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Voltaire, pseudonimo di François-Marie Arouet (Parigi, 21
novembre 1694 – Parigi, 30 maggio 1778), è stato un filosofo,
drammaturgo, storico, scrittore, poeta, aforista, enciclopedista,
autore di fiabe, romanziere e saggista francese. Il nome di Voltaire
è indissolubilmente legato al movimento culturale
dell'Illuminismo, di cui fu uno degli animatori e degli esponenti
principali, insieme a Montesquieu, Locke, Rousseau e du
Châtelet.
Le idee e le opere di Voltaire, così come quelle degli altri
illuministi, hanno ispirato e influenzato molti pensatori e
intellettuali della Rivoluzione americana, come Benjamin Franklin e
Thomas Jefferson, e di quella francese, come Robespierre.
Biografia
Inizi
François-Marie Arouet nasce il 21 novembre 1694 a Parigi in
una famiglia appartenente alla ricca borghesia. Come lo stesso
pensatore sostenne a più riprese, la data di nascita
riferitaci dai registri di battesimo potrebbe essere falsa: a causa
di gravi problemi di salute, infatti, il battesimo sarebbe stato
rimandato di ben nove mesi. Poiché, tuttavia, la prassi vuole
che in caso di pericolo per il bambino il battesimo venga impartito
immediatamente, occorre ritenere che - se ritardo vi fu - esso sia
dipeso da altre ragioni. Il padre François Arouet, era un
ricco notaio, conseiller du roi, alto funzionario fiscale ed un
fervente giansenista, mentre la madre, Marie Marguerite d'Aumart,
era appartenente ad una famiglia vicina alla nobiltà. Il
fratello, invece, era - sempre a detta di Voltaire - un fanatico
giansenista. È l'ultimo di tre figli (a parte altri tre morti
ancora piccoli). I suoi studi iniziarono nel 1704 presso il rinomato
collegio gesuita di Louis-le-Grand. In questo periodo il giovane
Voltaire dimostra una spiccata inclinazione per gli studi
umanistici, soprattutto retorica e filosofia. Seppur molto critico
nei confronti dei gesuiti, Voltaire maturerà una grande
ammirazione nei confronti dei suoi insegnanti e delle opere svolte
dalla Compagnia di Gesù in Cina e Paraguay. Nel 1711 lascia
il collegio e s'iscrive, per volere paterno, alla scuola superiore
di diritto. In questi anni s'inasprisce il rapporto con il padre, il
quale mal sopporta la sua vocazione poetica ed i continui rapporti
con i circoli filosofici libertini, come la Societé du Temple
di Parigi. Indicativo di ciò è il fatto che Voltaire
si vantava (a torto o a ragione) di essere un figlio illegittimo.
Nel 1713 lavorò come segretario all'Ambasciata francese
all'Aja, poi tornò a Parigi per svolgere il praticantato
presso un notaio, onde seguire le orme paterne; in realtà
egli desiderava sottrarsi alla pesante influenza del genitore, e
cominciò a scrivere articoli e versi duri e caustici verso le
autorità costituite.
Esilio in Inghilterra
I suoi scritti molto polemici trovarono immediato successo nei
salotti nobiliari; nel 1716 ciò gli costò l'esilio a
Tulle e Sully-sur-Loire; alcuni versi, del 1717, contro il reggente
di Francia Filippo d'Orléans (Luigi XV era un bambino), gli
causarono l'arresto e la reclusione alla Bastiglia, poi un altro
periodo di confino a Chatenay. La pubblicazione del poema La Ligue
del 1723, scritto durante la prigionia, ottenne l'assegnazione di
una pensione da parte del re. L'opera, dedicata al re Enrico IV di
Francia, verrà pubblicata nuovamente col titolo Enriade, nel
1728. Il favore che gli mostrarono subitaneamente i nobili di
Francia non durò a lungo: sempre a colpa dei suoi scritti
mordaci, entrò in contrasto con il cavaliere di Rohan, il
quale lo fece bastonare, proprio come bastonarono la madre di
Garofalo presso un teatro dai suoi domestici e rifiutò con
sprezzo il duello proposto dal giovane poeta. Le proteste di
Voltaire gli servirono solo ad essere imprigionato nuovamente. Dopo
un breve periodo in esilio fuori Parigi, Voltaire, sotto minaccia di
un nuovo arresto, si vide costretto ad emigrare in Inghilterra
(1726-1729). In Gran Bretagna, grazie alla conoscenza di uomini di
cultura liberale, scrittori e filosofi come Robert Walpole, Jonathan
Swift, Alexander Pope e George Berkeley, maturò idee
illuministe contrarie all'assolutismo feudale della Francia. Ivi
scrisse, poi, le Lettere inglesi (o Lettere filosofiche), per le
quali venne di nuovo condannato, in quanto aspramente critiche
contro l'ancien régime. Durante l'esilio in Inghilterra
assunse lo pseudonimo di "Voltaire". L'origine del nome è
incerta e fonte di dibattito:
1. "Voltaire" potrebbe essere l'anagramma del cognome
in scrittura capitale latina: da AROUET L(e) J(eune) a AROVET L. I.
o AROVETLI, da cui VOLTAIRE.
