JOSEF BREUER3. Teoria ** [Questo capitolo di considerazioni teoriche è firmato dal solo losef Breuer, e se ne può cogliere appieno il senso solo ricordando che il più anziano collega di Freud era in un primo tempo riluttante anche alla pubblicizzazione delle idee contenute nella «Comunicazione Preliminare», e quindi sentiva il bisogno di differenziare le proprie posizioni da quelle del più giovane e audace collaboratore.] |
Nella «Comunicazione preliminare», che fa da introduzione al nostro lavoro, abbiamo formulato le conclusioni alle quali siamo stati condotti dalle nostre osservazioni, e io penso di poterle tenere per valide in linea generale. Ma la «Comunicazione Preliminare» è talmente breve e concisa che per lo più ci è stato possibile fare solo degli accenni alle nostre opinioni. Pertanto, ora che la descrizione dei casi clinici ha addotto delle prove a sostegno delle nostre conclusioni, ci sarà forse consentito di riportarle con maggiori particolari Anche in questo caso non sarà questione, naturalmente, di trattare di tutto il campo dell'isteria. Però potremo trattare un po' più da vicino e più chiaramente (indubbiamente con qualche nuova riserva) taluni punti, di cui è stata fornita una prova sufficiente, o che non hanno ricevuto abbastanza risalto nella «Comunicazione Preliminare». In quel che segue si parlerà poco del cervello e meno che mai di molecole. I processi psichici verranno trattati nel linguaggio della psicologia, né, invero, potrebbe essere altrimenti. Se invece di «idea» scegliessimo di parlare di «eccitazione corticale», quest'ultimo termine per noi avrebbe un significato solo in quanto, sotto questo travestimento, riconosceremmo una vecchia amica, e l'«idea» sarebbe tacitamente ristabilita. Infatti, mentre le idee sono oggetti costanti della nostra esperienza e ci sono familiari in tutte le sfumature di significato, le «eccitazioni corticali» hanno piuttosto la natura di un postulato, di un oggetto che speriamo verificare nel futuro. La sostituzione di un termine con un altro, ci sembrerebbe soltanto un inutile trasformismo. Quindi mi si perdonerà se farò uso quasi esclusivo di termini psicologici. Vi è un altro punto per il quale debbo chiedere in anticipo l'indulgenza del lettore. Quando una scienza sta compiendo rapidi progressi, pensieri originariamente espressi da singoli individui, diventano ben presto proprietà comune. Dunque nessuno, che cerchi oggi di esporre le proprie vedute sull'isteria e sul suo fondamento psichico, potrà evitare di ripetere una massa di pensieri altrui, che da proprietà individuale stanno diventando dominio universale. Non è possibile essere sicuri di chi li abbia enunciati per primo e si corre sempre il rischio di considerare un proprio prodotto ciò che già è stato detto da altri. Spero quindi di essere scusato se in questa trattazione non vi saranno che poche citazioni e se non sarà fatta precisa distinzione tra ciò che è mio e quel che ha una differente origine. Di ben poche cose, che compaiono nelle pagine seguenti, si pretende l'originalità. 1. Tutti i fenomeni isterici sono ideogeni?Nella nostra «Comunicazione Preliminare» abbiamo discusso il meccanismo psichico dei «fenomeni isterici», non dell'«isteria», perché non è nostro intendimento dichiarare che questo meccanismo psichico, o la teoria psichica dei sintomi isterici in generale, abbiano validità illimitata. Noi non siamo dell'avviso che tutti i fenomeni dell'isteria si verifichino nel modo descritto in questo lavoro, né riteniamo che siano tutti ideogeni, vale a dire provocati da idee. In questo ci discostiamo da Moebius, che ha proposto nel 1888 di chiamare isterici tutti i fenomeni patologici che sono causati da idee. Questa affermazione è illustrata col fatto che solo una parte dei fenomeni patologici ha un contenuto che corrisponde alle idee che li provocano (vale a dire quei fenomeni che sono provocati da etero o autosuggestione, come, per esempio, quando l'idea di essere incapace di muovere un braccio provoca la paralisi di questo), mentre un'altra parte dei fenomeni isterici, pur essendo causati da idee, non corrisponde ad esse quanto a contenuto (come, per esempio, quando in una nostra paziente la vista di un oggetto simile a un serpente provocò una paralisi del braccio). Nel dare la sua definizione, Moebius non propone semplicemente una modifica della nomenclatura e suggerisce che in avvenire debbano essere considerati isterici solo quei fenomeni che sono ideogeni, cioè determinati da idee. Ciò che egli pensa è che tutti i fenomeni isterici siano ideogeni. «Poiché le idee sono frequentissimamente la causa dei fenomeni isterici, io credo che esse lo siano sempre.» Egli definisce questa un'illazione per analogia. Io preferisco chiamarla una generalizzazione, la cui giustificazione deve innanzitutto essere comprovata. Prima di intraprendere qualunque discussione in argomento, dobbiamo ovviamente decidere che cosa intendiamo per isteria. Io considero l'isteria un quadro clinico osservato empiricamente e fondato sull'osservazione, né più né meno della tisi tubercolare polmonare. I quadri clinici di questo genere, cui si sia giunti per via empirica, vengono resi più precisi, approfonditi e chiari grazie al progresso delle nostre conoscenze, ma non devono e non possono essere sconvolti da queste. La ricerca etiologica ha dimostrato, che i diversi processi che costituiscono la tisi polmonare, hanno varie cause: il tubercolo è dovuto al bacillus Kochii, mentre il disfacimento del tessuto, la formazione di caverne e la febbre settica sono dovuti ad altri microbi. Ciononostante la tisi polmonare resta un'unità clinica