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Giacomo Girolamo Casanova (Venezia, 2 aprile 1725 – Dux,
odierna Duchcov, 4 giugno 1798) è stato un avventuriero,
scrittore, poeta, alchimista, diplomatico, filosofo ed agente
segreto italiano, cittadino della Repubblica di Venezia.
Di lui resta una produzione letteraria molto vasta ma viene
principalmente ricordato come avventuriero e come colui che fece del
proprio nome il sinonimo di seduttore. A questa fama
contribuì verosimilmente la sua opera più importante:
Histoire de ma vie (Storia della mia vita), in cui l'autore
descrive, con la massima franchezza, le sue avventure, i suoi viaggi
e i suoi innumerevoli incontri galanti.
L'Histoire è stata scritta in francese e dovrebbe quindi far
parte della letteratura in questa lingua, sebbene la scelta
linguistica sia stata dettata principalmente da motivi di diffusione
dell'opera, in quanto all'epoca il francese era la lingua più
conosciuta e parlata in Europa. Casanova stesso fece riferimento
alla maggiore diffusione di questa lingua nella prefazione
dell'Histoire:
(FR)
« J'ai écrit en français, et non pas en italien
parce que la langue française est plus répandue que la
mienne »
(IT)
« Ho scritto in francese e non in italiano perché la
lingua francese è più diffusa della mia »
Certo dell'immortalità della sua opera, se non al fine di
garantirsela, Casanova preferì utilizzare la lingua che gli
avrebbe consentito di raggiungere il maggior numero possibile di
potenziali lettori. Molte opere minori, del resto, le scrisse in
italiano, forse perché sapeva bene che esse non sarebbero
divenute mai un monumento, come avvenne invece per la sua
autobiografia.
Da notare, in questo caso, le analogie con un altro celebre
veneziano, coevo al Casanova: Carlo Goldoni, il quale scelse allo
stesso modo di scrivere la propria autobiografia in francese.
L'autobiografia del Casanova, a parte il valore letterario, è
un importante documento per la storia del costume, forse una delle
opere letterarie più importanti per conoscere la vita
quotidiana in Europa nel '700. Si tratta di una rappresentazione
che, per le frequentazioni dell'autore e per la limitazione dei
possibili lettori, riferisce principalmente delle classi dominanti
dell'epoca, nobiltà e borghesia, ma questo non ne limita
l'interesse in quanto anche i personaggi di contorno, di qualsiasi
estrazione, sono rappresentati in modo vivissimo. Leggere
quest'opera è uno strumento importantissimo per conoscere il
quotidiano degli uomini e delle donne di allora, per comprendere dal
di dentro la vita di ogni giorno.
Fra corti e salotti, Casanova sfiorò, quasi senza
accorgersene, un momento di svolta epocale della storia. Conobbe
molti fra i grandi del suo tempo e ne documentò gli incontri;
erano fra questi personaggi come Rousseau, Voltaire, Madame de
Pompadour, Mozart, Caterina II di Russia, Federico II di Prussia. Ma
Casanova non comprese lo spirito di rinnovamento che avrebbe fatto
volare la storia verso direzioni mai percorse prima. Rimase ancorato
fino alla morte al vecchio regime ed a quella classe dalla quale,
per nascita, era stato escluso e della quale cercò
disperatamente di far parte, anche quando essa era ormai
irrimediabilmente avviata verso il tramonto.
Biografia
Dalla nascita alla fuga dai Piombi (1725 - 1756)
Giacomo Casanova nacque a Venezia in Calle della Commedia (ora Calle
Malipiero), vicino alla chiesa di San Samuele dove fu battezzato. Il
padre era Gaetano Casanova, un attore e ballerino parmigiano con
remote origini spagnole e la madre Zanetta Farussi, un'attrice
veneziana. Ma la voce popolare lo considerava frutto di una
relazione extraconiugale della madre con il nobile Michele Grimani.
I genitori erano attori e soprattutto la madre sembra aver avuto
successo nella sua professione dato che la troviamo citata da Carlo
Goldoni nelle sue Memorie, ove la definì: "....una vedova
bellissima e assai valente".
Rimasto orfano di padre a soli otto anni ed essendo la madre
costantemente in viaggio a causa della sua professione, fu allevato
dalla nonna materna Marzia Baldissera in Farussi. Giacomo era da
piccolo di salute cagionevole. Per questo motivo, la nonna lo
condusse da una fattucchiera che pare essere riuscita a guarirlo dai
disturbi da cui era affetto eseguendo un complicato rituale. Dopo
quell'esperienza infantile, l'interesse per le pratiche magiche lo
accompagnerà per tutta la vita ma lui stesso era il primo a
ridere della credulità che tanti manifestavano nei confronti
dell'esoterismo. Studiò all'università di Padova dove,
come ricorda nelle Memorie, si laureò in diritto.
Successivamente viaggiò a Corfù ed a Costantinopoli.
Nel 1743 rientrò a Venezia e in quello stesso anno la nonna
Marzia Baldissera morì. Con la morte della nonna, a cui era
legatissimo, si chiuse un capitolo importante della sua vita: la
madre decise di lasciare la bella e costosa casa in Calle della
Commedia e di sistemare i figli in modo economicamente più
sostenibile. Questo evento segnò profondamente Giacomo,
togliendogli un importante punto di riferimento. Nello stesso anno
fu rinchiuso, a causa della sua condotta piuttosto turbolenta, nel
Forte di Sant'Andrea dalla fine di marzo alla fine di luglio.