2. Un'altra teoria ricorre al luogo d'origine della
famiglia Arouet: la cittadina di Airvault, il cui anagramma potrebbe
rendere lo pseudonimo.
Ritorno in Francia
Ancora esule in Lorena (a causa dell'opera Storia di Carlo XII del
1731), scrisse le tragedie Bruto e La morte di Cesare, cui seguirono
Maometto ossia il fanatismo e Merope, il trattato di divulgazione
scientifica Elementi della filosofia di Newton. Ma nel 1700 fu
ospitato nella reggia di Versailles, sotto Luigi XIV. In questo
periodo cominciò una relazione con la nobildonna sposata
Madame du Châtelet, che lo nascose nella sua casa di campagna
a Cirey, nello Champagne. Grazie al riavvicinamento con la corte,
aiutato dall'amicizia con Madame de Pompadour, la favorita di re
Luigi XV, protettrice anche di Diderot, nel 1746 fu nominato
storiografo e membro dell'Académie Française; ma
Voltaire, seppur apprezzato da parte della nobiltà, non
incontrava affatto la benevolenza del sovrano assoluto: così,
di nuovo in rotta con la corte di Versailles, accettò
l'invito del re di Prussia, che lo considerava un suo maestro. Lo
stesso lasso di anni fu doloroso dal punto di vista privato per il
filosofo: la Châtelet lo lasciò per il poeta
Saint-Lambert, e Voltaire rispose cominciando una relazione con la
nipote Madame Denis (1712-1790). Inoltre quando, nel 1749, Madame du
Châtelet, rimasta in buoni rapporti con lo scrittore,
morì di parto, dando alla luce la figlia di Saint-Lambert
(morta alla nascita), Voltaire l'assistette e rimase molto colpito
dalla sua morte, definendola in una lettera la sua anima gemella.
In Prussia e Svizzera
Lasciata la Francia, dal 1749 al 1752 soggiornò quindi a
Berlino, ospite di Federico II, che lo ammirava e lo nominò
suo ciambellano. A causa di una speculazione finanziaria, in cui lo
scrittore era molto abile, nonché per i continui attacchi
verbali contro lo scienziato Maupertuis, che presiedeva l'Accademia
di Berlino, Voltaire litigò col sovrano che lo fece arrestare
abusivamente, per breve tempo, a Francoforte. Dopo questo incidente,
sarebbero passati molti anni prima che i loro rapporti si
pacificassero.
Impossibilitato a tornare a Parigi, si spostò allora a
Ginevra, nella villa Les delicés, finché entrò
in rotta con la Repubblica calvinista, che egli aveva ritenuto
erroneamente un'oasi di tolleranza, e riparò nel 1755 a
Losanna presso i castelli di Ferney e Tournay, da lui acquistati.
È di questo periodo la stesura della tragedia Oreste (1750),
considerata una delle opere minori del teatro di Voltaire. In
particolare da allora visse nel piccolo centro di Ferney, che
prenderà il suo nome (Ferney-Voltaire). Nello stesso periodo
cominciò la più feconda fase della produzione
voltairiana, che univa l'Illuminismo e la fiducia nel progresso col
pessimismo dovuto alle vicende personali e storiche (prima fra tutto
il disastroso terremoto di Lisbona del 1755, che minò la
fiducia di molti philosophes nell'ottimismo acritico). Voltaire
dedica al sisma tre opere: il Poema sul disastro di Lisbona, il
Poema sulla legge naturale e alcuni capitoli del Candido. Ormai
ricco e famoso, divenne un punto di riferimento per tutta l'Europa
illuminista. Entrò in polemica coi cattolici per la parodia
di Giovanna d'Arco in La Pulzella d'Orléans, ed espresse le
sue posizioni in Candido ovvero l'ottimismo (1759), in cui
polemizzò con l'ottimismo di Gottfried Leibniz. Il romanzo
rimane l'espressione letteraria più riuscita del suo
pensiero, contrario ad ogni provvidenzialismo o fatalismo. Da qui
iniziò un'accanita polemica contro la superstizione ed il
fanatismo a favore di una maggiore tolleranza e giustizia,
pubblicando molti pamphlet contro gli avversari.
