TECNICA DELLA PSICOANALISI1911/191) |
I. L'impiego dell'interpretazione dei sogni in psicoanalisi(1911)Lo Zentralblatt für Psychoanalyse non ha soltanto lo scopo di aggiornare i suoi lettori sui progressi della scienza psicoanalitica, pubblicando inoltre contributi originali, relativamente brevi, sull'argomento. Esso ha anche lo scopo di offrire allo studioso chiari lineamenti di quanto già si conosce e di risparmiare tempo e fatica agli esordienti nella pratica analitica, dando loro adeguate istruzioni. Pertanto, d'ora in poi, anche in questo giornale vedranno la luce articoli di natura didattica o riguardanti argomenti tecnici, che non conterranno necessariamente cose nuove. La questione di cui ora intendo parlare non è la tecnica dell'interpretazione dei sogni: non saranno prese in considerazione né le metodiche per l'interpretazione dei sogni né l'utilizzazione di questa dopo che sia stata fatta, ma ci intratterremo soltanto sul modo in cui l'analista deve applicare l'arte dell'interpretazione dei sogni nel trattamento psicoanalitico dei pazienti. Certamente ci sono molti modi di eseguire questo lavoro, ma proprio per questo non è mai troppo facile rispondere a questioni di tecnica analitica. Pur essendoci, forse, più di una strada buona da percorrere, certo ve ne sono moltissime sbagliate, per cui un confronto tra i diversi metodi non può mancare di essere istruttivo, persino se non conduce ad alcuna decisione a favore di uno di essi. Chiunque si accinga alla pratica dell'analisi provenendo dall'interpretazione dei sogni, manterrà il proprio interesse per il contenuto dei sogni e si sentirà portato ad interpretare il più integralmente possibile qualunque sogno riferito dal paziente. Ben presto, però, si accorgerà che sta ora lavorando in condizioni quanto mai differenti, e che, se tentasse di tradurre in pratica le sue intenzioni, si troverebbe in contrasto con le esigenze più immediate del trattamento. Persino se il primo sogno del paziente si presta ottimamente quale introduzione alla prima spiegazione da darsi, ben presto compariranno altri sogni tanto lunghi e tanto oscuri che non sarà possibile estrarne il significato nei limiti di un'ora di seduta. Se il medico, nei giorni successivi, prosegue nel suo lavoro di interpretazione, nel frattempo si avranno nuovi sogni, che dovranno essere lasciati in disparte finché il primo sogno non sia, a suo giudizio, definitivamente risolto. Talvolta la produzione di sogni è talmente copiosa, e i progressi del paziente verso la loro comprensione sono talmente stentati, che l'analista sarà per forza portato a sospettare che il materiale che compare in questo modo altro non sia che una manifestazione della resistenza del paziente, la quale trae vantaggio dalla scoperta che il metodo non riesce a padroneggiare il materiale che viene via via presentandosi. Nel frattempo, poi, il trattamento sarà rimasto talmente indietro da aver perso ogni contatto col momento attuale. In opposizione a questa tecnica vale la regola che, ai fini della cura, è della massima importanza che l'analista conosca sempre la superficie della psiche del paziente in ciascun momento dato, che sappia quali complessi e quali resistenze siano attivi in lui nel momento attuale e quale reazione cosciente nei confronti di questi ne regoli il comportamento. Non sarebbe affatto giusto sacrificare questa finalità di ordine terapeutico all'interesse dell'interpretazione dei sogni. E allora, tenendo presente questa regola, quale dovrà essere il nostro atteggiamento verso l'interpretazione dei sogni nell’analisi? Più o meno il seguente: si deve considerare sufficiente la quantità di interpretazione ottenibile in una sola seduta e non si deve ritenere uno scacco il fatto che il contenuto di un sogno non sia stato completamente delucidato. Il giorno successivo non si dovrà riprendere necessariamente l'interpretazione del sogno, salvo il caso che sia evidente che, nel frattempo, nulla di nuovo sia emerso nel quadro dei pensieri del paziente. Dunque non si dovranno fare eccezioni, a favore di una interpretazione lasciata a metà, alla regola che la prima cosa di cui ci si deve occupare è sempre la prima che viene in mente al malato. Se, prima di aver finito con sogni più vecchi, ne compaiono di nuovi, bisogna occuparsi di queste produzioni più recenti, senza provare disagio per aver trascurato i precedenti. È sottinteso che, se i sogni vengono a formare una massa troppo estesa e voluminosa, bisogna abbandonare fin da principio la speranza di risolverli completamente. In generale bisogna guardarsi dal dimostrare un eccessivo interesse nell'interpretazione dei sogni, o dal suscitare nel paziente l'idea che il lavoro giungerebbe a un punto morto se egli non ne riferisse di nuovi, perché, altrimenti, vi è pericolo che la resistenza si rivolga contro la produzione dei sogni, che in conseguenza verrebbe a cessare. Bisogna anzi che il paziente sia indotto a credere che l'analisi troverà immancabilmente i materiali per andare avanti, sia che egli abbia dei sogni sia che non li abbia e indipendentemente dal grado di attenzione che si rivolge ad essi. Ora verrà fatto di domandarsi se, posto che l'interpretazione dei sogni deve essere eseguita secondo una metodica sottoposta a tali limitazioni, non si finisca col rinunciare a troppo materiale prezioso, che potrebbe far luce sull'inconscio. Rispondiamo che la perdita non è per nulla tanto grande quanto parrebbe in seguito ad un esame superficiale. Tanto per cominciare, si deve riconoscere che, nel caso di una grave nevrosi, qualsiasi complessa produzione di sogni non può, per la natura stessa della situazione, essere ritenuta suscettibile di una soluzione integrale. Un sogno appartenente a questa categoria spesso si fonda su tutto il materiale patologico del caso, che per il momento è sconosciuto sia al medico sia al malato (i cosiddetti «sogni programma» e i sogni biografici), e talora corrisponde alla trasposizione nel linguaggio dei sogni dell'intero contenuto della nevrosi. Se si cerca di interpretare un tale sogno, entreranno in attività tutte le resistenze latenti, finora nemmeno sfiorate, che ben presto porranno un limite alla comprensione del sogno stesso. L'interpretazione integrale di tale sogno coinciderà col completamento di tutta l'analisi; se al principio ne avremo preso nota, è possibile che riusciremo a comprenderlo solo molti mesi dopo, alla fine della cura. Lo stesso vale per la spiegazione di un singolo sintomo (forse del sintomo principale). Per spiegarlo occorre l'analisi nella sua totalità; durante 'analisi bisogna adoperarsi per impadronirsi ora di questo, ora di quel frammento del significato del sintomo, uno dopo l'altro, finché non sia possibile comporli insieme. Analogamente, non potremo sperare niente di più da un sogno manifestatosi ai primi stadi dell'analisi; ci dovremo ritenere soddisfatti se il nostro tentativo di interpretazione sarà riuscito a mettere in luce anche un solo impulso di desiderio patologico. Dunque non perdiamo nulla di quello che potremmo ottenere, se abbandoneremo l'idea di un'interpretazione integrale dei sogni, e abitualmente nulla è perduto se interrompiamo l'interpretazione di un sogno relativamente vecchio per rivolgerci a uno più recente. Esempi eccellenti di sogni analizzati integralmente ci anno rivelato che diverse scene successive di un unico sogno