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Il Valdismo, i cui fedeli sono chiamati Valdesi, è una
confessione protestante. I valdesi presenti in Italia e in Svizzera
sono riuniti nella Chiesa Evangelica Valdese, quelli in Uruguay e
Argentina appartengono alla Iglesia Evangélica Valdense del
Río de la Plata.
Storia e dottrina
Origini
La corrente valdese del cristianesimo nasce nel Medioevo,
precisamente nel XII secolo, come movimento religioso, costituito da
contadini e in genere da poveri, che precede di poco quello promosso
da Francesco d'Assisi. Tradizionalmente si fa risalire la fondazione
del movimento a Valdo di Lione (o Pietro Valdo o Valdesio, dalla
latinizzazione Valdesius). In realtà, l'origine dei Valdesi
si confonde con il grande fermento di movimenti pauperistici di
riforma del Cristianesimo sviluppatisi nel corso del XII secolo.
Oggi, esiste una via a Lione che porta il suo nome, nel 5ème
arrondissement (rue Pierre-Valdo).
Valdo, si dice in seguito all'ascolto da un menestrello della vita
di sant'Alessio, decise di approfondire lo studio della Bibbia: egli
però non conosceva il latino, così si fece tradurre i
Vangeli e altri scritti biblici in francese[. Fu colpito in
particolar modo dalle parole rivolte da Gesù al giovane
ricco: "Se vuoi essere perfetto, va', vendi quello che possiedi,
dallo ai poveri e avrai un tesoro nel cielo; poi vieni e seguimi"
(Matteo XIX, 21). Decise allora, nel 1173, di abbandonare la moglie,
far accogliere le figlie nel monastero di Fontevrault e offrire
tutta la sua ricchezza ai poveri. In seguito si circondò di
un gruppo di seguaci con i quali, fatto voto di castità e
vestiti solo di stracci, andava in giro a predicare il messaggio
evangelico; ben presto il gruppo fu identificato con l'espressione
Poveri di Lione. La loro predicazione si svolse all'interno
dell'"ortodossia" romana, rivolgendosi principalmente contro il
dualismo cataro.
La fedeltà al papa di Roma da parte del movimento valdese in
questi anni è testimoniata dalla ricerca di approvazione
ecclesiastica nel 1179, in occasione del terzo concilio Laterano:
essi si recarono a Roma incontrandosi anche con il pontefice
Alessandro III, il quale dimostrò apprezzamento per il loro
proposito di vivere in maniera povera e conforme al dettato
evangelico, ma non fu disposto a riconoscere la loro richiesta di
essere predicatori della Parola.
In quel periodo l'annuncio del Vangelo infatti era riservato solo ai
chierici e agli ecclesiastici, ai laici non era permesso predicare
ed era persino sconsigliata la lettura diretta e personale della
Bibbia.
Valdo tuttavia, insieme ai suoi seguaci, continuò a
diffondere l'insegnamento cristiano nonostante il divieto papale, in
piena disobbedienza; quindi, nel 1180, fu convocato dal cardinale
Enrico di Marcy, vescovo di Albano, in un sinodo a Lione, nel quale
Valdo e i suoi seguaci dichiararono la loro completa "ortodossia" e
al contempo esposero quelli che consideravano gli "errori" dei
catari. Nonostante ciò, la predicazione da parte dei laici e
delle donne e la lettura individuale della Bibbia erano aspetti
considerati inaccettabili dalla Chiesa romana, consapevole del fatto
che ammettere tale innovazione avrebbe significato dare il via ad un
processo di trasformazione dagli esiti imprevedibili qualora la
lettura e interpretazione dei testi sacri fosse permessa anche a
fedeli non appartenenti al clero. Tutto questo era stato ben
compreso da Walter Map, rappresentante di re Enrico II Plantageneto
al concilio lateranense del 1179, che a proposito dei valdesi aveva
scritto:
«Costoro mai hanno dimore stabili, se ne vanno due a due a
piedi nudi, vestiti di lana, nulla possedendo, ma mettendo tutto in
comune come gli apostoli, seguendo nudi il Cristo nudo. Iniziano ora
in modo umilissimo, perché stentano a muovere il piede; ma
qualora li ammettessimo, ne saremmo cacciati »
(Walter Map, De Nugis Curialium[8])
Nel 1184 a Verona, con la bolla Ad abolendam, papa Lucio III
scomunicò una serie di movimenti ritenuti ereticali anche
molto diversi tra loro, tra cui i poveri di Lione, i valdesi. La
motivazione per tale scomunica rimase la "presunzione" dei valdesi a
voler predicare in pubblico. Nonostante la condanna papale,
comunque, il movimento valdese continuò la sua espansione
verso il Mezzogiorno di Francia e l'Italia (Piemonte, Lombardia,
Puglia e Calabria), giungendo anche in alcune regioni della
Germania, in Svizzera, e persino in Austria, Spagna, Ungheria,
Polonia e Boemia.