Panorama di Ferney
A tal proposito scrisse il Trattato sulla tolleranza in occasione
della morte di Jean Calas (1763) ed il Dizionario filosofico (1764),
tra le opere non narrative più importanti del periodo, che
vide anche la collaborazione con l'Encyclopédie di Diderot e
D'Alembert.
Tra le altre opere, i racconti Zadig (1747), Micromega (1752),
L'uomo dai quaranta scudi (1767). Le opere teatrali Zaira (1732),
Alzira (1736), Merope (1743), oltre il Poema sul disastro di Lisbona
(1756). E infine, le importanti opere storiografiche Il secolo di
Luigi XIV (1751), scritto durante il periodo prussiano, ed il Saggio
sui costumi e sullo spirito delle nazioni (1756).
In una delle ultime opere filosofiche, Le philosophe ignorant
(1766), Voltaire insistette sulla limitazione della libertà
umana, che non consiste mai nell'assenza di qualsiasi motivo o
determinazione.
Rientro a Parigi
Rientrato a Parigi, ricevette un'accoglienza trionfale, tranne che
dalla corte del nuovo re, Luigi XVI, e, ovviamente, dal clero.
Voltaire e il cattolicesimo
(FR)
« Tout homme sensé, tout homme de bien, doit avoir la
secte chrétienne en horreur. »
(IT)
« Ogni uomo sensato, ogni uomo dabbene, deve avere orrore per
la setta cristiana »
(Voltaire, Examen important de Mylord Bolingbroke, ou le Tombeau du
Fanatisme, 1736)
Nonostante l'ostinato rifiuto, sino alla morte, della religione
cattolica e della Chiesa (Voltaire era un deista), viene sostenuta
la tesi che il filosofo si sia convertito in extremis alla fede
cristiana.
La conversione
L'accademico spagnolo Carlos Valverde, nel 2005, ha trovato nel
numero XII della rivista francese Correspondance Littéraire,
Philosophique et Critique (1753-1793), la notizia di una professione
di fede di Voltaire del 2 marzo 1778, resa nella casa del marchese
di Villete, alla presenza dell'abate Mignot e del marchese
Villevielle, tutti e tre firmatari, in qualità di testimoni,
della conversione del filosofo e della sua confessione sacramentale
di mano del sacerdote M. Gauthier .
Considerata la peculiare qualità delle persone che ne
attestarono e firmarono, tale documento può essere
considerato un narrazione non documentata e di parte interessata, in
quanto in totale contraddizione con opera, filosofia e cultura di
Voltaire. Ecco il testo:
« COPIE DE LA PROFESSION DE FOI DE M. DE
VOLTAIRE, EXIGEE PAR M. L'ABBE GAUTHIER, SON CONFESSEUR.
«Je, soussigné, déclare qu'étant
attaqué depuis quatre jours d'un vomissement de sang,
à l'âge de quatre-vingt-quatre ans, et n'ayant pu me
traîner a l'eglise, et M. le curé de Saint-Sulpice
ayant bien voulu ajouter à ses bonnes œuvres celle de
m'envoyer M. l'abbé Gauthier, prêtre, je me suis
confessé à lui, et que si Dieu dispose de moi, je
meurs dans la sainte religion catholique où je suis
né, espérant de la misèricorde divine qu'elle
daignera pardonner toutes mes fautes; et que si j'avais jamais
scandalisé l'Eglise, j'en demande pardon à Dieu et
à elle.
A signé : VOLTAIRE, le 2 mars 1778, dans la maison de M. le
marquis de Villette. En presence de M. l'abbé Mignot, mon
neveu, et de M. le marquis de Villevieille, mon ami.- L'ABBE MIGNOT,
VILLEVIEILLE.
Nous déclarons la présente copie conforme à
L'original, qui est demeuré entre les mains du sieur abbe
Gauthier, et que nous avons signé 1'un et 1'autre comme nous
signons le present certi- ficat. Fait à Paris, ce 27 mai
1778. - L'ABBE MIGNOT, VILLEVIEILLE.