possono avere uno stesso contenuto, che può trovare espressione in esse con progressiva chiarezza. Abbiamo anche appreso che diversi sogni, comparsi in una stessa notte, possono essere semplicemente tentativi successivi, presentati in forme diverse, di esprimere uno stesso significato, in linea generale, possiamo essere certi che ogni impulso di desiderio, che oggi dà vita a un sogno, seguiterà a manifestarsi con altri sogni finché non sarà stato compreso e sottratto al dominio dell'inconscio. Quindi si dà spesso il caso che il modo migliore di completare l'interpretazione di un sogno consiste nel sospenderla, rivolgendo l'attenzione a un nuovo sogno, il quale forse contiene lo stesso materiale in forma più accessibile. Capisco che si chiede un grosso sacrificio, non solo al malato ma anche al medico, pretendendo da loro che rinuncino, nel corso della cura, alle finalità consce che si sono proposti, per abbandonarsi a una guida che, nonostante tutto, ci sembra sempre «accidentale»; però posso assicurare che si è sempre ricompensati quando si decide di avere fede nei propri princìpi teorici e ci si impone di non mettere in discussione la guida dell'inconscio che ricompone i nessi causali. Pertanto io consiglio di non intraprendere l'interpretazione dei sogni nel trattamento analitico come ad esercitare l'arte per l'arte, ma di avvalersi di questo metodo in conformità alle regole tecniche che governano la condotta del trattamento nel suo insieme. È ovvio che, occasionalmente, ci si potrà comportare in modo diverso concedendo un po' di libero gioco ai propri interessi teorici, sempre però rendendosi ben conto di quel che si sta facendo. Un'altra situazione, degna di essere presa in esame, è quella che si è creata da che abbiamo preso maggior confidenza col nostro modo di comprendere il simbolismo dei sogni: ciò che sappiamo ci ha reso più indipendenti dalle associazioni del paziente. Un interprete di sogni straordinariamente abile, qualche volta sarà in condizione di riuscire a penetrare il senso di tutti i sogni di un paziente senza imporre a quest'ultimo di esercitare su di essi un avoro lungo e tedioso. Un analista come questo sarà allora libero da ogni conflitto tra le esigenze dell'interpretazione dei sogni e le esigenze della cura. Per di più, egli si sentirà tentato di fare un uso integrale dell'interpretazione dei sogni in ogni caso, riferendo al paziente tutto quello che ha dedotto. Ma, se agirà in questo modo, adotterà un metodo che si discosta notevolmente da quello codificato, come avrò occasione di far rilevare in altro momento. In ogni modo i principianti della pratica analitica sono avvertiti di non prendere a modello questo caso eccezionale. Ciascun analista si trova nella situazione del predetto eccezionale interprete dei sogni, che abbiamo immaginato or ora, nei confronti dei primissimi sogni riferitigli da pazienti, prima che questi ultimi abbiano imparato qualcosa della tecnica dell'interpretazione dei sogni. Questi sogni iniziali possono essere considerati genuini: rivelano molte cose all'ascoltatore, analogamente ai sogni delle cosiddette persone normali. Allora si pone il problema se l'analista debba riferire subito al paziente tutto ciò che ha letto nei suoi sogni. Non è questo, però, il luogo adatto a rispondere alla domanda che evidentemente è parte di un problema più vasto: in quale stadio del trattamento e con quale velocità l'analista dovrà iniziare il paziente alla conoscenza di ciò che si cela nella sua psiche? Quanto più il paziente viene ad imparare qualcosa circa la pratica dell'interpretazione dei sogni, tanto più, di solito, i suoi sogni successivi diventano oscuri. Tutta la conoscenza da lui acquisita sui sogni serve solo a mettere sull'avviso il processo di costruzione onirico. Nel lavoro «scientifico» sui sogni che, nonostante il ripudio dell'interpretazione dei sogni, ha ricevuto nuovo impulso dalla psicoanalisi, si osserva sempre che viene posta una cura niente affatto indispensabile nel conservare il testo esatto del sogno. Si pensa che esso debba essere protetto da deformazioni e logorii nelle ore che seguono immediatamente al risveglio. Certi psicoanalisti, dando al paziente l'istruzione di scrivere tutti i sogni subito dopo il risveglio, sembrano addirittura non tenere nel debito conto le cognizioni, che essi devono avere, circa la formazione dei sogni. Nel lavoro terapeutico questa regola è superflua ed i pazienti sono ben contenti di attenervisi per disturbare il proprio sonno e per dimostrare il massimo zelo proprio là dove non serve ad alcuno scopo utile. Infatti, persino se il testo di un sogno viene salvato dall'oblìo tanto faticosamente, è facile convincersi che ciò non procura nessun vantaggio per il paziente. Nel testo del sogno non entreranno le associazioni e il risultato sarà lo stesso che se il sogno non fosse stato conservato. Non c'è dubbio che il medico ha acquisito delle conoscenze, che altrimenti non avrebbe potuto ottenere, ma non è lo stesso che il medico conosca una cosa o che la conosca il paziente. L'importanza di tale distinzione, ai fini della tecnica psicoanalitica, sarà trattata più estesamente altrove. Per concludere, ricorderò un tipo particolare di sogno che, in dati casi, si manifesta soltanto durante il trattamento psicoanalitico, e può sconcertare o trarre in inganno i principianti. Si tratta di sogni di conferma che, in effetti, «seguono a ruota»; facilmente accessibile all'analisi, la loro interpretazione non fa altro che confermare quel che la cura aveva già ricavato durante i giorni scorsi dal materiale delle associazioni diurne. È come se il paziente fosse così cortese da ritornarci in forma di sogno proprio quello che gli avevamo «suggerito» immediatamente prima. L'analista più sperimentato certamente troverà più difficile attribuire tale condiscendenza al paziente; egli accoglierà tali sogni come conferme che attendeva e riconoscerà che essi possono manifestarsi soltanto in certe condizioni provocate dall'influenza del trattamento. La grande maggioranza dei sogni si forma in anticipo rispetto all'analisi, così che, dopo aver tolto tutto ciò che in essi era già noto e compreso, rimane pur sempre un indizio più o meno chiaro di qualcosa che è tuttora nascosto. II. La dinamica del transfert(1912)L'argomento, pressoché inesauribile, del transfert è stato trattato di recente da Wilhelm Stekel in questo giornale1 ( Zentrablatt für Psychoanalyse) in maniera descrittiva. Nelle pagine che seguono vorrei aggiungere qualche osservazione per spiegare come questo transfert si manifesti necessariamente durante il trattamento psicoanalitico e come esso venga ad esercitare in questo il suo ben noto ruolo. Bisogna rendersi conto che ciascun individuo, tramite l'azione combinata della sua disposizione innata e dell'influenza esercitatasi su di lui nei primi anni della vita, ha acquisito una sua maniera particolare di vivere la propria vita erotica, consistente, cioè, nelle condizioni preliminari che gli sono necessarie per innamorarsi, negli istinti che soddisfa e nelle finalità che si pone sotto questo aspetto2 (Colgo quest'occasione per difendermi dall'infondata accusa di aver negato l'importanza dei fattori innati (costituzionali) ponendo l'accento sulle impressioni infantili. Un'accusa del genere mi venne mossa a cagione della limitatezza di quel che gli uomini cercano nel