e sarebbe errato frazionarla attribuendo ad essa soltanto le alterazioni «tubercolari specifiche» del tessuto causate dal bacillo di Koch e separando da essa le altre alterazioni. Nello stesso modo, l'isteria deve restare un'unità clinica persino se si dimostrasse che i suoi fenomeni sono determinati da varie cause, e che di essi alcuni sono prodotti da un meccanismo psichico e altri senza la concomitanza di questo. Sono convinto che le cose stiano veramente così : solo una parte dei fenomeni dell'isteria è ideogena e la definizione enunciata da Moebius infrange l'unità clinica dell'isteria e quindi l'unità di uno stesso sintomo in uno stesso paziente. Faremmo un'illazione del tutto analoga all'«illazione per analogia» di Moebius, se ci mettessimo a sostenere che, siccome idee e percezioni determinano assai spesso l'erezione, solo queste hanno il potere di farlo e gli stimoli periferici scatenano detto processo vasomotorio esclusivamente tramite un circuito indiretto che passa dalla psiche. Sappiamo che tale illazione sarebbe falsa, eppure si fonda su un numero di fatti almeno altrettanto grande quanto quello su cui si basa l'affermazione di Moebius sull'isteria. Conformemente alla nostra e-sperienza di un gran numero di processi fisiologici, quali la secrezione di saliva o di lacrime, le variazioni dell'attività cardiaca, ecc., è possibile e plausibile ammettere che uno stesso fenomeno può essere determinato sia da idee sia da stimoli periferici e da altri stimoli non pischici. Per sostenere il contrario bisognerebbe provarlo e noi siamo ben lungi dal poterlo fare. Sembra infatti certo che molti fenomeni, descritti come isterici, non siano causati soltanto da idee. Prendiamo in considerazione un esempio di tutti i giorni. Tutte le volte che prova un'emozione, una donna può presentare un eritema al collo, seno e viso, inizialmente a chiazze che vengono a confluire. Il fenomeno è provocato da idee e quindi, secondo Moebius, è di natura isterica. Ma lo stesso eritema compare, sia pure su una superficie meno estesa, quando la pelle sia toccata, irritata, ecc. Questo fatto non sarebbe isterico. Dunque un fenomeno, che costituisce indubbiamente un'unità a sé stante, in un caso sarebbe isterico e in un altro no. Naturalmente ci si potrebbe domandare se questo fenomeno (eretismo vasomotorio) debba essere considerato come specificamente isterico o, più propriamente, ritenuto semplicemente di natura «nervosa». Ma, secondo l'opinione di Moebius, necessariamente si addiverrebbe al frazionamento dell'unità in ogni caso, e solo l'eritema di origine emotiva verrebbe definito isterico. Ciò si applica esattamente nello stesso modo ai dolori isterici, che hanno tanta importanza pratica. E certo che questi sono spesso direttamente provocati da idee. Essi sono «allucinazioni di dolore». Se li esaminiamo più da vicino, ci renderemo conto del fatto che un'idea, sia pure molto viva, non basta a provocarle, ma occorre che sussista una particolare condizione abnorme degli apparati devoluti alia condizione e alla sensazione dolorosa, proprio come, nel caso dell'eritema emotivo, deve esistere un'abnorme eccitabilità dei centri vasomotori. L'espressione «allucinazioni di dolore» fornisce indubbiamente la descrizione più significativa della natura di queste nevralgie, ma ci costringe, in pari tempo, ad applicare qui di questi problemi in maniera particolareggiata. Io sottoscrivo l'opinione che le «idee», immagini mnemoniche pure e semplici, in mancanza di un'eccitazione dell'apparato percettivo, non potranno mai, nemmeno quando possiedano la massima lucidezza e intensità, conseguire le caratteristiche dell'esistenza obiettiva che è il segno distintivo dell'allucinazione '. Ciò vale per le allucinazioni sensoriali e ancor più per quelle dolorifiche. Infatti non sembra possibile che una persona normale riesca a dare al ricordo di un dolore fisico neanche quel grado di vivezza (lontana approssimazione della sensazione reale) che invece può essere raggiunto da immagini mnemoniche visive o acustiche. Neppure nel normale stato allucinatorio delle persone sane, che si manifesta durante il sonno, si hanno mai, io credo, sogni di dolore, a meno che non esista una sensazione dolorosa reale. Questa eccitazione «retrograda», emanante dall'organo della memoria e agente sull'apparato percettivo mediante le idee, è, in condizioni normali, ancor più difficile nel caso di dolori che nel caso di sensazioni visive o uditive. Siccome l'allucinazione dolorosa è tanto facile a manifestarsi nell'isteria, noi dobbiamo postulare l'esistenza di un'abnorme eccitabilità dell'apparato devoluto alla sensibilità dolorifica. Questa eccitabilità fa la sua comparsa non soltanto sotto la spinta di idee, ma anche in seguito a stimolazioni periferiche, proprio allo stesso modo dell'eretismo vasomotorio di cui abbiamo parlato sopra. Ogni giorno osserviamo che nelle persone con sistema nervoso normale i dolori periferici sono provocati da processi patologici, non dolorosi in se stessi, che avvengono in altri organi. Così le cefalee derivano da alterazioni pressoché insignificanti a carico del naso o della cavità paranasale, e, similmente, le nevralgie dei nervi intercostali e brachiali possono essere di origine cardiaca, ecc. Se l'eccitabilità anormale, che siamo stati costretti a ipotizzare quale condizione necessaria delle allucinazioni dolorose, è presente in un paziente, tale eccitabilità è già a disposizione, per così dire, delle irradiazioni che ho menzionato. Le irradiazioni, che si hanno anche in persone non nevrotiche, in questi casi sono rese più intense e inoltre si istituiscono delle