L'original ci-dessus mentionné a eté presenté a
M. le curé de Saint-Sulpice, qui en a tiré copie. -
L'ABBE MIGNOT, VILLEVIEILLE.» »
Di un'altra presunta autenticità della conversione di
Voltaire si narra nell'opera di Eduard Mennechet, pubblicata nel
1840 intitolata Le Plutarque Francais: vies des hommes et femmes
illustres de la France. L'articolo su Voltaire essendo di tono
anticlericale, risulterebbe per tale ragione contraddittorio e non
incisivo per dimostrare una supposta conversione. A pag. 31 del tomo
settimo dell'opera, si riferisce come Voltaire, tornato a Parigi,
dopo aver avuto una forte emorragia, facesse chiamare il sacerdote
cattolico Gauthier al quale "..consegnò una dichiarazione
affermante che voleva morire nella religione cattolica nella quale
era nato, domandando perdono a Dio e alla Chiesa per le offese che
poteva loro aver fatto..". Tale dichiarazione non è mai stata
trovata. Il parroco di San Sulpicio, nella cui parrocchia Voltaire
viveva, l'avrebbe giudicata tuttavia insufficiente visto chi l'aveva
scritta e chi erano i testimoni. Successivamente, il filosofo,
rimessosi, lasciò "la chiesa per il teatro". I colloqui con
Gauthier sarebbero continuati sino alla morte, avvenuta
all'età di ottantatre anni, il 30 maggio 1778, dopo la quale
il Gauthier, avrebbe riferito a un confratello che Voltaire ormai
aveva perduto lucidità. Cosa verosimile che rende ancor
più discutibile una conversione che resta così,
più che altro, una desiata presunzione.
Commenti e spiegazioni
La conversione di Voltaire nei suoi ultimi tempi viene decisamente
negata dagli illuministi, in particolare dagli anticlericali, in
quanto offusca l'immagine di uno dei loro principali ispiratori
moderni.
Anche per i cattolici essa sarebbe fonte di imbarazzo, in base
all'assunto che una conversione fatta al termine di una vita intera
spesa contro la Chiesa, possa indurre a ritenere che sia tutto
lecito finché la salute e le condizioni lo permettono,
rimandando il pentimento e la conversione all'ora estrema della
vita. Un'argomentazione ritenuta speciosa per la scelta azzardata,
dato che nessuno può conoscere il momento della propria
morte.
Una spiegazione della circostanza ricorre a un episodio che Voltaire
stesso ricordò in alcune opere, tra cui anche il Candido: la
morte della sua giovane e carissima amica, l'attrice Adrienne
Lecouvreur, che, scomunicata come tutti gli attori dell'epoca, fu
sepolta in una fossa comune. Voltaire, sarebbe stato ossessionato
dall'idea di poter fare la stessa fine, e avrebbe deciso infine di
firmare una confessione di fede al fine di evitare una sepoltura
indegna (all'epoca i funerali e i cimiteri erano esclusivo terreno
della Chiesa). Ciò ha un valore di coerenza, in quanto
Voltaire, con considerazioni di cinico realismo e di
necessità politica, riteneva la religione utile al fine di
mantenere la moralità nel popolo "Les lois veillent sur le
crimes connu, et la religion sur le crimes secretts" (la legge
vigila sui crimini conosciuti, la religione su quelli segreti),
afferma il filosofo nel Trattato sulla tolleranza del 1763. A
conferma di un illuminismo opportunistico che Voltaire avrebbe
elaborato fino agli ultimi anni, e di una conversione alla fede in
extremis di significatività opportunista e verosimiglianza
meramente biografica.
Morte e sepoltura
La versione degli amici racconta che, in punto di morte, il filosofo
respinse un sacerdote, che lo invitava a confessarsi dicendo: "Non
è tempo di farsi nuovi nemici". Voltaire morì,
probabilmente per un cancro alla prostata, il 30 maggio 1778,
all'età di 84 anni. La morte fu tenuta segreta per due giorni
(il corpo, vestito come fosse vivo, fu portato fuori da Parigi in
carrozza); il suo funerale, molto sontuoso, fu officiato dal nipote,
parroco di Selliere, e nell'attiguo convento ebbe sepoltura lo
scrittore. I medici che eseguirono l'autopsia ne asportarono il
cervello e il cuore (riunito anni dopo ai resti).
Il catafalco usato per il trasporto della salma di Voltaire al
Pantheon durante i funerali dell'11 luglio 1791
A tredici anni dalla sua morte, in piena Rivoluzione francese, il
corpo di Voltaire venne trasferito al Pantheon e qui sepolto l'11
luglio 1791 al termine di un funerale di stato di proporzioni
straordinarie per grandiosità e teatralità, tanto che
rimase memorabile persino il catafalco - su cui venne posto un busto
del filosofo - allestito per il trasporto della sua salma. Nel 1821
rischiò la riesumazione perché erano molti coloro che
ritenevano intollerabile la sua presenza all'interno di una chiesa.
