Letture freudiane

Lettura III

La costruzione della teoria psicoanalitica

Indice
Il peso della svolta freudiana
Dalla semeiotica alla semiologia
Il caso Schreber
Il caso dell’uomo dei topi
L’interpretazione dei sogni
Il lavoro onirico e le intuizioni freudiane
I meccanismi di difesa e lo statuto mistificato della coscienza
Il peso della svolta freudiana

L’incidente legato alla teoria della seduzione infantile, di cui abbiamo parlato nella precedente conferenza, è stato decisivo nella costruzione della teoria psicoanalitica. In seguito ad esso, Freud ha praticamente abbandonato il piano dell’interazione tra l’ambiente familiare e storico-culturale e il soggetto dedicandosi allo studio del mondo interiore, e in particolare dell’inconscio, come un sistema chiuso, governato dall’interazione tra la sfera psicobiologica delle pulsioni e le esigenze repressive e civilizzanti della vita sociale, che impongono il principio di realtà.

Ciò è accaduto nonostante la sua capacità di osservazione lo abbia indotto ad identificare nei soggetti isterici una controvolontà che avrebbe meritato uno sviluppo teorico adeguato. Freud invece l’ha assunta come espressione di un inconscio pulsionale irrazionale che impediva ai soggetti di essere ligi ai loro doveri sociali.

La svolta dal determinismo ambientale a quello intrapsichico non ha impedito a Freud di esplorare pionieristicamente l’inconscio e di avere una serie di intuizioni di grande portata sulla sua straordinaria vitalità dinamica e sulle strane logiche che esso utilizza. Le conseguenze teoriche della svolta, però, sono state esiziali. Venendo meno, infatti, ogni riferimento all’interazione tra la mente umana e l’ambiente che non fosse riconducibile al conflitto incoercibile tra pulsioni e principio di realtà, l’accesso al quale si realizza sulla base del superamento del conflitto edipico, la teoria freudiana giunge a configurarsi come un codice interpretativo univoco e monotono, orientato ad identificare come causa delle nevrosi la fissazione edipica.

Come abbiamo visto, solo ne Il disagio della civiltà Freud sviluppa il dubbio che le richieste sociali di normalizzazione, le quali impongono la frustrazione del principio del piacere, possano essere eccessive in rapporto alle esigenze della natura umana. All’epoca, però, egli ha già avanzato la teoria dell’istinto di morte che convalida la necessità di un rigido contenimento di questa nuova e ancora più temibile pulsione.

In questa conferenza, cercherò di dimostrare che l’incidenza dei fattori storico-ambientali non solo è importante nell’interpretazione delle esperienze psicopatologiche, ma che essi sono di fatto già presenti nella scoperta che Freud fa dell’inconscio, anche per quanto concerne l'esplorazione del mondo onirico. Prima di arrivare a questo nodo essenziale, occorre però partire dalla clinica e dalla pratica analitica dalla quale Freud ha tratto i dati empirici per costruire il suo sistema e che gli ha suggerito di esplorare i sogni come via di accesso all’inconscio.

Se si estrapolano le interpretazioni che Freud fornisce dei numerosissimi casi clinici cui fa riferimento da un tessuto narrativo di grande qualità, che parte dai sintomi e procede verso la loro interpretazione come se si trattasse di un mistero poliziesco da risolvere, si rimane delusi e talora sconcertati per la loro monotonia. Egli legge ovunque l’espressione della libido e della fissazione edipica, che comporta una fantasia di eliminazione nei confronti del genitore dello stesso sesso. Prima ancora dell’elaborazione della teoria dell’istinto di morte, l’Edipo implica già l’aggressività: la possibilità di mantenere un rapporto privilegiato con il genitore dello stesso sesso, infatti, implica la morte dell’altro. A dire il vero, Freud legge ovunque anche i sensi di colpa, più o meno gravi, prodotti dalla fissazione pulsionale, ma li riconduce univocamente alla paura dell’Io di andare incontro ad una rappresaglia sociale se lasciasse libero corso al suo smodato principio di piacere.

Se questo è vero, soffermarsi sulle interpretazioni freudiane dei casi clinici potrebbe sembrare una perdita di tempo. Esse muovono da presupposti sbagliati sulla natura umana, sono carenti per quanto riguarda la ricostruzione delle vicende soggettive in rapporto al contesto familiare e socio-culturale e, di conseguenza, sono tutte poco o punto verosimili.

E’ invece importante dedicare attenzione ai casi che Freud ha analizzato in maniera dettagliata per rivelare lo scarto tra il materiale che Freud raccoglie, estremamente ricco, e il trattamento interpretativo cui lo sottopone, che appare riduttivo: lo scarto insomma tra il sue straordinario intuito psicologico e la gabbia di acciaio ideologica della teoria pulsionale.

Prima di procedere in questa direzione, però, sarà meglio chiarire in quale misura la scoperta dell’inconscio ha rivoluzionato dalle fondamenta la psicopatologia.

Dalla semeiotica alla semiologia

Freud ha una formazione medica incentrata sulla semeiotica, vale a dire sulla capacità di rilevare sintomi che, nel loro insieme, consentono di diagnosticare un’affezione che li spiega. La psichiatria, nata come branca specialistica della medicina, ha lo stesso intento, ma, non avendo mai scoperto i fattori biologici che causano le malattie mentali, si è dovuta arrendere alla descrizione dei sintomi e alla costruzione di sindromi astratte, cioè non spiegabili in termini organici (neppure ora).

L’epoca in cui Freud avvia le sue ricerche è caratterizzata, a livello psichiatrico, dall’egemonia del modello kraepeliniano e dalla diffusione della pratica manicomiale.

Sull’onda di psichiatri precedenti (Griesinger, Kahlbaum, Hecker, ecc.), Emil Kraepelin (1856-1926) passa la sua esistenza a raccogliere meticolosamente e instancabilmente migliaia di casi clinici in base ai quali elabora un sistema nosografico di psichiatria descrittiva incentrato su due gravi malattie mentali (la psicosi maniaco-depressiva e la demenza precoce, che Bleuler successivamente avrebbe definito schizofrenia).

Per quanto descrittivo, cioè sulla carta fedele ai dati clinici e all’evoluzione delle malattie, il sistema kraepeliano, oltre ad escludere qualsivoglia interesse psicologico per l’esperienza umana dei soggetti, non comporta alcuno spiraglio di speranza. La psicosi maniaco-depressiva è considerata da Kraepelin una malattia cronica, sostanzialmente inguaribile, anche se caratterizzata da fasi di remissione. La demenza precoce è definita ugualmente una malattia cronica, ma con un decorso fatalmente orientato verso la fase finale dello sfacelo psichico.

L’influenza di Kraepelin sulla psichiatria dell’epoca e su quella successiva è stata enorme. In conseguenza del fatalismo e del pessimismo intrinseci al suo sistema, i manicomi si sono trasformati in cronicari all’interno dei quali i pazienti venivano trattati con la segregazione, il contenimento, la repressione in attesa della morte.

Freud non ha mai messo piede in un manicomio. In un caso clinico (Frau Emmy von N.) esposto negli Studi sull’isteria, si trova scritto:

“Le ho domandato, sotto ipnosi, di narrarmi altre esperienze che le avessero provocato un durevole spavento. Ha descritto un'altra serie di fatti del genere, risalenti alla giovinezza più avanzata, con la stessa prontezza con cui aveva descritto la prima serie, e mi ha assicurato ancora una volta che tutte quelle scene spesso le comparivano dinanzi agli occhi vivacemente e a colori. Una di queste era il ricordo di quando aveva quindici anni e aveva visto una cugina portata al manicomio. Aveva cercato aiuto senza riuscirvi e aveva perduto, fino a sera, la capacità di parlare. Poiché tante volte, nello stato di veglia, mi aveva parlato di manicomi, l'ho interrotta e le ho chiesto in quali altre circostanze fosse stata preoccupata della pazzia. Mi ha detto che la madre era stata in un manicomio per qualche tempo. Una volta avevano avuto una domestica, la cui precedente padrona era rimasta a lungo in manicomio. Questa domestica era solita raccontarle orrende storie su come i malati venivano legati alle sedie, battuti e così via. Mentre me lo diceva, si torceva le mani per l'orrore: vedeva tutto ciò davanti ai suoi occhi. Mi sono sforzato di correggere le sue concezioni sugli ospizi per alienati e l'ho assicurata che d'ora in poi avrebbe potuto sentir parlare di istituti di quel tipo senza metterli in relazione con se stessa, dopo di che i suoi lineamenti si sono distesi.”

Freud dunque non sa come stanno le cose. La sua fiducia nella Civiltà è tale che il realismo dei vissuti della paziente gli sembra incredibile. Occorre aggiungere che egli non ha mai avuto in cura un paziente psicotico, e ha ritenuto sino all’ultimo che la schizofrenia fosse inaccessibile all’analisi.

Ciò nonostante, la rivoluzione freudiana si può ritenere la prima contestazione di grande spessore della teoria e della pratica psichiatrica organicistica. Freud è consapevole di questo.

Nell’Introduzione allo studio della psicoanalisi Freud scrive:

“Né la filosofia speculativa, né la psicologia descrittiva, o la cosiddetta psicologia sperimentale collegata alla fisiologia degli organi sensoriali, così come sono insegnate nelle scuole, sono in grado di dire qualcosa di utile sulla relazione tra il corporeo e lo psichico e di consegnarvi le chiavi per la comprensione di un possibile disturbo delle funzioni psichiche. Nell'ambito della medicina la psichiatria si occupa di descrivere i disturbi psichici osservabili e dì riunirli in quadri clinici, ma nei momenti buoni gli psichiatri stessi dubitano di poter dare il nome di una scienza alle loro enunciazioni puramente descrittive. I sintomi che compongono tali quadri clinici sono sconosciuti per quel che concerne la loro origine, il loro meccanismo, i loro collegamenti reciproci; ad essi non corrisponde alcuna alterazione dimostrabile dell'organo anatomico della psiche o vi corrispondono alterazioni di cui non si può trovare una spiegazione. Tali disturbi psichici dunque sono accessibili a un influsso terapeutico solo quando possono essere riconosciuti come effetti collaterali di una qualsiasi altra affezione organica. Questa è la lacuna che la psicoanalisi si sforza di colmare.”

La psichiatria descrive quadri clinici, la psicoanalisi cerca di comprendere le dinamiche che sottendono i sintomi, i vissuti e i comportamenti psicopatologici, quindi apparentemente irrazionali o assurdi.

Sono state, come abbiamo visto, circostanze di vita particolari ad orientare Freud verso la cura delle malattie all’epoca definite genericamente nervose. I suoi clienti appartengono all’alta borghesia e alla nobiltà viennese. Si tratta in gran parte di donne affette da disturbi isterici, cui si aggiungeranno nel tempo uomini affetti da disturbi ossessivi.

I disturbi isterici, all’epoca, si manifestano attraverso sintomi somatici (paralisi sensitive e motorie, spasmi, contratture, ecc.) e psichici (stati di coscienza alterati, crepuscolari o allucinatori) che sembrano simulare malattie mediche.

Già nel corso dell’esperienza parigina, presso Charcot, Freud prende però atto che la semeiotica medica non si può applicare ai disturbi isterici perché non c’è corrispondenza tra i sintomi e l’anatomia:

“Sono d'accordo con Janet nel dire che ciò che entra in gioco nella paralisi isterica, come pure nell'anestesia, ecc., è l'idea che comunemente si ha degli organi e del corpo in generale. Quest'idea non è basata sulla conoscenza approfondita della neuroanatomia, ma sulle nostre percezioni tattili, e soprattutto su quelle visive. Se è quest'idea che determina le caratteristiche della paralisi isterica, quest'ultima deve naturalmente rivelarsi ignorante ed indipendente da ogni nozione dell'anatomia del sistema nervoso. Perciò la lesione nella paralisi isterica sarà una alterazione della concezione, dell'idea del braccio, per esempio…

Se l'idea del braccio è legata in un'associazione con un grande valore affettivo, sarà inaccessibile al libero gioco delle altre associazioni. Il braccio sarà paralizzato proporzionalmente alla persistenza di questo valore affettivo o alla diminuzione di esso, per effetto di mezzi psichici adeguati.

In ogni caso di paralisi isterica, vediamo che l'organo paralizzato o la funzione perduta sono coinvolti in un'associazione inconscia che possiede un grande valore affettivo e si può dimostrare che il braccio guarisce appena questo valore viene annullato.”

E’ difficile minimizzare quanto di epistemologicamente rivoluzionario c’è in un’affermazione del genere. Freud ipotizza, né più né meno, che le funzioni somatiche possono essere alterate, inibite (paralisi) o eccitate (contratture) da contenuti ideativi e affettivi che scorrono al di fuori della coscienza. In un’epoca in cui la scissione tra mente e corpo avanzata da Cartesio è ancora del tutto in auge (per alcuni aspetti lo è ancora oggi), un’affermazione del genere risulta incredibile.

Intuita l’esistenza di un mondo mentale che scorre al di sotto della coscienza e che si esprime sotto forma di sintomi apparente irrazionali, Freud si pone due problemi.

