Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia

Facoltà di Scienze della Comunicazione e dell’Economia


Corso di Laurea Specialistica in Economia e Gestione delle Reti e dell’Innovazione



Economia dell’Innovazione

Anno Accademico 2004/05



Fabio Ruini (matricola nr: 7496)



Descrivere in modo critico la teoria dell’innovazione proposta da Schumpeter ed il contributo di Usher e Rosenberg all’analisi dell’innovazione come processo sociale. Spiegare la nozione di convergenze tecnologiche nell’analisi del processo di innovazione.




Indice:


Schumpeter e la teoria dell’innovazione 2

Il contributo di Usher 5

Il contributo di Rosenberg 6

Il concetto di \“convergenza tecnologica\ 7



Riferimenti bibliografici:


Schumpeter J.A. (1971), Teoria dello sviluppo economico. Ricerca sul profitto, il capitale, il credito, l’interesse e il ciclo economico;

Schumpeter J.A. (1977), Il processo capitalistico. Cicli economici;

Rosenberg N. (1987), Le vie della tecnologia;

Usher A.P. (1966), A history of mechanical inventions;

Koestler A. (1975), L’atto della creazione;

De Vecchi (1993), Schumpeter viennese. Imprenditori, istituzioni e riproduzione del capitale;

Airoldi G., Brunetti G., Coda V. (1994), Economia aziendale;

Dallasta, Formentini, Ruini (2003), Il monopolio nel mercato del software: il caso Microsoft.



Numero caratteri: 18769


Schumpeter e la teoria dell’innovazione


La teoria dell’innovazione elaborata da Joseph A. Schumpeter si configura nella storia del pensiero economico come la prima elaborazione teorica di un certo livello riguardante il fenomeno dello sviluppo.


Schumpeter inizia la sua analisi del problema interpretando la vita economica come un flusso circolare che, analogamente alla circolazione del sangue all’interno dell’organismo umano, ripercorre continuamente lo stesso cammino. In condizioni normali, l’economia tende dunque a ruotare attorno ad una sorta di punto di equilibrio walrasiano. Nell’evoluzione dei sistemi economici, però, è possibile notare che in determinati momenti storici accade qualcosa che provoca lo spostamento del succitato punto di equilibrio verso uno nuovo e diverso dal precedente. Quel qualcosa è ciò che Schumpeter definisce con il termine di sviluppo, ossia “uno spontaneo ed improvviso mutamento dei canali del flusso”, “una perturbazione dell’equilibrio che altera e sposta lo stato di equilibrio precedentemente esistente […] mediante l’introduzione di nuove combinazioni [economiche]” (Schumpeter, 1971). E’ bene sottolineare che, con il termine “nuove”, S. identifica quelle “combinazioni economiche di forze e di materiali che non giungono mediante adattamenti delle combinazioni precedenti”. In quest’ultima ipotesi non si potrebbe infatti parlare di un vero e proprio cambiamento qualitativo, quanto piuttosto di una semplice modificazione dei parametri quantitativi delle combinazioni già esistenti.


L’innovazione, intesa quindi come l’introduzione di nuove combinazioni economiche all’interno del sistema, può avere luogo in uno dei seguenti casi:


1. produzione di un nuovo bene o di una sua nuova qualità;


2. introduzione di un nuovo metodo di produzione;


3. apertura di un nuovo mercato;


4. conquista di una nuova fonte di approvvigionamento di materie prime e di semilavorati;


5. riorganizzazione di una qualsiasi industria (come la creazione di un monopolio o la sua distruzione)


L’atto di introdurre nuove combinazioni economiche (ossia di innovare) viene definito da S. con il termine di impresa, mentre i soggetti economici che compiono questa azione prendono il nome di imprenditori. La nozione schumpeteriana di imprenditore introduce elementi di novità sotto diversi punti di vista. Preme ricordare, tra le altre differenze, che tale definizione non presuppone un rapporto temporale duraturo con l’azienda, e, soprattutto, non implica l’adempimento fisico della funzione produttiva. Ne consegue che, nell’ambito di un processo innovativo, non è sempre agevole individuare la figura dell’imprenditore: la stessa caratteristica del soggetto economico può infatti essere persa nel corso del tempo (e ciò è quanto di regola accade, poiché, dopo aver innovato, l’imprenditore tende a passare ad una mentalità “conservatrice”).


