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Ruzzante (o Ruzante), Angelo Beolco detto.
Commediografo e attore (Padova 1496 circa - ivi 1542). Figlio
naturale di un medico, ebbe un'educazione raffinata; in
gioventù scrisse rime d'imitazione petrarchesca che non ci
sono giunte. Assai importanti furono l'amicizia e la protezione di
Alvise Cornaro, per il quale R. cominciò ben presto a
scrivere e organizzare spettacoli con l'aiuto di giovani nobili
padovani, ognuno dei quali assumeva il nome del personaggio che
portava solitamente sulla scena; Beolco scelse per sé quello
di R., tipo di contadino padovano sensuale, famelico e poltrone. Il
primo di questi spettacoli (secondo quanto si ricava dai Diari di
Marin Sanudo il Giovane) sarebbe stato rappresentato nel 1520 a
Venezia, a Palazzo Foscari, dopo una cena in onore di Federico
Gonzaga. Negli anni successivi l'attività di R. e dei suoi
compagni proseguì intensa e assai apprezzata: oltre che nelle
residenze di Cornaro a Padova e nel contado, recitarono in molti
palazzi e ville signorili, soprattutto a Venezia, e furono
più volte invitati alla corte degli Este a Ferrara. La morte
colse R. mentre preparava la rappresentazione della Canace di
Sperone Speroni, su incarico dell'Accademia degli Infiammati.
Le commedie e le farse di R., scritte prevalentemente in dialetto
pavano ma spesso caratterizzate dall'intreccio di diversi linguaggi,
occupano un posto del tutto eccezionale nell'ambito del teatro
rinascimentale; popolate da personaggi di "villani" rudi ed
elementari, improntate a un'esaltazione semiseria dell'energia
grezza degli istinti, esse devono molta della loro forza alla
comicità violenta e amara che le pervade e al dirompente
realismo espressivo. Maturata in un ambiente di raffinata cultura,
l'arte di R. risolve nelle pieghe del dialetto le istanze più
vive della tradizione linguistica rinascimentale e rielabora, spesso
stravolgendole, le tradizioni del teatro classico e del teatro
popolare.
In larga parte congetturali sono la cronologia e la titolazione
delle opere di R.: Pastoral (1520); la commedia senza titolo nota
come Betìa (1521 o 1524); Anconitana (1522 o 1529-30); Primo
dialogo in lingua rustica o Parlamento di Ruzzante che iera
vegnù de campo, nota anche come Il reduce (1527); Secondo
dialogo o Bilora (1527); Dialogo facetissimo et ridiculosissimo o
Menego (1528); Moschetta (1528); Fiorina (1529-30); Piovana
(1532-33); Vaccaria (1533). Sono da ricordare anche le due Orazioni
(1521 e 1528) recitate da R. ai card. Marco e Francesco Cornaro. Tra
le antiche edizioni a stampa, tutte postume, si ricorda quella di
Tutte le opere (9 voll., Vicenza, 1584); tra le moderne, la raccolta
integrale delle opere Teatro (a cura di L. Zorzi, 1967). L'opera di
R. ha conosciuto una rinnovata fortuna nel sec. 20º, grazie
anche a uomini di teatro come J. Copeau, R. Simoni, C. Baseggio, F.
Parenti.
wikipedia
Angelo Beolco detto Ruzzante o Ruzante (Padova o forse Pernumia,
1496? – Padova, 17 marzo 1542) è stato un drammaturgo, attore
e scrittore italiano.
Figlio naturale del medico Giovan Francesco Beolco, professore
presso la facoltà di medicina dell'Università di
Padova, ebbe una lunga e proficua collaborazione con l'amico Alvise
Cornaro, ricco proprietario terriero e letterato. Autore di numerosi
trattati di architettura e di agraria, il Cornaro rappresenta
un'importante figura di intellettuale proprio per il carattere
"laico" del suo operato. Con l'intento di rappresentare alla corte
dei cugini Marco e Franco, cardinali, la realtà del contado,
commissionò a Ruzante le due orazioni. Quando conseguì
il traguardo di amministratore del vescovato padovano, ridusse
l'amico al ruolo di fattore, per poi tornare a rivalutarlo dopo che
l'incarico gli era stato revocato.