campo della causalità: in contrasto con quanto realmente accade nella vita reale, si preferisce accontentarsi di un singolo fattore causale. La psicoanalisi ha parlato molto di fattori accidentali nell'etiologia e poco dei fattori costituzionali, ma ciò dipende solo dal fatto che essa è stata in grado di portare qualche nuovo contributo nell'ambito di quelli, mentre, tanto per dire, su questi non ne sapeva più di quanto si conosce comunemente. Per principio ci rifiutiamo di ammettere alcuna opposizione tra le due categorie di fattori etiologici, anzi, affermiamo che queste contribuiscono di solito congiuntamente al determinismo dei risultati osservati. Daìmon kai Tuke, [intelligenza e fortuna] regolano le sorti umane; mai, o di rado, una di queste potenze da sola. La quantità di efficacia etiologica da attribuirsi a ciascuna di esse non può essere stabilita che caso per caso. Tali casi possono essere disposti in serie a seconda delle diverse proporzioni in cui i due fattori sono presenti, e questa serie avrà certamente i suoi casi limite. Valuteremo la parte avuta dalla costituzione o dall'esperienza differentemente nei diversi casi, a seconda del livello di conoscenza da noi raggiunto e ci riserveremo il diritto di modificare il nostro giudizio in rapporto ai cambiamenti della nostra conoscenza. Dirò, tra parentesi, che ci si potrebbe azzardare a considerare la stessa costituzione come un precipitato degli effetti accidentali produttori nella catena infinitamente lunga dei nostri antenati. .Questo fatto determina ciò che potremmo considerare come un cliché o serie di clichés continuamente ripetuti, costantemente ristampati, nel corso della vita dell'individuo, nei limiti concessi dalle circostanze esterne e dalla natura degli oggetti d'amore accessibili all'individuo stesso, clichés che certamente non sono del tutto incapaci di cambiare in seguito a nuove esperienze. Ora, le nostre osservazioni ci hanno dimostrato che una parte soltanto di questi impulsi, che determinano il corso della vita erotica, è passata attraverso l'intero processo dello sviluppo psichico. Una parte, rivolta verso la realtà, è a disposizione della personalità cosciente e costituisce parte integrante di questa. Un'altra parte degli impulsi libidici, arrestata nel corso del suo sviluppo, è stata tenuta fuori dalla personalità cosciente e dalla realtà, e le è stato impedito di espandersi ulteriormente, salvo che nella fantasia, oppure è rimasta interamente nell'inconscio, risultando quindi ignota alla coscienza. Se il bisogno d'amore di un individuo non è interamente soddisfatto dalla realtà, costui necessariamente si avvicinerà ad ogni nuova persona, di cui fa la conoscenza, con idee anticipatone libidiche ed è estremamente probabile che entrambe le parti della sua libido, quella che è capace di diventare cosciente come pure quella inconscia, contribuiscano a determinare questo atteggiamento. Quindi è perfettamente normale e comprensibile che la carica psichica libidica di un individuo parzialmente insoddisfatto, carica psichica che è pronta e in attesa, debba essere rivolta anche verso la figura del medico. Dalle nostre precedenti ipotesi scaturisce che questa carica psichica farà ricorso a dei prototipi, i quali si ricollegheranno ad uno dei clichés stereotipati esistenti nel soggetto; ovvero, volendosi esprimere in altri termini, la carica psichica immetterà il medico in una delle «serie» psichiche già esistenti nel soggetto. Se il fattore decisivo nel determinismo di questo fenomeno è la «immagine del padre», per impiegare un termine adottato da Jung (1911), il risultato verrà a combaciare con gli effettivi rapporti tra il soggetto e il suo medico. Ma il transfert non è legato a questo particolare prototipo; può anche svilupparsi secondo le linee dell'immagine della madre o dell'immagine del fratello. Le caratteristiche del transfert sul medico, a causa delle quali esso supera, sia in quantità che in qualità, quanto sarebbe ammissibile e ragionevole sul terreno razionale, diventano comprensibili se teniamo presente che questo transfert è stato precisamente determinato non soltanto dalle idee anticipatorie coscienti ma anche da quelle che sono state deviate o che sono inconsce. Questo comportamento del transfert non ci offrirebbe più alcuna materia di discussione o di preoccupazione se non rimanessero due fattori inesplicabili che hanno un particolare interesse per la psicoanalisi. Innanzi tutto non comprendiamo perché il transfert sia tanto più intenso nei soggetti nevrotici sottoposti ad analisi rispetto ad altri individui parimenti nevrotici ma non analizzati. Inoltre è sempre un enigma perché durante l'analisi il transfert emerga come la più intensa delle resistenze al trattamento, mentre, al di fuori dell'analisi, esso possa essere considerato come veicolo di guarigione e condizione di successo. Infatti l'esperienza ci ha dimostrato — fatto questo che può essere confermato tutte le volte che lo desideriamo — che se le associazioni libere di un paziente non riescono nel loro intento3 (Intendo dire quando si interrompono veramente e non quando, per esempio, il paziente esita ad esprimerle a causa delle solite sensazioni di spiacevolezza), l'ostacolo potrà sempre essere rimosso assicurando che attualmente egli è dominato da un'associazione legata al medico stesso o a qualcosa riferentesi a quest'ultimo. Appena data questa spiegazione l'ostacolo scompare, oppure si passa da una situazione in cui le associazioni falliscono a una situazione in cui esse sono trattenute nell'inconscio. A prima vista sembra che ciò sia un enorme svantaggio per la psicoanalisi, in quanto essa rappresenta un metodo in cui un elemento, che in altre occasioni costituisce il più forte fattore di riuscita, si tramuta nel più forte fattore di resistenza. Però, se esaminiamo più attentamente la situazione, possiamo liberarci almeno della prima di queste due difficoltà. Non è un caso che il transfert si manifesti con maggiore intensità e mancanza di freni durante la psicoanalisi che al di fuori di essa. In quegli istituti in cui i malati mentali sono curati non analiticamente, osserviamo che il transfert si manifesta con la massima intensità e nelle forme peggiori, arrivando addirittura all'asservimento psichico e per di più dimostrando la più evidente coloritura erotica. Gabrielle Reuter, grazie al grande potere di osservazione di cui è dotata, lo ha descritto in un tempo in cui non esisteva niente di simile alla psicoanalisi, in un notevole libro che, sotto ogni aspetto, rivela una chiarissima comprensione della natura e della origine delle nevrosi4 (Aus guter Familie, Berlin 1895). Pertanto queste caratteristiche del transfert devono essere attribuite non alla psicoanalisi, ma alla nevrosi stessa. Il nostro secondo problema — perché il transfert in psicoanalisi si manifesti come resistenza — per il momento non è stato trattato ed ora dobbiamo occuparcene più da vicino. Rappresentiamoci la situazione psicologica durante il trattamento. Una condizione invariabile e indispensabile al manifestarsi di qualunque psiconevrosi è quel processo cui Jung ha dato il nome di «introversione»5 (Ciò anche se alcune osservazione di Jung danno l'impressione che egli consideri questa introversione come un elemento caratteristico della schizofrenia, che non si manifesta nello stesso modo nelle altre nevrosi.) Questo