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SILLABO.
Voce greca, che significa collezione.
Con questo nome sono conosciute due serie di proposizioni condannate
dai papi Pio IX e Pio X. Il Sillabo di Pio X è diretto contro
il modernismo. Assai più famoso di questo è il Sillabo
che va sotto il nome di Pio IX.
Il primo, o uno dei primi a suscitare l'idea d'un atto del genere
del Sillabo, fu l'arcivescovo di Perugia, il cardinale G. Pecci, poi
Leone XIII, nel concilio provinciale di Spoleto, del novembre 1849.
Nel 1852 la rivista Civiltà Cattolica, nella
prossimità della definizione dogmatica dell'Immacolata
Concezione, parlò dell'opportunità di accompagnarla
con una condanna esplicita degli errori del razionalismo. L'idea
piacque a Pio IX, che incaricò il cardinale R. Fornari di
consultare in proposito dotte personalità ecclesiastiche e
laiche, alle quali fu inviata una lettera con una serie di 28 punti
di studio da tenersi presenti nella raccolta degli errori. Le
risposte proposero che la condanna degli errori fosse fatta con un
atto pontificio distinto dalla bolla sulla Immacolata Concezione; e
allora la commissione, che aveva terminato i suoi lavori attorno a
quel dogma, fu trasformata in commissione di studio e ricerca sugli
errori moderni.
Mentre questa stava lavorando, O.-Ph. Gerbet, vescovo di Perpignano,
pubblicava nel 1860 un'istruzione pastorale contro gli errori del
tempo, condannando 85 proposizioni. Tale atto piacque a Pio IX, che
sottopose a una commissione più ristretta lo studio di quelle
proposizioni; e l'esito fu che nel 1862 fu sottoposto al parere dei
300 vescovi accorsi a Roma un catalogo di 61 proposizioni da
condannarsi con una bolla pontificia. Ma un'indiscrezione permetteva
al giornale di Torino, il Mediatore, di lanciare nell'ottobre di
quell'anno alle discussioni d'un pubblico passionato quelle
proposizioni e la rispettiva condanna.
Pio IX attese la calma, e frattanto abbandonò il progetto di
condanna per mezzo di una bolla, facendo ricorso a un altro mezzo.
Secondo che l'occasione portava, egli aveva già condannato
tutti quegli errori in altri atti; non c'era che da estrarli dalle
sue encicliche, lettere apostoliche, allocuzioni. Una nuova
commissione, dopo un anno di lavoro, poté presentare un
catalogo di 80 proposizioni; questo fu il Sillabo, pubblicato l'8
dicembre 1864 insieme con l'enciclica Quanta cura, e inviato a tutti
i vescovi ufficialmente con una lettera del cardinale segretario di
stato.
Il Sillabo può essere diviso in 9 gruppi distinti di
proposizioni, riguardanti errori e teorie diverse: 1. Panteismo,
naturalismo, e razionalismo assoluto (prop.1-7); 2. Razionalismo
moderato (8-14); 3. Indifferentismo e latitudinarismo (15-18); 4. La
Chiesa, i suoi diritti e privilegi (19-38); 5. La società
civile in sé stessa e nei suoi rapporti con la Chiesa
(39-55); 6. L'etica naturale e cristiana (56-64); 7. Il matrimonio
(65-74); 8. Sovranità temporale del romano pontefice (75-76);
9. Liberalismo moderno (77-80).
Vengono così condannati gli errori dei panteisti neganti
l'esistenza d'un Dio personale e distinto; dei razionalisti, che
fanno la ragione umana suprema norma di ogni verità,
indipendente da ogni rivelazione superiore; degli indifferentisti,
che dicono buona qualsiasi religione; dei regalisti, liberali e
statolatri, che sostengono lo stato origine e fonte di tutti i
diritti, e a lui vogliono soggetta anche la Chiesa con la sua
gerarchia e il suo magistero; dei fautori della libera morale,
nonché di quelli che asseriscono il diritto altro non essere
che un fatto materiale, sostenuto da forze materiali prevalenti; di
coloro che negano al matrimonio la dignità di sacramento, e
lo vogliono in tutto sottoposto all'autorità civile, che
può anche scioglierlo; e finalmente, di quelli che vogliono
piena separazione tra la Chiesa e lo Stato, e che sia concessa a
tutte le religioni la stessa libertà che alla cattolica.