L’innovazione é intesa come concetto disgiunto rispetto a quello di invenzione. Vi può infatti essere innovazione senza alcun tipo di nuova invenzione. Le nuove invenzioni, dal canto loro, non provocano da sole alcun effetto economicamente rilevante. La medesima concezione, pur con l’utilizzo di una terminologia differente, è ripresa tra gli altri da Airoldi (Airoldi, Brunetti, Coda, 1994), che parla di “innovazione economica” contrapposta ad “innovazione tecnologica”. 


Sono tre le ipotesi su cui S. basa il suo concetto di innovazione:


1. tutte le innovazioni, di norma, sono incorporate in una “nuova impresa” fondata a questo scopo;


2. le innovazioni maggiori (e anche molte di quelle minori) comportano la costruzione di “nuovi impianti” (e attrezzature) – o la ricostruzione di vecchi impianti – che richiedono un dispendio non indifferente di tempo e di denaro. Non tutti i nuovi impianti, ovviamente, incorporano in sé stessi un’innovazione, anche se il frenetico ritmo di sviluppo odierno fa sì che praticamente tutti i nuovi impianti siano legati ad una qualche forma di innovazione;


3. le innovazioni sono sempre associate con l’ascesa al potere di “uomini nuovi”.


In merito al primo punto è possibile osservare che, in genere, le imprese hanno una vita paragonabile a quella biologica, nascendo con un’innovazione ed arrivando nel corso del tempo a morte naturale. Condizione essenziale per sopravvivere é continuare ad innovare. A meno che, come ci insegna la storia recente di Microsoft, il potere economico raggiunto grazie all’innovazione non sia tale da poter influenzare l’intero sistema, stroncando sul nascere eventuali innovazioni alternative o consentendo all’azienda in questione di comportarsi come eterno “imitatore”. Sono situazioni come questa, quelle a cui fa riferimento S. nel suo saggio mentre parla del rapporto tra evoluzione del sistema economico ed imperfezione della concorrenza. Analizzando le altre due ipotesi si evince che, ad innovare, non sono solitamente le aziende che controllano il processo produttivo, quanto piuttosto nuove realtà di più modeste dimensioni. Generalmente, per attuare le proprie nuove combinazioni, esse non attingono a fonti inutilizzate, ma si limitano ad impiegare diversamente la disponibilità dei mezzi di produzione già presenti nel sistema economico.


In assenza di una autorità centrale che dirige il progresso economico della società (ed è questo il caso delle economie capitaliste, a differenza di quanto accade ad esempio nelle economie di stampo socialista) queste nuove imprese devono necessariamente fare ricorso agli istituti creditizi, affinché si renda loro possibile reperire i mezzi di produzione necessari all’introduzione delle nuove combinazioni. Il sistema creditizio, dal canto suo, non resta confinato in un ruolo passivo di puro finanziatore, ma opera una sorta di “filtro attivo”, scegliendo di supportare economicamente soltanto quelle attività innovative caratterizzate da concrete possibilità di successo. Da un punto di vista tecnico, inoltre, il sistema bancario sceglie raramente di impiegare i risparmi depositati dai correntisti nel finanziamento di nuove combinazioni, ma opta più spesso per il ricorso ad una delle proprie funzioni caratteristiche, vale a dire la creazione di potere d’acquisto in via autonoma. Ne consegue che il rischio economico non viene assunto dall’imprenditore, ma bensì dal sistema creditizio.


