Il caso dell'uomo dei lupi

Dalla storia di una nevrosi infantile

 1918 (1914)

1. Osservazioni preliminari

Il caso1 che intendo descrivere nelle pagine seguenti (sempre in maniera sommaria), si distingue per diverse caratteristiche particolari sulle quali mi dovrò soffermare prima di passare all'esposizione dei fatti. È la storia di un giovane la cui salute subì un tracollo all'età di diciotto anni, dopo un'infezione blenorragica, e che, quando cominciò il trattamento psicoanalitico, parecchi anni dopo, era assolutamente incapace di badare a se stesso per cui era costretto a dipendere in tutto e per tutto dagli altri. Nei dieci anni precedenti l'infezione aveva condotto una vita praticamente normale, superando senza troppe difficoltà le scuole medie. Invece, i primi anni di vita erano stati turbati da una grave affezione nevrotica, che si era instaurata sotto forma di isteria d'angoscia (fobia per gli animali), poco prima che compisse i quattro anni, e si era poi trasformata in una nevrosi ossessiva a contenuto religioso che perdurò, con i suoi strascichi, fino all'ottavo anno.

Qui parlerò soltanto della nevrosi infantile. Sebbene il paziente me lo abbia chiesto direttamente, mi sono astenuto dallo scrivere una storia completa della malattia, della terapia e della guarigione, in quanto trovavo questa incombenza tecnicamente irrealizzabile e socialmente inammissibile. Questo mi toglie la possibilità di provare l'esistenza di un rapporto tra la malattia dell'infanzia e quella più tarda e permanente. Di questa dirò soltanto poche cose: il paziente rimase a lungo ricoverato, per questa seconda malattia, in alcune case di cura tedesche e, in quel periodo, le massime autorità gli fecero una diagnosi di «psicosi maniaco-depressiva». Questa diagnosi era certamente valida per il padre del nostro paziente, la cui esistenza, così ricca di attività e di interessi, è stata più volte turbata da accessi di depressione grave. Invece, nel figlio io non sono mai riuscito, con osservazioni durate molti anni, a riscontrare alcun mutamento di umore che non fosse proporzionato, per intensità o per le circostanze in cui si manifestava, alla sua situazione psichica. Perciò sono dell'opinione che questo caso, analogamente a molti altri cui la psichiatria clinica ha imposto l'etichetta di diagnosi oltremodo svariate e ambigue, debba essere considerato come uno stato conseguente a una nevrosi ossessiva che si è conclusa spontaneamente lasciando, però, dopo la guarigione, una minorazione permanente.

Dunque la mia descrizione si occupa di una nevrosi infantile analizzata non al tempo in cui era in atto, bensì quindici anni dopo. Questa situazione presenta sia dei vantaggi che degli svantaggi. S'intende che un'analisi condotta su un bambino nevrotico risulterà più attendibile, ma non potrà raccogliere un materiale molto abbondante; si è costretti a suggerire al piccolo troppe parole e troppi pensieri, eppure, con tutto ciò, gli strati più profondi possono rimanere impenetrabili per la coscienza. Queste limitazioni non sussistono se l'analisi di una turba psichica infantile sia condotta per mezzo dei ricordi di un adulto intellettualmente maturo. Occorre, però, tener conto delle deformazioni e dei rimaneggiamenti subiti da questi ricordi quando un individuo li rievoca dal passato dopo un lungo intervallo di anni. I risultati offerti dalla prima possibilità sono forse più convincenti, ma quelli della seconda sono i più istruttivi.

In ogni modo si deve ammettere che l'analisi delle nevrosi infantili ha un particolare interesse teorico, perché, grosso modo, ci è utile per un'esatta comprensione delle nevrosi degli adulti, così come i sogni dei fanciulli ci servono a capire quelli dei grandi. Non che l'analisi di un bambino sia più chiara e più semplice nei suoi elementi: in realtà, la difficoltà di penetrare la vita psichica di un fanciullo mette a ben dura prova le capacità del medico. Ma, in tutti i modi, nel bambino mancano le stratificazioni successive, per cui l'essenza della nevrosi balza all'occhio con assoluta chiarezza. Come è noto, nella fase attuale del conflitto che divampa intorno alla psicoanalisi, l'opposizione alle sue scoperte ha assunto una nuova forma. Prima ci si accontentava di mettere in dubbio l'autenticità dei fatti esposti dalla psicoanalisi, e il modo migliore per farlo consisteva nell'evitare di prenderli in considerazione. Ma è evidente che questo sistema si sta esaurendo a poco a poco, per cui adesso si ricorre a una tecnica differente: si ammettono i fatti, ma le conseguenze di questi fatti vengono annullate con interpretazioni distorte. In tal maniera i critici riescono a scongiurare i pericoli di queste sgradite novità con la stessa efficacia di sempre. Lo studio delle nevrosi infantili mette a nudo l'assoluta insufficienza di questi tentativi, superficiali e arbitrari, di reinterpretazione. Tale studio dimostra quanto sia importante, nella genesi delle nevrosi, il ruolo di quelle forze motrici libidiche tanto potentemente rifiutate, e rivela la mancanza di qualsiasi aspirazione verso remoti obiettivi culturali, di cui il bambino non sa ancora nulla, e che, perciò, non possono aver alcun significato per lui.

L'analisi del caso presente è degna di nota anche per la gravità della malattia e la durata della cura. Le analisi giunte in breve a una felice conclusione giovano ad accrescere l'apprezzamento che il terapeuta ha di se stesso e consolidano l'importanza terapeutica della psicoanalisi, ma, per lo più, sono insignificanti ai fini del progresso delle conoscenze scientifiche. Esse non ci insegnano nulla. Infatti, se la loro riuscita è così rapida, vuol dire che già si conosceva tutto quello che occorreva per portarle a buon fine. Solo le analisi che offrono delle difficoltà ci fanno apprendere cose nuove e, in questi casi, per portarle a compimento, ci vuole parecchio tempo. In questi casi soltanto riusciamo a penetrare negli strati più profondi e primitivi dello sviluppo psichico e, di conseguenza, perveniamo alla soluzione dei problemi posti dalle formazioni più recenti. A dire il vero, solo analisi spinte così in fondo ci danno la sensazione di meritare questo nome. È naturale che un caso isolato non ci fornisce tutte le conoscenze che desidereremmo acquisire, o, meglio, sarà più esatto dire che anch'esso ci rivelerebbe tutto, a patto che fossimo in grado di mettere tutto in evidenza, ma la scarsa esperienza delle nostre capacità intuitive ci obbliga a contentarci di poco.

Quanto ad abbondanza di difficoltà feconde, il caso che qui ci interessa non lasciava certo a desiderare. I primi anni di cura ottennero scarsissimi risultati. Ciononostante, una serie di fortunate circostanze esterne ci consentì di proseguire nell'esperimento terapeutico. Sono certo che, in condizioni meno favorevoli, il trattamento sarebbe stato interrotto dopo poco. Per quanto riguarda il medico, posso dire soltanto che, in casi come questi, si dovrà comportare come l'Inconscio, cioè «fuori dal tempo», altrimenti non imparerà nulla, non approderà a nulla. E, alla fine, il successo gli arriderà, purché abbia la forza di mettere da parte qualsiasi miope ambizione terapeutica. Non si creda che siano molti i casi in cui ci si può aspettare di ottenere dal malato e dai suoi familiari tutta la pazienza, l'arrendevolezza, lo spirito di comprensione e la fiducia necessari. L'analista può tuttavia a buon diritto sperare che i risultati di un lavoro talmente prolungato gli saranno di valido aiuto per abbreviare la durata della cura di un nuovo caso altrettanto grave, e che, adattandosi per una volta a questa «atemporalità» dell'inconscio, si avvicinerà ulteriormente alla meta finale che consiste nel superarla.

Il paziente in esame si trincerò a lungo, e in maniera inespugnabile, dietro un atteggiamento di cortese apatia. Ascoltava, capiva, ma rimaneva impenetrabile. La sua ineccepibile intelligenza era, in effetti, completamente distaccata dalle energie istintuali che ne regolavano il comportamento nei pochissimi rapporti sociali che ancora manteneva. Ci volle una lunga preparazione prima che si decidesse ad assumere un ruolo indipendente nel comune lavoro analitico, ma quando, in conseguenza di questo sforzo, egli ebbe tratto dalla cura le prime sensazioni di sollievo, smise subito di collaborare per evitare nuovi mutamenti e permanere comodamente nella condizione che si era venuta a stabilire. Rifuggiva talmente dal condurre una vita indipendente, che riusciva a sopportare tutte le sofferenze impostegli dalla malattia. Per superare questa resistenza non c'era che un modo. Dovetti aspettare finché il suo attaccamento alla mia persona non fu abbastanza intenso da controbilanciare la sua ritrosia, e allora contrapposi questi due fattori. Stabilii (non prima, però, di aver giudicato, da chiari segni, che il momento era opportuno) di interrompere la cura in una data prefissata, prescindendo dai risultati che si fossero conseguiti. Ero ben deciso a rispettare questo termine e, finalmente, il paziente si convinse che dicevo sul serio. Sotto l'urgenza inesorabile di questo limite prefissato, la resistenza e l'attaccamento alla malattia crollarono e il paziente, in un tempo sproporzionatamente breve, rivelò, attraverso l'analisi, tutto il materiale necessario ad eliminare le inibizioni e i sintomi. Anche tutte le notizie, che mi hanno permesso di comprendere la sua nevrosi infantile, furono captate in quest'ultima fase del lavoro, durante la quale la resistenza scomparve temporaneamente e il malato dette un'impressione di lucidità quale, di solito, non si può ottenere se non con l'ipnosi.

Dunque, lo svolgimento di questo trattamento conferma una massima la cui validità per la tecnica analitica è stata riconosciuta da molto tempo. La lunghezza del cammino che l'analisi deve compiere insieme al paziente e la mole del materiale che deve essere trattato durante il lavoro non hanno alcuna importanza se messi a confronto con la resistenza che si incontra nel corso del lavoro o hanno importanza solo in quanto sono necessariamente proporzionali alla resistenza. È una situazione analoga a quella che si verifica oggi quando un'armata nemica impiega settimane e mesi ad attraversare un tratto di paese che, in tempo di pace, un diretto attraversa in poche ore e che, solo poco prima, l'esercito difensore aveva attraversato in pochi giorni.

L'analisi che intendo descrivere aveva anche una terza caratteristica che mi rese molto incerto prima di decidere se era il caso di pubblicarla. Infatti i suoi risultati, in complesso, coincidevano nel modo più soddisfacente con le conoscenze di cui già disponevamo oppure potevano essere loro incorporate. Però molti particolari mi sono apparsi talmente straordinari o incredibili che non avevo il coraggio di chiedere agli altri di prestarvi fede. Allora pretesi dal paziente che sottoponesse i suoi ricordi alla più severa delle critiche, ma egli non trovò nulla di improbabile nelle sue affermazioni e le mantenne. In tutti i modi i lettori sappiano che quanto riferirò è tratto da quello che ho udito, senza che io vi abbia apportato alcuna modificazione con la mia influenza. Dunque non mi rimaneva che tener presente il saggio detto che vi sono più cose in cielo e in terra che nei sogni della nostra filosofia2. E di queste cose riuscirebbe certo a scoprirne molte di più chi fosse in grado di sbarazzarsi integralmente dei suoi pregiudizi.

2. Esame generale dell'ambiente in cui viveva il paziente e della sua storia

Non mi è possibile dare un resoconto puramente storico o puramente tematico della storia del mio paziente; non posso scrivere la sola storia del trattamento o solo quella della malattia, ma mi vedo costretto a combinare insieme le due metodiche. Si sa bene che non esiste alcun modo per conferire al resoconto di un'analisi quella forza di persuasione che scaturisce direttamente dall'analisi stessa. Riportare parola per parola i protocolli delle sedute non sarebbe di alcun aiuto e, in ogni modo, la tecnica stessa del trattamento non permette di fare queste registrazioni. Dunque, analisi come questa non sono pubblicate allo scopo di convincere quegli spiriti che hanno assunto un atteggiamento scettico o di ripulsa. Noi vogliamo soltanto presentare qualche fatto nuovo a quei ricercatori che si sono già formati una convinzione in base alla loro esperienza clinica.

Comincerò dunque, col dare un quadro del mondo che lo circondava da bambino, riferendo quanto, della storia della sua infanzia, potè essere appreso senza forzature. Infatti, in parecchi anni di cura non fu possibile rendere quella storia né più chiara, né più completa.

I genitori si erano sposati giovani e conducevano ancora una felice vita coniugale che cominciava però a essere rattristata dalla cattiva salute. La madre fu colpita da disturbi addominali e il padre dai primi attacchi di depressione, che gli imponevano di assentarsi da casa. Ovviamente il paziente comprese che il padre era ammalato solo dopo molto tempo, mentre si era accorto fin dalla prima infanzia della malferma salute della madre, a causa della quale si occupava piuttosto poco dei figli. Un giorno, certo prima che avesse quattro anni, mentre andava per mano alla madre che accompagnava il medico alla stazione, la udì lamentarsi delle sue condizioni. Quelle parole gli fecero una grande impressione e più tardi le applicò a se stesso.

Non era figlio unico: aveva una sorella di due anni più grande, vivace, intelligente e precocemente maliziosa, che doveva avere un'importante influenza sulla sua vita.

Fino a quando la sua memoria poteva risalire, era stato affidato alle cure di una bambinaia, un'anziana contadina ignorante, che nutriva per lui un inesauribile affetto e per la quale il bambino rappresentava un sostituto del figlio mortole in tenera età. La famiglia viveva in un possedimento di campagna; d'estate si trasferivano in un'altra proprietà. Le due proprietà non erano molto distanti da una grande città. Un improvviso mutamento della sua vita di bambino fu rappresentato dalla vendita delle proprietà e dal trasferimento in città. Quando erano ancora in campagna venivano a far loro visita, per lunghi periodi, parenti prossimi, quali i fratelli del padre, le sorelle della madre coi loro figli, i nonni materni. In estate i genitori solevano partire per qualche settimana. In un ricordo di copertura egli vedeva se stesso in compagnia della bambinaia mentre guardavano la carrozza che si allontanava con il padre, la madre e la sorella; poi rientravano tranquillamente in casa. Doveva essere ancora molto piccolo3. L'estate dopo, la sorella rimase a casa e fu assunta un'istitu-trice inglese, alla quale era affidata la cura dei bambini.

Negli anni seguenti gli erano state raccontate tante storie relative alla sua infanzia4. Inoltre ricordava spontaneamente tante cose, ma, naturalmente, non era ben orientato sulle date e sui fatti. Una di queste tradizioni familiari, che era stata ripetuta innumerevoli volte alla sua presenza durante il suo stato di malattia, ci propone il problema di cui dovremo occuparci. Sembra che nei primi tempi fosse stato un bambino di ottima indole, docile, persino tranquillo, tanto che in famiglia avevano l'abitudine di dire che lui avrebbe dovuto essere la femmina e la sorella maggiore avrebbe dovuto essere il maschio. Però una volta, i genitori, al ritorno dalle vacanze estive, l'avevano trovato trasformato. Era diventato scontento, irritabile e violento; si offendeva per un nonnulla e allora era colto da accessi di rabbia e urlava come un selvaggio, tanto che, siccome questa condizione non accennava a cessare, i genitori temettero che non sarebbe stato possibile mandarlo a scuola. Questi fatti avvennero durante l'estate passata con l'istitutrice inglese che si rivelò eccentrica e litigiosa e, per di più, dedita all'alcool. La madre fu quindi propensa a credere che le modificazioni del carattere del bambino fossero dipese dall'influenza di costei, che doveva averlo irritato col suo modo di trattarlo. La nonna, donna di grande intuito, che aveva trascorso l'estate coi nipoti, pensava che l'irritabilità del bambino fosse stata provocata dalle liti tra l'istitutrice inglese e la bambinaia. L'inglese aveva più volte dato della strega alla bambinaia e l'aveva costretta a uscire dalla stanza. Il piccolo aveva preso apertamente le parti della sua amata «nania» e non aveva nascosto il suo odio all'istitutrice. Comunque stessero le cose, costei fu licenziata subito dopo il ritorno dei genitori senza che, per questo, il comportamento insopportabile del bambino subisse alcun mutamento.

Il paziente serbava il ricordo di quel periodo di cattiveria. Gli sembrava di aver fatto la prima scenata in un giorno di Natale, perché non gli avevano fatto regali in quantità doppia, come gli era dovuto per il fatto che il suo compleanno coincideva col Natale. Con la sua importunità e irritabilità non risparmiava neppure la sua amata «nania», anzi la tormentava forse più a cuor leggero che chiunque altro. Però, nella sua memoria, questo periodo, in cui si era manifestato il mutamento di carattere, risultava indissolubilmente legato a molti altri fenomeni strani e patologici che non era in grado di esporre in ordine cronologico. Tutti quei fatti che adesso narrerò - i quali non possano certo essere contemporanei e sono per giunta pieni di interne contraddizioni - erano da lui riuniti alla rinfusa in un solo periodo, che definiva come «il tempo della prima tenuta». Secondo lui avevano lasciato quella proprietà quando aveva cinque anni. Tra l'altro ricordava di aver sofferto di una paura che la sorella ingrandiva a bella posta per tormentarlo. C'era un libro illustrato in cui era rappresentato un lupo che camminava ritto sulle zampe posteriori. Gli bastava gettare uno sguardo su quell'illustrazione per mettersi a gridare come un pazzo per la paura che il lupo venisse a divorarlo. Invece la sorella riusciva sempre a fare in modo che dovesse per forza vedere la figura, godendo del suo terrore. Aveva timore anche di altri animali, sia grossi che piccoli. Una volta stava correndo dietro a una bella e grande farfalla, con le ali gialle a strisce che finivano in punta (forse un macao), nella speranza di catturarla. D'improvviso fu colto da un indicibile terrore per quella creatura e smise, gridando, di darle la caccia. Aveva anche paura e ribrezzo degli scarabei e dei bruchi. Ricordava anche che in quello stesso tempo aveva l'abitudine di tormentare gli scarabei e di fare a pezzi i bruchi. Anche i cavalli gli procuravano un senso di turbamento. Se, al circo, vedeva percuotere un cavallo, si metteva a piangere e doveva andar via subito. Invece, in altre occasioni, si era divertito a battere i cavalli. La sua memoria non era in grado di rispondere con sicurezza alle seguenti domande: i suoi atteggiamenti contraddittori verso gli animali erano veramente simultanei, oppure, cosa più probabile, si succedevano l'uno all'altro? E, in tal caso, quando e secondo quale ordine? Non era neanche in grado di dire se a questo periodo di cattiveria fosse subentrata una fase di malattia, ovvero il primo si fosse continuato direttamente nella seconda. Ma, in tutti i modi, le sue affermazioni, che ora riferiremo, giustificavano la mia idea che, in quegli anni infantili, fosse stato colpito da un ben evidente attacco di nevrosi ossessiva. Mi riferì anche che per molto tempo era stato estremamente pio. Prima di mettersi a letto era costretto a pregare lungamente e a farsi il segno della croce infinite volte. La sera aveva anche preso l'abitudine di fare il giro di tutte le immagini sacre appese alle pareti della camera, portando con sé una sedia sulla quale saliva per baciarle tutte devotamente. Del tutto incongruo con questo devoto cerimoniale - o forse, sotto un altro punto di vista, perfettamente congruo - era il fatto che, come egli stesso ricordava, gli venivano in mente delle bestemmie che gli sembravano ispirazioni diaboliche. Era obbligato a pensare «Dio porco» e «Dio merda». Durante un viaggio a una stazione climatica tedesca era tormentato da una tendenza cattiva: tutte le volte che vedeva sulla strada tre mucchi di sterco di cavallo o di altri escrementi doveva pensare alla Santa Trinità. In quello stesso tempo doveva eseguire un altro strano cerimoniale: se gli capitava di vedere persone che lo muovevano a compassione, come mendicanti, storpi o individui decrepiti, doveva espirare rumorosamente, allo scopo di non diventare come loro; in certi casi doveva inspirare con vigore. Ovviamente penso che questi chiari sintomi di nevrosi ossessiva appartenessero a un periodo più recente e a uno stato di sviluppo più avanzato, rispetto a quello in cui si erano avute le manifestazioni di angoscia e il maltrattamento di animali.

Gli anni successivi del paziente furono caratterizzati da rapporti assai tesi con il padre, il quale, dopo reiterati attacchi di depressione, non riusciva più a tener nascosti i tratti patologici del suo carattere. Nella prima fanciullezza il rapporto col padre era stato caratterizzato da un vivo affetto, come lo stesso paziente rammentava. Il padre gli voleva molto bene e giocava volentieri con lui, che fin da piccolo era orgoglioso del suo papà e diceva sempre che voleva diventare un gentiluomo come lui. La «nania» gli diceva che la sorella era figlia della madre, mentre lui era figlio di suo padre, il che gli faceva molto piacere. Verso la fine dell'infanzia tra lui e il padre ci fu una frattura. Il padre non nascondeva la sua preferenza per la figlia, per cui il paziente si sentiva trascurato. Più tardi il fattore dominante fu rappresentato dalla paura del padre.

Tutti questi fenomeni, che il paziente attribuiva a quella fase della sua vita che si era iniziata col peggioramento del carattere, scomparvero verso l'ottavo anno. Non che scomparissero completamente: di tanto in tanto tornavano a manifestarsi e solo più tardi cedettero, secondo il paziente, dell'influenza dei maestri e degli educatori che erano succeduti alle governanti nel prendersi cura di lui.

Ecco ora, in poche parole, gli enigmi la cui soluzione doveva essere trovata dall'analisi. Qual era l'origine dell'improvviso cambiamento del carattere del fanciullo? Qual era il significato della sua fobia e delle sue malvagità? Come era giunto alla devozione coatta? Quali erano i rapporti che legavano tra di loro tutti questi fenomeni? Ricorderò ancora una volta il fatto che il nostro lavoro terapeutico si rivolgeva a una malattia nevrotica ulteriore e recente e che questi problemi più antichi venivano trattati solo quando il corso dell'analisi deviava dal presente, obbligandoci a fare un'escursione attraverso la fase preistorica dell'infanzia.

3. La seduzione e le sue conseguenze immediate

Non è difficile intuire perché i primi sospetti si appuntassero sull'i-stitutrice inglese. Infatti il mutamento nel fanciullo si era manifestato durante la sua permanenza. Attualmente persistevano due ricordi di copertura, in se stessi incomprensibili, che si riferivano a lei. In uno di essi, l'istitutrice camminava avanti a loro dicendo: «Guardate il mio codino!». Nell'altro si trovavano in carrozza e il cappello le volava via con grande soddisfazione dei due bambini. Viene fatto di pensare a un complesso di castrazione allora si potrebbe, in via ipotetica, pensare che all'origine della condotta anormale del piccolo, si trovasse una minaccia pronunciata contro di lui dall'istitutrice. Dando informazioni del genere a un soggetto sotto analisi, non si corre alcun rischio, giacché anche se sono erronee non danneggiano mai l'operazione analitica; d'altra parte, non verrebbero espresse se non si pensasse di avvicinarsi grazie ad esse, in qualche modo, alla verità. Avendogli io comunicato la mia ipotesi, si ebbe, come primo effetto, la comparsa di certi sogni, non integralmente interpretabili, i quali, comunque, sembravano collegati a questo materiale. A quanto era dato capire, dovevano essere legati ad atti di aggressione compiuti contro la sorella o l'istitutrice, cui seguivano gravi rimproveri e severi castighi. Pareva che... dopo il bagno... avesse tentato... di denudare la sorella... strappandole le vesti... o i veli, e così di seguito. Comunque l'interpretazione non pervenne ad un contenuto certo; e, dato che i sogni sembravano sempre elaborazioni successive, in vari modi, dello stesso materiale, fu possibile giungere ad un'esatta interpretazione di questi ricordi: si trattava di semplici fantasie, risalenti a un momento indeterminato dell'infanzia del sognatore, forse all'età puberale, che adesso ritornavano a galla in forma irriconoscibile.

La segregazione arrivò all'improvviso, quando il paziente si ricordò tutto a un tratto che, quando era ancora molto piccolo, «ancora in campagna», la sorella lo aveva indotto a compiere delle pratiche sessuali. Dapprima si rammentò che al gabinetto, dove fratello e sorella avevano l'abitudine di andare spesso insieme, lei gli aveva proposto: «Mostriamoci il sedere» e alle parole aveva fatto seguire i fatti. Poi affiorarono i particolari essenziali di questa opera di seduzione, esattamente collocati nel tempo e nello spazio. Era primavera, e il padre era assente; i bambini giocavano in una stanza, sul pavimento, mentre la madre lavorava nella stanza accanto. La sorella gli aveva preso in mano il pene e giocava con esso, mentre gli raccontava storie incomprensibili sulla «nania», a guisa di spiegazione. La «nania», diceva, aveva l'abitudine di fare la stessa cosa a uomini di tutti i generi, al giardiniere per esempio: lo faceva stare ritto sulla testa e gli prendeva i genitali in mano.

Era dunque questa la spiegazione delle fantasie di cui avevamo già intuito l'esistenza. Esse avevano lo scopo di cancellare il ricordo di un avvenimento che, più tardi, gli era apparso come una menomazione dell'apprezzamento che il paziente aveva per la propria mascolinità; tale scopo era raggiunto rovesciando con l'immaginazione, a suo vantaggio, la verità storica. Secondo questa fantasia lui non aveva sostenuto un ruolo passivo nei confronti della sorella, ma, anzi, era stato aggressivo, tentando di vederla nuda ed era stato respinto e punito e, per tal ragione, era stato colto da quegli accessi di furore sui quali la tradizione familiare insisteva tanto. Ma era anche congruente con questo schema introdurvi l'istitutrice, dato che la colpa di questo accesso d'ira era stata gettata su di lei sia dalla madre che dalla nonna. Dunque queste fantasie erano l'esatto equivalente di quelle leggende con le quali una nazione, divenuta grande e orgogliosa, cerca di celare la pochezza e meschinità dei suoi esordi.

In realtà l'istitutrice non poteva avere che un lontano rapporto con questa seduzione e con le sue conseguenze. Quei fatti tra lui e la sorella erano accaduti nella primavera dello stesso anno in cui l'istitutrice inglese era stata assunta, ma questa assunzione era avvenuta solo ad estate inoltrata, prima che i genitori partissero. L'ostilità del bambino contro di lei doveva essere nata piuttosto per un'altra ragione. Siccome questa donna aveva insultato la bambinaia, chiamandola strega, seguiva, agli occhi del bambino, le orme della sorella, che per prima gli aveva raccontato storie tanto mostruose sul conto della bambinaia stessa. Per questo l'istitutrice aveva attirato su di sé l'aperta ostilità del bambino, che, come ora vedremo, era maturata in lui in conseguenza della seduzione della sorella.

Però è sicuro che la seduzione da parte della sorella non era fantasia. La sua credibilità era accresciuta da una notizia, mai dimenticata, che aveva appreso da un cugino negli anni seguenti, quando ormai era adulto. Questi, di dieci anni più anziano, parlandogli della sorella, gli aveva detto di rammentare benissimo di che tipino impudente e sensuale si trattasse: una volta, quando aveva solo quattro o cinque anni, questa bambina gli si era seduta sulle ginocchia e gli aveva aperto i pantaloni per prendergli in mano il pene.

Qui mi conviene interrompere per un attimo la storia del paziente per occuparmi un po' della sorella, del suo sviluppo e delle sue vicissitudini, oltre che dell'ascendente che aveva esercitato su di lui. Lei era più grande di due anni e lo aveva sempre sopravanzato in tutto. Da bambina era un intrattabile maschiaccio, ma poi aveva avuto un brillante sviluppo intellettuale, distinguendosi per un'intelligenza acuta e realista; nello studio era portata alle scienze naturali, ma era anche un'abile versificatrice molto ammirata dal padre. Intellettualmente era assai superiore ai suoi primi, numerosissimi corteggiatori, ai quali faceva con gran diletto dei tiri mancini. Tuttavia, poco dopo il compimento dei vent'anni, cominciò a soffrire di depressione, lamentandosi di non essere abbastanza attraente e rifuggendo dalle compagnie. Fu mandata a fare un viaggio in compagnia di una signora anziana, loro vecchia amica, e, al ritorno, si mise a raccontare tante storie, poco credibili, sui maltrattamenti cui l'aveva sottoposta questa donna, per quanto rimanesse palesemente affezionata alla sua presunta tormentatrice. Non molto tempo dopo, durante un secondo viaggio, si avvelenò e morì lontano da casa.

Queste turbe nervose sono probabilmente classificabili come il principio di una demenza precoce. Questa sorella, dunque, costituiva una prova, e certamente non l'unica, della manifesta eredità nevropatica esistente in famiglia. Uno zio, fratello del padre, era morto dopo aver condotto per lunghi anni una vita da eccentrico, nella quale si potevano ravvisare i segni di una grave nevrosi ossessiva. Inoltre, moltissimi parenti collaterali erano, e sono tuttora, affetti da turbe nervose più leggere.

A prescindere da questi atti di seduzione, il nostro paziente, da bambino, trovava nella sorella una sgradita concorrente nella stima dei genitori e, inoltre, si sentiva estremamente demoralizzato per il modo impietoso con cui ella faceva valere la sua superiorità. Invidiava in modo particolare il rispetto che il padre dimostrava per le doti mentali e le realizzazioni intellettuali di lei, mentre lui, inibito intellettualmente, come era, dalla nevrosi ossessiva, si doveva accontentare di una stima più modesta. Dopo il compimento del quattordicesimo anno, i suoi rapporti con la sorella cominciarono a migliorare. Un atteggiamento mentale non dissimile e la comune avversione per i genitori li resero talmente affiatati da farli diventare ottimi amici. Al tempo della tempestosa eccitazione sessuale della pubertà egli si permise di tentare con lei un intimo approccio sensuale, ma ella lo respinse con pari prontezza e abilità. Lui allora rivolse subito le sue attenzioni a una contadinella che prestava servizio in casa e che si chiamava come la sorella. Con questo compiva un passo fondamentale, la cui influenza sulla sua scelta dell'oggetto etero-sessuale doveva essere determinante, perché tutte le ragazze delle quali in seguito si innamorò - spesso con evidenti segni di coazione - erano domestiche, dall'istruzione e dall'intelligenza necessariamente molto inferiori alle sue. Supponendo che tutti questi oggetti d'amore fossero dei surrogati della sorella cui aveva dovuto rinunciare, non potremo negare che la scelta dell'oggetto fosse dominata dalla tendenza di sminuire la sorella e di distruggere quella superiorità intellettuale di lei, che era stata per lui una così grande tribolazione.

Alfred Adler subordina la condotta sessuale degli esseri umani, e anche tutto il resto del comportamento, a moventi di questo genere, che traggono origine dalla volontà di potenza, dall'istinto di autoaffermazione dell'individuo. Pur non volendo assolutamente negare l'importanza di queste aspirazioni alla potenza e il predominio, non mi sono mai potuto convincere che esse abbiano un ruolo talmente esclusivo e dominante, quale si vorrebbe loro attribuire. Qualora non avessi portato a termine l'analisi del mio paziente, lo studio del caso mi avrebbe imposto di modificare le mie vedute in senso favorevole ad Adler. Invece la conclusione dell'analisi mi fornì inopinatamente del materiale che dimostrava come tali motivi di aspirazione alla potenza - nella fattispecie l'intenzione di sminuire la sorella - avevano determinato la scelta dell'oggetto solo come causa secondaria e attraverso un processo di razionalizzazione, mentre la vera causa fondamentale mi consentiva di restare fedele alle mie precedenti convinzioni.

Secondo quanto mi disse il paziente, al sopraggiungere della notizia della morte della sorella non provò che un debole dolore. Dovette sforzarsi di dare segni di cordoglio, mentre si rallegrava freddamente nel suo intimo per essere rimasto unico erede delle proprietà. Alla data di questo avvenimento l'attuale malattia si era già manifestata da parecchi anni. Io, però, devo confessare che questa notizia mi ha lasciato a lungo titubante sulla diagnosi del caso. Certamente si deve ammettere che il dolore per la perdita del membro più amato di tutta la sua famiglia non si poteva esprimere senza trovare inibizioni, a causa del persistente influsso della sua gelosia, oltre che per l'esistenza di un amore incestuoso ormai diventato inconscio. Tuttavia, non potevo rassegnarmi all'idea che non vi fosse un surrogato alla mancata espressione di dolore, e infatti, alla fine ravvisai tale dolore in un altro sentimento che il paziente aveva provato senza potersene dare ragione. Qualche mese dopo la morte della sorella aveva fatto un viaggio nel luogo in cui era avvenuto il decesso. Qui era andato a visitare la sepoltura di un grande poeta5, che in quel tempo era il suo ideale, dove aveva sparso amare lacrime. Tale reazione era sembrata strana a lui stesso, perché sapeva che erano ormai passate più di due generazioni dalla morte di quel poeta che tanto ammirava. Riuscì a rendersene ragione quando si ricordò che il padre soleva paragonare gli scritti dalla sorella defunta a quelli del grande poeta. Egli mi offrì poi un'altra indicazione utile, per interpretare correttamente il pietoso omaggio reso al poeta, tramite un suo errore nel corso del racconto. In un primo tempo, infatti, aveva specificato più volte che la sorella si era uccisa con un colpo di pistola, mentre ora si trovò costretto a correggersi dicendo che aveva preso del veleno. Il poeta, invece, era effettivamente morto in un duello alla pistola.