Quanto al valore dogmatico, non si può dire con certezza che
il Sillabo sia una definizione ex-cathedra; i teologi sono discordi;
tuttavia, se non si può ritenere come un atto emanato dal
papa secondo il grado supremo della sua autorità di maestro,
e cioè con il carisma dell'infallibilità, non è
meno certo che esso importa una regola di dottrina, proposta come
strettamente e universalmente obbligatoria dalla suprema
autorità; e perciò tutti ì fedeli sono tenuti
in coscienza a sottomettervisi.
***
da
http://www.storialibera.it/epoca_contemporanea/risorgimento/pio_IX_e_il_sillabo/
PIO IX
Sillabo dei principali errori dell'epoca
tratto da: 8.12.1864
Sillabo dei principali errori dell'età nostra, che son notati
nelle allocuzioni concistoriali, nelle encicliche e in altre lettere
apostoliche del SS. signor nostro Papa Pio IX.
I - PANTEISMO, NATURALISMO E RAZIONALISMO ASSOLUTO
I. Non esiste nessun Essere divino, supremo, sapientissimo,
provvidentissimo, che sia distinto da quest'universo, e Dio non
è altro che la natura delle cose, e perciò va soggetto
a mutazioni, e Dio realmente vien fatto nell'uomo e nel mondo, e
tutte le cose sono Dio ed hanno la sostanza stessissima di Dio; e
Dio è una sola e stessa cosa con il mondo, e quindi si
identificano parimenti tra loro, spirito e materia, necessità
e libertà, vero e falso, bene e male, giusto ed ingiusto.
Alloc. "Maxima quidem", 9 giugno 1862.
II. È da negare qualsiasi azione di Dio sopra gli uomini e il
mondo.
Alloc. "Maxima quidem", 9 giugno 1862.
III. La ragione umana, indipendentemente da Dio, è l'unico
arbitro del vero e del falso, del bene e del male; essa è
legge a se stessa, e colle sue forze naturali basta a procurare il
bene degli uomini e dei popoli.
Alloc. "Maxima quidem", 9 giugno 1862.
IV. Tutte le verità religiose scaturiscono dalla forza nativa
della ragione umana; quindi la ragione è la prima norma, per
mezzo di cui l'uomo può e deve conseguire la cognizione di
tutte le verità, a qualsivoglia genere esse appartengano.
Encicl. "Qui pluribus", 9 novembre 1846.
Encicl. "Singulari quidem", 17 marzo 1856.
Alloc. "Maxima quidem", 9 giugno 1862.
V. La rivelazione divina è imperfetta, e perciò
soggetta a processo continuo e indefinito, corrispondente al
progresso della ragione umana.
Encicl. "Qui pluribus", 9 novembre 1846.
Alloc. "Maxima quidem", 9 giugno 1862.
VI. La fede di Cristo si oppone alla umana ragione; e la rivelazione
divina non solo non giova a nulla, ma nuoce anzi alla perfezione
dell'uomo.
Encicl. "Qui pluribus", 9 novembre 1846.
Alloc. "Maxima quidem", 9 giugno 1862.
VII. Le profezie e i miracoli esposti e narrati nella sacra
Scrittura sono invenzioni di poeti, e i misteri della fede cristiana
sono il risultato di indagini filosofiche; e i libri dell'Antico e
Nuovo Testamento contengono dei miti; e Gesù stesso è
un mito.
Encicl. "Qui pluribus", 9 novembre 1846.
Alloc. "Maxima quidem", 9 giugno 1862.
II - RAZIONALISMO MODERATO
VIII. Siccome la ragione umana si equipara colla stessa religione,
perciò le discipline teologiche si devono trattare al modo
delle filosofiche.