Il primo consiste nel capire perché i contenuti ideativi e affettivi, che affiorano nel corso dell’ipnosi e fanno capo ad eventi traumatici, non hanno normalmente accesso alla coscienza. Egli intuisce che ciò accade sulla base di una resistenza inconsapevole o di una censura in virtù della quale la coscienza tiene quei contenuti al di fuori del suo campo. E’ la scoperta del primo meccanismo di difesa - la rimozione -, la cui formulazione negli Studi dell’isteria suona così:

“Nel corso del nostro lavoro terapeutico, abbiamo finito col formarci l'opinione che l'isteria si origina dalla rimozione, dovuta a un movente difensivo, di un'idea incompatibile. Secondo questa opinione, l'idea rimossa persisterebbe quale debole traccia mnemonica (avente scarsa intensità), mentre l'emozione, avulsa dall'idea, sarebbe impiegata in un'efferenza nervosa somatica (vale a dire che l'eccitazione è «convertita»). Sembrerebbe allora che, proprio attraverso questa rimozione, l'idea divenga causa di sintomi morbosi (ossia diventa patogena).”

Soffermiamoci un attimo su questa frase. Gettando uno sguardo nell’inconscio, Freud scopre che, eccezion fatta per la consapevolezza che ad esso difetta, il suo funzionamento è quello di una mente nella quale si danno flussi incessanti di memorie, pensieri, fantasie, desideri, emozioni, vale a dire, semplificando, idee o rappresentazioni e affetti (termine che egli usa per emozioni). L’inconscio, dunque, pensa, sente e ricorda. Se c’è una differenza rispetto alla coscienza è riconducibile al fatto che il nesso tra le idee e gli affetti a livello inconscio è molto più intimo di quello che esiste a livello cosciente. Non si dà in pratica pensiero senza una valenza emozionale né un affetto senza un contenuto di pensiero.

Già questa scoperta si può ritenere straordinaria perché fa del pensiero e dell’emozione le due facce di una stessa medaglia, delle quali a livello cosciente spesso ne viene vissuta solo una.

Per di più, però, Freud scopre che quel nesso può essere scisso sicché la rappresentazione, deprivata del suo contenuto affettivo, si indebolisce e può essere rimossa, mentre l’emozione, deprivata del suo contenuto ideativo e respinta dalla coscienza, imbocca il canale della somatizzazione. I sintomi drammatici attestano che le emozioni in questione sono particolarmente violente. Da ciò a pensare che esse debbano fare riferimento a situazioni traumatiche remote, il passo è breve.

A differenza della dimenticanza, che già prima di Freud era considerata una strategia mirante a tenere la coscienza al riparo da un ricordo doloroso o spiacevole, la rimozione implica un processo attivo. Ma dove e da chi viene agito questo processo? Dato che esso tutela la coscienza dal rapporto con qualcosa di sgradevole, è fuor di dubbio che debba entrarci l’Io. Ma l’io in questione non è quello cosciente, che in tal caso, dovrebbe serbarne memoria. L’Io dunque deve essere rappresentato e funzionare anche a livello inconscio.

Parlare, all’epoca, di un Io inconscio è un paradosso, una contraddizione in termini. L’esistenza di un Io inconscio, è, però, come vedremo, uno dei concetti freudiani più importanti.

Il secondo problema consiste nel tentativo di capire come funziona il mondo interiore di cui il soggetto non ha coscienza. Aprendo, attraverso la pratica psicoanalitica, uno spiraglio su di esso, Freud scopre un’altra verità di grande importanza: l’inconscio brulica di contenuti ideativi, affettivi, mnesici la cui ricchezza e varietà è di gran lunga superiore alla coscienza e che sono organizzati secondo una modalità particolare.

I ricordi in particolare sembrano depositati in archivi:

“Questi archivi costituiscono una caratteristica generale di ogni analisi e il loro contenuto emerge sempre in ordine cronologico, infallibilmente attendibile, così come, in una persona mentalmente normale, lo è la successione dei giorni della settimana o i nomi dei mesi. Essi rendono più difficile il lavoro di analisi in quanto, nel rievocare i ricordi, invertono l'ordine in cui sono stati originati. L'esperienza più nuova e recente dell'archivio appare per prima, a guisa di titolo, e per ultima viene l'esperienza con la quale la serie è di fatto cominciata.

Ho descritto tali raggruppamenti di memorie simili tra di loro come raccolte disposte secondo una sequenza lineare come uno schedario di documenti, un blocco di fogli, ecc., dicendo che costituiscono dei «temi». Questi temi presentano un'altra modalità di disposizione. Ciascuno è - non mi posso esprimere in altro modo - stratificato concentricamente attorno al nucleo patogeno. Non è difficile dire che cosa produce questa stratificazione, quale dimensione riducentesi o crescente è alla base di questa disposizione. Il contenuto di ciascuno strato particolare è caratterizzato da uno stesso grado di resistenza e questa cresce in proporzione alla vicinanza al nucleo. Quindi vi sono zone entro le quali vi è un ugual grado di modificazione della coscienza e i diversi temi si estendono attraverso esse. Gli strati più periferici contengono le memorie (o archivi) che, appartenendo a diversi temi, vengono facilmente ricordare e sono stati sempre chiaramente coscienti. Quanto più andiamo in profondo, tanto più diffìcile diventa il riconoscimento dei ricordi che emergono, sinché , in prossimità del nucleo, ci imbattiamo in ricordi che il paziente rinnega persino mentre li rievoca. È questa caratteristica della stratificazione concentrica del materiale psichico patogeno che, come vedremo, conferisce al corso di queste analisi le loro tipiche caratteristiche.

Un terzo genere di disposizione deve ancora essere ricordato; il più importante, ma sul quale è molto più difficile fare alcuna affermazione generale. Quella che ho in mente è una disposizione secondo il contenuto dei pensieri, il legame stabilito da un filo logico che arriva fino al nucleo e tende a prendere un andamento irregolare e contorto, diverso nei singoli casi. Questa disposizione ha un carattere dinamico in contrasto con quello morfologico delle due stratificazioni precedentemente ricordate. Mentre queste due sarebbero rappresentate, in un diagramma spaziale, da una linea continua, curva o retta, l'andamento della catena logica dovrebbe essere rappresentato da una linea spezzata che segue le vie più irregolari, andando dalla superficie agli strati più profondi e di nuovo indietro, pur dimostrando un generale avanzamento dalla periferia verso il nucleo centrale, ma toccando ogni punto intermedio: una linea che rassomiglia alla linea a zig zag del problema del cavallo negli scacchi che salta attraverso le caselle della scacchiera.”

Gettando uno sguardo nell’inconscio, ciò che Freud scorge è la sua estrema complessità e la sua natura dinamica, non priva di una logica.

C’è uno scarto evidente tra questa complessità e l’apparente semplicità dei sintomi. E’ questo scarto che trasforma la psicoanalisi in una pratica semiologica e ermeneutica.

A differenza dei sintomi medici, che sono semplicemente segnali della sofferenza di un organo i quali si possono essere spiegati sulla base di una causalità lineare (una colica epatica, per esempio, viene ricondotta all’effetto irritante di un calcolo incuneato nella cistifellea), i sintomi psicopatologici sono segni. Essi, cioè, sono prodotti da un’esigenza espressiva di contenuti inconsci importanti che la coscienza respinge. E’ come se l’inconscio non si placasse nella sua capacità di produrre sintomi finché quei contenuti non sono coscienzializzati, verbalizzati ed elaborati.

La complessità della vita mentale inconscia, incommensurabile a quella della coscienza, la ridondanza dei contenuti che in essa scorrono, la tendenza della coscienza ad adottare la rimozione per tenerli fuori dal suo campo, il conflitto tra la coscienza che rimuove e l’inconscio che preme per superare la rimozione si possono ritenere acquisizioni permanenti e geniali della conoscenza dell’uomo su se stesso.

Si tratta, però, di acquisizioni che vanno interpretate. Perché l’organizzazione mentale umana postula che gran parte dei contenuti scorrano al di sotto della coscienza? Perché la coscienza ha bisogno di mantenersi al riparo dall’inconscio? Qual è il senso ultimo delle due dimensioni dello psichico? In quale misura la cultura concorre a determinare la censura che impedisce ai contenuti inconsci di affiorare se non attraverso i sintomi psicopatologici e i sogni?

Rispondere a queste domande è importante per inserire le scoperte freudiane nella cornice di un sapere integrato dell’attività mentale umana.

Le risposte di Freud, in parte insufficienti, possono essere ricavate dai casi clinici.

Il caso Schreber

Partiamo dal caso clinico che si può ritenere il più famoso e il più citato nella storia della psichiatria: il caso Schreber.

Freud non ha mai avuto esperienza diretta con soggetti deliranti, ma, convinto che la psicoanalisi potesse servire a chiarire le dinamiche sottostanti il delirio, si è proposto nel 1910 di comprovare ciò analizzando i contenuti di un libro autobiografico - Memorie di un malato di nervi (1903) - scritto da Daniel Paul Schreber, eminente rappresentante dell’alta borghesia tedesca, candidato al Reichstag e presidente della Corte di Appello di Dresda.

Scritto con una straordinaria abbondanza di particolari, nel suo nucleo più intimo, il libro è la descrizione di un delirio. Schreber ritiene di essere chiamato a redimere il mondo e a restituire ad esso la perduta beatitudine a condizione però di trasformarsi da uomo in donna. L’evirazione, che egli accetta come un dovere, è necessaria al fine di partorire, per diretta fecondazione da parte di Dio, una nuova stirpe di uomini.

Ad un certo punto, Schreber scrive: "Quando la mia malattia di nervi sembrava pressoché incurabile, raggiunsi la convinzione che un assassinio di anima era stato compiuto su di me da parte di qualcuno".”

Il presupposto implicito del delirio è che il mondo giaccia nel disordine e nell'infelicità, e che esso abbia dunque bisogno di una radicale rigenerazione.

ll processo interpretativo cui Freud sottopone l’opera di Schreber si conclude con un giudizio inappellabile: "il fondamento sul quale si è sviluppata la malattia di Schreber è stato l'esplosione di un impulso omosessuale" nei confronti del padre.

Il ragionamento di Freud è questo: dato che la donna è, almeno simbolicamente, un uomo evirato, il dovere di trasformarsi in donna imposto a Schreber al fine di redimere il mondo, costringendolo a rinunziare al suo degno status maschile non può esprimere che una castrazione punitiva. Ma una punizione postula una colpa: se l'esser donna è una condizione di inferiorità biologica il desiderare di esserlo, per provare il piacere di soggiacere all'uomo, configura un'esplosione di libido omosessuale meritevole della perdita dello status di maschio. Accettando l'evirazione e dunque espiando la colpa, Schreber può raggiungere la beatitudine di un'unione mistica col padre trasfigurato in Dio e, sentendosi redento, pensare che tutto il mondo possa esserlo in virtù della sua espiazione.

I presupposti impliciti dell'interpretazione freudiana, mascherati da una consumata abilità narrativa, sono i seguenti: la dignità dello status maschile e l’indegnità di quello femminile, la nobiltà spirituale del padre e la dotazione pulsionale del figlio, la natura infamante e peccaminosa dell'attacco filiale e la necessità di una punizione esemplare, riparativa e purificatoria.

La colpa, dunque, è della natura umana, tremendamente restia a svincolarsi da modalità arcaiche di soddisfazione libidica necessarie allo sviluppo umano, in sé e per sé, pericolose. Abbiamo già visto in azione questo dispositivo interpretativo nella scoperta che Freud ha fatto, grazie all’autoanalisi, del suo complesso edipico. Non è pertanto singolare leggere questo commento: "noi non abbiamo proprio nulla da rimproverare a Schreber, né di aver avuto impulsi omosessuali, né di essersi sforzato di rimuoverli". Le nefandezze che Freud scopre nei suoi casi clinici escludono le responsabilità dell’ambiente e quelle del soggetto. Esse fanno capo univocamente ad una dotazione pulsionale eccessiva e quindi naturalmente incline a rimanere preda del principio del piacere.

Alla fissazione pulsionale di Schreber concorrono peraltro circostanze affatto eccezionali: già viscose per conto loro, le istanze amorose rivolte al padre divengono insormontabili poiché questi, secondo quanto Freud pensa, è stato un uomo eccezionale, amabile e scrupoloso.

Un antipsichiatra - Morton Schatzman - si è incaricato di verificare l’attendibilità del punto di vista di Freud su Schreber padre. Oltre alla scoperta che il fratello maggiore di Schreber era anche lui un malato di mente suicidatosi a 38 anni, Schatzman ha ricostruito così le cose.

Daniel Gottlieb Moritz Schreber (1808-1861), era un famoso medico tedesco e uno studioso di pedagogia. Le sue teorie ebbero molto successo in Germania; anche dopo la sua morte furono considerate, per parecchie decine di anni, un valido riferimento per i genitori. Egli scrisse diversi libri sull'educazione dei bambini, partendo dall'idea che la società tedesca di allora fosse "fiacca" e "in decadenza", e che questo fosse in gran parte causato dalla debolezza e mancanza di disciplina, con le quali venivano allevati i bambini. Elaborò "speciali mezzi educativi" che dovevano portare i bambini ad obbedienza acritica e sottomissione totale ai genitori e agli adulti in genere.

Scriveva Schreber padre: "Il cattivo contegno di un bambino diverrà nell'adulto una grave mancanza di carattere che apre la via al vizio e alla bassezza"; "Tutte le ignobili o immorali emozioni devono essere stroncate al loro primo apparire." Lo scopo dell'educazione di Schreber padre era: "Diventare padrone del bambino per sempre". Ogni disobbedienza del bambino andava annotata in una lavagna posta nella sua stanza, dove veniva anche scritta la punizione che, a fine giornata, sarebbe stata impartita. Il padre doveva parlare "con disprezzo" al bambino che non obbediva e guardarlo con "minaccia e disapprovazione".

Schreber padre aveva inventato una serie di strumenti per controllare la posizione assunta dal corpo del bambino. Così il "Reggitesta" era una fascia che si attaccava, da una parte ai capelli del bambino, dall'altra alla cintura impedendo al bambino di abbassare la testa. Il "Raddrizzatore della schiena" era un supporto metallico e spigoloso da collegare al tavolo, in modo che il bambino fosse costretto a stare dritto, per non urtare il metallo del supporto.

