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Arditi

Gli arditi nella prima guerra mondiale

Esperimenti anticipatori

Un'idea anticipatrice dell'Ardito può essere fatta lontanamente risalire al 1914, quando in ogni reggimento del Regio Esercito venne creato un gruppo di esploratori addestrati ad agire dietro le linee nemiche.

I primi nuclei di Arditi nacquero e si addestrarono a Manzano (Udine), in località "Sdricca", dove tuttora si celebra una commemorazione ed una rievocazione l'ultima domenica di luglio.

La vulgata popolare vuole riconoscere come antesignani degli Arditi anche i componenti delle cosiddette "Compagnie della morte", pattuglie speciali di fanteria o del genio adibite al taglio o al brillamento dei reticolati nemici, facilmente riconoscibili per l'uso di corazze ed elmetti principalmente del tipo "Farina". L'impiego della bombarda in questo ruolo rese del tutto inutili i sacrifici dei componenti queste unità.

In seguito, gli Arditi divennero un corpo speciale d'assalto. Il loro compito non era più quello di aprire la strada alla fanteria verso le linee nemiche, ma la totale conquista di quest'ultima. Per fare ciò, venivano scelti i soldati più temerari, che ricevevano un addestramento molto realistico, con l'uso di granate e munizionamento reale, e con lo studio delle tecniche d'assalto e del combattimento corpo a corpo.

Operativamente, gli Arditi agivano in piccole unità d'assalto, i cui membri erano dotati di "petardi Thevenot", granate e pugnali, utilizzati in assalti alle trincee nemiche. Le trincee venivano tenute occupate fino all'arrivo dei rincalzi di fanteria.

Il tasso di perdite era estremamente elevato.

Tra le battaglie più sanguinose, vi fu quella sul Piave. Quando ormai anche la Brigata Sassari (di cui era nota la determinazione) si era data per vinta, centinaia di Arditi vennero fatti sbarcare da una sponda all'altra del fiume. La maggior parte di loro non giunse all'altra riva.

Nel dopoguerra si volle sostenere che l'idea dell'Ardito fosse stata una creazione del capitano Cristoforo Baseggio che nell'ottobre 1915 venne posto al comando di una unità denominata "Compagnia volontari esploratori", che operava in Valsugana. Questa circostanza venne a più riprese e veementemente contestata dai vertici dell'associazione arditi e dai maggiori memorialisti. L'unità contava 13 ufficiali e 400 soldati di truppa scelti su base volontaria e provenienti da vari reparti del settore della 15ª Divisione. Il reparto fu completamente distrutto nell'attacco al Monte Osvaldo nell'aprile del 1916.

Nel 1916 il Comando Supremo decise di premiare con la qualifica di militare ardito chi si fosse distinto per decisione e coraggio, con l'espresso divieto di creare unità speciali. Il distintivo, da portarsi al braccio sinistro, era il monogramma reale VE, ed era pensato esclusivamente come premio e come indicazione del soldato da portare ad esempio. Questa fu tuttavia la genesi nell'immaginario del vocabolo "Ardito".

Costituzione e impiego

Nel 1917 a seguito di proposte e studi da parte di giovani ufficiali stanchi della stasi e dell'inutile massacro della vita di trincea, si arrivò alla sperimentazione di un'unità appositamente costituita presso la 48ª Divisione dell'VIII Corpo d'armata, comandata dal capitano Giuseppe Bassi e il suo sergente Longoni Giuseppe, Giuseppe Bassi fu inoltre autore di una innovativa nota sull'impiego delle pistole mitragliatrici Fiat 15 /OVP - Officine Villar Perosa. Va fatto presente che già nel marzo 1917 il Comando Supremo aveva inviato una circolare informativa circa la costituzione presso l'esercito austroungarico di unità speciali.