Ma riprendiamo la storia del fratello, che da ora in poi seguirò attenendomi a linee tematiche. Riuscii ad appurare che il paziente, quando la sorella aveva cominciato i suoi atti di seduzione, si trovava tra i tre anni e tre mesi e i tre anni e mezzo. Il fatto, come si è detto, era accaduto nella primavera dello stesso anno in cui, durante l'estate, era arrivata l'istitutrice inglese, mentre poi, nell'autunno seguente, i genitori, rientrando dalle vacanze, lo avevano trovato così radicalmente cambiato. È quindi perfettamente logico collegare tale mutamento a quel risveglio dell'attività sessuale che si era verificato nel frattempo.

Come reagì il paziente agli adescamenti della sorella? Rispondendo con un rifiuto, ma un rifiuto che concerneva la persona, non la cosa. La sorella non lo attraeva come oggetto sessuale, probabilmente perché il suo atteggiamento nei confronti di lei aveva già assunto caratteri di ostilità a causa della preferenza dei genitori. Egli la tenne a distanza e, per di più, lei cessò ben presto di allettarlo. Ma lui cercò di conquistare, al posto della sorella, un'altra persona che amava di più e le informazioni ricevute dalla stessa sorella, secondo la quale era stata la «nania» a dare l'esempio, determinarono la scelta dell'oggetto. Cominciò dunque a toccarsi il pene in presenza della «nania», il che, come avviene in molti altri casi di bambini che non nascondono i loro atti masturbatori, rappresenta un tentativo di seduzione. La «nania» gli tolse ogni illusione; fece il viso scuro e gli spiegò che non stava bene. Aggiunse che i bambini che facevano certe cose ricevevano una ferita in quel posto.

Gli effetti di questa spiegazione, che equivaleva a una minaccia, si fecero sentire in diversi modi. Il suo senso di dipendenza dalla «nania» venne a diminuire. Può anche darsi che provasse dell'astio verso di lei e più tardi, quando comparvero gli accessi di furore, la cosa divenne chiara. Però una sua caratteristica particolare era che, tutte le volte che la sua libido doveva abbandonare una posizione, questo non avveniva senza un'ostinata difesa. Infatti, quanto l'istitu-trice inglese fece la sua comparsa sulla scena e insultò la «nania», scacciandola dalla stanza e cercando di distruggerne l'autorità, egli, invece, accrebbe il suo amore per la vittima di tali offese e prese un atteggiamento violento e di sfida verso l'aggressiva istitutrice. Cionondimeno cominciò a ricercare segretamente un altro oggetto sessuale. La seduzione cui era stato sottoposto gli aveva dato uno scopo sessuale passivo, cioè di farsi toccare i genitali. Vedremo ora con chi cercò di realizzare questo scopo e per quali vie giunse a tale scelta.

Veniamo a sapere - e questo concorda perfettamente con le nostre previsioni - che le sue indagini sessuali ebbero inizio dopo quella prima eccitazione genitale e che, ben presto, fu assillato dal problema della castrazione. In quel torno di tempo gli capitò di vedere due bambine - la sorella e un'amica - in atto di orinare. La sua intelligenza gli avrebbe consentito di scoprire la verità in quella scena, mentre invece si comportò come notoriamente si comportano molti altri maschietti in analoghe circostanze. Respinse l'idea di trovarsi di fronte alla conferma dell'esistenza di quella ferita di cui lo aveva minacciato la «nania» e disse a se stesso, invece, che si trattava del «sedere davanti» delle bambine. Ma questa affermazione non mise a tacere il tema della castrazione, anzi, in tutti i discorsi che udiva, vi trovava delle allusioni. Una volta, che i due bambini avevano ricevuto dei bastoncelli di zucchero colorati, l'istitutrice, che era portata alle fantasie bislacche, affermò che erano pezzi di serpenti tagliati. In seguito ricordò che il padre, mentre andava per un viottolo, aveva, una volta, trovato un serpente e l'aveva fatto a pezzi col bastone. Gli avevano letto la storia (dal Reineke Fuchs, La volpe Renardo) del lupo che voleva andare a pesca d'inverno e usava la coda come lenza, così che il ghiaccio gliel'aveva tagliata. Aveva anche imparato i nomi diversi con cui si designano i cavalli a seconda che i loro organi sessuali siano integri o no. Per questi motivi aveva cominciato a pensare alla questione della castrazione, ma senza crederci e quindi senza temerla. Le fiabe che venne a conoscere in quel tempo fecero sorgere in lui altri problemi sessuali. In Cappuccetto Rosso e // lupo e i sette caprettini, i piccoli erano stati estratti dal ventre dell'animale. Dunque il lupo era di sesso femminile, oppure anche gli uomini potevano avere dei bambini dentro il loro corpo? Per il momento la questione non fu risolta e, inoltre, al tempo di queste indagini non aveva ancora paura dei lupi.

Una dichiarazione del paziente ci permetterà di capire più facilmente la ragione del mutamento di carattere che avvenne in lui durante l'assenza dei genitori, quale conseguenza indiretta, della seduzione. Mi disse di aver cessato di masturbarsi poco dopo la repulsa e la minaccia della «nania». Quindi, la sua vita sessuale, che cominciava a svolgersi sotto il primato della zona genitale, cedette di fronte a un ostacolo esteriore che la obbligò a recedere verso una fase più antica di organizzazione pregenitale. Data la repressione della masturbazione, la vita sessuale del fanciullo assunse un carattere sadico-anale. Divenne irritabile e dispettoso e provava soddisfazione nel tormentare animali e persone. Il suo primo obiettivo era rappresentato dalla «nania», che pure amava, e che sapeva tormentare fino a farla scoppiare in lacrime. In tal modo si vendicava della repulsa subita e, contemporaneamente, soddisfaceva le sue brame sessuali in una forma congruente con l'attuale stato di regressione. Cominciò a compiere crudeltà sui piccoli animali, afferrando le mosche, per strappar loro le ali, e schiacciando gli scarafaggi sotto i piedi. Con la fantasia gli piaceva anche percuotere grossi animali (cavalli). Queste erano, dunque, tutte azioni sadiche e attive. In altra occasione parleremo degli impulsi anali dello stesso periodo.

È importante rilevare che il paziente ricordava anche certe altre fantasie, di epoca identica, ma di genere assolutamente diverso. In esse, infatti, si trattava di bambini puniti e battuti, in specie di bambini percossi sul pene. Altre fantasie, nelle quali un principe ereditario era rinchiuso in una stanzetta e battuto, ci permettevano di comprendere con facilità di chi prendessero il posto questi anonimi capri espiatori. Evidentemente il principe ereditario era lui stesso: il suo sadismo si era rivolto contro lui stesso, nelle fantasie, di modo che da sadismo si era trasformato in masochismo. Il particolare delle percosse ricevute sul pene ci permette di dedurre che, alla base di questa trasformazione, già si trovasse un senso di colpa connesso alla masturbazione.

L'analisi mi tolse ogni dubbio che queste aspirazioni passive non fossero comparse contemporaneamente a quelle sadico attive o immediatamente dopo6. Tutto ciò concorda con l'ambivalenza del paziente - così straordinariamente chiara, intensa e costante - che si rivelava ora per la prima volta nell'uguale sviluppo dei due istinti parziali antagonisti. Questo caratteristico comportamento si mantenne anche nella vita successiva, rappresentando una delle sue particolarità: nessuna posizione della libido, che fosse venuta a instaurarsi, era mai soppiantata integralmente dalla successiva. Semmai rimaneva in vita accanto alle altre e questo provocava in lui continue oscillazioni non compatibili con l'acquisizione di un carattere stabile.

Le aspirazioni masochiste del fanciullo puntavano anche in un'altra direzione, cui finora non ho fatto cenno di proposito, in quanto se ne ottenne la conferma soltanto mediante l'analisi di una fase successiva del suo sviluppo. Ho già ricordato che, dopo il rifiuto da parte della «nania», le aspettativa libidiche si staccarono da lei per cercare un nuovo oggetto sessuale. Lo trovò nel padre, allora assente. Certamente era stato indotto a tale scelta da diversi fattori concorrenti, tra i quali ve ne erano alcuni casuali, come il ricordo del serpente fatto a pezzi. Comunque, la sua scelta gli consentiva, soprattutto, di rinnovare l'anteriore e più primordiale scelta oggettuale che, in conformità col narcisismo dei bambini piccoli, doveva seguire la via dell'identificazione. Già abbiamo appreso che il padre era per lui un modello da ammirare e che, quando gli chiedevano che cosa sarebbe voluto diventare, rispondeva invariabilmente: un signore come mio padre. Nell'attuale fase sadico-anale, questo oggetto di identificazione dei suoi atteggiamenti attivi si trasformò nell'oggetto sessuale di un atteggiamento passivo. Sembrava che la seduzione a opera della sorella gli avesse imposto un ruolo passivo fornendogli uno scopo sessuale passivo. Sotto la persistente influenza di questa esperienza, egli seguì una direzione che portava dalla sorella al padre, passando per la «nania» - ossia portava da un atteggiamento passivo verso le donne -a un analogo atteggiamento verso gli uomini. Con tutto ciò era riuscito a trovare un legame con una più antica e spontanea fase di sviluppo. Infatti, adesso il padre era ritornato ad essere l'oggetto d'amore, ma, dato il più elevato stadio di sviluppo di cui si trovava, all'identificazione era subentrata la scelta dell'oggetto, mentre la trasformazione del suo atteggiamento dall'attività alla passività era la conseguenza e il proseguimento di quell'atto di seduzione, cui era stato sottoposto nel frattempo. Ovviamente non sarebbe stato altrettanto facile per lui assumere, durante la fase sadica attiva, un atteggiamento attivo nei confronti dell'onnipotente genitore. Quando, sul finire dell'estate o in autunno, il padre tornò a casa, gli scoppi d'ira e le scenate del nostro paziente ricevettero una nuova destinazione. Se essi erano serviti a soddisfare gli scopi attivi e sadici diretti verso la «nania», nei confronti del padre, avevano finalità masochiste. Dimostrando la propria cattiveria, egli lo costringeva a somministrargli castighi e percosse, ottenendo in tal maniera da lui la soddisfazione sessuale, masochista che desiderava. Dunque i suoi accessi di furore altro non erano che tentativi di seduzione. Inoltre, sempre in armonia con i motivi che sottendevano il masochismo, queste percosse erano tali da soddisfare anche il suo senso di colpa. Ricordava come, durante una di queste scenate, avesse raddoppiato la forza delle sue grida nel momento in cui il padre veniva verso di lui. Il padre però non lo aveva picchiato, aveva solo cercato di calmarlo mettendosi a giocare a palla davanti a lui con i cuscini del lettuccio. Quante volte genitori ed educatori, di fronte a certi inspiegabili capricci dei bambini, farebbero bene a tener presente uno stato di cose talmente caratteristico! Un bambino che si comporta in modo tanto intrattabile fa una confessione e cerca di sollecitare il castigo. Spera che le percosse gli giovino tanto a sedare un senso di colpa, quanto a soddisfare un'aspirazione sessuale masochista.

Il completamento della spiegazione di questo caso ci viene da un ricordo, riemerso con estrema chiarezza, secondo il quale nel mutamento di carattere del paziente non vi erano segni di angoscia se non dopo un certo avvenimento. Sembra che, prima di esso, l'angoscia mancasse del tutto, mentre, subito dopo, si esprimesse nel modo più tormentoso. La data della trasformazione è determinabile con assoluta certezza, essendo immediatamente successiva al quarto compleanno. Prendendo questa data quale punto fisso, possiamo suddividere il periodo della sua fanciullezza, di cui ci stiamo occupando, in due fasi: una prima fase di cattiveria e perversità che va dal tempo della seduzione, all'età di tre anni e tre mesi, fino al compimento del quarto anno, e una seconda fase, immediatamente successiva e più lunga, durante la quale predominavano i segni della nevrosi. E, l'avvenimento che consente di fare questa distinzione non fu un trauma esterno, bensì un sogno dal quale si destò pieno d'angoscia.

4. Il sogno e la scena primaria

Ho già pubblicato altrove questo sogno7, per la ricchezza del materiale fiabesco che esso contiene. Comincerò col ripetere quanto scrissi in quell'occasione:

«"Ho sognato che era di notte e stavo a letto. (Il letto era disposto con la parte dei piedi verso la finestra; davanti alla finestra c'era un filare di vecchi noci. Sapevo che era d'inverno, mentre sognavo, e che era notte.) Tutto a un tratto la finestra si spalancò da sola e io rimasi terrorizzato nel vedere dei lupi bianchi seduti sui rami del grande noce che si trovava proprio davanti alla finestra. Erano sei o sette. I lupi erano tutti bianchi, e rassomigliavano piuttosto a volpi o cani da pastore, perché avevano grosse code come le volpi e tenevano le orecchie ritte come fanno i cani quando sono attenti. Al colmo del terrore, evidentemente di essere divorato dai lupi, mi misi a gridare e mi svegliai. La bambinaia corse al mio capezzale per vedere che cosa mi fosse successo. Mi ci volle un bel po' prima di convincermi che era stato tutto un sogno, tanto era chiara in me l'immagine della finestra che si apriva e dei lupi seduti sull'albero. Alla fine mi calmai, quasi con la sensazione di essere scampato a un pericolo, e ripresi sonno.

L'unica immagine in movimento nel sogno era quella della finestra che si apriva, dato che i lupi erano seduti tranquillissimi sui rami, senza fare neppure un movimento, a destra o a sinistra del tronco, e mi guardavano. Era come se avessero fissato tutta la loro attenzione su di me. Credo che questo sia stato il mio primo sogno angoscioso. In quel tempo avevo tre o quattro anni, cinque al massimo. Da allora, fino all'età di undici o dodici anni, rimasi sempre con la paura di vedere cose terribili nei miei sogni."

Il paziente fece anche un disegno dell'albero coi lupi, che confermava la sua descrizione (fig. 1). L'analisi del sogno fece emergere il seguente materiale:

Aveva sempre messo questo sogno in rapporto col ricordo del tremendo spavento, che provava in quegli anni della fanciulezza, tutte le volte che vedeva la figura di un lupo in un libro di fiabe. La sorella, più grande d'età e assai più sviluppata intellettualmente, soleva tormentarlo tenendogli davanti agli occhi, con qualche pretesto, proprio quell'illustrazione, tanto che lui ne rimaneva terrorizzato e scoppiava a piangere. In quella figura il lupo era in posizione eretta, in atto di muovere lunghi passi, con gli artigli sporgenti e le orecchie ritte. Pensava che si trattasse di un'illustrazione della favola di Cappuccetto Rosso.

Ma perché i lupi erano bianchi? Questo gli faceva venire in mente i grandi greggi di pecore che si trovavano nelle vicinanze della tenuta. Il padre lo conduceva di tanto in tanto a vedere quelle greggi e tutte le volte lui si sentiva molto orgoglioso e felice. Più tardi - secondo le mie indagini, doveva essere poco tempo prima del sogno - tra le pecore era scoppiata un'epidemia. Il padre mandò a chiamare un seguace di Pasteur, che vaccinò gli animali; però, dopo l'inoculazione, le pecore morivano addirittura in maggior numero.

Ma perché i lupi si trovavano sull'albero? Questa domanda gli richiamò alla memoria una favola che aveva sentito narrare dal nonno. Non sapeva se fosse stato prima o dopo il sogno, ma il contenuto del racconto permette di decidere a favore della prima ipotesi. Un sarto stava lavorando in casa, quando si aperse la finestra e un lupo balzò dentro. Il sarto Io colpì col metro di legno... anzi (si corresse il paziente) lo afferrò per la coda e gliela strappò, così che il lupo fuggì via terrorizzato. Qualche tempo dopo il sarto andò nel bosco e subito vide un branco di lupi che veniva verso di lui, così che, per sfuggir loro, dovette arrampicarsi su un albero. A tutta prima i lupi erano incerti sul da farsi, però il lupo mutilato, che si trovava con loro e voleva vendicarsi, propose di salire l'uno sulle spalle dell'altro, finché l'ultimo raggiungesse il sarto. Lui stesso, che era grande e vigoroso, avrebbe fatto da base alla piramide. I lupi seguirono il suo consiglio, ma il sarto, che aveva riconosciuto l'intruso cui aveva inferto quel castigo, gridò improvvisamente, come aveva fatto allora: "Piglia il grigio per la coda!". Il lupo scodato, terrorizzato da quel ricordo, fuggì via e tutti gli altri capitombolarono a terra.

In questa storia compare l'albero sul quale stavano i lupi del sogno. Però vi si trova anche l'inconfondibile allusione al complesso di castrazione. Il vecchio lupo era stato privato della coda dal sarto. Le code di volpe dei lupi del sogno erano probabilmente una sorta di compensazione di questa privazione.

Perché c'erano sei o sette lupi? Sembrava che questa domanda dovesse rimanere senza risposta, finché non mi venne il dubbio che la figura che lo spaventava non appartenesse alla storia di Cappuccetto Rosso. Questa favola può essere illustrata con due figure soltanto: la prima in cui il lupo incontra Cappuccetto Rosso nel bosco e l'altra quando il lupo sta a letto con la cuffia della nonna. Dunque il ricordo di questa figura doveva riferirsi a qualche altra favola. Il paziente si convinse subito che doveva trattarsi della fiaba del lupo e dei sette caprettini, nella quale ricorreva il numero sette, ma anche il sei, perché il lupo aveva divorato soltanto sei caprettini, mentre il settimo si era nascosto nella cassa della pendola. Nella storia si trovava anche il colore bianco, perché il lupo si era fatto imbiancare una zampa dal fornaio, dopo che i capretti lo avevano riconosciuto una prima volta dal colore grigio. Inoltre le due fiabe hanno molti elementi in comune. In entrambe si trova l'atto di divorare, il taglio della pancia, l'estrazione delle creature che sono state ingoiate e la loro sostituzione con grosse pietre e, infine, la morte del perfido lupo. Per di più nella favola dei caprettini ricorre anche l'albero; infatti il lupo si stende sotto un albero e si addormenta.

Ragioni particolari mi inducono a trattare in altra sede questo sogno, interpretandolo e considerandone i significati con maggiore attenzione. Questo, infatti, è il primo sogno angoscioso che il paziente ricordasse fin dall'infanzia, mentre il suo contenuto, collegato ad altri sogni che seguirono di lì a poco e a taluni avvenimenti dei primi anni di vita, appare rivestire un interesse specialissimo. Qui ci dobbiamo limitare ai rapporti, intercorrenti tra il sogno e due fiabe, le quali hanno tanti elementi in comune tra di loro, come appunto Cappuccetto Rosso e // lupo e i sette caprettini. L'effetto di queste fiabe si palesava nel piccolo sognatore con una vera e propria fobia per gli animali. Questa fobia si distingueva da quella di altri casi consimili solo per il fatto che l'animale provocatore dell'angoscia non era d'una specie facilmente accessibile all'osservazione (come il cavallo o il cane), ma era conosciuto esclusivamente attraverso le favole e i libri illustrati.

In altra sede mi occuperò della spiegazione di queste fobie per gli animali e del significato che si deve loro attribuire. Qui mi contenterò di osservare come tale spiegazione si armonizzi integralmente con le principali caratteristiche presentate dalla nevrosi da cui il sognatore fu colpito nel corso della vita successiva. La paura del padre fu il più forte movente della malattia e il suo atteggiamento di ambivalenza nei confronti di qualsiasi sostituto del padre rappresentò un fattore predominante nella sua vita, come pure nel suo modo di comportarsi durante la cura.

Posto che, nel caso di questo paziente, il lupo sia esclusivamente un primo sostituto del padre, ci dovremo porre la domanda se il contenuto occulto delle fiabe in cui il lupo divora i caprettini e Cappuccetto Rosso non sia semplicemente la paura infantile del padre8. Per di più, il padre del mio paziente aveva l'abitudine, comune a molte persone quando trattano i loro figli, di abbandonarsi a "minacce affettuose", e non è impossibile che, mentre carezzava il figlio ancora piccolissimo o giocava con lui - sebbene in seguito fosse diventato più severo -, lo minacciasse per celia di "mangiarselo". Un mio paziente mi diceva che i suoi due bambini non riuscivano ad affezionarsi al nonno, perché questi, mentre si baloccava affettuosamente con loro, aveva l'abitudine di spaventarli dicendo che gli voleva aprire il pancino».

Ma ora tralasciamo quanto, di questa citazione, possa anticipare le interpretazioni più remote del sogno, e ritorniamo all'interpretazione immediata. Devo far rilevare che essa rappresenta un lavoro durato anni. Il paziente raccontò il sogno in una fase iniziale dell'analisi e prese ben presto a condividere la mia opinione che la causa della nevrosi infantile doveva celarsi dietro ad esso. Nel corso della cura ritornammo spesso sul sogno, ma solo negli ultimi mesi dell'analisi si potè comprenderlo appieno e, anche questa volta, soltanto grazie a un lavoro compiuto spontaneamente dal paziente. Questi aveva sempre insistito sul fatto che vi erano due elementi del sogno che gli avevano fatto una grandissima impressione. Il primo era l'assoluta tranquillità e immobilità dei lupi, mentre il secondo era l'intensa attenzione con la quale lo stavano a guardare. Anche la persistente sensazione di realtà, rimasta dopo il sogno, gli sembrava cosa degna di nota.

Prendiamo quest'ultima osservazione come punto di partenza. La nostra esperienza in fatto di interpretazione dei sogni ci insegna che questo senso di realtà ha un particolare significato. Ci assicura che una data porzione del materiale latente del sogno pretende, nella memoria del sognatore, di possedere la prerogativa della realtà, ossia che il sogno stesso richiama un fatto veramente accaduto e non semplicemente immaginato. Ovviamente può essere anche soltanto questione di una realtà riferita a un fatto sconosciuto. Per esempio, la convinzione che il nonno gli avesse veramente raccontato la favola del sarto e del lupo, o che le fiabe di Cappuccetto Rosso e de // lupo e i sette caprettini gli fossero state veramente lette ad alta voce, era di genere tale da non poter esser sostituita da questo senso di realtà che seguitava a persistere dopo il sogno. Questo sembrava volersi riferire a un avvenimento la cui realtà era messa in risalto, per il fatto d'essere in assoluto contrasto con l'irrealtà delle favole.

Se dobbiamo presumere che, dietro al contenuto del sogno, si nascondesse un fatto ignoto - vale a dire, un fatto che, al momento del sogno, era ormai dimenticato - allora si doveva trattare di un avvenimento assai remoto. Si ricorderà che il sognatore aveva detto: «Quando feci il sogno avevo tre o quattro anni, cinque al massimo». E noi potremmo aggiungere: «E quel sogno mi ricordava qualcosa che doveva risalire a un passato ancor più lontano».

Le parti del contenuto manifesto del sogno, sulle quali il sognatore insisteva tanto - cioè lo sguardo concentrato e l'immobilità - devono guidarci al contenuto effettivo della scena. E naturale pensare che il materiale che verremo a scoprire riproduca, in maniera distorta, una scena sconosciuta, e che la distorsione possa aver portato persino a un'inversione.

Nella prima analisi del sogno, il paziente aveva prodotto del materiale ancor grezzo dal quale si potevano trarre diverse conclusioni, delle quali servirsi nel quadro che andavamo ricostruendo. Dietro alla sua allusione all'allevamento delle pecore, c'era da aspettarsi di trovare una prova delle sue ricerche sessuali, dato che, durante le visite fatte insieme al padre, doveva soddisfare il suo interesse in questo campo. Però non mancavano neppure accenni alla paura della morte, dato che gran parte delle pecore era stata uccisa dell'epidemia. L'elemento più saliente del sogno, cioè i lupi sull'albero, conduceva direttamente alla favola narrata dal nonno. Questa conteneva un tema il cui aspetto più avvincente, capace di stimolare la formazione onirica, doveva necessariamente scaturire dal suo rapporto con il tema della castrazione.

La prima, incompleta analisi di quel sogno ci aveva fatto pensare che il lupo fosse un sostituto del padre; in tal caso, questo primo sogno di angoscia metteva in evidenza quella paura del padre che, da allora in poi, avrebbe dominato la sua vita. Si trattava, comunque, di una conclusione ancora priva di conferma. Però, se coordiniamo tra loro i risultati provvisori dell'analisi, quali potevano essere dedotti dai materiali presentati dal sognatore, otteniamo la seguente serie di frammenti utilizzabili ai fini di una ricostruzione dei fatti:

Un avvenimento reale... risalente a un tempo assai remoto... guardare... immobilità... problemi sessuali... castrazione... padre... qualcosa di tremendo.

Un giorno il paziente riprese l'interpretazione del sogno. Secondo lui quella parte del sogno in cui «la finestra si era spalancata da sola» non era completamente spiegata dalla sua connessione con la finestra presso la quale sedeva il sarto e attraverso cui il lupo era saltato nella stanza. «Il vero significato deve essere: "Apersi improvvisamente gli occhi". Vale a dire che dormivo e mi risvegliai all'improvviso e, in quell'attimo, vidi qualcosa: l'albero coi lupi.» Non avevo nulla da ec cepire contro questa osservazione, anzi, la questione era suscettibile di ulteriori sviluppi. Il paziente si era destato e aveva visto una cosa.

Lo sguardo attento e fisso, che nel sogno era attribuito ai lupi, doveva piuttosto essere attribuito a lui. Dunque, trovavamo un capovolgimento proprio in un punto fondamentale; inoltre questo stava a indicare che il contenuto manifesto del sogno doveva aver subito anche un altro capovolgimento. Difatti la presenza dei lupi sull'albero ne era un chiaro esempio, poiché nel racconto del nonno essi erano in basso e non riuscivano ad arrampicarsi sull'albero.

Allora, quali conclusioni si potrebbero trarre se anche l'altro elemento fondamentale del sogno dovesse risultare deformato in seguito a capovolgimento o inversione? In tal caso, in luogo dell'immobilità (i lupi stavano immobili, lo fissavano senza muoversi) avremmo l'immagine del più violento movimento. In tal caso il soggetto, svegliandosi all'improvviso, avrebbe visto dinanzi a sé una scena di violento movimento alla quale rivolse tutta la sua attenzione. Nel primo caso la distorsione consisterebbe in uno scambio tra soggetto e oggetto, tra un ruolo attivo e un ruolo passivo: essere guardato invece di guardare. Nell'altro caso consisterebbe in una trasformazione nel suo opposto: riposo anziché movimento.

Un'altra volta, un'associazione venutagli in mente d'improvviso ci consentì di fare un ulteriore passo innanzi nella comprensione del sogno: «L'albero era un albero di Natale». Ora sapeva di aver fatto quel sogno poco prima di Natale, nell'attesa della festa. Poiché il giorno di Natale coincideva col suo compleanno, fu possibile stabilire con certezza la data del sogno e del mutamento di carattere che ne seguì. Era stato immediatamente prima del compimento dei quattro anni. Era andato a dormire, nella trepida attesa del giorno che gli doveva portare una doppia quantità di regali. È noto che in tali circostanze un bambino può facilmente anticipare la soddisfazione dei suoi desideri. Così nel sogno già stava vivendo il giorno di Natale; il contenuto del sogno gli presentava le scatole e i regali, che sarebbero stati suoi, appesi all'albero. Però i regali si erano trasformati in... lupi e il sogno terminava con l'incombente terrore di essere divorato dal lupo (probabilmente il padre) e dalla corsa a cercar rifugio tra le braccia della bambinaia. Le conoscenze che abbiamo acquisito sullo sviluppo sessuale del paziente anteriormente al sogno ci permettono di colmarne le lacune e di spiegare la trasformazione della soddisfazione in angoscia. Il più potente tra tutti i desideri che concorrevano alla formazione del sogno deve essere stato il desiderio di un piacere sessuale che, in quel tempo, voleva ricevere da suo padre. L'intensità di questo desiderio rese possibile il rianimarsi nella memoria d'un'an-tica traccia ormai dimenticata, che poteva rivelargli che genere di soddisfazione avrebbe ottenuto dal padre, e il risultato fu il terrore, l'orrore per la soddisfazione del desiderio, la rimozione dell'impulso che si era manifestato tramite il desiderio stesso e, di conseguenza, l'allontanamento dal padre per trovar rifugio presso la bambinaia, molto meno pericolosa.

L'importanza di questa data, cioè il giorno di Natale, si era mantenuta nel presunto ricordo di aver avuto il primo accesso di furore per non essere rimasto soddisfatto dei regali. Questo ricordo riuniva in sé qualcosa di vero e qualcosa di falso. Non poteva essere del tutto esatto perché, secondo le ripetute dichiarazioni dei genitori, la sua cattiveria già sussisteva al tempo del loro ritorno a casa nell'autunno precedente, dato che non erano rimasti lontani fino a Natale. Ma nella mente del paziente persisteva quel rapporto fondamentale tra l'amore insoddisfatto, la rabbia e il Natale.

Ma quale poteva essere l'immagine, evocata dal lavorio notturno dei suoi desideri, che l'aveva distolto con tanto terrore dal loro adempimento? Il materiale tratto dall'analisi indica che tale immagine doveva soddisfare a una condizione: cioè doveva essere tale da generare in lui la convinzione che la castrazione è una realtà. In tal modo la paura della castrazione diventava l'energia motrice necessaria alla trasformazione degli affetti.

Ma ora sono arrivato a un punto in cui devo rinunciare a quel sostegno che potevo finora trarre dall'analisi. E temo che mi verrà meno perfino il credito dei lettori.

Durante quella notte, dal caos delle tracce mnemoniche inconsce del sognatore, balzò fuori e divenne attiva l'immagine di un coito tra i genitori, coito legato a circostanze non del tutto ordinarie ma che creavano una situazione particolarmente favorevole all'osservazione. A poco a poco fu possibile rispondere in modo soddisfacente a tutti gli interrogativi posti da questo avvenimento; infatti nel corso della cura il primo sogno ritornò in innumerevoli riedizioni e varianti, grazie alle quali l'analisi potè ricavare tutte le informazioni necessarie. Innanzitutto potemmo stabilire che l'età del bambino alla data dell'osservazione era di un anno e mezzo9. In quel tempo soffriva di malaria e ogni giorno alla stessa ora era colto dall'attacco febbrile10. Dall'età di dieci anni in poi il paziente andava incontro a crisi di depressione, che intervenivano per lo più al pomeriggio raggiungendo il massimo verso le cinque. Tale sintomo persisteva ancora al tempo del trattamento analitico. Gli attacchi ricorrenti di depressione avevano preso il posto dei precedenti accessi di febbre o di malessere. Le cinque del pomeriggio erano l'ora in cui la febbre toccava il massimo, oppure l'ora in cui aveva assistito al rapporto sessuale, a meno che le due ore non avessero coinciso11. Era probabilmente proprio a causa della malattia che egli si trovava nella camera dei genitori. L'esistenza di questa malattia, del resto confermata dalla tradizione familiare, permette di collocare con buona probabilità quell'avvenimento nell'estate, e quindi di attribuire al bambino, nato a Natale, n+ 1V2 anni. Egli stava dormendo nel suo lettuccio in camera dei genitori e, forse a causa dell'attacco febbrile, si svegliò nel pomeriggio, probabilmente verso le cinque, cioè all'ora che, in seguito, doveva essere caratterizzata dall'acme della depressione. Se supponiamo che i genitori si erano distesi, semivestiti12, sul letto per la siesta, troveremo un'ulteriore conferma al nostro presupposto che fosse una calda giornata estiva. Dopo il risveglio assistè a un coito a tergo ripetuto tre volte °; riuscì a vedere i genitali della madre e il membro del padre e comprese l'essenza della cosa e il suo significato14. Alla fine interruppe il rapporto tra i genitori in un modo che vedremo più avanti. In fin dei conti non c'è niente di straordinario, niente che possa far pensare al parto di una fantasia stravagante, in questo avvenimento: una giovane coppia, unita in matrimonio da pochi anni, concludeva con una scena d'amore la siesta in un afoso pomeriggio estivo, senza pensare alla presenza di un figlioletto di un anno e mezzo, addormentato nel suo lettuccio. Anzi per me si tratta di un evento assolutamente comune, addirittura banale. Questo nostro modo di veder le cose non cambia nemmeno se consideriamo la posizione probabilmente assunta dai due nel coito tanto più che non abbiamo prove per dimostrare che il coito fosse stato compiuto tutte e tre le volte in quel modo. Una sola volta era largamente sufficiente, per dar modo al bambino di compiere quelle osservazioni che altre posizioni assunte dalla coppia avrebbero reso difficili, o impossibili. Dunque il contenuto della scena non reca in sé alcuna argomentazione valida contro la sua credibilità. Vi sono invece altri tre punti che possono suscitare qualche dubbio: poteva un bambino della tenera età di un anno e mezzo essere in grado di percepire validamente un'azione talmente complessa, mantenendone inalterato il ricordo nell'inconscio? Secondo: era possibile che all'età di quattro anni, rivivendo quelle impressioni, riuscisse a comprenderne il significato? Infine: poteva esistere un processo psichico atto a riportare alla coscienza, in modo coerente e convincente, i particolari di una scena percepita e compresa in simili circostanze?15

Più avanti sottoporrò a un'accurata disamina questi e altri dubbi, ma posso assicurare il lettore che sono incerto quanto lui se accettare queste osservazioni di un bambino; gli chiedo soltanto di prestare una fede provvisoria alla verità di quella scena. E ora procederemo con lo studio dei rapporti esistenti tra questa «scena primaria» (Urszene) e il sogno, i sintomi e la storia della vita del paziente. Inoltre andremo a rintracciare separatamente le conseguenze scaturite dal contenuto essenziale della scena e da una delle impressioni visive legate ad essa.