I bambini dovevano dormire sempre a pancia in su, per evitare che la pressione del materasso sui genitali potesse eccitarli; così Schreber padre mise a punto una serie di legacci per tenere i bambini fermi a letto. E se i bambini tenevano le spalle basse, ecco il "Raddrizzaspalle" che consisteva in cinghie di cuoio e molle di metallo, legate attorno alle braccia e poi passate dietro la schiena, in modo da provocare dolore se si abbassavano le spalle.

Per evitare "mollezze e tentazioni alla sensualità", era meglio che i bambini dormissero in stanze non riscaldate. Le pulizie personali dei bambini andavano sempre fatte con acqua fredda. A partire dal sesto mese di età, "per irrobustire il bambino" anche l'acqua del bagno doveva essere fredda. Per evitare i "danni delle polluzioni notturne insane e debilitanti" e le tentazioni della masturbazione, oltre ai bagni freddi, se si riscontrava una certa agitazione serale nel bambino, gli si doveva praticare un clistere di acqua gelata, da trattenere a lungo, prima di andare a letto. Nello stesso tempo si invitava il bambino alla preghiera, affinché fosse "eccitato dalla presenza di Dio" e provasse la "voluttà dell'anima" piuttosto che quella del corpo.

Schatzman definisce persecutorio e sadico il modello pedagogico adottato da Schreber padre. Oggettivamente, il giudizio è pertinente, e consente di capire perché entrambi i figli sono finiti pazzi.

Ciò non esclude, ovviamente, che il piccolo Schreber possa avere sviluppato un’identificazione immaginaria con un padre socialmente prestigioso e che possa avere interiorizzato un Super-io particolarmente rigido e severo. Se questo è vero, l’attacco nei confronti del padre va ricondotto non già ad impulsi omossessuali, ma al desiderio di liberarsi dalla gabbia di acciaio di un modello maschilista e militarista.

En passant, occorre aggiungere che il modello pedagogico di Schreber padre, ampiamente adottato in Germania e realizzato sotto forma di palestre per la gioventù, non esprimeva solo il culto maschilista e militarista della forza dell’epoca bismarckiana. Esso ha anticipato il modello dell’uomo nuovo nazista. Le palestre di Schreber sono state, infatti, attive sino all'avvento del nazismo.

Il delirio di evirazione di Schreber, in un’ottica storica, sembra quasi presagire le funeste conseguenze di tale modello e porsi rispetto ad esso come una soluzione.

E’ sorprendente che Freud, con le sue straordinarie capacità di demistificatore sia caduto nella trappola di scambiare Schreber padre per ciò che egli intendeva apparire: un pedagogista interessato alla cura e all’allevamento dei bambini. Del resto, se egli si fosse dato la briga di approfondire i metodi pedagogici di Schreber padre, li avrebbe di sicuro ritenuti eccessivi, ma, presumibilmente, ne avrebbe condiviso il presupposto di fondo, quello per cui l’educazione consiste nell’estirpare i “germi maligni” presenti nella natura umana.

Non avrebbe parlato ovviamente di germi maligni, bensì di pulsioni.

Lo stesso schematismo interpretativo governa la descrizione dei famosi casi clinici, che Freud ha pubblicato autonomamente (Il caso di Dora, Il caso del piccolo Hans, Il caso dell’uomo dei topi, Il caso dell’uomo dei lupi).

Li ho analizzati tutti su Nilalienum, ma qui mi preme tornare su Il caso dell’uomo dei topi perché esso, intrecciandosi con la mia esperienza di psicoterapeuta, mi ha fornito lo spunto per identificare i bisogni che successivamente ho definito intrinseci.

Il caso dell’uomo dei topi

Scritto nel 1909, il caso clinico dell’Uomo dei topi, corredato dagli appunti stesi da Freud nel corso stesso del trattamento, offre motivi di grande interesse per un approccio critico ai procedimenti epistemologici ed ideologici in virtù dei quali si edificano teoria e tecnica analitica.

La presentazione del caso è la seguente:

"Un uomo piuttosto giovane, di cultura universitaria, viene a consultarmi e dichiara di soffrire, fin dall'infanzia, di rappresentazioni ossessive, che si sono fatte tuttavia più intense negli ultimi quattro anni. Il contenuto essenziale del male consiste in timori che qualcosa possa accadere a due persone che gli sono molto care, il padre e una signora di cui è ammiratore. Inoltre il paziente avverte impulsi ossessivi, come ad esempio quello di tagliarsi la gola con un rasoio, e si fabbrica dei divieti che si riferiscono anche a cose insignificanti. Egli ha perduto anni a lottare contro le sue idee ed è perciò rimasto indietro nella vita. Nessuna delle cure tentate gli ha giovato fuorché un trattamento idroterapico in un istituto presso **; e questo probabilmente solo perché in quel luogo aveva fatto una conoscenza che era sfociata in una relazione sessuale regolare. Qui gli mancano simili opportunità, ha contatti sessuali rari e a intervalli irregolari. Le prostitute gli ripugnano. In generale la sua vita sessuale è stata misera; ha praticato pochissimo la masturbazione, verso i sedici o diciassette anni. Considera normale la sua potenza; ha avuto il primo coito a ventisei anni.

Mi fa l'impressione di una mente limpida e acuta.".

L'anamnesi accurata che Freud stende è orientata a provare che "gli elementi formativi di una psiconevrosi si trovano nella vita sessuale infantile del paziente". Nonché oggettivo, il procedimento appare tendenzioso: gli elementi offerti dalla vicenda umana del dottor Lorenz vengono interpretati, infatti, univocamente; quelli mancanti vengono presunti in rapporto alla coerenza interna delle teorie psicoanalitiche.

Seguiamo nei dettagli questo procedimento arbitrario. In tenera età il paziente prova "un'ardente e tormentosa curiosità di vedere il corpo femminile" e soddisfa questa, e il desiderio di toccare, grazie alla disponibilità e alla connivenza di due governanti giovani e di bell'aspetto. In seguito a tali esperienze, e all'intensità dei suoi desideri, sviluppa "una sensazione inquietante, come se dovesse succedere qualche cosa in conseguenza di questi pensieri", che il padre, per esempio, venisse a morte.

Leggendo in questa associazione l'espressione di un conflitto tra la sessualità del paziente e l’autorità paterna, Freud giunge ad una conclusione univoca: "la fonte cui l'ostilità verso il padre attingeva la sua indistruttibilità aveva evidentemente la natura dei desideri sessuali, e, sotto questo aspetto, egli doveva aver sentito il padre in qualche modo come un intralcio". La prova di ciò, secondo Freud, è fornita da un episodio infantile rievocato dal paziente: "quando era piccolissimo ... aveva compiuto una cattiva azione per cui il padre l’aveva picchiato. Il bambino era stato preso da un tremendo furore e scagliava ingiurie contro il padre persino mentre era sotto le percosse ... Il padre, scosso da una tale esplosione di furia primitiva, aveva smesso di picchiare e aveva dichiarato: "questo bambino diventerà o un grande uomo o un grande delinquente".

Secondo la testimonianza della madre, il misfatto consisteva nell'aver morsicato la governante: nel resoconto del paziente non vi era alcun accenno che esso "avesse natura sessuale". Secondo Freud, questo oblio "ha lo scopo di falsificare il quadro dell'attività sessuale infantile". "L'affermazione della madre lascia adito a diverse possibilità. Il fatto che ella non abbia dichiarato il carattere sessuale del misfatto... può essere dovuto alle di lei censure". Non si esclude peraltro che la colpa non fosse di ordine sessuale: cionondimeno , "è tipico del complesso nucleare dell'infanzia che al padre del bambino sia attribuita la parte di antagonista sessuale e di interferenza con le attività sessuali autoerotiche". Sicché, ammesso "uno sviluppo precoce e una repressione prematura degli istinti sessuali di guardare e di conoscere", il cerchio interpretativo si chiude repentinamente: "possiamo considerare la repressione del suo odio infantile per il padre come l'evento che fece sì che la sua vita da allora in poi, si svolgesse sotto il segno della nevrosi".

Chiuso il cerchio, è agevole interpretare il presente alla luce di un passato presunto. L’interferenza reale del padre nella vita sentimentale del paziente, esercitatasi nel consiglio di tenersi lontano dalla donna amata "per non esporsi al ridicolo", è riconducibile ad "un conflitto di scelta tra suo padre e l’oggetto sessuale". Conflitto che pone il paziente in una condizione di ambivalenza nei confronti dell'uno e dell'altro: "L’odio per la sua donna era inevitabilmente accoppiato al suo attaccamento per il padre. Inversamente, l’odio per il padre era legato all'attaccamento alla donna... Il primo di questi due contrasti corrisponde alla normale oscillazione tra maschio e femmina che caratterizza la scelta dell’oggetto dell'amore di chiunque ... L'altro conflitto (attesta che) l'amore non è riuscito ad estinguere l'odio ma solo a respingerlo nell'inconscio; e l’odio nell'inconscio, a riparo dal pericolo di essere distrutto dalla coscienza, riesce non solo a persistere ma addirittura ad accrescersi".

La trama analitica si sovrappone dunque alla vicenda umana del paziente, utilizzandola in parte e in parte violentandola e mistificandola. Ciò che a Freud interessa non è la verità, ma la conferma della teoria: se il soggetto è ammalato, ciò è accaduto perché egli non è riuscito a liberarsi dall'anarchia dei desideri erotici infantili e ha interagito negativamente con l'autorità paterna, che veicola il principio di realtà.

Analizziamo un po’ più in profondità il contesto ambientale, utilizzando i dati forniti da Freud.

Il dottor Lorenz, che si presenta a Freud lamentando di aver perduto "molto terreno nella vita" a causa della malattia, appartiene al ceto medio-alto borghese viennese. Il terreno perduto misura la delusione delle sue personali aspirazioni al successo (‘più della maggioranza delle persone’) e delle aspettative familiari. La ricchezza familiare è dovuta a circostanze fortuite ("la madre era stata allevata da una famiglia facoltosa con la quale era lontanamente imparentata, e che aveva un largo giro di affari. Suo padre, dopo il matrimonio, era entrato in questi affari per cui, grazie al matrimonio, si era fatto una posizione molto agiata"), e all'accortezza del padre di assoggettare i sentimenti all'interesse ("prima di conoscere sua madre, aveva fatto la corte a una ragazza carina ma senza un soldo, e di umile origine").

Questa ragionevolezza borghese, che subordina gli affetti alla sicurezza economica, è una delle chiavi della nevrosi, che, latente dall'infanzia, si acutizza nel momento in cui la madre comunica al dottor Lorenz di avergli combinato un matrimonio di interesse.

Freud riferisce le precoci esperienze del paziente con le governanti al fine di provare l’intensità delle sue pulsioni sessuali, o meglio, la sua natura di piccolo libertino . A distanza di tempo, questa esperienza, e altre della vita adulta del paziente, che hanno come oggetto delle serve risultano più dense di significato di quanto Freud potesse pensare. Esse, infatti, con il loro crudo realismo, ci introducono nell'atmosfera di una casa che vede i padroni affrancati dalla fatica dei lavori manuali - comprese le cure fisiche da prestare ai bambini - e i servi obbligati per necessità a convivere in una condizione di totale subordinazione e a comportarsi in maniera moralmente ineccepibile, pena il licenziamento. Il conciliabolo riferito dal paziente tra le domestiche desiderose e timorose al tempo stesso di smaliziarlo per soddisfarsi, ci restituisce al vivo un clima di frustrazione e di perversione che tende a scaricarsi vendicativamente sul bambino, rappresentante innocente degli odiati padroni.

Riguardo al padre, Freud cade nella stessa trappola che abbiamo visto in azione nel caso Schreber. Egli scrive:

"Secondo tutte le informazioni, il padre del nostro paziente era un uomo eccellente. Prima del matrimonio era stato sottufficiale e, quale residuo di questo periodo della sua vita, aveva mantenuto un atteggiamento nettamente soldatesco e un linguaggio schietto. A prescindere da queste virtù, celebrate in ogni epitaffio, egli si distingueva per un sincero senso dell'umorismo e un amabile bonomia verso i dipendenti. Il fatto che potesse essere impetuoso e violento non era certo incongruente con le sue altre qualità, anzi era un complemento necessario di questo. Però, a volte, infliggeva i più severi castighi ai figli, quando, da piccoli, erano stati cattivi. Più tardi, tuttavia, cresciuti che furono, egli si differenzia dagli altri padri non cercando di esaltare se stesso come una sacrosanta autorità, ma dividendo con i figli le piccole pecche e sfortune della sua vita con bonomia e candore. Il figlio non esagerava quando dichiarava che erano "vissuti assieme come migliori amici". Ciononostante, "ricordava che suo padre aveva avuto un carattere passionale e, talvolta, non trovava limiti alle sue violenze".

Il padre che ama il figlio e il patriarca irascibile che lo punisce sadicamente risultano radicalmente scissi nella stessa persona. A Freud sembra incomprensibile che questa scissione possa avere prodotto un’ambivalenza nel figlio, tale che l’odio per il padre non concerne il suo rapporto privilegiato con la madre, bensì il suo carattere impulsivo e violento.

La madre, poi, è una delle cause della riacutizzazione in età adulta di una nevrosi che si è avviata in epoca infantile.