irradiazioni di tipo speciale, le quali, a dire il vero, si trovano soltanto in pazienti nevrotici sebbene si fondino sullo stesso meccanismo seguito dalie prime. Cosi la nevralgia ovarica dipende, io penso, da condizioni particolari dell'apparato genitale. Che le sue cause siano psichiche è un fatto che dovrebbe essere comprovato, ciò che non si ottiene dimostrando che quel particolare tipo di dolore, come qualsiasi altro può essere indotto sotto ipnosi come se fosse un'allucinazione, o che le sue cause possono essere psichiche. A somiglianza dell'eritema, o di una normale secrezione, deriva sia da cause psichiche che da cause puramente somatiche. Dovremo considerare isterici solo i casi del primo tipo, casi, cioè, la cui origine sappiamo essere psichica? Se così fosse i casi di nevralgia ovarica comunemente osservati dovrebbero essere esclusi dalla sindrome isterica, ciò che in realtà non è possibile. Se una leggera lesione articolare è seguita gradatamente da una grave artralgia, questo processo comporta indubbiamente un elemento psichico, vale a dire una concentrazione dell'attenzione sulla parte lesa che accresce l'eccitabilità delle vie nervose interessate. Ma non sarebbe legittimo esprimere questo fatto dicendo che l'iperalgesia è stata causata da alcune idee. Lo stesso si può dire della riduzione patologica della sensibilità. Non è assolutamente provato ed è improbabile che l'analgesia generalizzata o di singole parti del corpo, non accompagnata da anestesia, sia causata da idee. E persino se dovessero trovare piena conferma le scoperte di Binet e Janet secondo le quali l'emianestesia è determinata da una condizione psichica particolare (uno sdoppiamento della psiche), questo fenomeno sarebbe psicogeno, non ideogeno, e quindi, secondo Moebius, non sarebbe da chiamarsi isterico. Se, quindi, vi è un gran numero di fenomeni isterici che non possiamo ritenere ideogeni, sembrerebbe giusto limitare l'applicazione della tesi di Moebius. J fenomeni patologici che sono causati da idee noi non li definiremo come isterici, ma affermeremo soltanto che un gran numero di fenomeni isterici, probabilmente più di quanti non sospettiamo oggi, è ideogeno. Tuttavia l'alterazione patologica fondamentale, che è presente in ogni caso e che mette le idee, come pure gli stimoli non psicologici, in condizione di provocare effetti patologici, risiede in un'abnorme eccitabilità del sistema nervoso 2. Fino a che punto questa eccitabilità sia in sé di origine psichica è un'altra questione. Ma anche se soltanto alcuni fra i fenomeni dell'isteria sono ideogeni, sono in ogni modo proprio questi che possono essere descritti come fenomeni specificamente isterici, ed è il loro studio e la scoperta della loro origine psichica, che rappresentano il più importante progresso della teoria di questa malattia. Allora si pone la seguente domanda: come si possono manifestare tali fenomeni? Qual è il loro meccanismo psichico? Questa domanda richiede risposte del tutto differenti per ciascuno dei due gruppi in cui Moebius ripartisce i sintomi ideogeni. Quei fenomeni patologici che corrispondono nel loro contenuto all'idea che li provoca, sono relativamente comprensibili e chiari. Se l'idea di una voce udita non provoca solamente una debole eco nell' «orecchio interiore», come avviene nelle persone sane, ma provoca, in maniera allucinatoria, una percezione che sembra una reale ed obbiettiva sensazione acustica, noi possiamo paragonare ciò a un fenomeno comune della vita normale (il sogno), e tale fenomeno è ben comprensibile in base all'ipotesi di un'eccitabilità abnorme. Sappiamo che in ogni movimento volontario è l'idea del risultato da conseguire che dà il via alla corrispondente contrazione muscolare, e non è difficile comprendere che l'idea che questa contrazione è impossibile impedirà il movimento (come avviene nella paralisi da suggestione). La situazione è diversa con quei fenomeni che non hanno rapporti logici con l'idea determinante (anche qui la vita normale offre dei parallelismi come, per esempio, l'arrossire di vergogna). Come succede questo fatto? Perché in un malato una data idea evoca un movimento particolare, del tutto irrazionale, o un'allucinazione che non corrisponde in alcun modo ad essa? Nella nostra «Comunicazione Preliminare» ci sentimmo in grado di dire qualche cosa su questo rapporto causale, fondandoci sulle nostre osservazioni. Però, nella trattazione dell'argomento, non ci peritammo di introdurre ed impiegare il concetto di «eccitazioni che svaniscono o che devono essere sottoposte all'abreazione.» Questo concetto è di fondamentale importanza per il nostro tema e per la teoria delle nevrosi in generale, e sembra richiedere e meritare un esame più ravvicinato. Prima di procedere ad esso chiedo di essere perdonato se ricondurrò il lettore ai problemi fondamentali del sistema nervoso. Inevitabilmente si proverà un senso di oppressione in questa discesa alle «Madri». Ma qualsiasi tentativo di arrivare alle radici del fenomeno inevitabilmente riconduce a problemi essenziali cui non si può sfuggire. Spero quindi che le astruserie della trattazione che segue saranno considerate con indulgenza. 