Con ciò voglio intendere le posizioni che egli vide prendere ai genitori: l'uomo eretto, la donna chinata come un animale. Già sappiamo che, durante il periodo d'angoscia. la sorella aveva l'abitudine di spaventarlo mostrandogli un'illustrazione d'un libro di fiabe, dove si vedeva un lupo in posizione eretta, un piede proiettato in avanti, gli artigli sporgenti e le orecchie tese. Il paziente si dedicò, con instancabile perseveranza, durante il periodo di cura, alla ricerca, presso i negozi di libri usati, di quel libro di favole, che alla fine riuscì a trovare, riconoscendo il suo spauracchio in una figura illustrante la favola del lupo e dei sette caprettini. Egli pensava che la posizione del lupo nella figura potesse avergli richiamato alla mente quella del padre nella ricostruzione della scena primaria. In tutti i modi, la figura era diventata il punto di partenza di ulteriori manifestazioni d'angoscia. Una volta, quando aveva sette od otto anni, gli fu detto che il giorno dopo sarebbe arrivato un nuovo precettore. Quella notte sognò il precettore sotto forma di leone che si avvicinava al suo letto ruggendo forte, e anche allora si svegliò in stato d'angoscia. In quel tempo la fobia del lupo era stata superata, di modo che era libero di scegliere un nuovo animale quale oggetto d'angoscia, e in questo suo sogno più tardo egli ravvisava nel precettore un sostituto del padre. Infatti negli anni che seguirono tutti i suoi precettori e insegnanti sostennero il ruolo del padre, esercitando su di lui un'influenza uguale a quella paterna tanto nel bene quanto nel male.

Mentre frequentava le classi ginnasiali il destino gli offrì un'ottima occasione di rivendicare la fobia del lupo, impiegando i nessi retrostanti ad essa allo scopo di provocare gravi inibizioni. L'insegnante di grammatica latina si chiamava Wolfl6. Sin dall'inizio si sentì intimorito da lui e, una volta, si buscò un severo rimprovero per aver commesso uno stupido errore in una traduzione latina. Da allora in poi non seppe più liberarsi da una paura per quell'insegnante, che lo lasciava paralizzato e che, ben presto, si estese anche ad altri insegnanti. Ma anche l'occasione in cui aveva commesso l'errore di traduzione aveva un significato particolare. Doveva tradurre il latino filius e lo fece scrivendo fils in francese anziché «figlio» nella sua lingua. Il lupo era infatti ancora e sempre il padre17.

Il primo «sintomo passeggero»18, manifestato dal paziente durante il trattamento, si riferiva di nuovo alla fobia del lupo e alla favola dei sette caprettini. Nella stanza dove tenevamo le prime sedute c'era una grande pendola proprio davanti al paziente che giaceva sul sofà volgendomi le spalle. Rimasi colpito dal fatto che, di tanto in tanto, si voltava a guardarmi con un'espressione molto amichevole, quasi volesse accattivarsi la mia simpatia, e poi rivolgeva lo sguardo verso l'orologio. Credetti, allora, che fosse un modo di esprimere il desiderio che la seduta finisse. Molto tempo dopo, il paziente mi ricordò la sua mimica, dandomene la spiegazione. In quei momenti gli veniva in mente che il più giovane dei sette caprettini si era nascosto nella cassa della pendola, mentre i sei fratellini erano stati divorati dal lupo. Dunque egli intendeva dire: «Sii buono con me! O debbo avere paura di te? Stai per mangiarmi? Mi devo andare a nascondere nella cassa dell'orologio come fece il caprettino più piccolo?».

Non c'è dubbio che il lupo del quale aveva paura fosse il padre, ma questa paura era condizionata dalla posizione eretta dell'animale. La sua memoria ci assicurava nel modo più decisivo che non lo spaventavano le immagini di lupi che andavano sulle quattro zampe o che, come in Cappuccetto Rosso, stavano a letto. Un significato non meno importante era da attribuirsi alla posizione che, secondo la nostra ricostruzione della scena primaria, era stata assunta dalla donna, per quanto, in questo caso, il significato si limitasse esclusivamente alla sfera sessuale. Il fenomeno più interessante della sua vita sessuale dopo la pubertà era la tendenza ad andare incontro ad accessi di desiderio fisico compulsivo, che andavano e venivano con un ritmo che aveva del misterioso. Tali accessi scatenavano in lui una fortissima energia persino al tempo in cui era inibito sotto ogni altro aspetto, tanto da sottrarsi completamente alla sua volontà. Per una ragione particolarmente importante, devo rimandare a un altro momento la trattazione esauriente di questi amori compulsivi, mentre posso già rilevare che essi erano condizionati da un elemento ben preciso che, sfuggito alla sua coscienza, fu scoperto solo durante il trattamento. Bisognava che la donna si mettesse nella posizione che presumiamo fosse assunta dalla madre nella scena primaria. Fin dal tempo della pubertà, la massima attrattiva di una donna era per lui rappresentata da un paio di natiche grandi e appariscenti. Inoltre un coito non praticato a tergo gli procurava scarsissimo piacere. A questo punto si potrebbe benissimo muovere una critica: si potrebbe obiettare che tale preferenza sessuale per le parti posteriori del corpo è una caratteristica generale di tutti gli individui tendenti alla nevrosi ossessiva, per cui il rilevarne la presenza non ci autorizza a ricollegarla a una impressione d'infanzia. È una preferenza che fa parte integrante della costituzione erotico-anale, ed è uno dei tratti arcaici che la caratterizzano. In effetti il coito posteriore, more ferarum, può in fin dei conti essere ritenuto la forma filogeneticamente più antica. In seguito ritorneremo su questo punto, dopo aver elaborato il materiale relativo alla condizione inconscia che costituiva il presupposto di questa sua facilità a innamorarsi.

Ma ora continuiamo con la nostra trattazione dei rapporti tra il sogno e la scena primaria. Fino ad ora ci saremmo aspettati che il sogno offrisse al bambino (che gioiva al pensiero del Natale, nell'attesa dell'adempimento dei suoi desideri) l'immagine di una soddisfazione sessuale, tramite il padre, quale egli aveva vista nella scena primaria, prototipo di quella soddisfazione che desiderava ottenere dal genitore. Ma, invece di questa immagine, comparve il materiale della favola che il nonno gli aveva narrato poco prima: l'albero, i lupi e la mancanza di coda (sotto la forma ipercompensata di lupi simili a volpi con grandi code cespugliose). Qui, però, manca un anello della catena, ossia un legame associativo che vada dalla scena primaria alla storia dei lupi. Questo nesso viene dato, ancora una volta, dalle posizioni, ed esclusivamente da esse. Nella narrazione del nonno il lupo senza coda chiedeva agli altri di montargli sopra. Fu proprio questo particolare che rievocò il ricordo del quadro della scena primaria. In tal modo il materiale della scena primaria potè essere sostituito da quello della storia dei lupi, e, similmente, i due genitori furono sostituiti, come era conveniente, da molti lupi. Il contenuto del sogno andò incontro a un'ulteriore trasformazione così che il materiale della favola si combinò con quello dell'altra favola (dei sette capret-tini), dalla quale prese a prestito il numero sette19.

I vari stadi della trasformazione del materiale - scena primaria -storia dei lupi - fiaba del lupo e i sette caprettini - riflettono l'evoluzione del pensiero del sognatore durante la costruzione del sogno: «desiderio di una soddisfazione sessuale offertagli dal padre - comprendere che la castrazione ne costituisce una condizione necessaria - paura del padre». Credo che soltanto ora possiamo considerare completa l'interpretazione del sogno d'angoscia di questo fanciullo di quattro anni20.

Dopo quanto si è detto mi sarà sufficiente trattare succintamente degli effetti patogeni della scena primaria e delle alterazioni dello sviluppo sessuale provocate dalla sua rievocazione. Ci limiteremo a seguire una di queste conseguenze cui il sogno dava espressione. Più avanti dovremo mettere in chiaro il fatto che dalla scena primaria non scaturì una sola corrente sessuale, ma tutta una serie, tanto che la vita sessuale del paziente ne risultò letteralmente frantumata. Inoltre dovremo tenere presente che la «riattivazione» di quella scena (evito di proposito la parola «rievocazione») ebbe un effetto uguale a quello di un'esperienza attuale. L'effetto della scena era ritardato, ma intanto, nell'intervallo tra l'età di un anno e mezzo e i quattro anni, nulla aveva perduto della sua freschezza. In quello che ora segue troveremo forse una buona ragione per ritenere che la-scena avesse cominciato a produrre alcuni effetti fin dal momento in cui era stata percepita, vale a dire fin da un anno e mezzo di età.

Allorché il paziente prese ad approfondire la situazione inerente alla scena primaria, fece le seguenti autosservazioni. Disse che inizialmente pensava che l'avvenimento cui aveva assistito fosse un atto di violenza, tuttavia, l'espressione di godimento dipinta sul volto della madre non vi si accordava, per cui fu costretto ad ammettere che si trattava di un'esperienza piacevole21. La novità essenziale, derivante dall'aver assistito a quel rapporto tra i genitori, era la convinzione della realtà della castrazione, la cui possibilità aveva già occupato i suoi pensieri in precedenza. (Lo spettacolo delle due bambine che orinavano, la minaccia della «nania», la spiegazione dell'istitutrice circa la forma dei bastoncelli di zucchero, il ricordo del padre che faceva a pezzi un serpente.) Allora, infatti, vide con i propri occhi la ferita cui aveva accennato la «nania» e comprese che la sua presenza era una condizione necessaria per avere rapporti sessuali col padre. Non gli era più possibile confonderla col sedere come aveva fatto osservando le due bambine22.

Il sogno dette luogo ad uno stato d'angoscia, dal quale non si riprese finché la «nania» non venne da lui. Quindi egli trovò rifugio in lei nella sua fuga dal padre. L'angoscia rappresentava il ripudio del desiderio di ottenere una soddisfazione sessuale dal padre, desiderio che aveva indotto il sogno nella sua psiche. E la sua espressione, cioè la paura di «essere divorato dal lupo», altro non era che una trasposizione (regressiva, come vedremo) del desiderio di avere un congiungimento col padre, ossia di ricevere una soddisfazione sessuale nello stesso modo in cui la riceveva la madre. Il suo ultimo scopo sessuale, ossia l'atteggiamento passivo nei confronti del padre, cedette alla rimozione e al suo posto comparve la paura del padre sotto forma di fobia del lupo. Ma qual era l'energia che aveva dato vita a tale rimozione? Le circostanze proprie di questo caso dimostrano che tale energia non poteva essere che una libido genitale narcisista, che, sotto forma di preoccupazione per il membro virile, lottava contro una soddisfazione che sembrava non raggiungibile se non al prezzo di rinunciare all'organo stesso. E fu appunto da questa minaccia al suo narcisismo che insorse quella mascolinità, con la quale prese a difendersi dall'atteggiamento di passività nei confronti del padre.

Osserviamo qui come si renda necessaria, nel nostro resoconto, una modifica della terminologia adottata. Infatti nel sogno il paziente raggiunse una nuova fase dell'organizzazione sessuale. Fino a quel momento i contrari sessuali erano, per lui, attivo e passivo. Fin dal tempo della seduzione il suo scopo sessuale era stato passivo, cioè di farsi toccare i genitali; ora, in seguito alla regressione verso uno stadio più antico, quello dell'organizzazione sadico-anale, il suo scopo sessuale si trasformava nel desiderio masochistico di essere battuto o punito. Per lui era del tutto indifferente se tale scopo veniva raggiunto con un uomo o una donna. Infatti era passato, senza tener conto della differenza dei sessi, dalla «nania» al padre: aveva desiderato che la «nania» gli toccasse il pene e aveva tentato di farsi percuotere dal padre. In questo caso i suoi genitali erano fuori questione, per quanto il rapporto con essi, dissimulato dalla regressione, trovava tuttora espressione attraverso la fantasia di essere battuto sul pene. Ora la riattivazione, nel sogno, della scena primaria, lo riportava all'organizzazione genitale. Scoprì la vagina e il significato biologico della maschilità e della femminilità. Comprese che attivo corrispondeva a maschile e passivo a femminile. Ora il suo scopo sessuale passivo si sarebbe dovuto trasformare in uno scopo femminile, palesandosi attraverso l'espressione «essere posseduto dal padre» anziché di «essere percosso sui genitali o sul posteriore». Però questa tendenza femminile andò incontro alla rimozione e dovette essere sostituita dalla paura del lupo.

Ma ora dobbiamo interrompere la discussione dell'evoluzione sessuale del bambino finché non disporremo circa la storia del caso, di nuovi successivi elementi. Ai fini di un'esatta valutazione della fobia dei lupi aggiungeremo soltanto che sia il padre che la madre erano diventati lupi. La madre aveva il ruolo del lupo castrato, che lasciava che gli altri gli salissero sopra; il padre assumeva il ruolo del lupo che monta. Però la paura del paziente, secondo quanto egli stesso ci dice, si riferiva solo al lupo in piedi, vale a dire al padre. Dovremmo rimanere colpiti dal fatto che la paura che interruppe il sogno aveva preso a modello la favola del nonno. Infatti in questa il lupo castrato, che si era fatto montare addosso gli altri, era stato colto da un improvviso spavento non appena gli era stato ricordato il fatto che era privo di coda. Sembra, dunque, che nel sogno si fosse identificato con la madre castrata e che ora lottasse contro questo fatto. Potremmo forse immaginarci che dicesse a se stesso: «Se vuoi essere soddisfatto sessualmente da tuo padre, devi lasciarti castrare come tua madre. Ma, non lo voglio». In poche parole questa era un'evidente protesta della sua virilità! Occorre per altro considerare che lo sviluppo sessuale del caso che stiamo studiando presenta un notevole svantaggio sotto il profilo dell'indagine, in quanto non risultò indenne da perturbamenti. In primo luogo fu fortemente influenzato dalla seduzione e poi il suo corso fu deviato dal fatto di aver assistito a un coito, i cui effetti ritardati ebbero lo stesso valore di una seconda seduzione.

5. Qualche osservazione

È stato detto che la balena e l'orso non possono attaccare battaglia perché ciascuno è confinato nel suo elemento e non si incontreranno mai. Similmente, è per me impossibile discutere con quegli psicologi e neurologi che non accettano i princìpi fondamentali della psicoanalisi e ne considerano i risultati artefatti. Tuttavia, in questi ultimi anni, è sorto un altro genere di opposizione, rappresentato da persone che prendono le mosse dal campo dell'analisi - tale almeno è la loro pretesa - e non ne mettono in forse la tecnica o i risultati, ma semplicemente si credono autorizzati a trarre dallo stesso materiale conclusioni diverse, sottomettendolo ad alte interpretazioni.

Ma, di solito, le diatribe sul piano teorico sono sterili. Come si comincia ad allontanarsi dal materiale cui si deve attingere, si corre subito il rischio di rimanere inebriati dalle proprie affermazioni, finendo col sostenere delle opinioni che un controllo sperimentale non mancherebbe di contraddire. Per questa ragione mi sembra infinitamente più utile controbattere le opinioni discordanti mettendole alla prova con casi e problemi particolari.

Ho già rilevato che certamente sarebbe apparso inverosimile, primo, che un bambino della tenera età di un anno e mezzo fosse in grado di percepire validamente un'azione talmente complessa, mantenendone inalterato il ricordo nell'inconscio; secondo, che fosse possibile per lui, rivivendo quelle impressioni all'età di quattro anni e mezzo, comprenderne il significato; terzo, che potesse esistere un processo psichico atto a riportare alla coscienza, in modo coerente e convincente, i particolari di una scena percepita e compresa in simili circostanze.

L'ultima di queste incertezze si riferisce semplicemente a un fatto, della cui possibilità potrà convincersi chiunque abbia la pazienza di portare un'analisi fino a questi livelli di profondità, attenendosi alla tecnica prescritta. Chi, invece, non vi si attenga e interrompa l'analisi a un livello più superficiale, rinuncia al suo diritto di formulare un giudizio in proposito. Comunque, tutto ciò non può alterare l'interpretazione di quanto è emerso da un'analisi del profondo.

Le altre due obiezioni si basano su una sottovalutazione delle impressioni della prima infanzia e sulla riluttanza ad attribuire loro effetti così duraturi. Coloro che sostengono questa opinione ricercano le cause della nevrosi quasi soltanto nei gravi conflitti della vita successiva. Essi credono che l'importanza della fanciullezza appare così grande ai nostri occhi, nel corso dell'analisi, perché i nevrotici hanno la tendenza a esternare loro interessi attuali tramite ricordi e simboli tratti da un remoto passato. Questo modo di concepire l'importanza dell'elemento infantile comporterebbe la scomparsa di molte cose che fanno parte delle caratteristiche più intrinseche dell'analisi, per quanto non vi sia dubbio che eliminerebbe molti aspetti che suscitano delle resistenze alla psicoanalisi e le alienano la fiducia del pubblico.

Dunque, ecco l'idea che intendiamo sottoporre a discussione: le scene della prima infanzia, che sono rivelate da un'esauriente analisi delle nevrosi (come, per esempio, nel caso attuale) non sono la rievocazione di fatti realmente accaduti, ai quali si possa attribuire un'influenza sul corso successivo della vita del paziente e sulla formazione dei sintomi; piuttosto si tratta di prodotti dell'immaginazione, che hanno origine nella vita adulta e hanno lo scopo di dare una specie di rappresentazione simbolica di desideri e interessi reali, nascendo da una tendenza regressiva, dalla tendenza a sottrarsi ai compiti del presente. Se così fosse, si potrebbe senz'altro fare a meno d'attribuire una tale congerie di strane idee alla vita psichica e alla capacità intellettuale di bambini in così tenera età.

A prescindere dal desiderio, che è comune a tutti, di razionalizzare e semplificare i nostri problemi difficili, molti fatti di ogni genere depongono a favore di questa opinione. Inoltre è possibile eliminare preventivamente una obiezione che potrebbe sorgere, soprattutto nella mente dell'analista pratico. Infatti si deve riconoscere che, se questo modo di concepire le scene della prima infanzia fosse giusto, non per questo la condotta dell'analisi subirebbe a tutta prima alcuna alterazione. Se i nevrotici possiedono la caratteristica negativa di distogliere i loro interessi dall'attualità per fissarli su questi sostituti regressivi, che sono i prodotti della loro fantasia, non resterebbe altro da fare che seguirne le tracce, riportando nella coscienza queste produzioni inconsce. Giacché se esse sono dal punto di vista della realtà prive di valore, ne hanno invece uno grandissimo per noi, quali portatrici e detentrici di quell'interesse che noi vogliamo liberare, per poterlo indirizzare verso i compiti attuali. Dunque l'analisi dovrebbe essere condotta come se credessimo ingenuamente alla realtà di queste fantasie. La differenza verrebbe in luce solo al termine dell'analisi, dopo aver messo a nudo le fantasie. A questo punto dovremmo dire al paziente: «Benissimo, dunque. La mia nevrosi è sviluppata come se lei avesse ricevuto queste impressioni nel corso dell'infanzia e avesse continuato ad elaborarle. Naturalmente capirà che non è possibile. Si trattava di produzioni fantastiche che avevano lo scopo di distoglierla da quelle incombenze reali che deve affrontare. E ora cerchiamo di vedere quali siano queste incombenze e da quali legami siano connesse alle sue fantasie». Dopo aver neutralizzato in tal maniera le fantasie infantili, si potrebbe intraprendere la seconda fase del trattamento, intesa a occuparsi della vita reale del paziente.

Qualsiasi abbreviazione di questo iter - ossia qualsiasi modifica del trattamento psicoanalitico, quale si è praticato fino ad oggi - diventerebbe tecnicamente inammissibile. Se le fantasie non verranno integralmente portate alla coscienza, il paziente non potrà assumere il controllo di quegli interessi che erano rimasti loro vincolati. Se l'attenzione del paziente viene distolta dalle fantasie non appena se ne sia intraveduta l'esistenza e la conformazione generale, non si fa altro che aiutare l'opera della rimozione, che le ha poste fuori della portata d'ogni suo sforzo. Se, poi, ne svalutiamo prematuramente l'importanza ai suoi occhi - facendogli sapere, per esempio, che si tratta soltanto di fantasie, prive di valore obiettivo, non potremo mai assicurarci la sua collaborazione per ricondurle alla coscienza. Pertanto, quale che sia il modo di valutare le scene infantili, un procedimento corretto non dovrà apportare alcuna modifica alla tecnica analitica.

Ho già detto che si possono addurre moltissimi fatti a sostegno dell'opinione che tali scene sono fantasie regressive. Ma tra tutti ve ne è uno più importante: da quanto mi è dato conoscere in base alla mia esperienza, le scene infantili non appaiono, durante il trattamento, sotto forma di ricordi, ma sono il prodotto di una ricostruzione. Certamente molti penseranno che basti quest'unico riconoscimento a decidere la controversia.

Non vorrei essere frainteso. Tutti gli analisti sanno - per averlo constatato infinite volte - che, nel corso di un trattamento che vada a buon fine, il paziente rievoca spontaneamente molti ricordi d'infanzia, che affiorano (la prima volta, almeno) senza che il medico se ne senta affatto responsabile, dato che non ha compiuto alcun tentativo di ricostruzione che possa aver introdotto un materiale del genere nella mente del paziente. Da questo non consegue necessariamente che tali ricordi, precedentemente inconsci, siano sempre veri. Potrebbero esserlo, ma, spesso, in essi la realtà è deformata e disseminata di elementi fantastici, nella stessa maniera dei cosiddetti ricordi di copertura che si conservano spontaneamente. Tutto ciò che voglio dire è che scene, come quella del mio paziente, che risalgono ad un'epoca tanto precoce della vita e hanno un tale contenuto, e che poi, in seguito, dimostrano di avere tanta importanza nella storia del caso, non vengono, di solito, riprodotte sotto forma di ricordi, ma devono essere intuite - costruite - gradualmente e a gran fatica, partendo da un insieme di indizi. Per di più, ai fini della discussione, basterebbe che io ammettessi che nei casi di nevrosi ossessiva queste scene non divengono coscienti sotto forma di ricordi, o anche che ne limitassi la validità solo a questo caso particolare.

Io non sono, tuttavia, dell'avviso che queste scene debbano necessariamente essere fantasie, soltanto perché non si manifestano come ricordi. Secondo me è assolutamente la stessa cosa se i ricordi sono sostituiti, come nel nostro caso, da sogni, la cui analisi ci riporta sempre alla medesima scena, riprodotta in tutti i suoi elementi con un'inesauribile varietà di forme. In effetti, sognare è un modo differente da ricordare, sia pure un modo sottoposto alle condizioni che vigono durante la notte e alle leggi della formazione dei sogni. Secondo me è questa continua ricorrenza nei sogni che induce, a poco a poco, il paziente nel profondo convincimento che le scene primarie erano reali, convincimento che non è, sotto nessun profilo, inferiore a quello fondato sul ricordo23.

Naturalmente i sostenitori dell'opinione contraria non dovranno ritirarsi dalla lotta contro questi argomenti, giudicandola perduta. Si sa che i sogni possono essere influenzati24, e la convinzione, provata dal soggetto analizzato, potrebbe essere opera di suggestione, dato che questa assume continuamente nuovi ruoli nel giuoco di forze del trattamento psicoanalitico. Si può dire che la differenza tra lo psicoterapeuta di stampo antico e lo psicoanalista consiste nel fatto che il primo ha l'abitudine di suggerire al paziente che è guarito, ha superato le inibizioni, e via di questo passo; mentre il secondo gli suggerisce, sempre agli stessi fini, che da bambino ha vissuto questa o quella esperienza, e ora deve ricordarla per poter guarire.

Vorrei che fosse ben chiaro come quest'ultimo tentativo di spiegazione, da parte dei miei contraddittori, finisce col far piazza pulita delle scene infantili in un modo più radicale di quanto non ci si attendesse all'inizio. Dapprima avevano detto che si trattava di fantasie, non di realtà; adesso sostengono che queste fantasie non appartengono al malato, bensì allo stesso curante, che le impone al soggetto dell'analisi sotto l'impulso di qualche complesso personale. Ora l'analista, che si senta muovere questo rimprovero, potrà tranquillizzarsi pensando con quale lenta pazienza si sia venuta formando la fantasìa, di cui sarebbe l'ispiratore, e in quanti punti essa sia emersa da sola senza alcun incitamento da parte sua. Potrà rilevare, inoltre, come, a partire da una certa fase del trattamento, tutto sembrava convergere verso quella fantasia, mentre più tardi, durante la sintesi, da essa scaturivano i risultati più vari e interessanti. Infine si renderà conto come quest'unico presupposto sia valso a chiarire non solo le questioni più importanti, ma anche le più minute particolarità del caso. Ma allora dichiarerà di non possedere l'abilità necessaria per tirar su di sana pianta una cosa che risponda a tutti questi requisiti. Neppure questa giustificazione sarà però efficace per un avversario che non abbia esperienza diretta di analisi. L'analista sarà accusato, da una parte, di aver sottilmente ingannato se stesso, dall'altra di ottusità di giudizio; in tutti i modi non arriverà a una definizione della controversia.

E ora prendiamo in esame un altro fattore che depone a favore dell'opinione dei nostri avversari in merito alle scene infantili. Ci viene detto: i processi psichici invocati al fine di dimostrare che queste strutture malcerte sono fantasie, sono indubbiamente reali, e non si può disconoscerne l'importanza. Il distogliere l'interesse dai compiti della vita reale25, l'esistenza di fantasie come formazioni sostitutive di azioni non realizzate, la tendenza regressiva che si manifesta in questi prodotti fantastici (regressione che agisce in più direzioni contemporaneamente, in quanto comporta sia una fuga dalla vita, sia un attaccamento al passato) costituiscono fatti di cui l'analisi ci dà continua conferma e dei quali dimostra la validità. Si potrebbe dunque ritenere che tutti questi fattori bastino a rendere ragione dei cosiddetti ricordi d'infanzia, che sono stati messi in discussione. Questa spiegazione dovrebbe, in omaggio al principio dell'economia della scienza, ricevere la preferenza rispetto ad un'altra che non possa sostenersi senza l'appoggio di presupposti nuovi e inconsueti.

A questo punto oserei affermare che coloro che sostengono quelle opinioni contrarie, che si trovano nella letteratura psicoanalitica attuale, vi sono arrivati seguendo il principio della pars prò toto. Si isola una porzione degli elementi attivi, che fanno parte di un complesso assai vasto, e la si presenta come la verità. Il resto, insieme con l'intero complesso, viene negato a favore di questa sola porzione. Un attento esame, inteso a scoprire quale gruppo di fattori sia oggetto di queste preferenze, ci rivela che si tratta di materiale già conosciuto in base ad altre fonti o di quanto può essere facilmente posto in relazione con esso. Così Jung trasceglie attualità e regressione, Adler i moventi egoistici. Ma allora, ciò che resta, e che viene rifiutato come falso, è proprio quello che ha di più nuovo e specifico la psicoanalisi.

È questo il modo più facile di respingerne i rivoluzionari e scomodi progressi.

È bene rilevare che non uno di questi fattori - avanzati dai fautori dell'opinione contraria, allo scopo di dare una spiegazione delle scene infantili - ha dovuto aspettare, per essere riconosciuto, che Jung lo presentasse come una novità. I concetti di conflitto attuale, di distacco dalla realtà, di soddisfazione sostitutiva ottenuta mediante la fantasia, di regressione verso il materiale del passato costituivano, già da anni, parte integrante della mia teoria (e, per di più, erano applicati allo stesso contesto, anche se, forse, la terminologia era leggermente diversa). Questi concetti, però, non esaurivano tutta la mia teoria. Essi costituivano solo una delle cause che danno luogo alla formazione delle nevrosi; e precisamente quella che, partendo dalla realtà, agisce in un senso regressivo. Accanto ad essa io facevo posto a un altro fattore che, prendendo le mosse dalle impressioni infantili, si orienta in avanti e indica la strada alla libido, quando questa si ritrae davanti alla vita, permettendoci di comprendere la regressione verso l'infanzia, altrimenti inesplicabile. Dunque, secondo me i due fattori concorrono alla formazione dei sintomi. Ma altrettanto importante mi sembra una più precoce cooperazione. Sono dell'avviso che l'influsso dell'infanzia è già operante nella situazione che esiste all'inizio della formazione di una nevrosi, in guanto ha un ruolo determinante nello stabilire se e quando l'individuo fallirà di fronte ai problemi effettivi dell'esistenza.

Oggetto della controversia rimane l'importanza del fattore infantile. Dovremo quindi reperire un caso clinico che permetta di confermare questa importanza al di sopra di ogni dubbio. Ora, proprio il caso che abbiamo dettagliatamente esposto in queste pagine, reso tipico dal fatto che una nevrosi dell'età adulta era stata preceduta da una nevrosi dell'infanzia, sembra rispondere a queste caratteristiche; ed è proprio per tale ragione che ho deciso di pubblicarlo. Se qualcuno pensasse di rifiutare questo caso, non ritenendo la zoofobia abbastanza importante da essere considerata quale nevrosi indipendente, gli ricorderei che a quella fobia fece seguito, senza intervallo, un cerimoniale ossessivo e, poi, una serie di atti e pensieri ossessivi, di cui parlerò nei capitoli seguenti.

L'esistenza di questa turba nevrotica nel quarto o quinto anno di età, prova, innanzi tutto, che le esperienze infantili sono sufficienti, da sole, a provocare una nevrosi, senza bisogno che vi concorra anche la fuga dinanzi ad un problema della vita reale. Si potrebbe obiettare che persino un fanciullo si trova sempre davanti a doveri che forse eviterebbe volentieri. Questo è vero, ma la vita di un bambino in età prescolare può essere studiata facilmente e quindi è possibile determinare se esistano «compiti» capaci di provocare una nevrosi. Tuttavia, non riusciamo a trovare altro se non gli impulsi istintivi, che egli non ha modo di soddisfare e che non sa dominare, essendo ancora troppo piccolo, insieme alle fonti da cui provengono.

Com'era prevedibile, la notevole brevità dell'intervallo tra l'insorgere della nevrosi e l'epoca delle esperienze infantili, di cui si tratta, ha ridotto a proporzioni minime l'elemento causale regressivo, mentre ha esaltato l'elemento progressivo, l'influenza delle prime impressioni. Spero che la descrizione del mio caso possa fornire un quadro ben chiaro di questo stato di cose. Ma vi sono anche altre ragioni per cui le nevrosi infantili possono dare una risposta definitiva circa la natura delle scene primarie, cioè delle prime esperienze infantili rivelate dall'analisi.

Ammettiamo, in via di premessa, che una scena primaria di questo genere sia stata ricostruita in modo tecnicamente corretto, che essa sia indispensabile alla risoluzione integrale di tutti gli enigmi posti dai sintomi della malattia infantile, che tutti gli effetti successivi provengano da essa e che tutte le fila dell'analisi vi convergano. In tal caso, avendo riguardo al suo contenuto, dovremo senz'altro ritenere la scena primaria quale riproduzione di una realtà vissuta dal fanciullo. Infatti questi, al pari dell'adulto, non può produrre fantasie senza ricorrere ad un materiale attinto a qualche fonte. Per i bambini taluni mezzi di acquisizione (come ad esempio la lettura) sono esclusi, mentre è ancor breve il tempo che essi hanno avuto a disposizione per acquisire il materiale; possiamo, dunque, essere facilmente in grado di sottoporlo ad esame per giungere a scoprirne le fonti.

Nel nostro caso il contenuto della scena primaria è la rappresentazione di un rapporto sessuale tra i genitori del bambino, compiuto in una posizione che si prestava molto bene all'osservazione. Qualsiasi prova della realtà di tale scena verrebbe a mancare, qualora l'avessimo trovata in un paziente i cui sintomi - vale a dire le conseguenze della scena stessa - si fossero manifestati nell'età adulta. Infatti, questo paziente avrebbe avuto a disposizione nel lungo periodo intermedio moltissime occasioni per accumulare impressioni, idee, conoscenze da trasformare in una rappresentazione immaginaria, proiettata nell'infanzia e attribuita ai genitori. Ma se gli effetti di una scena come questa si fanno sentire in un bimbo di quattro o cinque anni, significa che questi è stato testimone di tale scena in un'età precedente. Anche qui, tuttavia, ci troviamo davanti le sorprendenti conseguenze tratte dall'analisi di questa nevrosi infantile. Si potrebbe dunque pensare che il paziente non soltanto abbia creato inconsciamente con la fantasia la scena, ma anche il suo cambiamento di carattere, la paura del lupo e l'ossessione religiosa. Ma tutto ciò sarebbe contraddetto sia dalla mentalità, per il resto lineare, del paziente, sia dalla tradizione familiare. Non ci restano che questi due partiti (non vedo altre possibilità): o l'analisi fondata sulla nevrosi dell'infanzia è tutta una assurdità dalla prima all'ultima parola, oppure tutto si è svolto secondo la mia descrizione.