Alloc. "Singulari quadam perfusi", 9 dicembre 1854.
IX. Tutti indistintamente i dommi della religione cristiana sono
oggetto della naturale scienza ossia filosofia, e l'umana ragione,
storicamente solo coltivata, può colle sue naturali forze e
principi pervenire alla vera scienza di tutti i dommi, anche i
più reconditi, purché questi dommi siano stati alla
stessa ragione proposti.
Lett. all'Arciv. di Frisinga "Gravissimas", 11 dicembre 1862.
Lett. al medesimo "Tuas libenter", 21 dicembre 1862.
X. Altro essendo il filosofo ed altro la filosofia, quegli ha
diritto e ufficio di sottomettersi alle autorità che egli ha
provato essere vere: ma la filosofia né può, né
deve sottomettersi ad alcuna autorità.
Lett. all'Arciv. di Frisinga "Gravissimas", 11 dicembre 1862.
Lett. al medesimo "Tuas libenter", 21 dicembre 1862.
XI. La Chiesa non solo non deve mai correggere la filosofia, ma anzi
deve tollerarne gli errori e lasciare che essa corregga se stessa.
Lett. all'Arciv. di Frisinga "Gravissimas", 11 dicembre 1862.
XII. I decreti della Sede apostolica e delle romane Congregazioni
impediscono il libero progresso della scienza.
Lett. all'Arciv. di Frisinga "Tuas libenter", 21 dicembre 1862.
XIII. Il metodo e i principi, coi quali gli antichi Dottori
scolastici coltivarono la teologia, non si confanno alle
necessità dei nostri tempi e al progresso delle scienze.
Lett. all'Arciv. di Frisinga "Tuas libenter", 21 dicembre 1862.
XIV. La filosofia si deve trattare senza aver alcun riguardo alla
rivelazione soprannaturale.
Lett. all'Arciv. di Frisinga "Tuas libenter", 21 dicembre 1862.
N.B. Col sistema del razionalismo sono in massima parte uniti gli
errori di Antonio Günther, che vengono condannati nella Lett.
al Card. Arciv. di Colonia, "Eximiam tuam", 15 giugno 1847, e nella
Lett. al Vesc. di Breslavia, "Dolore haud mediocri", 30 aprile 1860.
III - INDIFFERENTISMO, LATITUDINARISMO
XV. È libero ciascun uomo di abbracciare e professare quella
religione che, sulla scorta del lume della ragione, avrà
reputato essere vera.
Lett. Apost. "Multiplices inter", 10 giugno 1851.
Alloc. "Maxima quidem", 9 giugno 1862.
XVI. Gli uomini nell'esercizio di qualsivoglia religione possono
trovare la via della eterna salvezza, e conseguire l'eterna
salvezza.
Encicl. "Qui pluribus", 9 novembre 1846.
Alloc. "Ubi primum", 17 dicembre 1847.
Encicl. "Singulari quidem", 17 marzo 1856.
XVII. Almeno si deve bene sperare della eterna salvezza di tutti
coloro che non sono nella vera Chiesa di Cristo.
Alloc. "Singulari quadam", 9 dicembre 1854.
Encicl. "Quanto conficiamur", 17 agosto 1863.
XVIII. Il protestantesimo non è altro che una forma diversa
della medesima vera religione cristiana, nella quale egualmente che
nella Chiesa cattolica si può piacere a Dio.
Encicl. "Noscitis et Nobiscum", 8 dicembre 1849.
IV - SOCIALISMO, COMUNISMO, SOCIETÀ SEGRETE, SOCIETÀ
BIBLICHE, SOCIETÀ CLERICO-LIBERALI
Tali pestilenze, spesso, e con gravissime espressioni, sono
riprovate nella Epist. Encicl. "Qui pluribus", 9 novembre 1846;
nella Alloc. "Quibus quantisque", 20 aprile 1849: nella Epist.
Encicl. "Nostis et Nobiscum", 8 dicembre 1849; nella Alloc.
"Singulari quadam", 9 dicembre 1854; nell'Epist. "Quanto
conficiamur", 10 agosto 1863.