Le comunità valdesi erano organizzate su due livelli: vi
erano i "perfetti" o "barba" (che significa "zio", in
contrapposizione al "padre" cattolico) che seguivano i tre voti
monastici di povertà, castità, e obbedienza ed erano
predicatori itineranti, e i semplici fedeli, che erano detti "amici"
o "noti". La comunità aveva tre gradi gerarchici: diaconi,
presbiteri e vescovi e preparava i futuri predicatori in apposite
scuole, gli "ospizi". Osservavano la liturgia delle Ore e i digiuni,
celebravano la Cena del Signore (nella Linguadoca con pane, vino e
pesce) e la sera del Giovedì Santo praticavano la lavanda dei
piedi. Studiavano a memoria interi Vangeli e altre parti della
Bibbia che Valdo aveva fatto tradurre nelle varie lingue popolari.
Dopo la scomunica, però, il movimento valdese perse la sua
compattezza originaria e iniziò a sfaldarsi in gruppi locali
differenziati tra di loro. La prima grande spaccatura avvenne nel
1205 circa, quando una parte consistente di valdesi di Lombardia
dette vita ad un gruppo autonomo detto appunto Poveri Lombardi
(pauperes Lombardi). Entrando in Lombardia i predicatori e le
predicatrici valdesi poveri (fratres et sorores) miravano, come
altrove, a costituire gruppi di amici o credentes che vivessero nel
mondo, lavorassero e li sostenessero con le loro elemosine. Vennero
però qui a trovarsi in una situazione politica e sociale
radicalmente diversa da quella d'oltralpe. Trovarono infatti una
miriade di Comuni in lotta perenne per la loro piena indipendenza
dall'Impero e dal papato e, all'interno, lacerati dalle lotte tra
partito guelfo e partito ghibellino.
I valdesi non ebbero problemi a inserirsi nelle strutture comunali,
riuscendo anche a farsi eleggere alle cariche più importanti,
ma la maggior parte di loro preferì restare ai margini della
vita politica a causa del severo divieto del giuramento,
dell'insistenza sulla povertà assoluta e per una certa
sfiducia verso le autorità umane. Il partito ghibellino
sembrava spesso appoggiare questi movimenti ereticali, non
però per un reale interesse per le questioni religiose, ma
per sfruttare ai suoi fini l'anticlericalismo della loro
predicazione. E così, ad alcuni podestà che li
difendevano e li appoggiavano, ne seguirono spesso altri che li
condannavano e li bruciavano sul rogo.
Ma in Lombardia i valdesi vennero ben presto a contatto e furono
influenzati da altri movimenti popolari di carattere sociale e
religioso, da tempo presenti in loco o di nuova istituzione, come i
Patarini, gli Arnaldisti e gli Umiliati. I valdesi lombardi ne
furono influenzati al punto da adottare dei provvedimenti che
provocarono la reazione di Valdo fino alla scissione che ebbe luogo
nel 1205, essenzialmente a causa di tre motivi:
1. I predicatori in Lombardia entrarono a far parte di
comunità di lavoratori e ne crearono delle proprie. Secondo
Valdo i predicatori non dovevano lavorare ma vivere in
povertà delle offerte degli amici per non essere corrotti
dalla brama di ricchezze.