2. Eccitazioni toniche intracerebrali. Stati affettiviA. Conosciamo due condizioni estreme del sistema nervoso centrale: un chiaro stato di veglia e un sonno senza sogni. La transizione tra questi due stati è rappresentata da condizioni aventi tutti i gradi decrescenti della chiarezza. Quello che qui ci interessa non è la questione dello scopo del sonno e della sua base fisica (i suoi determinanti chimici o vasomotori), ma è la questione della distinzione essenziale tra le due condizioni. Non possiamo fornire informazioni dirette sul sonno più profondo e senza sogni, proprio per la ragione che tutte le osservazioni ed esperienze sono escluse dallo stato di incoscienza totale. Ma per quel che riguarda la condizione confinante con la precedente, di sonno accompagnato da sogni, si possono fare le seguenti affermazioni. In primo luogo, quando in questa condizione intendiamo compiere dei movimenti volontari (come parlare, camminare, ecc.) ciò non ci porta a compiere contrazioni muscolari, cui sia dato il via volontariamente, come nella vita di veglia. In secondo luogo, le stimolazioni sensoriali forse sono percepite (perché esse entrano nei sogni) ma non apperce-pite, vale a dire che non diventano percezioni coscienti. Ancora: le idee che emergono non attivano, come nella vita di veglia, tutte le idee connesse con loro e che sono presenti in potenza nella coscienza, ma anzi queste rimangono in larga misura non evocate, (per esempio, ci troviamo a parlare con una persona defunta senza ricordarci che è morta). Inoltre idee incompatibili possono essere presenti simultaneamente senza inibirsi a vicenda, come invece avviene nella vita di veglia. Dunque l'associazione è manchevole e incompleta. Possiamo presumere con sicurezza che nel sonno più profondo questa interruzione delle connessioni tra gli elementi psichici sia portata oltre fino a diventare totale. D'altro canto, quando siamo pienamente desti, ogni atto di volontà dà inizio ai corrispondenti movimenti; le impressioni sensoriali diventano percezioni coscienti e le idee entrano in associazione con l'intero deposito potenzialmente presente nella coscienza. In questa condizione il cervello funziona come un'unità con complete connessioni interne. Forse non faremmo altro che descrivere questi fatti con altre parole se dicessimo che nel sonno le vie di collegamento e di conduzione del cervello non sono percorribili da parte di eccitazioni degli elementi psichici (cellule corticali?), mentre nella vita di veglia sono completamente percorribili. L'esistenza di queste due differenti condizioni delle vie di conduzione può essere resa comprensibile, sembra, solo se supponiamo che nella vita di veglia quelle vie siano in stato di eccitazione tonica (ciò che Exner chiama «tetano intercellulare») e che questa eccitazione intracerebrale è ciò che determina la capacità di conduzione di dette vie, e che la riduzione o scomparsa di questa eccitazione è ciò che instaura lo stato di sonno. Non bisogna pensare a una via di conduzione cerebrale come a qualcosa di simile a un cavo telefonico, che è eccitato elettricamente solo nel momento in cui deve funzionare (vale a dire, nel presente contesto, quando deve trasmettere un segnale); dovremo paragonarlo, invece, ad una linea telefonica lungo la quale vi è un flusso costante di corrente galvanica e che non può più essere eccitata se la corrente cessa. O meglio, immaginiamo un sistema elettrico ampiamente ramificato per scopi di illuminazione o di trasmissione di energia motrice. Ciò che ci attenderemo da questo sistema è che il semplice stabilirsi di un contatto accenda tutte le lampade o metta in funzione tutti i motori. Per rendere possibile ciò, in modo che tutto sia pronto per funzionare, vi deve essere una certa tensione presente in tutta la rete di fili conduttori, a questo fine, la dinamo dovrà erogare una determinata quantità di energia. Proprio nella stessa maniera un certo quantitativo di eccitazione è presente nelle vie di conduzione del cervello, quando questo è in riposo ma desto e pronto a lavorare 3. Questo modo di concepire la questione è confortato dal fatto che semplicemente l'essere desti, senza compiere alcun lavoro, dà luogo ad affaticamento e provoca il bisogno di dormire. Lo stato di veglia in sé causa un dispendio di energia. Immaginiamo un uomo in stato di intensa aspettativa, che non sia però rivolta ad alcun particolare ambito sensoriale. Ci troveremo allora davanti a un cervello quiescente ma preparato all'azione. Possiamo a buon diritto supporre che in questo cervello tutte le vie di conduzione si trovino al massimo delta loro capacità conduttrice, che siano in stato di eccitazione cronica. È un fatto significativo che nel linguaggio ordinario parliamo di questo stato come di uno stato di tensione. L'esperienza insegna quanto sforzo costi questo stato e quanto sia affaticante, ancorché durante esso non sia espletato alcun lavoro effettivo muscolare o psichico. Si tratta di uno stato eccezionale, che proprio per il grande consumo di energia che comporta, non può essere sopportato a lungo. Ma persino lo stato normale di essere perfettamente svegli richiede un certo livello di eccitazione intracerebrale variante entro limiti non molto distanti. Ogni grado di ridotta vigilanza, fino alla sonnolenza e al sonno vero e proprio, si accompagna a livelli di eccitazione proporzionalmente più bassi. Quando il cervello sta compiendo un lavoro effettivo, si richiede certamente un maggiore dispendio energetico di quando è semplicemente preparato a compiere il lavoro (proprio nella stessa maniera il sistema elettrico, descritto più sopra a scopo di similitudine, deve far sì che una maggiore quantità di energia elettrica fluisca nei conduttori allorché un gran numero di lampade o di motori viene inserito nel circuito). Là dove il funzionamento è normale non viene liberata più energia di quanta non ne venga spesa immediatamente per l'attività. Però il cervello si comporta come uno di quei sistemi elettrici di capacità limitata, che non sono in grado di produrre nello stesso tempo una grande quantità sia di luce