Tuttavia re Luigi XVIII non la ritenne necessaria perché "...
il est bien assez puni d'avoir à entendre la messe tous les
jours." (cioè "è già punito abbastanza per il
fatto di dover ascoltare la Messa tutte le mattine"). La tomba
è vicina a quella dell'altro grande filosofo illuminista,
Jean-Jacques Rousseau, rivale di Voltaire. Si diffuse però la
leggenda che i monarchici ne avessero rubato le ossa nel 1814,
insieme a quelle di Rousseau, per gettarle in una fossa comune, nel
luogo dove oggi sorge la facoltà di scienza
dell'Università parigina di Jussieu. Nel 1878 e
successivamente, tuttavia, diverse commissioni d'inchiesta
stabilirono che i resti dei due grandi padri dell'Illuminismo,
Jean-Jacques Rousseau e Francois-Marie Arouet detto Voltaire, si
trovavano e si trovano tuttora nel Tempio della Fama di Francia.
Pensiero politico
Costituzionalismo e dispotismo illuminato
Voltaire non credeva che la Francia (e in generale ogni nazione)
fosse pronta ad una vera democrazia: perciò, non avendo
fiducia nel popolo (e questo fu una delle idee che rendevano il suo
pensiero simile a quello di Rousseau), non sostenne mai idee
repubblicane (benché, dopo la morte, sia divenuto uno dei
"padri nobili" della Rivoluzione). Anche la repubblica ginevrina,
che gli apparve giusta e tollerante, si rivelò un luogo di
fanatismo. Lontano da idee populiste e anche radicali, se non sul
ruolo della religione in politica (fu un deciso anticlericale), la
sua posizione politica fu quella di un liberale moderato, avverso
alla nobiltà ma sostenitore della monarchia assoluta nella
forma illuminata (anche se ammirava molto come "governo ideale" la
monarchia costituzionale inglese) come forma di governo: il sovrano
avrebbe dovuto governare saggiamente per la felicità del
popolo, proprio perché "illuminato" dai filosofi. Lo stesso
Voltaire trovò realizzazione delle sue idee politiche nella
Prussia di Federico II, che con le sue riforme acquistò un
ruolo di primo piano sullo scacchiere europeo. Il sogno del filosofo
si rivelò poi inattuato, rivelando in lui, soprattutto negli
anni più tardi un pessimismo di fondo attenuato dalle utopie
vagheggiate nel Candido, l'impossibile mondo ideale di Eldorado,
dove non esistono fanatismi, prigioni e povertà, e la piccola
fattoria autosufficiente dove il protagonista si ritira per
lavorare, in una contrapposizione borghese all'ozio aristocratico.
Nelle opere successive esprime la volontà di lavorare per la
libertà politica e civile, concentrandosi molto sulla lotta
all'intolleranza, soprattutto religiosa, non appoggiandosi
più ai sovrani che lo avevano deluso.[7]
Sulle riforme sociali
Accolse inoltre favorevolmente le tesi del Beccaria sull'abolizione
della tortura e della pena di morte, come si evince dal commento
molto positivo che fece all'opera Dei delitti e delle pene. Per
Voltaire l'eguaglianza formale è una condizione di natura,
l'uomo è schiavo a causa delle guerre e dell'ingiustizia;
l'eguaglianza sostanziale non c'è perché ognuno svolga
la sua funzione (cfr. Dizionario filosofico, alla voce Eguaglianza,
con l'esempio del cuoco e del cardinale). Economicamente aderisce al
laissez faire liberale che muove i primi passi con l'Illuminismo.
Pensiero filosofico
Voltaire e l'Inghilterra
Tra le esperienze più significative del Voltaire
intellettuale sono certamente da annoverare i viaggi, quello in
Olanda e soprattutto quello in Inghilterra; qui il giovane parigino
vide praticare attivamente la tolleranza religiosa e la
libertà di espressione di idee politiche, filosofiche e
scientifiche. Al suo spirito insofferente di ogni repressione
assolutistica e clericale (anche perché reduce
dall'esperienza nelle rigide scuole dei gesuiti) l'Inghilterra
appare come il simbolo di una forma di vita illuminata e libera.
Voltaire nel 1718 in un ritratto di Nicolas de Largillière
Immerso nello studio della cultura anglosassone, Voltaire rimane
accecato dalle luminose e rivoluzionarie dottrine scientifiche di
Newton e dal deismo e l'empirismo di John Locke. Egli trae, da
questo incontro con la filosofia inglese, il concetto di una scienza
concepita su base sperimentale intesa come determinazione delle
leggi dei fenomeni e il concetto di una filosofia intesa come
analisi e critica dell'esperienza umana nei vari campi. Nacquero
così le Lettres sur les anglais o Lettres philosophiques
(1734) che contribuirono ad allargare l'orizzonte razionale europeo
ma che gli attirarono addosso i fulmini delle persecuzioni.