V - ERRORI SULLA CHIESA E SUOI DIRITTI
XIX. La Chiesa non è una vera e perfetta società
pienamente libera, né è fornita di suoi propri e
costanti diritti, conferitile dal suo divino Fondatore, ma tocca
alla potestà civile definire quali siano i diritti della
Chiesa e i limiti entro i quali possa esercitare detti diritti.
Alloc. "Singulari quadam", 9 dicembre 1854.
Alloc. "Multis gravibusque", 18 dicembre 1860.
Alloc. "Maxima quidem", 9 giugno 1862.
XX. La potestà ecclesiastica non deve esercitare la sua
autorità senza licenza e consenso del governo civile.
Alloc. "Meminit unusquisque", 30 settembre 1861.
XXI. La Chiesa non ha potestà di definire dommaticamente che
la religione della Chiesa cattolica sia l'unica vera religione.
Lett. Apost. "Multiplices inter", 10 giugno 1851.
XXII. L'obbligazione che vincola i maestri e gli scrittori
cattolici, si restringe solamente a quelle cose che dall'infallibile
giudizio della Chiesa sono proposte a credersi da tutti come dogmi
di fede.
Lett. all'Arciv. di Frisinga "Tuas libenter", 21 dicembre 1862.
XXIII. I Romani Pontefici ed i Concilii ecumenici si scostarono dai
limiti della loro potestà, usurparono i diritti dei Principi,
ed anche nel definire cose di fede e di costumi errarono.
Lett. Apost. "Multiplices inter", 10 giugno 1851.
XXIV. La Chiesa non ha potestà di usare la forza, né
alcuna temporale potestà diretta o indiretta.
Lett. Apost. "Ad Apostolicae", 22 agosto 1851.
XXV. Oltre alla potestà inerente all'episcopato, ve
n'è un'altra temporale che è stata ad esso concessa o
espressamente o tacitamente dal civile impero il quale per
conseguenza la può revocare, quando vuole.
Lett. Apost. "Ad apostolicae", 22 agosto 1851.
XXVI. La Chiesa non ha connaturale e legittimo diritto di acquistare
e di possedere.
Alloc. "Nunquam fore", 15 dicembre 1856.
Lett. Encicl. "Incredibili", 17 settembre 1863.
XXVII. I sacri ministri della Chiesa ed il Romano Pontefice debbono
essere assolutamente esclusi da ogni cura e da ogni dominio di cose
temporali.
Alloc. "Maxima quidem", 9 giugno 1862.
XXVIII. Ai Vescovi, senza il permesso del Governo, non è
lecito neanche promulgare le Lettere apostoliche.
Alloc. "Nunquam fore", 15 dicembre 1856.
XXIX. Le grazie concesse dal Romano Pontefice si debbono stimare
nulle, quando non sono state implorate per mezzo del Governo.
Alloc. "Nunquam fore", 15 dicembre 1856.
XXX. L'immunità della Chiesa e delle persone ecclesiastiche
ebbe origine dal diritto civile.
Lett. Apost. "Multiplices inter", 10 giugno 1851.
XXXI. Il foro ecclesiastico per le cause temporali dei chierici,
siano esse civili o criminali, dev'essere assolutamente abolito,
anche senza consultare la Sede apostolica, e nonostante che essa
reclami.
Alloc. "Acerbissimum", 27 settembre 1852.
Alloc. "Nunquam fore", 15 dicembre 1856.
XXXII. Senza violazione alcuna del diritto naturale e
dell'equità, si può abrogare l'immunità
personale, in forza della quale i chierici sono esenti dalla leva e
dall'esercizio della milizia; e tale abrogazione è voluta dal
civile progresso, specialmente in quelle società le cui
costituzioni sono secondo la forma del più libero governo.
Epist. al Vescovo di Monreale "Singularis Nobisque", 29 sett. 1864.
XXXIII. Non appartiene unicamente alla potestà ecclesiastica
di giurisdizione, qual diritto proprio e connaturale, dirigere
l'insegnamento della teologia.