sia di lavoro meccanico. Se trasmette forza motrice, rimane disponibile solo un piccolo quantitativo di energia a scopo di illuminazione e viceversa. Pertanto noi ci accorgiamo che se stiamo compiendo notevoli sforzi muscolari non riusciamo a impegnarci in pensieri continui, o che, se concentriamo l'attenzione su un ambito sensoriale, la capacità degli altri organi cerebrali viene a ridursi, vale a dire ci accorgiamo che il cervello lavora con un quantitativo di energia variabile, ma limitato. La non uniformità di distribuzione dell'energia è senza dubbio causata da ciò che Exner definisce «facilitazione mediante attenzione», consistente in un aumento della capacità di conduzione delle vie nervose che vengono impiegate al momento e in una riduzione di quella delle restanti vie. Dunque, in un cervello al lavoro, «l'eccitazione tonica intracerebrale» è anch'essa distribuita non uniformemente 4. Noi destiamo un dormiente -vale a dire che ne accresciamo all'improvviso il livello di eccitazione tonica intracerebrale - facendo agire su di lui un intenso stimolo sensoriale. Se le modificazioni del circolo cerebrale siano in questo caso anelli essenziali di una catena causale, se i vasi sanguigni siano direttamente dilatati dallo stimolo, o se la vasodilatazione dipenda dall'eccitazione degli elementi cerebrali, sono tutte cose ancora non risolte. Quel che è certo è che lo stato di eccitazione, che penetra attraverso la porta dei sensi, si spande in tutto il cervello partendo da quel punto, diventa diffuso e porta tutte le vie dì conduzione a uno stato di più elevata facilitazione. Naturalmente non è ancora affatto chiaro come avvenga il risveglio spontaneo1, se sia sempre una stessa sezione del cervello che per prima entra in stato di eccitazione di veglia, e che poi tale eccitazione si diffonda da quel punto, o se sia a volte un gruppo di elementi e a volte un altro che esercita la funzione di risveglio. Cionondimeno, il risveglio spontaneo, che come e noto, può avvenire in completa quiete e nell'oscurirà in assenza di qualsiasi stimolo esterno, prova che la produzione di energia si fonda sulle attività vitali degli elementi cerebrali stessi. Un muscolo resta privo di stimolo e quiescente, per quanto a lungo possa essere rimasto in stato di riposo e anche se ha accumulato il massimo livello di forza contrattile. Lo stesso non può dirsi degli elementi cerebrali. Siamo sicuramente nel giusto supponendo che durante il sonno, essi riacquistano la loro condizione iniziale e accumulino energia e tensione. Allorché il processo è arrivato a un certo punto, quando cioè, potremmo dire, è stato raggiunto un certo livello, l'eccesso fluisce nelle vie di conduzione, le facilita e instaura l'eccitazione intracerebrale propria dello stato di veglia. Noi possiamo trovare un istruttivo esempio dello stesso fenomeno nella vita di veglia. Quando il cervello desto è rimasto quiescente per diverso tempo senza trasformare la tensione in energia attiva tramite l'esplicazione delle sue funzioni, insorgono il bisogno e l'impulso ad agire. Una prolungata inattività motoria crea il bisogno di movimento (si pensi alla corsa in tondo, priva di scopo, di un animale in gabbia) e se questo bisogno non può essere soddisfatto sorge una sensazione di disagio. La mancanza di stimoli sensoriali, l'oscurità e il silenzio completo diventano una tortura; il riposo mentale, la mancanza di percezioni, di idee e di un'attività associativa provocano il tormento della noia. Queste sensazioni spiacevoli corrispondono a un «eccitamento», a un incremento del normale stato di eccitazione intracerebrale. Dunque gli elementi cerebrali, dopo essere completamente ristorati, liberano un certo quantitativo di energie anche quando sono in riposo, e se questa energia non è impiegata funzionalmente, essa accresce la normale eccitazione intracerebrale. Il ri sultato è un senso di disagio. Queste sensazioni compaiono sempre quando una delle necessità dell'organismo non viene soddisfatta. Poiché queste sensazioni scompaiono quando venga impiegato funzionalmente l'eccesso di energia che è stato liberato, possiamo concludere che la dissipazione di questo eccesso è una necessità per l'organismo. E qui per la prima volta ci troviamo dinanzi alla constatazione che nell'organismo esiste una «tendenza a mantenere costante il livello di eccitazione intracerebrale» (Freud). Tale eccesso di eccitazione intracerebrale costituisce un peso e un fastidio, e, conseguentemente, si manifesta un impulso a utilizzarlo. Se non può essere impiegato in un'attività sensoriale o ideativa, l'eccesso si scarica attraverso un'attività motoria senza scopo, come camminare su e giù ecc., la quale, come vedremo dopo, è il sistema più comune per scaricare la tensione eccessiva. Ci sono familiari le notevoli variazioni individuali che si riscontrano a questo proposito: la grande differenza tra persone vivaci e persone inerti e letargiche, tra coloro che non sanno «stare fermi senza far nulla» e quelli che «hanno il dono innato di oziare sui divani», tra le menti agili e quelle torpide, che possono sopportare un riposo intellettuale di durata illimitata. Queste differenze, che costituiscono il «temperamento naturale» di un uomo, certamente si basano su profonde differenze del sistema nervoso, sulla quantità di energia liberata dalle cellule funzionalmente quiescenti. . Abbiamo parlato di una tendenza da parte dell'organismo a mantenere costante l'eccitazione tonica cerebrale. Però una tendenza di questo tipo è comprensibile solo se possiamo sapere a quali necessità soddisfi. Possiamo comprendere la tendenza degli animali a sangue