2. I lombardi si scelsero un capo a vita nella persona
del piacentino Giovanni da Ronco detto il Buono. Valdo obiettava che
l'unico preposto del loro movimento doveva rimanere Gesù
Cristo.
3. I lombardi elessero dei ministri ai quali affidarono
compiti sacerdotali, come la consacrazione dell'eucaristia. Valdo
temeva che questo fosse il primo passo per costituirsi come
contro-chiesa: egli infatti aveva voluto creare una
fraternità religiosa di predicatori che si impegnavano a
supplire alle carenze del clero nella predicazione e nella cura
d'anime, ma non dovevano sostituirsi ad esso. Valdo voleva rimanere
nella Chiesa romana e lavorarvi, anche se scomunicato.
Da questa prima divisione nacque una crisi del movimento che ebbe
importanti evoluzioni nel giro di pochi anni.
Dal XIII secolo al XVI
Tra il 1205 e il 1207 Valdo morì senza essere riuscito a
ricomporre lo scisma interno al suo movimento e la frattura con
Roma. Da allora molti gruppi iniziarono ad allontanarsi
dall'ortodossia cattolica, rifiutando le gerarchie ecclesiastiche,
giudicate peccatrici e malvagie. Quando il Concilio Lateranense IV
nel 1215 definisce formalmente la dottrina della transustanziazione
(cioè l'idea della presenza reale e sostanziale di Cristo
nell'Eucarestia), questa non trova consensi tra i valdesi.
A causa di queste tendenze il principale interprete del valdismo
originario, Durando d'Osca, insieme ad un gruppo di discepoli,
tentò di mettere fine al dissidio con le gerarchie
ecclesiastiche facendo riconoscere dalla Chiesa romana i punti
essenziali della primitiva ispirazione di Valdo. La speranza
però si rivelò illusoria: il papa, nel 1208,
approvò il loro proposito di vita religiosa ma non colse i
motivi centrali della loro ispirazione e il nuovo ordine, con il
nome di Poveri Cattolici (pauperes catholici), fu orientato in
funzione antiereticale.
Una sorte leggermente migliore toccò a Bernardo Primo e ai
suoi seguaci, riconosciuti nel 1210 dalla Chiesa con il nome di
Poveri Riconciliati, che riuscirono a inserire nel loro proposito il
supremo magistero di Cristo e il mandato apostolico di predicare per
la salvezza del popolo di Dio.
Entrambi i gruppi, comunque, non riuscirono nel loro intento di
rifondare dall'interno la Chiesa né a sottrarre dalla
presunta "eresia" gli altri movimenti valdesi. Inoltre le gerarchie
ecclesiastiche li guardavano con sospetto e furono spesso accusati
di aver accettato l'"ortodossia" romana solo formalmente; nel giro
di pochi anni, perciò, i Poveri Cattolici e i Poveri
Riconciliati si esaurirono o furono costretti a fondersi con altri
ordini religiosi.
I restanti membri del movimento valdese si erano organizzati in due
gruppi, quello ultramontano e quello italico. Nel 1218 la
Società dei Fratelli Ultramontani (societas fratrum
Ultramontanorum) e la Società dei Fratelli Italici (societas
fratrum Italicorum) si incontrarono a Bergamo con l'intento di
trovare una nuova unità, ma non riuscirono a ricomporre le
loro fratture.
L'incapacità di trovare un accordo derivò
probabilmente dalle diverse concezioni dei due schieramenti sulla
natura del movimento. Per gli Ultramontani si trattava ancora di una
libera fraternità di predicatori e predicatrici, poveri e
itineranti, che si dedicavano alla missione e alla cura d'anime
all'interno della Chiesa romana, di cui riconoscevano la
validità dei sacramenti nonostante la scomunica e la
persecuzione; gli italici, invece, erano ormai sulla via di un
distacco totale dalla Chiesa romana di cui contestavano la
legittimità a causa della sua immoralità, procedendo
infatti ben presto ad organizzarsi come chiesa alternativa.