significa: la parte di libido che è suscettibile di diventare cosciente ed è rivolta alla realtà è ridotta, e la parte che è rivolta in direzione diversa da quella della realtà ed è inconscia, e che, pur potendo alimentare le fantasie del soggetto, appartiene purtuttavia all'inconscio, è proporzionalmente accresciuta. La libido — o del tutto o in parte — ha assunto un andamento regressivo ed ha riportato in vita le «immagini» infantili del soggetto6 (Sarebbe conveniente poter dire che «ha ridato una carica psichica ai suoi complessi infantili». Ma sarebbe inesatto: l'unico modo giustificabile di esprimersi sarebbe «alle parti inconsce di questi complessi». Gli argomenti, di cui si tratta in questo articolo, sono talmente intercollegati che si prova la tentazione di affrontare moltissimi problemi affini, la cui chiarificazione, in effetti, sarebbe necessaria prima di poter parlare in termini non ambigui dei processi psichici che dobbiamo descrivere. Questi problemi comprendono quello della distinzione tra introversione e regressione, l'adattamento della teoria dei complessi alla teoria della libido, i rapporti della fantasticheria con il cosciente e con l'inconscio come pure con la realtà, e altri ancora. Non sento il bisogno di scusarmi per aver resistito a questa tentazione nel presente articolo.) Adesso il trattamento analitico si accingerà a seguire questo andamento; cercherà di scovare la libido, di renderla accessibile alla coscienza e, alla fine, utilizzabile ai fini della realtà. Allorché la ricerca psicoanalitica scova la libido nel suo nascondiglio, necessariamente ne segue una lotta. Tutte le forze che hanno determinato la regressione della libido si ergono quali «resistenze» contro il lavoro di analisi nell'intento di mantenere il nuovo stato di cose. Infatti, se l'introversione o regressione della libido non fosse stata giustificata da un particolare rapporto tra soggetto e mondo esterno — espresso nel modo più generico della frustrazione dell'appagamento — e se, in quel determinato momento, non fosse divenuta addirittura conveniente, non sarebbe mai comparsa. Però le resistenze, aventi questa origine, non sono le uniche e, a dire il vero, non sono nemmeno le più potenti. La libido a disposizione della personalità dell'individuo è sempre stata soggetta all'attenzione dei suoi complessi inconsci (o più esattamente delle parti di quei complessi appartenenti all'inconscio) ed ha assunto un andamento regressivo perché l'attrazione della realtà si è ridotta. Per poterla liberare è necessario superare questa attrazione dell'inconscio, il che significa che bisogna eliminare la rimozione degli istinti inconsci, e delle loro produzioni, che nel frattempo si è instaurata nel soggetto. Essa è la causa di gran lunga più importante della resistenza, che molto spesso fa sì che la malattia persista persino dopo che la diversione dalla realtà ha perduto la sua temporanea giustificazione. L'analisi deve combattere contro le resistenze insorgenti da entrambe queste origini. La resistenza si accompagna passo passo al trattamento. Ogni singola associazione, ogni azione della persona in cura deve fare i conti con la resistenza e rappresenta un compromesso tra le forze che si battono per la guarigione e quelle opposte, che ho descritto. Se ora seguiamo un complesso patologico dalla sua rappresentazione nella coscienza (che può apparire sotto la forma ovvia di un sintomo o come qualcosa di molto meno cospicuo) fino alla sua radice nell'inconscio, penetriamo ben presto in una regione nella quale la resistenza si fa sentire tanto nettamente che la successiva associazione non può non tenerne conto e deve apparire quale compromesso tra le esigenze della resistenza e quelle del lavoro di indagine. È in questo momento che, sulla scorta della nostra esperienza, il transfert entra in scena. Quando tutto il materiale composito (nell'ambito del complesso) è idoneo ad essere trasferito sulla figura del medico, tale transfert ha luogo. Esso determina la successiva associazione e si annuncia con i segni della resistenza, per esempio attraverso un inceppamento. Da questa esperienza deduciamo che l'idea del transfert è penetrata nella coscienza in luogo di ogni altra associazione possibile, perché soddisfa la resistenza. Un fatto del genere si ripete in innumerevoli occasioni nel corso di un'analisi. Ogni volta che ci avviciniamo a un complesso patologico, la parte di detto complesso che è suscettibile di transfert viene innanzi tutto immessa di forza nella coscienza e poi difesa con la massima ostinazione7. Dopo che ciò è stato superato, il superamento di altre porzioni del complesso solleva solo poche altre difficoltà. Quanto più a lungo dura un trattamento psicoanalitico, tanto più chiaramente il malato si rende conto che le distorsioni del materiale patologico non possono proteggersi da sole contro l'essere scoperte, per cui il malato fa un impiego sempre più massiccio dell'unico genere di distorsione che, come è ovvio, gli offre i migliori vantaggi: la distorsione tramite transfert. Queste circostanze tendono a provocare una situazione tale per cui, alla fine, le sorti di ogni conflitto andranno risolte nella sfera del transfert. Quindi il transfert nel trattamento analitico ci appare innanzi tutto come la più forte delle armi di cui dispone la resistenza e possiamo concludere che l'intensità e la persistenza del transfert sono il risultato e l'espressione della resistenza stessa. È vero che il meccanismo del transfert è spiegato, una volta che si sia riusciti a riportarlo alla condizione della libido, la quale è rimasta in possesso delle immagini infantili, ma il ruolo sostenuto dal transfert nel trattamento potrà essere spiegato soltanto se approfondiremo i suoi rapporti con la resistenza. Come mai il transfert è così meravigliosamente adatto a costituire uno strumento della resistenza? Si potrebbe credere di saper rispondere senza difficoltà, dato che è evidente che è quanto mai difficile ammettere un qualsiasi desiderio proibito se lo si deve confessare proprio alle persone oggetto di questo desiderio. Una tale necessità provoca delle situazioni che sembrerebbero a mala pena possibili nel mondo della realtà. Ma è proprio questo cui mira il paziente quando trasforma il medico nell'obbiettivo dei propri impulsi emozionali. Però, una considerazione più approfondita dimostra che questo vantaggio apparente non porta alla soluzione del problema. Infatti un rapporto di devota e affezionata dipendenza può invece essere di aiuto, per una persona, a superare tutte le difficoltà di una confessione. In una situazione reale analoga, un individuo di solito direbbe «Davanti a te non provo vergogna e posso dirti tutto». Dunque il transfert sul medico potrebbe servire altrettanto bene a facilitare le confessioni e non è ben chiaro perché dovrebbe rendere le cose più difficili. La risposta a questa domanda, già tante volte posta in queste pagine, non verrà ottenuta continuando nelle riflessioni tecniche, ma ci sarà data da quello che scopriremo esaminando le singole resistenze da transfert che si manifestano durante il trattamento. Alla fine ci rendiamo conto che non si può capire l'uso del transfert ai fini della resistenza finché pensiamo al «transfert» senza altra specificazione. Dobbiamo deciderci a distinguere un transfert «positivo» da un transfert «negativo», il