caldo a mantenere una temperatura media costante, in quanto l'esperienza ci insegna che detta temperatura rappresenta un optimum per il funzionamento degli organi. Un'analoga affermazione può essere fatta circa la costanza del contenuto in acqua del sangue e così via. Penso che si possa anche affermare che esiste un livello ottimale di eccitazione intracerebrale. A questo livello di eccitazione tonica il cervello è accessibile a tutti gli stimoli esterni, i riflessi sono agevolati, sia pure soltanto nei limiti di una normale attività riflessa, e il patrimonio di idee può essere stimolato e aperto all'associazione grazie ai reciproci rapporti tra singole idee, che corrispondono a uno stato mentale lucido e ragionato. E in questo stato che l'organismo è meglio preparato al lavoro. La situazione è già alterata da quell'uniforme innalzamento di livello dell'eccitazione tonica, che costituisce lo «stato di attesa». Questa rende l'organismo iperestesico nei confronti degli stimoli sensoriali, che ben presto diventano penosi, e inoltre ne accresce l'eccitabilità riflessa oltre i limiti dell'utilità (facilità alla paura). Senza dubbio questo stato è utile in determinate circostanze e per determinati scopi, ma se esso si manifesta spontaneamente e non per una qualunque delle sopraddette ragioni, esso non migliora il nostro rendimento, anzi lo ostacola. Nella vita ordinaria definiamo questo stato come essere «nervosi». Però, nella grande maggioranza delle forme di aumento dell'eccitazione, la sovreccitazione non è uniforme ed è sempre nociva al rendimento. Chiamiamo questo stato: «eccitamento». Non è sorprendente, ma anzi perfettamente concordante con gli altri fattori di regolazione dell'organismo, che quest'ultimo debba tendere a mantenere tale livello ottimale di eccitazione ritornando ad esso dopo che è stato superato. Ancora una volta voglio avventurarmi in un'analogia con una rete elettrica di illuminazione. Anche qui la tensione nella rete di conduzione ha un livello ottimale. Se questo viene superato, il funzionamento generale peggiora. Per esempio, i filamenti delle lampade possono rapidamente bruciare. Più avanti mi intratterrò sui danni provocati nel sistema stesso dalla perdita del suo isolamento o dal «corto circuito». B. Il linguaggio, prodotto dell'esperienza di tante generazioni, distingue con ammirevole finezza tra quelle forme e gradi progressivi di eccitazione che sono ancora utili per l'attività mentale (cioè nonostante siano già superiori all'optimum), in quanto esaltano uniformemente l'energia libera di tutte le funzioni cerebrali, e quelle forme e gradi che ostacolano detta attività perché in parte accrescono e in parte inibiscono queste funzioni psichiche, in maniera non uniforme. I primi ricevono il nome di «incitamento» e i secondi di «eccitazione». Una conversazione interessante o una tazza di tè o caffè hanno un effetto «incitante» (stimolante); un litigio o una dose eccessiva di alcool hanno un effetto «eccitante». Mentre l'incitamento produce solamente il desiderio di utilizzare in modo funzionale l'accresciuta stimolazione, l'eccitazione cerca di scaricarsi in maniera più o meno violenta, quasi patologica o addirittura nettamente patologica. L'eccitazione rappresenta la base psicofisiologica degli stati emotivi e di questi si parlerà più avanti. Ma innanzi tutto devo brevemente accennare ad alcune cause fisiologiche ed endogene dell'incremento di eccitazione. Tra queste si trovano, in primo luogo, le principali necessità fisiologiche dell'organismo e gli istinti: bisogno di ossigeno, desiderio di cibo e sete. Poiché l'eccitazione che essi scatenano è legata a certe sensazioni e a idee attinenti a un fine, non si tratta in questo caso di un esempio di incremento dell'eccitazione così puro come quello descritto sopra, che trae origine dalla quiescenza degli elementi cerebrali. Del resto questa eccitazione possiede una sua coloritura caratteristica che si ravvisa tipicamente nell'agitazione ansiosa che accompagna la dispnea e nell'irrequietezza dell'uomo affamato. L'incremento di eccitazione che proviene da queste cause è determinato dalle modificazioni di origine chimica a carico degli elementi cerebrali, i quali si trovano a corto di ossigeno, di energia di tensione o d'acqua. Essa si incanala lungo vie motorie preformate che portano alla soddisfazione del bisogno che ha messo in moto il meccanismo: la dispnea porta a respirare con sforzo, la fame e la sete a cercare e raggiungere il cibo e l'acqua. Il principio della costanza dell'eccitazione entra pochissimo in gioco nel caso di questo tipo di eccitazione. Infatti gli interessi serviti da questo aumento di eccitazione sono in questi casi ben più importanti per l'organismo che non il ristabilimento delle normali condizioni di funzionamento del cervello. E vero che vediamo gli animali dello zoo correre eccitati avanti e indietro all'ora dei pasti, ma ciò può essere sicuramente interpretato come un residuo dell'attività motoria destinata alla ricerca del cibo attualmente inutile a causa delle condizioni di cattività, anziché un modo per liberare il sistema nervoso dell'eccitazione. Se la struttura chimica del sistema nervoso è stata alterata permanentemente dall'introduzione prolungata di sostanze estranee, allora la carenza di queste sostanze provocherà uno stato di eccitazione, così come fa la carenza di normali sostanze nutritive negli individui sani. Troviamo quest'eccitazione nei casi di astinenza dai narcotici. Un grado intermedio tra questi incrementi endogeni dell'eccitazione e gli stati affettivi psichici in senso stretto, è rappresentato dall'eccitazione