Riprendendo in mano il concetto di innovazione, S. identifica poi tre difficoltà principali che si trova a dover affrontare chiunque abbia intenzione di innovare:


1. mancanza di conoscenza riguardo al nuovo ambiente economico in cui andrà ad inserirsi l’azienda in seguito al processo di innovazione;


2. mentalità del business-man (la storia insegna quanto sia difficile appropriarsi di una nuova concezione scientifica: la ferma abitudine a certi pensieri diviene un vincolo quando essa ha cessato la sua utilità);


3. resistenza da parte dell’ambiente nei confronti di chi vuole innovare.


Approfondendo quest’ultimo punto, S. sottolinea come “nei fenomeni economici, questa resistenza si esprime innanzitutto nei gruppi minacciati dall’innovazione, poi nella difficoltà di trovare la necessaria cooperazione, ed infine nella difficoltà di convincere i consumatori” (Schumpeter, 1971).


Esattamente quanto è possibile riscontrare quotidianamente, sulla stampa specializzata, in merito allo scontro tra i sistemi operativi per PC, Microsoft Windows e Linux. Nel caso specifico, il gruppo minacciato dall’innovazione è principalmente Microsoft, detentrice di un monopolio “de facto” sul mercato degli operating systems per l’utenza domestica (Dallasta, Formentini, Ruini, 2003). La resistenza messa in atto dalla società di Redmond è palesata da tempo. Nei primi tempi essa si limitava a dichiarazioni decisamente denigratorie sul sistema operativo concorrente, rilasciate da vari esecutivi dell’azienda. Tra queste, quella famosissima: “Linux is a cancer that attaches itself in an intellectual property sense to everything it touches1 pronunciata nel 2001 da Steve Ballmer, allora CEO di Microsoft. Ultimamente, al relativo aumento delle quote di mercato del competitor, Microsoft ha replicato lanciando su vasta scala la campagna pubblicitaria “Get the facts” (che in italiano è spesso tradotta con un più esplicativo “Linux? Chiedilo a chi lo ha valutato”), volta a mettere in evidenza come i vantaggi di costo legati al passaggio ad un ambiente “*nix-like” in ambito aziendale abbiano come contraltare diseconomie di più ampia portata. La campagna di marketing Microsoft è recentemente passata alla sua “fase due”2, caratterizzata da attacchi rivolti non tanto a Linux, quanto alle aziende che lo supportano (Red Hat, Novell ed IBM in primis). Questo si collega al secondo problema individuato da S., ossia la difficoltà dell’innovatore di trovare la necessaria cooperazione all’interno dell’ambiente economico. Solo recentemente i produttori di grosse dimensioni stanno iniziando ad offrire Linux sui loro computer desktop3, rompendo una sorta di “omertà” durata diversi anni. Infine, la difficoltà di convincere i consumatori (tuttora dell’opinione, a livello aggregato, che il “pinguino” sia un sistema operativo estremamente ostico da padroneggiare e pressoché inutile per l’utenza non-professionale) sta venendo fronteggiata dai distributori commerciali di Linux con “distribuzioni” orientate al raggiungimento della maggior semplicità d’uso possibile4.


Per quanto riguarda gli effetti economici dovuti alle innovazioni, un discorso a parte lo merita il prezzo finale di vendita del prodotto (o servizio) derivante dall’innovazione. Secondo S., il prezzo fissato inizialmente dall’innovatore non corrisponde ai propri costi di produzione, ma è bensì determinato sulla base dei costi delle altre imprese (che ancora non hanno innovato). Il prezzo di vendita è destinato a scendere soltanto quando altre imprese riusciranno a replicare l’innovazione, secondo gli usuali meccanismi di aggiustamento di domanda e offerta (Schumpeter, 1977).


E’ immediatamente evidente come le innovazioni possano creare grossi squilibri quando non sono replicabili dalle piccole imprese. Per S., infatti, il progresso non è un processo armonioso: l’evoluzione è per sua natura tortuosa, discontinua e disarmonica.