transfert di sentimenti di affetto da quello di sentimenti ostili, e a trattare separatamente i due tipi di transfert nei confronti del medico. Il transfert positivo, a sua volta, è distinguibile nel transfert di sentimenti di amicizia o affetto e nel transfert dei prolungamenti di questi sentimenti nell'inconscio. Quanto a questi ultimi, l'analisi dimostra che essi risalgono immancabilmente a origini erotiche. Quindi arriviamo alla scoperta che tutti i rapporti emotivi di simpatia, amicizia, fiducia, e simili, che nella vita possono avere effetti favorevoli, geneticamente sono legati alla sessualità e si sono evoluti da desideri squisitamente sessuali attraverso l'attenuazione della loro finalità sessuale, per quanto puri e non sensuali possano apparire alla nostra percezione cosciente. In origine noi conoscevamo soltanto oggetti sessuali e la psicoanalisi ci dimostra che persone semplicemente ammirate o rispettate nella vita reale, possono tuttavia rappresentare degli oggetti sessuali per il nostro inconscio. Quindi la soluzione dell'enigma sta nel fatto che il transfert sul medico gioca a favore della resistenza al trattamento solo in quanto è un transfert negativo o un transfert positivo di impulsi erotici rimossi. Se «eliminiamo» il transfert rendendolo cosciente stacchiamo dalla persona del medico solo queste due componenti dell'attività emotiva, mentre l'altra componente, ammissibile per la coscienza e ineccepibile, sussiste e costituisce un veicolo di successo nella psicoanalisi come in altri metodi curativi. Entro questi limiti siamo pronti ad ammettere che i risultati della psicoanalisi si fondano sulla suggestione, intendendo però per suggestione, con Ferenczi (1909), l’influenza esercitata attraverso i fenomeni di transfert che sono possibili in un dato caso. Noi ci preoccupiamo della definitiva indipendenza del paziente avvalendoci della suggestione per fargli eseguire un determinato lavoro psichico, il cui immancabile risultato sarà un miglioramento permanente della sua situazione psichica. Ora può essere posta un'altra domanda: perché i fenomeni della resistenza da transfert si hanno solo con la psicoanalisi e non anche con forme di cura differenti (per esempio nelle case di cura)? La risposta è che essi si manifestano anche in queste altre situazioni ma devono essere riconosciuti come tali. In effetti nelle case di cura l'insorgenza di un transfert negativo è un fatto quanto mai comune. Appena il malato cade sotto il dominio del transfert negativo lascia la casa di cura in condizioni immutate o di ricaduta. Il transfert erotico non ha questo effetto inibitore nelle case di cura, perché in queste, come nella vita ordinaria, non viene nascosto ma, anzi, messo in mostra. Esso però appare molto chiaramente come una resistenza alla guarigione, non perché allontani il paziente dalla casa di cura — al contrario tende a trattenerlo — ma perché lo tiene avulso dalla vita. Infatti, dal punto di vista della guarigione, è perfettamente indifferente se il paziente supera questa o quell'angoscia o inibizione nella casa di cura; quel che conta è che egli ne rimanga libero anche nella vita reale. Il transfert negativo merita un esame particolareggiato, che non possiamo fare entro i limiti di questo articolo. Nelle forme guaribili di psiconevrosi lo troviamo a fianco a fianco con il transfert di affetto, spesso rivolto alla stessa persona. Bleuler, per descrivere il fenomeno, ha creato l'eccellente termine di «ambivalenza»8 (Bleuler, 1911, 43-4 e 305-6. — Cfr. una conferenza da lui presentata a Berna nel 1910 e pubblicata nel Zentralblatt fùrPsychoanalyse 1,266. — Stekel ha proposto, per lo stesso fenomeno, il termine «bipolarità».). Fino a un certo punto un'ambivalenza di sentimenti come questa sembra essere normale, ma un'ambivalenza di grado elevato certamente è appannaggio dei nevrotici. La scissione precoce delle «coppie di opposti» sembra essere una caratteristica della loro vita istintuale ed una delle condizioni basilari della loro costituzione. L'ambivalenza delle tendenze emotive dei nevrotici costituisce la migliore spiegazione della loro capacità di assoldare i loro transfert al servizio della resistenza. Nei casi in cui la facoltà di transfert è diventata essenzialmente limitata a quella negativa, come nel caso dei paranoici, scompare qualsiasi possibilità di influenza e guarigione. Noi però, con tutte queste riflessioni, ci siamo occupati per ora solo di un aspetto del fenomeno del transfert e ora dobbiamo rivolgere la nostra attenzione a un altro lato dello stesso soggetto. Chiunque si sia fatta una chiara idea di come un individuo in caso di analisi, non appena cade sotto il dominio di una resistenza da transfert di una certa importanza, venga sviato dai suoi rapporti normali col medico, di come da questo momento si senta libero di trascurare la regola fondamentale della psicoanalisi, che stabilisce che si riferisca senza sottoporla a critica qualunque cosa passi per la mente, di come si dimentichi delle intenzioni con cui iniziò la cura, e di come consideri con indifferenza le argomentazioni logiche e le conclusioni, che solo poco tempo prima avrebbero avuto una grande presa su di lui; chiunque, dico, ha osservato tutto ciò, sentirà la necessità di ricercare una spiegazione di queste sue impressioni in altri fattori oltre a quelli già esposti. E non dovrà nemmeno andarla a cercare lontano; la spiegazione scaturisce anche in questo caso dalla situazione psicologica in cui il trattamento viene a mettere il paziente. Nella nostra ricerca per scovare la libido sfuggita alla coscienza del paziente, siamo penetrati nel dominio dell’inconscio. Le reazioni che provochiamo rivelano nello stesso tempo alcune caratteristiche, che abbiamo imparato a conoscere attraverso lo studio dei sogni. Gli impulsi inconsci non vogliono essere ricordati nel modo desiderato dal trattamento ma si sforzano di riprodursi in conformità alla mancanza di temporalità, propria dell'inconscio, e alla sua tendenza alle allucinazioni. Così come accade nei sogni, il paziente considera i prodotti dei suoi impulsi inconsci come contemporanei e reali; egli cerca di trasfondere nell'azione le sue passioni senza tener conto della situazione reale. Il medico tenta di costringerlo a inquadrare questi impulsi emotivi nel contesto del trattamento e dell'anamnesi, onde sottoporli all'esame dell'intelletto e comprenderli alla luce del loro significato patologico. Questo conflitto tra medico e paziente, tra intelletto e vita istintiva, tra comprensione e tendenza all'azione, si risolve quasi esclusivamente nei fenomeni di transfert. La vittoria sarà ottenuta solo su questo terreno, vittoria il cui risultato sarà la guarigione permanente dalla nevrosi. È indiscutibile che il dominio dei fenomeni di transfert presenta le più grandi difficoltà per lo psicoanalista. Ma non si deve dimenticare che sono proprio questi fenomeni a renderci l'inestimabile servizio di trasformare in attuali e manifesti gli impulsi erotici, occulti e dimenticati, del paziente. Perché, in ultima analisi, è impossibile distruggere chicchessia in absentia o in effigie. III. Raccomandazioni al medico sul trattamento psicoanalitico(1912)Le regole di tecnica che qui espongo sono il frutto della mia pluriennale esperienza, dopo che risultati sfortunati mi avevano indotto ad abbandonare altri metodi. Si vede