A seguito di valutazione positiva si decise di istituzionalizzare la nascita della nuova specialità, ma dissidi sull'equipaggiamento e sull'addestramento fecero slittare l'inizio dell'attività al 29 luglio 1917, quando lo stesso re Vittorio Emanuele sancì la nascita dei reparti d'assalto.

I neonati reparti d'assalto si svilupparono quindi come corpo a sé stante, con una propria divisa ed un addestramento differenziato e superiore a quello dei normali soldati, da impiegarsi a livello di compagnia o di intero battaglione. L'esercito tedesco, mediamente molto meglio addestrato, era stato però il primo ad adottare il concetto di truppa di élite con le Stoss Truppen e poi con le Sturmtruppen. La sede della scuola d'addestramento venne fissata a Sdricca di Manzano (Udine) ed il comando affidato allo stesso maggiore Bassi. In seguito alla scuola di Sdricca (e alle altre create all'uopo) vennero brevettati anche gli arditi reggimentali (niente a che vedere con i "militari arditi" del 1916), la cui istituzione fu poi ufficializzata nel 1918 con apposita circolare.

I primi reparti vennero creati nella 2ª Armata, e al momento di Caporetto risultavano costituiti 27 reparti (o più probabilmente 23), anche se quelli effettivamente impiegabili in combattimento furono molti di meno. Quelli dipendenti dalla 2ª e dalla 3ª armata erano alle dipendenze del comando d'armata, mentre gli altri erano alle dipendenze dei comandi di corpo d'armata, soprattutto nel caso delle fiamme verdi e degli altri reparti operanti in ambiente alpino, Solo i reparti della 2ª armata erano già stati utilizzati ampiamente e provati in azione (almeno 3 battaglioni su 6 avevano operato come unità organiche, mentre gli altri probabilmente solo come compagnie), mentre quelli della 3ª (probabilmente 3 battaglioni) erano ad un livello elevato di preparazione e di addestramento, gli altri invece si trovavano ancora in addestramento, talvolta anzi i reparti alpini erano stati addestrati secondo standard inferiori a quelli della 2ª e 3ª armata, che disponevano di un campo d'addestramento apposito, ed un comando unico per le truppe ardite, si può dire che ancora nel tardo 1917 la specialità non era ancora stata ben compresa dagli alti comandi al di fuori di queste due armate (G. Rochat, Gli Arditi della Grande Guerra. Origini, battaglie e miti, Gorizia, 1990, pp. 52 e ss.). I primi sei reparti della 2ª Armata combatterono la battaglia di Udine e protessero la ritirata sui ponti di Vidor e della Priula, rimanendo le ultime unità a passare il Piave. Nell'inverno del 1917 vennero sciolti, ricostituiti e riaddestrati arrivando a 22 reparti operativi, per diventare al maggio 1918 di nuovo 27 (più un reparto di marcia per ogni armata), assegnati ai corpi d'armata.

Nel giugno del 1918 venne costituita una Divisione d'assalto con nove reparti al comando del maggior generale Ottavio Zoppi, divenuta poi Corpo d'armata d'assalto con dodici reparti su due divisioni. Al Corpo d'armata d'assalto vennero assegnati anche sei battaglioni bersaglieri e due battaglioni bersaglieri ciclisti, nonché supporti tattici e logistici adeguati. I reparti prelevati dai corpi d'armata per costituire le divisioni vennero ricostituiti tanto che a fine guerra si contavano i dodici reparti d'assalto (più due di marcia) inquadrati nel Corpo d'armata d'assalto, e venticinque reparti indipendenti assegnati alle armate.

Gli arditi furono tra gli artefici dello sfondamento della linea del Piave che permise nel novembre del 1918 la vittoria finale sugli eserciti austroungarici.

Poco dopo il termine della guerra, nel gennaio del 1920, tutti i reparti furono sciolti per motivi di riorganizzazione e di politica interna al Regio Esercito.

Organizzazione

[...]

