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«Gli abusi del potere generano le rivoluzioni; le rivoluzioni
sono peggio di qualsiasi abuso. La prima frase va detta ai sovrani,
la seconda ai popoli. »
(Klemens von Metternich)
Klemens Wenzel Nepomuk Lothar von Metternich-Winneburg-Beilstein,
conte e, dal 1813, principe di Metternich-Winneburg (Coblenza, 15
maggio 1773 – Vienna, 11 giugno 1859), è stato un diplomatico
e politico austriaco, dal 1821 cancelliere di Stato.
Biografia
Nacque a Coblenza in una famiglia della media nobiltà della
Vestfalia che, già con il padre Georg, aveva lavorato al
servizio della Casa d'Asburgo. Il 27 settembre 1795 sposò la
nipote del potente cancelliere austriaco, il Conte Wenzel Anton von
Kaunitz, deceduto l'anno precedente. Metternich disse: «La
parola Italia è una espressione geografica, una
qualificazione che riguarda la lingua, ma che non ha il valore
politico che gli sforzi degli ideologi rivoluzionari tendono ad
imprimerle.»
La carriera politica
Appena venticinquenne partecipò come segretario particolare
del padre Georg e poi come rappresentante del collegio comitale
cattolico della Vestfalia al Congresso di Rastatt (settembre 1797 -
aprile 1799). La sua abilità nell'attività diplomatica
ben presto gli permise di divenire ambasciatore a Dresda (Sassonia)
nel gennaio 1801, a Berlino (Prussia) nel novembre 1803 e a Parigi
(Francia) nell'agosto 1806, su richiesta diretta di Napoleone.
Napoleone
Dopo la sconfitta inflitta da Napoleone all'Austria nella battaglia
di Wagram vi furono le conseguenti dimissioni del ministro degli
Esteri austriaco Johann Philipp Karl Joseph von Stadion, e l'8
luglio 1809 Metternich fu nominato al suo posto. Dopo il disastroso
Trattato di Schönbrunn non poté che perseguire una
politica favorevole alla Francia, arrivando fino a pianificare nel
1810 il matrimonio fra Napoleone e l'arciduchessa Maria Luisa,
figlia di Francesco II.
Dopo la sconfitta di Napoleone in Russia nel 1812 Metternich
perseguì una politica neutrale e tentò di mediare una
pace fra Napoleone e i suoi nemici russi e prussiani, che non
rafforzasse troppo questi ultimi. Il 26 giugno 1813 si
incontrò con Napoleone a Dresda, incontro durante il quale
disse all'imperatore che lo riteneva sconfitto e offrì la sua
mediazione imparziale, che fu respinta. Dopo il fallimento della
mediazione l'Austria dichiarò guerra alla Francia.
Verso la fine della guerra, nel 1814 Metternich giunse alla
conclusione che una pace con Napoleone non era possibile e che la
restaurazione borbonica era inevitabile. Nello stesso tempo,
occorrevano una federazione degli stati tedeschi per imbrigliare il
regno di Prussia e un'alleanza continentale per imbrigliare l'impero
russo. Ciò lo avvicinò a Castlereagh, il ministro
degli esteri britannico. Il Trattato di Parigi, firmato il 30 maggio
1814, regolava la caduta di Napoleone (abdicazione a Fontainebleau
il 6 aprile) e rinviava al futuro Congresso di Vienna per la nuova
sistemazione territoriale e politica del continente.
Il Congresso di Vienna
Metternich fu uno dei principali negoziatori durante il Congresso di
Vienna (ottobre 1814 - novembre 1815). In quel contesto espresse
chiaramente la sua visione politica e la sua idea confederativa che
aveva della monarchia asburgica, fatta di tanti stati dotati di un
alto livello di autonomia[1]. A livello internazionale, invece,
mostrò di accettare il principio di legittimità e fece
accettare il principio di equilibrio (secondo il quale si voleva
creare nella nuova Europa un equilibrio di forze che scoraggiasse
eventuali ambizioni di dominio su tutto il continente).
In quel periodo ebbe un aspro diverbio con lo zar Alessandro I di
Russia, i cui piani per la Polonia impaurivano fortemente il
ministro austriaco. I tentativi di Metternich di creare un fronte
compatto con Castlereagh e Hardenberg, il cancelliere prussiano, per
opporsi ai piani di Alessandro I fallirono a causa dell'opposizione
della Prussia che non voleva attriti con la Russia. Metternich
sorprese la Prussia firmando un'alleanza con Castlereagh e
Talleyrand, l'inviato francese, il 3 gennaio 1815, per dissuadere,
anche a costo della guerra, l'annessione della Sassonia da parte
della Prussia che era prevista come compensazione in cambio di terre
polacche che sarebbero state date ad Alessandro I. Se ciò
salvò il regno di Sassonia, non impedì ad Alessandro I
di ottenere quasi tutto ciò che desiderava della Polonia.