In un punto precedente della nostra trattazione, ci siamo imbattuti in un'ambiguità legata alla predilezione del paziente per le natiche femminili e per il rapporto sessuale compiuto in quella posizione che le fa essere particolarmente prominenti. Ci sembrò che quella preferenza dovesse necessariamente riallacciarsi al rapporto sessuale tra i

genitori, cui egli aveva assistito. D'altra parte, la stessa speciale preferenza si riscontra in tutte quelle costituzioni psichiche di tipo arcaico che sono predisposte alla nevrosi ossessiva. Ma questa contraddizione può essere facilmente risolta, considerandola come un caso di iperdeterminazione. In fin dei conti, il soggetto, che era stato visto compiere il rapporto in quella posizione, era proprio il padre del paziente, per cui quest'ultimo poteva averne ereditato la predilezione costituzionale. La successiva malattia del padre e l'anamnesi familiare del paziente non vi si oppongono: come si è detto, un fratello del padre era morto in condizioni che possono essere considerate l'esito di gravi disordini ossessivi.

A questo proposito possiamo ricordare che, al tempo in cui il bambino, di tre anni e mezzo, era stato sedotto dalla sorella, questa aveva profferito una strana calunnia contro la vecchia e buona bambinaia, dicendo che costei metteva tutti a testa in giù e poi ne prendeva i genitali. Non possiamo fare a meno di pensare che forse anche la sorella, in età altrettanto tenera, aveva assistito alla stessa scena, che più tardi fu vista dal fratello, e che fosse stata questa a suggerirle l'idea di persone che «stanno a testa in giù» durante l'atto sessuale. Questa ipotesi potrebbe anche renderci ragione della precoce sessualità della bambina.

In origine26 non avevo intenzione di seguitare a discutere oltre la realtà delle «scene primarie», ma avendo, in seguito, avuto occasione, nella mia Introduzione alla psicoanalisi (1916-17, Lezione xxm), di trattare l'argomento sotto un profilo più generico e senza finalità polemiche, trovo ora necessario applicare al caso che abbiamo sotto mano le considerazioni che in quella sede avevo esposto. Pertanto quanto segue va considerato come un'aggiunta e una modifica. La scena primaria, celata dietro il sogno, può essere suscettibile anche di un'altra interpretazione, la quale, per di più, contraddice in larga misura la conclusione cui siamo arrivati ed elimina parecchie difficoltà. La teoria, che cerca di ridurre le scene infantili a livello di simboli regressivi, non trarrà tuttavia alcun vantaggio neppure da questa modifica. Essa mi sembra definitivamente confutata dalla nostra analisi, come da ogni altra analisi, d'una nevrosi infantile.

Può dunque darsi un nuovo modo di spiegare la questione. È pur sempre vero che non possiamo fare a meno del presupposto che il bambino abbia assistito a un coito, dalla cui vista trasse la convinzione che la castrazione poteva essere più che una vana minaccia. Inoltre, l'importanza che, in seguito, egli attribuì alle posizioni dell'uomo e della donna, e che, da una parte, contribuì all'insorgere delle manifestazioni d'angoscia e, d'altra parte, divenne una condizione necessaria per potersi innamorare, ci fa intendere che si era trattato necessariamente di un coitus a tergo, more ferarum. Esiste anche un altro fattore, comunque non così indispensabile e che, quindi, può essere lasciato cadere. Forse il bambino non aveva assistito a un'unione sessuale tra i genitori, bensì tra animali, e solo dopo aveva trasposto questa immagine su di loro, come se avesse presunto che anch'essi si dovevano comportare nella stessa maniera.

Quest'opinione trova sostegno nel fatto che i lupi del sogno, in realtà, erano cani da pastore e questo è anche l'aspetto che hanno nel disegno. Poco prima del sogno il bambino era stato condotto più volte a vedere le greggi di pecore e poteva anche aver visto dei grandi cani bianchi, assistendo forse al loro accoppiamento. A questo proposito vorrei anche ricordare il numero tre27, introdotto dal paziente nella sua descrizione senza un motivo apparente, suggerendo che si poteva riferire al ricordo di aver visto tre volte i cani che si accoppiavano. Dunque nella notte del sogno, era successo che il bambino, nel clima eccitato dell'attesa, aveva trasferito sui genitori le immagini mnemoniche di recente acquisizione, con tutti i particolari, ciò che aveva reso possibili gli intensi effetti emotivi che seguirono. In quel momento era arrivato alla comprensione (ritardata) di percezioni ricevute qualche settimana o mese prima. (È un fenomeno che possiamo tutti probabilmente rinvenire nella nostra esperienza personale.)

La trasposizione dai cani che compivano il coito ai genitori era resa possibile non soltanto da una deduzione, esprimibile in parole, ma anche dalla rievocazione di un'immagine reale dei genitori che stavano insieme, immagine che poteva essere abbinata a quella di un'unione sessuale. Può darsi che la rievocazione della scena, ricostruita tramite l'analisi del sogno, fosse esatta anche nei particolari. Era veramente d'estate che il bambino soffriva di malaria, e, quando si era svegliato, i genitori erano realmente là tutti e due, vestiti di bianco, solo che... la scena era innocente. Era stato il bambino, che, avido di sapere, e spinto da un desiderio sorto in lui in seguito all'osservazione dei cani, aveva aggiunto il resto della scena (i genitori che facevano l'amore). Questa scena, immaginaria, aveva in seguito provocato tutti gli effetti che abbiamo elencato, né più né meno che se fosse stata interamente vera e non già formata dalla fusione di due componenti, la prima più antica e indifferente, la seconda più recente e profondamente impressionante.

Appare evidente come in questo modo si riduca di molto l'esigenza della nostra disponibilità a credere. Non occorre più credere che i genitori si accoppiassero in presenza del bambino, sia pure in tenerissima età, idea sgradevole per molti di noi. Il ritardo nella comparsa degli effetti della scena risulta molto diminuito, interessando solo pochi mesi del quarto anno di vita, senza più risalire ai primi oscuri anni dell'infanzia. Non può neppure apparirci strano il comportamento del bambino che proietta sui genitori quello che ha visto fare ai cani e ha paura del lupo anziché del padre. Il piccolo si trovava in quella fase evolutiva della sua visione del mondo che ho definito in

Totem e Tabù79, come ritorno al totemismo. Sebbene il nostro paziente non avesse che quattro anni, quest'ultima osservazione sembra dare un fortissimo appoggio alla teoria che cerca di spiegare le scene primarie, osservate nelle nevrosi, come fantasie retrospettive di epoca recente. Infatti, pur essendo molto piccolo, il paziente era tuttavia in grado di sostituire un trauma immaginario, avuto all'età di un anno e mezzo, con un'impressione reale vissuta a quattro anni. Ma questa regressione non mi pare affatto misteriosa o strana. Infatti la scena da costruire - date le circostanze di vita del soggetto - doveva necessariamente rispettare certe condizioni, che sussistevano solo in quell'età precoce, tale era, per esempio, la condizione rappresentata dall'essere a letto in camera dei genitori. Tuttavia, un altro elemento, che la mia esperienza analitica mi consente di dare per certo, parrà alla maggior parte dei lettori l'argomentazione definitiva a favore della esattezza della tesi qui proposta. L'analisi dei nevrotici rivela effettivamente che l'aver assistito, in tenera età, a rapporti sessuali tra i genitori (siano essi ricordo reale o fantasie) è un fatto alquanto comune, e forse altrettanto frequente tra i non nevrotici. Può darsi che si tratti di un elemento regolarmente presente nel patrimonio mnemonico cosciente o inconscio. Però, tutte le volte che l'analisi ha portato in superficie il ricordo di questa scena, vi ho scoperto una caratteristica che non ha mancato di stupirmi: si trattava sempre dell'immagine di un coitus a tergo, il solo che offra allo spettatore la possibilità di vedere chiaramente i genitali. Non vi dovrebbe, pertanto, essere alcun dubbio che si tratti d'una fantasia, nata, forse generalmente, dall'osservazione dell'accoppiamento animale. Ma v'è di più: ho già accennato che la mia descrizione della «scena primaria» rimaneva incompleta, essendomi riservato di descrivere più tardi il modo in cui il bambino aveva interrotto i rapporti tra i genitori. Adesso posso dire che l'interruzione è sempre identica.

A questo punto posso ben pensare di aver prestato il fianco a un violento attacco da parte dei lettori di questa storia clinica. Infatti, se ero al corrente fin da principio di tutte queste argomentazioni che convalidano tale modo di concepire la «scena primaria», perché mai dovevo ostinarmi in una concezione che parrebbe tanto assurda? Oppure, nell'intervallo tra la prima stesura della storia clinica e la presente appendice, ho compiuto nuove osservazioni, che mi hanno imposto di cambiare il modo originario di vedere, ma, per qualche ragione personale, sono restio ad ammettere il fatto? Piuttosto ammetterò un'altra cosa: voglio qui chiudere la discussione sulla realtà della scena primaria con un non liquet29. Ma questa storia clinica non è ancora finita: in seguito emergerà un altro fattore che scuoterà quella sicurezza che crediamo di possedere. Per ora penso che non mi resti altro da fare se non rinviare il lettore a quei brani della mia Introduzione alla psicoanalisi (1915-17), dove tratto il problema delle fantasie primarie e della scena primaria.

6. La nevrosi ossessiva

Ora il paziente andò soggetto, per la terza volta, a una nuova influenza che determinò una svolta decisiva nel suo sviluppo. Quando aveva quattro anni e mezzo e il suo stato di irritabilità e d'angoscia non accennava a diminuire, la madre pensò di fargli conoscere la Bibbia, allo scopo di distrarlo e di elevarne lo spirito. Per di più vi riuscì: l'iniziazione religiosa pose fine alla fase precedente, ma, nel contempo, sostituì dei sintomi ossessivi a quelli d'angoscia. Fino ad allora non gli riusciva di prendere sonno facilmente per paura di avere degli incubi come quello della notte antecedente il Natale. Ora, prima di andare a letto, era costretto a baciare tutte le immagini sacre della stanza, a recitare preghiere, a fare innumerevoli segni di croce su se stesso e sul letto.

Ora possiamo suddividere chiaramente la sua infanzia nei seguenti periodi: il primo, dalle origini alla seduzione, a tre anni e tre mesi (quando ebbe luogo la scena primaria); il secondo, che fu il periodo del cambiamento di carattere e arriva fino al sogno d'angoscia (a quattro anni); il terzo, dalla fobia per gli animali fino all'iniziazione religiosa (quattro anni e mezzo); infine, un periodo di nevrosi ossessiva che si protrae oltre il decimo anno. Tuttavia, né la natura delle cose né l'indole del paziente permettevano che il passaggio da una fase all'altra fosse netto e istantaneo. Fu anzi sempre possibile rilevare in lui la persistenza di elementi antecedenti e, quindi, la coesistenza di correnti d'ogni genere. La cattiveria non cessò all'apparire dell'angoscia, anzi, persisteva, sia pure in lenta diminuzione, nella fase religiosa. In questa fase, però, non era più presente la fobia per il lupo. La nevrosi ossessiva seguì un corso discontinuo: il primo attacco fu il più intenso e il più lungo; altri attacchi seguirono all'età di otto e dieci anni, sempre in seguito a stati di eccitazione la cui causa era nettamente correlata al contenuto della nevrosi.

Era la madre stessa che gli raccontava la storia sacra, ma gliela faceva anche leggere dalla «nania» in un libro pieno di figure. Ovviamente la narrazione si fermava di più sul racconto della passione. La «nania», donna assai pia e superstiziosa, faceva dei commenti personali, ma era anche costretta ad ascoltare tutte le obiezioni e i dubbi del giovane critico. Se i conflitti, che cominciavano ad agitarsi nella sua mente, finirono con la vittoria della fede, ciò non avvenne senza che la «nania» vi avesse una parte importante.

A tutta prima io accolsi con assoluta incredulità quello che il paziente mi diceva delle sue prime reazioni a questa iniziazione. Non era possibile - pensavo - che un bambino di quattro anni e mezzo o di cinque anni potesse avere simili pensieri; era più probabile che proiettasse in quel lontano passato i pensieri nati dalla riflessione di un adulto di trent'anni30. Ma il paziente non accettò questa rettifica. Non riuscii a convincerlo, come invece avveniva in molti altri casi di divergenze di opinioni tra di noi. Anzi, alla fine, la corrispondenza tra i pensieri che rievocava e i sintomi che mi descriveva dettagliatamente, così come il modo in cui essi si inserivano nel suo sviluppo sessuale mi obbligarono a credergli. Allora dovetti ammettere che solo una piccolissima percentuale di adulti era capace di avanzare quelle critiche sulle dottrine religiose, che io ero restio ad attribuire a un bambino.

Ora esamineremo il contenuto di quei ricordi, e solo dopo proverò a indicare la via che conduce alla loro comprensione.

Come egli stesso mi disse, le prime impressioni ricevute dalla storia sacra non furono affatto gradevoli. Innanzitutto egli insorse contro il carattere doloroso della figura di Cristo, poi contro tutto l'insieme della sua storia. Prese a considerare Dio padre con un atteggiamento di critica e di insoddisfazione. Se egli era onnipotente, era colpa sua se gli uomini erano malvagi, tormentavano gli altri e finivano all'inferno. Perché non li aveva creati buoni? Era lui il responsabile di tutto il male e di tutte le sofferenze. Il bambino si sentiva profondamente contrariato dall'idea di dover porgere l'altra guancia e dal fatto che Cristo sulla croce31 aveva desiderato che quel calice venisse allontanato da lui e nessun miracolo era avvenuto a dimostrazione ch'egli fosse figlio di Dio. Dunque il suo acume era sempre desto e sapeva individuare senza rimorsi, ma con serietà, i punti deboli del sacro racconto.

A queste critiche razionalistiche vennero, tuttavia, presto ad aggiungersi dubbi e ripensamenti che tradivano l'influenza di nascosti impulsi istintivi. Una delle prime domande rivolte alla «nania» era se Cristo avesse anche lui il sedere. La «nania» gli disse che Egli era un Dio, ma anche un uomo, e come uomo aveva e faceva tutto quello che hanno e fanno gli altri uomini. Non ne rimase punto soddisfatto, ma riuscì a consolarsi dicendosi che, in fin dei conti, il posteriore è la continuazione delle gambe. Aveva appena calmato il suo terrore di dover umiliare la sacra figura, che subito gli venne in mente un altro interrogativo: anche Cristo andava di corpo? Non osò formulare la domanda alla pia «nania», ma trovò da solo una via d'uscita, migliore di quella che la «nania» avrebbe potuto dargli. Siccome Cristo aveva creato il vino dal nulla, poteva anche trasformare il cibo in nulla, evitando in questo modo di defecare.

Comprenderemo meglio queste elucubrazioni rifacendoci ad una parte del suo sviluppo sessuale, già ricordata. Sappiamo che, dopo il rifiuto della «nania», con la conseguente rimozione dell'esordiente attività genitale, la sua vita sessuale si rivolse al sadismo e al masochismo. Tormentava o maltrattava piccoli animali, fantasticava di picchiare i cavalli, mentre, d'altro canto, immaginava di essere l'erede al trono e di essere picchiato32. Nel suo sadismo manteneva l'antica identificazione col padre, mentre nel masochismo sceglieva il padre stesso quale oggetto sessuale. Si trovava pienamente in quella fase della organizzazione pregenitale, che io considero come la disposizione alla nevrosi ossessiva. L'effetto del sogno, che lo aveva riportato sotto l'influsso della scena primaria, avrebbe potuto fargli compiere un passo verso l'organizzazione genitale, trasformando il masochismo verso il padre in un atteggiamento femminile nei suoi confronti, ossia in omosessualità. Però il sogno non provocò tale progresso, perché sfociò in uno stato di angoscia. Il rapporto col padre aveva buone probabilità di passare dallo scopo di essere battuto a quello successivo, vale a dire di essere posseduto da lui come una donna; ma, in effetti, grazie all'opposizione della sua virilità narcisistica, questa relazione venne respinta fino a uno stadio ancor più primordiale. Fu spostata su un sostituto del padre e contemporaneamente scissa in forma di paura d'essere divorato dal lupo. Con tutto ciò non venne affatto eliminata; anzi, per avere un'esatta valutazione dello stato di cose in quel tempo, bisogna tener presente che in lui coesistevano tre aspirazioni sessuali rivolte verso il padre. Dopo la notte del sogno, nell'inconscio fu omosessuale e nella nevrosi si trovò al livello del cannibalismo, mentre l'atteggiamento dominante rimaneva sempre quello precedente, cioè il masochismo. Tutte e tre le correnti avevano finalità sessuali passive: l'oggetto era sempre lo stesso, e identico era anche l'impulso sessuale, scisso, però, secondo tre livelli differenti.

La conoscenza della storia sacra gli dette l'opportunità di sublimare il suo preponderante atteggiamento masochistico verso il padre. Si identificò in Cristo, cosa particolarmente facile per lui, data la coincidenza dei compleanni. Divenne quindi qualcosa di grande e per di più (fatto cui allora non fu data l'importanza che meritava) un personaggio virile. Quando il bambino si chiedeva se anche Cristo avesse un didietro ci forniva indizi sul suo atteggiamento omosessuale rimosso, in quanto l'interrogativo non era che l'espressione di questa domanda: potrò anch'io essere usato da mio padre come una donna, come mia madre nella scena primaria? Quando arriveremo alla soluzione delle altre idee ossessive, troveremo la conferma di questa interpretazione. Il suo timore di essere irriverente pensando certe cose della sacra immagine di Cristo corrispondeva alla rimozione della sua omosessualità passiva. Notiamo come egli si sforzasse di tenere la nuova sublimazione pura da inquinamenti derivanti dal materiale rimosso. Ma non ci riusciva.

Non afferriamo ancora perché il bambino si ribellasse anche contro la passività del carattere di Cristo e contro il maltrattamento infertogli dal Padre, ma, in tal modo, egli rinunciò a poco a poco al precedente ideale masochistico, persino nella forma sublimata. Si può ben immaginare come questo secondo conflitto risultasse particolarmente favorevole all'emersione delle idee ossessive blasfeme proprie del primo conflitto (tra la corrente masochista, dominante, e quella rimossa omosessuale) essendo perfettamente naturale che in un conflitto psichico tutte le correnti appartenenti all'uno o all'altro gruppo - pur nella loro origine diversissima - si sommino fra di loro. Alcuni elementi di nuova acquisizione ci indicano il motivo di questa ribellione e, nel contempo, quello delle critiche rivolte contro la religione.

Anche le sue ricerche sessuali trassero qualche vantaggio da ciò che aveva appreso dalla storia sacra. Fino ad allora non aveva alcuna ragione per pensare che i bambini nascessero soltanto dalle donne. Al contrario, la «nania» gli aveva fatto credere che lui era figlio di suo padre, mentre la sorella era figlia della madre. Questa più intima relazione col padre gli era apparsa preziosa. Venne ora a sapere che Maria era chiamata Madre di Dio. Dunque tutti i bambini nascevano dalle donne e non era più possibile credere a quanto gli aveva raccontato la «nania». Inoltre, in seguito a quanto gli avevano detto, era estremamente incerto su chi fosse il vero padre di Cristo. Era portato a credere che fosse Giuseppe dato che gli avevano insegnato che Giuseppe e Maria erano sempre vissuti insieme, ma la «nania» gli disse che Giuseppe era come il padre, mentre il vero padre era Dio. Lui ci capiva ben poco; quello che riusciva a comprendere era - se dopo tutto gli era possibile concludere qualcosa - che il rapporto tra padre e figlio non doveva essere così intimo come fino ad allora s'era figurato.

Il bambino aveva colto qualche indizio di quei sentimenti ambivalenti verso il padre che costituiscono un elemento di fondo presente in tutte le religioni e si scagliava contro la propria a causa dell'allentamento dei rapporti tra padre e figlio che essa comportava. Ovviamente la sua opposizione cessò ben presto di esprimersi sotto forma di dubbi sulla verità della dottrina e, invece, si rivolse contro la persona di Dio. Dio aveva trattato duramente e crudelmente suo figlio, e non era migliore verso gli uomini. Aveva sacrificato suo figlio e aveva imposto ad Abramo di fare altrettanto. Cominciò ad avere paura di Dio.

Se lui era Cristo, suo padre allora era Dio. Ma il Dio che gli era imposto dalla religione non era un vero sostituto del padre che aveva amato e che non voleva gli fosse rubato. Era appunto questo amore per il padre a dargli tanto acume critico. Resisteva a Dio per potersi attaccare al padre e, con questo, in realtà difendeva il vecchio padre contro il nuovo. Si trovava ad attraversare una delle fasi più dure del processo di distacco dal padre.

Dunque, la fonte dell'energia che lo faceva combattere contro Dio, e della sua acutezza nel criticare la religione, gli veniva dal suo antico amore per il padre, nato già nei tempi più remoti. Tuttavia, neanche l'ostilità verso il nuovo Dio era un atto originale, in quanto aveva il suo prototipo in un impulso ostile contro il padre, impulso svelatosi per effetto del sogno, e non costituiva in fondo che una reviviscenza di esso. Le due opposte correnti di sentimento, che avrebbero retto tutta la sua vita futura, si fondevano insieme in questo conflitto ambivalente sul problema religioso. Inoltre, quanto scaturiva da questa lotta interiore sotto forma di sintomo (idee blasfeme, coazione a pensare «Dio-merda», «Dio-porco»), costituiva dunque un vero e proprio prodotto di compromesso, come potremo confermare analizzando queste idee in rapporto all'erotismo anale.

Anche altri sintomi ossessivi meno caratteristici erano certamente collegati al padre e, nello stesso tempo, erano un chiaro indizio del rapporto esistente tra la nevrosi ossessiva e avvenimenti remoti.

Una parte dei cerimoniali religiosi con cui, in sostanza, espiava le sue bestemmie, era rappresentata dall'ordine di respirare profondamente in determinate situazioni. Tutte le volte che si faceva il segno della croce era obbligato a inspirare profondamente o a espirare con energia. Nella sua madrelingua «respiro» e «spirito» sono la stessa parola, per cui esisteva nella pratica anche un riferimento allo Spirito Santo. Egli era costretto a inspirare lo Spirito Santo o ad espirare gli spiriti maligni, di cui aveva sentito parlare e aveva letto33. Inoltre incolpava gli spiriti maligni dei pensieri blasfemi per via dei quali doveva sottoporsi a una penitenza tanto severa. Era però anche costretto a espirare se vedeva mendicanti, storpi, deformi, vecchi e miserabili, sebbene non gli venisse nemmeno in mente di mettere questa coazione in rapporto con gli spiriti. La sola spiegazione che sapeva darsi era che lo faceva per non diventare come quelle persone.

Alla fine, in seguito a un sogno, l'analisi potè dimostrare che la coazione a emettere il respiro alla vista di persone dall'aspetto pietoso era insorta solo dopo il compimento dei sei anni ed era collegata a suo padre. Erano molti mesi che non lo vedeva, quando, un giorno, la madre disse ai figli che li avrebbe condotti in città a vedere una cosa che avrebbe fatto loro molto piacere. Li condusse in una casa di cura, dove rividero il padre; questi appariva ammalato e il piccolo se ne addolorò. Il padre, quindi, era il prototipo di tutti gli storpi, gli accattoni e i poveretti davanti ai quali era costretto a espirare, né più né meno di come il padre è il prototipo di tutti i volti paurosi che appaiono negli stati d'angoscia e delle caricature che si disegnano per irridere qualcuno. Più avanti verremo a sapere che questo atteggiamento di compassione era nato da un dettaglio specifico della scena primaria, dettaglio che assunse un ruolo attivo nella nevrosi ossessiva solo in questa fase più tarda.

Dunque, questa sua decisione di non diventare come quelle persone deformi (decisione che costituiva il motivo dell'espirazione forzata alla loro presenza) altro non era che la vecchia identificazione con il padre trasformata in senso negativo. Con questa azione, tuttavia, egli imitava il padre anche in senso positivo, perché il respiro forzato era una riproduzione del rumore prodotto dal padre, che aveva udito al momento del rapporto sessuale34. Da questo segno di eccitazione sensuale maschile egli aveva tratto il suo Spirito Santo. La rimozione aveva trasformato questo respiro in uno spirito maligno, il quale aveva anche un'altra origine, vale a dire la malaria di cui soffriva al tempo della scena primaria.

Il suo rigetto degli spiriti maligni corrispondeva a un'inconfondibile tendenza ascetica che si esprimeva anche in altre reazioni. Un giorno gli avevano raccontato che Cristo aveva fatto entrare i demoni in un gruppo di maiali, che poi si erano gettati in un precipizio. Questo gli aveva fatto venire in mente un episodio, accaduto alla sorella quando era molto piccola, ed egli non era ancora in grado di potersene rammentare. Mentre camminava sulle rocce la bambina era caduta giù fino alla spiaggia. Dunque anche la sorella era uno spirito maligno e un maiale. Da qui a «Dio-porco» il cammino era breve. Anche il padre gli aveva dimostrato di non essere meno schiavo della sensualità. Quando gli fu narrata la storia degli inizi del genere umano fu colpito dalla somiglianza tra la sua sorte e quella di Adamo. Parlando con la «nania» aveva esternato uno stupore ipocrita per il fatto che Adamo si fosse lasciato trascinare alla perdizione da una donna e le promise che non si sarebbe mai sposato. In quel tempo esisteva in lui una profonda ostilità verso le donne, insorta a causa della seduzione da parte della sorella. Questa ostilità doveva provocargli seri guai nella futura vita amorosa. Per lui la sorella si trasformò in una incarnazione permanente della tentazione e del peccato. Dopo essersi confessato si sentiva puro e senza macchie. Ma poi gli compariva l'immagine della sorella che giaceva in attesa di trascinarlo nuovamente nel peccato e, alle prime occasioni, entrava in lite con lei, sentendosi di nuovo peccatore. Era allora costretto a rievocare più e più volte l'episodio della seduzione. Inoltre, non aveva mai espresso i suoi pensieri blasfemi in confessione, per quanto rappresentassero per lui un grave fardello psichico.

Quasi senza accorgercene abbiamo finito col prendere in considerazione i sintomi appartenenti agli ultimi anni della nevrosi ossessiva; sorvoleremo, quindi, sugli avvenimenti del periodo intermedio e descriveremo l'ultima fase della nevrosi. Sappiamo che questa, pur essendo costantemente intensa, di tanto in tanto subiva ulteriori aggravamenti: uno di essi coincise con la morte di un bambino che abitava nella medesima strada, e con il quale si era identificato. Questo, comunque, è un episodio che per ora rimane inspiegabile. Quando aveva dieci anni, studiava con un precettore tedesco che ben presto esercitò un grande ascendente su di lui. E molto interessante notare come tutta la sua ardente devozione si dileguò, per non ritornare mai più, non appena si accorse, in seguito a un'istruttiva conversazione con lui, che questo sostituto del padre non dava peso all'osservanza religiosa e non aveva fede nelle verità della dottrina. La sua religiosità si estinse con il venir meno della sua dipendenza dal padre, ora sostituita da questo nuovo padre più socievole. Fu però un fenomeno

Ammettendo la realtà della scena primaria. che non potè avere luogo se non dopo un'ultima recrudescenza della nevrosi ossessiva; infatti ricordava di questo periodo l'idea coatta di pensare alla Trinità quando vedeva tre mucchietti di sterco vicini per la strada. Né manifestava mai un'idea nuova se prima non faceva un ultimo tentativo di avvinghiarsi a quanto aveva ormai perso valore per lui. Quando il precettore lo dissuase dal compiere atti crudeli ai danni degli animaletti, egli cessò effettivamente di compiere questi misfatti, ma non prima di aver fatto a pezzi un'ultima volta, con grande soddisfazione, alcuni bruchi. Seguitava a comportarsi in questa stessa maniera anche durante il trattamento analitico, dimostrando di avere delle «reazioni negative» transitorie. Ogni volta che un dato elemento risultava perfettamente chiarito, egli cercava di opporsi per qualche tempo mediante una recrudescenza del sintomo risolto. Lo stesso contegno si osserva generalmente nei bambini di fronte alle proibizioni. Se sono stati rimproverati di qualche cosa (per esempio perché stanno facendo un chiasso insopportabile) ripetono un'ultima volta l'azione proibita prima di smettere. In questo modo si creano l'illusione di avere smesso di spontanea volontà, trasgredendo il divieto.

Sotto l'influenza del precettore venne a manifestarsi una nuova, migliore sublimazione del sadismo, che, con la pubertà, aveva preso il sopravvento sul masochismo. Fu preso da entusiasmo per le cose militari - divise, armi, cavalli - con le quali alimentava continui sogni ad occhi aperti. Dunque, sotto l'influenza di un uomo, si era liberato dai suoi atteggiamenti di passività e, per il momento, seguiva una condotta normale. Fu per un effetto postumo del suo attaccamento a questo precettore tedesco, andato via subito dopo, che nella vita successiva ebbe sempre una preferenza per le cose tedesche (come, per esempio, medici, case di cura, donne) rispetto a quelle del suo paese natale (che rappresentava il padre). Tra parentesi: questo fatto risultò di grande aiuto per il transfert durante il trattamento.

Fece anche un altro sogno, che risale al periodo antecedente alla sua emancipazione operata dal precettore e che riferisco ora, perché rimase nell'oblio fino al tempo del trattamento. Gli sembrava di andare a cavallo, inseguito da un bruco colossale. Il paziente riconobbe in questo sogno un'allusione a un sogno precedente, che avevamo interpretato da un pezzo, e che apparteneva al periodo antecedente la venuta del precettore. In questo sogno vedeva il diavolo vestito di nero in posizione eretta come il lupo e il leone che, a suo tempo, lo avevano tanto spaventato. Il diavolo additava coll'indice teso una chiocciola gigante. Il paziente aveva capito quasi subito che questo diavolo era il demone di un famoso poema35, mentre il sogno in sé era una versione di una rappresentazione molto popolare in cui si vede una scena d'amore tra il diavolo e una ragazza. La chiocciola prendeva il posto della donna, essendo un perfetto simbolo sessuale femminile. Guidati dal gesto indicatore del demonio, riuscimmo ben presto a capire che il sogno voleva significare che il paziente desiderava ardentemente che qualcuno gli desse le ultime nozioni che gli mancavano per risolvere definitivamente l'enigma del rapporto sessuale, i primi elementi del quale gli erano stati dati dal padre nella scena primaria di tanti anni prima.

A proposito del sogno più recente, in cui al posto del simbolo femminile ve ne era uno maschile36, si ricordava di un avvenimento che risaliva a poco tempo prima del sogno. Un giorno, mentre andava a cavallo per la tenuta, era passato vicino a un contadino che dormiva con accanto il figlioletto. Questo aveva svegliato il padre, e gli aveva detto qualche cosa, al che il padre aveva cominciato a lanciare ingiurie contro il cavaliere e a inseguirlo finché non era fuggito al galoppo. Vi era anche un secondo ricordo in cui vedeva, sempre in quella tenuta, degli alberi che sembravano bianchi, perché ricoperti di filamenti prodotti dai bruchi. È facile capire come, avendo compreso che l'episodio del contadino e del figlio era una fantasia, egli se ne volesse allontanare ed evocava allora il ricordo degli alberi biancheggianti per alludere al sogno di angoscia in cui i lupi bianchi stavano sul noce. Questa, dunque, era un'aperta irruzione della sua paura per l'atteggiamento femminile verso l'uomo nei confronti del quale si era dapprima difeso mediante la sublimazione religiosa e poi, ancor più efficacemente, con quella militare.

Comunque sarebbe un grave errore credere che non restasse alcun effetto permanente della nevrosi ossessiva dopo l'eliminazione dei suoi sintomi. Il processo psichico aveva condotto alla vittoria della fede e della devozione sullo spirito di ribellione dell'indagine critica. Tale vittoria esigeva, come condizione necessaria, la rimozione delle tendenze omosessuali. Ma questi due fatti comportarono durevoli svantaggi: dopo questa prima grande sconfitta la sua attività intellettuale fu gravemente menomata; il suo desiderio di apprendere venne meno e in lui non vi era più nulla di quell'acutezza con la quale, alla tenera età di cinque anni, aveva criticato e vivisezionato le dottrine religiose. La rimozione della sua strapotente omosessualità, realizzatasi al momento del sogno d'angoscia, faceva sì che quell'importante corrente pulsionale restasse nell'ambito dell'Inconscio, mantenendosi orientata verso il suo obiettivo originario e sottratta a quelle sublimazioni di cui altrimenti sarebbe stata suscettibile. Per questa ragione il paziente venne a mancare di tutti gli interessi sociali che danno un senso alla vita. Questa situazione presentò un certo miglioramento solo quando, durante il trattamento psicoanalitico, fu possibile liberare la sua omosessualità incatenata. Fu allora un'esperienza estremamente interessante osservare come, senza ricevere alcuna stimolazione da parte del medico, ogni frammento di libido omosessuale liberata cercasse di rivolgersi alla vita e di applicarsi ai grandi interessi comuni a tutta l'umanità.