Lett. all'Arciv. di Frisinga "Tuas libenter", 21 dicembre 1862.
XXXIV. La dottrina di coloro che paragonano il Romano Pontefice ad
un Principe libero che esercita la sua azione in tutta la Chiesa,
è una dottrina la quale prevalse nel medio evo.
Lett. Apost. "Ad apostolicae", 22 agosto 1851.
XXXV. Niente vieta che, per sentenza di qualche Concilio generale o
per opera di tutti i popoli, il sommo Pontificato si trasferisca dal
Vescovo Romano e da Roma ad un altro Vescovo e ad un'altra
città.
Lett. Apost. "Ad apostolicae", 22 agosto 1851.
XXXVI. La definizione di un Concilio nazionale non si può
sottoporre a verun esame, e la civile amministrazione può
considerare tali definizioni come norma irretrattabile di operare.
Lett. Apost. "Ad apostolicae", 22 agosto 1851.
XXXVII. Si possono istituire Chiese nazionali non soggette
all'autorità del Romano Pontefice, e del tutto separate.
Alloc. "Multis gravibusque", 17 dicembre 1860.
Alloc. "Iamdudum cernimus", 18 marzo 1861.
XXXVIII. Gli arbìtri eccessivi dei Romani Pontefici
contribuirono alla divisione della Chiesa in quella di Oriente e in
quella di Occidente.
Lett. Apost. "Ad apostolicae", 22 agosto 1851.
VI - ERRORI CHE RIGUARDANO LA SOCIETÀ CIVILE, CONSIDERATA IN
SÉ COME NELLE SUE RELAZIONI CON LA CHIESA
XXXIX. Lo Stato, come origine e fonte di tutti i diritti, gode di un
diritto non ammette confini.
Alloc. "Maxima quidem", 9 giugno 1862.
XL. La dottrina della Chiesa cattolica è contraria al bene ed
agl'interessi della umana società.
Encicl. "Qui pluribus", 9 novembre 1846.
Alloc. "Quibus quantisque", 20 aprile 1849.
XLI. Al potere civile, anche esercitato da un sovrano infedele,
compete la potestà indiretta negativa sopra le cose sacre;
perciò gli appartiene non solo il diritto del cosidetto
"exequatur", ma anche il diritto del cosidetto appello per abuso.
Lett. Apost. "Ad apostolicae", 22 agosto 1851.
XLII. Nel conflitto delle leggi dell'una e dell'altra
potestà, deve prevalere il diritto civile.
Lett. Apost. "Ad apostolicae", 22 agosto 1851.
XLIII. Il potere laicale ha la potestà di rescindere, di
dichiarare e far nulli i solenni trattati (chiamati Concordati)
pattuiti con la Sede apostolica intorno all'uso dei diritti
appartenenti alla immunità ecclesiastica; e ciò senza
il consenso della stessa Sede apostolica, ed anzi, malgrado i suoi
reclami.
Alloc. "In Concistoriali", 1° novembre 1850.
Alloc. "Multis gravibusque", 17 dicembre 1860.
XLIV. L'autorità civile può interessarsi delle cose
che riguardano la religione, i costumi ed il governo spirituale.
Quindi può giudicare delle istruzioni che i pastori della
Chiesa sogliono dare per dirigere, conforme al loro ufficio, le
coscienze, ed anzi può fare regolamenti intorno
all'amministrazione dei Sacramenti ed alle disposizioni necessarie
per riceverli.
Alloc. "In Concistoriali", 1° novembre 1850.
Alloc. "Maxima quidem", 9 giugno 1862.
XLV. L'intero regolamento delle pubbliche scuole, nelle quali
è istruita la gioventù di qualsiasi Stato cristiano,
eccettuati solamente sotto qualche riguardo i Seminari vescovili,
può e dev'essere attribuito all'autorità civile; e
talmente attribuito, che non si riconosca in nessun'altra
autorità il diritto di intromettersi nella disciplina delle
scuole, nella direzione degli studi, nella collazione dei gradi,
nella scelta e nell'approvazione dei maestri.