La separazione tra le due tendenze del Valdismo continuerà
ancora per gran parte del Duecento, soprattutto in Italia, ma
finirà per perdere progressivamente di significato e, alla
fine del secolo XIII, si noterà una convergenza delle due
posizioni.
Gli Ultramontani dovranno rendersi ben presto conto che non era
più possibile trovare sacerdoti cattolici disposti ad
ammetterli alla celebrazione dei sacramenti e dovettero organizzarsi
anch'essi in proprio.
I valdesi furono duramente perseguitati anche nei secoli successivi
ma, a differenza dei catari, l'Inquisizione non riuscirà mai
a spegnere il focolaio valdese nonostante la durissima repressione.
Vivendo nella clandestinità, e spesso riuscendo a nascondersi
in zone eccentriche, il movimento valdese riuscirà ad
arrivare al XVI secolo e ad aderire alla Riforma protestante
calvinista nel 1532 col sinodo di Chanforan, segnando una svolta
decisiva per il futuro della comunità.
Nel Trattato sulla tolleranza Voltaire , passato alla storia come
pensatore anticristiano per antonomasia, tanto da arrivare a
sostenere che «ogni uomo sensato, ogni uomo dabbene, deve
avere orrore per la setta cristiana», descrive una
persecuzione di cui i valdesi furono vittime nell'aprile del 1545:
«Poco tempo prima della morte di Francesco I alcuni membri del
Parlamento di Provenza, sobillati da alcuni ecclesiastici contro gli
abitanti di Mérindol e di Cabrières, chiesero al re
dei soldati per appoggiare l'esecuzione di diciannove persone di
questi paesi, da loro condannate: invece ne fecero sgozzare 6000,
senza risparmiare né donne, né vecchi, né
bambini; ridussero in cenere trenta villaggi. Queste popolazioni,
fino allora sconosciute, avevano il torto, senza dubbio, di essere
valdesi: era questa la loro unica malvagità. Da trecento anni
vivevano in deserti e montagne che avevano reso fertili con un
lavoro incredibile. La loro vita pastorale e tranquilla ricordava
l'innocenza attribuita alle prime età del mondo. Le
città vicine non erano conosciute da loro che per i prodotti
che vi andavano a vendere; ignoravano i processi e la guerra. Non si
difesero: furono sgozzati come degli animali in fuga, che si
spingono in un recinto e si uccidono.»
Nel 1561 venne firmata la Pace di Cavour, primo esempio di
libertà religiosa nell'Europa moderna. In realtà il
valdismo poteva essere confessato solo nelle zone di montagna, al di
sopra dei 700 m. Persecuzioni vengono scatenate in Puglia e
soprattutto in Calabria, dove dalla fine di maggio al giugno 1561 un
migliaio di Valdesi sono massacrati dalle truppe del Regno di Napoli
con l'appoggio dell'Inquisizione di Roma.
Dal XVII secolo a oggi
Nel 1655 si perpetrano i massacri delle Pasque piemontesi. Nel 1685,
in seguito alla revoca dell'editto di Nantes, il duca di Savoia
Vittorio Amedeo II sostiene la persecuzione dei valdesi e la
repressione si trasforma in una vera "caccia al valdese" fin nelle
valli interne del Pinerolese e della Val Pellice a sud di Torino.
2700 profughi riparano a Ginevra. Nel 1689 mille valdesi, finanziati
dal re d'Inghilterra Guglielmo III d'Orange, guidati da Enrico
Arnaud, rientrano nella patria piemontese: è il famoso
Glorioso rimpatrio. Nel 1700 si instaura il ghetto alpino.
Nel 1848 con le Lettere Patenti di Carlo Alberto vengono
riconosciuti i diritti civili e politici dei valdesi.
Nel 1850 si sviluppa il sistema delle scuole alpine di borgata a
opera del colonnello inglese Charles Beckwith. Gli antropologi
chiamano "paradosso alpino" il fenomeno secondo il quale il livello
di istruzione e di apertura culturale di una comunità aumenta
proporzionalmente alla quota. Lo stereotipo della comunità
alpina come una realtà chiusa e impermeabile è
contraddetta da realtà come quella valdese, che alla fine del
XIX secolo presentava una percentuale di analfabeti trascurabile e
vantava contatti con le élite culturali di mezza Europa.