sessuale e dalle emozioni sessuali. Durante la pubertà la sessualità si manifesta nella prima di queste due forme, ossia come un incremento di eccitazione vago, indeterminato, senza scopo. Col procedere dello sviluppo, questo incremento endogeno dell'eccitazione, dovuto alla funzionalità delle ghiandole sessuali, viene a collegarsi strettamente - nella normale evoluzione - con la percezione o l'idea dell'altro sesso e, in realtà, con l'idea di un particolare individuo, quando si verifica l'importante fenomeno dell'innamoramento. Questa idea assume in sé l'intera quantità di eccitazione liberata dall'istinto sessuale. Essa diventa un'idea affettiva, vale a dire che, allorché è attivamente presente nella coscienza, seguita a stimolare l'incremento di eccitazione che, in realtà, era stato originato da un'altra causa, ossia dalle ghiandole sessuali. L'istinto sessuale, senza dubbio, è la causa più forte degli aumenti persistenti di eccitazione (e quindi di nevrosi). Tali incrementi si distribuiscono in modo molto scarsamente uniforme nel sistema nervoso. Quando essi raggiungono un notevole grado di intensità, la concatenazione delle idee rimane turbata e il valore relativo delle idee viene alterato e nell'orgasmo il pensiero è quasi totalmente sospeso. Anche la percezione - interpretazione psichica delle impressioni sensoriali - subisce una menomazione. Un animale normalmente timido diventa cieco e sordo al pericolo. Inoltre vi è, nei maschi almeno, un aumento dell'istinto di aggressività. Gli animali pacifici diventano pericolosi finché la loro eccitazione non si sia scaricata nelle attività motorie dell'atto sessuale. C. Un disturbo come questo dell'equilibrio dinamico del sistema nervoso - distribuzione non uniforme dell'aumentata eccitazione - è quello che costituisce l'aspetto psichico delle emozioni. Qui non tenteremo di definire né la psicologia né la fisiologia degli stati affettivi. Tratterò un solo punto, importante in patologia, e questo soltanto nei suoi rapporti con le emozioni ideogene, quelle, cioè, evocate da percezioni e idee. Lange ha giustamente rilevato che gli stati affettivi possono essere provocati da sostanze tossiche o, secondo quanto ci insegna la psichiatria, soprattutto da alterazioni patologiche, quasi nella stessa maniera in cui possono essere provocati da idee. Può essere ammesso, come evidente di per sé, che tutti i disturbi dell'equilibrio mentale che noi chiamiamo emozioni acute, si accompagnano a un incremento di eccitazione. (Nel caso di emozioni croniche, come il dolore e la preoccupazione, vale a dire l'ansia prolungata, compare la complicazione rappresentata da uno stato di grave affaticamento che, pur lasciando sussistere la non uniforme distribuzione dell'eccitazione, almeno ne riduce l'intensità). Ma questo incremento di eccitazione non pup trovare impiego nell'attività psichica. Tutte le emozioni potenti riducono l'associazione, la concatenazione di idee. Gli individui diventano 'insensati' per l'ira o la paura. Nella coscienza persiste soltanto il gruppo di idee che ha scatenato l'emozione, e vi persiste con estrema intensità. Quindi l'eccitazione non può essere sedata dall'attività associativa. Le emozioni «attive» o «stcniche», però, sedano l'aumento di eccitazione mediante la scarica motoria. Il gridare e saltare di gioia, l'aumento di tono muscolare nell'ira, le parole furibonde e gli atti di ritorsione, sono tutti fatti che permettono all'eccitazione di scaricarsi nel movimento. Il dolore psichico si scarica in difficoltà respiratoria e in attività secretoria: singhiozzi e lacrime. L'esperienza quotidiana ci dimostra che tali reazioni riducono e leniscono l'eccitazione. Come già abbiamo rilevato, il linguaggio ordinario si esprime con frasi come «sfogarsi nel pianto» «buttar fuori», ecc. Ciò di cui ci si sbarazza, altro non è che l'incremento dell'eccitazione cerebrale. Soltanto alcune di queste reazioni, quali le azioni e le parole dettate dall'ira, servono a uno scopo nel senso di determinare effettivi cambiamenti dello stato di cose. Il resto non serve ad alcun fine, ovvero il suo solo scopo è di sedare l'aumento di eccitazione e di ristabilire l'equilibrio psichico. Nei limiti in cui ottiene questo scopo, esso serve alla «tendenza a mantenere costante l'eccitazione intracerebrale». Le emozioni «asteniche» dell'ansia e della paura non provocano una scarica reattiva. La paura paralizza totalmente la capacità di movimento e anche di associazione, e altrettanto fa l'ansia se l'unica reazione utile, la fuga, è impedita dall'emozione stessa o dalle circostanze. L'eccitazione della paura svanisce solo per livellamento graduale. L'ira ha delle reazioni adeguate corrispondenti alla sua causa. Se esse non sono realizzabili, o se sono inibite, vengono sostituite da surrogati. Financo le parole irose sono surrogati di questo genere. Bismarck, se era stato costretto a sopprimere sentimenti d'ira in presenza del re, si scaricava più tardi frantumando sul pavimento un vaso di valore. Questa sostituzione volpntaria di un'attività motoria con un'altra, corrisponde esattamente alla sostituzione di riflessi dolorifici naturali con altre contrazioni muscolari. Quando viene estirpato un dente, il riflesso preformato consiste nel respingere il dentista e nel gettare un grido. Se, invece, contraiamo i muscoli delle braccia ed esercitiamo una pressione sui braccioli della poltrona, noi deviamo il quantitativo di eccitazione generato dal dolore da un gruppo di muscoli ad un altro. Nel caso di un violento mal di denti spontaneo, per il quale non vi è un riflesso precostituito a eccezione del lamentarsi, l'eccitazione si sfoga nel passeggiare su e giù senza scopo. Allo stesso modo noi trasponiamo l'eccitazione dell'ira da una reazione adeguata a un'altra e ci sentiamo sollevati purché si sia fatto ricorso a qualunque intensa scarica motoria. Però, se l'emozione non può trovare un qualunque sfogo alla propria eccitazione in uno di questi modi, la situazione sarà la stessa cosa con l'ira, come con la paura e l'ansia. L'eccitazione intracerebrale è fortemente accresciuta ma non viene impiegata né in attività associative né in attività motorie. Negli individui normali il turbamento svanisce a poco a poco. Ma in taluni si hanno reazioni abnormi. Viene a istituirsi, secondo quanto dice Oppenheim (1890), un'«espressione abnorme delle emozioni». 