soluzione utopistica e sentimentale di Hess, e ispirandosi sia alla concezione hegeliana dello svolgimento dialettico della storia che alla critica dell'economia politica di Engels, Marx giunge ad una nuova concezione dell'evoluzione storica e del comunismo.
Questa svolta decisiva del suo pensiero è segnata dal suo manoscritto Economia Politica e Filosofìa (1844) \ in cui dimostra che l'organizzazione economica e sociale, cioè l'economia politica, dà la chiave di tutti i problemi filosofici, economici, politici e sociali.
Per risolvere il problema fondamentale dell'alienazione, che costituisce, come Hess aveva allora dimostrato, il fenomeno fondamentale della società moderna, Marx attacca innanzitutto, attraverso una critica della filosofia idealistica, la soluzione illusoria e falsa che ne aveva dato Hegel.
Hegel, egli dice, ha giustamente dimostrato nella Fenomenologia dello Spirito che l'uomo è il prodotto del suo lavoro e che l'evoluzione della società, che la storia esprime, è il frutto dell'attività umana. Questo svolgimento si produce mediante l'alienazione, l'esteriorizzazione che l'uomo fa della propria sostanza, della propria essenza, nell'oggetto da lui creato; questo gli appare dapprima estraneo, poi egli lo reintegra in sé considerandolo come l'espressione, come il prodotto della propria essenza.
Ma per Hegel, e in questo sta il suo difetto fondamentale, il soggetto dello svolgimento della storia non è l'uomo concreto, ma lo Spirito; ne risulta che l'attività umana è concepita non come attività materiale, ma come attività spirituale, come sviluppo della Coscienza e della conoscenza e si riduce cosi al sapere, in cui il soggetto che conosce e l'oggetto conosciuto si confondono.
Per quanto nel sapere l'oggetto si presenti come qualcosa di esterno al soggetto, non vi è propriamente realtà al di fuori di questo. L'oggetto, infatti, non costituisce che un altro aspetto del soggetto e l'opposizione tra il soggetto e l'oggetto che avviene nell'intimo della Coscienza, non è che apparente.
Poiché nel sapere il soggetto oggettiva se stesso nell'oggetto, ed esteriorizza in esso la propria sostanza, non c'è alienazione e reintegrazione effettiva dell'essenza umana, e la Coscienza, ritrovandosi integralmente in ciò che esteriorizza da sé, è necessariamente condotta a considerare se stessa come costituente tutta la realtà. Essa è perciò meno colpita dalla propria apparente alienazione in un oggetto che dall'oggetto stesso, che, in quanto tale, costituisce la sua negazione; e nella reintegrazione della propria essenza alienata, essa tende non tanto a sopprimere l'alienazione, che in realtà non esiste, quanto l'oggetto. Questo spiega lo sforzo di Hegel per ridurre l'oggetto, la realtà concreta allo Spirito, mostrando che essa si confonde effettivamente con la Coscienza di cui non è che la manifestazione, l'esteriorizzazione.
Ma questa riduzione della realtà concreta all'Idea rende illusoria la sintesi che Hegel pretende di stabilire tra lo Spirito e il reale. L'Idea, isolata dal mondo, resta vuota; poiché nulla viene ad arricchirla, la sua evoluzione è soltanto apparente, e alla fine del suo svolgimento, essa si ritrova qual'era in potenza; la realtà concreta, d'altra parte, ridotta a non essere che una esteriorizzazione dello Spirito, diviene pura apparenza -.
Perché la sintesi dello Spirito e della materia sia effettiva, perché si abbia una vera unione dell'Idea e della realtà, è necessario conservare alla realtà la sua propria concreta natura senza ridurla allo Spirito, e fare dell'uomo reale, e non dello Spirito, il vero soggetto dell'attività umana.
Il problema della sintesi del pensiero e dell'essere, del soggetto e dell'oggetto, trova la sua soluzione solo se l'attività umana non sia più concepita come attività dello Spirito separato dalla vita reale, ma come attività concreta, pratica dell'uomo, che esteriorizza negli oggetti che crea l'essenziale di se stesso, la propria sostanza, e si integra in tal modo nel mondo esterno.
Il soggetto dell'attività umana non è lo Spirito considerato in quanto tale, ma la soggettività delle forze umane, la cui azione, per il suo effetto concreto, ha un carattere oggettivo; questo stabilisce tra il pensiero e il reale, tra il soggetto e l'oggetto, tra l'uomo e il mondo esterno, non una identità o una opposizione assolute, ma una reciproca compenetrazione e una interdipendenza costanti.
Dopo aver dimostrato, attraverso questa critica dell'idealismo, il carattere dei rapporti tra l'Idea e il reale, tra l'uomo e il mondo esterno, Marx analizza la natura di questi rapporti.
L'uomo è in origine un essere naturale, e perciò stesso un prodotto della natura che costituisce il suo ambiente; la sua attività è dapprima istintiva, come quella di un animale che cerca di soddisfare i propri bisogni impadronendosi degli oggetti che esistono al di fuori e indipendentemente da lui. Ma l'uomo non è semplicemente un essere naturale, è un essere naturale umano, cioè provvisto di ragione, che invece di accettare la natura tal quale gli si presenta, come l'animale, si sforza di adattarsi ad essa e insieme di adattarla a sé per soddisfare i propri bisogni.
Questo duplice adattamento, costituito da un'azione e da una reazione costanti dell'ambiente sull'uomo e dell'uomo sull'ambiente, determina il carattere dell'attività umana, che Marx ricalca, per cosi dire, sul carattere dell'attività spirituale in Hegel.
Come il sapere, l'attività concreta umana, il lavoro, è costituito da una esteriorizzazione, da un'alienazione dell'essenza del soggetto nell'oggetto che esso crea; ma questa alienazione, anziché essere limitata, come nel sapere, al campo dello Spirito, ha per effetto di produrre oggetti concreti, esterni ed estranei all'uomo.
Dopo aver cosi esteriorizzato la propria sostanza negli oggetti che crea, l'uomo, per non esaurirsi con una perdita indefinita di essa, deve riprendere in sé la propria essenza alienata. Questa reintegrazione, a differenza di ciò che avviene in Hegel, deve tendere a sopprimere non l'oggetto in se stesso, ma l'alienazione, cioè il fatto per cui il prodotto del lavoro è divenuto estraneo all'uomo.
Il problema del ricupero da parte dell'uomo della sua essenza alienata nel lavoro, ha un carattere non teorico, ma pratico, ed è posto dalle stesse condizioni di vita economica e sociale del regime capitalistico.
In questo regime, fondato sulla proprietà privata, sulla concorrenza e sul profitto, il lavoro, anziché essere determinato dalla volontà libera degli uomini e dall'interesse della collettività, ed essere l'espressione della vita collettiva, è retto dalle leggi della produzione capitalistica ed è caratterizzato dal fenomeno dell'alienazione, di cui l'alienazione religiosa non è che il riflesso spirituale. Per effetto della concorrenza e della ricerca del profitto, il lavoratore, il proletario, escluso dalla proprietà e obbligato a vendere il proprio lavoro, esteriorizza, aliena le proprie forze, la propria essenza negli oggetti che crea ma di cui non può appropriarsi, e spogliandosi così in essi della propria sostanza, s'indebolisce nella misura stessa in cui produce. Al tempo stesso che si indebolisce, rafforza, con le ricchezze che crea e che a lui si oppongono sotto forma di denaro, il capitale, che lo asserve e lo sottomette alle stesse leggi che reggono la produzione delle merci, abbassandolo al grado di uno strumento di produzione, di una macchina.
Questo regime che stabilisce il dominio della materia sull'uomo, trasforma le relazioni personali tra gli uomini in relazioni oggettive, in rapporti di produzione e di scambio di merci, e porta, con la cosifìcazione dei rapporti sociali prodotta dal dominio del denaro, allo sfruttamento dell'uomo da parte dell'uomo e al trionfo dell'egoismo, che ha per effetto di isolare l'uomo dalla società e di abolire la vita collettiva che costituisce l'essenza stessa della vita umana.
Questo regime inumano è stato giustificato dagli economisti classici, che considerano come naturale e necessario questo modo di produzione che subordina l'uomo alla materia e lo asserve agli oggetti che esso produce.
Rimproverando agli economisti classici di non tener conto dell'elemento umano, Marx sostiene con Feuerbach che l'uomo deve realizzare nella società la propria essenza, che è l'essere collettivo, l'umanità considerata nelle sue qualità specifiche2.
Questo implica la soppresssione del regime capitalistico, che costituisce col lavoro alienato la negazione stessa della condizione umana, e la sua sostituzione con un nuovo regime, che permetterà all'umanità di realizzare la sua essenza.
Questa soppressione non può risultare da una evoluzione necessaria, puramente meccanica della società, ma dev'essere prodotta dalla volontà attiva degli uomini, che, a differenza degli animali, trasformano in maniera cosciente le loro condizioni di vita.
Si è tentato di rimediare alle tare del regime capitalistico con riforme parziali, dirette a migliorare l'organizzazione del lavoro e le condizioni del salariato, ma queste riforme sono inefficaci perché lasciano sussistere il lavoro alienato, causa prima di tutte quelle tare.