Più che l'applicazione di una pena, fu un avvertimento
tendente a cercare di correggerne il carattere.
Messo in libertà, partì, grazie ai buoni uffici
materni, per la Calabria, al seguito del vescovo di Martiranoche si
recava ad assumere la diocesi. Una volta giunto a destinazione,
spaventato per le condizioni di povertà del luogo, chiese ed
ottenne congedo. Viaggiò a Napoli ed a Roma, dove nel 1744
prese servizio presso il cardinal Acquaviva, ambasciatore della
Spagna presso la Santa Sede. L'esperienza si concluse presto a causa
della sua condotta imprudente: infatti aveva nascosto nel Palazzo di
Spagna, residenza ufficiale del cardinale, una ragazza fuggita di
casa.
Nel febbraio del 1744 arrivò ad Ancona, dove era già
stato solo sette mesi prima. Durante il primo soggiorno nella
città era stato costretto a passare la quarantena al
Lazzaretto; durante la permanenza, aveva intessuto una relazione,
con una schiava greca alloggiata nella camera superiore alla sua. Fu
però durante il suo secondo soggiorno ad Ancona che Casanova
ebbe una delle sue più strane avventure: si innamorò
di un sedicente cantante castrato, Bellino, convinto che si
trattasse in realtà di una donna. Fu solo dopo una corte
serrata che Casanova riuscì a scoprire ciò che
sperava: il castrato era in realtà una ragazza, Teresa, che,
per sopravvivere dopo essere rimasta orfana, si faceva passare per
un castrato in modo da poter cantare nei teatri dello Stato della
Chiesa, dove era vietata la presenza di donne sul palcoscenico. Il
nome di Teresa ricorre spesso nel testo dell'Histoire a
testimonianza dei molti incontri avvenuti, negli anni, nelle
capitali europee dove Teresa mieteva successi con le sue
interpretazioni.
Ritornò quindi a Venezia e per un certo periodo si
guadagnò da vivere suonando il violino nel teatro di San
Samuele, di proprietà dei nobili Grimani che, alla morte del
padre, avvenuta prematuramente (1733), avevano assunto ufficialmente
la tutela del ragazzo, avvalorando la voce popolare secondo la quale
uno dei Grimani, Michele, fosse il vero padre di Giacomo.
Nel 1746 avvenne l'incontro con il patrizio veneziano Matteo
Bragadin, che avrebbe migliorato sostanzialmente le sue condizioni.
Colpito da un malore, il nobiluomo fu soccorso da Casanova e si
convinse che, grazie a quel tempestivo intervento, aveva potuto
salvarsi la vita. Di conseguenza prese a considerarlo quasi come un
figlio, contribuendo, finché visse, al suo mantenimento.
Nelle ore concitate in cui assisteva Bragadin, Casanova venne in
contatto con i due più fraterni amici del senatore: Marco
Barbaro e Marco Dandolo, anch'essi gli si affezionarono
profondamente e, finché vissero, lo tennero sotto la loro
protezione. La frequentazione con i nobili attirò l'interesse
degli Inquisitori di Stato e Casanova, su consiglio di Bragadin,
lasciò Venezia in attesa di tempi migliori.
Nel 1749 incontrò Henriette, che sarebbe stata forse il
più grande amore della sua vita. Lo pseudonimo nascondeva
probabilmente l'identità di una nobildonna di
Aix-en-Provence, forse Adelaide de Gueidan. Su questa e su altre
identificazioni, i "casanovisti" si sono accapigliati per decenni.
In linea di massima, come è stato sostenuto da molti
studiosi, i personaggi citati nelle Memorie sono reali. Al
più, l'autore potrebbe essersi cautelato con qualche piccola
accortezza: spesso, trattandosi di donne sposate, alcune sono citate
con le iniziali o con nomi di fantasia, talvolta l'età viene
un po' modificata per galanteria o per vanità dell'autore che
non amava riferire di avventure con donne considerate, con i criteri
di allora, in età matura, ma in generale le persone sono
identificabili ed anche i fatti riferiti sono risultati corretti e
riscontrabili. Innumerevoli identificazioni e notizie documentali
hanno confermato il racconto.
Se qualche errore c'è stato, lo si deve anche al fatto che,
all'epoca in cui furono scritte le Memorie (dal 1789 in poi), erano
passati molti anni dai fatti e, per quanto l'autore si possa essere
aiutato con diari o appunti, non era affatto facile incasellare
cronologicamente gli eventi. Ogni tanto l'autore si faceva
però trascinare dalla sua visione teatrale delle cose e non
rinunciava appunto a qualche "colpo di teatro". Il ché,
peraltro, contribuisce a rendere la lettura più piacevole.
Il problema dell'attendibilità del racconto casanoviano
è tuttavia molto complesso: ciò che è veramente
difficile o, in molti casi, addirittura impossibile da valutare
è se i rapporti che Casanova riferisce di aver intrattenuto
con i personaggi siano rispondenti alla realtà dei fatti.
Taluni studiosi hanno ritenuto che nel corpus delle Memorie siano
stati inseriti dei passaggi totalmente romanzati e di pura
invenzione, basati comunque su personaggi storicamente esistiti ed
effettivamente presenti nel luogo e nel tempo della descrizione.