7. Erotismo anale e complesso dì castrazione

Devo pregare il lettore di non dimenticare che sono riuscito a raccogliere questa anamnesi di una nevrosi infantile quale sottoprodotto, potremmo dire, dell'analisi di una malattia appartenente agli anni maturi. Quindi sono stato costretto a ricomporla, mettendo insieme frammenti anche più piccoli di quelli di cui si dispone abitualmente ai fini di una sintesi. Questo compito, non difficile sotto altri aspetti, trova la sua naturale limitazione nella necessità di riportare su un piano descrittivo, bidimensionale, una struttura che in sé è pluridimensionale. Pertanto mi debbo accontentare di presentare elementi frammentari che il lettore potrà riunire in un tutto vivente. Come abbiamo più volte ripetuto, la nevrosi ossessiva che abbiamo descritto si sviluppò sul terreno di una costituzione sadico-anale. Finora, però, abbiamo trattato solo uno dei due fattori essenziali: il sadismo del paziente e le sue trasformazioni. Tutto quel che interessa il suo erotismo anale è stato volutamente accantonato per poterne parlare in uno stadio più avanzato.

Gli analisti sono del parere, ormai da molto tempo, che le molteplici correnti istintive, che si riuniscono sotto il nome di erotismo anale, hanno un ruolo importantissimo nella formazione della vita sessuale e dell'attività psichica in genere, tanto che non si insiste mai troppo sulla loro importanza. Si è anche d'accordo che una delle principali manifestazioni della trasformazione dell'erotismo, che risale a questa fonte, è il modo di considerare il denaro. Infatti, nel corso della vita, questa cosa preziosa attira a sé quell'interesse psichico che, in origine, era rivolto alle feci, prodotto della regione anale. Secondo noi l'interesse per il denaro, quando è un interesse libidico senza caratteri di razionalità, si riallaccia al piacere dell'escrezione, per cui presumiamo che le persone normali abbiano col denaro rapporti assolutamente privi di influssi libidici e si regolino in conformità alle esigenze reali.

Questi rapporti erano alterati in modo particolarmente grave nel nostro paziente al tempo della sua ultima malattia e costituivano un non trascurabile fattore della sua mancanza di indipendenza e della sua incapacità di affrontare la vita. I lasciti del padre e dello zio lo avevano reso molto ricco e, naturalmente, annetteva grande importanza al fatto che questa sua condizione fosse riconosciuta e si sentiva urtato se veniva sottovalutato sotto questo rispetto. Non aveva però la minima idea dell'ammontare dei suoi averi, di quali fossero le spese o le entrate. Era difficile dire se era avaro o spendaccione. Si comportava ora in un modo, ora nell'altro, senza che mai si riuscisse a comprendere il movente del suo comportamento. Alcuni tratti fondamentali del carattere, di cui ci occuperemo in seguito, potevano farlo ritenere un indurito riccone che considerava la propria ricchezza come il massimo bene personale e che non avrebbe mai permesso che i sentimenti potessero, neppure per un istante, influire sugli interessi finanziari. E invece non valutava gli altri in base ai loro averi: anzi, in molti casi si dimostrava disinteressato, umanitario e caritatevole. Infatti il denaro era stato sottratto al controllo della sua coscienza e, per lui, rappresentava qualcosa di molto diverso.

Ho già detto quali sospetti destasse in me il suo modo di consolarsi della perdita della sorella, che negli ultimi anni era diventata la sua più intima amica, e il suo modo di consolarsi dicendosi che ora non avrebbe più dovuto dividere con lei l'eredità paterna. Ma quello che, forse, mi colpiva maggiormente era l'imperturbabilità con la quale mi raccontava il fatto, quasi non si rendesse conto della grettezza dei sentimenti che mi confessava. È vero che l'analisi lo riabilitò, rivelando che il dolore per la perdita della sorella era semplicemente andato incontro ad uno spostamento. A questo punto, però, rimaneva del tutto inspiegabile perché dovesse trovare un sostituto della sorella in un incremento della sua ricchezza.

Egli stesso si stupì del proprio comportamento in un'altra occasione. Dopo la morte del padre, la proprietà che rimaneva fu suddivisa tra la madre e lui. Era lei ad amministrare gli averi e, come egli stesso riconosceva, veniva incontro puntualmente e generosamente alle sue richieste di denaro. Eppure qualsiasi discussione su argomenti finanziari, che si svolgesse tra di loro, finiva immancabilmente con aspre recriminazioni da parte di lui. La rimproverava di non amarlo, di cercare di economizzare a sue spese, e che avrebbe voluto vederlo morto per poter essere la sola a disporre di tutta la sostanza. La madre affermava, tra le lacrime, il suo disinteresse, ed egli finiva per dichiarare con vergogna che non pensava nulla di quello che aveva detto. Era però sicuro che, alla prima occasione, la scena si sarebbe ripetuta.

Molti avvenimenti, un paio dei quali riferirò qui, dimostrano che, già molto tempo prima dell'analisi, le feci avevano avuto per lui il significato di denaro. In un periodo in cui i suoi intestini non avevano ancora parte nei suoi disturbi nervosi, era andato a far visita a un cugino povero in una grande città. Dopo essersi congedato da lui si era rimproverato di non avergli mai dato un aiuto finanziario e, immediatamente, aveva provato «il più urgente bisogno di vuotare gli intestini che mai avesse sentito in vita sua». Infatti due anni dopo concesse un vitalizio annuale a questo cugino. Ed ecco l'altro caso. A diciotto anni, mentre si preparava agli esami di licenza, andò a far visita a un amico e concordò con lui un piano che sembrava loro conveniente, data la paura comune di una bocciatura37 all'esame38.

Avevano deciso di corrompere il bidello e, naturalmente, il mio paziente avrebbe concorso con la parte maggiore della somma. Mentre tornava a casa, pensò che sarebbe stato disposto a dare anche di più pur di cavarsela, pur di essere sicuro che all'esame sarebbe andato tutto bene; ma per strada, prima di raggiungere il portone, gli capitò realmente un incidente39, di tutt'altra natura.

A questo punto non ci stupiremo nell'apprendere che, durante la sua recente nevrosi, il paziente fu colpito da ostinati disturbi della funzione intestinale, sempre presenti anche se variabili per intensità a seconda delle circostanze. Quando iniziò il trattamento presso di me era abituato da un pezzo agli enteroclismi, che gli venivano praticati da un domestico. L'evacuazione spontanea poteva mancare anche per mesi di seguito, tranne quando riceveva un'improvvisa eccitazione derivante da una certa fonte, dopo di che i suoi intestini riprendevano la loro normale attività per qualche giorno. La causa principale delle sue sofferenze era la sensazione che il mondo fosse nascosto ai suoi occhi da un velo, o che un velo si interponesse tra lui e il mondo. Questo velo si squarciava soltanto in un determinato momento: quando, dopo l'enteroclisma, il contenuto intestinale usciva dal tubo digerente. Allora si sentiva di nuovo bene e normale40. Il collega, dal quale mandai il paziente per una diagnosi delle condizioni intestinali, fu abbastanza perspicace da riconoscere la natura funzionale dei disturbi, dichiarandoli di probabile origine psichica e astenendosi da qualsiasi trattamento farmacologico. Del resto né le medicine, né la dieta avevano alcun effetto. Durante gli anni di trattamento, l'intestino del paziente rimase sempre incapace di motilità spontanea, salvo gli episodi sporadici che ho ricordato. Il paziente si lasciò convincere che una cura più drastica avrebbe soltanto peggiorato le condizioni del suo intrattabile apparato digerente, per cui si limitava a procurarsi un'evacuazione una o due volte la settimana ricorrendo agli enteroclismi o alle purghe.

Parlando di questi disturbi intestinali, mi sono dilungato sulla malattia attuale del paziente più di quanto non fosse mia intenzione, dato che questo mio scritto tratta solo della sua nevrosi infantile. L'ho fatto per due ragioni: primo, perché i disturbi intestinali erano passati con poche modificazioni nella nevrosi successiva; secondo, perché ebbero un ruolo fondamentale nella conclusione del trattamento.

Sappiamo quanto sia importante il dubbio per il medico che analizza una nevrosi ossessiva. Il dubbio è l'arma più forte del paziente, lo strumento preferito dalla sua resistenza. Questo stesso dubbio permetteva al paziente di trincerarsi dietro una rispettosa indifferenza, facendo in modo che gli sforzi del curante lo sfiorassero appena per anni e anni. Non cambiava mai nulla e non c'era verso di convincerlo. Alla fine compresi l'importanza che i disturbi intestinali potevano avere per i miei scopi. Essi costituivano una di quelle manifestazioni isteriche che si trovano alla base delle nevrosi ossessive. Promisi al paziente di guarirlo completamente, di fargli riprendere in pieno la

funzione intestinale e, grazie a questa promessa, potei rendere manifesta la sua incredulità. Allora ebbi la soddisfazione di veder svanire il suo dubbio quando, nel corso del trattamento, i suoi intestini, come qualsiasi organo colpito dall'isteria, cominciarono a «entrare nella conversazione», ricuperando in poche settimane la funzione menomata da lunghissimo tempo.

E ora ritorniamo all'infanzia del paziente, ad un'età in cui non era possibile che le feci avessero per lui il significato di denaro.

I suoi disturbi intestinali si erano instaurati molto per tempo, particolarmente sotto forma di incontinenza, che, tra i bambini, è la più frequente e la più normale. Siamo sicuramente nel giusto se escludiamo ogni spiegazione su base patologica di questi primi episodi e li consideriamo semplicemente come una manifestazione dell'intenzione del bambino di non essere molestato o controllato nel piacere procurato dall'evacuazione. Si dilettava moltissimo di scherzi e di esibizioni a carattere anale - quali si confanno normalmente all'innata volgarità di molte classi sociali, diverse dalla sua - e questi gusti sussistevano in lui ancora al tempo dell'inizio della seconda malattia.

Al tempo della permanenza dell'istitutrice inglese, lui e la «nania» avevano dovuto dormire più volte nella stessa camera di quell'odiata signora. La «nania» si era ben accorta che proprio in quelle notti lui sporcava il letto, cosa, del resto, ormai cessata da lungo tempo. Lui non se ne vergognava nemmeno: era un gesto di sfida verso l'istitu-trice.

Un anno dopo - quando aveva quattro anni e mezzo - gli capitò, durante la fase dell'angoscia, di sporcarsi i calzoncini di giorno. Ne provò una terribile vergogna e, mentre lo pulivano, continuava a mormorare che non poteva più vivere così. Dunque qualcosa era cambiato in lui nel frattempo e, seguendo la traccia indicataci dalle sue lamentele, possiamo capire di che si tratta. Si scoprì che le parole «non posso più vivere così» erano state pronunciate da un'altra persona. Una volta41 la madre lo aveva condotto con sé mentre accompagnava alla stazione il medico che era venuto a visitarla. Nel corso di questa passeggiata si era lamentata dei suoi dolori e delle sue emorragie e aveva esclamato: «Non posso più vivere così». Era dunque la medesima espressione e la madre non poteva certo pensare che si sarebbe stampata nella memoria del figlioletto che teneva per mano. Dunque questa lamentela - che, per di più, avrebbe ripetuto infinite volte durante la successiva malattia - aveva il significato di un'identificazione con la madre.

Ben presto le sue rievocazioni ci fornirono l'anello mancante che, sia per la data che per il contenuto, ricollegava i due avvenimenti. Una volta, al principio della fase d'angoscia, la madre, piena di apprensione, aveva disposto che si prendessero delle precauzioni per difendere il bambino dalla dissenteria che aveva fatto la sua comparsa nei dintorni della tenuta. Lui domandò di che cosa si trattasse e, dopo che gli ebbero spiegato che chi soffre di dissenteria trova del sangue nelle feci, entrò in agitazione e affermò di avere del sangue nelle feci. Aveva paura di morire di dissenteria, ma si convinse, in seguito a un esame delle feci, di essersi sbagliato, per cui non aveva nulla da temere. È evidente che, in questa sua paura, egli mirava ad una identificazione con la madre, dato che questa, parlando col dottore, si era lamentata delle sue emorragie. Nel successivo tentativo di identificazione - a quattro anni e mezzo - l'accenno al sangue era scomparso. Non riusciva più a comprendere se stesso, dato che immaginava di soffrire per la vergogna, senza rendersi conto che, in realtà, era la paura della morte che lo affliggeva, cosa del resto dimostrata senza ombra di dubbio dal suo lamento.

In quei tempi la madre, sofferente di disturbi ginecologici, era per lo più nervosa e preoccupata per sé e per il bambino. Quindi è assai probabile che il nervosismo di quest'ultimo, oltre che da motivi propri, traesse origine da un'identificazione con la madre.

Quale poteva, dunque, essere il senso di questa identificazione con la madre?

Tra l'impudenza con cui sfruttava la sua incontinenza a tre anni e mezzo e l'orrore con cui la considerava a quattro anni e mezzo, si frappone il sogno che aveva dato inizio alla fase d'angoscia: il sogno, cioè, che gli aveva permesso la comprensione ritardata della scena cui aveva assistito a un anno e mezzo, dandogli anche un'idea della parte della donna nell'atto sessuale. E facile comprendere come questo grande rivolgimento comportasse un mutamento del suo modo di considerare la defecazione. Evidentemente dissenteria era il nome che attribuiva alla malattia di cui si lamentava la madre, mentre lui l'ascoltava, malattia con la quale non si poteva più vivere. Questa malattia della madre non era per lui ginecologica, bensì intestinale. A causa dell'influenza della scena primaria, era arrivato alla conclusione che la madre si era ammalata in seguito a quello che le aveva fatto il padre42 e la sua paura di trovare sangue nelle feci, cioè di essere ammalato come sua madre, significava il rifiuto di identificarsi con lei nella scena sessuale: quello stesso rifiuto col quale si era destato dal sogno. Questa paura, tuttavia, costituiva anche la prova che egli aveva ulteriormente elaborato la scena primaria, mettendo se stesso al posto della madre e invidiandole il suo rapporto col padre. La regione anale era l'organo mediante il quale poteva estrinsecarsi la sua identificazione con le donne e quindi l'atteggiamento omosessuale passivo verso gli uomini. I disturbi della funzionalità di questa regione avevano assunto il significato di impulsi amorosi femminili, significato che si mantenne anche durante la seconda malattia.

E ora dobbiamo prendere in considerazione un'obiezione, la cui discussione può validamente contribuire al chiarimento dello stato apparentemente confuso dei fatti. Siamo stati indotti a pensare che, nello svolgimento del sogno, egli si fosse formato il concetto che le donne sono castrate, e, invece di un organo maschile, hanno una ferita che serve al rapporto sessuale, per cui la castrazione è una condizione indispensabile della femminilità. Siamo anche stati indotti a credere che la minaccia di castrazione determinasse in lui la rimozione dell'atteggiamento femminile verso gli uomini, ed è per questo che si risvegliò dalla sua eccitazione omosessuale in stato di angoscia. Ora come si può conciliare la sua comprensione dell'atto sessuale e il riconoscimento dell'esistenza della vagina col fatto di aver scelto il tubo intestinale ai fini dell'identificazione con le donne? Infatti i disturbi intestinali non si rifanno forse a un concetto, probabilmente più antico e che, in tutti i casi, è in assoluta contraddizione con la paura della castrazione: vale a dire il concetto che il rapporto sessuale avviene attraverso l'ano?

È chiaro che vi è una contraddizione e che i due modi di vedere non possono assolutamente andare d'accordo. Allora ci poniamo la domanda: come possono coesistere? Ma, se rimaniamo interdetti, dipende dal fatto di voler trattare i processi psichici inconsci alla stessa stregua di quelli coscienti, dimenticando le profonde differenze tra i due sistemi psichici.

Quando il sogno, avuto prima di Natale, suscitò in lui, che si trovava in stato di eccitazione e di attesa, l'immagine del rapporto sessuale tra i genitori - cui aveva assistito in precedenza (o che aveva ricostruito) -, questa immagine era sicuramente legata alla vecchia teoria, secondo la quale è l'ano la parte del corpo femminile che riceve il membro virile. Del resto che altro potremmo aspettarci da questo spettatore di un anno e mezzo?43 Ora, però, che aveva quattro anni, la cosa poteva assumere un nuovo aspetto. Nel frattempo le esperienze fatte e le allusioni alla castrazione, che aveva sentito, fecero nascere in lui il dubbio sulla verità della «teoria cloacale», dal momento che era ormai giunto a conoscere le differenze tra i sessi e il ruolo sessuale che compete alla donna. In queste circostanze egli si comportò come qualsiasi bambino cui venga data una spiegazione di origine sessuale o d'altra natura, che riesca mal gradita. Respinse la novità, anche per motivi legati alla paura della castrazione, e aderì profondamente alle vecchie idee. La sua decisione era favorevole all'ano e contraria alla vagina; i motivi di questa decisione erano simili a quelli che, più tardi, gli fecero prendere le parti di suo padre contro Dio. Dunque respinse le nuove spiegazioni e mantenne la vecchia teoria, che doveva avergli fornito il mezzo per identificarsi con le donne. Tale identificazione si estrinsecò più tardi sotto forma di paura della morte dovuta a una malattia intestinale. Inoltre quella teoria fu la causa degli scrupoli religiosi, del dubbio se Cristo avesse un posteriore, ecc. Ma non per questo la nuova conoscenza rimase priva di effetti, anzi si rivelò importantissima. Infatti valse a mantenere in stato di rimozione l'intero processo onirico, impedendogli qualsiasi ulteriore elaborazione cosciente. Questo, però, ne esaurì gli effetti, per cui non ebbe alcun influsso sulla risoluzione dei problemi sessuali. Una palese contraddizione è rilevabile nel fatto che potessero coesistere, da allora in poi, la paura della castrazione e l'identificazione con le donne tramite l'intestino. Ma si tratta d'una contraddizione logica, ciò che non vuole dire molto. L'intero processo è infatti tipico dell'attività inconscia: la rimozione è molto differente da un ripudio cosciente.

Nello studiare la genesi della fobia del lupo abbiamo compreso che si trattava di una conseguenza di nuove acquisizioni in materia sessuale. Invece, se indaghiamo sulla natura delle disfunzioni intestinali, ci troviamo di fronte alla antica teoria della cloaca. Le due teorie erano separate l'una dall'altra da una fase di rimozione. L'atteggiamento femminile nei confronti degli uomini, respinto da un atto di rimozione, ritornava alla ribalta sotto forma di disturbi intestinali, come la diarrea, la stitichezza e i dolori, che si manifestavano tanto di frequente durante l'infanzia del paziente. Dunque le sue fantasie sessuali collaterali, fondate su una conoscenza sessuale corretta, venivano a estrinsecarsi, regressivamente, come turbe intestinali. Comunque, per poterci rendere pienamente ragione di questi processi, occorre spiegare le modificazioni subite dal significato delle feci, per il paziente, dal primo anno di vita in poi44.

Ho già affermato in precedenza che una parte del contenuto della scena primaria non era stata rivelata dal paziente. Adesso, però, sono in grado di colmare questa lacuna. Il piccolo aveva interrotto il rapporto tra i genitori andando di corpo, perché questo gli forniva il pretesto per mettersi a piangere. Tutte le considerazioni critiche, che abbiamo fatto a proposito del restante contenuto della scena, valgono anche per quest'ultimo supplemento. Il paziente accettò la mia ricostruzione dell'atto conclusivo della scena ed evidentemente lo confermò tramite la comparsa di «sintomi transitori». Proposi anche un'aggiunta ulteriore, secondo la quale il padre, seccato dell'interruzione, sfogò il suo malumore mettendosi a rimbrottare il piccolo; ma dovemmo rifiutarla, perché il materiale analitico non rilevò alcuna reazione a questa nuova idea.

Naturalmente il particolare aggiuntivo che ho descritto non può esser messo allo stesso livello del resto della scena. Non si tratta di un'impressione di provenienza esterna, che potrebbe essere rievocata anche in circostanze diverse, bensì di una reazione propria del bambino. Anche se il fatto non si fosse verificato, oppure, se fosse stato preso da un periodo successivo e interpolato nella scena, la storia del caso non subirebbe nel suo complesso alcun mutamento degno di nota. In tutti i modi, la sua interpretazione è assolutamente univoca: si tratta di un segno di eccitazione della zona anale (nell'accezione più ampia del termine). Casi analoghi di osservazione di un rapporto sessuale si sono conclusi con l'emissione di orine; nelle stesse circostanze un uomo adulto avrebbe un'erezione. Il fatto che il bambino defecasse in conseguenza dell'eccitazione sessuale è da considerarsi caratteristico della sua costituzione sessuale congenita. Infatti prese subito un atteggiamento passivo, rivelandosi più incline ad una successiva identificazione con le donne piuttosto che con gli uomini.

Nel contempo, egli, come tutti i bambini, adoperava il contenuto degli intestini in una delle maniere più antiche e primordiali. Le feci sono il primo dono del bambino, il primo sacrificio amoroso; sono una parte del corpo dalla quale è disposto a separarsi solo a beneficio di una persona amata45. Impiegare le feci come espressione di sfida, così come fece a tre anni e mezzo il nostro paziente per far dispetto all'istitutrice, significa solamente invertire il significato del «dono». Il grumus merdae, che il criminale lascia sulla scena del delitto, sembra avere entrambi i significati; lo scherno e un'espressione, regressiva, di risarcimento dei danni. Questo impiego delle feci è sempre possibile, anche dopo il raggiungimento di uno stadio più evoluto, in senso negativo e deteriore. Il contrario è una manifestazione di rimozione46.

In uno stadio più avanzato dello sviluppo sessuale, le feci assumono il significato di bambino, perché il bambino, come le feci, nasce attraverso l'ano. Del reso il senso di «dono» attribuito alle feci può facilmente consentire tale trasformazione. Si vuole comunemente parlare di un bimbo come di un «dono». Secondo un'espressione frequentissima, la donna «regala» un bambino all'uomo; ma l'uso inconscio annette altrettanta importanza all'altro aspetto del rapporto, secondo il quale è la donna che «riceve» il bambino in dono dall'uomo.

La simbologia delle feci intese come denaro scaturisce, in senso diverso, dal concetto di «dono».

Ora riusciamo a comprendere l'intimo significato del primo ricordo di copertura del paziente, secondo il quale il primo accesso di furore era dovuto al fatto di non aver ricevuto abbastanza regali a Natale. In realtà egli sentiva la mancanza di soddisfazione sessuale, che aveva concepito come anale. Al momento del sogno le sue ricerche sessuali arrivarono alla comprensione di quanto, prima del sogno, eravamo sul punto di scoprire: cioè che l'atto sessuale contiene la soluzione del problema della provenienza dei bambini. Già prima del sogno provava antipatia per i neonati. Una volta aveva trovato un uccellino implume caduto dal nido e ne era rimasto inorridito avendolo scambiato per un bambino piccolissimo. L'analisi dimostrò che tutti gli animaletti, come i bruchi e gli insetti, contro i quali sfogava il suo furore, avevano per lui il significato di bambini piccoli47. La sua posizione nei confronti della sorella maggiore gli aveva fornito numerosissime occasioni di riflettere sulla reciproca condizione dei fratelli più piccoli e più grandi. Una volta la «nania» gli aveva detto che la madre gli voleva tanto bene perché era il più piccolo, e questo gli diede un buon motivo per desiderare che non venisse un altro fratellino più piccolo di lui. La paura del bambino più piccolo rinacque sotto l'influenza del sogno che rievocava nella sua mente il rapporto tra i genitori.

Dobbiamo dunque aggiungere a quelle già note una nuova corrente sessuale, che, come le altre, prese il via dalla scena primaria rievocata nel sogno. Nella sua identificazione con le donne (vale a dire con la madre) egli era pronto a regalare un bambino a suo padre ed era geloso della madre, che lo aveva già fatto e forse l'avrebbe fatto ancora.

Siccome «denaro» e «bambino» hanno lo stesso significato di «dono», il denaro può, in tal modo, assumere il significato di bambino e trasformarsi nell'espressione di una soddisfazione femminile (omosessuale). È appunto quel che successe al paziente quando, mentre si trovava con la sorella in una casa di cura tedesca, vide il padre dare due grosse banconote alla sorella. Nella sua immaginazione aveva sempre nutrito il sospetto che vi fosse una relazione tra padre e figlia; e ora l'episodio fece nascere in lui la gelosia. Appena furono soli corse dalla sorella e le chiese una parte del denaro, con tale violenza e con tali accuse, che lei scoppiò in lacrime e gli gettò tutto il denaro. In realtà egli non era stato irritato dal denaro in sé, ma piuttosto dal «bambino», cioè dalla soddisfazione anale ricevuta dal padre. Fu questo elemento, infatti, che gli permise di consolarsi della morte della sorella, accaduta mentre il padre era ancora in vita. In effetti l'idea ripugnante, che gli era venuta in mente alla notizia della morte della sorella, non poteva avere altro significato che il seguente: «Ora sono l'unico figlio. Ora mio padre dovrà amare me soltanto». Questa riflessione di per sé poteva benissimo divenire cosciente, ma il suo sfondo di omosessualità era talmente insopportabile per lui che quel pensiero prese la forma di una sordida avarizia, che, però, gli dovette apportare un notevole sollievo.

Analoga era la causa dei suoi ingiusti rimproveri contro la madre, che accusava, dopo la morte di suo padre, di volerlo defraudare del denaro e di avere più amore per i soldi che per lui. L'antica gelosia che provava perché la madre aveva amato un'altra figlia, oltre a lui, e forse aveva desiderato avere un terzo bambino, Io spingeva a muoverle quelle accuse che ben sapeva essere infondate.

La nostra analisi del significato delle feci dimostra chiaramente che i pensieri ossessivi che lo costringevano a mettere Dio in relazione con esse avevano un altro significato oltre al senso di oltraggio che egli stesso ci vedeva. In effetti si trattava più che di vero e proprio

oltraggio del risultato d'un compromesso tra la devozione amorevole e l'insulto ostile «Dio-merda» probabilmente era l'abbreviazione di un'offerta che, a volte, si sentiva nella forma completa. Auf Gott scheissen o Gott etwas scheìssen48 sono frasi che significano anche dare un bambino a lui o farsi dare un bambino da lui. In queste espressioni ossessive si fondevano insieme il vecchio significato di «dono», in forma negativa e spregiativa, e il significato di bambino che, più tardi, era scaturito da esso. Il secondo significato esprime una tenerezza tutta femminile: la volontà di rinunciare alla virilità per ottenere, in cambio, di essere amato come una donna. Qui, dunque, ci troviamo di fronte allo stesso impulso verso Dio che si esprimeva senza reticenze nel sistema delirante del paranoico Senatprasident Schreber49.

Più avanti, quando parlerò dell'eliminazione definitiva dei sintomi del mio paziente, vedremo chiaramente in che modo i suoi disturbi intestinali servissero alla sua tendenza omosessuale ed esprimessero il suo atteggiamento femminile nei confronti del padre. Per ora accenneremo un altro significato delle feci, che ci porterà ad una più completa comprensione del complesso di castrazione.

Il cilindro fecale stimola le membrane mucose erogene del tubo intestinale; quindi assume il ruolo di organo attivo, esercitando la stessa azione del pene sulla mucosa vaginale, del quale è una specie di precursore nell'epoca cloacale. L'abbandono delle feci a vantaggio di qualcuno - ossia per suo amore - diventa il prototipo della castrazione. E la prima occasione in cui un individuo si separa da una parte del proprio corpo50 con lo scopo di accattivarsi la benevolenza di una persona amata. Dunque l'amore che l'individuo porta al proprio pene, amore narcisistico sotto tutti gli altri aspetti, contiene anche qualche elemento che rientra nell'erotismo anale. Quindi «feci», «neonato» e «pene» costituiscono un'unità, un concetto inconscio (sit venia verbo), ossia l'idea del «piccolo» che può separarsi dal proprio corpo. Al seguito di questi canali associativi gli investimenti libidici possono andare incontro a spostamenti o rafforzamenti non privi di importanza sul piano patologico, che vengono rilevati dall'analisi.

Ci è già noto l'atteggiamento inizialmente assunto dal paziente nei confronti della castrazione. Egli la respinse, continuando a ritenere valida la teoria del rapporto sessuale attraverso l'ano. Quando dico che la respinse, intendo dire che, almeno in principio, il concetto di castrazione non si presentò alla mente del paziente, dato che si trovava sotto rimozione. Voglio anche dire che egli non esprimeva alcun giudizio sull'esistenza della castrazione, come se per lui non esistesse. Questo, tuttavia, non poteva costituire un atteggiamento permanente, neppure al tempo della nevrosi infantile. Del resto disponiamo di valide ragioni, come vedremo più innanzi, per ritenere che egli riconoscesse a quell'epoca la castrazione come una realtà. Anche in questa circostanza egli si comportò nella sua caratteristica maniera, che, purtroppo, rende estremamente difficile descrivere con chiarezza i suoi processi psichici e dipanarne l'intrico. Inizialmente il paziente aveva resistito, poi aveva ceduto, ma l'una delle due reazioni non annullava l'altra, sì che, da ultimo, in lui erano presenti due correnti contrarie e appaiate, una delle quali detestava l'idea di castrazione, mentre l'altra era invece disposta ad accettarla consolandosi, a guisa di surrogato, con la femminilità. Ma vi era indubbiamente anche una terza corrente, più antica e profonda di tutte, che non sollevava neppure la questione della realtà della castrazione e che era tuttora capace di entrare in attività. Ho descritto altrove51, un'allucinazione di questo paziente, avuta all'età di cinque anni, che ora desidero commentare brevemente.

Quando avevo cinque anni, giocavo in giardino accanto alla bambinaia e mi divertivo a incidere col temperino la corteccia di quel noce che ricorre nei miei sogni . Improvvisamente mi accorsi, con indicibile sgomento, di essermi tagliato il mignolo (destro o sinistro?), che rimaneva appeso solo per la pelle. Non provavo dolore, solo una grande paura. Non osai dire nulla alla bambinaia, che si trovava a pochi passi da me, ma mi gettai sulla panca più vicina e vi rimasi a sedere senza avere il coraggio di guardarmi il dito. Finalmente mi calmai, posai lo sguardo sul dito e vidi che era perfettamente indenne.

Dopo che, a quattro anni e mezzo, ebbe imparato la storia sacra, cominciò, come già ci è noto, a compiere quell'intensa attività intellettuale che si concluse in una devozione ossessiva. Quindi possiamo supporre che quella allucinazione risalga al tempo in cui riconobbe la realtà della castrazione, anzi possiamo anche pensare che, forse, tale riconoscimento datasse dal giorno dell'allucinazione.

Anche la piccola correzione apportata dal paziente53 ha un certo interesse. Se aveva avuto un'allucinazione simile alla tremenda esperienza che il Tasso, nella Gerusalemme Liberata, fa vivere al suo eroe Tancredi54, noi non andremo errati nel ritenere che anche per il mio piccolo paziente l'albero avesse il significato di una donna. In questo caso, dunque, egli sosteneva il ruolo del padre e metteva le note emorragie della madre in rapporto con la castrazione delle donne -che ora riconosceva per vera - cioè con la «ferita».

Come egli stesso ebbe più tardi a spiegarmi, l'allucinazione del dito tagliato traeva lo spunto dalla storia di una parente che era nata con sei dita ai piedi, e alla quale avrebbero staccato immediatamente il dito in più con un colpo di ascia. Allora le donne erano senza pene perché glielo tagliavano alla nascita. In tal modo egli, durante il periodo della nevrosi ossessiva, era arrivato ad accettare un fatto, già appreso tramite il sogno, e che era stato subito allontanato dalla rimozione. Inoltre, nel corso delle letture e discussioni di storia sacra, doveva essere venuto a conoscenza della circoncisione rituale di Cristo e degli ebrei in generale.

Sicuramente in quello stesso periodo il padre stava assumendo i caratteri di una figura terrificante che lo minacciava di castrazione. Quel Dio crudele, contro il quale combatteva - un Dio che rendeva peccatori gli uomini, solo per punirli subito dopo, e che aveva sacrificato suo figlio e i figli degli uomini - aveva proiettato i suoi caratteri sul padre del paziente sebbene, d'altra parte, il bambino tentasse anche di difendere il padre contro il Dio. Ma, a questo punto, il bambino non poteva non adempiere alle condizioni d'uno schema filogenetico, anche se la sua esperienza personale non concordava con essi. Per quanto le minacce o gli accenni alla castrazione, che aveva udito, provenissero da donne55, questa situazione non poteva rimanere stabile per molto tempo e, infatti, egli finì col temere di essere castrato dal padre. Sotto questo profilo l'eredità aveva avuto la meglio sulle circostanze accidentali: nella preistoria umana era innegabilmente il padre che praticava la castrazione quale castigo, mitigata più tardi in circoncisione.

Quanto più intensa si faceva la rimozione della sessualità, nel corso dell'evoluzione della nevrosi ossessiva56, tanto più diventava naturale per il paziente attribuire quei minacciosi propositi a suo padre, effettivo rappresentante dell'attività sessuale.