La soppressione del lavoro alienato deve avere un carattere radicale; essa si effettuerà mediante la negazione totale dell'ordine presente e la sua sostituzione con un ordine nuovo, che sarà il regime comunista.
Con l'abolizione del lavoro alienato, il regime comunista permetterà all'uomo di ritrovare se stesso nel prodotto del proprio lavoro, al quale esso resta estraneo in regime di lavoro alienato, e di divenire cosciente, perciò, che il mondo è la sua creazione. Questa integrazione completa dell'uomo nel suo ambiente naturale e sociale, realizzata da un sistema collettivo di produzione e di appropriazione delle ricchezze, determinerà la soppressione dell'opposizione generata dal regime del lavoro alienato tra l'individuo e la società, tra l'uomo e la natura, e opererà cosi la riconciliazione del razionale e del reale, dello spirito e della materia.
In questo lavoro di chiarificazione — tale infatti è il valore dei Manoscritti, — Marx si serve delle concezioni e della terminologia di Feuerbach per liberarsi definitivamente dell'hegelismo, e si ispira alla interpretazione socialista che Hess aveva dato della dottrina di Feuerbach e alla critica dell'economia politica fatta da Engels, per precisare la sua concezione del comunismo.
Realizzando la sintesi del pensiero e dell'essere, dell'uomo e del mondo esterno nell'azione concepita come attività concreta, pratica, come lavoro, Marx supera Feuerbach e Hess, e inserendo l'ideale dell'umanismo nel quadro della realtà economica e sociale, cerca nell'evoluzione economica le ragioni della trasformazione sociale.
Malgrado cosi non sembri all'apparenza, quest'opera, per il fine che implicitamente assegna alla critica e alla storia, resta ancora profondamente imbevuta di idealismo.
Come Hegel e Feuerbach, è secondo una concezione astratta del vero destino umano che Marx in quest'opera, un po' al modo degli utopisti, determina le linee essenziali della società futura, che oppone alla società presente. Il fine ultimo della emancipazione umana è la realizzazione dell'umanismo con la abolizione del regime economico e sociale presente, che è irrazionale e immorale.
Questa trasformazione è guidata dalla critica, che resta per Marx un elemento essenziale del progresso. La critica, infatti, agendo come energia pratica, regola il corso della storia opponendo alla realtà presente, irrazionale perché contraria al destino umano, una realtà conforme alla vera natura dell'uomo.
Ma, a differenza della critica di B. Bauer, la critica in Marx resta legata al reale. La sua opera non è arbitraria, dettata dal solo desiderio e dalla sola volontà degli uomini, ed essa non può determinare l'evoluzione del mondo se non in quanto il mondo presenta già in sé le condizioni e racchiude gli elementi della sua trasformazione. Perciò Marx analizza le condizioni e le ragioni economiche e sociali che rendono necessaria la trasformazione della società in una società razionale, e dimostra che il regime capitalistico contiene in sé i germi della sua decomposizione e della sua sostituzione con un regime comunista.
Ricercando cosi le ragioni essenziali del divenire della storia, Marx le trova nella trasformazione del regime economico e sociale, e condotto a stabilire, da ciò, uno stretto legame tra lo sviluppo economico e l'evoluzione sociale, giunge a una prima concezione del materialismo storico e dialettico.
6. La Sacra Famiglia.
Marx precisa questa concezione nella Sacra Famiglia (1844), la prima opera che sia stata scritta in collaborazione con Engels e quella che segna la fine del suo periodo giovane-hegeliano. Riprendendo su una nuova base il problema dell'umanismo, vale a dire il problema dell'emancipazione totale dell'uomo, Marx stabilisce, meglio di quanto non avesse fatto in Economia Politica e Filosofia, che questa emancipazione non può essere, come pensavano Hegel, B. Bauer, Feuerbach ed anche M. Hess, una emancipazione di ordine spirituale, più o meno limitata alla coscienza umana, ma deve essere una emancipazione concreta, pratica, d'ordine essenzialmente economico e sociale.
In questa fase della sua evoluzione, egli si ispira principalmente al materialismo del sec. XVIII e al socialismo francese, di cui studia allora a fondo le concezioni e le dottrine, che gli mostrano l'influenza determinante dell'ambiente sull'evoluzione umana \
Relegando perciò in secondo piano i problemi dell'umanismo e dell'alienazione, che avevano ancora un carattere semiidealistico in Economia Politica e Filosofia e ne costituivano i temi centrali, sotto l'influenza di queste dottrine Marx pone il problema del comunismo sul piano economico e sociale e giunge ad una nuova concezione della storia, che gli appare essenzialmente determinata nella sua evoluzione dalla trasformazione del sistema di produzione e dei rapporti sociali.
Precisando il suo pensiero attraverso una critica dell'idealismo speculativo di B. Bauer, che costituiva una parodia dell'idealismo hegeliano, e dimostrando con suprema facilità il meccanismo della filosofia speculativa, Marx dimostra con un'analisi dei rapporti che questa filosofia stabilisce tra il concetto e la realtà concreta, la deformazione che la filosofia speculativa apporta a quest'ultima 1.
Se, dice Marx facendo un esempio, si riducono i frutti reali, mele, pere, uva, al concetto frutto, come vuole la filosofia speculativa, e se si considera che questo concetto, esistente al di fuori di essi, costituisca la loro essenza, si fa del concetto la sostanza dei frutti reali e dei frutti dei semplici modi di esistenza di questo concetto. Ciò che vi è ormai d'essenziale nella mela, nella pera, non è il loro essere reale, ma l'idea astratta, il concetto che ad essi è stato sostituito e che costituisce la loro sostanza.
Dopo aver cosi ridotto i frutti reali al concetto frutto, la filosofia speculativa, per giungere all'apparenza di un contenuto concreto, deve regredire da questa sostanza astratta, da questo concetto verso i veri frutti. Ma se è facile ricavare dai differenti frutti il concetto di frutto, non si può, muovendo da questo concetto, giungere ai frutti reali se non rinunciando all'astrazione. E questo fa la filosofia speculativa, ma soltanto in apparenza. Se, essa dice, i frutti, che esistono realmente solo in quanto sostanza, appaiono sotto forme differenti, il che è contrario all'unità della sostanza, all'unità del concetto di frutto, ciò si deve al fatto che il frutto, considerato come sostanza, non è un concetto morto, ma una realtà viva di cui le varietà di frutti non sono che le espressioni differenti. I frutti reali, mele, pere, non sono che i differenti gradi del concetto frutto, che costituisce la totalità dei frutti.
Dopo aver cosi ridotto gli oggetti ad un concetto, la speculazione filosofica li ricrea facendo di essi le espressioni di questo concetto, realizzando cioè un miracolo, perché ricava da un termine irreale e astratto oggetti concreti. Questi, però, non sono concreti che in apparenza; la loro qualità essenziale non è la loro qualità naturale, e il loro solo interesse è di rappresentare il concetto, di cui non sono che modi di essere.
A questo idealismo che sostituisce al mondo reale un mondo puramente immaginario, Marx oppone una concezione nuova del mondo che, ponendo in primo piano la realtà economica e sociale, spiega con essa la formazione e lo sviluppo delle idee.
Opponendo a ciascuna delle tesi di B. Bauer la tesi contraria del materialismo storico e dialettico, Marx dimostra che l'erronea concezione che Bauer ha della storia e la falsità dei suoi giudizi, in particolare su Proudhon e sul socialismo francese, dipendono dal suo idealismo speculativo.
B. Bauer aveva rimproverato a Proudhon di essere un utopista e di muovere da una idea assoluta, dall'idea di giustizia, per condannare in nome di questa idea la società presente.
Lungi dall'essere un utopista, gli risponde Marx, Proudhon ha ricavato tutto il suo sistema dalla critica della proprietà privata, principio fondamentale dell'attuale regime.
Proudhon ha dimostrato che la società privata è la fonte di tutti i mali sociali, e ha bene impostato il problema sociale considerandolo come un problema pratico e non come un problema speculativo, poiché la società non si trasforma per la sola virtù del ragionamento.
Il suo errore consiste nel non aver spinto fino alle estreme conseguenze la critica della proprietà privata e nell'aver creduto all'eternità delle categorie economiche, valore, salario, prezzo, denaro, invece di dimostrare, come Engels, che esse non sono altro che forme diverse della proprietà privata.
Poiché attribuisce i mali sociali non alla natura stessa della proprietà privata, ma ad alcuni dei suoi caratteri, non ha saputo trovare la soluzione del problema sociale al di fuori di essa. Egli si propone si di sopprimere uno stato di cose che obbliga l'uomo a vendersi e che fa del lavoro umano un lavoro alienato, ma siccome sostiene la necessità di conservare una certa forma di proprietà privata, la soppressione dell'alienazione si effettua nell'ambito stesso del sistema che produce l'alienazione, si effettua cioè, non mediante la soppressione totale della proprietà privata che la genera, ma mediante la creazione di una forma attenuata di questa proprietà, il possesso.
Questa posizione riformista spiega perché egli non sia capace di dimostrare come lo sviluppo politico e sociale sia determinato dall'opposizione tra la ricchezza e la povertà, tra la borghesia e il proletariato. Siccome non mira a trasformare radicalmente la società, egli non considera della miseria generata dal regime della proprietà privata che il suo aspetto di povertà, senza rendersi conto che essa costituisce l'elemento rivoluzionario, destinato a trasformare questo regime. La ricchezza e la miseria costituiscono infatti due aspetti diversi di una stessa realtà: la ricchezza è il lato positivo della proprietà privata e tende a conservarla, mentre la miseria ne è il lato negativo e tende a sopprimerla.