Nel 1979 si sigla il patto di integrazione tra metodisti e valdesi
in un'unica comunità confessionale.
Persecuzione e tortura
Durante le persecuzioni nei confronti dei valdesi, le cronache hanno
registrato eventi particolarmente drammatici. Nel 1487 papa
Innocenzo VIII bandiva una crociata contro i valdesi con una bolla
con la quale incitava: “tutti i fedeli insorgano contro i valdesi e
li calpestino come vipere velenose, senza tralasciare alcuno sforzo
per lo sterminio e la distruzione di questi eretici: opera santa e
assolutamente necessaria”.
Nel 1545 pochi mesi prima che si inaugurasse il Concilio di Trento,
il re di Francia, Francesco I, bandì una crociata contro i
valdesi delle Alpi franco-piemontesi, a proposito della quale nella
sua Istoria del concilio tridentino, Paolo Sarpi parlò di ben
quattromila persone trucidate e seicento cacciate in prigione, tra
cui donne, ragazzi di 13-14 anni, vecchi di ottant'anni, con la
distruzione di 22 paesi; gli abitanti di 17 villaggi valdesi, nei
pressi di Avignone, furono passati a fil di spada, compresi donne e
bambini.
Nel 1561, per ordine del cardinale e prefetto del tribunale
dell'Inquisizione Ghisleri (futuro papa Pio V), si organizzò
in Calabria il massacro dei valdesi che si erano là
rifugiati. San Sisto, paese di 6000 abitanti, fu totalmente
distrutto dalle fiamme, Guardia Piemontese ebbe 2000 vittime arse
sul rogo, 1300 messe in prigione, e alcune centinaia rincorse e
ammazzate per le campagne, mentre tentavano di fuggire.
« … Li quali [i valdesi, ndr] erano tutti serrati in una
casa, e veniva il boia e li pigliava a uno a uno, e gli legava una
benda davanti agli occhi, poi lo menava in un luogo spazioso poco
distante da quella casa, e lo faceva inginocchiare, e con un
coltello gli tagliava la gola, e lo lasciava così. Dipoi
pigliava quella benda insanguinata e col coltello insanguinato
ritornava a pigliar l’altro e faceva il simile. Ha seguito
quest’ordine fino al numero 88; il quale spettacolo quanto sia stato
compassionevole lo lascio pensare e considerare a voi. I vecchi
vanno a morire allegri, e i giovani vanno più impauriti. Si
è dato ordine, e già sono qua le carra, e tutti si
squarteranno e si metteranno di mano in mano per tutta la strada che
fa il procaccio fino ai confini della Calabria; se il Papa et il
signor Viceré non comanderà al signor marchese che
levi mano. Tuttavia fa dar della corda agli altri. Si è dato
ordine far venire oggi cento donne delle più vecchie, e
quelle far tormentare, e poi farle giustiziare ancor loro, per poter
far la misura perfetta. Ve ne sono sette che non vogliono vedere il
crocifisso, né si vogliono confessare, i quali si
abbruceranno vivi. Di Mont’Alto, alli 11 giugno 1561. »
Per quanto riguarda le persecuzioni, di cui furono vittime i valdesi
delle valli dell'Italia nord-occidentale nel 1655, conosciute come
“Pasque piemontesi”, un testimone oculare, Samuel Morland, afferma
che:
«La moltitudine armata si gettò sui valdesi nella
maniera più furiosa. Non si vedeva altro che il volto
dell’orrore e della disperazione. I pavimenti delle case erano
macchiati di sangue, le strade erano disseminate di cadaveri si
udivano gemiti e grida da ogni parte. Alcuni si armarono e fecero
delle scaramucce con le milizie; e molti, con le loro famiglie,
scapparono sulle montagne. In un villaggio torturarono crudelmente
150 donne e bambini, dopo che gli uomini erano fuggiti; decapitarono
le donne e fecero schizzare fuori i cervelli ai bambini. Nelle
città di Villaro e Bobio, la maggior parte di quelli che si