Documenti storici sulla vita
Riguardo alla data di nascita sussistono ancora numerosi dubbi e non
è stato ancora possibile rinvenire un documento attestante
una data certa di nascita di Angelo Beolco. È vero, tuttavia,
che, nel corso degli ultimi trent'anni circa, le ricerche
archivistiche (specialmente per merito di due studiosi veneti,
Menegazzo e Sambin) hanno permesso di retrodatare progressivamente
la nascita di Angelo Beolco, che ora si ritiene possa essere stata
intorno al 1496. Il Beolco, infatti, appare come teste in documenti
notarili successivi di una ventina d'anni: per farlo doveva, secondo
la legge, avere già raggiunto la maggiore età, che
all'epoca era di venticinque anni. Se consideriamo che l'atto
notarile di delega da parte del padre quale curatore degli affari
famiglia risale al 1521, il conto è presto fatto.
È ignoto anche il luogo di nascita, sebbene nella Prima
Orazione si legga: de quigi, saìu, che se ciama dotore,
perché, se gi è igi do-tore, a' ghe son mi tre de le
tore (di quelli, sapete, che si chiamano dottori, perché, se
hanno due-torri, ci sono io che ho tre torri); è al riguardo
probabile che richiamasse lo stemma araldico di Pernumia, che reca,
appunto, tre torri e che secondo questa interpretazione dovrebbe
essere, appunto, il luogo di nascita.
Morì a Padova in casa del Cornaro il 17 marzo 1542. Alvise
Cornaro, in un suo scritto, attribuì la morte del Ruzzante ai
troppi "disordini" e alle "dissipatezze", accreditando così
l'immagine di un commediografo sregolato, probabilmente non
coincidente con il vero. Dal tono della dichiarazione, si intende
che il Cornaro ambisse più ad elogiare sé stesso, che
non a commiserare l'amico defunto, e che intendesse compiacere anche
l'amico Sperone Speroni (il testo è contenuto appunto in una
lettera rivolta a lui), che occupava un ruolo di rilievo nella
Padova dell'epoca. Il Cornaro, d'altra parte, teorico della vita
sobria, arrivò a disporre per sé di essere sepolto
"con Ruzzante e messer Giovanni Maria Falconetto", anche per
sottolineare il legame intercorso con i due.
Una lapide funeraria commemorativa è posta nella chiesetta di
San Daniele in Padova, mentre nella casa di fronte si individua il
sito della residenza padovana dell'autore.
La critica
Nella critica, l'immagine di Ruzzante è variata nel tempo.
Creduto autore "tutto istinto", come lo definì Emilio
Lovarini, tra i suoi primi studiosi, oggi Ruzzante è
unanimemente considerato autore "colto". Tra le altre prove di
questa sua cultura ci sono le citazioni o i riferimenti interni alle
sue opere, che spaziano dalla cultura classica a echi della cultura
luterana d'Oltralpe. Nel corso dei secoli la sua fortuna è
stata alterna. Nei primi decenni successivi alla morte, e fin quasi
alla fine del secolo, fu citatissimo, anche se, dalla natura di
predette citazioni, dobbiamo pensare che derivino al più da
tradizioni orali che dalla lettura dei suoi lavori, le cui
pubblicazioni sono tutte postume.
Autore di opere teatrali, trasse per se stesso lo pseudonimo di
Ruzzante, dal nome di un personaggio delle sue commedie, un
contadino veneto che è stato differentemente caratterizzato
di opera in opera. Le varianti del personaggio corrispondono alla
diversa prospettiva da cui l'autore ha voluto analizzarlo, in uno
scavo progressivo mai viziato da populistico fervore, e che, nel
complesso delle opere, porta ad un ritratto "a tutto tondo" della
realtà del contado pavano.