Il caso più eclatante è quello che riguarda la
relazione di Casanova con suor M.M. e i conseguenti rapporti con
l'ambasciatore di Francia De Bernis. Si tratta di una delle parti
più valide dell'opera dal punto di vista letterario e
stilistico. Il ritmo del racconto è serratissimo e la
tensione emotiva dei personaggi di straordinario realismo. Secondo
alcuni studiosi il racconto è assolutamente veritiero e si
è ripetutamente tentata l'identificazione della donna,
secondo altri il racconto è di pura fantasia e basato sulle
confidenze del cuoco dell'ambasciatore (tale Rosier) che
effettivamente Casanova conosceva molto bene. La diatriba tra le
varie tesi continuerà ma, comunque stiano le cose, il valore
dell'opera non cambia perché ciò che perde il Casanova
memorialista lo guadagna il Casanova romanziere.
Nel giugno del 1750, a Lione, Casanova aderì alla Massoneria.
Non sembra che la decisione fosse ascrivibile a inclinazioni
ideologiche, ma piuttosto al pragmatico desiderio di procurarsi
utili appoggi. Raggiunse qualche risultato, infatti molti personaggi
incontrati nel corso della sua vita, come Mozart e Franklin erano
certamente massoni ed alcune facilitazioni ricevute in varie
occasioni sembrerebbero dovute ai benefici derivanti dal far parte
di un'organizzazione ben radicata in quasi tutti i paesi europei.
Nello stesso periodo si recò a Parigi dove imparò il
francese, che sarebbe divenuto la sua lingua letteraria oltre che,
in molti casi, epistolare.
Ritornato a Venezia dopo il lungo soggiorno parigino e altri viaggi
a Dresda, Praga e Vienna, nella notte tra il 25 e il 26 luglio 1755,
fu arrestato e ristretto nei Piombi. Come d'uso all'epoca, al
condannato non venne notificato il capo d'accusa, né la
durata della detenzione cui era stato condannato. Ciò, come
in seguito scrisse, si rivelò dannoso, poiché se
avesse saputo che la pena era di durata tutto sommato sopportabile,
si sarebbe ben guardato dall'affrontare il rischio mortale
dell'evasione e soprattutto il pericolo della possibile successiva
eliminazione da parte degli inquisitori i quali, spesso, arrivavano
ad operare anche molto lontano dai confini della Repubblica. Questi
magistrati erano l'espressione più evidente
dell'arbitrarietà del potere oligarchico che governava
Venezia. Erano insieme tribunale speciale e centrale di spionaggio.
Sui motivi reali dell'arresto si è discusso parecchio. Certo
è che il comportamento di Casanova era tenuto d'occhio dagli
inquisitori e rimangono molte riferte (rapporti delle spie al soldo
degli Inquisitori) che ne descrivevano minutamente i comportamenti,
soprattutto quelli considerati socialmente sconvenienti. In
definitiva l'accusa era quella di "libertinaggio" compiuto con donne
sposate, di spregio della religione, di circonvenzione di alcuni
patrizi e in generale di un comportamento pericoloso per il buon
nome e la stabilità del regime aristocratico. Di fatto,
Casanova conduceva una vita alquanto disordinata ma né
più né meno di tanti rampolli delle casate illustri:
come questi giocava, barava e aveva anche delle idee abbastanza
personali in materia di religione e, quel che è peggio, non
ne faceva mistero.
Anche la sua adesione alla Massoneria, che era nota agli
Inquisitori, non gli giovava, così come la scandalosa
relazione intrattenuta con "suor M.M.", certamente appartenente al
patriziato, monaca nel convento di S. Maria degli Angeli in Murano,
e amante dell'ambasciatore di Francia abate De Bernis. Insomma,
l'oligarchia al potere non poteva tollerare oltre che un individuo
ritenuto socialmente pericoloso restasse in circolazione.
Tuttavia gli appoggi, di cui certamente poteva disporre nell'ambito
del patriziato, lo aiutarono notevolmente, sia nell'ottenere una
condanna "leggera" che durante la reclusione, e forse addirittura ne
agevolarono l'evasione. La contraddizione è solo apparente,
perché Casanova fu sempre un personaggio ambivalente: per
estrazione e mezzi faceva parte di una classe subalterna, anche se
contigua alla nobiltà, ma per frequentazioni e protezioni
poteva sembrare far parte, a qualche titolo, della classe al potere.
A questo riguardo va anche considerato che il suo presunto padre
naturale, Michele Grimani, apparteneva a una delle famiglie
più illustri dell'aristocrazia veneziana, annoverando ben tre
dogi e altrettanti cardinali. Questa paternità fu rivendicata
da Casanova stesso nel libello Né amori né donne e
sembra che anche la somiglianza di aspetto e di corporatura dei due
avvalorasse parecchio la tesi.