facilmente che esse (o quanto meno molte di esse) possono riassumersi in un singolo precetto. La mia speranza è che l'osservanza di queste regole risparmi ai medici, che praticano l'analisi, una gran quantità di fatiche inutili e li salvi da alcuni errori. Sia chiaro, però, che io affermo che questa tecnica è la sola che si convenga alla mia personalità. Non mi azzarderei a negare che un medico, avente una costituzione del tutto diversa dalla mia, non possa sentirsi portato ad assumere un atteggiamento differente nei confronti dei propri pazienti e del compito che lo aspetta. a. L'analista, che deve curare più di un paziente al giorno, si trova a dover affrontare un primo problema che certamente gli parrà il più difficile. Si tratta di ricordare tutti gli infiniti nomi, date, ricordi pieni di particolari e prodotti patologici, che il malato riferisce nel corso di trattamenti della durata di mesi e anni, senza confonderli con materiali similari forniti da pazienti che sono in cura nello stesso tempo o che lo sono stati in antecedenza. Se a un medico si chiede di analizzare sei, otto o anche più pazienti al giorno, lo sforzo mnemonico occorrente sarà tale da provocare incredulità, stupore o addirittura compassione in un osservatore profano. Questi proverà in ogni modo un senso di curiosità nei confronti della tecnica che consente di padroneggiare un materiale tanto abbondante e penserà che, a tale scopo, occorra qualche stratagemma particolare. E invece si tratta di una tecnica molto semplice. Come vedremo subito, essa si rifiuta di far ricorso a qualsiasi espediente particolare, neppure a quello di prendere appunti. Si tratta di non fissare l'attenzione in particolare su alcun elemento e di mantenere una stessa «attenzione uniformemente sospesa» (come l'ho chiamata io stesso) per tutto ciò che si ascolta. In tal maniera ci risparmiamo uno sforzo attentivo che in ogni caso non potrebbe essere mantenuto per molte ore giornaliere, ed evitiamo un pericolo che è inseparabile dall'esercizio di un'attenzione volontaria. Infatti, non appena si concentra volontariamente la propria attenzione oltre a un certo limite, si comincia a fare una scelta del materiale che ci viene presentato; un punto si fissa nella mente con particolare chiarezza e, di conseguenza, altri punti sono trascurati, e poi questa scelta segue le aspettative o si conforma alle tendenze del medico, e proprio questo è ciò che non va fatto. Se si esercita una scelta si rischia di non trovare mai nulla di più di ciò che già si conosce e se si seguono le proprie inclinazioni sicuramente ciò che viene percepito resta falsato. Non si dimentichi che quel che si ascolta adesso è formato, in massima parte, da cose di cui non intenderemo il significato se non più tardi. Ben si comprende che la regola di annettere la medesima importanza ad ogni cosa è la necessaria controparte dell'ordine dato al paziente di riferire quanto gli passa per la mente senza critiche né scelte. Se il medico si comporterà diversamente perderà quasi tutto il vantaggio che si ottiene se il paziente obbedisce alla «regola fondamentale della psicoanalisi». Così possiamo enunciare la regola per il medico: «Egli deve eliminare qualsiasi influenza cosciente sulla propria capacità di prestare attenzione, abbandonandosi completamente alla propria "memoria inconscia"». Oppure, per usare un linguaggio esclusivamente tecnico: «deve semplicemente ascoltare senza la preoccupazione di ricordare». Ciò che si otterrà in questo modo basterà a tutte le necessità della cura. Le parti di materiale che già costituiscono un contesto ben articolato si troveranno a disposizione della coscienza del medico; il rimanente, tuttora sconnesso e caotico, a tutta prima sembra essere svanito, ma torna prontamente alla memoria non appena il paziente fornisce qualche nuovo elemento che possa essere ricollegato ad esso o che ne rappresenti il proseguimento. Potremo accogliere con un sorriso il complimento, immeritato, di avere «una memoria veramente buona» che ci viene fatto dal malato quando, dopo molto e molto tempo, riusciamo a ricordare qualche particolare, in quanto, se avessimo cercato di riportarlo alla memoria con uno sforzo di volontà, certamente non vi saremmo riusciti. Si verificano degli errori in questo procedimento mnemonico solo in quei tempi e luoghi in cui si è turbati da considerazioni personali (vedi oltre), vale a dire allorché si è caduti molto al disotto del modello del perfetto analista. È molto raro che si faccia confusione col materiale fornito da altri malati. Quando sorge una discussione col paziente se ha detto una certa cosa o come l'ha detta, di solito è il medico ad aver ragione1. (Spesse volte un paziente affermerà di aver già detto una cosa al medico in una precedente occasione, mentre il medico lo può assicurare, con un tranquillo senso di superiorità, che sente la tal cosa per la prima volta. Allora risulta che il paziente aveva avuto in passato l'intenzione di dire quella cosa, ma era stato impedito dal portare a termine il suo disegno a causa di una costante resistenza. Per il malato il ricordo dell'intenzione è indistinguibile da quello lasciato da un'azione veramente compiuta.) b. Non mi sento di consigliare di prendere degli appunti per esteso o di stenografare durante la seduta analitica. A prescindere dall'impressione sfavorevole che questo ha su taluni pazienti, valgono anche in questo caso le considerazioni già fatte a proposito dell'attenzione. Se si scrivono o stenografano degli appunti, necessariamente si esercita una scelta, dannosa, del materiale e inoltre parte dell'attività mentale è deviata dall'azione di scrivere, mentre la si potrebbe mettere a profitto interpretando quel che si ascolta. È ammissibile fare uno strappo alla regola quando si tratti di date, di narrazioni di sogni o di eventi particolarmente degni di rilievo, che potrebbero essere facilmente isolati dal loro contesto onde avvalersene indipendentemente a guisa di esempi. Io però non ho l'abitudine di fare neppure questo. Per quel che riguarda gli esempi, li butto già a memoria di sera, dopo finito il lavoro. Invece, per i sogni, al cui contenuto attribuisco una certa importanza, me li faccio raccontare una seconda volta dal paziente, così che me li posso fissare in mente. c. Il prendere appunti durante la seduta col malato potrebbe trovare una giustificazione nell'intenzione di pubblicare uno studio scientifico sul caso. E certo che, in linea di massima, non si può negare l'interesse della cosa, ma comunque bisogna tener presente che le relazioni minuziose di storie di casi sottoposti ad analisi hanno minor valore di quanto si potrebbe pensare. A stretto rigore esse possiedono soltanto quella precisione apparente di cui la «moderna» psichiatria ci offre alcuni impressionanti esempi. Di solito affaticano il lettore e non possono sostituire la sua effettiva presenza durante l'analisi. L'esperienza immancabilmente ci insegna che se i lettori sono desiderosi di credere a un analista, avranno fiducia in ogni minima revisione alla quale egli abbia sottoposto il materiale; se, invece, non intendono prendere sul serio l'analisi e l'analista, non concentreranno la loro attenzione su una registrazione del trattamento, sia pure minuziosa e fatta parola per parola. Non mi pare dunque che questa sia la maniera di rimediare alla mancanza di quella convincente