Alloc. "In Concistoriali", 1° novembre 1850.
Alloc. "Quibus luctuosissimis", 5 settembre 1851.
XLVI. Anzi, negli stessi Seminari dei Chierici, il metodo da
adoperare negli studi è soggetto alla civile autorità.
Alloc. "Numquam fore", 15 dicembre 1856.
XLVII. L'ottima forma della civile società esige che le
scuole popolari, quelle cioè che sono aperte a tutti i
fanciulli di qualsiasi classe del popolo, e generalmente gl'istituti
pubblici, che sono destinati all'insegnamento delle lettere e delle
più gravi discipline, nonché alla educazione della
gioventù, si esimano da ogni autorità, forza
moderatrice ed ingerenza della Chiesa, e si sottomettano al pieno
arbitrio dell'autorità civile e politica secondo il placito
degli imperanti e la norma delle comuni opinioni del tempo.
Epist. all'Arciv. di Frisinga "Quum non sine", 14 luglio 1864.
XLVIII. Può approvarsi dai cattolici quella maniera di
educare la gioventù, la quale sia disgiunta dalla fede
cattolica e dall'autorità della Chiesa e miri solamente alla
scienza delle cose naturali e soltanto o per lo meno primieramente
ai fini della vita sociale.
Epist. all'Arciv. di Frisinga "Quum non sine", 14 luglio 1864.
IL. La civile autorità può impedire ai Vescovi ed ai
popoli fedeli di comunicare liberamente e mutuamente col Romano
Pontefice.
Alloc. "Maxima quidem", 9 giugno 1862.
L. L'autorità laica ha di per sé il diritto di
presentare i Vescovi e può esigere da loro che incomincino ad
amministrare le diocesi prima che essi ricevano dalla S. Sede la
istituzione canonica e le Lettere apostoliche.
Alloc. "Nunquam fore", 15 dicembre 1856.
LI. Anzi il Governo laico ha diritto di deporre i Vescovi
dall'esercizio del ministero pastorale, né è tenuto ad
obbedire al Romano Pontefice nelle cose che spettano alla
istituzione dei Vescovati e dei Vescovi.
Lett. Apost. "Multiplices inter", 10 giugno 1851.
Alloc. "Acerbissimum", 27 settembre 1852.
LII. Il Governo può di suo diritto mutare l'età
prescritta dalla Chiesa in ordine alla professione religiosa tanto
delle donne quanto degli uomini, ed ingiungere alle famiglie
religiose di non ammettere alcuno ai voti solenni senza suo
permesso.
Alloc. "Nunquam fore", 15 dicembre 1856.
LIII. Sono da abrogarsi le leggi che appartengono alla difesa dello
stato delle famiglie religiose, e dei loro diritti e doveri; anzi il
Governo civile può dare aiuto a tutti quelli i quali vogliono
disertare la maniera di vita religiosa intrapresa, e rompere i voti
solenni; e parimenti, può spegnere del tutto le stesse
famiglie religiose, come anche le Chiese collegiate ed i benefici
semplici ancorché di giuspatronato e sottomettere ed
appropriare i loro beni e le rendite all'amministrazione ed
all'arbitrio della civile potestà.
Alloc. "Acerbissimum", 27 settembre 1852.
Alloc. "Probe memineritis", 22 gennaio 1855.
Alloc. "Cum saepe", 27 luglio 1855.
LIV. I Re e i Principi non solamente sono esenti dalla giurisdizione
della Chiesa, ma anzi nello sciogliere le questioni di giurisdizione
sono superiori alla Chiesa.
Lett. Apost. "Multiplices inter", 10 giugno 1851.
LV. È da separarsi la Chiesa dallo Stato, e lo Stato dalla
Chiesa.
Alloc. "Acerbissimum", 27 settembre 1852.
VII - ERRORI CIRCA LA MORALE NATURALE E CRISTIANA
LVI. Le leggi dei costumi non abbisognano della sanzione divina,
né è necessario che le leggi umane siano conformi al
diritto di natura, o ricevano da Dio la forza di obbligare.