Dalla fuga dai Piombi al ritorno a Venezia (1756 - 1774)
Appena riavutosi dallo shock dell'arresto, Casanova cominciò
ad organizzare la fuga. Un primo tentativo fu vanificato da uno
spostamento di cella. Ma nella notte fra il 31 ottobre e il 1º
novembre 1756, mise in atto il suo piano: passando dalla cella alle
soffitte, attraverso un foro nel soffitto praticato da un compagno
di reclusione, il frate Marino Balbi, uscì sul tetto e
successivamente si calò di nuovo all'interno del palazzo da
un abbaino. Passò quindi, in compagnia del complice,
attraverso varie stanze e fu infine notato da un passante, che
pensò fosse un visitatore rimasto chiuso all'interno e
chiamò uno degli addetti al palazzo il quale aprì il
portone, consentendo ai due di uscire e di allontanarsi
fulmineamente con una gondola.
Si diressero velocemente verso nord. Il problema era seminare gli
inseguitori: infatti la fuga gettava un'ombra sull'amministrazione
della giustizia di Venezia ed era chiaro che gli Inquisitori
avrebbero tentato di tutto per riacciuffare gli evasi. Dopo brevi
soggiorni a Bolzano (dove i banchieri Menz lo ospitarono e aiutarono
economicamente), Monaco di Baviera (dove Casanova finalmente si
liberò della scomoda presenza del frate), Augusta e
Strasburgo, il 5 gennaio 1757 arrivò a Parigi, dove nel
frattempo il suo amico De Bernis era divenuto ministro e quindi gli
appoggi non gli mancavano.
Rinfrancato e trovata una sistemazione, iniziò a dedicarsi
alla sua specialità: brillare in società, frequentando
quanto di meglio la capitale potesse offrire. Conobbe tra gli altri
la marchesa d'Urfé nobildonna ricchissima e stravagante, con
la quale intrattenne una lunga relazione, dilapidando cospicue somme
di denaro che lei gli metteva a disposizione, soggiogata dal suo
fascino e dal consueto corredo di rituali magici.
Molto fantasioso, come al solito, si fece promotore di una lotteria
nazionale, allo scopo di rinsaldare le finanze dello stato.
Osservava che questo era l'unico modo di far contribuire di buon
grado i cittadini alla finanza pubblica. L'intuizione era talmente
valida che ancora adesso il sistema è molto praticato.
L'iniziativa venne autorizzata ufficialmente e Casanova venne
nominato Ricevitore il 27 gennaio 1758.
Nel settembre dello stesso anno, De Bernis fu nominato cardinale; un
mese dopo Casanova fu incaricato dal governo francese di una
missione segreta in Olanda.
Al suo ritorno fu coinvolto in un'intricata faccenda riguardante una
gravidanza indesiderata di un'amica, la scrittrice veneziana
Giustiniana Wynne. Di madre italiana e padre inglese, Giustiniana
era stata al centro dell'attenzione per la sua rovente relazione con
il patrizio veneziano Andrea Memmo. Questi aveva cercato in tutti i
modi di sposarla, ma la ragion di stato (lui era membro di una delle
dodici famiglie - cosiddette apostoliche - più nobili di
Venezia) glielo aveva impedito, a causa di alcuni oscuri trascorsi
della madre di lei, e in seguito allo scandalo che ne era sortito i
Wynne avevano lasciato Venezia. Giunta a Parigi, trovandosi in stato
interessante e di conseguenza in grosse difficoltà, la
ragazza si rivolse per aiuto a Casanova, che aveva conosciuto a
Venezia e che era anche ottimo amico del suo amante. La lettera con
cui implorava aiuto è stata ritrovata ed è singolare
la schiettezza con cui la ragazza si rivolge a Casanova, dimostrando
una fiducia totale in quest'ultimo, tenuto conto dell'enorme rischio
a cui si esponeva (e lo esponeva) nel caso in cui il messaggio fosse
caduto nelle mani sbagliate.
Casanova si prodigò per darle aiuto, ma incorse in una
denuncia per concorso in pratiche abortive, presentata
dall'ostetrica Reine Demay in combutta con un losco personaggio,
Louis Castel-Bajac, per estorcere denaro in cambio di una
ritrattazione. Benché l'accusa fosse molto grave, Casanova
riuscì a cavarsela con la consueta presenza di spirito e fu
prosciolto, mentre la sua accusatrice finì in carcere.
L'amica abbandonò l'idea di interrompere la gravidanza e in
seguito partorì nel convento in cui si era rifugiata. Ceduti
i suoi interessi nella lotteria, Casanova si imbarcò in una
fallimentare operazione imprenditoriale, una manifattura di tessuti,
che naufragò anche a causa di una forte restrizione delle
esportazioni derivante dalla guerra in corso. I debiti che ne
derivarono lo condussero per un po' in carcere (agosto 1759). Come
al solito, il provvidenziale intervento della ricca e potente
marchesa d'Urfé, lo tolse dall'incomoda situazione.
Gli anni successivi furono un intenso continuo peregrinare per
l'Europa. Si recò in Olanda, poi in Svizzera, dove
incontrò Voltaire. In seguito in Italia, a Genova, Firenze e
Roma. Qui viveva il fratello Giovanni, pittore, allievo di Mengs.
Durante il soggiorno presso il fratello fu ricevuto dal papa
Clemente XIII.
Nel 1762 ritornò a Parigi, dove riprese ad esercitare
pratiche esoteriche insieme alla marchesa d'Urfé, fino a che
quest'ultima, resasi conto di essere stata per anni presa in giro
con l'illusione di rinascere giovane e bella per mezzo di pratiche
magiche, troncò ogni rapporto con l'improvvisato stregone
che, dopo poco tempo, lasciò Parigi, dove il clima che si era
creato non gli era più favorevole, per Londra, dove fu
presentato a corte.