evidenza che si dovrebbe trovare nei resoconti psicoanalitici. d. Una delle caratteristiche che dovrebbero distinguere la psicoanalisi è, senza dubbio, che, nella sua pratica, ricerca scientifica e trattamento terapeutico coincidono. Ciononostante, entro certi limiti, la tecnica occorrente alla prima è opposta a quella occorrente al secondo. Non è bene lavorare scientificamente su un caso mentre la terapia è tuttora in atto, ricomporne la struttura, tentare di prevedere gli sviluppi futuri, e delineare di tempo in tempo un quadro della situazione attuale, secondo quanto esigerebbe l'interesse scientifico. Quei casi che, fin da principio, vengono destinati a scopi scientifici, e sono trattati in conseguenza, finiscono con l'avere un risultato sfavorevole. Invece i casi che hanno i migliori successi sono quelli in cui, come è giusto, si procede senza uno scopo prefisso, lasciandosi cogliere alla sprovvista da ogni svolta inaspettata, affrontandola con mente aperta, sgombra da qualsiasi preconcetto. Il comportamento corretto dell'analista sta nel passare, al bisogno, da un atteggiamento mentale all'altro, evitando di speculare o fare elucubrazioni sui casi in corso di analisi e sottoponendo il materiale a una sintesi di pensiero solo dopo la conclusione dell'analisi. La distinzione tra i due atteggiamenti sarebbe priva di senso se già possedessimo tutte le conoscenze (o quanto meno quelle essenziali) sulla psicologia dell'inconscio e sulla struttura delle nevrosi, che potremo trarre dal lavoro psicoanalitico. Attualmente siamo ancora ben lontani da questa meta e non ci dobbiamo precludere la possibilità di provare quello che abbiamo già imparato e di ampliare la nostra conoscenza. e. Non insisterò mai troppo consigliando i miei colleghi di conformarsi, nel trattamento psicoanaltico, all'atteggiamento del chirurgo, che si svincola da ogni sentimento, persino dalla simpatia umana, per concentrare tutte le sue energie psichiche sull'unico scopo di eseguire l'intervento con la maggior perizia possibile. Allo stato attuale, il sentimento più pericoloso per uno psicoanalista è l'ambizione terapeutica di conseguire, grazie a questo nuovo metodo assai discusso, dei risultati tali da esercitare un'opera di convincimento sugli altri. Ciò non soltanto Io metterà in uno stato psichico sfavorevole al suo lavoro, ma lo renderà impotente di fronte a talune resistenze del paziente la cui guarigione, come è noto, dipende innanzi tutto dall'interazione delle forze operanti in lui. A giustificazione di questa freddezza emotiva da parte dell'analista si può dire che essa crea le condizioni più favorevoli per entrambe le parti: il medico consegue una desiderabile protezione della sua propria vita emotiva mentre il paziente potrà beneficiare del massimo aiuto che gli si possa dare oggi. Un chirurgo dei tempi andati aveva preso questo motto: «Je le pensai, Dieu le guérit». L'analista dovrebbe sentirsi pago di qualcosa di simile. f. È facile intuire lo scopo finale verso il quale convergono le diverse regole che ho esposto. Sono tutte intese a creare per il medico la controparte di quella «regola fondamentale della psicoanalisi» che viene imposta al paziente. Come il paziente deve riferire tutto ciò che l'introspezione gli rivela, astenendosi da tutte le obiezioni logiche e affettive che cercano di indurlo ad esercitare una scelta, così il medico deve trovarsi in condizione di poter usufruire di tutto ciò che gli viene detto ai fini dell'interpretazione e del riconoscimento del materiale inconscio e celato, senza sostituire una sua propria censura alla facoltà di scelta cui il paziente ha rinunciato. Ci si può esprimere con la seguente formula: il medico deve orientare il proprio inconscio come un organo di ricezione verso l'inconscio trasmittente del malato. Deve adattarsi al malato come il ricevitore del telefono è adattato al microfono trasmittente. Come il ricevitore trasforma nuovamente in onde sonore le oscillazioni elettriche trasmesse dal cavo telefonico, e che a loro volta erano il prodotto di onde sonore, così l'inconscio del medico deve essere in grado di ricostruire l'inconscio del paziente, che ha prodotto le libere associazioni, avvalendosi appunto di queste produzioni dell'inconscio che gli vengono trasmesse. Per essere, tuttavia, in condizione di adoperare il proprio inconscio in questo modo, quale strumento di analisi, il medico deve soddisfare in alto grado ad una condizione psicologica. Non deve tollerare in se stesso alcuna resistenza che tenga lontano dalla sua coscienza quel che è stato percepito dal suo inconscio; altrimenti verrebbe a introdurre nell'analisi una nuova specie di selezione e di distorsione di gran lunga più nocive di quelle conseguenti alla concentrazione dell'attenzione cosciente. A tal fine non basta che il medico sia una persona praticamente normale. Piuttosto bisogna insistere affinché si sottoponga a una purificazione psicoanalitica rendendosi consapevole di quei complessi esistenti in lui, che potrebbero ostacolare la comprensione di quanto il paziente gli viene dicendo. Non si può nutrire alcun dubbio sull'effetto squalificante di tali difetti nel medico; qualsiasi rimozione, esistente in lui e non risolta, costituisce quel che molto appropriatamente Stekel ha definito uno «scotoma» nella percezione analitica. Qualche anno fa detti la seguente risposta alla domanda di come si fa a diventare analisti: «Analizzando i propri sogni». Questa è una preparazione sicuramente sufficiente per taluni, ma non per chiunque voglia imparare l'analisi. E neppure tutti riescono a interpretare i propri sogni senza un aiuto esteriore, lo ascrivo ai molti meriti della scuola analitica di Zurigo quello di aver dato sempre maggior importanza a questo requisito, concretandolo nella richiesta che chiunque voglia analizzare gli altri debba prima di tutto sottoporsi egli stesso all'analisi di un esperto in materia. Chiunque si accinga con serietà al lavoro dovrà scegliere questa via che gli offre diversi vantaggi. Il sacrificio di aprirsi ad un'altra persona senza esservi indotti da una malattia, sarà ampiamente ricompensato. Si raggiunge molto più rapidamente e con minor dispendio emotivo lo scopo di imparare a conoscere quel che si nasconde nella propria psiche; non solo, ma si raggiungono delle impressioni e delle convinzioni su se stessi che invano si cercherebbero nello studio di libri e nell'ascolto di lezioni. Infine non dobbiamo sottovalutare il vantaggio tratto da un durevole contatto che, di solito, si instaura tra l'allievo e la sua guida. È facile immaginare che l'analisi di una persona praticamente sana rimarrà incompleta. Chiunque apprezzi l'alto valore della conoscenza di se stessi e dell'autocontrollo, che in tal modo si acquista, terminata questa fase dell'analisi, continuerà nell'esame della propria personalità ricorrendo all'autoanalisi e proverà la soddisfazione di vedere che vi è sempre qualcosa di nuovo da scoprire sia in se stesso sia nel mondo esterno. Invece chiunque abbia sdegnato di prendere il provvedimento di farsi analizzare non troverà soltanto il suo castigo nell'incapacità di apprendere più di tanto dai propri malati, ma correrà un pericolo più grave che può trasformarsi in un pericolo anche per gli altri. Facilmente cadrà nella tentazione di proiettare all'esterno alcune caratteristiche della propria personalità, da