Nel contempo Metternich negoziò con la Prussia, la Baviera,
il Württemberg e Hannover, la creazione della Confederazione
Tedesca, che contava 39 stati, contro i 300 che facevano parte del
Sacro Romano Impero sciolto dieci anni prima. Metternich, inoltre,
fu l'artefice della Santa Alleanza, che pure deve l'idea e il nome
allo zar Alessandro: un accordo per governare i popoli conformemente
alla carità cristiana, ma di fatto per reprimere le rivolte
popolari. Se uno stato subiva disordini rivoluzionari, infatti, gli
altri erano autorizzati ad intervenire militarmente per prevenire il
contagio e ristabilire il potere legittimo. Tutti gli stati vi
aderirono tranne l'Impero Ottomano (non cristiano), lo Stato
Pontificio (il Papa disapprovava questo ecumenismo ante litteram) e
il Regno Unito, ma di fatto fu un'alleanza reazionaria tra Austria,
Prussia e Russia, allargata alla Francia.
Il Congresso approvò i suoi verbali finali il 9 giugno 1815,
nove giorni prima della battaglia di Waterloo. Il nuovo Trattato di
Parigi, siglato il 20 novembre 1815, sostituì quello di 18
mesi prima, recependo i verbali del Congresso. Negli anni successivi
al Congresso di Vienna, l'impegno maggiore di Metternich fu quello
di mantenere gli equilibri raggiunti, e di difendere i diritti delle
monarchie e degli imperi in contrasto con i nascenti sentimenti
democratici dell'epoca. Josef von Hudelist prese in pratica il suo
posto agli affari interni, essendo il cancelliere sempre impegnato
in viaggi e missioni diplomatiche. Il Congresso della Santa Alleanza
si riunì periodicamente fino al 1822, quando ebbe luogo il
Congresso di Verona, ma perse di rilevanza con la morte dello zar
Alessandro il 1º dicembre 1825 e le rivoluzioni francese e
belga del luglio e agosto 1830.
Il declino
I moti del 1848 e le ribellioni in Ungheria segnarono la sua fine:
movimenti sovversivi a Vienna chiesero la sua rimozione e la
ottennero il 18 marzo; Metternich e la sua terza moglie lasciarono
il paese. Tornò tre anni dopo e benché non avesse
alcun titolo restò consigliere dell'Imperatore Francesco
Giuseppe d'Austria. Morì a Vienna l'11 giugno 1859 dopo aver
visto l'ultimo schiaffo morale giocato all'Austria nella Battaglia
di Magenta.
L'uomo politico
«Coltissimo, scettico, arguto ed anche beffardo, era un ideale
allievo dell'illuminismo prerousseauiano, più vicino in fondo
ai liberali da lui perseguitati che ai romantici suoi alleati.
»
(Ladislao Mittner)
Metternich fu tra coloro che fondarono il realismo politico, o
Realpolitik, fautore di una politica dell'equilibrio, nonché
un maestro della tecnica e dello stile diplomatico. Al tempo stesso,
mise questa sua maestria al servizio di una visione reazionaria. La
visione conservatrice di Metternich riguardo alla natura dello stato
influenzò le conclusioni del Congresso di Vienna.
Egli credeva che dal momento in cui la gente fosse stata informata
delle antiche istituzioni, le rivoluzioni nazionali come quelle in
Francia e in Grecia sarebbero state illegittime. Il principio di
legittimità giocò un ruolo vitale nella restaurazione
degli antichi stati come lo Stato Pontificio in Italia e la
resurrezione della monarchia borbonica in Francia sotto Luigi XVIII.
Attraverso i Deliberati di Karlsbad (1819), Metternich introdusse
misure che limitavano fortemente il processo liberale, con una
politica, ad esempio, di controllo delle attività di
professori e studenti, che lui considerava tra i responsabili della
diffusione di idee liberali radicali.
Metternich e l'Italia
«In Europa allo stato attuale esiste un solo vero uomo
politico, ma disgraziatamente è contro di noi. È il
conte di Cavour. »
(Klemens von Metternich)
Il 2 agosto 1847 Metternich scrisse, in una nota inviata al conte
Dietrichstein, la famosa e controversa frase «L'Italia
è un'espressione geografica». Tale frase venne ripresa
l'anno successivo dal quotidiano napoletano Il Nazionale,
riportandola però in senso dispregiativo: «L'Italia non
è che un'espressione geografica»; nel pieno dei moti
del '48 i liberali italiani si appropriarono polemicamente di questa
interpretazione utilizzandola in chiave patriottica per risvegliare
il sentimento anti-austriaco negli italiani.
Gli storici sono abbastanza concordi nel riconoscere in tale
affermazione la constatazione di uno stato di fatto piuttosto che
una connotazione negativa: dal punto di vista politico infatti, lo
statista austriaco (che concepiva l'Impero asburgico come una
confederazione di stati con vario grado di autonomia) vedeva come
l'Italia fosse «composta da Stati sovrani, reciprocamente
indipendenti» (così proseguiva nel testo della nota),
così come lo era la Germania. Più che un arrogante
disprezzo nei confronti dell'Italia e di coloro che puntavano alla
sua unificazione, a muovere Metternich era il calcolo politico di
mantenere divisa la penisola (il nord Italia non fa parte
geograficamente della penisola italiana!), permettendo al suo paese
di esercitare una stretta influenza (diretta e indiretta) sugli
stati italiani.