Essa, infatti, combina un matrimonio di interesse con la figlia di una ricca cugina, nonostante sappia che il figlio è sentimentalmente legato da anni ad una signora di condizioni economiche non agiate. Questa combinazione suscita nel dottor Lorenz il conflitto tra il rimanere fedele alla donna che ama e lo sposare la cugina, la cui famiglia ha molti beni e utili aderenze che potrebbero procurargli un sicuro avvenire. Anziché affrontare il conflitto, il paziente ammala sviluppando "un'ostinata incapacità di lavorare, che gli permetta di rimandare il completamento degli studi", condizione, questa, posta dalla parente come pregiudiziale per concludere il matrimonio.

Al di là di questi fattori, c’è da tenere conto anche del clima militarista che vige in Austria. Non è un caso che, oltre al problema del matrimonio combinato, l’altra circostanza che induce il dottor Lorenz a ricorrere a Freud matura nel corso di manovre militari alle quali egli ha preso parte come ufficiale della riserva. Un capitano boemo, "palesemente amante della crudeltà", dopo avere più volte sostenuto la necessità della "adozione delle punizioni corporali" al fine di mantenere la disciplina militare, riferisce di una "punizione particolarmente atroce adottata in Oriente", consistente nel porre dei topi a contatto con l'ano del colpevole.

Al dottor Lorenz balena in mente l'idea che il supplizio possa essere applicato a suo padre - che, però è già morto - e alla donna amata.

Ometto i particolari complessi della storia. Ai nostri occhi è chiaro che la nevrosi ossessiva del paziente è dovuta ad una rivendicazione di libertà contro la ideologia repressiva dell’educazione paterna, contro la madre che intende imporgli un matrimonio di interesse, contro la ricca cugina, che subordina il matrimonio con la figlia al conseguimento di uno status sociale adeguato, contro la donna amata che fa essa stessa i suoi giochi tenendolo sulla corda, contro il militarismo e la violenza. E’ anche evidente che, data la natura sensibile del soggetto, quella rivendicazione di libertà contrasta gravemente con i doveri di appartenenza, che impongono al paziente di assoggettarsi alle aspettative genitoriali, e con un’affettività che lo rende schiavo di una donna che gioca con lui come il gatto con il topo.

In nome dell’appartenenza e del sentimento, il dottor Lorenz reprime il suo bisogno di individuazione e, con esso, la rabbia prodotta dai comportamenti dei familiari e dell’amante nei suoi confronti. La conseguenza della repressione è che la rabbia ridonda, si infinitizza e si traduce in fantasie parassitarie criminali nei confronti del padre e dell’amata.

Freud riconosce che il dottor Lorenz, come in genere accade per tutti i soggetti che sviluppano una nevrosi ossessiva, è un’ottima persona, dotata di una viva sensibilità e di una grande acutezza intellettuale. Ciò nondimeno, egli non si sorprende della contraddizione per cui queste qualità convivono con un presunto bagaglio pulsionale di particolare intensità.

Politzer ha scritto che la cura con cui Freud si è dedicato alla ricostruzione della vita interiore dei singoli soggetti ha avviato la possibilità di una psicologia concreta, di una psicologia cioè incentrata sull’esperienza degli individui immersi nel flusso della storia, che però non si è realizzata per via delle interpretazioni freudiane che sono refluite sul terreno dell’astrazione. Penso che sia difficile non dargli ragione.

La grandezza dello psicologo e la miseria dell’ideologo sono, in Freud, le due facce di una stessa medaglia. Occorre tenerle entrambe presenti per valutare la portata di una rivoluzione che ancora attende il suo compimento.

Dopo la critica del modo in cui Freud piega i dati tratti dalla pratica terapeutica ad una teoria impregnata di valenze ideologiche pregiudiziali sulla natura umana, occorre valutare adesso il contributo straordinario che il suo metodo - incentrato sull’attenzione alla storia interiore dei soggetti - ha dato alla nascita di una psicopatologia dinamica.

L’interpretazione dei sogni

L’interpretazione dei sogni - l’opera che porta Freud alla fama - vede la luce nel 1900.

E’ un’opera estremamente complessa e originale, che utilizza, oltre a materiale tratto dalla pratica clinica, numerosi sogni personali dell’autore, che non per caso in una delle Introduzioni, la definisce come una sorta di autobiografia.

Nonostante la complessità dei due capitoli finali (sul lavoro onirico e sulla psicologia dei processi onirici), la teoria che Freud mette a fuoco nell’Interpretazione dei sogni è facile da riassumere attraverso alcune citazioni:

“I sogni sono i custodi del sonno e non i suoi disturbatori.”

“I sogni sono suscettibili di spiegazione.”

“Nonostante i loro contenuti indesiderati, tutti i sogni devono essere interpretati come soddisfazioni di desideri.”

“Il sogno è l'appagamento (mascherato) di un desiderio (rimosso, represso).”

“I sogni ricevano una forma dall'azione di due forze psichiche (che possiamo anche chiamare correnti o sistemi), una delle quali costruisce il desiderio espresso dal sogno, mentre l'altra esercita una censura su di esso provocando, di conseguenza, una deformazione della sua espressione.”

“Nulla [può] raggiungere la coscienza dal primo sistema senza passare per il secondo agente; e questo non lascia passare nulla senza esercitare i suoi diritti e fare delle modifiche che ritiene adatte al pensiero che vuole essere ammesso nella coscienza.”

“I pensieri del sogno ed il contenuto del sogno ci si presentano come due versioni dello stesso contenuto in due lingue diverse. O, più propriamente, il contenuto del sogno sembra una trascrizione dei pensieri del sogno in un altro sistema di espressione, di cui spetta a noi scoprire i caratteri e le regole sintattiche, confrontando l'originale e la traduzione. I pensieri del sogno diventano immediatamente comprensibili, appena li abbiamo scoperti. Il contenuto del sogno è invece espresso in una specie di geroglifico, i cui segni devono essere tradotti singolarmente nella lingua dei pensieri del sogno.”

“Non esiste gruppo di rappresentazioni estraneo a fatti e desideri sessuali.”

“Quanto più ci si interessa della interpretazione dei sogni, tanto più si è portati ad ammettere che la maggioranza dei sogni degli adulti tratta di materiale sessuale e dà espressione a desideri erotici.”

“Le tendenze contro le quali si dirige la censura onirica devono essere descritte dapprima dal punto di vista di questa stessa istanza. In tal caso si può soltanto dire che esse sono di natura riprovevole, sconvenienti dal punto di vista etico, estetico, sociale; cose a cui non si osa pensare o si pensa solo con orrore. Tali desideri censurati, espressi nel sogno in forma deformata, sono prima di tutto manifestazioni di un egoismo senza limiti e senza scrupoli.”

“La deformazione onirica è proporzionale a due fattori. Da un lato, diventa tanto più grande quanto più malvagio è il desiderio da censurare, dall'altro, però, anche quanto più severe sono in quel momento le esigenze della censura.”

“Nessun altro istinto è stato soggetto fin dall'infanzia a tanta repressione quanto l'istinto sessuale con le sue numerose componenti. Nessun altro istinto lascia tanti desideri inconsci e così forti, pronti a produrre sogni nello stato di sonno.”

“Lo spostamento e la condensazione del sogno sono i due fattori alla cui attività possiamo essenzialmente attribuire la forma assunta dai sogni.”

“Non è difficile vedere che i sogni sgradevoli e i sogni di angoscia sono realizzazioni di desiderio nella nostra teoria quanto lo sono i sogni di soddisfazione diretta.”

“Nei sogni di punizione il desiderio, anche se è ugualmente inconscio, non appartiene al materiale represso ma all'«Io». Quindi i sogni di punizione indicano la possibilità che l'Io abbia una partecipazione più ampia di quella presunta nella formazione dei sogni.”

“Senza dubbio una soddisfazione di desiderio deve procurare piacere; ma allora ci si deve chiedere a chi. Alla persona che ha il desiderio, naturalmente. Ma, come sappiamo, il rapporto del sognatore con i suoi desideri è piuttosto particolare. Egli li rifiuta e li censura, in breve non gli piacciono. Quindi la loro realizzazione non gli procurerà piacere, ma proprio il contrario; e l'esperienza mostra che questo contrario appare sotto forma di angoscia, un fatto che si deve ancora spiegare.”

“I sogni di angoscia sono sogni di contenuto sessuale, in cui la libido è stata trasformata in angoscia.”

“Nessun altro istinto è stato soggetto fin dall'infanzia a tanta repressione quanto l'istinto sessuale con le sue numerose componenti. Nessun altro istinto lascia tanti desideri inconsci e così forti, pronti a produrre sogni nello stato di sonno.”

“L'affermazione che tutti i sogni esigono un'interpretazione sessuale, combattuta incessantemente dalla critica, non appare in nessun punto della mia Interpretazione dei sogni. Non si trova in nessuna delle numerose edizioni di questo libro ed è in aperta contraddizione con le altre concezioni che vi sono contenute.”

“I sogni sono atti psichici di valore pari a qualsiasi altro atto; la loro forza motrice è in ogni caso un desiderio che cerca realizzazione; il fatto che essi non siano riconoscibili come desideri e le loro numerose particolarità e assurdità sono dovute all'influenza della censura psichica, cui sono sottoposti durante il processo di formazione; a parte la necessità di eludere la censura, altri fattori che contribuiscono alla loro formazione sono la necessità di condensazione del loro materiale psichico, il riguardo per la possibilità di essere rappresentati in immagini sensorie e, anche se non sempre, l'esigenza che la struttura del sogno abbia un'apparenza razionale e intellegibile.”

“È necessario abbandonare la sopravvalutazione della qualità di essere coscienti per potersi formare una visione esatta dell'origine di ciò che è psichico… Qualsiasi cosa cosciente ha uno stadio preliminare inconscio; mentre ciò che è inconscio può restare a quello stadio e tuttavia reclamare il valore pieno di processo psichico. L'inconscio è la vera realtà psichica; nella sua intima essenza ci è sconosciuto quanto la realtà del mondo esterno, e la coscienza ce lo presenta in modo così incompleto come i nostri organi sensori ci comunicano il mondo esterno.”

“Il sognatore è nel complesso un esempio di regressione alla primissima situazione del sognatore, un rivivere della sua infanzia, degli impulsi istintivi che l'hanno dominata e dei metodi di espressione che allora gli erano disponibili. Dietro a questa infanzia dell'individuo intravediamo il quadro di un'infanzia filogenetica, il quadro dello sviluppo della razza umana, di cui lo sviluppo individuale è in realtà un riassunto abbreviato, influenzato dalle circostanze fortuite della vita. Possiamo ora indovinare quanto sia centrata l'affermazione di Nietzsche che nei sogni «è in opera qualche residuo primordiale dell'umanità che ora non si può più raggiungere per via diretta»; e possiamo aspettarci che l'analisi dei sogni ci porti alla conoscenza dell'eredità arcaica dell'uomo, di ciò che è psichicamente innato in lui. Sembra che sogni e nevrosi abbiano conservato più antichità psichiche di quanto avremmo potuto immaginare; quindi la psicoanalisi può reclamare un posto importante tra le scienze che si occupano della ricostruzione dei primissimi periodi più oscuri dei primordi della razza umana.”

Questo elenco di citazioni pone di fronte a non poche contraddizioni. La scoperta fondamentale di Freud è che l’inconscio ha una tendenza incoercibile ad esprimersi che deve fare i conti con un’onnipresente censura. Ma quali sono quelle esigenze espressive e perché la censura le ostacola fino al punto di rendere irriconoscibili per l’Io?

La risposta di Freud è che i sogni esprimono l’irriducibile egoismo dell’io (“i sogni … sono tutti completamente egoistici”), che va in una certa misura represso a favore delle esigenze di coesione e di funzionamento della società. Egli, però, fa questa notazione: “Se consideriamo i desideri inconsci ridotti alla loro forma più fondamentale e autentica, dovremo senza dubbio concludere che la realtà psichica è una particolare forma di esistenza da non confondere con la realtà materiale. Quindi non sembra che ci sia alcuna giustificazione per la riluttanza della gente ad accettare la responsabilità per l'immoralità dei propri sogni. Quando il funzionamento dell'apparato psichico verrà giustamente apprezzato e la relazione tra il conscio e l'inconscio sarà compresa, la maggior parte di ciò che è eticamente contestabile nelle nostre fantasie e nei nostri sogni scomparirà.”

Tradurrei volentieri questa osservazione in un’altra: l’allentamento della censura avverrà quando sarà apprezzato nel suo giusto valore l’alienazione che l’Io e, per alcuni aspetti, l’inconscio subiscono in conseguenza della cultura. E’ una traduzione sulla quale, ovviamente, Freud non sarebbe minimamente d’accordo.

Devo fornire, pertanto, le prove della sua pertinenza. Lo faccio utilizzando anzitutto i sogni di Freud.

L’originalità de L’interpretazione dei sogni verte in gran parte sul fatto che essa descrive, passo dopo passo, l’autoanalisi cui Freud si è sottoposto.la singolare esperienza si è avviata due anni prima della morte del padre, ma si è incrementata dopo questo evento, avvenuto nel 1896, che ha inciso profondamente su Freud.

Abbiamo già discusso dell’Edipo freudiano, dovuto alla seduzione materna. Oltre ad essere parecchio più anziano della moglie (differenza che all’età incideva più di oggi visto che a cinquant’anni le persone decadevano fisicamente e si consideravano “vecchie”), il padre di Freud era un commerciante di scarso valore, incapace di assicurare alla famiglia un tenore di vita dignitoso. Oltretutto egli era un ebreo piuttosto neghittoso e tendente a subire l’antisemitismo.

Preso atto delle doti del figlio, la madre lo ha precocemente eletto al ruolo di colui che avrebbe riscattato le sorti della famiglia e avrebbe pertanto superato il padre. Freud ha assunto su di sé questo ruolo dando ad esso un significato eroico.