lui oscuramente percepite, immettendole nel campo della scienza quali teorie dotate di validità universale; getterà il discredito sul metodo psicoanalitico e svierà gli inesperti. g. Aggiungerò adesso qualche altra regola che serva di collegamento tra l'atteggiamento del medico e il trattamento del paziente. Gli psicoanalisti giovani ed entusiasti non mancheranno di essere tentati di introdurre liberamente la propria individualità nella discussione onde trascinare seco il paziente per innalzarlo oltre le barriere della sua limitata personalità. Sembrerebbe del tutto ammissibile ed effettivamente giovevole che il medico, allo scopo di superare le resistenze esistenti nel paziente, gli permettesse di gettare uno sguardo sui suoi difetti psichici e sui suoi conflitti fornendogli qualche informazione intima sulla propria vita, in modo da mettere il paziente sul suo stesso piano. Infatti confidenza richiama confidenza e chiunque chieda intimità ad un altro deve essere pronto a contraccambiare. Però nel rapporto psicoanalitico spesso le cose si svolgono diversamente da quanto ci si potrebbe figurare in base alla psicologia della coscienza. L'esperienza non depone a favore di questo genere di tecnica su base affettiva, né è difficile rendersi conto che essa comporta un allontanamento dai princìpi psicoanalitici e riporta al trattamento suggestivo. Può indurre il paziente a rivelare più presto e con meno difficoltà cose che già conosce ma che, in seguito all'abituale resistenza, avrebbe tenuto nascoste a lungo. Questa tecnica, però, non ottiene alcun risultato quando si tratta di scoprire quel che è inconscio perii paziente. Essa lo rende vieppiù incapace di superare le sue resistenze più profonde e, nei casi più gravi, viene meno ai suoi scopi incoraggiando il paziente ad essere insaziabile, nel senso che quest'ultimo vorrebbe rovesciare la situazione trovando l'analisi del medico più interessante della propria. Anche la risoluzione del transfert, che è uno degli scopi essenziali del trattamento, è resa più difficile da un atteggiamento confidenziale da parte del medico, di modo che ogni guadagno che si potrà fare al principio sarà più che ripagato alla fine. Pertanto non esito a condannare questo genere di tecnica, perché scorretto. Il medico deve essere impenetrabile per il malato e, come uno specchio, non deve rivelare al paziente altro che la sua stessa immagine. E vero però che, in pratica, non abbiamo nulla da ridire su uno psicoterapeuta che combini un certo quantitativo di analisi con una certa influenza suggestiva al fine di conseguire un risultato palpabile in un tempo più breve, come è necessario, per esempio, nelle case di cura. Ma in tal caso si ha il diritto di affermarsi pienamente consapevoli di ciò che si sta facendo e si deve sapere che questo metodo non è conforme alla vera psicoanalisi. h. Un'altra tentazione scaturisce dall'attività educativa che il medico, senza alcuna specifica intenzione, finisce con l'esercitare durante la cura psicoanalitica. Dopo la risoluzione delle inibizioni dell'evoluzione, il medico si viene a trovare spontaneamente in una situazione che gli consente di indicare nuove mete alle tendenze che sono state liberate. Allora sarà nulla più che una naturale ambizione quella del medico che si sforzerà di trasformare in un essere superiore una persona che ha liberato a prezzo di tante fatiche dalla nevrosi e se prescriverà elevate finalità ai desideri di questa. Però anche in questo caso il medico dovrà frenarsi e prendere come guida non già la propria ambizione, ma le capacità del paziente. Non tutti i nevrotici hanno un'alta capacità di sublimazione. Per molti di loro possiamo pensare che non si sarebbero affatto ammalati se fossero stati dotati dell'arte di sublimare i propri istinti. Se li spingiamo indebitamente verso la sublimazione e precludiamo loro le soddisfazioni istintuali, più accessibili e convenienti, renderemo loro la vita più difficile di quanto lo sia mai stata. Il medico, in quanto tale, deve essere soprattutto tollerante con le debolezze del paziente e accontentarsi che questo abbia riacquistato un certo grado di capacità lavorativa e di attitudine a godere, se si tratta di persona di modesto valore. L'ambizione educativa è tanto poco utile quanto l'ambizione terapeutica. Inoltre, si deve tenere presente che taluni individui si ammalano proprio per aver cercato di sublimare i propri istinti oltre al livello consentito dalla loro organizzazione e che in coloro che sono dotati della capacità della sublimazione, il processo si svolgerà di solito spontaneamente non appena le loro inibizioni siano state superate dall'analisi. Quindi, secondo me, gli sforzi intesi a valorizzare il trattamento analitico sempre e soltanto ai fini della sublimazione degli istinti, per quanto siano sempre lodevoli, non sono affatto consigliabili in tutti i casi. i. Nel trattamento fino a che punto si deve ricercare la collaborazione intellettuale del malato? È difficile dire, su questo argomento, qualcosa di universalmente valido, essendo la personalità del paziente il fattore determinante. Ma in ogni caso ci vogliono prudenza e circospezione. È sbagliato imporre delle incombenze al malato, come raccogliere i propri ricordi o far mente locale a un dato periodo della sua vita. Invece il medico deve rendersi conto, ciò che non è facile per nessuno, che attività mentali quali pensare a qualche cosa o concentrare l'attenzione non scioglieranno mai nessuno dai grovigli di una nevrosi. Ciò invece potrà ottenersi se il paziente si atterrà alla regola psicoanalitica che impone l'esclusione di qualsiasi critica sull'inconscio e i suoi derivati. Si dovrà essere particolarmente riflessivi circa l'obbedienza a questa regola con quei pazienti che praticano l'arte di scivolare nella discussione intellettuale durante il trattamento, che speculano moltissimo e spesso assai ragionevolmente sulle proprie condizioni evitando in questo modo di fare alcunché per superarle. È per questa ragione che non amo far uso degli scritti analitici come guida per i miei pazienti; esigo da loro che apprendano per esperienza personale e li assicuro che in questo modo acquisteranno una coscienza più ampia e valida di quella che potrebbe essere insegnata loro da tutta la letteratura psicoanalitica del mondo. Però ammetto che, in caso di ricovero in luogo di cura, sarebbe molto vantaggioso usufruire della letteratura per preparare i malati all'analisi e per creare un'atmosfera di influenza. Devo mettere in guardia nel modo più deciso dal fare qualsiasi tentativo di accattivarsi la fiducia o l'appoggio dei genitori o dei parenti dando loro da leggere libri di psicoanalisi, sia divulgativi che trattanti studi avanzati. Un'azione del genere, fatta con tutte le buone intenzioni, finisce quasi sempre col suscitare prematuramente la naturale opposizione dei parenti contro la cura (opposizione che è destino si manifesti prima o poi) cosicché questa cura non sarà neppure iniziata. Desidero esprimere la speranza che l'allargamento dell'esperienza degli psicoanalisti presto porterà a un accordo sulle questioni tecniche e sui metodi più efficaci di curare i pazienti nevrotici. Per quanto riguarda il modo di trattare i loro parenti mi devo confessare in una situazione disperata e in genere ho ben poca fiducia in qualsiasi trattamento individuale di costoro. |