Il nome "Ruzzante" era peraltro diffuso (e lo è anche oggi)
in un'area geografica che il Beolco frequentava: a Pernumia e
dintorni. Quello di Ruzzante era il ruolo che Beolco stesso
interpretava nella messa in scena delle sue commedie. Unica
eccezione costituisce il Secondo Parlamento de Ruzzante - Bilora in
cui interpretò il ruolo dello zio Pitaro.
Fu un grande sperimentatore, mettendo a frutto proprio l'esperienza
diretta di attore e regista. La sua frequentazione di diversi generi
non fu mai arbitraria. Trovando un argomento, sceglieva, tra le
strutture della tradizione, quella che riteneva più idonea a
rappresentarlo, ed entrando in essa, la modificava dall'interno.
Riuscì così a rinnovare il mariazzo, l'egloga, la
commedia pastorale ecc. Insaziabile curioso, non mancò di
polemizzare con i più illustri contemporanei, in particolare
col Bembo, ampiamente schernito proprio nella Betia.
Gli studiosi hanno individuato, proprio intorno al 1530, un certo
cambio di atteggiamento nel Beolco: il mondo dei poveri, degli
sfruttati, dei contadini, è presentato con l'amarezza di chi
conosce la vita squallida e segnata dalle ingiustizie delle classi
subalterne.
Le alterne fortune critiche di Ruzzante si legano a due fattori. Il
primo è costituito dalla difficoltà linguistica.
Infatti il pavano del suo parlato è di fatto scomparso da
più di due secoli e risulta inintelligibile anche ai suoi
conterranei. Le riduzioni in italiano perdono lo slancio
linguistico, il senso più profondo del gioco legato ai
richiami più attinenti alla struttura semiotica. Per questo
risultano molto efficaci le riduzioni in altre parlate, tra cui
meritano segnalazione quella del 1921, ad opera della Compagnia
dello Stabile Lucano, quella del 1950 della Moscheta con la regia di
Gianfranco De Bosio e di Ludovico Zorzi lo stesso che ha curato la
traduzione più recente dell'opera ruzantiana per Einaudi e
quella della Te.A.R., curata da Alberto Ticconi, che nel 1995 fu
rappresentata al Convegno Mondiale di Studi Ruzzantiani in Padova
nel vernacolo del sud pontino.
Il secondo fattore ha profonde radici storiche. Il definitivo
avvento della borghesia ingenerò quella che è la
malattia ineliminabile della cultura veneta, e anche italiana: il
disimpegno. Tre anni dopo la morte di Beolco fu stipulato il primo
contratto della Commedia. Si trattava di un patto tra attori, e la
Commedia dell'arte fu essenzialmente questo: un accordo tra
professionisti in ottica del divertimento puro. Affermatasi a
discapito delle classi subalterne, la borghesia non amava
l'inquietante verismo ruzzantiano; i contadini, dopo quella fugace
apparizione alla ribalta della scena, dovevano cadere nell'oblio.
Per questo, dal seicento in poi, l'opera del Beolco finisce nel
dimenticatoio, per riaffacciarsi solo agli inizi del XX secolo agli
onori della scena. Le sue opere sono tornate ad essere rappresentate
nella Loggia Cornaro, scena rinascimentale per eccellenza.
Il comico italiano Dario Fo, durante il discorso pubblico nel
momento in cui veniva insignito del Premio Nobel per la Letteratura,
così definiva Ruzzante:
« Uno straordinario teatrante della mia terra, poco
conosciuto... anche in Italia. Ma che è senz'altro il
più grande autore di teatro che l'Europa abbia avuto nel
Rinascimento prima ancora dell'avvento di Shakespeare. Sto parlando
di Ruzzante Beolco, il mio più grande maestro insieme a
Molière: entrambi attori-autori, entrambi sbeffeggiati dai
sommi letterati del loro tempo. Disprezzati soprattutto
perché portavano in scena il quotidiano, la gioia e la
disperazione della gente comune, l'ipocrisia e la spocchia dei
potenti, la costante ingiustizia »
A Padova gli è stato dedicato un teatro.
In numerose città, tra cui Milano, gli è stata
dedicata una via.