Nella capitale inglese conobbe la funesta Charpillon, con cui
cercò di intessere una relazione. In questa circostanza anche
il grande seduttore mostrò il suo lato debole e questa
scaltra ragazza lo portò fin sull'orlo del suicidio. Non che
fosse un grande amore, ma evidentemente Casanova non poteva
accettare di essere trattato con indifferenza da una ragazza
qualsiasi. E più lui vi s'intestardiva, più lei lo
menava per il naso. Alla fine riuscì a liberarsi di questa
assurda situazione e si diresse verso Berlino. Qui incontrò
il re Federico il Grande, che gli offrì un modesto posto
d'insegnante nella scuola dei cadetti. Rifiutata sdegnosamente la
proposta, Casanova si diresse verso la Russia.
A Mosca nel dicembre del 1764 incontrò l'imperatrice Caterina
II, anche lei annessa alla straordinaria collezione di personaggi
storici incontrati nel corso delle sue infinite peregrinazioni.
Merita una riflessione la straordinaria facilità con cui
Casanova aveva accesso a personaggi di primissimo piano, che certo
non erano usi ad incontrarsi con chiunque. Evidentemente la fama lo
precedeva regolarmente e, almeno per effetto della curiosità
suscitata, gli consentiva di penetrare nei circoli più
esclusivi delle capitali.
Un po' la questione si autoalimentava, nel senso che in qualsiasi
luogo si trovasse, Casanova si dava sempre un gran da fare per
ottenere lettere di presentazione per la destinazione successiva.
Evidentemente ci aggiungeva del suo: aveva conversazione brillante,
una cultura enciclopedica fuori del comune e, quanto ad esperienze
di viaggio, ne aveva accumulate infinite, in un'epoca in cui la
gente non viaggiava un granché. Insomma Casanova il suo
fascino lo aveva, e non lo spendeva solo con le donne.
Nel 1766 in Polonia avvenne un episodio che segnò
profondamente Casanova: il duello con il conte Branicki. Questi,
durante un litigio a causa della ballerina veneziana Anna Binetti,
lo aveva apostrofato chiamandolo poltrone veneziano. Il conte era un
personaggio di rilievo alla corte del re Stanislao II Poniatowski e
per uno straniero privo di qualsiasi copertura politica non era
molto consigliabile contrastarlo. Quindi, anche se offeso
pesantemente dal conte, qualsiasi uomo di normale prudenza si
sarebbe ritirato in buon ordine; Casanova, invece, che evidentemente
non era solo un amabile conversatore ed un abile seduttore, ma anche
un uomo di coraggio, lo sfidò in un duello alla pistola.
Faccenda assai pericolosa, sia in caso di soccombenza che in caso di
vittoria, in quanto era facile attendersi che gli amici del conte ne
avrebbero rapidamente vendicato la morte.
Il conte ne uscì ferito in modo gravissimo, ma non abbastanza
da impedirgli di pregare onorevolmente i suoi di lasciare andare
indenne l'avversario, che si era comportato secondo le regole.
Seppur ferito abbastanza seriamente a un braccio, Casanova
riuscì a lasciare l'inospitale paese.
La buona stella sembrava avergli voltato le spalle. Si diresse a
Vienna, da cui fu espulso. Tornò a Parigi, dove fu colpito
(novembre 1767) da una lettre de cachet del re Luigi XV, con la
quale gli veniva intimato di lasciare il paese. Il provvedimento era
stato richiesto dai parenti della marchesa d'Urfé, i quali
intendevano mettere al riparo da ulteriori rischi le pur cospicue
sostanze di famiglia. Si recò quindi in Spagna, ormai alla
disperata ricerca di una qualche occupazione, ma anche qui non
andò meglio: fu gettato in prigione con motivi pretestuosi e
la faccenda durò più di un mese. Lasciò la
Spagna ed approdò in Provenza, dove però si
ammalò gravemente (gennaio 1769).
Fu assistito grazie all'intervento della sua amata Henriette che,
nel frattempo sposatasi e rimasta vedova, aveva conservato di lui un
ottimo ricordo. Riprese presto il suo peregrinare, recandosi a Roma,
Napoli, Bologna, Trieste. In questo periodo si infittirono i
contatti con gli Inquisitori veneziani per ottenere l'agognata
grazia, che finalmente giunse il 3 settembre 1774.
Dal ritorno a Venezia alla morte (1774 - 1798)
Ritornato a Venezia dopo diciott'anni, Casanova riannodò le
vecchie amicizie, peraltro mai sopite grazie ad un'intensissima
attività epistolare. Per vivere, si propose agli Inquisitori
come spia, proprio in favore di coloro che erano stati tanto decisi
prima a condannarlo alla reclusione e poi a costringerlo a un lungo
esilio. Le riferte di Casanova non furono mai particolarmente
interessanti e la collaborazione si trascinò stancamente fino
ad interrompersi per "scarso rendimento". Probabilmente qualcosa in
lui si opponeva ad esser causa di persecuzioni che, avendole provate
in prima persona, conosceva bene.