Creando la classe dei proletari, la proprietà privata distrugge senza volerlo se stessa, perché il proletariato ha la missione di eseguire la sentenza che la proprietà privata pronuncia contro se stessa generando la miseria.
E' dal medesimo punto di vista che Marx rifiuta le critiche mosse al materialismo del sec. XVIII e al socialismo da B. Bauer, che scorgeva nel primo soltanto un aspetto del razionalismo e condannava dogmaticamente il secondo considerandolo come espressione delle tendenze della «massa» sempre opposte a quello dello Spirito, anziché cercare di comprenderne l'origine e la necessità storica.
Collegando in questa confutazione la formazione del socialismo a quella del materialismo, Marx dimostrava che nel materialismo del sec. XVIII erano insite due tendenze, una tendenza meccanicistica nata dalla fisica di Cartesio che, considerando la materia come unica sostanza, approdava ad una concezione meccanicistica del mondo, e una tendenza sociale derivata da Locke, che affermava l'identità tra le leggi che governano la natura e l'uomo e l'origine materiale delle sensazioni e delle idee, che sono il risultato dell'esperienza e dell'abitudine, e sottolineava perciò l'importanza dell'educazione e dell'ambiente nell'evoluzione umana. Ispirandosi a queste concezioni, i primi teorici socialisti e comunisti sostenevano che, se è vero che l'uomo si modella secondo il mondo esteriore e che dipende dal proprio ambiente, è necessario trasformare questo mondo e organizzare questo ambiente in modo da umanizzarlo, cioè da renderlo favorevole allo sviluppo delle più alte qualità umane.
Dopo aver liquidato l'idealismo speculativo di B. Bauer opponendogli una nuova concezione della storia che lo induceva a cercare la soluzione delle questioni filosofiche, politiche e sociali nell'evoluzione economica, Marx, ispirandosi appunto a questa concezione, si staccherà da Feuerbach e da Hess, che gli avevano permesso di passare dall'idealismo al materialismo e dal liberalismo al comunismo, ma che, incapaci di spiegarsi l'evoluzione storica, riuscivano a conclusioni utopistiche.
7. Le Tesi su Feuerbach.
Le Tesi su Feuerbach (1845) dovevano consacrare questa seconda rottura.
La Sacra Famiglia aveva permesso a Marx di esporre, sia pure in forma un po' disorganica, il risultato dell'evoluzione del suo pensiero durante il suo soggiorno a Parigi, che era stato un periodo particolarmente fecondo per lui.
Doveva ora precisare, ordinare e raccogliere le sue nuove concezioni; e lo fece, in formule chiare e incisive, nelle sue undici tesi su Feuerbach, nelle quali stabilisce, criticando insieme l'idealismo e il materialismo meccanicistico, le linee generali del materialismo storico e dialettico.
La sua duplice critica dell'idealismo e del materialismo meccanicistico muove dalla nozione dell'azione concepita come attività pratica, come lavoro, nozione che aveva ricavato da una prima critica dell'idealismo.
I difetti fondamentali dell'idealismo e del materialismo meccanicistico derivano dal misconoscimento della natura e della funzione rivoluzionaria dell'azione, misconoscimento che li rende entrambi incapaci di spiegare l'evoluzione del mondo e che li porta, perciò, a concezioni utopistiche.
A differenza dell'idealismo, che riduce la realtà concreta all'Idea, il materialismo meccanicistico distingue, è vero, l'oggetto sensibile dal pensiero, ma poiché considera il mondo esterno soltanto come oggetto di percezione, di conoscenza, e non di azione, conserva nei riguardi della realtà un atteggiamento passivo, da osservatore, e non può perciò concepire come l'evoluzione del mondo sia il prodotto dell'attività umana, che integra l'uomo nell'ambiente che esso stesso trasforma.
L'idealismo ha il difetto opposto. Al contrario del materialismo meccanicistico, l'idealismo sottolinea la funzione preminente dell'attività umana, che costituisce la realtà essenziale. Ma sopprimendo il reale concreto in quanto tale, riducendolo allo Spirito, riduce l'attività dell'uomo all'attività spirituale e dà perciò un carattere illusorio alla vita umana spogliata del suo elemento concreto (I Tesi).
Per realizzare la sintesi del pensiero e del reale, dell'uomo e del mondo esterno, è necessario da un lato, conservare al mondo esterno la propria realtà, e dall'altro, considerarlo come il prodotto dell'attività concreta, pratica dell'uomo. E questo fa il materialismo storico e dialettico che, fondato su questa nozione dell'azione concepita come attività pratica, solo è capace di spiegare l'integrazione dell'uomo nel mondo e il divenire della storia.
Questo materialismo urta, come ogni materialismo, contro l'obiezione fondamentale dell'idealismo, che afferma non potersi provare che alla rappresentazione che abbiamo delle cose corrispondano oggetti reali, distinti da noi, e che nega perciò la realtà oggettiva del mondo esterno. A questa obiezione dell'idealismo, riguardante l'impossibilità per l'uomo di attingere la realtà concreta e la verità oggettiva, Marx risponde che l'uomo conosce il mondo solo in quanto oggetto della propria esperienza e che, perciò, la questione della realtà del mondo esterno non è come sostengono gli idealisti una questione teorica, ma una questione pratica. Non il pensiero, considerato in sé, in maniera astratta, ma l'attività pratica soltanto può provare la realtà e la verità della conoscenza, mostrandone l'efficienza. Cercare un'esistenza trascendentale al di fuori della conoscenza che solo può dare l'attività pratica, significa cercare una cosa che non esiste, o che, almeno, non ha alcuna realtà per noi (II Tesi).
L'attività pratica, che costituisce dunque il fondamento della certezza che noi abbiamo della realtà oggettiva del mondo esterno, è anche l'elemento, lo strumento rivoluzionario che permette all'uomo di trasformare il mondo.
Il misconoscimento di questo carattere e di questa funzione dell'azione, porta Feuerbach a porre il problema religioso e il problema sociale sul piano ideologico e spiega la sua incapacità di risolverli.
Alla religione e all'idealismo Feuerbach rimprovera di non tener conto della natura concreta, sensibile dell'uomo, per il quale dimostra la necessità di restar sempre aderente alla realtà concreta, che sola gli dà la coscienza della sua vera natura. Ma poiché concepisce, come il materialismo meccanicistico, questa presa di contatto col mondo esterno sotto forma di percezione, di contemplazione, e non sotto forma di attività pratica, concreta, toglie ad essa ogni efficienza (V Tesi).
Di qui l'insufficienza della sua critica della religione e della società. Nella sua analisi della religione, egli riconduce, è vero, l'essere religioso all'essere umano, l'essenza della religione all'assenza umana, ma incapace di penetrare la realtà sociale di quest'ultima, la concepisce in maniera astratta, in sé, al di fuori della società e della storia, e riduce l'umanità al vago concetto di specie, cioè a una totalità di individui indifferenziati stretti tra loro da legami naturali, mentre, in realtà, essa è costituita dall'insieme dei rapporti sociali (VI Tesi).
Avendo cosi dell'individuo e della società una concezione astratta, Feuerbach pone il problema dell'alienazione religiosa, dello sdoppiamento del mondo in un mondo immaginario e in un mondo reale, su un piano ugualmente astratto, e dà di questo sdoppiamento una spiegazione psicologica, anziché ricercarne le ragioni sociali. Siccome non vede che l'illusione religiosa non è che la trasposizione ideologica della lacerazione profonda della società attuale, giudica che per dissiparla sia sufficiente dimostrarne il fondamento umano, mentre, in realtà, è necessario distruggere le contraddizioni sociali che la generano, cosa solo possibile all'azione rivoluzionaria (IV Tesi).
Ponendo il problema religioso sul piano psicologico, Feuerbach ricorre essenzialmente all'educazione per dissipare l'illusione religiosa e trasformare la società. È indotto cosi a dividere la società in due classi opposte, quella degli educatori, incaricata di riformare gli uomini, e la folla ignorante, la massa passiva che i primi debbono educare. Questa concezione reazionaria, che giustifica l'esistenza di una classe dominante, non tiene conto del fatto che l'educatore deve egli stesso essere educato dal suo ambiente e che l'ambiente è senza posa trasformato dall'attività umana (III Tesi).
Il fenomeno religioso è in realtà un fenomeno sociale, e l'individuo astratto al quale Feuerbach riconduce l'uomo, è esso stesso il prodotto di una determinata forma della società (VII Tesi).
Per risolvere il problema religioso, come del resto tutti i problemi che si pongono all'uomo, è necessario porsi sul piano sociale, analizzare i rapporti sociali che si stabiliscono tra gli uomini e le loro reali condizioni di vita. Si comprendono allora le ideologie, che esprimono sul piano spirituale queste condizioni e questi rapporti, e si chiariscono i misteri della religione (Vili Tesi).