Alloc. "Maxima quidem", 9 giugno 1862.
LVII. La scienza delle cose filosofiche e dei costumi, ed anche le
leggi civili possono e debbono prescindere dall'autorità
divina ed ecclesiastica.
Alloc. "Maxima quidem", 9 giugno 1862.
LVIII. Non sono da riconoscere altre forze se non quelle che sono
poste nella materia, ed ogni disciplina ed onestà di costumi
si deve riporre nell'accumulare ed accrescere in qualsivoglia
maniera la ricchezza e nel soddisfare le passioni.
Alloc. "Maxima quidem", 9 giugno 1862.
Epistola encicl. "Quanto conficiamur", 10 agosto 1863.
LIX. Il diritto consiste nel fatto materiale; tutti i doveri degli
uomini sono un nome vano, e tutti i fatti umani hanno forza di
diritto.
Alloc. "Maxima quidem", 9 giugno 1862.
LX. L'autorità non è altro che la somma del numero e
delle forze materiali.
Alloc. "Maxima quidem", 9 giugno 1862.
LXI. La fortunata ingiustizia del fatto non apporta alcun detrimento
alla santità del diritto.
Alloc. "Iamdudum cernimus", 18 marzo 1861.
LXII. È da proclamarsi e da osservarsi il principio del
cosidetto non-intervento.
Alloc. "Novos et ante", 28 settembre 1860.
LXIII. Negare obbedienza, anzi ribellarsi ai Principi legittimi,
è cosa logica.
Encicl. "Qui pluribus", 9 novembre 1846.
Alloc. "Quisque vestrum", 4 ottobre 1847.
Encicl. "Nostis et Nobiscum", 8 dicembre 1849.
Lett. Apost. "Cum catholica", 26 marzo 1860.
LXIV. La violazione di qualunque santissimo giuramento e
qualsivoglia azione scellerata e malvagia ripugnante alla legge
eterna, non solo non sono da riprovare, ma anzi da tenersi del tutto
lecite e da lodarsi sommamente, quando si commettano per amore della
patria.
Alloc. "Quibus quantisque", 20 aprile 1849.
VIII - ERRORI CIRCA IL MATRIMONIO CRISTIANO
LXV. Non si può in alcun modo tollerare che Cristo abbia
elevato il matrimonio alla dignità di Sacramento.
Lett. Apost. "Ad apostolicae", 22 agosto 1851.
LXVI. Il Sacramento del matrimonio non è che una cosa
accessoria al contratto, e da questo separabile, e lo stesso
Sacramento è riposto nella sola benedizione nuziale.
Lett. Apost. "Ad apostolicae", 22 agosto 1851.
LXVII. Il vincolo del matrimonio non è indissolubile per
diritto di natura, ed in vari casi può sancirsi per la civile
autorità il divorzio propriamente detto.
Lett. Apost. "Ad apostolicae", 22 agosto 1851.
Alloc. "Acerbissimum", 27 settembre 1852.
LXVIII. La Chiesa non ha la potestà d'introdurre impedimenti
dirimenti il matrimonio, ma tale potestà compete alla
autorità civile, dalla quale debbono togliersi gl'impedimenti
esistenti.
Lett. Apost. "Multiplices inter", 10 giugno 1851.
LXIX. La Chiesa incominciò ad introdurre gl'impedimenti
dirimenti, nei secoli passati non per diritto proprio, ma usando di
quello che ricevette dalla civile potestà.
Lett. Apost. "Multiplices inter", 10 giugno 1851.
LXX. I canoni del Concilio di Trento, nei quali s'infligge scomunica
a coloro che osano negare alla Chiesa la facoltà di stabilire
gl'impedimenti dirimenti, o non sono dommatici o si debbono
intendere dell'anzidetta potestà ricevuta.
Lett. Apost. "Ad apostolicae", 22 agosto 1851.
LXXI. La forma del Concilio di Trento non obbliga sotto pena di
nullità in quei luoghi, ove la legge civile prescriva
un'altra forma, e ordina che il matrimonio celebrato con questa
nuova forma sia valido.