Rimasto senza fonti di sostentamento, si dedicò
all'attività di scrittore, utilizzando la sua vasta rete di
relazioni per procurare sottoscrittori alle sue opere. All'epoca si
usava far sottoscrivere un ordinativo di libri prima ancora di aver
dato alle stampe o addirittura terminato l'opera, in modo da esser
certi di poter sostenere gli elevati costi di stampa. Infatti la
composizione avveniva manualmente e le tirature erano bassissime.
Nel 1775 pubblicò il primo tomo della traduzione dell'Iliade.
La lista di sottoscrittori, cioè di coloro che avevano
finanziato l'opera, era davvero notevole e comprendeva oltre
duecentotrenta nomi fra quelli più in vista a Venezia,
comprese le alte autorità dello stato, sei Procuratori di San
Marco in carica[35] due figli del doge Mocenigo, professori
dell'università di Padova e così via[36]. Va rilevato
che, per essere un ex carcerato evaso e poi graziato, aveva delle
frequentazioni di altissimo livello. Il fatto di far parte della
lista non era tenuto segreto, ma in una città piccola, in cui
le persone che contavano si conoscevano tutte, era di pubblico
dominio; dunque le adesioni dimostravano che, malgrado le sue
vicissitudini, Casanova non era affatto un emarginato. Anche qui
è opportuna una riflessione sull'ambivalenza del personaggio
e sul suo eterno oscillare tra la classe reietta e quella
privilegiata.
In questo stesso periodo iniziò una relazione con Francesca
Buschini, una ragazza molto semplice e incolta che per anni avrebbe
scritto a Casanova, dopo il suo secondo esilio da Venezia, delle
lettere (ritrovate a Dux) di un'ingenuità e tenerezza
commoventi, utilizzando un lessico molto influenzato dal dialetto
veneziano, con evidenti tentativi di italianizzare il più
possibile il testo. Questa fu l'ultima relazione importante di
Casanova che rimase molto attaccato alla donna: anche quando ne fu
irrimediabilmente lontano, rattristato profondamente dal crepuscolo
della sua vita, teneva una fitta corrispondenza con Francesca, oltre
a continuare a pagare, per anni, l'affitto della casa in Barbaria
delle Tole, in cui avevano convissuto, inviandole, quando ne aveva
la possibilità, lettere di cambio con discrete somme di
denaro.
Negli anni successivi pubblicò altre opere e cercò di
arrabattarsi come meglio poté. Ma il suo carattere impetuoso
gli giocò un brutto scherzo: offeso platealmente in casa
Grimani da un certo Carletti, col quale aveva questionato per motivi
di denaro, si risentì perché il padrone di casa aveva
preso le parti del Carletti. Decise a questo punto di vendicarsi
componendo un libello, Né amori né donne, ovvero la
stalla ripulita in cui, pur sotto un labile travestimento
mitologico, facilmente svelabile, sostenne chiaramente di essere lui
stesso il vero figlio di Michele Grimani, mentre Zuan Carlo Grimani
sarebbe stato "notoriamente" frutto del tradimento della madre
(Pisana Giustinian Lolin) con un altro nobile veneziano, Sebastiano
Giustinian.
Probabilmente era tutto vero, anche perché in una
città in cui le distanze tra le case si misuravano a spanne,
si circolava in gondola e c'erano stuoli di servitori che ovviamente
spettegolavano a più non posso, era impensabile poter tenere
segreto alcunché. Comunque anche in questo caso
l'aristocrazia fece quadrato e Casanova fu costretto all'ultimo
definitivo esilio. Tuttavia la questione non passò
inosservata se si ritenne opportuno far circolare un libello
anonimo, con cui si replicava allo scritto casanoviano, intitolato
"Contrapposto o sia il riffiutto mentito, e vendicato al libercolo
intitolato Ne amori ne donne ovvero La stalla ripulita, di Giacomo
Casanova".
Lasciò Venezia nel gennaio 1783 e si diresse verso Vienna.
Per un po' fece da segretario all'ambasciatore veneziano Sebastiano
Foscarini, poi, alla morte di questi, accettò un posto di
bibliotecario nel castello del conte di Waldstein a Dux, in Boemia.
Lì trascorse gli ultimi tristissimi anni della sua vita,
sbeffeggiato dalla servitù, ormai incompreso, e considerato
il relitto di un'epoca tramontata per sempre.
Da Dux, Casanova dovette assistere alla Rivoluzione francese, alla
caduta della Repubblica di Venezia, al crollare del suo mondo, o
perlomeno di quel mondo a cui aveva sognato di appartenere
stabilmente. L'ultimo conforto, oltre alle lettere numerosissime
degli amici veneziani che lo tenevano al corrente di quanto accadeva
nella sua città, fu la composizione della Histoire de ma vie,
l'opera autobiografica che assorbì tutte le sue residue
energie, compiuta con furore instancabile quasi per non farsi
precedere da una morte che ormai sentiva vicina.
Annotazione della morte di Casanova nei registri di Dux
Scrivendola, Casanova riviveva una vita assolutamente irripetibile,
tanto da entrare nel mito, nell'immaginario collettivo. Una vita
opera d'arte.
Morì il 4 giugno del 1798.
[...]
Valore letterario e fortuna dell'opera casanoviana
Sul valore letterario e la validità storica dell'opera di
Giacomo Casanova si è discusso parecchio. Intanto bisogna
distinguere tra l'opera autobiografica e il resto della produzione.