Questa identificazione del padre con colui che opera la castrazione57 è importante, perché da un lato rappresentò il movente dell'intensa ma inconscia ostilità verso di lui che giunse fino al desiderio della sua morte, dall'altro generò un vivo senso di colpa determinato dalla reazione a tale ostilità. Comunque, fino a questo momento, il suo comportamento era normale, vale a dire identico a quello di qualsiasi nevrotico in preda a un complesso edipico positivo. Lo straordinario era, invece, costituito dal fatto che esisteva in lui una controcorrente per la quale il padre castratore era allo stesso tempo l'individuo minacciato di castrazione e, come tale, suscitava la sua compassione.

Allorché analizzai il cerimoniale consistente nell'espirare forzatamente alla vista di storpi, mendicanti e simili, fui in grado di dimostrare che anche questo sintomo era ricollegabile alla figura del padre, che gli aveva fatto pena quando era andato a trovarlo nella casa di cura ove era ricoverato. L'analisi mi consente di rintracciare altri antecedenti di questo sintomo. In un tempo molto remoto, probabilmente prima della seduzione (avvenuta a tre anni e tre mesi), era venuto nella proprietà in campagna un anziano bracciante la cui incombenza consisteva nel portare acqua in casa. Costui non poteva parlare, perché pareva che gli avessero tagliato la lingua. (In realtà doveva essere un sordomuto.) Il bambino gli si era affezionato, provava molta compassione per lui, e, dopo la sua morte, lo cercava nel cielo58. Era questo dunque il primo infelice che aveva fatto nascere in lui un senso di pietà e che, come risulta dal contesto dell'analisi e dal momento di questa in cui l'episodio emerse nella coscienza, rappresentava sicuramente un sostituto del padre.

Nell'analisi quell'uomo si associava al ricordo di altre persone di servizio che avevano destato la simpatia del paziente, e di cui egli rilevò che erano stati individui malaticci o ebrei (il che comportava la circoncisione). Il servitore, che l'aveva aiutato a ripulirsi dopo l'incidente capitatogli a quattro anni e mezzo, era ebreo e tisico, e per questo anche lui destava la compassione del piccolo. Il ricordo di tutte queste persone è antecedente alla visita effettuata al padre in casa di cura; antecedente, cioè, la comparsa del sintomo respiratorio che deve essere inteso piuttosto come un tentativo di opporsi (mediante una espirazione) a qualsiasi identificazione con gli oggetti della sua compassione. Poi, all'improvviso, in seguito a un sogno, l'analisi tornò di nuovo al periodo primitivo, e condusse il paziente ad affermare che, durante il coito della scena primaria, egli aveva osservato la scomparsa del pene paterno, e aveva provato un senso di compassione, rallegrandosi nel vedere ricomparire quello che credeva perduto. Ecco, dunque, una nuova corrente emotiva, anch'essa nata dalla scena primaria. Inoltre appare qui ben chiara l'origine narcisistica della compassione (confermata dalla parola stessa)59.

8. Nuovi materiali della prima infanzia. Soluzione

In molte analisi, allorché ci si avvicina alla conclusione, emergono nuovi ricordi che erano tenuti nascosti con gran cura. Può anche succedere che il paziente faccia delle osservazioni poco appariscenti e con un tono di indifferenza, quasi si trattasse di cose superflue, alle quali, poi, apporta delle aggiunte che richiamano l'attenzione del medico. Alla fine si scopre che questi frammenti trascurati di vari ricordi sono la chiave che dischiude i più riposti segreti della nevrosi. Al principio dell'analisi il malato mi aveva riferito un ricordo che risaliva al tempo in cui la sua cattiveria si trasformava, a volte, d'improvviso, in angoscia. Stava dando la caccia a una bella e grande farfalla con larghe ali a strisce gialle che terminavano a punta (una vanessa). Improvvisamente quando la farfalla si posò su di un fiore, fu colto da una tremenda paura di quella bestiola e fuggì gridando.

Durante l'analisi questo ricordo ricompariva, senza regolarità, di tanto in tanto. Si sentiva il bisogno di una spiegazione, che per molto tempo rimase introvabile. Comunque era naturale pensare che questo particolare non fosse un elemento casuale tra i suoi ricordi, dovendosi trattare di un ricordo di copertura che stava al posto di qualche elemento di maggiore importanza collegato in qualche modo ad esso. Una volta mi disse che, nella sua lingua, alle farfalle si dava il nome di bàbuska, «nonnina». Aggiunse che le farfalle gli erano sempre parse simili a donne e fanciulle, mentre scarabei e bruchi gli sembravano ragazzi. Dunque questo episodio di angoscia aveva risvegliato in lui il ricordo di una creatura femminile. Non nascondo che allora io feci la supposizione che le strisce gialle della farfalla gli avessero fatto venire in mente strisce simili al vestito di una donna. Lo dico solo per dimostrare quanto siano fallaci, di solito, i primi tentativi compiuti dal medico per rispondere alle domande che si pone e quanto sia ingiusto attribuire alla sua fantasia e ai suoi suggerimenti i risultati dell'analisi.

Parecchi mesi dopo, in tutt'altre circostanze, il paziente rilevò che l'aprirsi e il chiudersi delle ali della farfalla posata sul fiore gli avevano provocato un senso di turbamento. Secondo quanto mi disse, la farfalla gli era sembrata una donna che allargasse le gambe, formando il numero romano v e noi sappiamo che le cinque erano l'ora in cui, fin dall'infanzia, e ancora persino durante il trattamento era colto da uno stato depressivo.

Questa era una conclusione alla quale non sarei mai arrivato da solo ma che si rivelava degna d'essere presa in considerazione per il carattere così nettamente infantile dei processi associativi che essa implicava. Ho notato molte volte che l'attenzione dei bambini è attirata assai prima dagli oggetti in movimento che dalle forme statiche. Anzi, spesse volte, le loro associazioni si fondano su analogie di movimenti, che l'adulto non rileva o trascura.

Poi questo piccolo problema rimase in disparte per molto tempo. È facile, però, sospettare che le punte, o quei prolungamenti simili a gambi, delle ali della farfalla dovevano avere avuto il senso di un simbolo genitale.

Un giorno riemerse in lui, timido e incerto, il ricordo di una bambinaia, molto affezionata, che si era presa cura di lui in un tempo remotissimo, ancor prima della «nania». Questa ragazza si chiamava come la mamma e lui, certamente, ne ricambiava l'affetto. Si trattava, dunque, d'un primo amore, ormai caduto nell'oblio. Ma noi fummo entrambi del parere che in quel periodo doveva essere successo un fatto diventato, in seguito, importante.

Più tardi, in un'altra occasione, egli corresse quel ricordo. La giovane donna non si poteva chiamare come sua madre; si era trattato di un errore che, ovviamente, dimostrava come, nella sua memoria, l'avesse confusa con l'immagine materna. Continuò dicendo che il vero nome gli era tornato alla memoria attraverso il seguente percorso.

D'improvviso gli era venuta in mente l'immagine di un magazzino, nella prima tenuta di campagna, dove si conservava la frutta colta dagli alberi, tra l'altra una speciale varietà di pere di sapore delizioso: grandi pere con la buccia striata di giallo. Pera nella sua madrelingua si diceva grusa e questo era anche il nome della bambinaia.

A questo punto fu chiaro che, dietro il ricordo di copertura della farfalla inseguita, si celava il ricordo della bambinaia. Tuttavia le strisce gialle non si trovavano sul suo vestito ma sulla pera, che aveva lo stesso nome. Allora qual era l'origine dello stato di angoscia suscitato dalla rievocazione di quel ricordo? Una risposta scontata potrebbe essere data dall'ipotesi grossolana che egli avesse visto, per la prima volta da piccolo, questa ragazza in atto di compiere quel movimento con le gambe (movimento che permetteva di vedere i genitali) e che egli aveva messo in rapporto con il v romano. Ma rinunciammo a simili connessioni teoriche in attesa di nuovi indizi.

Poco dopo sopravvenne il ricordo di un'altra scena, ricordo incompleto, ma concluso per ciò che ne restava. GruSa era inginocchiata sul pavimento, accanto a lei c'erano un secchio e una scopetta formata da un fascio di ramoscelli. Lui era là presente e la ragazza lo derideva o sgridava.

L'elemento mancante potè facilmente essere ricostruito seguendo differenti indizi. Nei primi mesi di trattamento mi aveva detto di essersi innamorato, improvvisamente e in modo ossessivo, all'età di diciotto anni, di una contadina che aveva costituito la causa scatenante60 della propria ulteriore malattia. Raccontandomi questo fatto si era dimostrato oltremodo restio a dirmi il nome della giovane. Questa sua resistenza rappresentava un caso del tutto isolato, dato che, in tutte le altre occasioni, si atteneva senza riserve alla regola fondamentale dell'analisi61. Ciononostante mi disse che, se si vergognava tanto di dire quel nome, era perché aveva un suono contadinesco, tanto che nessuna ragazza di nobili natali avrebbe mai potuto chiamarsi in quel modo. Alla fine, quando si decise a pronunciare quel nome, seppi che la ragazza si chiamava Matrjona, nome che ha un alone materno. È chiaro che si trattava di una vergogna spostata; non si vergognava del fatto che le sue tresche amorose riguardassero sempre ragazze di bassa estrazione; provava vergogna soltanto del nome. Se si riuscisse a dimostrare che la faccenda di Matrjona aveva qualcosa in comune con la scena di Grusa, la vergogna dovrebbe essere riferita a questo remoto episodio.

Un'altra volta mi aveva detto di essere rimasto vivamente commosso nell'ascoltare la storia di Giovanni Huss62 e che la sua attenzione era stata captata dall'immagine delle fascine con le quali il rogo era stato acceso. Questa sua simpatia per Huss fece nascere nella mia mente un sospetto molto ben definito, trattandosi di un genere di simpatia che ho constatato più volte in pazienti giovani e che ho potuto, tutte le volte, spiegare nello stesso modo. Un paziente era giunto persino al punto di scrivere un dramma sulla vita di Huss, del quale aveva iniziato la stesura lo stesso giorno in cui aveva perduto l'oggetto che amava in segreto. Huss era perito tra le fiamme e - al pari di altri uomini morti nelle stesse circostanze - era l'eroe favorito di coloro che, in passato, sono stati affetti da enuresi. Il mio paziente collegava nella sua mente le fascine, impiegate per ardere Huss, con la scopa o fascio di ramoscelli della bambinaia.

Questo materiale, ricompostosi spontaneamente, colmò le lacune del ricordo della scena con Grusa. Mentre guardava la ragazza che puliva il pavimento, il paziente aveva orinato e lei lo aveva minacciato, sicuramente per scherzo, di castrazione63.

Non so se il lettore abbia già intuito la ragione per cui ho descritto con tanta dovizia di particolari questo episodio della prima infanzia del paziente64. Esso ci fornisce un importante anello di congiunzione tra la scena primaria e il successivo amore coatto, che doveva assumere un significato tanto decisivo nella vita futura; inoltre ci rivela ancora una volta uno dei fattori che condizionò gli innamoramenti e ne spiega la coazione.

Allorché vide la ragazza in ginocchio, intenta a strofinare il pavimento, con le natiche prominenti e il dorso orizzontale, si trovò un'altra volta davanti alla posizione assunta dalla madre nella scena del coito. In quel momento ella divenne per lui sua madre. Fu, così, preso dall'eccitazione sessuale dovuta alla riattivazione di quell'immagine65 e, a somiglianza del padre - il cui atto, allora era necessariamente interpretato come una minzione - si comportò verso di lei in maniera maschile. In effetti, l'atto di orinare sul pavimento era un tentativo di seduzione al quale la ragazza rispose con una minaccia di castrazione, quasi come se avesse compreso quello che lui voleva dirle.

La coazione nata dalla scena primaria fu trasportata a questa scena con Grusa, che concorse a mantenerla, mentre il fattore condizionante la sua capacità di innamorarsi subì un mutamento che rivela l'influsso esercitato da questo nuovo episodio; fu trasferito dalla posizione della donna all'occupazione cui era intenta in tale posizione. Questo appariva chiaro, per esempio, nell'episodio di Matrjona. Mentre passeggiava per il villaggio che faceva parte della loro (seconda) proprietà, vide una giovane contadina in ginocchio, intenta a lavare i panni nello stagno, e se ne innamorò istantaneamente e con incredibile violenza, senza essere nemmeno riuscito a vederla in viso. Questa ragazza aveva preso il posto di Grusa, solo in virtù della sua posizione e del lavoro che stava facendo. Così ora riusciamo a capire perché la vergogna, che, in origine, si riferiva al contenuto della scena con Grusa, ora si collegasse al nome di Matrjona.

Un altro innamoramento, di qualche anno prima, rivela ancor meglio l'influenza coattiva della scena con Grusa. Una contadinella, che era a servizio in casa, lo attirava da molto tempo; lui, però, era riuscito a trattenersi dal fare approcci. Ma un giorno, avendola trovata sola in una stanza, fu preso da un'invincibile passione. L'aveva vista in ginocchio, intenta a lavare il pavimento, con il secchio e la scopa, cioè nelle stesse condizioni in cui aveva visto la ragazza della sua infanzia.

Persino la scelta definitiva dell'oggetto, che doveva avere una parte importantissima nella sua vita, rivela per una serie di particolari, -che qui non è possibile riferire - la sua dipendenza dalla medesima condizione, avendo anch'essa rappresentato una manifestazione di quella coazione che, iniziatasi con la scena primaria e rafforzata dall'episodio di Grusa, doveva dominare in tutte le sue scelte amorose. Ho già rilevato in precedenza che il paziente aveva una certa tendenza a svalutare l'oggetto d'amore, che può essere spiegata come una reazione contro la superiorità di sua sorella. Mi sono, tuttavia, anche proposto di dimostrare che l'autoaffermazione non era l'unico motivo, ma che, dietro ad esso, se ne nascondeva un altro, più profondo, di carattere puramente erotico. Questo fu messo in luce dal ricordo della bambinaia in atto di lavare il pavimento, quindi in posizione d'inferiorità anche fisica. Tutti gli oggetti di amore successivi erano dei sostituti di quest'unica persona, che, per il fatto casuale di trovarsi in una determinata posizione, era diventata il primo sostituto della madre. La prima associazione del paziente che si riferiva al problema della paura della farfalla può essere facilmente spiegata, a posteriori, come una lontana allusione alla scena primaria (le ore cinque). Egli stesso confermò il rapporto esistente tra l'episodio di Grusa e la minaccia di castrazione con un sogno particolarmente ingegnoso che seppe interpretare da solo. «Ho sognato», mi disse, «un uomo che strappava le ali a un'Espa.» «Espa?», gli chiesi. «Ma che cosa intende dire?» «Sa, quell'insetto col corpo a strisce gialle, che punge.» Allora io lo corressi: «Dunque intende dire Vespa». «Si chiama Vespa"? Credevo proprio che si dicesse Espa.» (Al pari di molti altri si avvaleva delle difficoltà di parlare una lingua straniera come di un paravento per le azioni sintomatiche.) «Però, guarda un po', Espa sono io: S.P.» (Iniziali del suo nome.66) Ovviamente Espa era la parola Vespa mutilata della prima lettera. Il sogno intendeva chiaramente rappresentare una vendetta contro Grusa per la sua minaccia di castrazione.

L'azione compiuta dal bimbo di due anni e mezzo nella scena con Grusa è il più antico effetto della scena primaria di cui ci è stato tramandato il ricordo. In essa il bambino ci appare in atto di imitare il padre, rivelando la tendenza verso un certo sviluppo che, più tardi, assumerà caratteri virili. Invece, la seduzione ad opera della sorella lo indusse alla passività, tanto più che questo atteggiamento trovava le sue premesse nel comportamento adottato dal piccolo come spettatore del coito tra i genitori.

Ora devo occuparmi per un istante della storia del trattamento. Non appena la scena di Grusa fu assimilata dalla coscienza (era questa la più antica esperienza che ricordava effettivamente, e che aveva rievocato senza alcun suggerimento o intervento da parte mia) il problema del trattamento sembrò ormai risolto sotto tutti gli aspetti. Da allora in poi non incontrai più alcuna resistenza, per cui non ci rimaneva altro da fare che riunire e coordinare i vari materiali. Veniva a riaffacciarsi improvvisamente alla ribalta la vecchia teoria del trauma nella nevrosi, teoria costruita, in fin dei conti, esclusivamente su impressioni tratte dalla terapia psicoanalitica. Per interesse critico, cercai ancora una volta di imporre al paziente un'altra interpretazione della sua storia, che poteva sembrare più plausibile a un saggio buon senso. Certo non si potevano nutrire dubbi sulla scena di Grusa, ma io suggerii che in sé non avesse nessun significato. L'importanza di quella scena era stata accentuata, ex post facto, per opera di un processo di regressione legato agli elementi condizionanti la scelta dell'oggetto, poi trasferiti, in conseguenza della sua intenzione di svalutare, dalla sorella a una domestica. D'altra parte, argomentavo che la scena del rapporto sessuale, di cui era stato testimone, era una fantasia formatasi in anni più tardi, il cui nucleo storico poteva essere costituito da un'esperienza del paziente che aveva assistito ad un innocente lavaggio o forse lo aveva subito. Qualche lettore potrebbe sentirsi indotto a pensare che, grazie a queste ipotesi, io mi stia solo adesso avvicinando alla retta comprensione del caso. Quando, però, gli ebbi esposto queste vedute, il paziente mi guardò con l'aria di chi non capisce e anche con un tantino di disprezzo, e non ebbe alcuna reazione. Ho già espresso, in un luogo più adatto di questa trattazione, i miei argomenti contro simili razionalizzazioni.

* Dunque67 la scena di Grusa, chiarendoci gli elementi condizionanti la scelta dell'oggetto del paziente - elementi che ebbero un'importanza fondamentale nella sua vita - ci evita l'errore di esagerare l'importanza della sua tendenza a svalutare le donne. Ma c'è di più: questa scena giustifica il mio rifiuto, espresso in precedenza, di accogliere senza alcun tentennamento, quale unica spiegazione possibile, l'opinione secondo la quale la scena primaria era sorta in seguito ad osservazioni compiute su animali poco tempo prima del sogno. La scena con Grusa sorse spontaneamente nella memoria del paziente, senza alcun intervento da parte mia. La paura della farfalla striata di giallo, che si rifaceva a quella scena, dimostrava che essa aveva avuto un contenuto significativo o che il paziente aveva potuto attribuirgli retrospettivamente tale significato. Questo significato, che non si trovava nella memoria del paziente, potè essere individuato con sicurezza grazie ad alcune associazioni concomitanti e alle deduzioni che si poterono trarre da esse. Ne risultò che la paura della farfalla era perfettamente analoga, sotto tutti i rispetti, a quella del lupo. Si trattava, in entrambi i casi, della paura della castrazione che, inizialmente, era legata alla persona che per prima lo aveva minacciato di castrazione, ma che, in seguito, doveva necessariamente essere riferita ad un'altra persona, in conformità a un precedente di ordine filogenetico. La scena con Grusa era accaduta quando il paziente aveva due anni e mezzo, ma quella con la farfalla gialla era sicuramente posteriore al sogno d'angoscia. Si intende facilmente come la comprensione della reale possibilità della castrazione avesse suscitato, retrospettivamente, l'angoscia connessa alla scena con Grusa. Comunque questa scena in sé non conteneva nulla di opinabile o di improbabile; anzi, consisteva esclusivamente di particolari banali che non potevano suscitare incredulità. Non v'era nulla che potesse farla apparire come un parto della fantasia infantile e, in effetti, tale supposizione non sembrava nemmeno sostenibile.

Ora ci dobbiamo chiedere se sia giusto ritenere il fatto che il bambino orinasse, mentre guardava la ragazza inginocchiata che puliva il pavimento, come una prova della sua eccitazione sessuale. Se così fosse, l'eccitazione testimonierebbe dell'influenza di un'impressione antecedente che potrebbe essere legata alla scena primaria, posto che fosse reale, o all'osservazione di animali, visti prima del compimento di due anni e mezzo. Oppure dobbiamo concludere che la situazione, nella scena con Grusa, era assolutamente innocente e il bambino aveva vuotato la vescica in quel momento per puro caso, così che l'intera scena si era sessualizzata nel ricordo solo dopo che il paziente aveva riconosciuto l'importanza di situazioni analoghe?

Sono questioni cui non ardisco dare una risposta definitiva; comunque, devo confessare che considero un merito per la psicoanalisi già il solo fatto d'essere giunta a sollevare questioni del genere. In tutti i modi, non posso negare che la scena con Grusa, il ruolo che ebbe nell'analisi, e le conseguenze che ne risultarono per la vita del malato sono spiegabili in modo molto più naturale e completo e si ammette, nel nostro caso, la realtà della scena primaria, scena che in altri casi può anche essere pura fantasia. In fin dei conti, non è affatto impossibile e l'ipotesi della sua realtà è perfettamente compatibile con l'azione eccitante esercitata dall'osservazione degli animali, presenti nella immagine del sogno sotto forma di cani da pastore.

E ora, da questa conclusione poco soddisfacente, passerò all'esame d'una questione della quale mi sono già occupato ne\Y Introduzione alla psicoanalisi (1915-17, Lezione XXIII). Sarei ben felice di poter sapere se la scena primaria di questo caso patologico fosse una fantasia o un'esperienza reale, ma, alla luce di altri casi consimili, debbo riconoscere che la risposta a questo interrogativo effettivamente non è di importanza fondamentale. Queste scene di rapporti sessuali fra i genitori, di seduzioni in età infantile, di minacce di castrazione, sono indubbiamente un patrimonio ereditario, di ordine filogenetico, ma possono benissimo essere anche acquisizioni dell'esperienza individuale. Quanto al mio paziente, la seduzione da parte della sorella maggiore era una realtà incontrovertibile, e perché non dovrebbe essere vero anche il fatto di aver assistito a un coito tra i genitori?

Dalla preistoria della nevrosi possiamo venire a sapere solo che il paziente si vale dell'esperienza filogenetica ogni volta che l'esperienza personale gli fa difetto. Colma le lacune della verità individuale per mezzo della verità preistorica; rimpiazza gli avvenimenti della sua vita con avvenimenti della vita degli antenati. Concordo pienamente con Jung68 nell'ammettere l'esistenza di un patrimonio ereditario filogenetico, ma, a mio vedere, l'attaccarsi a spiegazioni filogenetiche prima di avere esaurito le possibilità ontogenetiche è un errore di metodologia. Non riesco a capire per quale ragione si continui a disputare puntigliosamente sull'importanza della preistoria infantile, mentre poi si riconosce ampiamente l'importanza della preistoria ancestrale. Non posso nemmeno trascurare la necessaria spiegazione dei moventi e produzioni filogenetici, spiegazione che, in moltissimi casi, si trae da fattori propri dell'infanzia individuale. Infine, non mi sorprenderei affatto se quel che originariamente era la conseguenza di circostanze proprie dei tempi preistorici ed è stato trasmesso ereditariamente sotto forma di predisposizione, riemerga, nel caso che delle circostanze si verifichino di nuovo, sotto forma di evento concreto dell'esperienza individuale.

Nell'intervallo tra la scena primaria e la seduzione - ossia dall'età di un anno e mezzo a quella di tre anni e tre mesi - occorre inserire anche il portatore d'acqua muto, che, per il paziente, fu un surrogato del padre, così come Grusa lo fu della madre. Anche se entrambi i genitori furono rappresentati da servitori, secondo me non sarebbe giusto vedere in questo l'intenzione di vilipendere. Un bimbo non fa caso alle distinzioni sociali, che per il momento hanno scarsa importanza per lui, per cui metterà persone di bassa levatura sociale al posto dei genitori, se tali persone gli portano lo stesso affetto. Neanche la sostituzione dei genitori con animali rappresenta un'intenzione del genere, perché il bambino è ben lontano dal giudicare gli animali esseri inferiori. Anche gli zii di ambo i sessi trovano uguale impiego, senza alcuna intenzione spregiativa da parte del bambino, e così ha fatto il nostro paziente, come si rileva da molti suoi ricordi.

A questo periodo risale anche una fase, di cui restava un oscuro ricordo, durante la quale non voleva mangiare altro che dolci. Alla fine i genitori entrarono in apprensione per la sua salute e gli parlarono di uno zio che, per essersi rifiutato, come lui, di mangiare, si era ridotto al lumicino, morendo ancor giovane. Gli dissero anche che, verso i tre mesi, era stato così malato (polmonite?), tanto che gli avevano già approntato il sudario. In questo modo lo spaventarono abbastanza da farlo ricominciare a mangiare, anzi, negli ultimi anni dell'infanzia, arrivò ad esagerare in senso contrario, quasi volesse stornare da sé la minaccia di morte. La paura della morte, che gli era stata inculcata per proteggerlo, ricomparve più tardi, quando la madre lo mise in guardia contro il pericolo della dissenteria. In un periodo successivo fu la causa di un attacco di nevrosi ossessiva. Cercheremo più avanti di approfondirne il significato e di spiegarne l'origine.

Sono portato a considerare questa inappetenza come la prima manifestazione nevrotica del nostro paziente. Di modo che la stessa inappetenza, la fobia del lupo e la religiosità ossessiva rappresenterebbero la serie completa delle sue malattie infantili, che generarono la predisposizione a quel collasso nevrotico degli anni successivi alla pubertà. Si potrebbe obiettare che ben pochi bimbi rimangono esenti da disturbi come la perdita temporanea dell'appetito e la fobia per gli animali. Ma è proprio questo il punto, perché sono pronto a sostenere che qualsiasi nevrosi dell'adulto ha i suoi fondamenti in una nevrosi infantile, che non sempre è stata di gravità tale da dare nell'occhio ed essere riconosciuta. Dunque, una tale obiezione vale soltanto ad accrescere l'importanza teorica della posizione da assegnarsi alla nevrosi infantile nell'interpretazione di quei disturbi nervosi, appartenenti a un'età successiva, che trattiamo come nevrosi e che attribuiamo interamente ai fatti della vita adulta. Se il nostro paziente non avesse sofferto di religiosità ossessiva, oltre che d'inappetenza e di zoofobia, la sua storia non sarebbe stata molto diversa da quella di altri bambini e noi ci saremmo trovati in una situazione peggiore per mancanza di questi materiali preziosi, che ci salvano da certi facili errori.

L'analisi non sarebbe soddisfacente se mancasse di dare una spiegazione all'espressione con la quale il paziente sintetizzava tutti i disturbi da lui accusati. Diceva che il mondo gli appariva coperto da un velo. La nostra esperienza psicoanalitica ci vieta di pensare che si tratti di parole vuote di senso, scelte a caso. È strano, ma il velo si apriva solo in una circostanza: quando, grazie all'enteroclisma, aveva una emissione attraverso l'ano. Allora si sentiva di nuovo bene e per un breve momento vedeva le cose con chiarezza. Interpretare il significato di questo velo fu tanto difficile quanto la spiegazione dell'improvvisa paura della farfalla. E il paziente, d'altra parte, non sempre si atteneva alla sua idea del velo. Essa si dissolveva talora in sensazioni crepuscolari, di ténèbres e in altre cose inafferrabili.

Solo verso il termine della cura si ricordò che gli avevano detto che era venuto al mondo in un amnio69, per cui si era sempre considerato un prediletto della fortuna al quale non poteva toccare alcun male. Questa convenzione non lo abbandonò se non quando fu costretto a riconoscere che la blenorragia era un grave danno per il suo organismo. Il colpo subito dal suo narcisismo fu troppo forte ed egli sentì crollare tutto intorno a sé. Potremmo dire che ora non faceva che ripetere un meccanismo già entrato in azione in tempi precedenti. Infatti la fobia del lupo si era instaurata non appena aveva scoperto la reale possibilità della castrazione ed è evidente che interpretò la blenorragia come una castrazione.

Dunque il velo che nascondeva il mondo a lui e lui al mondo era quell'attlnio. Questa lamentela in realtà rappresentava la fantasia d'un desiderio realizzato, desiderio di vedersi nuovamente dentro il grembo materno, e, in pratica, di sfuggire il mondo. Ecco quale ne può essere l'interpretazione verbale: «La vita mi rende tanto infelice! Devo rientrare nell'utero!».

Ma cosa poteva significare il fatto che quel velo - simbolico, ma un tempo reale - si lacerasse nel momento in cui svuotava l'intestino per mezzo di un enteroclisma? Possiamo trovare la risposta nel contesto. Lacerare il velo presente alla nascita significava vedere il mondo e rinascere. Le feci rappresentavano il bambino e come tale egli veniva rigenerato a una vita più felice. Qui, dunque, abbiamo una fantasia di rinascita, sulla quale Jung si è soffermato di recente, assegnandole una posizione di netto predominio nella vita fantastica dei nevrotici.

Andrebbe tutto bene se questa fosse la storia nella sua integrità, ma certi particolari della situazione e un giusto riguardo ai rapporti tra di essa e questi particolari della biografia del paziente ci costringono ad andare un po' più a fondo nella nostra interpretazione. La condizione necessaria alla rinascita era l'enteroclisma, praticato dalla mano di un uomo. (Solo più tardi si trovò nella necessità di prendere egli stesso la parte di quest'uomo.) Il significato di tutto ciò non può essere che questo: egli si identificava con la madre, l'uomo sosteneva la parte del padre e l'enteroclisma era una ripetizione della copula, dalla quale sarebbe nato il bimbo escremento (che era sempre lui stesso). La fantasia della rinascita era strettamente legata a una condizione necessaria: ricevere una soddisfazione sessuale da un uomo. Ecco, dunque, il succo dell'interpretazione: la malattia sarebbe guarita solo alla condizione che il paziente avesse preso il posto di una donna, sostituendosi a sua madre, e fosse stato sessualmente soddisfatto dal padre, al quale avrebbe poi dato un figlio. Quindi la fantasia della rinascita era semplicemente una versione abbreviata e censurata di una fantasia di desiderio omosessuale.

Un più attento esame dei vari elementi ci impone di rilevare che la condizione posta dal paziente alla sua guarigione altro non era che una ripetizione della situazione in atto al tempo della «scena primaria». In quell'istante avrebbe voluto prendere il posto della madre e, come già abbiamo supposto da un pezzo, era stato lui stesso a produrre il bimbo escremento. Tuttora il paziente rimaneva fissato, come per un incantesimo, su quella scena, i cui effetti erano stati fondamentali per il suo sviluppo sessuale e la cui rievocazione, la notte del sogno, aveva avuto il potere di scatenare la malattia. La lacerazione del velo corrispondeva all'apertura degli occhi e allo schiudersi della finestra. La scena primaria si era trasformata nella condizione necessaria alla guarigione.

Ora sarà facile riunire insieme sia il significato della sensazione penosa da lui accusata, che quello dell'unica eccezione che portava sollievo a tale sensazione, dando una spiegazione globale di quanto sta alla base dei due fattori. Desiderava ritornare nel grembo materno non soltanto per rinascere, ma anche per potersi unire sessualmente a suo padre, ottenendo una soddisfazione sessuale da lui e dandogli un bambino.

Il circolo delle sue fissazioni centrate sul padre si chiude col desiderio di essere partorito da lui (cosa che un tempo aveva ritenuta vera), di essere da lui sessualmente soddisfatto e col desiderio di regalargli un figlio - a spese della propria virilità. Tali desideri, che si esprimevano col linguaggio dell'erotismo anale, davano l'espressione più intima e definitiva alla sua omosessualità70.

Penso che l'esempio del nostro paziente ci faccia comprendere il senso e l'origine della fantasia del ritorno nel corpo materno come pure l'origine della fantasia della rinascita. La prima di esse nasce di frequente (come appunto nel nostro caso) da una fissazione sul padre. Desiderare di trovarsi dentro l'utero materno significa volersi sostituire alla madre nel contatto sessuale, prendendone il posto nei rapporti col padre. Quanto alla fantasia della rinascita, è probabile che si tratti in tutti i casi di un sostituto edulcorato (si potrebbe dire un eufemismo) della fantasia di un rapporto incestuoso con la madre; secondo una espressione di Silberer, ne è una sintesi analogica. Si tratta del desiderio di ritornare alla condizione in cui si trovava quando era all'interno dell'apparato sessuale materno; sotto questo profilo, l'uomo identifica se stesso col proprio pene e vi si rappresenta. Dunque le due fantasie risultano integrarsi a vicenda: a seconda dell'atteggiamento maschile o femminile di un individuo, esse rappresentano il desiderio di unirsi sessualmente alla madre o al padre. Non è da escludere che nel nostro paziente, data la sua particolare lamentela e la condizione posta alla guarigione, le due fantasie, ossia i due desideri incestuosi, fossero entrambe presenti.

Ora tenterò un'ultima volta di dare un'interpretazione degli ultimi dati dell'analisi in conformità alle idee dei miei avversari. Il paziente lamentava la sua esclusione dal mondo con una tipica fantasia di ritorno al corpo materno e trovava la possibilità di guarire in una rinascita, concepita secondo uno schema tipico. Si esprimeva con simboli anali in conformità alla sua predisposizione dominante. In seguito, sempre secondo il prototipo di questa fantasia anale di rinascita, escogitò una scena infantile che riproponeva i suoi desideri secondo una simbologia arcaica. Più tardi i vari sintomi vennero concatenandosi tra di loro, come se fossero veramente nati da una tale scena

primaria. Imboccò questo lungo cammino a ritroso perché avrebbe dovuto affrontare dei problemi che la sua ignavia non gli permetteva di portare a termine, oppure perché aveva ottime ragioni per rendersi conto della sua inferiorità e pensava con quegli stratagemmi di potersi meglio difendere contro i colpi della vita.