Il contributo di Usher


Il contributo di Usher allo studio dell’innovazione quale processo sociale si focalizza principalmente sull’analisi di come abbia luogo l’atto di intuito.


Se la visione trascendentalista enfatizzava l’importanza dell’ispirazione del “genio” quale portatore di novità alla base della crescita e dello sviluppo sociale, al tempo in cui lo studioso scrisse il suo articolo, sul panorama scientifico iniziavano ad affacciarsi alcuni studi che rivedevano criticamente questa posizione. I lavori di Kroeber, Ogburn e Gilfillan, in particolare, evidenziarono come l’invenzione giungesse solitamente a conclusione di un processo sociale di accumulazione di molti elementi singoli, lungo un periodo di tempo relativamente esteso.


A mediare tra le due posizioni vi era la scuola psicologica della Gestalt, secondo cui “l’intuito non è un fenomeno raro, eccezionale, come era assunto dai trascendentalismi, ma non è neppure una risposta meccanica ad un bisogno, che si ritiene debba accadere necessariamente” (Usher, 1954).


L’ipotesi di U., che sembra affidarsi alla teoria gestaltista, prevede che l’atto di intuizione individuale possa essere formalizzato come un percorso a quattro stadi:


1. percezione del problema;


2. setting of the stage;


3. atto di intuizione;


4. revisione critica.


E’ subito evidente come l’analisi dello studioso introduca nella discussione nuovi ed importanti elementi. Innanzitutto, il problema (solitamente un’esigenza inappagata) deve essere concepito come tale da chi poi si proporrà di trovarvi una soluzione. Solo con la sua esatta formulazione il processo può arrivare al secondo stadio, ossia il “setting of the stage”. Con questo termine, U. identifica il contesto nel quale dovrà aver luogo l’intuizione, sia da un punto di vista fisico (ad esempio la gabbia dove gli scimpanzè di Kohler sviluppano le loro invenzioni comportamentali – vedi Koestler, 1975), sia da un punto di vista intellettivo (il cumulo di conoscenze di cui dispone il soggetto impegnato nell’atto intuitivo). Secondo il modello, è questo il percorso obbligato per arrivare all’atto di intuizione e quindi all’efficace inserimento all’interno del sistema delle relazioni appena scoperte.


Il contributo di Rosenberg


Partendo dal presupposto che, generalmente, le società industriali non risolvono che una piccola percentuale dei problemi economici che esse sarebbero in grado di risolvere, Rosenberg si domanda se, nella storia recente, siano esistite forze che hanno spinto l’attività esplorativa in determinate direzioni piuttosto che in altre (Rosenberg, 1987).


L’incentivo economico, a giudizio dello studioso (parere peraltro più che condivisibile), non può essere l’unica variabile esplicativa per il cambiamento tecnologico. E’ infatti comune a qualsiasi azienda l’interesse affinché i propri costi di produzione vengano minimizzati, senza particolari preferenze riguardo al punto del processo produttivo in cui tale riduzione debba essere attuata. Per lo stesso motivo è sbagliato attribuire (come fa ad esempio Hicks nella sua teoria delle invenzioni indotte) un’eccessiva importanza al costo del lavoro. L’interesse dell’azienda-tipo è semplicemente la minimizzazione dei costi totali e non di quelli particolari, quali possono essere quelli del lavoro o del capitale. 