Ne L’interpretazione dei sogni scrive:

“Stavo progettando di passare per Roma l'anno seguente e di andare a Napoli, quando mi venne in mente una frase che devo aver letto in uno dei nostri classici (L'autore in questione deve essere stato senza dubbio Jean Paul). «È discutibile chi dei due abbia camminato su e giù per il proprio studio con maggiore impazienza dopo aver fatto il progetto di andare a Roma, se il vice direttore Winckelmann, o il comandante supremo Annibale». In realtà avevo seguito le tracce di Annibale. Come lui, ero destinato a non vedere Roma; e anche lui era andato in Campania, quando tutti lo aspettavano a Roma. Ma Annibale, cui somigliavo sotto questi aspetti, era stato il mio eroe preferito degli ultimi anni di scuola. Come molti ragazzi di quell'età, nelle guerre puniche avevo parteggiato per i cartaginesi e non per i romani. E quando nelle classi superiori cominciai a comprendere per la prima volta che cosa significasse appartenere ad una razza straniera, e i sentimenti antisemitici degli altri ragazzi mi avvertirono che dovevo assumere una posizione decisa, la figura del generale semita crebbe ancora di più nella mia stima. Per la mia giovane mente Annibale e Roma simbolizzavano il conflitto tra la tenacia degli ebrei e l'organizzazione della Chiesa cattolica. E la crescente importanza degli effetti del movimento antisemita sulla nostra vita emotiva mi aiutò a fissare i pensieri e i sentimenti di quel tempo…

A quel punto mi trovai di fronte all'avvenimento della mia infanzia che mostrava ancora la sua influenza in questi sentimenti e sogni. Avrò avuto dieci o dodici anni, quando mio padre incominciò a portarmi con sé a fare delle passeggiate e a rivelarmi le sue opinioni sulle cose del mondo. In una di queste occasioni, mi raccontò una storia per dimostrarmi che ora le cose andavano molto meglio che ai suoi tempi. «Da giovane», disse, «andai a fare una passeggiata un sabato, per le strade della tua città natale; ero ben vestito ed avevo in testa un berretto di pelliccia nuovo. Mi si avvicinò un cristiano e con un solo colpo buttò il mio berretto nel fango e urlò: "Ebreo, via dal marciapiede!"». «E tu che facesti?», gli chiesi. «Andai in strada e raccolsi il mio berretto», fu la sua calma risposta. Questa non mi sembrava una condotta eroica da parte del grande e forte uomo che teneva per mano il ragazzino. Misi a confronto questa situazione con un'altra che si adattava meglio ai miei sentimenti: la scena in cui il padre di Annibale, Amilcare Barca (Nella prima edizione appariva il nome di Asdrubale: strano errore che ho spiegato nella mia Psicopatologia della vita quotidiana), faceva giurare al figlio davanti all'altare di famiglia che si sarebbe vendicato dei romani. Da allora Annibale aveva avuto un posto nelle mie fantasie.”

Derivare da questo, come ha fatto Szasz, che la psicoanalisi è la vendetta di un ebreo contro la civiltà borghese e cristiana è senz’altro eccessivo. E’ fuor di dubbio, però, che il carattere orgoglioso di Freud e la consapevolezza dei suoi mezzi hanno avuto un ruolo decisivo nelle sue scelte di vita, per un aspetto sfidanti le convenzioni sociali e il senso comune, e, per un altro, univocamente orientate al successo professionale e intellettuale.

Nonostante la teoria del complesso edipico sia enunciata proprio ne L’interpretazione dei sogni, tra i sogni personali che Freud analizza se ne dà solo uno francamente edipico.

Negli altri vengono in luce contenuti significativi che riguardano la condizione ebraica, vissuta come un’ingiusta discriminazione, lo status sociale non elevato, che lo umilia ma lo fa anche arrabbiare, un bisogno personale di affermazione che, in alcuni momenti, raggiunge il vertice della megalomania, un’estrema suscettibilità nei confronti di critiche che mettono in dubbio la sua competenza o la sua coscienziosità personale, oscuri e persistenti sensi di colpa riferiti all’incidente della cocaina, alla morte di un suo paziente dopo un’iniezione e a qualche errore diagnostico (reale o semplicemente temuto).

Nel complesso, la storia interiore di Freud sembra molto meno determinata dalle pulsioni che non da motivazioni che intrecciano la sua soggettività alla storia sociale e alla cultura. Motivazioni peraltro in conflitto tra di loro.

Da una parte, infatti, si dà un senso di orgogliosa appartenenza alla cultura ebraica e di superiorità intellettuale che promuove una sorta di sfida nei confronti della società borghese e cristiana. Questo tema è massimamente chiaro nel sogno in cui Freud, dovendo prendere un treno, si sente discriminato a favore di un nobile. Nel sogno egli reclama la parità dei diritti e lo fa con un’animosità che lo induce a scrivere questo commento: “il sogno dà l'impressione di essere una fantasia in cui il sognatore è ritornato ai tempi della rivoluzione del 1848.” Dall’altra parte c’è il bisogno vivo e incoercibile di assumere un ruolo e uno status prestigioso all’interno della società borghese. E’ in nome di questo bisogno che Freud reagisce, nei sogni, animosamente a qualunque giudizio critico che può compromettere il successo al quale aspira intensamente.

Ciò è evidente in misura estrema nel famoso sogno di Irma, il primo sogno che Freud è riuscito ad analizzare, al quale attribuisce l’intuizione folgorante della logica onirica.

Il sogno riguarda un giovane signora, amica di famiglia, rimasta precocemente vedova, che Freud ha avuto in cura per una sindrome isterica. La cura si conclude con un successo parziale, che questi attribuisce al fatto che la paziente non accetta la soluzione dei suoi problemi che egli le propone. Incontrando un amico che ha avuto occasione di incontrare Irma nel corso della villeggiatura, Freud gli chiede come l’ha trovata. L’amico Otto risponde che sta meglio, ma non completamente bene. La risposta irrita Freud che legge in essa una critica e un rimprovero.

Il sogno viene fatto la notte seguente a questo incontro. Nel sogno, il cui scenario è un ricevimento, c’è Irma, che sta molto male e, altre a Freud, altri medici, tra cui Otto, che si affannano a capire l’origine dei suoi mali.

La conclusione cui giunge Freud è la seguente:

“Il sogno soddisfaceva certi desideri sorti in me in seguito agli eventi della sera precedente (le informazioni ricevute da Otto e la stesura della cartella clinica). E, in conclusione, stabiliva cioè che non ero io il responsabile del persistere dei dolori di Irma, bensì Otto. Questi, infatti, mi aveva irritato con le sue osservazioni sulla cura incompleta di Irma e il sogno mi aveva vendicato rigettando la colpa su di lui. Il sogno mi liberava dalla responsabilità per le condizioni di Irma dimostrando che erano dovute ad altri fattori, anzi creava tutta una serie di ragioni...

Il sogno provava per me l'infondatezza dei rimproveri nella maniera più esauriente, lo non dovevo essere incolpato per i dolori di Irma, dal momento che essa rifiutava la mia soluzione. I suoi dolori inoltre non mi riguardavano, poiché erano di natura organica e non potevano essere curati psicologicamente. Ancora, quei dolori si potevano spiegare in modo soddisfacente con la sua vedovanza, ed io non potevo cambiare le cose. Otto aveva causato i dolori di Irma facendole imprudentemente un'iniezione di un farmaco inadatto, cosa che io non avrei mai fatto. I dolori di Irma erano la conseguenza di una iniezione fatta con un ago non pulito, come la flebite della mia vecchia signora, mentre io non avevo mai fatto del male con le mie iniezioni.”

Freud aggiunge:

“Notai, è vero, che queste spiegazioni dei dolori di Irma (che concordemente mi discolpavano) non erano in tutto coerenti l'una con l'altra, anzi si escludevano a vicenda...

Si presentavano nel sogno certi altri temi che non erano così ovviamente connessi con la mia discolpa dalla malattia di Irma…

È notevole il fatto che questo materiale includesse anche dei ricordi sgradevoli, che sostenevano l'accusa del mio amico Otto piuttosto che la mia discolpa. Si potrebbe dire che il materiale era imparziale, tuttavia era evidente il rapporto tra questo materiale più esteso di sottofondo del sogno e l'argomento più ristretto che dava vita al desiderio di non essere responsabile della malattia di Irma.”

Occorre dare atto a Freud di una grande onestà intellettuale. Sottolineando, però, il significato difensivo del sogno in rapporto all’accusa di non essere coscienzioso sul piano professionale, Freud non interpreta il materiale di sottofondo che lo accusa, riconducibile a due episodi che egli rievoca.

Il primo, banale, riguarda la prescrizione di un farmaco, che passava per innocuo, e che aveva invece prodotto una grave intossicazione. L'altro, di importanza storica: dieci anni prima, Freud aveva scoperto le qualità analgesiche della cocaina e ne aveva consigliato l'uso terapeutico. Le conseguenze sono note, e la più tragica, sul piano personale, è rievocata da Freud: la cocaina, anziché una panacea per i dolori, si era rilevata una droga ad effetto, talora, letale.

Sappiamo in quale misura Freud sia stato animato da un bisogno prepotente di integrazione sociale, e non ci sorprendiamo che qualunque dubbio sulla sua coscienziosità professionale lo turbasse profondamente. E’ evidente, attraverso il sogno, che egli non ha smaltito il senso di colpa legato all’incidente della cocaina. Non è un caso che questo senso di colpa ritorna più volte nei sogni di Freud (il sogno della monografia botanica, il sogno dello zio, il sogno della malattia di Otto). E’ come un’ombra che incombe sulla sua strenua ambizione di diventare Professore universitario.

Non posso ovviamente soffermarmi sui dettagli. E’ importante, a questo punto, preso atto del conflitto che si dà in Freud tra bisogno di integrazione sociale e bisogno di individuazione (rimanere uno spirito critico e libero), porsi due problemi.

Il primo concerne la censura, la barriera difensiva che si oppone all’affiorare dei contenuti inconsci, il secondo il lavoro onirico che trasforma quei contenuti in un geroglifico.

Se estrapoliamo le interpretazioni di Freud, e mettiamo tra parentesi il problema dell’Edipo, i contenuti censurati organizzati sotto forma di discorso in prima persona suonerebbero press’a poco così: Io non tollero che la condizione di ebreo mi impedisca di esercitare i miei diritti e sia considerato un fattore di discriminazione. Non tollero di non aver potuto dedicarmi alla ricerca universitaria per via della modesta condizione originaria. Ho l’ambizione di diventare Professore universitario perché penso di meritarlo. Non tollero, essendo altre che ambizioso anche un po’ megalomane, che qualcuno, sia pure mio amico, metta in dubbio la mia competenza e la mia scrupolosità professionale. Circostanze del genere, oltre ad aprire ferite dolorose (la storia della cocaina), ponendo in forse il futuro mio e della mia famiglia, nonché la prospettiva di diventare professore, provocano in me sentimenti vendicativi, anche nei confronti di persone amiche, che ritengo vili ma poco controllabili. So bene che il carattere provocatorio e demistificante delle mie ricerche sulla sessualità hanno suscitato reazioni indignate nell’opinione pubblica, ma sento l’esigenza di rimanere fedele a convinzioni scientifiche che, a torto o a ragione (io penso a ragione) ritengo giuste.

Se le cose stanno così, c’è da chiedersi: primo se Freud non sarebbe potuto arrivare a quelle consapevolezze per una via introspettiva più semplice; secondo, perché contenuti niente affatto sconvolgenti abbiano richiesto una censura e una deformazione così rilevanti.

Una risposta semplice al primo quesito che è che Freud avesse un’immagine positiva di sé tale da non poter in alcun modo accettare di riconoscere di essere umiliato e frustrato per la condizione di ebreo povero, di avere un sogno di riscatto sociale sotteso da un’ambizione megalomane, e di essere terribilmente arrabbiato nei confronti della società in cui desiderava integrarsi. In parte penso che sia vero, ma ancora più lo è il fatto che, avendo rinunciato a considerare il ruolo dei fattori ambientali sulla personalità, egli non poteva sfuggire all’interpretazione pulsionale, e cioè moralistica, di quei fenomeni. Di conseguenza, anziché analizzarli come dovuti ad un’interazione soggettiva e sociale con un ambiente fondato sulla disuguaglianza e sulla discriminazione, egli ha dovuto per forza attribuirne la responsabilità ad una natura umana ciecamente egoistica e protesa a raggiungere i suoi scopi di soddisfazione libidica senza alcun rispetto per gli altri, compresi gli amici e le persone care.

Freud scrive:

“L'Io, liberato da tutti i vincoli etici, si sente anche solidale con tutte le pretese della spinta sessuale, pretese che da lungo tempo sono state condannate dalla nostra educazione estetica e che contrastano con tutte le limitazioni imposte dalla morale. La tendenza al piacere - la libido, come la chiamiamo - sceglie i suoi oggetti senza inibizioni, e di preferenza proprio quelli proibiti. Non solo la donna altrui, ma soprattutto oggetti incestuosi, resi sacri dalle convenzioni umane, la madre e la sorella per l'uomo, il padre e il fratello per la donna. (Anche il sogno della nostra signora cinquantenne è incestuoso. La sua libido è rivolta inequivocabilmente nei confronti del figlio). Desideri che riteniamo estranei alla natura umana si dimostrano abbastanza forti da suscitare sogni. Anche l’odio si sfoga illimitatamente. Desideri di vendetta e di morte nei confronti delle persone più vicine, che nella vita ci sono più care, i genitori,  i fratelli e le sorelle, il coniuge, i propri figli, non sono affatto inusuali. Questi desideri censurati sembrano venir fuori da un vero inferno. Da svegli, dopo l'interpretazione, non v'è censura nei loro confronti che sembri abbastanza severa.”