Tutto andrebbe per il suo verso, se non fosse per il fatto che il poverino, ancor prima di compiere quattro anni, fece un sogno che segnò l'inizio della nevrosi, sogno formatosi sotto lo stimolo della fiaba del nonno (il sarto e il lupo), l'interpretazione del quale impone di credere alla realtà obiettiva della scena primaria. Tutte le attenuazioni, che le teorie di Jung e di Adler cercano di darci, inciampano appunto in particolari minimi, ma incontrovertibili, come questo. Ciò posto, mi sembra più plausibile che la fantasia di rinascita fosse un derivato della scena primaria invece del contrario, cioè che la scena primaria fosse un riflesso della fantasia di rinascita. Ma forse potremmo presumere che il paziente, nato da soli quattro anni, fosse, in fin dei conti, troppo piccolo per desiderare di rinascere. E invece no: questa è un'argomentazione da cui mi devo guardare, perché l'esperienza mi insegna che le facoltà mentali dei bambini sono state sottovalutate e che davvero non si sa più che cosa non possa loro attribuirsi71.

9. Ricapitolazione e problemi

Non so se il lettore di questa mia relazione sia riuscito a farsi un'idea ben chiara dell'origine e dell'evoluzione della malattia del paziente; temo proprio di no, ma se, in altre occasioni, avevo detto ben poco a difesa delle mie capacità espositive, ora, invece, vorrei invocare qualche circostanza attenuante. Descrivere fasi tanto remote e strati tanto profondi della vita psichica è un'impresa mai affrontata in precedenza: era meglio eseguirlo male che, trovandosi di fronte, fuggire. Ciò che - come sappiamo - comporta anche qualche pericolo per il fuggitivo. Dunque preferisco prendere il coraggio a due mani per dimostrare che non mi sono lasciato trattenere dalla consapevolezza della mia inferiorità.

In sé, questo caso non era particolarmente favorevole; avevo il vantaggio di disporre di una ricca messe di notizie sull'infanzia del malato perché il bambino poteva essere studiato con la mediazione dell'adulto. Ma era un vantaggio pagato a caro prezzo: l'analisi, infatti, era spaventosamente frammentaria e quindi la sua esposizione era costellata di lacune. Farsi strada nella psiche del malato era un compito ben arduo in ragione delle sue caratteristiche personali e della sua mentalità nazionale, estranea alla nostra. Il contrasto tra la piacevole ed affabile personalità del soggetto, la sua intelligenza acuta, il suo delicato modo di pensare da un lato e la sua sfrenata vita istintiva dall'altro, imposero un lavoro molto lungo di preparazione e d'educazione, il che aumentò la difficoltà di pervenire ad una visione d'insieme. Comunque il paziente non aveva colpa se il suo caso era tale da frapporre i più ardui ostacoli alla descrizione. Per fortuna, nella psicologia dell'adulto siamo arrivati al punto di riuscire a distinguere i processi psichici in processi coscienti e inconsci, descrivendo entrambi con la dovuta perspicuità. Invece con i bambini tale distinzione non ci è di nessun aiuto e, spesso, ci si trova nell'imbarazzo quando si tratta di decidere se un determinato processo è cosciente o inconscio. Del resto processi che sono divenuti dominanti e che, per la loro evoluzione, sono da equipararsi a processi coscienti, non erano tuttavia coscienti nell'infanzia. E si capisce bene perché: nei bambini la coscienza non ha ancora acquisito tutte le sue caratteristiche; è tuttora in via di sviluppo e non è ancora dotata della capacità di tradursi in rappresentazioni verbali. La nostra colpa è di confondere continuamente tra il dato fenomenico della comparsa della coscienza come percezione e l'appartenenza ad un sistema psichico ipotetico cui dovremmo assegnare un nome convenzionale, ma che, in realtà, chiamiamo egualmente «Coscienza» (il sistema C). È una confusione che, nella descrizione psicologica di un adulto, non porta alcun danno, mentre induce in errore quando si tratta di un bambino piccolo. Non ci sarebbe nemmeno di grande aiuto il concetto di «preconscio», perché il preconscio del bambino può benissimo non coincidere con quello di un adulto. Dunque dobbiamo ritenerci paghi di aver riconosciuto chiaramente l'esistenza di questa difficoltà.

Naturalmente un caso come quello descritto in queste pagine potrebbe benissimo essere un pretesto per mettere in discussione tutte le scoperte e i problemi della psicoanalisi, ma sarebbe una fatica improba e ingiustificata. Bisogna ammettere che un caso singolo non ci può insegnare tutto, né si può risolvere ogni cosa per mezzo di esso; bisogna accontentarsi di mettere a frutto nel miglior modo quanto in esso ci appare più chiaramente. In tutti i modi, quello che la psicoanalisi è tenuta a spiegare è definito da limiti molto ristretti. Infatti, è compito della psicoanalisi spiegare i sintomi più evidenti, rivelandone l'origine, mentre essa deve semplicemente descrivere, non spiegare, i meccanismi psichici e i processi istintivi ai quali in tal modo si perviene. Per poter trarre nuovi concetti generali su quanto si è già conosciuto sui meccanismi e pulsioni, bisognerebbe avere a propria disposizione molti altri casi, analizzati con la stessa profondità e completezza di quello presente. Ma non è facile averne e per ognuno di essi ci vogliono anni di lavoro. Quindi il progresso in questo ambito della scienza è necessariamente lento. Certamente si prova una forte tentazione di contentarsi di «scalfire» la superficie psichica di un certo numero di individui, abbandonando tutto quello che resta insoluto alla speculazione, che, necessariamente, deve cadere sotto il segno di questa o quella corrente filosofica. A favore di questo procedimento si possono invocare anche delle esigenze pratiche, ma non esiste surrogato che soddisfi le esigenze della scienza.

Adesso mi sforzerò di dare una sintesi dell'evoluzione sessuale del mio paziente, a cominciare dai primi indizi. Il primissimo segno che ci è noto è l'alterazione dell'appetito: infatti, alla luce di altre osservazioni, mi sento portato, sia pure con le debite riserve, a ritenere che certi processi rientrino nella sfera sessuale. Secondo le mie osservazioni, la prima organizzazione sessuale riconoscibile è la cosiddetta fase «cannibalica» od «orale», nella quale predomina ancora l'originario collegamento tra eccitazione sessuale e istinto della nutrizione. Non bisogna sperare di osservare direttamente le manifestazioni di questa fase, ma semplicemente di trovarne alcuni indizi quando si siano instaurati dei disturbi. Un'alterazione dell'istinto di nutrizione - che naturalmente può dipendere da altre cause - ci fa pensare a un'incapacità dell'organismo di dominare il suo stato di eccitazione sessuale. In questa fase lo scopo sessuale potrebbe essere soltanto il cannibalismo, l'impulso a divorare, che, nel nostro paziente, comparve in rapporto a una regressione rispetto a uno stadio più elevato, assumendo l'aspetto di paura di «essere mangiato dal lupo». In effetti, dovemmo interpretare questa paura come la paura di servire al coito del padre. Si sa che nelle ragazze, in età puberale o poco dopo, si può avere una nevrosi che estrinseca l'avversione per la sessualità attraverso una anoressia. Questa nevrosi va ricollegata alla fase orale della vita sessuale. Lo scopo erotico dell'organizzazione orale riappare, con intensità parossistica, nelle espressioni degli innamorati (come «ti mangerei di baci») e nei rapporti d'affetto tra grandi e piccini, in cui l'adulto finge di essere anche lui bambino. Già altrove ho espresso il sospetto che il padre del nostro paziente avesse l'abitudine di lanciare al figlio «minacce affettuose» e avesse giocato con lui al lupo o al cane, minacciando per scherzo di mangiarselo. Il paziente, infatti, confermava il mio sospetto col suo singolare comportamento nel transfert. Ogni volta che cercava rifugio nel transfert dalle difficoltà della cura, minacciava di divorarmi oppure, come accadde più tardi, mi rivolgeva ogni genere di minacce, che erano solo manifestazioni di affetto.

Nel linguaggio corrente si trovano avanzi permanenti di questa fase orale della sessualità. Per esempio, di un oggetto d'amore si suol dire che è «appetitoso» e le persone amate vengono definite «dolci».

Inoltre si ricorderà che il nostro piccolo paziente voleva mangiare solamente dolci. Nei sogni, dolciumi e canditi rappresentano sempre carezze e soddisfazioni sessuali.

Inoltre sembra che in questa fase esista - nel caso si manifestino disturbi - un caratteristico stato d'angoscia che si estrinseca come paura della morte e che può fissarsi su qualunque cosa venga indicata al bambino come capace di giustificarla. Per esempio, nel nostro paziente, tale angoscia venne sfruttata per fargli superare la sua inappetenza, che, in effetti, fu addirittura sovracompensata. Se vogliamo scoprire la probabile origine di questo disturbo dell'appetito, dobbiamo tener presente - fondandoci sull'ipotesi di cui abbiamo parlato più volte - che il nostro paziente fu testimone di quella scena di rapporti sessuali, che doveva avere tanti effetti postumi su di lui, all'età di un anno e mezzo, certamente prima che venisse colpito da tali disturbi. Potremmo, allora, forse pensare che quella scena avesse accelerato il lui il processo di maturazione sessuale, producendo anche effetti immediati, sia pure in apparenza insignificanti.

Ovviamente mi rendo conto che si può dare una spiegazione più semplice ai sintomi di quel periodo (la paura del lupo e il disturbo dell'appetito) senza dover ricorrere alla sessualità o allo stadio pregenitale dell'organizzazione sessuale. Chi non vuol tener conto degli indizi fornitici dalla nevrosi e dei rapporti che legano tra di loro i vari avvenimenti, preferirà quest'altra spiegazione, né io potrò impedirglielo. È difficile reperire prove inattaccabili di questi esordi della vita sessuale, se non ricorrendo a vie tortuose come quella testé indicata.

La scena di Grusa ci presenta il piccolo - di due anni e mezzo - agli inizi di uno sviluppo che, a prescindere dalla sua precocità, deve essere considerato normale. Osserviamo un'identificazione col padre e un erotismo uretrale, indice di virilità. Questo sviluppo era anche sotto l'influenza della scena primaria. Abbiamo considerato finora l'identificazione col padre come narcisistica, ma, tenendo presente il contenuto della scena primaria, non possiamo negare che il suo sviluppo era già arrivato al livello dell'organizzazione genitale. Il suo organo genitale maschile aveva assunto il proprio ruolo che mantenne anche in seguito, sotto l'influenza della seduzione ad opera della sorella.

Si direbbe però che la seduzione non soltanto avesse incoraggiato lo sviluppo sessuale ma lo avesse, e in misura maggiore, perturbato e deviato, in quanto gli aveva proposto un fine sessuale passivo che, da ultimo, si rivelò incompatibile con la funzione dell'organo sessuale maschile. La sua organizzazione genitale, ancora piuttosto incerta, crollò, a tre anni e nove mesi, dinanzi al primo ostacolo esterno, la minaccia di castrazione da parte della «nania», regredendo allo stadio precedente, cioè a quello dell'organizzazione sadico-anale, che, altri-menti,sarebbe forse passato quasi inosservato, come in altri bambini.

L'organizzazione sadico-anale appare senza difficoltà come il proseguimento e l'evoluzione di quella orale; l'intensa attività muscolare, diretta verso l'oggetto, che la contraddistingue, si può spiegare come un atto preparatorio a quello del mangiare. Il quale cessa, allora, di costituire uno scopo sessuale e l'atto preparatorio diventa uno scopo fine a se stesso. In confronto allo stadio precedente vi è una novità fondamentale: la funzione passiva di ricezione si svincola dalla zona orale e si porta sulla zona anale. Non possiamo qui fare a meno di pensare a parallelismi di ordine biologico, oltre che alla teoria secondo la quale l'organizzazione pregenitale dell'uomo va considerata come un vestigio di condizioni che, in talune classi del regno animale, perdurano per tutta l'esistenza. Un'altra caratteristica di questo stadio dello sviluppo è la formazione dell'istinto d'investigazione, sulla base dei suoi vari componenti.

L'erotismo anale del fanciullo non era particolarmente evidente. Sotto l'influenza del sadismo, il significato amoroso delle feci cedette a un significato aggressivo. La trasformazione del sadismo in masochismo è in parte dipendente da un senso di colpa, la cui esistenza fa ritenere che si svolgessero nel paziente anche altri processi evolutivi in ambiti diversi da quello sessuale.

La seduzione continuò a far sentire la sua influenza, mantenendo lo scopo sessuale fisso sulla passività e trasformando, in larga misura, il sadismo in masochismo, che, di quello, è la controparte passiva. Comunque, è discutibile se si debba imputare questo atteggiamento di passività esclusivamente alla seduzione; infatti, già la reazione del bambino di fronte alla scena del rapporto sessuale cui aveva assistito a un anno e mezzo, era prevalentemente a carattere passivo. La sua coeccitazione sessuale si tradusse nell'emissione di feci, per quanto in questo comportamento si debba ravvisare anche un elemento attivo. Accanto al masochismo, che predominava sugli altri impulsi sessuali e si esprimeva anche con fantasie, persisteva pure il sadismo, rivolto verso i piccoli animali. Le sue indagini sessuali, iniziatesi al tempo della seduzione, si concentravano, fondamentalmente, su due problemi: l'origine dei bambini e la possibilità di perdere i genitali. Queste indagini si inserirono nelle manifestazioni degli impulsi istintivi del paziente, indirizzando le tendenze sadiche verso gli animaletti quali rappresentanti dei bambini piccoli.

Siamo arrivati, nel nostro resoconto, quasi al tempo in cui il piccolo compì quattro anni, allorché il sogno portò l'osservazione del coito, compiuta ad un anno e mezzo, ad esercitare un effetto differito. E quanto accade da ora non si riesce né a descrivere adeguatamente né a comprendere completamente. L'attivazione di quella scena, di cui ormai poteva comprendere il significato grazie al progresso dello sviluppo intellettuale, non soltanto operò come un evento recente, ma ebbe anche l'effetto di un nuovo trauma, un intervento dall'esterno, analogo ad una seduzione. L'organizzazione genitale, che si era sfasciata, si ristabilì all'improvviso, ma questo progresso attuato dal sogno non riuscì a mantenersi. Anzi, a causa di un processo assimilabile esclusivamente alla rimozione, insorse un rigetto del nuovo elemento che fu sostituito da una fobia.

Dunque l'organizzazione sadico-anale continuò a permanere anche durante la fase della fobia animale, ora instaurata, e fu perturbata

solo dal sopravvenire di fenomeni di angoscia. Il bimbo continuava nelle sue attività sadiche, oltre che in quelle masochiste, però reagiva con l'angoscia a una parte di esse; è probabile che la convenzione del sadismo nel suo contrario facesse altri progressi.

L'analisi del sogno di angoscia dimostra che la rimozione era legata al riconoscimento dell'esistenza della castrazione. Questo nuovo elemento venne respinto perché l'accettarlo gli sarebbe costata la perdita del pene. Una disamina più minuziosa ci porta a determinate conclusioni, che ora esporremo. L'elemento rimosso era l'atteggiamento omosessuale, inteso in senso genitale, atteggiamento formatosi sotto l'influenza del riconoscimento della castrazione. Questo atteggiamento persistette, però, nell'inconscio ove formò uno stato dissociato e più profondo. Il movente della rimozione pare sia stato la virilità narcisistica legata ai genitori del fanciullo, che era entrata in conflitto - un conflitto che andava covando da molto tempo - con la passività delle sue finalità omosessuali. Quindi la rimozione era una conseguenza della virilità.

Qui si potrebbe tentare di apportare un lieve ritocco alla teoria psicoanalitica. Parrebbe evidente che la rimozione e la formazione della nevrosi nascessero da un conflitto fra tendenze maschili e femminili, vale a dire dalla bisessualità. Però questo modo di interpretare la situazione non è completo: dei due impulsi sessuali antagonisti, l'uno era egosintonico, l'altro, invece, ledeva gli interessi narcisistici del fanciullo e, per questo, andò incontro a rimozione. Dunque anche in questo caso l'Io fu il promotore della rimozione, a vantaggio di una delle due tendenze sessuali. In altri casi questo conflitto fra maschilità e femminilità manca, perché esiste una sola tendenza sessuale, che cerca di essere accolta, ma urta contro certe forze dell'Io e, quindi, viene respinta. In realtà i conflitti tra sessualità e tendenze morali dell'Io sono molto più comuni di quelli che scoppiano all'interno della sessualità stessa. Nel caso del nostro paziente, tuttavia, non vi era alcun conflitto del genere. Insistere sulla bisessualità, quale movente della rimozione, significa avere una prospettiva troppo angusta; mentre, se attribuiamo questo stesso ruolo al conflitto fra l'Io e le tendenze sessuali (cioè la libido), avremo previsto tutti i casi possibili.

La teoria della «protesta virile», quale è stata concepita da Adler, urta in una difficoltà perché non è affatto vero che la rimozione si schieri sempre a favore della mascolinità contro la femminilità: vi è un gruppo estesissimo di casi nei quali la virilità ha dovuto cedere alla rimozione da parte dell'Io.

Per di più, un'esatta valutazione del processo di rimozione del nostro caso ci dovrebbe portare a negare che la virilità, narcisistica, fosse il solo motivo della rimozione. L'atteggiamento omosessuale instauratosi durante il sogno era talmente strapotente che l'Io del piccolo non fu in grado di dominarlo, per cui si difese ricorrendo alla rimozione. Allora fu invocata la virilità narcisistica, legata ai genitali, che, essendo avversa all'atteggiamento omosessuale, aveva il potere di aiutare l'Io in questo frangente. Al puro scopo di evitare malintesi, dirò qui che tutti gli impulsi narcisistici partono dall'Io e hanno la loro sede permanente nell'Io, mentre le rimozioni sono rivolte contro gli investimenti libidici oggettuali.

Ma ora lasciamo il processo di rimozione, per quanto non siamo forse riusciti a trattarlo esaurientemente, e ritorniamo allo stato del bambino al momento del risveglio dal sogno. Se la sua virilità avesse realmente trionfato sull'omosessualità (o femminilità) durante il processo onirico, dovremmo poi per forza scoprire il predominio d'una tendenza sessuale attiva, dotata di caratteri nettamente maschili. Ma sicuramente non è così. Le caratteristiche fondamentali dell'organizzazione sessuale non erano mutate: la fase sadico-anale continuava ad esistere, anzi era ancora predominante. La vittoria della virilità si palesava soltanto nel fatto che, da allora in poi, il soggetto prese a reagire con l'angoscia alle finalità sessuali, passive dell'organizzazione dominante. Queste finalità erano masochiste, ma non femminili. Non assistiamo al trionfo di una tendenza sessuale maschile, troviamo soltanto una tendenza alla passività e uno stato di conflitto contro di essa.

Non mi riesce difficile immaginare l'imbarazzo in cui verrà a trovarsi il lettore dinanzi alla netta distinzione (non comune, però fondamentale) che io faccio tra «attivo», «maschile» e «passivo», «femminile». È per questo che non ho timore di ripetermi. Dunque, dopo il sogno si era creata una situazione che può essere descritta così: le tendenze sessuali avevano subito una dissociazione. Nell'inconscio era stato raggiunto lo stadio dell'organizzazione genitale, e si era sviluppata una intensissima omosessualità. Al di sopra (virtualmente nella coscienza) permaneva la corrente sessuale sadica e soprattutto masochistica anteriore; l'Io, intanto, aveva nel complesso modificato la sua posizione nei confronti della sessualità. Esso ripudiava ora la sessualità e respingeva con angoscia gli scopi masochistici dominanti, non diversamente da come aveva reagito con una fobia agli scopi omosessuali più profondi. Quindi il sogno, più che al trionfo della corrente maschile, aveva portato ad una reazione contro quella femminile e passiva. Attribuire a questa reazione un'impronta di virilità sarebbe una forzatura. In realtà l'Io non possiede correnti sessuali, perché i suoi unici interessi sono la conservazione di se stesso e del proprio narcisismo.

E ora studiamo un po' la fobia. Essa si era manifestata al livello dell'organizzazione genitale e dimostrava di possedere il meccanismo, relativamente semplice, di un'isteria d'angoscia. L'Io aveva suscitato quest'angoscia per difendersi contro quello che, per lui, era un pericolo incombente: la soddisfazione, omosessuale. Ma il processo di rimozione aveva lasciato dentro di sé una traccia che non possiamo ignorare: l'oggetto di questo pericoloso scopo sessuale aveva dovuto cedere il suo posto a qualcosa di diverso. La paura che si affacciò alla coscienza non era paura del padre, bensì del lupo. Il processo, però, non si fermò dopo aver prodotto questa fobia: altri contenuti si succedettero e, parecchio tempo dopo, al lupo subentrò il leone. Anche gli impulsi sadici diretti verso i piccoli animali si accompagnavano ad una fobia per gli stessi, in quanto simboli dei rivali del fanciullo (eventuali neonati). Molto interessante è il meccanismo di origine della fobia della farfalla, che sembrava una reiterazione del meccanismo che aveva generato, nel sogno, la fobia del lupo. La scena con Grusa era un'antica esperienza, i cui effetti furono riattivati da una stimolazione occasionale. Si trattava degli effetti, ritardati, di una minaccia di castrazione che, nel momento in cui era stata udita, non aveva fatto alcuna impressione72.

Possiamo asserire, con cognizione di causa, che la paura che si trovava alla base di quelle fobie era paura della castrazione. In questa affermazione non si deve vedere una contraddizione all'idea che l'angoscia fu generata dalla rimozione della libido omosessuale. In entrambi i casi si allude allo stesso processo, quello in virtù del quale l'Io aveva sottratto la libido all'impulso di desiderio omosessuale, per cui questa libido dapprima si era trasformata in angoscia allo stato libero e poi si era fissata alle fobie. La sola differenza è rappresentata dal fatto che il primo modo di descrivere il processo contiene in più la menzione del motivo che aveva spinto l'Io ad agire. Un esame più attento della questione ci dice che la prima malattia del nostro paziente - prescindendo dall'inappetenza - non si esaurisce solo in un quadro fobico. Si tratta, in effetti, di una vera isteria che non presenta soltanto sintomi d'angoscia, ma anche fenomeni di conversione. Parte dell'impulso omosessuale si scaricava sull'apparato organico più strettamente legato a queste tendenze e, infatti, anche nella vita adulta, il comportamento dell'intestino del paziente era quello di un apparato affetto da isteria. L'omosessualità rimossa nell'inconscio si era rifugiata nell'intestino, e fu proprio questa caratteristica isterica ad aiutarci tanto validamente nell'interpretazione della malattia dell'età adulta.

E ora dobbiamo fare appello a tutto il nostro coraggio e attaccare la struttura, ancor più complessa, della nevrosi ossessiva. Rivediamo un momento il quadro della situazione: vi è una corrente sessuale dominante, masochista, e una tendenza omosessuale, rimossa; l'Io è tutto assorbito nel rifiuto isterico di entrambe. Quale processo psichico ha potuto trasformare questa situazione in una nevrosi ossessiva?

Non fu una trasformazione spontanea, da evoluzione interiore, bensì la conseguenza di un agente esterno. L'aspetto visibile di quella trasformazione era rappresentato dal modo di estrinsecarsi della paura del padre - sempre rimasta in primo piano -, che prima si esprimeva come fobia del lupo e ora come religiosità ossessiva. Non posso evitare di dire che questa parte della storia del mio malato conferma chiaramente una mia affermazione, contenuta in Totem e Tabù, sui rapporti tra animale-totem e divinità73. In quest'opera mi pronuncio a favore dell'idea che il concetto di divinità non si è evoluto da quello di totem, ma ne ha preso il posto dopo essersi formato da una radice comune a entrambi i concetti. Sostengo che il totem è il primo sostituto del padre e il dio ne è un ulteriore sostituto, nel quale il padre riassume figura di uomo. È proprio la stessa cosa che si osserva nel nostro malato: la sua fobia aveva attraversato lo stadio del sostituto totemico del padre, il quale si era interrotto, e al suo posto era subentrata una fase di religiosità ossessiva nata dal nuovo genere di rapporti tra padre e figlio. La trasformazione era opera della madre, che aveva provveduto a istruirlo nelle dottrine religiose e nella storia sacra. Quegli insegnamenti avevano ottenuto l'effetto desiderato: l'organizzazione sessuale sadomasochista si era esaurita lentamente; in breve la fobia del lupo scomparve e, al posto del rifiuto della sessualità attuato per mezzo dell'angoscia, comparve un metodo di repressione più evoluto. Il motivo dominante della vita del fanciullo fu la religiosità. Questi superamenti, tuttavia, non avvengono senza battaglie, e un indizio della guerra che si combatté ci è dato dai pensieri blasfemi del paziente; l'esito fu un'esasperazione ossessiva del cerimoniale religioso.

Prescindendo da questi fenomeni patologici, si può ben dire che, nel nostro caso, la religione realizzò tutti i fini per i quali entra a far parte dell'educazione degli uomini. Pose dei limiti agli impulsi sessuali, offrendo loro la possibilità di sublimarsi, oltre a un solido rifugio; diminuì l'importanza dei rapporti familiari, difendendo in tal modo il paziente dal pericolo di isolamento col permettergli libero accesso alla grande comunità umana. Il fanciullo, ombroso e tormentato dalle paure, si trasformò in un essere sociale, dal comportamento corretto, suscettibile di educazione.

L'influenza che la religione esercitava su di lui traeva quasi tutte le sue energie da un'identificazione con la figura di Cristo, grandemente agevolata dalla coincidenza della data di nascita. Grazie a questa influenza il suo eccessivo amore per il padre, che aveva reso necessaria la rimozione, potè finalmente sboccare in una sublimazione ideale.

Identificandosi con Cristo poteva amare il padre, ora chiamato Dio, con un fervore che non aveva potuto trovare sfogo presso "il padre mortale. La religione offriva al bambino i mezzi per esternare il suo amore e tali mezzi non erano turbati da quel senso di colpa dal quale le sue aspirazioni amorose individuali non erano riuscite a svincolarsi. In tal modo poteva estrinsecare nuovamente le più riposte tendenze sessuali, già condensatesi nella forma di omosessualità inconscia. Nello stesso tempo anche gli impulsi masochisti, più superficiali, trovavano una incomparabile possibilità di sublimazione, senza eccessivo sacrificio, nella storia della Passione di Cristo che, per disposizione del suo divino Padre e in suo onore, si era lasciato tormentare e immolare. In tal modo la religione aveva compiuto la sua opera su questo bambino sviato, offrendo al piccolo credente un misto di soddisfazione, di sublimazione, di allontanamento dalla sensualità verso mete puramente spirituali e di possibilità di allacciare rapporti sociali. La resistenza opposta da principio contro la religione aveva tre diverse origini. In primo luogo c'era la caratteristica generica del paziente - di cui abbiamo già dato esempi - di schermirsi contro tutte le innovazioni. Se la libido aveva assunto una data posizione, egli la difendeva ostinatamente per paura delle perdite che avrebbe dovuto soffrire rinunciandovi e anche per sfiducia nella possibilità di trovare un'adeguata sostituzione nella nuova posizione che gli si prospettava. È, questa, una caratteristica psicologica importante, anzi essenziale, cui ho dato il nome di predisposizione alla «fissazione», nei Tre saggi sulla teoria della sessualità (1905). Jung ha tentato di elevarla al rango di causa fondamentale di tutti gli insuccessi dei nevrotici, denominandola «inerzia» psichica. Ma, secondo me, in questo si sbaglia, perché si tratta d'un fattore di portata molto pù vasta, che ha una notevole influenza anche nella vita dei non nevrotici. La notevole mobilità, o la difficoltà a muoversi degli investimenti libidici ed energetici, in genere, «costituiscono caratteristiche che si ritrovano oltre che nei nevrotici, e neppure in tutti, anche in molti individui normali. Tali caratteristiche non sono state studiate, finora, nei loro rapporti con altri fattori e appaiono, piuttosto, simili ai numeri primi, non suscettibili di ulteriori suddivisioni. Di esse sappiamo solo una cosa: la mobilità o spostabilità degli investimenti psichici è una proprietà che va riducendosi enormemente con l'avanzare dell'età. E questo uno dei fattori che stabiliscono i limiti entro i quali il trattamento psicoanalitico è efficace. Vi sono però degli individui che mantengono questa plasticità mentale molto oltre i limiti abituali e altri che la perdono assai precocemente. Se questi ultimi sono nevrotici abbiamo la sgradita sorpresa di non poter risolvere in loro determinati complessi che, in circostanze apparentemente simili, sarebbero stati guariti con facilità in altre persone. Dunque possiamo applicare anche all'energia psichica, come si fa con i fenomeni fisici, il concetto di entropia: questo principio si oppone alla possibilità di modificare quello che ormai è accaduto.

Un secondo punto da cui la resistenza del paziente muoveva era costituito dal fatto che la dottrina religiosa stessa si fonda su un rapporto con Dio Padre certamente non privo di ambiguità, dato che reca i segni di quell'atteggiamento ambivalente che influì sulla sua origine. L'ambivalenza propria del paziente, particolarmente sviluppata, gli rese più facile ravvisare le analoghe caratteristiche della religione, verso le quali dimostrò capacità critiche così acute che non possono non stupirci in un bimbo di quattro anni e mezzo.

Ma esiste anche un terzo elemento, certamente il più importante, che va considerato come la causa delle produzioni patologiche esistenti nella lotta del paziente contro la religione. In effetti, quella tendenza che lo spingeva a cercare nei maschi l'oggetto sessuale, e che la religione avrebbe dovuto sublimare, non era più libera: la rimozione ne aveva isolato una parte, sottraendola alla possibilità di sublimarsi e fissandola sullo scopo sessuale originario. Questa situazione faceva sì che la parte rimossa continuasse a lottare per ricongiungersi alla parte sublimata o per attirarla a sé. Le prime elucubrazioni, intessute dal paziente intorno alla figura di Cristo, si ponevano già il problema se questo sublime figlio potesse, nei suoi rapporti col padre, adempiere anche a quei rapporti sessuali, il cui desiderio era ancor vivo nel suo inconscio. Il rigetto di questi sforzi portò a un solo risultato, cioè alla produzione di pensieri blasfemi, chiaramente di origine ossessiva, con i quali l'attaccamento fisico a Dio trovava espressione sotto forma di svalutazione. Una violenta lotta difensiva contro queste formazioni di compromesso non poteva non sfociare in un'esasperazione ossessiva di quelle azioni rituali che vengono prescritte con lo scopo di esternare la devozione e un puro amor di Dio. La vittoria finale toccò alla religione, ma la sua base istintiva si dimostrò ben più forte e duratura dei prodotti della sublimazione. Non appena gli avvenimenti della vita offrirono al paziente un nuovo sostituto del padre, che fece pendere il piatto della bilancia a sfavore della religione, egli se ne sbarazzò, sostituendola con altri elementi. Del resto non dimentichiamoci, perché si tratta di un'interessante complicazione, che la devozione era nata in lui per opera di donne -la madre e la bambinaia -, mentre fu l'influsso di un uomo che gliela tolse.

Il meccanismo di origine di questa nevrosi ossessiva, basata sull'organizzazione sadico-anale, conferma nell'insieme quanto ho detto altrove (1913)74 sulla predisposizione alla nevrosi ossessiva. Però, in questo caso, la situazione non è tanto chiara, a cagione della preesistenza di un'isteria grave.

E ora concludiamo questo quadro sintetico dell'evoluzione sessuale del paziente con qualche accenno ai fatti successivi della sua vita. Negli anni della pubertà si manifestò in lui una tendenza maschile, spiccatamente sensuale, i cui scopi sessuali erano quelli dell'organizzazione genitale. Il fenomeno, da ritenersi normale, perdurò da allora fino alla comparsa della seconda malattia. Le caratteristiche salienti di questo stato si ricollegavano direttamente alla scena di

Grusa, soprattutto la tendenza a improvvisi e transitori accessi di amore coatto. Tutto questo era causa di conflitti con le inibizioni derivate dalla sua nevrosi infantile. Una violenta rivoluzione psichica aveva indirizzato le sue tendenze sessuali verso le donne, facendogli conseguire una piena virilità. Da allora in poi il suo oggetto sessuale era stato la donna, ma non per questo godeva del suo possesso, perché ancora sussisteva in lui, sia pure a livello inconscio, un'intensa inclinazione verso gli uomini, che si sforzava, senza sosta, di allontanarlo dall'oggetto femminile e, per contrasto, lo costringeva ad esasperare il suo senso di dipendenza dalle donne. Durante il periodo di cura non fece che lamentarsi, affermando di non sopportare le donne, sì che tutto il nostro lavoro fu indirizzato alla scoperta delle condizioni della sua tendenza inconscia verso l'uomo. E una situazione che, nel suo insieme può sintetizzarsi nella seguente formula: l'infanzia era stata caratterizzata da un'oscillazione tra attività e passività, la pubertà da una lotta per raggiungere la virilità e l'età successiva, all'inizio della malattia, da un conflitto per la definizione dell'oggetto della sua tendenza maschile. La causa scatenante della nevrosi non rientrava in nessuna di quelle categorie di patogenesi nevrotica che ho riunito75 nel gruppo delle «frustrazioni», per cui penso che nella mia classificazione vi sia qualche lacuna. Il suo collasso nervoso era intervenuto in seguito a una malattia organica dei genitali che aveva rinnovellato in lui la paura della castrazione, mandando in frantumi il suo narcisismo e obbligandolo a rinunciare all'idea di essere un favorito della sorte. Si era, dunque, ammalato in conseguenza di una «frustrazione» narcisistica. Questa forza esagerata del suo narcisismo concordava pienamente con gli altri segni di sviluppo sessuale inibito. Tra di essi spiccava il fatto che ben poche delle sue tendenze sessuali erano rivolte alla scelta di un oggetto eterosessuale - malgrado tutta l'energia ripostavi -, mentre l'atteggiamento omosessuale, molto più vicino al narcisismo, continuava a operare in lui come una tenace energia inconscia. È ovvio che, in presenza di disturbi psichici di questo genere, il trattamento psicoanalitico non può provare rivolgimenti istantanei o riportare le cose sul cammino della normalità, ma può solamente eliminare gli ostacoli e sgombrare la via, permettendo alle influenze della vita di guidare secondo un più giusto corso i successivi sviluppi.