Le Lettres vengono condannate, per quanto riguarda i princìpi
religiosi, da coloro che sostenevano la necessità politica
dell'unità di culto; dal punto di vista politico, esse,
esaltando l'onorabilità del commercio e la libertà, si
opponevano spudoratamente al tradizionalistico regime francese, e
dal lato filosofico, in nome dell'empirismo, tentavano di svincolare
la ricerca scientifica dall'antica subordinazione alla verità
religiosa. Il programma filosofico di Voltaire si delineerà
in maniera più precisa successivamente con il Traité
de métaphisique (1734), la Métaphisique de Newton
(1740), Remarques sur les pensées de Pascal (1742), il
Dictionnaire philosophique (1764), il Philosophe ignorant (1766),
per citare i più importanti.
Non mancano, tuttavia, nelle sue opere, accenti critici contro gli
inglesi (ad esempio, Capitolo XXIII di Candido).
La religione naturale e l'anticlericalismo
« Ogni volta che guardo il cielo stellato,
non posso non pensare che, se esiste un così perfetto
orologio, esista un orologiaio »
(Voltaire)
Il problema che Voltaire principalmente si pone è l'esistenza
di Dio, conoscenza fondamentale per giungere ad una giusta nozione
dell'uomo. Il filosofo non la nega, come alcuni altri Illuministi
che si dichiaravano atei (Diderot, D'Holbach e altri) perché
non trovavano prova dell'esistenza di un Essere Supremo, ma nemmeno,
nel suo razionalismo, assume una posizione agnostica. Egli vede la
prova dell'esistenza di Dio nell'ordine superiore dell'universo,
infatti così come ogni opera dimostra un artefice, Dio esiste
come autore del mondo e, se si vuole dare una causa all'esistenza
degli esseri, si deve ammettere che sussiste un essere creatore. La
sua posizione fu pertanto deista, come già accennato. Dunque
Dio esiste e sebbene abbracciando questa tesi si trovino molte
difficoltà, le difficoltà che si pongono abbracciando
l'opinione contraria sarebbero ancora maggiori. Il Dio di Voltaire
non è il dio rivelato, ma non è neanche un dio di una
posizione panteista, come quella di Spinoza. È una sorta di
Grande Architetto dell'Universo, un orologiaio autore di una
macchina perfetta. Voltaire non nega una Provvidenza, ma non accetta
quella di tipo cristiano[8]; secondo le sue convinzioni (come quelle
di molti del suo tempo), l'uomo nello stato di natura era felice,
avendo istinto e ragione, ma la civiltà ha contribuito
all'infelicità: occorre quindi accettare il mondo così
com'è, e migliorarlo per quanto è possibile. Aveva
contribuito a queste sue convinzioni lo studio di Newton,
conosciuto, come detto, nel periodo inglese: la cui scienza, pur
rimanendo estranea, in quanto filosofia matematica, alla ricerca
delle cause, risulta strettamente connessa alla metafisica teistica,
implicando una razionale credenza in un Essere Supremo (Etre
Supreme, a cui si ispirerà vagamente il Culto della Ragione
di Robespierre). Voltaire crede in un Dio che unifica, Dio di tutti
gli uomini: universale come la ragione, Dio è di tutti.
Obiettivo principale di Voltaire e di tutto il suo pensiero, o, se
si vuole, la missione della sua vita, è l'annientamento della
Chiesa cattolica (che lui chiama l'infame, anche se utilizza questo
termine con riferimento ad ogni spiritualità forte, che senza
mezzi termini ritiene semplicemente fanatismo religioso), egli
infatti tenta di demolire il cattolicesimo per proclamare la
validità della religione naturale. La sua fede nei principi
della morale naturale mira ad unire spiritualmente gli uomini al di
là delle differenze di costumi e di usanze. Proclama quindi
la tolleranza contro il fanatismo e la superstizione (che stanno
alla religione come l'astrologia alla astronomia) nel "Trattato
sulla tolleranza" (1763), nonché la laicità tramite
molti scritti anticlericali. Per liberare le religioni positive da
queste piaghe è necessario trasformare tali culti, compreso
il cristianesimo, nella religione naturale, lasciando cadere il loro
patrimonio dogmatico e facendo ricorso all'azione illuminatrice
della ragione.
Dal cristianesimo Voltaire accetta l'insegnamento morale[10], ovvero
la semplicità, l'umanità, la carità, e ritiene
che voler ridurre questa dottrina alla metafisica significa farne
una fonte di errori. Più volte infatti il parigino, elogiando
la dottrina cristiana predicata da Cristo e dai suoi discepoli,
addebiterà la degenerazione di questa in fanatismo, alla
struttura che gli uomini, e non il Redentore, hanno dato alla
chiesa. Il Cristianesimo vissuto in maniera razionale, infatti,
coincide con la legge di natura.