È proprio perché considera i rapporti dell'uomo col mondo esterno sotto forma di percezione e non sotto forma di attività pratica, che Feuerbach, e con lui il materialismo meccanicistico, non si leva al di sopra della nozione dell'uomo concepito come un individuo isolato, e non può perciò spiegare l'integrazione dell'uomo nel mondo e la sua azione sul mondo (IX Tesi).
Questa concezione individualistica dell'uomo, che è quella del materialismo meccanicistico, è propria della società borghese, di cui questo materialismo è il riflesso. Superando questo punto di vista individualistico, il materialismo storico e dialettico, che riflette un tipo nuovo di società in cui si realizza la vera natura dell'uomo, mostra come l'uomo renda umana la natura adattandola ai suoi bisogni e dia alla società un carattere umano (X Tesi).
In tal modo questo materialismo supera non soltanto il materialismo meccanicistico, ma più generalmente ogni filosofia.
La filosofia, infatti, dedicandosi essenzialmente a comprendere il mondo, pensa che il legame fondamentale tra l'uomo e la realtà concreta sia costituito dal pensiero; riducendo cosi il mondo alle diverse attitudini che la coscienza, il pensiero, possono assumere di fronte ad esso, si limita a dare del mondo interpretazioni differenti. Rifiutando questo punto di vista contemplativo, il materialismo storico e dialettico, pone in primo piano l'azione, che sola permette l'integrazione effettiva dell'uomo nel mondo esterno, e considera l'attività pratica, e non il pensiero astratto, come il vero legame tra l'uomo e la realtà concreta; di conseguenza, l'attività dell'uomo non deve essere una attività puramente spirituale e limitarsi alla conoscenza, ma deve tendere essenzialmente a legare la conoscenza all'azione per trasformare il mondo.
I filosofi si sono finora limitati a dare interpretazioni diverse del mondo, ma ciò che importa è di trasformarlo (XI Tesi).
In queste tesi, Marx chiariva e condensava gli elementi fondamentali della sua nuova dottrina del materialismo, che doveva permettergli di giungere a una concezione egualmente nuova del comunismo, di un comunismo fondato non su una visione ideale della società futura, ma sull'analisi dello sviluppo storico e dialettico dell'organizzazione economica e sociale.
Studiando l'uomo concreto non nei suoi rapporti con una idea metafisica, come Hegel o B. Bauer, o in relazione a un vago concetto di umanità, come Feuerbach e Hess, ma nelle sue relazioni economiche e sociali, Marx poneva al centro delle sue concezioni la nozione di azione concepita come attività concreta, pratica, come lavoro.
Associando a questa nozione del lavoro, considerato come legame tra l'uomo e il mondo esterno e insieme come mezzo per trasformare il mondo, l'idea della soppressione del lavoro alienato proprio del regime capitalistico, Marx giunge a fondere in una medesima concezione il materialismo storico e dialettico e il comunismo, e a superare sia l'idealismo e il materialismo meccanicistico che il socialismo utopistico, ugualmente incapaci di spiegare l'integrazione dell'uomo nel mondo e il divenire della storia.
Marx poneva dunque come realtà essenziale l'azione, intesa non come pura azione spirituale, né sottomessa ad un determinismo fatalistico, né posta sul piano dell'opposizione tra l'ideale e la realtà, ma considerata come attività pratica realizzante la sintesi del soggetto e dell'oggetto e, nello stesso tempo, l'integrazione effettiva dell'uomo nel mondo esterno; e considerava la trasformazione del mondo come il fine dell'azione. Gli restavano da studiare le ragioni e il modo di questa trasformazione, e lo fece nella seconda grande opera scritta in collaborazione con Engels : L'Ideologia Tedesca .
8. L'Ideologia Tedesca.
Ricercando le ragioni e i fini essenziali dell'attività umana, Marx li trova nell'organizzazione e nella produzione della vita materiale, e giunge cosi a una concezione non più idealistica, ma materialistica della storia.
Criticando la concezione idealistica della storia che riconduce l'evoluzione storica allo svolgimento delle idee, concezione propria dei filosofi, che credono di poter trasformare il mondo in virtù del solo pensiero, Marx rimprovera agli storici ideologi di aver se non completamente trascurato, almeno considerato come secondario lo studio della vita materiale e, in particolare, lo studio del regime di produzione che costituisce la base reale della storia. Separando cosi la storia dal suo fondamento economico e sociale, essi l'hanno ridotta ad una successione di idee politiche o religiose, delle quali hanno fatto la causa efficiente dell'evoluzione storica, mentre in realtà, esse non costituiscono che le forme ideologiche che gli impulsi reali delle azioni umane assumono nella coscienza degli uomini \
Per giungere a un'esatta concezione della storia, è necessario contrariamente a ciò che fanno gli storici ideologi, muovere non da un'umanità immaginaria e ridotta ad astrazione, ma dagli uomini considerati nella loro attività economica e sociale, e studiare l'evoluzione delle forze di produzione che-determina quella della società \
Assunta la produzione della vita materiale come fondamento della storia, si può stabilire come lo svolgimento della realtà materiale determini quello della realtà spirituale, anziché ridursi ad esso. Si approda allora a questa conclusione, che la critica dev'essere diretta essenzialmente verso la realtà materiale e non verso la realtà spirituale, e che quest'ultima non può essere effettivamente trasformata se non mediante una modificazione profonda della realtà materiale, dell'organizzazione economica e sociale che la genera2.
Dopo aver posto il principio fondamentale della sua concezione materialistica della storia, Marx traccia a grandi linee l'evoluzione economica e sociale dell'umanità.
A differenza dell'animale che subisce l'influenza dell'ambiente senza modificarlo, l'uomo trasforma incessantemente l'ambiente in cui vive, per adattarlo ai propri bisogni. Di conseguenza, l'ambiente dell'uomo non è soltanto, come per l'animale, il suo ambiente naturale, ma anche e soprattutto il suo ambiente sociale *.
Ogni generazione, perciò, è determinata dal sistema di produzione trasmesso dalla generazione precedente, che essa modifica secondo i propri bisogni prima di trasmetterlo alla generazione seguente *.
Si hanno cosi un'azione e una reazione costanti dell'ambiente naturale e sociale sull'uomo e dell'uomo sul suo ambiente; l'uno determina l'altro e nello stesso tempo ne è determinato. È ciò che Marx esprime dicendo : «L'ambiente crea l'uomo nella stessa misura che l'uomo l'ambiente».
Questo adattamento progressivo dell'ambiente all'uomo costituisce la storia dell'umanità. Ogni fase della storia è segnata da una nuova fase delle forze di produzione e dei rapporti sociali da esse generati. A forze di produzione determinate corrispondono determinati rapporti sociali, una specifica organizzazione sociale, resa necessaria dalla messa in opera di queste forze e ad esse adeguata; e ogni cambiamento profondo di queste forze di produzione trae con sé una modificazione dei rapporti sociali.
L'evoluzione storica si effettua in forma dialettica, attraverso l'opposizione, la contraddizione che si stabilisce tra le forze di produzione e l'organizzazione sociale, che non evolvono col medesimo ritmo.
Mentre le forze di produzione si sviluppano incessantemente, l'organizzazione sociale tende a stabilizzarsi e, adeguata ad antiche forze di produzione, diviene un ostacolo per le nuove forze di produzione che si creano. Essa allora dev'essere distrutta e sostituita da un'altra organizzazione sociale, da altri rapporti sociali adeguati alle nuove forze di produzione. Una rivoluzione non è altro che questo adattarsi dell'organizzazione sociale alle nuove forze di produzione.
La Rivoluzione del 1789 non è stata che la distruzione della società feudale e la sostituzione di essa con la società borghese, adeguata al sistema di produzione capitalistico.
Lo sviluppo dialettico parallelo delle forze di produzione e dei rapporti sociali non si effettua in maniera uniforme, ma varia a seconda dei paesi e delle diverse branche di attività; né c'è passaggio automatico e meccanico da un grado all'altro, ciò che spiega la sopravvivenza di modi di produzione disusati che si può constatare in una determinata epoca (mulini a vento che sussistono a fianco dei mulini a vapore).
Il conflitto tra le forze di produzione ed i rapporti sociali, ha generalmente un carattere sociale e si esprime attraverso le lotte di classe, ma può assumere anche un carattere politico o religioso, e può indurre, in tal caso, a darne un falso giudizio.
A ogni grado dello sviluppo delle forze di produzione corrisponde una nuova forma della divisione del lavoro, che determina, con la specializzazione dell'attività umana, la separazione tra l'industria, il commercio e l'agricoltura; ad ogni nuovo grado della divisione del lavoro corrisponde una diversa forma della proprietà l.
Le principali forme di divisione del lavoro e di proprietà succedutesi nel corso della storia, di cui segnano le grandi fasi di sviluppo, sono:
a) La proprietà collettiva della tribù, che corrisponde a un grado poco elevato della produzione, limitato alla pesca, alla caccia e all'allevamento2.
b) La proprietà della comunità, nell'ambito della quale nasce la proprietà privata, che resta tuttavia subordinata alla proprietà collettiva. Con essa compare la fondamentale divisione del lavoro tra l'agricoltura e l'industria, la separazione tra la campagna e la città. La formazione della città porta, con la concentrazione della popolazione operaia e degli strumenti di lavoro, alla separazione tra il capitale e il lavoro 3.
e) La proprietà feudale, fondata sull'organizzazione della produzione agricola e sullo sfruttamento dei servi vincolati alla terra.