Lett. Apost. "Ad apostolicae", 22 agosto 1851.
LXXII. Bonifacio VIII per primo asserì che il voto di
castità emesso nella ordinazione fa nullo il matrimonio.
Lett. Apost. "Ad apostolicae", 22 agosto 1851.
LXXIII. In virtù del contratto meramente civile può
aver luogo tra cristiani il vero matrimonio; ed è falso che o
il contratto di matrimonio tra cristiani sia sempre sacramento o che
il contratto sia nullo se si esclude il sacramento.
Lett. Apost. "Ad apostolicae", 22 agosto 1851.
Lett. di S. S. Pio IX al Re di Sardegna, 9 settembre 1852.
Alloc. "Acerbissimum", 27 settembre 1852.
Alloc. "Multis gravibusque", 17 dicembre 1860.
LXXIV. Le cause matrimoniali e gli sponsali di loro natura
appartengono al foro civile.
Lett. Apost. "Ad apostolicae", 22 agosto 1851.
Alloc. "Acerbissimum", 27 settembre 1852.
N.B. Si possono qui ricondurre due altri errori: l'abolizione del
celibato dei chierici e la preferenza dello stato di matrimonio allo
stato di verginità. Sono condannati, il primo nell'Epist.
Encicl. "Qui pluribus", 9 novembre 1846, il secondo nella Lettera
Apost. "Multiplices inter", 10 giugno 1851.
IX - ERRORI INTORNO AL CIVILE PRINCIPATO DEL ROMANO PONTEFICE
LXXV. Intorno alla compatibilità del regno temporale col
regno spirituale disputano tra loro i figli della Chiesa cristiana e
cattolica.
Lett. Apost. "Ad apostolicae", 22 agosto 1851.
LXXVI. L'abolizione della potestà civile posseduto dalla Sede
apostolica gioverebbe moltissimo alla libertà ed alla
prosperità della Chiesa.
Alloc. "Quibus quantisque", 20 aprile 1849.
N.B. Oltre a questi errori censurati esplicitamente, molti altri
implicitamente vengono riprovati in virtù della dottrina
già proposta e decisa intorno al principato civile del Romano
Pontefice: la quale dottrina tutti i cattolici sono obbligati a
rispettare fermissimamente. Essa apertamente s'insegna nell'Alloc.
"Quibus quantisque", 20 aprile 1849; nell'Alloc. "Si semper antea",
20 maggio 1850; nella Lett. Apost. "Cum catholica Ecclesia", 26
marzo 1860; nell'Alloc. "Novos", 28 settembre 1860; nell'Alloc.
"Iamdudum", 18 marzo 1861 e nell'Alloc. "Maxima quidem", 9 giugno
1862.
X - ERRORI CHE SI RIFERISCONO ALL'ODIERNO LIBERALISMO
LXXVII. In questa nostra età non conviene più che la
religione cattolica si ritenga come l'unica religione dello Stato,
esclusi tutti gli altri culti, quali che si vogliano.
Alloc. "Nemo vestrum", 26 luglio 1855.
LXXVIII. Quindi lodevolmente in alcuni paesi cattolici si è
stabilito per legge che a coloro i quali vi si recano, sia lecito
avere pubblico esercizio del culto proprio di ciascuno.
Alloc. "Acerbissimum", 27 settembre 1852.
LXXIX. È assolutamente falso che la libertà civile di
qualsivoglia culto e similmente l'ampia facoltà a tutti
concessa di manifestare qualunque opinione e qualsiasi pensiero
palesemente ed in pubblico conduca a corrompere più
facilmente i costumi e gli animi dei popoli e a diffondere la peste
dell'indifferentismo.
Alloc. "Numquam fore", 15 dicembre 1856.
LXXX. Il Romano Pontefice può e deve riconciliarsi e venire a
composizione col progresso, col liberalismo e con la moderna
civiltà.
Alloc. "Iamdudum cernimus", 18 marzo 1861.