E ora descriverò alcune caratteristiche particolari della personalità del paziente che la psicoanalisi riuscì a rivelare, ma non a spiegare integralmente, per cui non potè agire direttamente su di esse. Tra queste annoveriamo la tecnica delle fissazioni, di cui si è già parlato, la straordinaria propensione all'ambivalenza e - terzo elemento essenziale di una costituzione che, ben a ragione, va definita arcaica -la capacità di mantenere con una contemporanea funzionalità i più diversi e contraddittori investimenti libidici. Il quadro clinico della malattia sofferta in età adulta - di cui, in queste pagine, ho dato solo scarsissimi cenni - era dominato da una continua oscillazione tra gli uni e gli altri di loro. Tale caratteristica sembrò, per molto tempo, impedire la guarigione e ogni progresso terapeutico. Certamente si trattava di una caratteristica tipica dell'inconscio che, nel nostro caso, si manteneva inalterata anche nei processi psichici emersi nella coscienza. Essa si palesava però soltanto nelle manifestazioni dei moti affettivi, dato che, invece, nel campo della logica pura, il paziente aveva una particolare abilità nel mettere a nudo contraddizioni e incompatibilità. Per questo la sua vita psichica produceva un'impressione non dissimile da quella che conduce la religione degli antichi Egizi che ci sembra così incomprensibile per il fatto d'aver mantenuto in vita i suoi stadi più arcaici accanto a produzioni più tarde, conservando le deità più remote, con i loro attributi, insieme a quelle più recenti; in definitiva, essa distribuisce letteralmente su una superficie a due dimensioni ciò che, in altri casi di evoluzione, è distribuito in profondità.

Sono giunto al termine di quanto avevo da dire su questo caso. Tra i molti problemi che ha suscitato, ve ne sono due particolarmente degni di attenzione, secondo me. Il primo riguarda la questione degli schemi, ereditati attraverso la filogenesi, i quali, a somiglianza delle «categorie» in filosofia, esercitano la funzione di dare una «collocazione» alle impressioni tratte dall'esperienza attuale. Io tendo a vedere in questi schemi dei «precipitati» della storia della civiltà umana. L'esempio più noto di questa classe è il complesso di Edipo, che si riferisce a un determinato rapporto tra il figlio e i genitori. Se un'esperienza individuale non si adatta a uno schema ereditario, subisce una rielaborazione ad opera della fantasia. Sarebbe molto utile seguire questo processo in tutti i suoi particolari. Casi del genere sembrano fatti apposta per convincerci dell'effettiva esistenza di questi schemi. Ci capita di frequente di vedere come lo schema abbia la meglio sull'esperienza dell'individuo. Per esempio, nel nostro caso, il padre del fanciullo si trasformò nel castratore e in una minaccia per la sua sessualità infantile, nonostante che il soggetto, per molti altri versi, dimostrasse di avere un complesso di Edipo invertito. Ravvisiamo un processo analogo nel caso della bambinaia che assunse il ruolo della madre o si confonde con essa. La contraddizione tra esperienza e schema sembra offrire ampia materia ai conflitti infantili.

Il secondo problema non è molto differente dall'altro, sebbene sia di gran lunga più importante. Se poniamo mente al comportamento del fanciullo di quattro anni dinanzi alla riattivazione della scena primaria76, o, persino, alle sue stesse reazioni, molto più semplici, di fronte alla scena cui aveva assistito a un anno e mezzo, non possiamo non pensare che, già allora77, nel suo intimo esistesse una specie di indefinibile conoscenza o, piuttosto, di un quid che precorreva la comprensione. Non è possibile farsi un'idea di che cosa si trattasse effettivamente; a nostra disposizione abbiamo solo un'analogia - per altro molto buona - rappresentata dalla estesa conoscenza istintiva degli animali. Se anche gli esseri umani possiedono un patrimonio istintivo di questo tipo, non farà meraviglia che i suoi contenuti riguardino in special modo la vita sessuale, pur non essendo certamente limitati esclusivamente ad essa. In tal caso questo elemento istintivo sarebbe il nucleo fondamentale dell'Inconscio, una forma primordiale di attività psichica, che, più tardi, verrebbe detronizzata e messa in secondo piano dall'avvento della ragione umana, pur potendo mantenere in alcuni individui, e forse in tutti, la capacità di attrarre a sé i processi psichici superiori. La rimozione sarebbe un ritorno a questo stato istintivo e, quindi, l'uomo pagherebbe lo scotto della sua grande conquista con la tendenza alla nevrosi; anzi, la possibilità della nevrosi sarebbe la prova dell'esistenza di questi primordiali stadi anteriori affini all'istinto. Il significato dei traumi della prima infanzia consisterebbe in un apporto di materiali a questo inconscio, che, grazie a tale contributo, riuscirebbe a sfuggire all'usura nel corso successivo dell'evoluzione.

So bene che da molte parti sono state già espresse considerazioni di questo genere, intese a rilevare l'importanza, per la vita psichica, di questo fattore ereditario, acquisito tramite la filogenesi. In effetti mi sembra che si sia stati anche troppo proclivi ad accogliere nella psicoanalisi queste idee e a insistere sulla loro importanza. A mio vedere esse possono essere accettate solo nel caso che la psicoanalisi rispetti scrupolosamente l'ordine di precedenza, arrivando a queste vestigia dell'ereditarietà dopo essersi aperta il cammino attraverso le stratificazioni di quanto è stato direttamente acquisito dall'individuo.

Note

1 Questa relazione clinica è stata buttata giù brevemente poco dopo la fine della cura, durante l'inverno 1914-15. In quel tempo ero ancora sotto l'impressione che mi avevano procurato le reinterpretazioni alterate che C.G. Jung e Alfred Adler si sforzavano di dare ai reperti della psicoanalisi. Pertanto il presente lavoro si ricollega al mio saggio «Sulla storia del movimento psicoanalitico», pubblicato nello Jahrbuch der Psy-choanalyse del 1914. Le polemiche contenute in tale saggio, aventi in complesso un carattere personale, trovano nel presente lavoro l'appoggio di una valutazione obiettiva del materiale analitico. Esso doveva vedere la luce nel successivo numero dello Jahrbuch, la cui pubblicazione fu rimandata sine die per difficoltà conseguenti alla Grande Guerra. Per questo ho deciso di inserirlo nella presente raccolta di articoli che esce a cura di un nuovo editore. In questo intervallo di tempo sono stato costretto ad affrontare - nelle mie Conferenze introduttive alla psicoanalisi (tenute nel '16 e nel '17) -molti argomenti che avrebbero dovuto essere trattati per la prima volta nel presente lavoro. Non ho apportato modifiche essenziali al testo del primitivo manoscritto; le aggiunte sono indicate da un asterisco.

2 [Freud si riferisce a una celebre battuta di Amleto.]

3  All'età di due anni e mezzo. Più tardi è stato possibile stabilire quasi tutte le date con certezza.

4  Di regola le informazioni dì questo genere possono essere considerate come un materiale assolutamente autentico. Pertanto si potrebbe essere tentati di affidarsi, per colmare le lacune della memoria di un paziente, all'agevole sistema di rivolgersi ai membri più anziani della famiglia. Io, però, non mi stancherò mai di mettere in guardia contro questo sistema. Qualsiasi storia raccontata dai parenti in risposta alle nostre domande è sempre influenzata dalla loro critica e dai loro dubbi. Si avrà sempre da pentirsi di aver fatto affidamento su queste informazioni. Inoltre la fiducia nell'analisi rimane scossa e l'analisi stessa messa sotto processo. Del resto, nel corso successivo dell'analisi verrà sempre a galla tutto quello che può essere ricordato.

5 [II poeta in questione è Puskin, nato nel 1799, morto in duello a Pietroburgo nel 1837.1

6 Con «aspirazioni passive» intendo quelle il cui scopo sessuale è passivo; però, nel dire così, non penso a una trasformazione dell'istinto, ma soltanto delle sue finalità.

7 [Cfr. «Materiale fiabesco dei sogni» (1913), in S. Freud, Opere 188611921, voi. Il, Roma, Newton Compton editori, 1992].

8 Si osservi la somiglianza di queste due fiabe col mito di Crono, quale è stata evidenziata da Rank, «Vòlkerpsychologische Parallelen zu den infantilen Sexualtheo-rien», Zbl. Psychoan., 1912, 2, pp. 372 e 373.

9  Abbiamo preso in considerazione anche l'età di sei mesi, quale alternativa molto meno probabile e, quindi, scarsamente sostenibile.

10  Si confrontino le metamorfosi successive di questo fattore durante la nevrosi ossessiva. Nei sogni fatti dal paziente durante la cura, essa era sostituita da un ventaccio [una mal-aria].                   '

11  Possiamo osservare che nel disegno il paziente ha tracciato le figure di soli cinque lupi, sebbene nel testo si parli di sei o sette.

12  Con addosso la sola biancheria: i lupi bianchi.

13  Perché tre volte? Un giorno egli affermò improvvisamente che ero stato io a scoprire questo particolare per mezzo dell'interpretazione. Non era vero: si trattava di un'associazione spontanea che non prestava il fianco a critiche. Come era solito fare, l'aveva attribuita a me, cercando, con questa proiezione, di renderla più credibile.

14  Intendo dire che ne comprese il significato al tempo del sogno, ossia a quattro anni, non al tempo in cui assistette alla scena. L'impressione fu ricevuta all'età di un anno e mezzo, ma la comprensione della scena fu ritardata, e resa possibile grazie al successivo sviluppo, alle eccitazioni sessuali e alle indagini sessuali.

15  Non si può superare la prima di queste difficoltà presumendo che il bambino, al tempo dell'osservazione, avesse un anno di più, cioè due anni e mezzo, età alla quale forse era pienamente capace di parlare. La possibilità di fare questo spostamento di data era esclusa da tanti particolari secondari del caso. Inoltre, non bisogna dimenticare il fatto che l'analisi non raramente rivela che il bambino ha assistito a rapporti sessuali tra i genitori. Condizione essenziale è, però, che il bambino sia stato testimone di queste scene nel primissimo periodo dell'infanzia. Infatti quanto più il bambino è grande, tanto più i genitori, purché di una certa levatura sociale, si adopereranno acche non abbia occasione di compiere certe osservazioni.

16  [In tedesco Wolf significa «lupo».]

17  Dopo la ramanzina da parte dell'insegnante lupo, egli venne a sapere che tra i compagni era diffusa l'opinione che il professore, per calmarsi, volesse del denaro. Tornerò più oltre su questo punto. Posso capire come una simile storia dell'evoluzione di un fanciullo risulterebbe molto più facilmente comprensibile se la si potesse razionalizzare supponendo che tutta la paura del lupo fosse nata in realtà dal nome dell'insegnante di latino e che questa paura, proiettata retrospettivamente nell'infanzia, avesse dato vita, con l'ausilio della figura del libro di favole, alla fantasia della scena primaria ma tutto questo è insostenibile: la priorità cronologica della fobia del lupo e le sue connessioni col periodo dell'infanzia passato nel possedimento di campagna sono attestate con assoluta certezza. E poi che dire del sogno a quattro anni?

18 Ferenczi, «Uber passagiere Symptombildungen wàhrend der Analyse», Zentralbl. f. Psychoan., 2, pp. 588 ss. (1912).

19  Nel sogno si dice «sei o sette». Sei è il numero dei piccoli divorati; il settimo si rifugiò nella cassa dell'orologio a pendolo. Una legge inderogabile dell'interpretazione dei sogni è che ciascun particolare debba trovare la sua spiegazione.

20  Ora che siamo riusciti a fare la sintesi del sogno, vedrò di dare un resoconto comprensivo dei rapporti tra il contenuto manifesto del sogno e i pensieri latenti nel sogno stesso.

Era notte e stavo a letto. La seconda parte di questa frase è il principio della riproduzione della scena primaria. «Era di notte» è una distorsione di «stavo dormendo». L'osservazione «sapevo che era d'inverno, mentre sognavo, e che era notte» si riferisce al ricordo che il paziente ha del sogno e non fa parte del contenuto di questo. L'osservazione è corretta perché era una delle notti precedenti il suo compleanno, vale a dire il Natale.

Tutto a un tratto la finestra si spalancò da sola. Si può tradurre: «Tutto a un tratto mi svegliai spontaneamente» (ricordo della scena primaria). L'influenza della storia del lupo, nella quale il lupo balzava attraverso la finestra, agisce quale fattore modificante, trasformando un'espressione diretta in una figurata. Nel contempo l'introduzione, nel sogno, della finestra serve allo scopo di fornire un riferimento attuale al successivo contenuto del sogno. Infatti, la sera della vigilia la porta si apre improvvisamente e il bambino vede davanti a sé l'albero coi doni. Qui dunque si fa sentire l'influenza dell'attesa attuale del Natale (attesa anche di soddisfazioni sessuali).

Il grande noce. E una rappresentazione dell'albero di Natale e quindi rientra nella situazione attuale, ma è anche l'albero della storia del lupo, sul quale il sarto sfuggì all'inseguimento e sotto il quale i lupi si misero in agguato. Inoltre, come mi è capitato più volte di constatare, un albero elevato è un simbolo dell'atto di guardare, cioè della scopofilia. Chi si trova su un albero vede tutto quello che accade sotto di esso e, nel contempo, nessuno lo può vedere. Si confronti la ben nota novella del Boccaccio e storie analoghe.

I lupi. Il loro numero: sei o sette. Nella favola dei lupi si parlava di branco senza specificare il numero. Questa precisazione del numero è un influsso della favola dei sette caprettini, sei dei quali furono divorati. Il fatto che il numero due della scena primaria sia rimpiazzato da un numero più elevato, che nella scena primaria sarebbe assurdo, è consono alla resistenza che se ne avvale ai fini della distorsione. Nella figura disegnata dal sognatore i lupi sono cinque e questo numero serve probabilmente a rettificare l'affermazione «era di notte».

Erano seduti sull'albero. Innanzitutto sono un sostituto dei regali natalizi appesi all'albero. Però sono anche spostati da terra sull'albero, perché si possa intendere che stanno guardando. Infatti nella storia del nonno erano ai piedi dell'albero. Dunque nel sogno il loro rapporto rispetto all'albero ha subito un rovesciamento. Da questo possiamo dedurre che nel contenuto del sogno si dovranno trovare altre inversioni del materiale latente.

Lo stavano guardando con attenzione. È un elemento che deriva integralmente dalla scena primaria, elemento che è potuto entrare a far parte del sogno solo al prezzo di una completa inversione.

Erano tutti bianchi. Sarebbe una caratteristica poco importante di per sé, ma il sognatore vi insiste molto nel narrare il sogno. Deve la sua intensità a un'abbondante fusione di elementi provenienti da tutti gli strati del materiale e combina taluni particolari di poco conto, derivati dalle altre fonti del sogno, con un frammento della scena primaria assai più significativo. Quest'ultimo elemento determinante l'idea di bianchezza risale al biancore delle lenzuola e della biancheria personale dei genitori, cui va aggiunto il bianco dei greggi di pecore, e dei cani da pastore, in funzione di un'allusione alle ricerche sessuali condotte su animali, oltre che al bianco che si trova nella favola dei sette caprettini, nella quale la madre viene riconosciuta dal biancore della zampa. Più avanti vedremo come anche i panni bianchi siano, oltre a quanto detto, un'allusione alla morte.

Stavano seduti immobili. Questa affermazione è in contraddizione con l'elemento saliente della scena osservata, che era piena di movimento; movimento che, grazie alle posizioni corporee cui portò, rappresenta il legame tra la scena primaria e la storia dei lupi.

Avevano la coda come le volpi. Questo è inteso a contraddire una conclusione tratta dalla ripercussione della scena primaria sulla storia dei lupi. Tale conclusione rappresenta il risultato più importante delle ricerche sessuali del sognatore: «Dunque la castrazione esiste veramente». Il terrore generato da questa conclusione finì con l'intro-dursi nel sogno interrompendolo.

La paura di essere divorato dai lupi. Il sognatore aveva l'impressione che il movente della sua paura non derivasse dal contenuto del sogno. Disse che non avrebbe dovuto aver paura dei lupi, perché questi avevano piuttosto l'aspetto di volpi o di cani e non si slanciavano su di lui per morderlo, ma erano tranquilli e niente affatto terribili. Osserviamo che l'elaborazione onirica tenta per qualche tempo di rendere innocuo un contenuto penoso trasformandolo nel suo contrario. («Non si muovono, mi guardano solamente e hanno delle bellissime code!») Ma, alla fine questo stratagemma fallisce e la paura fa la sua improvvisa comparsa. Questa si esprime con l'aiuto della fiaba in cui i capretti figli sono divorati dal lupo padre. Questa parte della fiaba ha forse avuto la funzione di rievocare delle minacce pronunciate per scherzo dal padre mentre giocava col bambino. Pertanto la paura di essere divorato dal lupo può essere un ricordo, oppure un sostituto per spostamento.

I desideri che fungono da forze motrici di questo sogno sono evidenti. In primo luogo vi sono i desideri superficiali del giorno, che il Natale con i suoi regali sia già arrivato (sogno di impazienza), cui si accompagna un desiderio più profondo, in quel tempo continuamente presente, di ottenere una soddisfazione sessuale dal padre. Questo desiderio è sostituito immediatamente dal desiderio di rivedere quello spettacolo che allora era sembrato tanto affascinante. II processo psichico continua a svolgersi così per la sua via. Prendendo le mosse dall'adempimento di quest'ultimo desiderio, soddisfatto dalla rievocazione della scena primaria, giunge alla conclusione oramai inevitabile: il ripudio del desiderio stesso e la conseguente rimozione.

Mi sono sentito costretto a fare un commento tanto ampio e complesso per cercare di fornire al lettore un surrogato di quel potere di convinzione posseduto dall'analisi quando viene condotta da noi stessi. In tal modo sarò forse anche riuscito a distogliere il lettore dal chiedermi la pubblicazione di analisi durate molti anni.

21 Forse ci spiegheremo meglio le ragioni di questa affermazione del paziente supponendo che per prima cosa avesse assistito a un coito in posizione normale, che può dare facilmente l'impressione di un atto di sadismo. Successivamente la posizione sarebbe stata cambiata dando la possibilità al soggetto di fare altre osservazioni e formarsi altri giudizi. Però questa ipotesi non ha trovato conferma e, d'altra parte, non mi sembra necessaria. Non dobbiamo dimenticare la situazione effettiva che si nasconde dietro la descrizione abbreviata riportata nel testo: il paziente, durante l'analisi, a un'età superiore ai venticinque anni, descriveva impressioni e impulsi vìssuti a quattro anni con parole che allora non sarebbe stato capace di adoperare. Se mancassimo di rilevare questo fatto, potrebbe facilmente sembrarci incredibile e buffo che un bimbo di quattro anni fosse capace di dare dei giudizi tecnici e di avvalersi di elementi culturali. Anche in questo caso si tratta semplicemente d'un esempio di effetto ritardato. A un anno e mezzo il piccolo riceve un'impressione alla quale non sa reagire in modo adeguato. Sarà capace di comprenderla e di subirne l'effetto al momento della sua rianimazione, a quattro anni. E solo venti anni dopo, nel corso dell'analisi, riesce a capire, tramite dei processi mentali coscienti, che cosa era avvenuto in lui a quel tempo. Ovviamente il paziente non tiene conto dei tre diversi periodi e traspone il suo lo attuale in quella situazione così remota. In questo siamo d'accordo con lui, giacché l'effetto ottenibile grazie a un'autoosservazione e a un'interpretazione corretta deve essere tale quale si avrebbe se non esistesse l'intervallo tra il secondo e il terzo periodo. Del resto non disponiamo di altri mezzi per descrivere gli avvenimenti del secondo periodo.

22 Più avanti, quando ci occuperemo del suo erotismo anale, vedremo come il paziente affrontasse quest'altra parte della questione.

23  Vi è un passo della prima edizione dell'Interpretazione dei sogni (1900) che dimostra da quanto tempo mi stia occupando del problema. A pag. 186 si trova l'analisi di un'osservazione pronunciata in un sogno: «È una cosa che non si può più ottenere». Vi si spiega che questa frase era una mia creazione. «Pochi giorni prima avevo spiegato al paziente che le prime esperienze della fanciullezza non potevano essere più ottenute, ed erano sostituite, nell'analisi, da "traslazioni" e da sogni.»

24  Non si può influire sul meccanismo del sogno ma, entro certi limiti, sul materiale del sogno.

25 Ho delle buone ragioni per preferire questa alla frase «il distogliersi della libido dai conflitti attuali».

26 [L'asterisco sta qui a segnalare che la parte finale di questo paragrafo fu aggiunta da Freud alla prima edizione del lavoro, in seguito ad una revisione del manoscritto.)

27 [Si riferisce ai tre coiti compiuti dai genitori nella scena primaria.]

28  Par. iv. «Ritorno del totemismo nell'infanzia» [cfr. Totem e Tabù, cit.].

29  [La causa non è chiara. Formula con la quale il giudice romano chiedeva un supplemento di istruttoria.]

30  Anch'io ho tentato parecchie volte di spostare in avanti, di un anno almeno, l'intera storia del mio paziente, portando la seduzione a quattro anni e tre mesi, il sogno a cinque anni, ecc. Quanto agli intervalli tra i singoli avvenimenti non c'era modo di guadagnare tempo. Ma il paziente era irremovibile su questo punto, pur non riuscendo a eliminare del tutto i miei dubbi. Comunque questo ritardo di un anno non avrebbe alcuna importanza nei confronti dell'impressione complessiva data dal racconto e di tutte le discussioni e le deduzioni che ne conseguono.

31  [Doveva invece essere sul Monte degli Ulivi.]

32 Particolarmente sul pene.

33 Come vedremo, il sintomo si era manifestato dopo i sei anni, quando sapeva già leggere.

34 Ammettendo la realtà della scena primaria

35 [Si tratta del Demone di Lermontov.]

36 [Ossia il bruco.]

37 [La parola Durchfall usata nel testo ha tanto il significato di «bocciatura» quanto di «diarrea».]

38 II paziente mi disse che nella sua lingua non esiste una parola analoga a Durchfall che indichi anche il disturbo intestinale.

39  L'espressione assumeva lo stesso significato sia in tedesco che nella madrelingua del paziente.

40  L'effetto era lo stesso, sia che qualcuno gli praticasse l'enteroclisma, sia che se lo facesse da solo.

41 Non si può stabilire con esattezza quando sia accaduto il fatto; in tutti i modi, era prima del sogno di angoscia a quattro anni e probabilmente prima dell'assenza dei genitori da casa.

42 Questa conclusione non è, probabilmente, troppo lontana dal vero.

43 O, comunque, finché non ebbe compreso il senso della copula fra i cani.

44 [Cfr. «Sulle trasformazioni pulsionali in particolare nell'erotismo anale» (1917), in S. Freud, Opere 188611921, voi. n, Roma, Newton Compton editori, 1992.]

45  Credo che non vi siano difficoltà nel comprovare l'affermazione che i bambini sporcano con i loro escrementi solo le persone che conoscono e che amano. Gli estranei non sono degni di questa attenzione. Nei miei Tre saggi sulla teoria della sessualità (1905) ho accennato al primo scopo per il quale sono adoperate le feci: la stimolazione autoerotica della mucosa intestinale. Ora perveniamo a uno stadio più avanzato, in cui una parte essenziale nel processo della defecazione spetta all'atteggiamento che il fanciullo assume nei confronti di un oggetto esterno cui il bambino vuole obbedire o compiacere. Questo rapporto si protrae nel tempo e, infatti, anche i bambini più grandi consentono a talune persone privilegiate di essere presenti quando orinano e defecano, per quanto sotto questo rispetto possano entrare in gioco anche altre forme di soddisfazione.

46  Come sappiamo, nell'inconscio il «no» non esiste, né vi è alcuna distinzione fra i contrari. La negazione è introdotta soltanto dal processo di rimozione.

47 Analogamente, nei sogni e nelle fobie i vermi intestinali simboleggiano i bambini.

48  [«Cacare su Dio» è «cacare qualcosa a Dio».]

49  [Cfr. «Il caso di Schreber», in questo volume.]

50  I bambini trattano sempre le feci in questo modo.

51  [«Falso riconoscimento (déjà raconté) nel trattamento psicoanalitico» (1914), in S. Freud, Opere 1886/1921, voi. H, Roma, Newton Compton editori, 1992.]

52  Cfr. Materiale fiabesco dei sogni (1913), cit. Raccontandomi la storia una seconda volta, il paziente fece la seguente rettifica: «Non credo che stessi veramente intagliando l'albero. Mi confondo con un altro ricordo, che deve essere stato anch'esso falsato allucinatoriamente, secondo il quale avevo fatto un taglio in un albero col coltello e ne era sgorgato il sangue».

53  [Cfr. nota precedente.]

54  [Allude a un episodio del canto xm in cui Tancredi, nella selva incantata di Saron, colpisce con la spada un albero dal quale escono il sangue e la voce di Clorinda.]

55  Sappiamo che la minaccia era stata pronunciata dalla «nania» e la riascolteremo in relazione ad altre donne.

56  [Cfr. pp. 330 ss.]

57  Tra i sintomi più tormentosi, ma anche più grotteschi, dell'ulteriore malattia si trovava il suo singolare comportamento nei confronti dei sarti [Schneider da Schneiden, tagliare] cui dovesse ordinare un abito: si dimostrava timido e deferente in presenza di questi importanti personaggi, cercava di accattivarsene il favore regalando mance favolose e si disperava per i risultati del lavoro indipendentemente dall'effettiva riuscita.

58  A questo proposito potrei ricordare certi sogni che fece più tardi, dopo il sogno di angoscia, ma quando abitava ancora nella prima tenuta. Questi sogni rappresentavano scene di coiti che si svolgevano sotto forma di scontri fra corpi astrali.

59  [Mitleid (come pure «compassione») significa «soffrire insieme».]

60  [La blenorragia.]

61   [Di dire senza reticenze tutto quello che viene in mente.]

62  [Teologo boemo, arso vivo come eretico nel 1415.]

63  È degno di nota il fatto che la reazione di vergogna debba essere legata tanto intimamente allo svuotamento involontario (diurno o notturno) della vescica, e non, come ci si potrebbe attendere, all'incontinenza intestinale. Comunque è un fatto sul quale l'esperienza non lascia dubbi. Un altro rapporto costante, che ci fa pensare, è quello tra svuotamento della vescica e fuoco. Può darsi che queste reazioni e questi rapporti siano un derivato della storia dell'incivilimento umano, ma costituiscono comunque residui che risalgono ad un livello più antico di quanto ci viene conservato come tracce nei miti e nel folclore.

64  L'episodio va collocato in un periodo corrispondente pressappoco all'età di due anni e mezzo, dopo l'ipotetica osservazione di un rapporto tra i genitori e prima della seduzione.

65  Questo è avvenuto prima del sogno.

66 [Espa e S.P. sono pronunciati nello stesso modo in tedesco.]

67 [Cfr. la nota 6.]

68 La psicologia dei processi inconsci, 1917. Questo lavoro è stato pubblicato troppo tardi per poter influenzare la mia Introduzione alla psicoanalisi.

69 Parte della membrana fetale che può ricoprire il neonato al momento del parto e che è considerata segno di buona fortuna. (Cfr. il detto italiano «nato con la camicia».|

70 Vi è un'altra spiegazione possibile, secondo la quale il velo rappresenterebbe l'imene che si lacera al primo rapporto con l'uomo. Essa però non concorda in pieno con la condizione considerata necessaria alla guarigione. Per di più la verginità non aveva alcun senso per il paziente e non aveva influenza sulla sua vita.

71 Riconosco che questo è il problema più spinoso in tutto l'ambito della psicoanalisi. Non ho bisogno delle sollecitazioni di Adler o di Jung per sentire la necessità di considerare la faccenda criticamente, tenendo presente che gli elementi che l'analisi ci offre sotto forma di ricordi perduti d'infanzia (anzi, di un'infanzia incredibilmente remota), possono essere invece fantasie create in diverse circostanze della vita successiva. Secondo questo modo di vedere, qualora nell'analisi si incontrino le conseguenze di un'impressione infantile, bisogna piuttosto pensare di essere di fronte alla manifestazione di un fattore costituzionale o di una predisposizione ereditata filogeneticamente. Quanto a me, nessun altro dubbio mi ha angustiato più di questo, nessun'altra incertezza mi ha, più di questa, indotto a rinunciare alla pubblicazione delle mie conclusioni. Io sono stato il primo (ma nessuno dei miei avversari lo ha riconosciuto) a enunciare l'importanza delle fantasie nella formazione dei sintomi, nonché l'importanza di quel «fantasticare retrospettivo» su eventi dell'infanzia ai quali il colorito sessuale è stato aggiunto in un secondo tempo. [Cfr. L'interpretazione dei sogni (cit.), e «Osservazioni su un caso di nevrosi ossessiva», in questo volume.] Se, con tutto ciò, ho preferito sostenere la concezione più difficile e meno verosimile, è perché vi sono stato costretto da argomenti impostimi dal caso qui descritto e da altre nevrosi infantili. Presento ancora una volta queste argomentazioni al lettore perché decida da solo.

72 Come ho detto, la scena con Grusa era una produzione spontanea della memoria del paziente, e il medico non aveva avuto alcuna ingerenza nella sua rievocazione, né con sollecitazioni né con suggerimenti. L'analisi ne colmò le lacune in un modo che non si può non considerare ineccepibile, purché si attribuisca un certo valore al metodo analitico in sé. Una sola spiegazione su base razionalistica della fobia è possibile. Infatti possiamo dire non vi sia nulla di strano nel fatto che un bimbo, predisposto ad eccessi di angoscia, abbia un attacco di fronte a una farfalla a strisce gialle. Questo può essere, probabilmente, spiegato da una tendenza ereditaria (Cfr. Stanley Hall: A Synt-hetic Genetic Study of Fear, 1914). Il bambino, infatti, non conoscendo la vera causa della paura, ricercò, nella sua infanzia, un fatto che potesse collegarsi ad essa. Avvalendosi di una casuale coincidenza di nomi e della ricorrenza delle strisce, potè costruire un'avventura immaginaria con la bambinaia, della quale serbava ancora il ricordo. Noi però osserviamo che certi particolari trascurabili di questa vicenda (che, secondo questo modo di vedere le cose, di per sé era del tutto innocente), cioè l'azione di pulire il pavimento, il secchio e la scopa, esercitarono una tale influenza sulla vita successiva del paziente da informare di sé, in modo permanente e coattivo, la scelta dell'oggetto. Così, la fobia della farfalla acquista un'importanza inspiegabile. E anche formulando quest'ipotesi razionalistica, bisogna riconoscere all'avvenimento un'importanza non inferiore a quella attribuitagli dalla mia concezione, per cui gli eventuali vantaggi di tale razionalizzazione finiscono con lo scomparire. Per noi la scena con Grusa ha un particolare valore, dato che grazie ad essa possiamo prepararci a un più esatto giudizio della scena primaria, assai meno certa.

73 Totem e tabù (1912-13) [cit.].

74 Die Disposition zur Zwangsneurose [«La disposizione alla nevrosi ossessiva», in S. Freud, Opere 1886/1921, voi. II, Roma, Newton Compton editori, 1992].

75 Ueber neurotische Erkrankungstypen [«Modi tipici di instaurarsi delle nevrosi», in S. Freud, Opere 1886/1921, voi. il, Roma, Newton Compton editori, 1992] (1912).

76 Posso anche trascurare il fatto che questo comportamento non potesse trovare espressione attraverso la parola se non venti anni più tardi, perché tutti gli effetti, dedotti da quella scena, si erano già manifestati come sintomi, coazioni, ecc., durante l'infanzia del paziente, molto tempo prima dell'analisi. Sotto questo aspetto è altresì indifferente se il fatto viene, considerato una scena primaria o una fantasia primaria.

77 Naturalmente devo ripetere ancora una volta che queste riflessioni sarebbero del tutto vane qualora il sogno e la nevrosi non risalissero all'infanzia.