I soldati di preferenza erano arruolati su base volontaria, ma col progredire del numero dei reparti iniziarono ad essere designati dai propri comandi tra i soldati più esperti e coraggiosi delle compagnie di linea, possibilmente scegliendoli tra i militari già decorati al valore (secondo la proporzione di un soldato ogni compagnia di fanteria, e di due per le compagnie di Alpini e Bersaglieri). Dopo un accertamento dell'idoneità militare come Arditi mediante prove di forza, destrezza e sangue freddo, venivano addestrati all'uso delle armi in dotazione, alle tattiche innovative di assalto, alla lotta corpo a corpo con o senza armi, il tutto supportato da una continua preparazione atletica. Contrariamente alla leggenda, diffusa dagli stessi arditi, non erano ammessi nel corpo i pregiudicati, anche se chi era stato colpito da provvedimenti disciplinari o dalla giustizia militare (che è cosa ben diversa dalla giustizia civile) poteva fare domanda per entrare nel corpo in cambio di una riduzione della pena.

In particolare venivano impartite lezioni per il lancio delle bombe a mano, per il tiro col fucile, per l'utilizzo del lanciafiamme e della mitragliatrice. L'addestramento era particolarmente intensivo e realistico, e furono diversi gli Arditi deceduti durante le esercitazioni o l'addestramento di base (soprattutto colpiti da schegge di bomba a mano, perché la loro procedura operativa prevedeva un lancio molto corto dell'ordigno, subito seguito da un assalto diretto). L'elevato addestramento, lo spirito di corpo e lo sprezzo del pericolo, ma anche i vantaggi di cui godevano, fecero degli Arditi il corpo più temuto dagli eserciti avversari, ma crearono anche un clima di diffidenza e di invidia da parte di ufficiali appartenenti ad altri reparti. Alcuni militari di truppa portavano nei loro riguardi stima e rispetto, per la capacità di risolvere sul campo di battaglia situazioni tatticamente impossibili per i reparti di linea, altri invidia e odio, perché gli Arditi erano ben armati ed addestrati, mentre loro no, godevano di licenze frequenti e buon rancio, mentre loro no, tra un assalto e l'altro erano inviati nelle retrovie, o addirittura in città, mentre loro rimanevano molto a lungo in linea senza essere rilevati nemmeno dopo lunghi combattimenti, e infine perché erano sottomessi ad una disciplina poco fomale e meno rigida. Inoltre spesso molti soldati trovavano fastidioso che queste truppe, molto meglio armate ed addestrate, conquistassero con "facilità", o almeno con velocità, (prendendosene il merito) posizioni attorno alle quali avevano combattuto con scarsa fortuna per mesi, indebolendole con inutili e sanguinosi attacchi frontali; il merito della conquista andava quindi agli arditi, creando uno dualismo in seno all'esercito, tra reparti di linea e reparti offensivi. (G. Rochat, Gli Arditi della Grande Guerra, Gorizia, 1990, pp. 36 e ss. pp. 125 e ss.)

Uniforme

A differenza del resto dell'Esercito che indossava la giubba con bavero chiuso, gli Arditi avevano in dotazione una giubba a bavero aperto, più comoda e pratica, sotto la quale veniva portata una camicia bianca con cravatta nera o, più spesso in zona di operazioni, un maglione grigioverde.

Al bavero della giubba erano cucite le mostrine: fiamme nere a due punte. Gli Arditi provenienti dai Bersaglieri e dagli Alpini conservavano le mostrine delle specialità d'origine, rispettivamente fiamme cremisi e fiamme verdi. Con il termine "Fiamme Nere" erano indicati gli stessi Arditi, così come per "Fiamme Cremisi" (o "Fiamme Rosse") si intendevano i Bersaglieri e per "Fiamme Verdi" gli Alpini. La "Fiamma Nera", oltre ad essere la mostrina, era anche l'insegna, in genere un gagliardetto nero, che precedeva il Reparto nell'assalto.