L'industria vi riveste una forma artigianale e corporativa che, limitando il capitale alla proprietà dei locali, degli utensili o della clientela (capitale costante) non favorisce la divisone del lavoro 1.
d) Il grado successivo della divisione del lavoro è segnato dall'estensione degli scambi, che porta con sé una separazione tra la produzione e la circolazione delle ricchezze, tra l'industria e il commercio, e la creazione di una classe particolare, quella dei mercanti. La separazione tra la città e la campagna assume allora la forma di separazione tra la proprietà mobiliare (capitale) e la proprietà fondiaria2.
La concentrazione dei capitali e della popolazione operaia permette la creazione di manifatture e lo sviluppo del commercio bancario, che si effettua parallelamente a quello delle manifatture e favorisce, con l'aumento del volume del capitale mobiliare, la formazione della grande industria, che è caratterizzata dall'utilizzazione di nuove forze motrici, dall'impiego intensivo delle macchine e dall'accrescimento della divisione del lavoro portato dalla specializzazione8.
Lo sviluppo della grande industria e del commercio comporta, oltre che una crescente concentrazione di capitali, una separazione sempre maggiore tra la produzione e la proprietà, tra il capitale e il lavoro, e con essa, una opposizione sempre crescente tra la borghesia e il proletariato '.
La separazione tra il capitale e il lavoro, privando la massa dei lavoratori, i proletari, del possesso degli strumenti di produzione, li costringe a vendere la loro forza di lavoro e ad alienarla nelle merci che essi producono e che li asservono assumendo la forma di denaro, di capitale.
In questo regime di lavoro alienato, caratteristico del regime capitalistico, il produttore separato dal frutto del suo lavoro non ha valore se non nella misura in cui, in virtù della sua forza di lavoro, costituisce egli stesso una merce, e partecipa alla vita sociale appunto solo in quanto ha valore di merce.
Questa trasformazione dei rapporti personali tra gli uomini in relazioni tra oggetti, in scambio di merci, questa cosificazione dei rapporti sociali, rompendo i legami di solidarietà tra gli uomini, rende del tutto illusoria la vita collettiva. Questa è incarnata nello Stato che rappresenta, ma soltanto in apparenza, l'interesse generale e che, in realtà, non è che lo strumento politico della dominazione di classe, necessario alla borghesia per garantire la proprietà privata e per salvaguardare i propri interessi di classe2.
Questo risulta evidente nel diritto e nella legislazione che, malgrado la loro pretesa di rappresentare l'interesse generale, difendono sempre, di fatto, gli interessi della classe dirigente e si evolvono insieme ad essa.
Per assicurare la conservazione di queste condizioni di esistenza, la classe dirigente è portata a dare alla sua volontà particolare il carattere di volontà generale, di volontà dello Stato, di legge, la cui apparente neutralità non serve che a mascherare la difesa degli interessi particolari di questa classe.
L'apparente neutralizzazione dei divergenti interessi di classe nello Stato, spiega come all'interno di esso le lotte sociali si trasformino in lotte politiche, in conflitti tra l'aristocrazia e la democrazia, tra la monarchia e la repubblica. Tali conflitti, al di là delle loro forme illusorie, non sono che lotte sociali, lotte di classe.
Questa lotta degli interessi privati, che ha luogo in forma politica all'interno dello Stato, rende necessario che intervenga a regolarla lo Stato stesso, che è considerato il rappresentante dell'interesse generale al di sopra degli interessi particolari e che, di conseguenza, appare agli individui non come l'espressione della loro propria forza, ma come una potenza ad essi estranea e superiore \
Per giustificare il regime capitalistico di cui beneficia, la borghesia ricorre, al di fuori dello Stato — che incarna teoricamente l'interesse generale, ma difende in pratica i suoi interessi particolari, — alla economia politica che, considerando questo regime come effetto della natura stessa delle cose, gli conferisce un carattere necessario e per ciò stesso razionale.
Criticando questa giustificazione del regime capitalistico, Marx dimostra che l'economia politica si fonda sulla cosificazione dei rapporti sociali, ridotti a rapporti tra merci, cosificazione che risponde a una forma storica determinata della produzione. Non appena l'apparente obiettività e necessità delle relazioni sociali sia smascherata, non appena ne sia rivelato il reale carattere, esse appaiono nella loro vera forma di lavoro alienato, come la negazione stessa dell'umanità. L'abolizione di questo regime inumano non può effettuarsi che dialetticamente, mediante la negazione dell'ordine presente ed il superamento di esso in un ordine nuovo, negazione e superamento che sono i due aspetti di un medesimo processo storico.
Questa trasformazione della società richiede, oltre che un certo grado di sviluppo materiale e spirituale, una classe organizzata e cosciente del fine da realizzare ; essa sarà opera del proletariato, il cui compito storico non è soltanto quello di liberarsi dalle sue catene, come prima di esso facevano le classi oppresse, ma di liberare l'intera umanità. Non avendo infatti uno specifico interesse di classe da difendere a detrimento di un'altra classe, il proletariato, liberandosi dalle sue particolari condizioni di esistenza caratterizzate dal lavoro alienato, libererà tutta la società \
La rivoluzione proletaria sarà l'ultima espressione della lotta di classe, che è nata dalla divisione del lavoro e dagli antagonismi di interessi e che ha costituito l'elemento motore della evoluzione storica.
Dopo aver opposto nel mondo antico gli uomini liberi agli schiavi e nel medioevo i nobili ai servi, questa lotta, che pone di fronte nel mondo moderno la borghesia e il proletariato, si aggrava nella misura in cui si accresce la scissione tra il capitale e il lavoro, tra la classe borghese proprietaria degli strumenti di produzione e il proletariato che, sopportando tutti i pesi del regime capitalistico senza beneficiare dei suoi vantaggi, è condotto a distruggerlo.
Per poter condurre a buon termine la sua azione rivoluzionaria, il proletariato deve liberarsi dalle false concezioni per mezzo delle quali la borghesia nasconde i suoi particolari interessi sotto la maschera dell'interesse generale, acquistando la sua piena coscienza di classe che trova espressione nel comunismo.
Il comunismo, che mira a trasformare l'insieme dell'organizzazione economica e sociale, non è una utopia, ma, come il regime capitalistico, è il risultato necessario dello sviluppo storico.
Come il regime capitalistico che ha inquadrato fin qui la storia inserendo le attività degli individui in un determinato grado dello sviluppo delle forze di produzione, il comunismo ha un carattere universale e oltrepassa, come il regime capitalistico, i limiti delle nazioni e degli Stati.
A differenza delle rivoluzioni anteriori, che si limitavano a trasformare il modo di distribuzione del lavoro, la rivoluzione proletaria avrà un carattere radicale, poiché essa muterà il modo stesso del lavoro mediante la soppressione della proprietà privata e della divisione della società in classi. Con l'abolizione del lavoro alienato e con la trasformazione dei rapporti sociali cosifìcati in rapporti personali ed umani; il comunismo permetterà all'uomo di dirigere razionalmente la produzione anziché esserne asservito; con l'integrazione dell'uomo nel suo ambiente e con lo sviluppo della vita collettiva, esso ristabilirà la personalità umana nella sua dignità e nella sua libertà2.
Il materialismo storico e dialettico non limita la sua spiegazione della storia all'attività economica, politica e sociale degli uomini, ma estende questa spiegazione ugualmente all'insieme dell'attività spirituale.
Riconducendo essenzialmente l'evoluzione della storia allo sviluppo della produzione economica e alla trasformazione dei rapporti sociali da questa determinati, Marx dimostra insieme l'influenza determinante dell'evoluzione economica e sociale sulla formazione e sullo sviluppo di tutte le manifestazioni della vita spirituale, religione, filosofia, morale e arte. Innanzitutto egli critica la concezione ideologica che, considerando le idee in se stesse, attribuisce ad esse un valore assoluto.
Nella sua critica dell'ideologia, Marx dimostra che se si è attribuita alle idee, alle concezioni religiose e filosofiche un'esistenza indipendente dalle,, condizioni materiali della vita degli uomini e se si è ad esse assegnata una funzione determinante nello sviluppo storico, questo dipende dalla divisione tra il lavoro manuale e il lavoro intellettuale provocato dallo sviluppo costante delle forze di produzione.
Questa divisione ha generato una classe di filosofi la cui funzione sociale consiste nel creare astrazioni, alle quali essi danno una realtà e una funzione indipendente dalle condizioni dell'esistenza concreta, materiale degli uomini. La coscienza, che in essi si sviluppa al di fuori dell'attività pratica, immagina di rappresentare qualcosa di reale al di fuori dell'attività pratica e, trasformandosi cosi in teoria pura, diviene religione o filosofia,
Questa influenza della divisione del lavoro appare in tutti gli ideologi, che, con una inversione dei rapporti reali, subordinano la realtà concreta, la realtà economica e sociale alle concezioni spirituali. Cosi, ad esempio, per il giudice, la cui funzione consiste nell'applicare il codice, la legislazione diviene l'elemento determinante della realtà sociale.