Malgrado gli sforzi fatti per accreditarsi come letterato, storico,
filosofo e addirittura matematico, Casanova non ebbe in vita, e
tantomeno da morto, nessuna notorietà e nessun successo.
Successo che arrise invece all'opera autobiografica, anche se si
manifestò in tempi molto posteriori alla morte dell'autore.
La sua produzione fu spesso d'occasione, cioè di frequente i
suoi scritti furono creati per ottenere qualche beneficio: la
confutazione dell'opera di Amelot de la Houssaye Storia del governo
di Venezia, scritta in gran parte durante la detenzione a Barcellona
nel 1768, avrebbe dovuto servire, e infatti così fu, a
ingraziarsi il governo veneziano e ad ottenere la tanto sospirata
grazia.
Lo stesso si può dire per opere scritte nella speranza di
ottenere qualche incarico da Caterina II di Russia o da Federico II
di Prussia. Altre opere, come l'Icosameron, avrebbero dovuto sancire
il successo letterario dell'autore ma così non fu. Il primo
vero successo editoriale fu ottenuto dall'Historia della mia fuga
dai Piombi che ebbe una diffusione immediata e varie edizioni, sia
in italiano che in francese ma il caso è praticamente unico e
di proporzioni limitate a causa delle dimensioni dell'opera
costituita dal racconto dell'evasione. Sembra quasi che Casanova
tollerasse le sue creature autobiografiche e il loro successo,
continuando a inseguire, con opere non autobiografiche, un successo
letterario che non arrivò mai.
Questo aspetto fu acutamente osservato da un memorialista
contemporaneo, il principe Charles Joseph de Ligne, il quale scrisse
che il fascino di Casanova stava tutto nei suoi racconti
autobiografici, sia verbali che trascritti, cioè sia la
narrazione salottiera che la versione stampata delle sue avventure.
Tanto era brillante e trascinante quando parlava della sua vita-
osserva de Ligne - quanto terribilmente noioso, prolisso, banale
quando parlava o scriveva su altre materie. Ma sembra che questo,
Casanova, non abbia mai voluto accettarlo. E soffriva tremendamente
di non avere quel riconoscimento letterario o meglio scientifico a
cui ambiva.
Da ciò si può comprendere l'astio nei confronti di
Voltaire, che nascondeva una profonda invidia e una sconfinata
ammirazione. Quindi anche contro la volontà dell'autore,
quasi invidioso dei suoi figli più fortunati ma meno
prediletti, le opere autobiografiche avrebbero potuto essere un
grande successo editoriale quando egli era ancora in vita. Ma
ciò avvenne in misura molto ridotta per vari motivi:
principalmente perché questo filone fu iniziato tardi. Si
pensi ad esempio che la narrazione della fuga dai Piombi, che
costituì per decenni il cavallo di battaglia del Casanova
salottiero, fu scritta e data alle stampe soltanto nel 1787.
Inoltre l'opera "vera", cioè quella in cui aveva trasfuso
tutto sé stesso, l'Histoire, fu scritta proprio negli ultimi
anni di vita e il motivo è semplice: infatti lui stesso
affermò, in una lettera del 1791 indirizzata a quel Zuan
Carlo Grimani, da lui offeso molti anni prima e che era stato la
causa del secondo esilio: "... ora che la mia età mi fa
credere di aver finito di farla, ho scritto la Storia della mia
vita...". Cioè sembra che per mettere su carta tutto in forma
definitiva, l'autore dovesse prima ammettere con sé stesso
che la storia era terminata e di futuro davanti da vivere non ce
n'era più. Ammissione questa sempre dolorosa per chiunque, in
particolare per un uomo che aveva creato una vita-capolavoro
irripetibile.
Ma un altro aspetto, questo strutturale, ha ritardato la fortuna
dell'opera autobiografica: l'Histoire era all'epoca assolutamente
impubblicabile. Non è un caso che la prima edizione francese
del manoscritto, acquistato dall'editore Friedrich Arnold Brockhaus
di Lipsia nel 1821, fu pubblicata, dal 1826 al 1838, però in
una versione notevolmente rimaneggiata da Jean Laforgue, il quale
non si limitò a "purgare" l'opera, sopprimendo passi ritenuti
troppo audaci, ma intervenne a tappeto modificando anche l'ideologia
dell'autore, facendone una sorta di giacobino avverso alle
oligarchie dominanti. Ciò non corrispondeva affatto alla
verità storica, perché di Casanova si può dire
che era ribelle e trasgressivo, ma politicamente era un fautore
dell'ancien régime, come dimostrano chiaramente il suo
epistolario, opere specifiche e la stessa Histoire. Per l'edizione
definitiva delle memorie si dovette attendere fino a quando la casa
Brockhaus decise di pubblicare, insieme all'editore Plon di Parigi
(dal 1960 al 1962), il testo originale in sei volumi curato da
Angelika Hübscher. Ciò fu dovuto all'impianto generale
dell'opera, di un cinismo (a detta dell'autore e degli smaliziati
contemporanei, come de Ligne) assolutamente impresentabile. Quello
che essi chiamarono cinismo sarà considerato, due secoli
dopo, modernità.