rifiutavano di andare a messa e che avevano più di 15 anni,
fu crocifissa a capo all’ingiù; e quasi tutti quelli che
erano di età inferiore furono strangolati. […] Una delle
torture preferite consisteva nel mettere dei sacchetti di polvere da
sparo in bocca alle vittime e, poi, di dar loro fuoco. A Daniel
Rambaut furono amputate, una al giorno, le falangi delle dita delle
mani e dei piedi nel tentativo di convincerlo ad abbracciare la fede
cattolica romana. A Sara Rastignole des Vignes, per essersi
rifiutata di ripetere Gesù Maria, fu conficcata una falce nel
basso addome. Un’altra giovane donna, Martha Constantine, fu
violentata e uccisa con la recisione dei seni. […] Cipriano Bastia,
a cui era stato ordinato di rinnegare la sua religione e di
accettare la fede papale, rispose “piuttosto rinuncerei alla mia
stessa vita, o vorrei essere trasformato in un cane”, al che un
prete aggiunse: “per ciò che hai detto rinuncerai proprio
alla vita e sarai dato ai cani”. Bastia fu gettato in prigione e
quando La privazione del cibo lo ebbe portato sull’orlo della morte,
fu gettato in strada alla mercé dei cani randagi.»
I bambini furono fatti a pezzi, decapitati e uccisi in vari modi
sotto gli occhi dei genitori. Aggiunge Samuel Morland che:
«Un servo di Jacopo Michelino da Bobbio ricevette
diverse stilettate alle piante dei piedi e alle orecchie per mano di
un certo Guglielmo Roche, un famoso massacratore di Lucerna, e di un
altro chiamato Mandolino che poi gli tagliò i genitali e gli
mise una candela accesa sulla ferita, arrostendogliela con la fiamma
per fermare il sangue e per procurargli il tormento. Fatto questo,
gli strapparono le unghie con tenaglie roventi, per vedere se
riuscivano in qualche modo a costringerlo ad abiurare. Ma non
riuscendovi in alcun modo, gli legarono una delle gambe al mulo del
marchese di Lucerna e lo trascinarono per le strade, fino a quando
fu quasi sul punto di terminare la sua dolorosa vita; e allora, dopo
avergli legato la testa con una corda, la strinsero e la torsero con
un bastone fino a che gliela staccarono dal corpo.[»
A causa delle continue persecuzioni e degli omicidi, le città
e i villaggi delle valli del Piemonte si spopolarono quasi
completamente. La maggior parte di quelli che non furono uccisi sul
posto, dopo essere fuggiti sui monti, morirono di fame o di
malattie.
Laicità dello stato, temi etici e progressismo sociale
I valdesi si sono sempre impegnati per favorire la piena
laicità dello stato.
La chiesa valdese si è pronunciata come fortemente contraria
all'esposizione del crocefisso, e più in generale di ogni
simbolo religioso, in luoghi pubblici.
Per quanto riguarda i "temi etici", i valdesi hanno sempre favorito
il dibattito su temi quali omosessualità, aborto, testamento
biologico ed eutanasia, ponendosi di fatto in contrasto con la
Chiesa, con le Sacre Scritture, e con la speculazione di illustri e
venerati patriarchi cattolici quali San Paolo, Sant'Agostino e Santa
Caterina da Siena.
La Commissione Bioetica della Tavola Valdese si è espressa in
maniera articolata sia sull'aborto sia sull'eutanasia, con posizioni
che sostanzialmente si possono riassumere nell'affermazione della
centralità della responsabilità personale in queste
delicate decisioni. La Chiesa Valdese è anche impegnata nella
diffusione del testamento biologico, i cui registri in molte
città sono gestiti dalle comunità valdesi.
La Chiesa Evangelica Valdese, durante il sinodo del 2010, si
è espressa a favore della ricerca sulle cellule staminali.