Separando le idee dagli individui che le concepiscono e dalle circostanze empiriche che le fanno nascere, gli ideologi attribuiscono allo Spirito una attività creatrice assoluta, indipendente dalle condizioni della vita reale e dall'attività pratica, e regolando la evoluzione della storia sul movimento delle idee, sostituiscono alla storia reale una storia immaginaria.
Le idee e i pensieri degli uomini erano naturalmente idee e pensieri su se stessi, sulle loro reali condizioni di vita, erano la coscienza che essi avevano di sé e degli altri uomini, coscienza che si riferiva non alla loro individualità isolata, ma alla loro individualità nei suoi rapporti con l'insieme della società in cui vivevano, e che aveva rapporto, perciò, con l'insieme di quella società.
Le condizioni — indipendenti dalla loro volontà — in cui svolgevano la loro vita, i rapporti personali e sociali che dipendevano da queste condizioni, dovevano, nella stessa misura in cui si esprimevano in pensieri, assumere la forma
di condizioni ideali e di rapporti necessari, cioè assumere nella coscienza la forma di determinazioni generate dal concetto di uomo, dall'essenza umana. Quello che erano gli uomini e i loro rapporti sociali apparve alla coscienza sotto forma di rappresentazione dell'uomo in sé e del suo modo di essere. Dopo che gli ideologi ebbero posto cosi il principio che le idee e i pensieri dominavano il corso della storia, e che la storia si riconduceva alla loro propria storia, dopo essersi immaginati che i rapporti reali si fossero ordinati secondo rapporti ideali, cioè secondo concetti, dopo aver fatto della coscienza umana il fondamento della vera storia, era facile chiamare storia della coscienza, delle idee, la storia umana e sostituirla alla storia reale \
Questa sostituzione della storia delle idee alla storia reale che, in maniera del tutto naturale, porta gli ideologi a credere che con le idee si possa trasformare a proprio piacimento il mondo, spiega perché nei loro tentativi di riforma della società essi riescano tutti impotenti. Tutti si sforzano di sostituire ai rapporti impersonali e oggettivi che caratterizzano i rapporti sociali in regime capitalistico, dei rapporti personali, che salvaguardino l'autonomia umana, ma siccome si pongono su un piano spirituale e morale e non aboliscono in concreto il regime della proprietà privata che genera la cosificazione dei rapporti sociali, i loro tentativi risultano necessariamente vani.
Contrariamente a ciò che pensano gli ideologi, la formazione delle idee, della coscienza, è intimamente legata all'attività materiale degli uomini; la coscienza è l'espressione della vita reale e la sua evoluzione è inseparabile dallo sviluppo di essa.
Gli uomini producono le loro concezioni, le loro idee, in quanto uomini reali, attivi, determinati da uno sviluppo particolare delle forze di produzione e dei rapporti sociali da esse generati. La coscienza non può essere altro che l'esistenza cosciente, e l'esistenza cosciente dell'uomo è costituita dallo sviluppo concreto, reale della sua vita 2.
Marx dà nella Ideologia due esempi di questo legame tra l'evoluzione della coscienza e l'evoluzione della vita materiale. Il primo si riferisce alla coscienza primitiva.
La coscienza è inizialmente semplice coscienza della realtà sensibile immediata e dei rapporti elementari con gli altri individui. Essa è nello stesso tempo coscienza della natura, che appare innanzitutto all'uomo come una forza estranea e onnipotente, ciò che fa nascere la religione della natura. La religione della natura trae origine dal fatto che la natura non è ancora modificata dall'uomo, e che l'uomo non ha ancora coscienza della necessità di entrare in relazione con gli altri uomini per modificarla. In questa fase l'uomo non si distingue dall'animale se non perché l'istinto è in lui divenuto cosciente.
L'altro esempio dei rapporti esistenti tra lo sviluppo delle concezioni spirituali e l'evoluzione economica e sociale, Marx lo indica nel fatto che i pensieri dominanti di una epoca sono sempre quelli della classe dirigente che, esercitando il potere materiale, ha pure la preponderanza spirituale.
I pensieri della classe dominante sono in ogni epoca i pensieri dominanti, perché la classe che costituisce la potenza materiale che regna nella società costituisce nello stesso tempo la classe che regna nel campo spirituale. La classe che ha a sua disposizione i mezzi della produzione materiale dispone ugualmente dei mezzi della produzione spirituale, cosicché, in generale, i pensieri di coloro che non dispongono di mezzi di produzione spirituale le sono sottomessi.
I pensieri dominanti non sono altro che l'espressione spirituale dell'organizzazione che fa di una classe quella dominante, essi non sono altro che l'espressione del potere di questa classe. Gli individui che compongono la classe dominante ne hanno perfetta coscienza, e va da sé che, nella misura in cui regnano in quanto classe e determinano la loro epoca, essi esercitano pienamente il loro potere e regolano, in particolare come filosofi, come produttori di idee, la produzione e la distribuzione dei pensieri della loro epoca, facendo in tal modo dei loro pensieri, i pensieri dominanti del loro tempo. Cosi, per esempio, in un'epoca in cui la monarchia, l'aristocrazia e la borghesia si dividono il potere, il pensiero dominante è la dottrina della divisione dei poteri, che è enunciata come una legge eterna.
Pur collegando l'evoluzione spirituale allo sviluppo economico e sociale, che solo può spiegarne il carattere e le ragioni, Marx tuttavia non pretende di subordinare strettamente la realtà spirituale alla realtà materiale e di stabilire tra di esse un parallelismo rigoroso che sarebbe arbitrario e falso.
L'insieme delle concezioni religiose, filosofiche, politiche e morali di una società, non si evolve, infatti, né col medesimo ritmo, né nello stesso modo della sua organizzazione economica e sociale. Mentre la trasformazione delle forze di produzione si accompagna necessariamente ad una trasformazione parallela dell'organizzazione sociale, il mutamento avviene in maniera più lenta nel campo delle idee, che sono collegate al sistema di produzione meno direttamente e meno strettamente.
Se già sul piano economico si può constatare, in un dato momento, la coesistenza di forze di produzione diverse (mulini ad acqua e mulini a vapore), a maggior ragione si può constatare la sopravvivenza, in un'epoca determinata, di concezioni corrispondenti a un modo di vita anteriore, che coesistono con altre concezioni rispondenti a nuovi modi di vita.
D'altra parte benché neghi alle idee, alle concezioni spirituali, una funzione fondamentale nell'evoluzione storica, Marx tuttavia le considera una realtà sociale molto importante, che, in quanto tale, influisce sullo svolgimento della storia, di cui essa può modificare, sia opponendosi ad esso, sia invece favorendolo, se non il corso generale, almeno il ritmo e le modalità.
Rifiutando infatti l'ideologia come fattore determinante dell'evoluzione storica, Marx non fa dell'uomo, con un ritorno al materialismo meccanicistico, lo strumento passivo delle forze di produzione, l'oggetto di un determinismo fatalistico. Egli dimostra, al contrario, l'importanza crescente dell'azione razionale che l'uomo esercita sul suo ambiente, trasformandolo sempre più profondamente per liberarsi dal suo dominio ed adattarlo ai propri bisogni.
Queste sono le linee generali della concezione materialistica e dialettica della storia e del comunismo, che doveva dominare e dirigere ormai tutto il pensiero di Marx e di cui egli avrebbe fornito, due anni più tardi, un'esposizione meno completa, ma più sintetica e più chiara nel Manifesto del Partito Comunista.
Riassumendo, il marxismo costituisce il punto di approdo di un vasto movimento di pensiero, che tende ad adattare la concezione generale del mondo al nuovo modo di vita nato dallo sviluppo del regime capitalistico e dalla formazione del regime comunista, che questo genera nel suo declino. Esso succede al pensiero borghese, che, traducendo sul piano ideologico le nozioni di libertà, di movimento e di progresso proprie del sistema capitalistico in ascesa, segna il progressivo passaggio da una concezione statica a una concezione organica e dinamica del mondo.
Dopo il movimento di liberazione spirituale costituito dal Rinascimento e dalla Riforma, il razionalismo, aggiungendo alla nozione di libertà quella di progresso razionale, segna un nuovo grado nell'adattamento della concezione generale del mondo allo sviluppo del sistema capitalistico.
Il razionalismo, che si differenzia a seconda del ritmo particolare dello sviluppo di questo sistema in Inghilterra, in Germania e in Francia, non giunge, per la contraddizione inerente al regime capitalistico tra un sistema di appropriazione individualistico ed un sistema di produzione di carattere sempre più collettivo, a superare la concezione dualistica che oppone lo spirito alla materia, l'uomo alla natura, e a risolvere il problema essenziale dell'integrazione dell'uomo nel mondo esterno, problema che è posto dallo sviluppo stesso del regime capitalistico in conseguenza dell'incessante intensificarsi della produzione.
Tutti i tentativi fatti del pensiero borghese per risolvere questo problema sul piano della contraddizione capitalistica, sul piano di una organizzazione sociale fondata sulla proprietà privata, approdano necessariamente ad una soluzione ideologica.
Le prime due prove, fatte da Rousseau e da Kant per risolvere questo problema mediante una concezione organica del mondo, riescono in Rousseau ad una integrazione illusoria dell'uomo in una natura e in una società immaginarie, e in Kant ad una totalità puramente formale.