Il copricapo caratteristico degli Arditi era il fez nero con fiocco nero. Gli Arditi provenienti dai Bersaglieri e dagli Alpini conservavano i loro tradizionali copricapo: fez rosso con fiocco blu per i primi, cappello alpino per i secondi. In operazioni veniva spesso portato l'elmetto metallico.

Un simbolo ricorrente degli Arditi, che compariva sul gagliardetto di reparto, ma anche ricamato sulle giubbe o sotto forma di spilla metallica, era il teschio, talvolta con pugnale in bocca oppure sovrapposto a due tibie incrociate.

Molti degli elementi distintivi degli Arditi furono in seguito ripresi dalle prime formazioni fasciste, tipicamente il fez nero, il teschio con il pugnale tra i denti, ma anche dalle formazioni degli Arditi del Popolo (teschio ma con pugnale ed occhi rossi) e da varie squadre di difesa antifascista, come la camicia nera col teschio in filo d'argento sul fianco utilizzato dalle squadre comuniste romane. Lo stesso saluto «A noi!» fu poi usato dagli Arditi del Popolo (col saluto a pugno chiuso) e come tale compare in alcuni loro inni.

Equipaggiamento

L'equipaggiamento tipico degli arditi era costituito dal pugnale per la lotta corpo a corpo e dalle bombe a mano. Queste ultime venivano utilizzate anche per creare panico e confusione oltre che per il loro effetto dirompente (il Petardo Thevenot, il tipo di bomba a mano più utilizzato dagli Arditi, era particolarmente adatto all'assalto in quanto dotato di una non eccessiva potenza, poteva quindi essere tirato in movimento appena davanti all'ondata d'assalto senza ferire l'assaltatore, col vantaggio di essere molto rumoroso e quindi provocatore di timore negli avversari, che lo confondevano con una normale granata a mano). Altre armi utilizzate furono le mitragliatrici e i lanciafiamme. I moschetti erano dello stesso modello in dotazione alla fanteria, ma di tipo più corto (M'91 TS), affiancati negli ultimi mesi di guerra da i MAB 18, una sorta di pistola mitragliatrice ibridata con un moschetto.

Gli arditi e il fascismo

Fra le due guerre gli arditi si riunirono nell'Associazione Nazionale Arditi d'Italia (ANAI), fondata dal capitano Mario Carli, poi tra i membri del cosiddetto "fascismo delle origini", lo stesso che scrisse assieme a Marinetti l'articolo Arditi non gendarmi[10]. La maggioranza degli arditi aderì al movimento fascista, anche se l'adesione non fu unanime, come risulta dall'esperienza degli Arditi del Popolo (frangia secessionista romana dell'ANAI, schierata politicamente sulle posizioni del socialismo massimalista). Venne fondata la FNAI (Federazione Nazionale Arditi D'Italia) il 23 ottobre 1922 da Mussolini che aveva sciolto l'ANAI considerata poco affidabile per il fascismo e nella FNAI confluirono un gran numero di Arditi. Nel 1937 Mussolini donò a Roma la Torre dei Conti presso via dei fori imperiali (allora via dell'impero) alla FNAI che lì rimase fino al 1943. Nel 1938 nella torre fu allestito un mausoleo dove ci sono tutt'ora conservate le spoglie del generale degli arditi Alessando Parisi morto quell'anno in un incidente stradale e presidente della federazione dal 1932.