Casanova è già uno scrittore di costume "moderno". Non
teme di rivelare situazioni, inclinazioni, attività, trame e
soprattutto confessioni che erano all'epoca, e tali rimasero ancora
più di un secolo, assolutamente irriferibili. Naturalmente il
primo problema, ma questo limitato a pochi anni dopo la morte
dell'autore, fu quello di aver citato personaggi di primissimo
piano, con circostanze molto precise del loro agire. Le memorie sono
affollate all'inverosimile dagli attori principali della storia
europea del Settecento, sia quella politica che culturale.
Probabilmente si farebbe prima a dire di chi Casanova non ha
scritto, e chi non ha incontrato, tanto vasto è stato il
panorama delle sue frequentazioni. Ma questo, come si è
detto, è marginale. L'altro problema, questo insuperabile, fu
la sostanziale "immoralità" dell'opera casanoviana.
Ma ciò deve intendersi come contrarietà alle
abitudini, ai tic, alle ipocrisie della fine del Settecento e, ancor
di più, del successivo secolo, ancora più fobico e per
certi versi molto meno aperto di quello che l'aveva preceduto.
Casanova ha precorso i tempi: era troppo avanti per diventare un
autore di successo. E forse se ne rendeva perfettamente conto. Nella
lettera a Zuan Carlo Grimani, ricordata in precedenza, Casanova,
parlando dell'Histoire, scrive testualmente: ... questa Storia, che
verrà diffusa fino a sei volumi in ottavo e che sarà
forse tradotta in tutte le lingue... E poi, richiede una risposta
... perché io possa porla nei codicilli che formeranno il
settimo volume postumo della Storia della mia vita. Tutto questo
è avvenuto puntualmente.
La fortuna dell'opera casanoviana, presso i protagonisti di vertice
della scena letteraria mondiale, è stata ristretta solo
all'opera autobiografica ed è stata vastissima. Iniziando da
Stendhal, al quale fu attribuita la paternità dell'Histoire,
a Foscolo il quale mise addirittura in dubbio l'esistenza storica
del Casanova, Hofmannstahl, Schnitzler, Hesse, Màrai. Molti
furono solo lettori e quindi influenzati in modo inconscio, altri
scrissero opere ambientate nell'epoca di Casanova e di cui egli era
protagonista.
È impossibile elencare gli innumerevoli riferimenti, nella
letteratura moderna, a questa figura che ha finito per diventare
un'antonomasia. In Italia l'interesse si è manifestato tra la
fine dell'Ottocento e i primi del Novecento. È interessante
notare che la prima edizione italiana della Historia della mia fuga
dai Piombi fu curata nel 1911 da Salvatore di Giacomo, il quale
studiò anche i ripetuti soggiorni napoletani
dell'avventuriero e su questo argomento scrisse un saggio. Seguirono
Benedetto Croce[ e via via molti altri fino a Piero Chiara.
Un capitolo a parte andrebbe dedicato ai "casanovisti" cioè a
tutti quelli che si sono occupati e si occupano, più o meno
professionalmente, della vita e dell'opera del Casanova. Proprio a
questa legione di sconosciuti si debbono infinite identificazioni di
personaggi, revisioni e importantissimi ritrovamenti di documenti.
Molto dell'opera casanoviana è ancora inedito, Nell'Archivio
di Stato di Praga rimangono circa 10.000 documenti che attendono di
essere studiati e pubblicati, oltre un numero imprecisato di lettere
che probabilmente giacciono in chissà quanti archivi di
famiglia sparsi per l'Europa. La grafomania dell'avventuriero fu
veramente impressionante: la sua vita ad un certo momento divenne
totalmente e ossessivamente dedicata alla scrittura.
Riguardo al mito del seduttore, Casanova, insieme a Don Giovanni, ne
è stato l'incarnazione. Il paragone è d'obbligo ed
è stato tema di numerose opere critiche. Le due figure
finirono addirittura per fondersi benché antitetiche. A parte
il fatto che il veneziano era un personaggio reale e l'altro
romanzesco, i due caratteri sono agli antipodi: il primo amava le
sue conquiste, si prodigava con generosità per renderle
felici e cercava sempre di uscire di scena con un certo stile,
lasciando dietro di sé una scia di nostalgia. L'altro invece
rappresenta il collezionista puro, più mortifero che vitale,
assolutamente indifferente all'immagine di sé e soprattutto
agli effetti del suo agire, concentrato unicamente sul numero delle
vittime della sua seduzione.
L'interpretazione del suo mito, sarebbe fornita proprio dal libretto
del Don Giovanni di Mozart, scritto da Lorenzo da Ponte, in cui
Leporello, il servo di Don Giovanni, in un'aria notissima recita:
Madamina il catalogo è questo, delle belle che amò il
padron mio... e prosegue snocciolando le innumerevoli conquiste,
diligentemente registrate. Il fatto che alla redazione del libretto
sembra abbia partecipato anche Casanova - come è stato
sostenuto basandosi su documenti trovati a Dux, sul fatto che da
Ponte e Casanova si frequentassero e che l'avventuriero fosse
sicuramente presente la sera in cui a Praga andò in scena la
prima dell'opera mozartiana (29 ottobre 1787) - è tutto
sommato marginale. Quel che è certo è che Casanova si
misurò col mito di don Giovanni e ne costruì uno
ancora più grande, certamente più positivo e
soprattutto reale.