Questo tentativo di integrazione dell'uomo nel mondo è ripreso, dopo Rousseau e Kant, dalla filosofìa idealistica tedesca, che, ponendosi come loro sul piano della società borghese, è ugualmente condotta a realizzare questa integrazione in maniera utopistica e illusoria. Per integrare l'uomo nel mondo, essa si sforza di ridurre a unità organica tutto l'insieme del reale. Considerando la realtà spirituale e la realtà materiale come due manifestazioni diverse nelle forme, ma simili nell'essenza, della vita che anima tutti gli esseri, riconduce questa vita alla vita spirituale e fa dello Spirito non soltanto lo strumento della conoscenza, ma anche il principio creatore di ogni cosa.
Ispirandosi a Kant, il quale aveva dimostrato che lo spirito si integra nel reale imponendogli le sue forme, questa filosofia supera questa unità ancora puramente formale, in quanto lasciava sussistere un dualismo fondamentale tra lo spirito e la materia, e abolendo la cosa in sé, che conservava alla realtà concreta una esistenza indipendente dal soggetto pensante, riconduce tutta questa realtà allo Spirito, di cui essa non è più che l'espressione mutevole. Dal momento che lo Spirito diviene cosi, insieme, soggetto e oggetto, il reale concreto si confonde col sapere, e il suo svolgimento si spiega col movimento delle idee.
Da questa filosofia idealistica, che trova la sua compiuta espressione in Hegel, derivano tre nozioni essenziali che domineranno il pensiero del sec. XIX:
a) La nozione dell'interdipendenza e dell'azione reciproca tra lo Spirito e la materia, tra l'uomo e il mondo esterno, che implicava l'abbandono della concezione metafisica del mondo nella quale le idee, i fatti e le cose sono considerati in sé e non nei loro reciproci rapporti.
b) La nozione della realtà vivente come realtà essenziale; la realtà vivente non può essere compresa se non la si considera nel suo mutamento, nella sua trasformazione, nel suo divenire.
e) La nozione secondo cui il principio fondamentale del mondo considerato nel suo sviluppo non è l'identità, che cristallizza il reale nell'immutabilità e nella morte, ma la contraddizione, che determina la trasformazione incessante degli esseri e delle cose e genera cosi la vita. In questo mutamento inerente ad ogni realtà vivente, la funzione principale è adempiuta, infatti, dall'elemento negativo, dall'opposizione, dalla contraddizione, che costituisce il principio di ogni divenire e di ogni progresso.
Parallelamente alla filosofia idealistica tedesca, il socialismo utopistico francese persegue questo sforzo di integrazione dell'uomo nel mondo su un piano del tutto diverso.
Risolvendo la contraddizione propria del regime capitalistico tra il modo di produzione e il modo di appropriazione delle ricchezze col dare a quest'ultimo un carattere collettivo, il socialismo utopistico francese supera la concezione individualistica, atomistica dell'uomo propria della società borghese, e giunge a una nozione della vita e dell'attività collettiva che, sola, permette di realizzare la complete integrazione dell'uomo nel suo ambiente naturale e sociale. Ma esprimendo le aspirazioni di un proletariato nascente e non riuscendo a ricavare dalla società stessa le ragioni e il modo della trasformazione di essa, questo socialismo resta utopistico perché, trasponendo i problemi economici e sociali su un piano razionale e morale, stabilisce una frattura tra il presente e il futuro e oppone alla società presente l'ideale che essa deve realizzare.
Superando in ciò il socialismo utopistico, la filosofia idealistica tedesca aveva il merito di dimostrare come, attraverso il gioco della dialettica, dell'opposizione dei contrari, si effettui lo sviluppo di quell'unità vivente in cui consiste l'insieme del reale, e di spiegare, indicando come il presente nasca incessantemente dal passato, il divenire della storia.
Ma a differenza del socialismo utopistico francese che realizzava l'integrazione dell'uomo nel suo ambiente mediante un superamento della contraddizione del regime capitalistico, la filosofia idealistica tedesca, mantenendosi sul piano di questo regime, realizzava questa integrazione in maniera illusoria, riducendo ogni realtà e ogni attività all'attività spirituale, facendo degli esseri e delle cose il prodotto delle idee e sostituendo cosi al mondo reale un mondo immaginario.
La funzione essenziale di Marx, nell'evoluzione del pensiero moderno, è consistita nel superare insieme il socialismo utopistico francese e la filosofìa idealistica tedesca, con una nuova concezione dell'integrazione dell'uomo nel mondo.
Il suo pensiero si sviluppa inizialmente nell'ambito della sinistra hegeliana. Imbevuto della dottrina di Hegel, Marx si sforza dapprima, insieme ai Giovani Hegeliani, di adattare questa dottrina al liberalismo j rifiuta il sistema conservatore della filosofia hegeliana per non conservarne che il metodo dialettico, persuaso che per determinare il corso razionale della storia basti eliminare dal reale, per mezzo della critica, gli elementi irrazionali che in esso sono contenuti.
Il fallimento di questo tentativo gli pone il problema delle relazioni tra lo Stato e la società, che risolve ispirandosi a Feuerbach, la cui dottrina domina il suo pensiero nel periodo in cui, allontanandosi con una parte della sinistra hegeliana dal liberalismo, evolve verso il comunismo che esprime non più le aspirazioni della borghesia divenuta conservatrice, ma quelle della classe in ascesa, del proletariato che è in via di formazione.
Estendendo alla filosofia idealistica la sua critica della religione, Feuerbach aveva dimostrato che, con una sostituzione reciproca tra il soggetto e l'attributo simile a quella che si verifica nella religione, in cui l'uomo diviene la creazione di Dio, la filosofia idealistica fa dell'uomo e della realtà concreta l'attributo dell'Idea promossa al grado di Soggetto.
Per giungere ad una esatta nozione dei rapporti tra l'Idea e l'Essere, è necessario, diceva Feuerbach, sopprimere questa sostituzione, muovere non dalla Idea, ma dalla realtà, integrare lo Spirito nella materia e non la materia nello Spirito e considerare l'uomo con la sua sensibilità e con i suoi bisogni come l'espressione organica di questa sintesi. Tuttavia, con un ritorno al materialismo meccanicistico del sec. xvm che subordinava l'uomo all'influenza dell'ambiente, Feuerbach, facendo dell'uomo un poco alla maniera di Rousseau il prodotto di una natura idealizzata, approdava ad una teoria contemplativa e sentimentale, che poneva la vita e l'attività umana al di fuori dell'ambiente sociale e della storia.
Ricavando dalla sua critica della religione una dottrina sociale, egli dimostrava che la religione spoglia l'uomo della sua vera natura, della sua essenza per trasferirla in Dio, e dimostrava che per restituirla all'uomo bisogna reintegrare in lui ciò che esso ha alienato in Dio. L'essere collettivo, la specie che costituisce l'essenza dell'uomo e che, incarnata in Dio, non è che un'illusione trascendentale, diviene allora la vera realtà umana, e l'uomo, staccandosi dall'egoismo e dall'individualismo, fa dell'amore dell'umanità la legge della sua vita.
A questo collettivismo ancora assai vago e di essenza religiosa, Hess dava un carattere sociale più spiccato, dimostrando che il fenomeno dell'alienazione dell'essenza umana, denunciato da Feuerbach nel campo religioso, è generato dal regime capitalistico, che obbliga il lavoratore ad alienare la sua forza di lavoro nel prodotto della sua attività, nelle merci che, non appartenendogli, gli si oppongono sotto forma di denaro, di capitale, e lo asservono.
La soluzione data da Hess del problema della soppressione dell'alienazione e dell'integrazione dell'uomo nel suo ambiente sociale, riusciva utopistica come quella di Feuerbach.
Incapace di ricavare le ragioni della trasformazione della società, necessaria a realizzare questa integrazione, dalla società stessa, Hess trasponeva sul piano morale il problema economico e sociale posto dall'integrazione e lo risolveva con la lòtta contro l'egoismo e con l'amore dell'umanità.
Nella sua evoluzione dal liberalismo al comunismo, Marx, considerando come fondamentale il problema dell'alienazione e della soppressione dell'alienazione, si ispira a Feuerbach per criticare l'idealismo e la concezione dello Stato di Hegel; ma conserva della filosofia hegeliana la concezione dell'unione profonda e necessaria dell'Idea e della realtà concreta, e del loro svolgimento dialettico, e rifiuta la dottrina sentimentale di Feuerbach e di Hess che gli sembra incapace di risolvere il problema della trasformazione della società.
9. La nozione dell'azione.
Marx risolve questo problema mediante una critica parallela dell'idealismo speculativo di Hegel e del materialismo meccanicistico di Feuerbach, critica che lo porta a una nuova concezione del mondo.
Compie questa critica ispirandosi al comunismo, che solo gli sembra capace di realizzare, con la soppressione della contraddizione tra il modo di appropriazione individuale e il modo di produzione collettivo, la piena integrazione dell'uomo nel mondo. A differenza del socialismo utopistico che aveva posto questa integrazione su un piano ideale, sul piano del dover essere, Marx ricava da uno sviluppo più avanzato della economia capitalistica e del proletariato gli elementi di una nuova concezione del mondo; questa gli permette di superare insieme l'idealismo speculativo e il materialismo meccanicistico, ai quali rimprovera di considerare l'uomo al di fuori della realtà concreta, concepita come attività pratica.