Gli arditi parteciparono attivamente all'impresa fiumana sotto la guida dell'ispiratore del colpo di mano che portò alla presa di Fiume, Gabriele d'Annunzio. Una volta occupata la città, venne instaurata la "Repubblica del Carnaro" e D'Annunzio rivendicò apertamente l'italianità della città di Fiume. Venne promulgata, come carta costituzionale del nuovo stato, la Carta del Carnaro. Tra i principali ispiratori del contenuto della Carta vi fu il sindacalista rivoluzionario Alceste De Ambris, anche lui con passato di Ardito. Il 25 dicembre 1920 (il cosiddetto Natale di Sangue) le truppe regolari dell'esercito italiano guidate dal generale Caviglia posero termine alla fugace esperienza della Repubblica del Carnaro dopo brevi scontri. Il Presidente del Consiglio Giolitti aveva ordinato l'operazione perché temeva i possibili risvolti internazionali negativi che sarebbero potuti scaturire dal prosieguo dell'impresa fiumana, nonché il fatto che il consolidarsi dello stato dannunziano avrebbe potuto comportare gravi conseguenze per il regime liberale italiano.

Si noti inoltre che il generale Capello, ispiratore e fondatore del corpo, fu emarginato prima e incarcerato poi dal fascismo (che lo considerava connivente con l'attentato Zamboni a Mussolini), e dall'esercito (che, correttamente, lo considerava uno dei massimi responsabili del disastro di Caporetto, avendo disposto le sue truppe in maniera offensiva e non difensiva). Come lui molti altri "padri" dell'Arditismo, che non erano confluiti nel fascismo, furono emarginati, a vantaggio di figure, magari meno importanti, ma di sicura fede fascista o aderenti al fascismo pre marcia. Si noti inoltre che l'esercito italiano abolì il corpo nel 1920, abolizione che fu mantenuta dal fascismo mussoliniano, prodigo di riconoscimenti ed onori all'arditismo ma poco propenso a reinserire un corpo scelto irrequieto, indisciplinato (e costoso) nell'esercito.

Gli Arditi del Popolo

Gli Arditi del Popolo furono un'organizzazione antifascista nata nell'estate del 1921 da una scissione della sezione romana degli Arditi d'Italia per iniziativa di un gruppo di iscritti guidati dal simpatizzante anarchico Argo Secondari ed appoggiati dal futurista Mario Carli: l'obiettivo della scissione fu quello di creare gruppi armati in grado di opporsi alle squadre d'azione fasciste. Erano formati da componenti anarchiche, comuniste e da formazioni di difesa proletaria.

Un gran numero di Arditi confluirono nel movimento fascista, anche se l'adesione non fu unanime. Il rapporto con il fascismo non fu sempre lineare e negli anni successivi si arrivò, nella fasi più convulse e controverse, anche all'espulsione di iscritti al PNF dalle associazioni degli Arditi d'Italia.

Gli Arditi del Popolo utilizzavano uno stemma che derivava dall'arditismo di guerra, ovvero il teschio col coltello fra i denti e la corona di alloro sulla fronte (con la differenza che pugnale ed occhi erano di colore rosso, mentre lo stemma era d'argento smaltato, da appuntare sul petto a sinistra).

Dopo la prima guerra mondiale gli Arditi affluirono nell'Associazione Arditi d'Italia, fondata dal capitano Mario Carli. Questi, dopo l'assalto di un gruppo di Arditi alla casa del Lavoro di Milano, Mario Carli scrisse l'articolo "Arditi non gendarmi", creando una rottura tra una parte di Arditi ed il Fascismo.

Nascita

Gli Arditi del Popolo nacquero nell'estate del 1921 dalla sezione romana degli Arditi d'Italia: loro fondatore fu Argo Secondari, pluridecorato tenente delle fiamme nere (Arditi che provenivano dalla fanteria). Secondari era di tendenze anarchiche, come l'ardito Gino Lucetti, responsabile di un attentato contro Benito Mussolini (cui fu poi intitolato il battaglione Lucetti che agì durante la resistenza sui monti dell'alta Toscana).