Per fortuna egli aggiunge una notazione di grande interesse:

“La deformazione onirica è proporzionale a due fattori. Da un lato, diventa tanto più grande quanto più malvagio è il desiderio da censurare, dall'altro, però, anche quanto più severe sono in quel momento le esigenze della censura. Una ragazza ritrosa, educata severamente, ad esempio, deformerà perciò con censura inesorabile impulsi onirici che noi medici saremmo costretti a riconoscere come innocui e ammissibili desideri libidici, e che la stessa sognatrice giudicherà tali un decennio dopo..”

Il secondo quesito richiede un discorso che verte sui sogni dei pazienti analizzati da Freud.

Estrapolando le interpretazioni cui perviene Freud analizzando un numero rilevante di sogni, si può ben dire che la montagna partorisce un topolino. In un solo sogno affiora una motivazione non sessuale. Si tratta di un soggetto che sogna di aver falsificato la dichiarazione dei redditi per simulare di essere più ricco di quanto sia. In tutti gli altri casi, prendendo per buone le interpretazioni freudiane, talora apparentemente forzate, c’entra, direttamente o indirettamente, la sessualità. Più che una sessualità pulsionale, quella che emerge, però, è una sessualità frustrata, inibita, timorosa, vissuta all’insegna della colpa o della vergogna. Ora è la gelosia di una moglie nei confronti di un’amica che il marito sembra apprezzare, ora il rifiuto della gravidanza da parte di una giovane donna che desidererebbe continuare almeno per un po’ ad essere libera, ora la paura di un’amante di mettere incinta una donna sposata, ora il timore di un giovane per un preservativo che si rompe, ora la vergogna di una donna per il suo corpo che sta sfiorendo, ora il sogno di una candela che si piega e fa pensare all’impotenza di un partner, ora il tema del cedimento della donna a desideri erotici, ora, soprattutto da parte delle donne, la negazione moralistica dei desideri sessuali; ora, infine, il desiderio di una moglie che il marito si impicchi purché riesca ad avere un’erezione!

Lo scenario che, attraverso le interpretazioni, appare a Freud è uno scenario sostanzialmente patetico, per alcuni aspetti vittoriano, dominato dalla pruderie, dalla vergogna, dalla paura del giudizio sociale, dalla frequente impotenza degli uomini impegnati a investire le loro energie nell’etica del lavoro, dalla necessità delle donne di attenersi ad un rigido codice verginale prima del matrimonio e, dopo, al codice procreativo e materno . Uno scenario le cui valenze culturali, a posteriori, sono assolutamente evidenti. Tali valenze incidono ovviamente anche nell’educazione dei bambini e dell’adolescenza, che, tenuti in una sorta di limbo innocente, devono soddisfare la loro curiosità esplorando di soppiatto corpi adulti nudi, cedendo ai giochi con le governanti o con i coetanei, cedono alla masturbazione gravandosi di persistenti sensi di colpa. In questo scenario, Freud non vede null’altro che gli effetti di una sfrenata sessualità infantile i cui ricordi ritornano negli adulti e li tormentano.

Il problema , come si è detto, è che L’interpretazione dei sogni si articola sulla base della scoperta del complesso edipico, che Freud espone in maniera dettagliata nel capitolo 5 (Il materiale e le fonti del sogno).

Ne abbiamo già parlato, ma non sarò male soffermarsi sul caso clinico riportato poco prima dell’esposizione:

“Una […[ volta ebbi l'opportunità di osservare in modo approfondito la vita psichica inconscia di un giovane, la cui esistenza era resa quasi impossibile da una nevrosi ossessiva. Egli non poteva uscire per la strada perché era tormentato dal timore che avrebbe ucciso chiunque incontrava. Passava i giorni a preparare un alibi nel caso che lo accusassero di uno degli omicidi commessi in città. È superfluo aggiungere che era un uomo di grande moralità e cultura. L'analisi (che tra l'altro lo guarì) mostrò che la base di questa penosa ossessione era l'impulso di assassinare il padre troppo severo. Questo impulso era stato espresso coscientemente, con sua grande sorpresa, quando aveva sette anni, ma naturalmente la sua origine risaliva a tempi ancora precedenti. Dopo la dolorosa malattia e morte del padre, quando il paziente aveva trentuno anni, apparvero gli auto-rimproveri ossessivi, sotto forma di una fobia rivolta agli sconosciuti. Egli pensava che una persona capace di voler spingere il padre nel precipizio dalla cima di una montagna non avrebbe rispettato le vite di persone a lui estranee; aveva quindi ragione di rinchiudersi nella sua stanza.”

Il corsivo è mio. L’avverbio allude al fatto che sì il padre è troppo severo, ma l’odio del figlio, manifestato a sette anni, in realtà ha un’origine edipica precedente ed è di natura pulsionale non esperienziale.

Qui vediamo in azione in maniera inconfutabile l’ideologia di Freud, la tendenza a sovrapporre al materiale clinico le sue convinzioni, a gettare la croce sulla natura umana piuttosto che interrogarsi sull’interazione tra natura e cultura

Non sappiamo nulla dello svolgimento di questo caso, ma possiamo ipotizzare che la guarigione sia intervenuta perché Freud, aiutando il soggetto a prendere coscienza del complesso edipico, lo ha affrancato dai sensi di colpa gettando la responsabilità sulla pulsione rimasta fissata all’Edipo. Non sarebbe stato altrettanto efficace comunicare al paziente che nella misura in cui un padre tirannico è odioso, è lecito odiarlo e desiderarne la morte, posto che poi ci si deve impegnare a capire perché la vita lo ha reso terribilmente severo?

Nonostante Freud abbia ricusato più volte, e a ragione, la critica di interpretare tutti i sogni in termini sessuali, basta leggere l’elenco dei simboli onirici ricorrenti che egli stila ad un certo punto del libro per rendersi conto che essa non è priva di fondamento.

Le premesse sono le seguenti:

“Una volta appreso l'abbondante uso di simbolismo fatto nei sogni per rappresentare materiale sessuale, viene logico di chiedersi se gran parte di questi simboli non si ripresentino con un significato fissato stabilmente, come i simboli in stenografia; e allora si è tentati di compilare un nuovo «libro dei sogni», secondo il metodo di decifrazione.”

“Le incertezze che sono ancora collegate alla nostra attività di interpreti di sogni provengono in parte dalla nostra conoscenza incompleta, che può progressivamente migliorare con l'approfondirsi del nostro studio, e in parte da determinate caratteristiche degli stessi simboli del sogno. Essi hanno più d'uno o anche parecchi significati e l'interpretazione esatta, come per la scrittura cinese, si può ottenere solo di volta in volta dal contesto. Questa pluralità dei simboli si ricollega alla caratteristica dei sogni di ammettere più interpretazioni e di rappresentare in un unico contenuto pensieri e desideri che sono spesso di natura decisamente contrastante.”

L’elenco dei simboli sessuali è stilato in questi termini:

“L'imperatore e l'imperatrice (o il re e la regina) rappresentano davvero in genere i genitori del sognatore; e il principe o la principessa rappresenta il sognatore. Ma la stessa alta autorità, oltre che all'imperatore, è attribuita anche ai grandi uomini; per questo motivo Goethe, per esempio, appare come simbolo del padre in certi sogni.

Tutti gli oggetti allungati, come bastoni, tronchi d'albero e ombrelli (il cui aprirsi può paragonarsi all'erezione) possono rappresentare l'organo maschile, e così anche armi acute, come coltelli, pugnali e picche. Un altro simbolo frequente ma non interamente comprensibile è la lima per le unghie (forse per lo strofinare su e giù). Scatole, valige, cassette, armadi e forni rappresentano l'utero, e anche oggetti cavi, navi e recipienti di ogni genere. Le stanze nei sogni sono generalmente le donne («Frauenzimmer»); e se vengono rappresentate le varie entrate e uscite, questa interpretazione è difficilmente confutabile. Sotto questo riguardo l'interesse se la porta sia aperta o chiusa è facilmente comprensibile.

Non c'è bisogno di nominare esplicitamente la chiave che apre la stanza...

Il sogno di attraversare una serie di stanze è il sogno di un bordello o di un harem…

Gradini, scale a pioli, scale, o anche scendere e salire scale, rappresentano l'atto sessuale. (Non è difficile scoprire la base del paragone: si arriva in cima con una serie di movimenti ritmici e con crescente mancanza di fiato, poi, con pochi rapidi salti, si è di nuovo in basso. Quindi lo schema ritmico del coito si riproduce nel salire le scale. Né dobbiamo tralasciare di addurre le prove prese dagli usi linguistici: "Steigen" ("salire") si usa per indicare l'atto sessuale, di un uomo si dice "steiger" ("salitore"); in francese i gradini si dicono "marches" e "un vieux marcheur" (ha lo stesso significato di "ein alter Steiger" ("un vecchio salitore")».)

Pareti lisce sulle quali il sognatore si arrampica, facciate di case dalle quali egli scende, spesso con grande angoscia, corrispondono a corpi umani eretti e probabilmente ripetono nel sogno ricordi dell'arrampicarsi del bambino sui genitori o sulla governante. Le pareti «lisce» sono gli uomini: nel suo timore il sognatore spesso afferra le «sporgenze» della facciata della casa.

Tavole, tavole apparecchiate e assi rappresentano anche le donne, senza dubbio per antitesi, dal momento che i contorni dei loro corpi vengono eliminati dai simboli...

Per quanto riguarda gli oggetti di vestiario, un cappello da donna può essere molto spesso interpretato con certezza come un genitale, e precisamente quello maschile. Lo stesso vale per il mantello [«Mantel»] anche se in questo caso è dubbio fino a che punto l'uso del simbolo sia dovuto all'assonanza verbale.

Nei sogni degli uomini la cravatta spesso è simbolo del pene. Senza dubbio ciò non avviene solo perché sono oggetti lunghi e pendenti e caratteristici degli uomini, ma anche perché possono essere scelte secondo il gusto, libertà proibita dalla natura per l'oggetto simbolizzato. Gli uomini che si servono di questo simbolo nei sogni sono molto stravaganti nella scelta di cravatte nella vita reale e ne posseggono un'intera collezione.

È molto probabile che tutti i macchinari e gli apparati complicati che ci sono nei sogni rappresentino i genitali (in genere maschili), per la cui descrizione il simbolismo onirico è infaticabile, come il «lavoro del motto di spirito».

Né vi è alcun dubbio che tutte le armi e gli arnesi siano usati come simboli per l'organo maschile: per esempio, aratri, martelli, fucili, pistole, pugnali, sciabole, ecc.

Analogamente i panorami nei sogni, specialmente quelli con ponti o colline boscose, si possono chiaramente riconoscere come descrizioni di genitali...

I bambini nei sogni spesso rappresentano i genitali; e anzi sia gli uomini che le donne hanno l'abitudine di riferirsi ai loro genitali come ai loro «piccoli». Stekel ha ragione nel riconoscere nel «fratellino» il pene.

Giocare con un bambino, percuoterlo ecc., spesso rappresenta nel sogno la masturbazione.

Per rappresentare simbolicamente la castrazione, si serve della calvizie, del taglio dei capelli, della caduta dei denti e della decapitazione. Se uno dei comuni simboli del pene è nel sogno raddoppiato o moltiplicato, si tratta di un avvertimento di castrazione.

La presenza nel sogno di lucertole, animali la cui coda ricresce se viene tirata via, ha lo stesso significato. Molte bestie usate come simboli di genitali nella mitologia e nel folklore hanno lo stesso ruolo nei sogni: per esempio, pesci, lumache, gatti, topi (per la peluria pubica) e soprattutto il più importante dei simboli dell'organo maschile, il serpente. Animaletti e insetti rappresentano bambini piccoli, per esempio fratelli e sorelle non desiderati.

Un indizio di gravidanza è spesso l'essere tormentati da insetti.

Un simbolo piuttosto nuovo dell'organo maschile merita menzione: il dirigibile, il cui uso in questo senso è giustificato dalla connessione con il volare e, a volte, con la sua forma.”

C’è del vero, naturalmente, in questo elenco, ma la sua banalità consiste nel costringere la ricchezza del mondo simbolico entro uno schema rigido e nell’ignorare che i simboli si intrecciano con la storia sociale e con la cultura. Faccio un esempio, a caso, riguardante la cravatta.

Se si considera l’etimologia - la parola deriva dal francese cravate, derivante a sua volta dal termine croato hrvat, che vuol dire appunto "croato", in ricordo del fatto che i cavalieri croati, assoldati da Luigi XIV, portavano al collo una sciarpa - e si considera il fatto che, oltre ad essere terribilmente aggressivi, i cavalieri croati, come tutti i mercenari, regolarmente stupravano le donne, la simbologia freudiana sembra confermata. Se invece ci riconduciamo al fatto storico che ha reso la cravatta uno dei simboli della nostra civiltà, le cose stanno diversamente.

Bisogna partire da lontano. L’abbigliamento ha diversi significati, uno dei quali concerne lo status sociale. Nell’ambito della nostra civiltà, c’è stato sempre un conflitto tra la tendenza ad esibire l’appartenenza ad uno status elevato e quella ad inibire tale tendenza in nome dell’appartenenza degli esseri umani ad una specie comune o, più semplicemente, a moderare l’invidia sociale. Fin dall’epoca romana sono note leggi suntuarie che limitavano il lusso. Con l’avvento del Cristianesimo, il richiamo alla castigatezza del costume, particolarmente femminile, è divenuto costante. Leggi suntuarie punteggiano il Medioevo e sono emesse anche in pieno Rinascimento. Esse sono risultate in genere di scarsa efficacia. La tendenza delle classi nobili al lusso e allo sfarzo è risultata incoercibile dal ‘700 in poi.