Una delle discriminanti individuate da R. è invece il tempo. Sono infatti poche le aziende che possono permettersi di esplorare l’intera gamma delle possibilità per ridurre i costi. La maggior parte di esse deve limitarsi ad intraprendere azioni che fruttino nel breve periodo e che tengano conto dei vincoli imposti dagli impianti correntemente in uso. Un altro dei concetti introdotti dallo studioso è quello dello squilibrio nel rapporto tra tecnologie complesse. Esse, creando coazioni e pressioni interne, determinano l’avviamento dell’attività esplorativa in determinate direzioni. Un esempio classico, legato al settore automobilistico, riguarda lo sviluppo di motori sempre più veloci e performanti: un processo che impone una qualche forma di ricerca sui sistemi frenanti e di sicurezza del veicolo. Ecco dunque che, in una tecnologia complessa qual è quella dell’automobile, una pressione interna proveniente dal miglioramento del motore determina l’avviamento dell’attività esplorativa verso sistemi di frenatura e dispositivi di sicurezza. Con un parallelismo solo apparentemente forzato, R. interpreta anche la “scioperosità” dei lavoratori inglesi ottocenteschi (vera e propria spada di Damocle pendente sulla testa degli imprenditori dell’epoca) come una sorta di squilibrio tecnologico, che ha funzionato come stimolo per la ricerca di macchine risparmiatrici di lavoro. Un terzo aspetto che può direzionare il progresso tecnologico è legato alla scomparsa (o alla drastica riduzione) di una abituale fonte di approvvigionamento. Non solo la guerra può sottrarre una forma di approvvigionamento tradizionale: lo stesso effetto può essere ottenuto, ad esempio, anche da nuove leggi che impongono limiti di vario genere all’industria. Infine, anche gli incidenti ed i disastri di vario genere sono legati a forti esperienze di apprendimento. Dopo il disastro del Challenger5, ad esempio, la NASA introdusse un nuovo tipo di “tute spaziali” per i membri dell’equipaggio6, dotate di un maggior numero di dispositivi da utilizzarsi in caso di emergenza.


Il concetto di “convergenza tecnologica”


Uno dei concetti introdotti da Rosenberg nella sua analisi è quello della “convergenza tecnologica” (Rosenberg, 1987). Con questo termine, l’economista indica quel fenomeno grazie al quale una vasta gamma di prodotti finali condivide le fasi produttive “superiori” (in un contesto di dimensione verticale dell’attività produttiva), impiegando cioè le medesime abilità, tecniche ed attrezzature. Esistono dunque industrie tecnologicamente convergenti che, malgrado producano beni differenti, condividono le stesse problematiche tecnologiche.


La convergenza tecnologica, secondo l’analisi di R., ha come effetti l’accelerazione sia dello sviluppo di nuove tecniche (aumentando la domanda di innovazione per una particolare fase produttiva, aumenta la probabilità statistica che tale processo innovativo abbia luogo), sia della loro diffusione a sviluppo avvenuto (poiché lo sviluppo di una certa tecnologia diventa automaticamente interessante per tutte le imprese che utilizzano in modo più o meno pesante tale tecnologia).


Abbinata al concetto di “disintegrazione verticale” del ciclo produttivo, ossia la tendenza, da parte delle singole sequenze che lo costituiscono, ad autonomizzarsi divenendo così attività distinte esercitate da imprese diverse (Stigler - citato in Rosenberg, 1987), la convergenza tecnologica è in grado di spiegare diversi fenomeni economici verificatisi nel corso della storia. Eventi quali, ad esempio, lo straordinario grado di specializzazione raggiunto nel settore produttore di macchine dell’economia americana nella seconda metà del 1800. Oppure, in tempi più recenti, lo sviluppo di Internet quale infrastruttura tecnologica utilizzata da un numero sempre maggiore di imprese all’interno dei propri processi produttivi.


1 http://www.theregister.co.uk/2001/06/02/ballmer_linux_is_a_cancer/

http://punto-informatico.it/p.asp?i=36341

2 http://webnews.html.it/news/2314.htm

3 http://www.linuxhelp.it/modules.php?name=News&file=article&sid=1465

4 Per una panoramica delle distribuzioni Linux, vedere: http://openskills.info/view/boxdetail.php?IDbox=38&boxtype=description 

5 http://en.wikipedia.org/wiki/STS-51-L 

6 http://magazine.enel.it/res/articolo_dett.asp?idDoc=674220&numres=73&dtres=19/11/2003