Voltaire porta avanti una doppia polemica, contro l'intolleranza e
la sclericità del cattolicesimo, e contro l'ateismo e il
materialismo. Egli dirà che "l'ateismo non si oppone ai
delitti ma il fanatismo spinge a commetterli", anche se
concluderà poi che essendo l'ateismo quasi sempre fatale alle
virtù, in una società è più utile avere
una religione, anche se fallace, che non averne nessuna. Non solo il
cristianesimo, ma ogni religione rivelata (e non), è una
superstizione inventata dall'uomo. Voltaire attacca anche, quindi,
nelle sue opere, l'Islam e altri culti non cristiani (vedi, ad
esempio, in Maometto ossia il fanatismo e in Zadig).
Voltaire comunque si rifiuta di ammettere qualsiasi intervento di
Dio nel mondo umano. Il Supremo ha solo avviato la macchina
dell'universo, senza intervenire ulteriormente, dunque l'uomo
è libero, ovvero ha il potere di agire, anche se la sua
libertà è limitata. Del resto "sarebbe strano che
tutta la natura, tutti gli astri obbedissero a delle leggi eterne, e
che vi fosse un piccolo animale alto cinque piedi che, a dispetto di
queste leggi, potesse agire sempre come gli piace solo secondo il
suo capriccio".
Degna di menzione è la polemica che Voltaire porterà
avanti contro Blaise Pascal, che diventerà soprattutto
polemica contro l'apologetica e il pessimismo cristiano in genere.
Voltaire dice di prendere le difese dell'umanità contro quel
"misantropo sublime", che insegnava agli uomini ad odiare la loro
stessa natura. Più che con l'autore delle "Provinciales",
egli dice di scagliarsi contro quello dei "Pensees", in difesa di
una diversa concezione dell'uomo, del quale sottolinea piuttosto la
complessità dell'animo, la molteplicità del
comportamento, affinché l'uomo si riconosca e si accetti per
quello che è, e non tenti un assurdo superamento del suo
stato.
In conclusione si può asserire che entrambi i filosofi
riconoscono che l'essere umano per la sua condizione è legato
al mondo, ma Pascal pretende che egli se ne liberi e se ne distolga,
Voltaire vuole che la riconosca e l'accetti: era il mondo nuovo che
si scagliava contro il vecchio.
Etica ed animali
Tra gli argomenti polemici di Voltaire vi è un deciso attacco
all'idea teologica della differenza essenziale e sovrannaturale fra
l'essere umano e gli animali e della superiorità di diritto
divino da parte dell'uomo nei confronti dell'intera natura. Partendo
da questa critica, lo scrittore condanna la vivisezione ed i
tormenti inflitti agli animali d'allevamento, mostrando simpatia per
il vegetarismo dei pitagorici, di Porfirio e di Isaac Newton.La
questione della crudeltà verso gli animali e del vegetarismo
è affrontata da Voltaire in parecchie opere, dagli Elementi
della filosofia di Newton al Saggio sui costumi (nel capitolo
sull'India), ed anche in Zadig, nel Dizionario filosofico, in La
principessa di Babilonia e specialmente nel Dialogo del cappone e
della pollastrella.
Voltaire – che può essere considerato, sotto questo aspetto,
un precursore di Jeremy Bentham[14] – pone aspramente in discussione
le posizioni cartesiane che riducevano l'animale ad una macchina
senza coscienza. Nel Dizionario filosofico, egli sottolinea quale
vergogna sia stata «aver detto che le bestie sono macchine
prive di coscienza e sentimento»[15] e, rivolgendosi al
vivisettore che seziona un animale nella più assoluta
indifferenza, gli chiede: «tu scopri in lui gli stessi organi
di sentimento che sono in te. Rispondimi, meccanicista, la natura ha
dunque combinato in lui tutte le molle del sentimento
affinché egli non senta?»[15].
Voltaire e la storiografia umana
« Quasi tutta la Storia non è che
una lunga sequenza di inutili atrocità »
(Voltaire, Saggio sui costumi)
Voltaire fu uno dei più celebri storici del suo secolo. Le
concezioni filosofiche di Voltaire sono inscindibili dal suo modo di
fare storia. Infatti egli vuole trattare questa disciplina da
filosofo, cioè cogliendo al di là della congerie dei
fatti un ordine progressivo che ne riveli il significato permanente.
Dalle sue grandi opere storiche (Historie de Charles XII del 1731,
Les siecle de Louis XIV del 1751, Essai sur les moeurs et l'esprit
des nations del 1754-1758), nasce una storia "dello spirito umano",
ovvero del Progresso inteso come il dominio che la ragione esercita
sulle passioni, nelle quali si radicano i pregiudizi e gli errori,
infatti l'Essai presenta sempre come incombente il pericolo del
fanatismo.