Giungiamo così ad un evento storico di grande significato. Nel 1789 in Francia, alla vigilia della rivoluzione, all'apertura degli Stati generali ai borghesi viene imposto, per umiliarli, l’abito nero e la cravatta bianca per connotare il loro stato di inferiorità rispetto all'aristocrazia addobbata con estremo sfarzo. Il drammatico contrasto provocò invece l'effetto opposto, e i semplici abiti dei borghesi diventarono simbolo di pulizia morale e di nuovi ideali; l'iniqua proibizione inoltre causò l'attuazione, come primo provvedimento dell'Assemblea, dell'abolizione - almeno per il vestiario - di ogni differenza di classe.

Questo evento segna la moda ottocentesca del ceto borghese, che ha raggiunto l’autonomia e l’egemonia sociale. È soprattutto l'abbigliamento maschile che registra un significativo e radicale mutamento. Un look austero e rigoroso, con tagli semplificati, tessuti di panno robusto, e decorazioni ridotte al minimo, sostituisce il frivolo costume barocco; in tal modo vengono evidenziati la serietà del mondo del lavoro, la praticità, la prudenza, il risparmio, l'ordine. Nell’ambito di questo look la camicia e la cravatta mantengono il loro significato di distinzione: colletti bianchi borghesi vs colletti blu proletari.

Le vicissitudini più recenti sono note. Il ’68 comporta il rifiuto e la ridicolizzazione dell’uomo incravattato, che viene assunto come un manichino omologato al sistema. Con l’avvio della globalizzazione negli anni ’80, la borghesia rilancia la sua egemonia. Per politici, agenti di finanza, professionisti, ecc. la cravatta diventa obbligatoria come segno di distinzione, ma anche come segno di disciplina e capacità di sacrificio.

La cravatta, dunque, è dunque un simbolo sociale di distinzione, di ordine, di capacità di sacrificio (portarla in piena estate è veramente eroico): doti atte a giustificare, più o meno propriamente, uno status elevato, un potere sociale. Al limite, ovviamente, essa può anche essere un simbolo maschilista, di potenza sessuale.

Questa stessa metodologia di analisi dei simboli come oggetti culturali potrebbe essere estesa a tutto l’elenco fornito, sia pure con precauzione, da Freud. Essa ci porrebbe di fronte al fatto che l’inconscio, anziché essere vincolato monotematicamente alla pulsione sessuale, è indefinitamente creativo.

Al di là della creatività e della sicura ricorrenza di simboli sessuali, c’è da chiedersi se l’attività onirica non sia essa stessa strutturata da qualche conflitto di fondo.

Freud sembra avere intuito qualcosa del genere scrivendo:

“I pensieri essenziali del sogno… emergono come un complesso di pensieri e ricordi di struttura estremamente intricata, con tutti gli attributi delle catene di pensieri che partono da centri diversi, anche se hanno dei punti di contatto. Ogni catena di pensiero è quasi sempre unita al suo complemento contraddittorio, collegato da un'associazione antitetica.”

Perché le catene di pensiero onirico scorrono in parallelo tra loro sulla base dell’antitesi?

Riconduciamoci al sogno di Irma. Freud estrae dal materiale associativo ciò che gli serve a sostenere che il contenuto latente del sogno mira a soddisfare il suo desiderio di confermare la sua coscienziosità e scrupolosità professionale. Al tempo stesso, non può non prendere atto che, in quel materiale, si danno anche contenuti che lo accusano e lo fanno sentire in colpa (“È notevole il fatto che questo materiale includesse anche dei ricordi sgradevoli, che sostenevano l'accusa del mio amico Otto piuttosto che la mia discolpa.“).

E’ insomma un sogno a due voci, che contrasta con la teoria per cui l’attività onirica è orientata solo a soddisfare un desiderio. Sembra piuttosto che essa cerchi di trovare un equilibrio laddove è in azione un conflitto sotteso da logiche diverse.

Preda della logica per cui il conflitto si declina solo sul registro della contrapposizione tra principio del piacere e principio di realtà. Freud non può approfondire questo aspetto. la sua difficoltà è del tutto evidente laddove egli affronta il tema dei sogni di angoscia, che spesso hanno un evidente significato persecutorio.

Il problema gli è chiaro: «Come possono i sogni penosi e i sogni di angoscia essere soddisfazioni di desideri?» Egli lo affronta in più momenti del saggio, ma giungendo a risposte piuttosto criticabili:

“I sogni di angoscia sono sogni di contenuto sessuale, in cui la libido è stata trasformata in angoscia.”

“ C'è una componente masochista nella costituzione sessuale di molte persone, che deriva dalla trasformazione nel suo contrario della componente aggressiva, sadica. Quelli che provano piacere non nel dolore fisico inflitto loro, ma nell'umiliazione e nella tortura mentale, si possono chiamare «masochisti mentali». Si comprende subito che questo tipo di persone può fare sogni contrari a desideri e sogni spiacevoli, che tuttavia sono realizzazioni di desideri perché soddisfano le loro tendenze masochiste.”

Non mancano, al solito, intuizioni di grande portata:

“Senza dubbio una soddisfazione di desiderio deve procurare piacere; ma allora ci si deve chiedere a chi. Alla persona che ha il desiderio, naturalmente. Ma, come sappiamo, il rapporto del sognatore con i suoi desideri è piuttosto particolare. Egli li rifiuta e li censura, in breve non gli piacciono. Quindi la loro realizzazione non gli procurerà piacere, ma proprio il contrario; e l'esperienza mostra che questo contrario appare sotto forma di angoscia, un fatto che si deve ancora spiegare. Quindi il sognatore in rapporto ai suoi desideri onirici si può solo paragonare all'unione di due persone legate da alcuni importanti elementi comuni.”

“Nei sogni di punizione il desiderio, anche se è ugualmente inconscio, non appartiene al materiale represso ma all'«Io». Quindi i sogni di punizione indicano la possibilità che l'Io abbia una partecipazione più ampia di quella presunta nella formazione dei sogni.”

Questa intuizione è un’anticipazione della scoperta del Super-io, della quale parleremo ulteriormente.

Il lavoro onirico e le intuizioni freudiane

Ora dobbiamo approfondire un altro aspetto. Se si prescinde dall’ipotesi pulsionale, i contenuti latenti onirici sono piuttosto banali. La censura che si esercita su di essi fa riferimento all’immagine che l’Io vuole mantenere di se stesso, che, in parte si può ricondurre ad esigenze narcisistiche ma in gran parte mette in luce l’influenza della cultura sul rapporto tra coscienza e inconscio umano.

In un’ottica moderna, gran parte del lavoro analitico consiste nell’umanizzare e nel permettere alla coscienza di integrare contenuti psichici distorti o alienati dalla cultura.

Ciò detto, è inconfutabilmente vero che, al di là delle interpretazioni, esplorando l’inconscio dei suoi pazienti, Freud si è trovato di fronte ad un’attività mentale inconscia le cui caratteristiche sono per molti aspetti del tutto diverse dall’attività cosciente: un’attività mentale indefinitamente ridondante, che utilizza per un verso tutto il patrimonio psichico di memorie depositate a livello inconscio, crea di continuo nessi tra il passato e il presente, utilizza complessi simbolismi e adotta logiche del tutto diverse da quelle che vigono a livello cosciente.

Attraverso l’analisi dei sogni, Freud scopre che l’esigenza espressiva dell’inconscio e la censura della coscienza giocano a rimpiattino.

L’interazione tra le due dimensioni è riconducibile a quello che Freud definisce il lavoro onirico.

Egli scrive:

“I pensieri del sogno ed il contenuto del sogno ci si presentano come due versioni dello stesso contenuto in due lingue diverse. O, più propriamente, il contenuto del sogno sembra una trascrizione dei pensieri del sogno in un altro sistema di espressione, di cui spetta a noi scoprire i caratteri e le regole sintattiche, confrontando l'originale e la traduzione. I pensieri del sogno diventano immediatamente comprensibili, appena li abbiamo scoperti. Il contenuto del sogno è invece espresso in una specie di geroglifico, i cui segni devono essere tradotti singolarmente nella lingua dei pensieri del sogno. Se cercassimo di leggere questi segni secondo il loro valore raffigurativo, e non secondo il loro rapporto simbolico, saremmo certamente indotti in errore.”

Il sogno è il frutto di una deformazione dovuta in gran parte all’attività di censura che la coscienza esercita sull’inconscio.

Il geroglifico onirico è dovuto a tre meccanismi che concorrono alla costruzione dei sogni, e denotano una logica inconscia molto diversa da quella cosciente.

Il primo meccanismo è la condensazione:

“La prima cosa che diventa evidente a chiunque metta a confronto il contenuto del sogno con i pensieri del sogno è l'esistenza di un lavoro di condensazione di grande portata. I sogni sono brevi, miseri e laconici in confronto all'estensione e all'abbondanza dei pensieri del sogno. Un sogno scritto riempirà forse mezza pagina, l'analisi che ricerca i pensieri latenti può prendere uno spazio sei, otto o dieci volte maggiore.”

Nell’Introduzione allo studio della psicoanalisi, Freud aggiunge:

“La condensazione si compie: 1) mediante l'omissione assoluta di certi elementi latenti; 2) mediante la trasposizione di alcuni complessi del sogno latente in un unico frammento nel sogno manifesto; 3) mediante la combinazione e la fusione nel sogno manifesto di elementi latenti che hanno qualcosa in comune.Se volete, potete riservare il termine "condensazione" soltanto a quest'ultimo processo, i cui effetti sono particolarmente evidenti…

Per quanto riguarda il rapporto tra il sogno latente e quello manifesto, la condensazione ha come conseguenza di non lasciare sussistere relazioni semplici fra gli elementi dell'uno e dell'altro. Un elemento manifesto corrisponde contemporaneamente a molti elementi latenti, e all'inverso un elemento latente può concorrere alla formazione di molti elementi manifesti, in una specie di corrispondenza incrociata.”

Il secondo meccanismo è lo spostamento:

“Gli elementi che risaltano come principali costituenti del contenuto manifesto del sogno non hanno affatto lo stesso ruolo nei pensieri del sogno. E come corollario, si può asserire l'inverso di questa affermazione: ciò che costituisce chiaramente l'assenza dei pensieri del sogno non ha nessuna necessità di essere rappresentato nel sogno. In un certo senso il sogno è centrato diversamente dai pensieri onirici, il suo contenuto ha diversi elementi nel suo punto centrale.”

Nell’Introduzione allo studio della psicanalisi, Freud specifica:

“Le sue due manifestazioni sono: primo, il fatto che un elemento latente non viene sostituito da una sua propria componente, ma da qualcosa dì più lontano, da un'allusione; e secondo, che l'accento psichico passa da un elemento importante a un altro irrilevante, sicché il sogno appare strano e centrato su un punto diverso.”

Il terzo meccanismo “consiste nella trasposizione di pensieri in immagini visive. Teniamo presente che nei pensieri onirici non tutto subisce tale trasformazione; qualcosa conserva la sua forma e compare anche nel sogno manifesto come pensiero o conoscenza. Inoltre, le immagini visive non sono l'unica forma in cui i pensieri vengono trasposti. Ma esse sono comunque l'essenziale della formazione onirica.”

Dal lavorio onirico risulta, come accennato, che:

“I pensieri essenziali del sogno… emergono come un complesso di pensieri e ricordi di struttura estremamente intricata, con tutti gli attributi delle catene di pensieri che partono da centri diversi, anche se hanno dei punti di contatto. Ogni catena di pensiero è quasi sempre unita al suo complemento contraddittorio, collegato da un'associazione antitetica.

Le diverse parti di questa complicata struttura sono naturalmente nei più multiformi rapporti logici tra loro. Possono rappresentare il primo piano e lo sfondo, digressioni e illustrazioni, condizioni, serie di dimostrazioni e obiezioni. Quando tutta questa massa di pensieri del sogno viene messa sotto pressione dal lavoro onirico e i suoi elementi vengono rivoltati, rotti in pezzi e compressi tutti insieme, quasi come pezzi di ghiaccio, ci si domanda che cosa avvenga dei legami logici che fino a quel momento ne avevano costituito la cornice. Come rappresentano i sogni i vari «se, perché, come se, anche se, o - o» e tutte le altre congiunzioni, senza le quali non riusciamo a comprendere frasi e discorsi?

In primo luogo dobbiamo rispondere che i sogni non hanno a loro disposizione i mezzi per rappresentare queste relazioni logiche tra i pensieri del sogno. Per la maggior parte dei casi essi non prendono in considerazione tutte queste congiunzioni, ma si impadroniscono solo del contenuto sostanziale dei pensieri del sogno e lo elaborano. Ricreare i nessi che distrugge è un compito che tocca al processo interpretativo.

L'incapacità dei sogni di esprimere queste cose deve trovarsi nella natura del materiale psichico che li forma. Le arti plastiche, pittura e scultura, operano davvero con gli stessi limiti in confronto alla poesia, che si può servire del discorso; e anche qui la ragione della loro incapacità si trova nella natura del materiale che queste due forme di arte elaborano nel loro sforzo di esprimere qualcosa.”