Valdismo e omosessualità
La Chiesa Valdese ritiene che il singolo credente sia guidato dallo
Spirito Santo, e mantiene quindi un certo riserbo nell'offrire
direttive specifiche dare nel campo dell'etica sessuale come in
quello politico-sociale. Ciononostante, i valdesi si sono dimostrati
molto aperti sul tema dell'omosessualità; la stragrande
maggioranza si è dimostrata favorevole alle benedizione delle
coppie omosessuali. La Chiesa Valdese, inoltre, si impegna
attivamente nella lotta all'omofobia e nel supporto alla
comunità LGBT.
Il dibattito sul tema dell'omosessualità avviene anche
tramite la R.E.F.O. (Rete Evangelica Fede e Omosessualità) e
l'Associazione Fiumi d'acqua viva - Evangelici su Fede e
Omosessualità".
Il 26 agosto 2010 il Sinodo della Chiesa Evangelica Valdese e
Metodista italiana ha approvato con un ordine del giorno la
benedizione di coppie dello stesso sesso, “laddove la chiesa locale
abbia raggiunto un consenso maturo e rispettoso delle diverse
posizioni”.
Nell'esegesi biblica, la Chiesa valdese rifiuta l'approccio
letteralista o fondamentalista, accostandosi piuttosto ai testi
della Bibbia con il metodo storico-critico. Anche i testi vetero- o
neotestamentari che condannano gli atti sessuali tra persone dello
stesso sesso, come tutti gli altri passi biblici, vengono
contestualizzati nell'ambiente storico e sociale in cui furono
scritti, e interpretati alla luce di un messaggio evangelico
universale e sempre valido.
Diffusione attuale
Italia
Dopo molti secoli di dure persecuzioni, i valdesi hanno acquistato
la libertà legale nel 1848, sotto Carlo Alberto. Da allora la
Chiesa Valdese si è sviluppata e diffusa attraverso la
penisola italiana. Durante l'occupazione nazista dell'Italia
settentrionale nella seconda guerra mondiale, i valdesi italiani
erano attivi nel portare la salvezza agli ebrei che sarebbero stati
minacciati dallo sterminio imminente, nascondendo molti di loro
nella stessa Val Pellice, territorio in cui gli antenati valdesi
trovarono rifugio.
L'organo di stampa ufficiale è il settimanale Riforma.
Oggi i valdesi sono diffusi soprattutto in Piemonte, dove contano 41
Chiese (120 in tutta Italia) di cui 18 nelle cosiddette Valli
valdesi, ed hanno il loro centro a Torre Pellice, in provincia di
Torino. La città di Torino ha quattro Chiese valdesi. Ogni
anno nell'ultima settimana di agosto, i deputati delle chiese locali
ed i pastori si riuniscono a Torre Pellice, per dare luogo al Sinodo
Valdese, massimo momento assembleare e decisionale nella vita delle
chiese.
Da ricordare l'isola linguistico-religiosa di Guardia Piemontese in
Calabria (CS), che fu fondata nel XII secolo da rifugiati valdesi
provenienti da Bobbio Pellice in Piemonte. A Guardia Piemontese, la
popolazione, pur non professando ormai la fede riformata valdese a
seguito della strage del 1561 ad opera dell'inquisizione romana,
parla ancora un dialetto provenzale. Affacciata sulla Piazza della
strage, lungo le mura periferiche della città, la Porta del
sangue ne testimonia la triste vicenda storica. Presente ed attiva
è invece la comunità valdese di Dipignano, sempre in
Calabria (CS), concentrata in un antico nucleo abitativo chiamato
Doviziosi, dove da pochi anni ha anche acquistato dalla Curia la
chiesa intitolata a sant'Ippolito, restaurandola e adibendola a
proprio luogo di culto.
Negli ultimi decenni si è sviluppato, nonostante le
diffidenze dovute alle vicende storiche, un certo dialogo ecumenico
con la Chiesa cattolica, il cui risultato più concreto
è stata l'intesa sui matrimoni misti negli anni novanta,
mentre permangono ancora alcune distanze dal mondo cattolico
riguardo alle questioni etiche e morali, ad esempio riguardo al
riconoscimento da parte del Sinodo Valdese della legittimità
dell'eutanasia.