La nascita degli Arditi del Popolo fu annunciata da Lenin sulla Pravda, l'Internazionale Comunista era favorevole a questa organizzazione come si legge sul resoconto nell'incontro fra Nikolai Bucharin e Ruggero Grieco, quest'ultimo rappresentante dell'ala bordighista del partito comunista d'Italia (frazione in quel momento maggioritaria e quindi vincolante per tutti i militanti per disciplina di partito). Durante l'incontro fu ripreso con durezza da Bucharin per le sue posizioni, il quale gli ricordò che il partito rivoluzionario di classe si trova dove è la classe, in tutte le sue espressioni, e non si può discuterne in salotto. La posizione di Antonio Gramsci era ben diversa e partiva dai presupposti già in nuce di quando lui tentò tramite il tenente comunista Marco Giordano, della Legione di Fiume, di entrare in contatto con Gabriele d'Annunzio, ovvero, sinteticamente, era una posizione di attenzione e possibile appoggio: i legami fra Repubblica di Fiume e potere sovietico erano forti in quel periodo ed all'interno della Legione di Fiume vi era una consistente ala filosovietica.

Personaggi ed imprese

Altro personaggio di rilievo nelle formazioni antifasciste degli Arditi del Popolo nel Ravennate fu Alberto Acquacalda, massacrato da un gruppo di fascisti.

Alcuni studi attestano la consistenza di queste formazioni a 144 sezioni e 20 000 uomini nell'estate del 1921, che già nell'ottobre dello stesso anno calarono a 50 sezioni con circa 6 000 iscritti. Altre stime fanno salire a 50.000 uomini la loro consistenza considerando insieme iscritti, simpatizzanti e partecipanti alle azioni.[5]

Tra gli Arditi del Popolo poi divenuti celebri si ricordano: Riccardo Lombardi (non iscritto ma partecipante alle azioni), Giuseppe Di Vittorio, Vincenzo Baldazzi (detto Cencio); numerosi Arditi caddero durante la guerra di Spagna militando nelle Brigate internazionali).

L'evento forse di maggior risonanza che coinvolse gli Arditi del Popolo fu la difesa del quartiere Oltretorrente di Parma dallo squadrismo fascista nell'agosto 1922. I primi del mese circa 10.000 squadristi emiliani, toscani, veneti e marchigiani, prima al comando di Roberto Farinacci e poi di Italo Balbo, assediarono Parma dopo aver conquistato ed occupato gli altri centri emiliani. A presidiare la città si trovavano gli Arditi del Popolo, comandati dal deputato Guido Picelli e dal pluridecorato di guerra Antonio Cieri, le formazioni di difesa proletaria, la Legione Proletaria Filippo Corridoni, numerosi cittadini dei quartieri popolari mobilitati contestualmente da uno sciopero nazionale indetto dall'Alleanza del lavoro per il 1º giugno. Il 6 agosto, resisi conto dell'impossibilità di conquistare la città senza scatenare una vera e propria guerra compiendo una carneficina, i fascisti passarono il controllo dell'ordine pubblico all'esercito ed impegnandosi a ritirarsi.[6]

« Gli Arditi del Popolo conducono un'impari lotta contro le milizie fasciste, ottenendo importanti vittorie e costituendo, persino nei giorni della Marcia su Roma, una trincea che i seguaci di Mussolini non riuscirono a superare neppure con l'aiuto dell'esercito e della polizia. »
(Renzo del Carria Proletari senza rivoluzione)

Continuità storica

Una certa continuità può essere ravvisata fra Arditi del Popolo e Resistenza anche se gli scopi erano ben diversi: gli Arditi, anche se in modo politicamente confuso, proponevano la formazione di una Repubblica con basi progressiste estreme (specialmente in rapporto alla Repubblica Italiana).

Secondo talune tesi della storiografia contemporanea, gli Arditi avrebbero potuto battere il fascismo se non fossero stati abbandonati dai partiti democratici e dal neonato partito comunista (ad eccezione di Antonio Gramsci, la cui fazione era però allora minoritaria), che contravvenne alle indicazioni dell'Internazionale comunista che aveva esplicitamente invitato ad appoggiare gli Arditi.