Il materialismo meccanicistico, infatti, non tenendo conto sufficientemente dell'azione dell'uomo sul suo ambiente, considera l'uomo al di fuori dell'attività economica e sociale, e giunge a una concezione contemplativa e deterministica del mondo che non permette di spiegare né l'integrazione effettiva dell'uomo nel suo ambiente, né l'azione che esso esercita sull'ambiente per trasformarlo.
In rapporto al materialismo meccanicistico, l'idealismo, in particolare l'idealismo hegeliano, ha il merito di sottolineare la funzione preminente dell'attività umana nel divenire storico. Ma siccome riduce la realtà concreta all'Idea e riconduce cosi l'attività dell'uomo all'attività spirituale, di fatto attribuisce al solo spirito una esistenza reale, mentre la realtà concreta, privata della propria sostanza, non è più che apparenza. Di conseguenza, l'identità che l'idealismo
pretende di stabilire tra la realtà e l'Idea, tra l'oggetto e il soggetto, l'unione che pretende di realizzare tra il pensiero e l'essere, tra l'uomo e il mondo esterno, non sono attuate che in maniera illusoria. Perché questa unione sia effettiva, perché si abbia una vera integrazione dell'Idea nel reale concreto, dell'uomo nel mondo esterno, bisogna superare sia l'idealismo speculativo che il materialismo meccanicistico, bisogna cioè da un lato conservare al mondo la sua propria realtà senza ridurlo all'Idea, e considerarlo, dall'altro, sotto un aspetto non meccanicistico, ma organico, nella sua trasformazione ad opera dell'attività dell'uomo.
Questa attività umana, concepita non come attività puramente spirituale, ma come attività concreta, pratica, come lavoro, è quella che produce la vera integrazione dell'uomo nel mondo esterno. È l'attività umana che adempie la funzione di mediatrice tra il pensiero ed il reale concreto che Hegel attribuiva all'Idea. È per mezzo del lavoro, dell'attività economica e sociale che si realizza, infatti, l'unione profonda, l'unità dinamica e vivente dello spirito e della materia, dell'uomo e del mondo esterno; è per mezzo, di esso che si effettua, nel corso di una azione e di una reazione costanti dell'ambiente sull'uomo e dell'uomo sul suo ambiente, l'integrazione progressiva dell'uomo nel mondo, che egli adatta ai suoi bisogni.
10. Il materialismo storico e dialettico.
Su questa nozione dell'azione concepita come attività concreta, economica e sociale, come lavoro, Marx fonda la sua concezione del materialismo storico e dialettico, che gli permette di spiegare l'organizzazione e la trasformazione della società umana e il divenire della storia. Ricercando infatti le ragioni e i fini essenziali dell'attività umana, Marx li trova nella creazione delle condizioni di vita materiale, nella soddisfazione dei bisogni primordiali dell'uomo e, perciò, nella organizzazione della produzione. In questo appunto la sua concezione del mondo è essenzialmente materialistica.
Questo materialismo è storico perché, a differenza del materialismo meccanicistico, considera il mondo nel suo divenire.
Siccome la soddisfazione dei bisogni primordiali degli uomini (nutrimento, vestiario, abitazione) costituisce l'elemento fondamentale della loro vita e della loro attività, il movimento della storia, lo sviluppo dell'umanità è determinato, almeno essenzialmente, non dall'evoluzione delle idee considerate in se stesse, ma dalla trasformazione delle condizioni di vita materiale, dall'evoluzione del modo di produzione. Perciò la comprensione della storia è data dallo studio dello sviluppo dell'attività economica e sociale e non dalle dottrine politiche e religiose, le quali non sono che le forme ideologiche che assumono nella coscienza degli uomini gli impulsi reali delle loro azioni.
Considerando il divenire della storia come determinato dalla trasformazione del modo di produzione, Marx ricerca infine le ragioni di questa trasformazione, e le trova nelle contraddizioni economiche e sociali, ciò che dà al suo materialismo storico un carattere dialettico.
Lo studio della storia gli dimostra che il modo di produzione regola nello stesso tempo l'organizzazione economica e l'organizzazione sociale dei popoli. A determinate forze di produzione corrispondono infatti rapporti sociali e una organizzazione sociale adeguati alla messa in opera di tali forze; ogni mutamento importante che in esse si verifichi produce necessariamente una modificazione di questi rapporti e, perciò, una trasformazione della società. Questa trasformazione si effettua dialetticamente, attraverso la opposizione tra le forze di produzione e l'organizzazione sociale. Nel loro incessante sviluppo, determinato dall'accrescimento costante dei bisogni, le forze di produzione urtano infatti, a un dato momento, contro l'organizzazione sociale che, adeguata a forze anteriori di produzione, costituisce un ostacolo, un impedimento al loro manifestarsi.
Da questa contraddizione, da questa opposizione tra le nuove forze di produzione e l'organizzazione sociale, nasce una rivoluzione che ha come effetto la creazione di una nuova organizzazione sociale adeguata a queste forze. Questa contraddizione si traduce, sul piano politico e sociale, nelle lotte di classe, che costituiscono il motore del divenire storico, ogni grado del quale è segnato da un nuovo sistema di produzione.
La concezione materialistica della storia, che dà cosi la spiegazione dell'evoluzione economica e sociale, permette ugualmente di spiegare l'evoluzione spirituale.
Criticando la concezione idealistica che attribuisce alle idee un valore e una realtà assolute ed assegna loro una funzione determinante nell'evoluzione storica, Marx dimostra che questa concezione dipende dalla divisione del lavoro che, separando l'attività spirituale dall'attività materiale, dà alla prima una apparenza di autonomia e di indipendenza, ciò che induce a considerare le idee in sé, al di fuori degli uomini che le pensano. Rifiutando questa concezione idealistica, Marx considera le idee non metafisicamente, ma dialetticamente, nei loro rapporti con l'attività umana concreta, con l'attività economica e sociale, la sola che permetta di comprenderle e di spiegarle.
Negando cosi alle idee un valore e una realtà assolute, Marx, collegando la conoscenza all'esperienza che sola può provare la realtà e l'efficienza del pensiero, dimostra che la conoscenza si sviluppa parallelamente alla trasformazione del concreto modo di vita degli uomini e che l'evoluzione spirituale è perciò determinata, nelle sue grandi linee, dall'evoluzione materiale.
Nello stesso tempo, infatti, che si modifica la base materiale della società, la sua infrastruttura economica e sociale, si vede trasformarsi l'insieme delle sue concezioni politiche, giuridiche, filosofiche e religiose.
Ma pur dimostrando in tal modo la coordinazione esistente tra l'evoluzione materiale e l'evoluzione spirituale della società, Marx non stabilisce tra di esse un parallelismo rigoroso ed una subordinazione assoluta.
L'evoluzione spirituale non si effettua con lo stesso ritmo dell'evoluzione economica e sociale, e questo spiega la coesistenza di concezioni diverse e anche opposte in una determinata epoca. D'altra parte, le idee filosofiche, religiose, politiche e sociali costituiscono una realtà sociale assai importante, che influisce in quanto tale sul corso della storia e ne può modificare, se non la linea generale, almeno il ritmo e le modalità.
11. Il comunismo.
Applicando questa concezione generale dello sviluppo storico allo studio del regime capitalistico del suo tempo, Marx dimostra, ispirandosi alle dottrine dei socialisti francesi, che per superare le contraddizioni inerenti a questo regime e permettere all'uomo di integrarsi pienamente nell'ambiente sociale, è necessario mettere in armonia il sistema di produzione e il sistema di appropriazione delle ricchezze, dando a entrambi un carattere collettivo.
Ma completa e supera il socialismo utopistico, che poneva questa armonia come un postulato morale senza poterne dimostrare la necessità storica. Anziché opporre, infatti, come quello, un ideale alla realtà, una visione del mondo futuro alla società presente, Marx, fondandosi sulla sua concezione del materialismo storico e dialettico, ricava dalla società stessa la ragione, l'orientamento e il modo della trasformazione radicale che deve portarla dall'organizzazione capitalistica all'organizzazione comunista. Ispirandosi alla critica che F. Engels aveva fatto dell'economia capitalistica, Marx dimostra che l'abolizione del regime capitalistico è provocata dalla sua stessa costituzione, dalle sue contraddizione interne che, con l'aggravarsi delle crisi e della lotta di classe, devono necessariamente generare una rivoluzione sociale. Questa, sostituendo al regime capitalistico un regime comunista, permetterà, con la soppressione del lavoro alienato e con l'adattamento del modo di appropriazione al modo di produzione collettivo, una compiuta e armonica integrazione dell'uomo nel mondo.
Con Marx si compie cosi una grande fase del pensiero moderno che, nato col regime capitalistico, trova la sua conclusione nel regime comunista.
Esprimendo in modo ideologico le successive tappe dell'integrazione dell'uomo nel suo ambiente naturale e sociale, integrazione determinata dal crescente sviluppo delle forze di produzione, il pensiero moderno, da una concezione statica e dualistica del mondo, in cui l'uomo è opposto al suo ambiente, approda ad una concezione organica e dinamica del mondo considerato nella sua totalità, nel quale l'uomo appare compiutamente integrato.