L’incessante pressione espressiva dell’inconscio porta Freud a pensare che:

«L'inconscio è la vera realtà psichica; nella sua intima essenza ci è sconosciuto quanto la realtà del mondo esterno, e la coscienza ce lo presenta in modo così incompleto come i nostri organi sensori ci comunicano il mondo esterno»

Una conclusione importante cui giunge Freud è la seguente:

«Queste considerazioni possono farci credere che dall'interpretazione dei sogni potremo trarre conclusioni riguardo la struttura del nostro apparato mentale, che abbiamo cercato invano nella filosofia».

Analizzeremo ulteriormente quali conclusioni strutturali possono essere adeguate alla scoperta freudiana dell’inconscio.

Per ora, si può fare una considerazione di ordine generale. Nonostante la censura, l’inconscio sembra dotato di un’indefinita creatività. Freud sembra essere consapevole di questo aspetto laddove scrive:

“Il primo lettore e critico di questo libro - e probabilmente i suoi successori seguiranno il suo esempio - ha obiettato che «il sognatore sembra troppo ingegnoso e divertente». Questo è del tutto esatto finché si riferisce solo al sognatore; sarebbe confutabile solo se si riferisse anche all'interprete dei sogni… I sogni diventano ingegnosi e divertenti perché trovano ostruita la via più diretta e semplice di espressione dei loro pensieri; essi sono costretti a diventare tali.”

In rapporto alla sottigliezza, con aspetti francamente creativi, che l’inconscio manifesta attraverso il lavoro onirico, la spiegazione di Freud è mediocre. E’ possibile che potenzialità a tal punto rilevanti da suggerire immediatamente un parallelismo con i processi creativi intesi in senso stretto (letteratura, arte figurativa, ecc.) siano deputati solo a fare affiorare ricordi e contenuti pulsionali nonostante la censura?

In un soprassalto di modestia, Freud scrive:

“Non si deve […] sopravvalutare il lavoro onirico, attribuendogli potenzialità eccessive. La sua attività si esaurisce nelle operazioni che abbiamo menzionato; più che condensare, spostare, raffigurare plasticamente e sottoporre poi il tutto a un'elaborazione secondaria, il sogno non può fare…”

Condensare, spostare, raffigurare plasticamente lasciano pensare che l’inconscio sia animato da un’esigenza espressiva e creativa infinitamente ridondante che viene letteralmente soffocata dai meccanismi di difesa.

Occorre dunque interessarsi di questi prima di procedere nell’analisi dello sviluppo del pensiero freudiano.

I meccanismi difensivi e lo statuto mistificato della coscienza

La scoperta della rimozione, vale a dire di un meccanismo difensivo in virtù del quale l’io riesce a mantenere stabilmente al di fuori del campo della coscienza una o più idee incompatibili con l’immagine che intende avere di sé o con la cultura dell’ambiente cui appartiene, è precoce nel tragitto di ricerca avviato da Freud. Essa viene immediatamente identificata nei soggetti isterici associata al meccanismo di conversione, in conseguenza del quale contenuti psichici si esprimono alterando le funzioni del corpo, somatizzandosi.

Successivamente, Freud identifica altri meccanismi difensivi: la proiezione, la regressione, la formazione reattiva, l’isolamento, l’annullamento retroattivo, l’introiezione, la riflessione sulla propria persona, la conversione nell’opposto, la sublimazione, la scissione dell’Io.

In Inibizione, sintomo e angoscia (1926), egli ripristina il “vecchio concetto di difesa”, facendo riferimento ai vari meccanismi di difesa che ha scoperto nel corso del tempo e accennando alla possibilità di stabilire “un intimo legame tra forme particolari di difesa e determinate affezioni.”

Il proposito non giunge mai a buon fine, anche se la conversione sembra associata costantemente all’isteria, l’isolamento alla nevrosi ossessiva e la proiezione al delirio paranoico.

Qui ovviamente non interessa entrare nel merito di un’analisi dettagliata dei meccanismi di difesa, né tantomeno tenere conto di quelli che si sono aggiunti all’originaria lista freudiana nel corso dello sviluppo della psicoanalisi (la negazione mediante il fantasma, l’idealizzazione, l’identificazione con l’aggressore, ecc.). Se ne può trovare una descrizione canonica in Nilalienum (Meccanismi difensivi).

Ciò che importa, piuttosto, sono due aspetti.

Il primo è che Freud ha precocemente identificato, nei soggetti isterici, la scissione dinamica dell’Io tale da comportare l’oscillazione tra stati di coscienza del tutto differenziati, l’uno normale, l’altro patologico (crepuscolare o addirittura delirante). Successivamente, però, egli utilizza solo saltuariamente e senza farne uno strumento concettuale il termine di scissione dell’Io (Spaltung), che finisce per applicare quasi solo alle psicosi.

Ciò è sorprendente se si tiene conto che l'esistenza in seno ad uno stesso soggetto di “...due atteggiamenti psichici diversi, contrari e indipendenti l'uno dall'altro” è alla base stessa della teoria psicanalitica della persona.

Non è difficile però spiegarlo. Allorché Freud scopre la scissione dell’Io nei soggetti isterici, che definisce la coesistenza in seno allo psichismo di due gruppi di fenomeni, anzi di due personalità che possono ignorarsi reciprocamente, egli non ha ancora formulato alcuna teoria dell’apparato mentale. Via via che la formula, facendo riferimento al conflitto tra le pulsioni, che rappresentano la natura umana, e l’Io, che si definisce attraverso l’interazione con un ambiente sociale esterno che lo obbliga a contenere e reprimere le pulsioni stesse, il concetto di scissione dell’Io diventa inutilizzabile. Freud, in pratica, non può più ammettere l’esistenza di due sistemi psichici separati, di due personalità, ma solo l’esistenza di un Io che accetta il principio di realtà e di un inconscio pulsionale che preme per soddisfare i suoi desideri in opposizione con esso.

La rinuncia di Freud a valorizzare il concetto di scissione dell’io è uno dei sacrifici più gravi che egli ha operato sull’altare della teoria delle pulsioni. Come vedremo nella prossima conferenza, egli cercherà di recuperarlo ammettendo l’esistenza di tre sistemi (L’Es, L’Io e il Super-io), ma anche in questa nuova ottica la matrice del conflitto è riconducibile all’opposizione irriducibile tra l’Es, che veicola le pulsioni, e il Super-io, che tenta di far valere i valori minimali necessari perché l’io si comporti in maniera conforme alle esigenze del vivere in società.

C’è un’altra possibilità di recuperare il concetto di scissione dell’Io, che consiste nell’ipotizzare che esso si edifichi sulla base di due bisogni e di due logiche diverse che fanno riferimento rispettivamente ai doveri sociali e ai diritti individuali. In questa ottica, che approfondiremo successivamente, dato che non si dà mai una coincidenza tra le due logiche, la scissione dell’Io diventa costitutiva di ogni soggettività umana, onnipresente, per quanto non irrimediabile.

Il secondo aspetto è complementare al primo. Se è vero ciò che si è appena detto, i meccanismi di difesa, che mirano a tenere l’Io al riparo dalla scissione dinamica delle due logiche sulle quali esso si edifica, non sono presenti esclusivamente in soggetti affetti da disturbi psichici, bensì agiscono in una certa misura all’interno di ogni soggettività; sono insomma costitutivi del rapporto costante che l’Io intrattiene con l’inconscio.

Ciò pone il problema di capire perché diano luogo a conseguenze apparentemente del tutto diverse, dalla normalità alla patologia.

La risposta freudiana è nota. I meccanismi difensivi servono a mantenere l’Io al riparo dal contatto con ricordi, pensieri, fantasie, emozioni sgradevoli, che non solo comprometterebbero l’immagine che egli ha di sé, ma soprattutto lo porrebbero di fronte a quanto di primitivo, barbarico e pulsionale si dà nel suo intimo in termini di sessualità o di aggressività. Essi dunque risultano più attivi nei soggetti nei quali l’Es è più barbarico e primitivo.

Per valutare la pertinenza di questa risposta, prendiamo in considerazione alcuni riferimenti clinici freudiani, tratti da Ossessioni e fobie (1896):

“CASO 1. Una ragazza si rimproverava per cose che sapeva assurde: aver rubato, aver coniato monete false, essere coinvolta in un complotto, ecc., a seconda di quel che le capitava di aver letto nel corso della giornata.

Ricostruzione dell'idea sostituita: si rimproverava per la masturbazione che praticava in segreto senza riuscire a smettere.

CASO 2. Un giovanotto, studente di medicina, soffriva di un'ossessione consimile. Egli si rimproverava ogni sorta di atti immorali: aver ucciso il cugino, aver violentato la sorella, aver appiccato il fuoco a una casa, ecc. Arrivò al punto di doversi voltare indietro per strada per vedere se avesse ucciso l'ultimo passante.

Ricostruzione: era stato fortemente colpito dall'aver letto in un libro di medicina che la masturbazione, che egli soleva praticare, distruggeva la morale dell'individuo.

CASO 3. Diverse donne si lamentavano di un impulso ossessivo a buttarsi dalla finestra, a colpire i figlioli con coltelli, forbici, ecc.

Ricostruzione: ossessioni basate su tentazioni tipiche. Si trattava di donne che, non essendo affatto soddisfatte del loro matrimonio, erano costrette a lottare con i desideri e le idee voluttuose da cui erano continuamente turbate alla vista di altri uomini.

CASO 11. Misofobia 3 - Una donna si lavava continuamente le mani e toccava le maniglie delle porte soltanto con il gomito.

Ricostruzione: è il caso di Lady Macbeth. Il lavarsi le mani è simbolico, inteso com'è a sostituire la purezza morale, della cui perdita ella si doleva, con la purezza fisica. Ella si tormentava con il rimorso di un'infedeltà coniugale, il ricordo della quale aveva deciso di bandire dalla mente. Inoltre soleva lavarsi i genitali.”

C’è un’evidente sproporzione tra le cause e gli effetti, i vissuti e i sintomi drammatici. Si può interpretare questa sproporzione facendo riferimento al fatto che sono proprio le difese a produrla, impedendo all’io di dare un senso umano a comportamenti e desideri tutt’altro che gravi? No, perché le difese tengono l’io al riparo da un’angoscia di colpa che, se fosse vissuta coscientemente, produrrebbe effetti peggiori.

Si può pensare, in alternativa, a soggetti particolarmente scrupolosi sotto il profilo morale. ma la scrupolosità - vale a dire il calarsi nei panni di persone integerrime - all’epoca era culturalmente programmata ed era il distintivo dell’appartenenza borghese (con le ovvie e note contraddizioni tra vizi privati e pubbliche virtù).

Riesce chiaro che in tutti questi casi e in numerosissimi altri che Freud analizza, la matrice della colpa non è l’intensità delle pulsioni ma l’interiorizzazione di valori culturali la cui rigidità rende letteralmente “mostruosi” comportamenti e desideri del tutto comprensibili e niente affatto gravi sotto il profilo morale.

Se questo è vero, se ne può trarre una conclusione univoca. Posto che l’io si struttura sulla base dell’interiorizzazione della cultura dell’ambiente con cui interagisce e che la sua immagine sociale è definita normale nella misura in cui essa sembra conforme a regole e divieti socialmente prescritti, i meccanismi di difesa servono non già a tenere il soggetto al riparo dalla violenza selvaggia delle pulsioni, bensì a mantenere l’immagine dell’io il più possibile “normalizzata”, fedele a quelle regole e a quei divieti e incline a colpevolizzarsi laddove sopravvengono pensieri, fantasie ed emozioni che implicano una trasgressione.

In rapporto al mondo culturale che Freud ha esplorato, penso che questa conclusione risulti ovvia. Intanto però, essa non è risultata ovvia per Freud e non risulta ovvia ancora oggi a parecchi suoi eredi ortodossi. Ma c’è qualcosa di più importante.

Nella misura in cui Freud intravede nei meccanismi di difesa un eccesso di civilizzazione morale in rapporto a pulsioni che, in qualche misura, devono essere riconosciute ed espresse, e quindi una ulteriore prova dell’interazione tra natura e cultura, egli senza rendersene conto, dà ad essi un significato locale e contingente, legato al suo contesto storico. E’ questo il motivo per cui alcune persone, leggendo le opere di Freud, sorridono e affermano che i drammi che egli ha analizzato non possono più accadere.

In realtà, i meccanismi di difesa si possono ritenere universali, e costantemente attivi nel mantenere l’io al riparo da contenuti che scorrono a livello inconscio incompatibili con i codici di normalizzazione propri del contesto in cui vive. Essi, in breve, non sono funzionari della civiltà, ma della cultura, e di una cultura storicamente determinata. Cambia la cultura e cambiano i meccanismi difensivi.

Quante persone, nel nostro mondo, si vergognano e reprimono una sensibilità empatica ritenuta, oltre che vergognosa, disfunzionale in un mondo nel quale domina la legge del più forte?

L’importanza di questo aspetto è difficile da minimizzare. Esso attesta che, in qualunque contesto sociale, l’esigenza primaria dell’io è di essere riconosciuto come normale, e che tale esigenza si realizza con estrema facilità perché le persone adottano con estrema naturalezza tutta una serie di meccanismi difensivi che consentono loro di omologarsi e di essere confermati dagli altri.

Che cosa accade, invece, in coloro che manifestano dei sintomi psicopatologici? Perché in essi i meccanismi difensivi, pure attivi, non funzionano?

Che essi siano dotati di un corredo pulsionale più intenso in rapporto alla media delle persone sembra poco o punto condivisibile.

Se non è in gioco un corredo pulsionale, l’unica alternativa è che le esigenze espressive dell’inconscio sormontano le difese perché fanno capo alla necessità che l’io integri aspetti profondi del suo essere di particolare importanza.

Di cosa si tratta lo vedremo ulteriormente.