La storia non è più orientata verso la conoscenza di
Dio, non è questo lo scopo dell'uomo, il quale deve invece
dedicarsi a capire e a conoscere sé stesso fino a che la
scoperta della storia si identifichi con la scoperta dell'uomo. La
storia è diventata storia dell'Illuminismo, del
rischiaramento progressivo che l'uomo fa di sé stesso, della
progressiva scoperta del suo principio razionale. Shaftesbury aveva
detto che non c'è miglior rimedio del buon umore contro la
superstizione e l'intolleranza e nessuno mise in pratica meglio di
Voltaire questo principio; infatti "il suo modo di procedere si
avvicina a quello di un caricaturista, che è sempre vicino al
modello da cui parte, ma attraverso un gioco di prospettive e di
proporzioni abilmente falsate, ci dà la sua interpretazione".
L'umorismo, l'ironia, la satira, il sarcasmo, l'irrisione aperta o
velata, sono da lui adoperati di volta in volta contro la
metafisica, la scolastica o le credenze religiose tradizionali. Ma
talvolta, questo semplicizzare ironicamente certe situazioni, lo
porta a trascurare o a non cogliere aspetti molto importanti della
storia.
Accuse di razzismo ed europocentrismo
La filosofia, per Voltaire, deve essere lo spirito critico che si
oppone alla tradizione per discernere il vero dal falso, bisogna
scegliere tra i fatti stessi i più importanti e significativi
per delineare la storia delle civiltà. In conseguenza
Voltaire non prende in considerazione i periodi oscuri della storia,
ovvero tutto ciò che non ha costituito cultura secondo
l'Illuminismo, ed esclude dalla sua storia "universale" i popoli
barbari, che non hanno apportato il loro contributo al progresso
della civiltà umana. Emblematici, tra i passi di certa
attribuzione, alcune righe del Saggio sui costumi, in cui considera
gli africani inferiori intellettualmente, motivo per cui sono
ridotti "per natura" in schiavitù, e l'intero primo capitolo
del Trattato di Metafisica (1734), in cui chiaramente esprime la sua
tesi sull'inferiorità della razza "negra", che avrebbe avuto
origine da amplessi tra uomini e scimmie, rispetto a scimmie, leoni,
elefanti oltre che agli uomini bianchi. Alcuni brani del Dizionario
filosofico non sono affatto teneri contro gli Ebrei, bersaglio di
ironia anche nel Candido, e non da meno il parigino si espresse sui
cristiani e sugli arabi musulmani, fatto che ha portato alcuni ad
accusare Voltaire di antisemitismo e razzismo. Voltaire espresse
numerose opinioni anticattoliche e antislamiste, oltre al suo noto
anticlericalismo, in coerenza con la propria filosofia razionalista.
Nel Saggio sui costumi critica Maometto e gli arabi, già
bersaglio, ad esempio nell'omonima opera teatrale Maometto ossia il
fanatismo, nonché ebrei e cristiani:
« dopo aver ben conosciuto il carattere dei
suoi concittadini, la loro ignoranza, la loro creduloneria e la loro
predisposizione all'entusiasmo, si rese conto di potersi trasformare
in un profeta. Si propone di eliminare il Sabismo, che consiste nel
fondere insieme il culto di Dio con quello degli astri; il giudaismo
detestato da tutte le nazioni, e che aveva grande presa in Arabia;
infine il cristianesimo, che conosceva solo per gli abusi di diverse
sette diffuse nei paesi limitrofi al suo. »
(Voltaire, Saggio sui costumi e sullo spirito delle nazioni)
Conclusioni
In generale Voltaire ha rappresentato l'Illuminismo, con il suo
spirito caustico e critico, il desiderio di chiarezza e
lucidità, il rifiuto del fanatismo superstizioso, con una
ferma fiducia nella ragione, ma senza inclinazioni eccessive
all'ottimismo e alla fiducia nella maggior parte degli individui. A
questo riguardo è esemplare il romanzo satirico Candide
(Candido, 1759), ove Voltaire si fa beffe dell'ottimismo filosofico
difeso da Leibniz. Egli infatti accusa violentemente l'ottimismo
ipocrita, il "tout est bien" e la teoria dei migliori dei mondi
possibili, perché fanno apparire ancora peggiori i mali che
sperimentiamo, rappresentandoli come inevitabili ed intrinseci
nell'universo. Ad esso oppone il vero ottimismo, ovvero la credenza
nel progresso umano di cui la scienza e la filosofia illuminista si
fanno portatori.