3. Conversione isterica Spero che non mi si sospetterà di voler identificare l'eccitazione nervosa con l'elettricità se mi rifaccio ancora una volta alla similitudine del sistema elettrico. Se la tensione in questo sistema diventa troppo alta, vi è il pericolo che avvenga un'interruzione nei punti di debole isolamento. Quindi i fenomeni dettrici avvengono in punti anomali; o, se due fili vengono in reciproco contatto, si avrà il corto circuito. Poiché in questi punti si è verificata un'alterazione permanente, il perturbamento generatosi in questo modo può manifestarsi di nuovo tutte le volte che la tensione salga eccessivamente. Ha avuto luogo una «facilitazione» abnorme. Si può benissimo sostenere che le condizioni valevoli per il sistema nervoso siano fino a un certo punto simili a queste. Il sistema nervoso è un continuo intercollegato, ma in molti suoi punti sono collocate forti resistenze, anche se non insormontabili, che impediscono la distribuzione generale e uniforme dell'eccitazione. Pertanto nelle persone normali, in stato di veglia, l'eccitazione dell'organo dell'ideazione non trapassa negli organi della percezione: queste persone non hanno allucinazioni. Nell'interesse della sicurezza e del rendimento dell'organismo, gli apparati nervosi dei complessi di organi che hanno importanza vitale - il circolatorio e il digestivo - sono separati da forti resistenze dagli organi della ideazione. La loro indipendenza è assicurata. Essi non sono influenzati direttamente dalle idee. Ma le resistenze, che impediscono la penetrazione dell'eccitazione intracerebrale negli apparati circolatorio e digestivo, sono di diversa forza nei diversi individui. Si possono trovare tutte le gradazioni di eccitazione affettiva tra l'uomo ideale (ben raro ad incontrarsi oggigiorno) da una parte, del tutto esente da «nervi» e la cui attività cardiaca rimane costante in qualsiasi occasione ed è influenzata solo dal particolare lavoro che deve espletare, l'uomo che gode un buon appetito e digerisce bene, quale che sia il pericolo in cui si trova e, dall'altra parte, l'uomo «nervoso» che va incontro a palpitazioni e diarrea per la più piccola provocazione. Comunque stiano le cose, nelle persone normali vi sono delle resistenze che si oppongono al passaggio dell'eccitazione cerebrale negli organi vegetativi. Queste resistenze corrispondono all'isolamento nei conduttori elettrici. Nei punti in cui è anormalmente scarso, l'isolamento viene superato quando la tensione dell'eccitazione cerebrale è alta per cui l'eccitamento emotivo trapassa negli organi periferici. Ne consegue «un'espressione abnorme dell'emozione». Dei due fattori, già menzionati, cui va imputata questa conseguenza, uno è già stato trattato particolareggiatamente. Il primo fattore è un elevato grado di eccitazione intracerebrale, che non ha potuto essere ridotto da attività ideative o da scariche motorie, o che è troppo grande per essere dominato in questo modo. Il secondo fattore è un'anormale debolezza delle resistenze in corrispondenza di particolari vie di conduzione. Ciò può dipendere dalla costituzione primaria dell'individuo (disposizione innata) o può essere provocato da stati di eccitazione di lunga durata che, potremmo dire, indeboliscono l'intera struttura del sistema nervoso e ne riducono tutte le resistenze (disposizione puberale), o può essere causato da influenze debilitanti quali la malattia e la denutrizione (disposizione legata a stati di esaurimento). La resistenza di particolari vie di conduzione può essere abbassata da una pregressa malattia dell'organo interessato, la quale ha facilitato le vie che vanno all'organo o ne provengono. Un cuore ammalato è più sensibile all'influenza dell'emozione che un cuore sano. «Ho una cassa di risonanza nell'addome» mi diceva una donna affetta da parametrite «se succede qualche cosa riattacca il mio vecchio dolore.» (Disposizione da malattia locale.) Le attività motorie in cui si scarica normalmente l'eccitazione delle emozioni sono ordinate e coordinate, per quanto siano spesso addirittura inutili. Ma un'eccitazione eccessivamente intensa può superare od irrompere attraverso i centri coordinatori, e scaricarsi con movimenti primordiali. Nei bambini piccoli, a prescindere dall'attività respiratoria del gridare, le emozioni producono soltanto, e trovano espressione, in contrazioni incoordinate dei muscoli, di tipo primordiale come inarcare il corpo e scalciare. Con il procedere dello sviluppo, la muscolatura passa sempre di più sotto il controllo del potere di coordinazione e della volontà. Ma l'opistotono, che rappresenta il più grande sforzo motorio della totalità della muscolatura somatica, e i movimenti clonici dello scalciare e dell'agitarsi, persistono per tutta la vita quali forme di reazione di fronte alla massima eccitazione del cervello (di fronte all'eccitazione puramente fisica negli attacchi epilettici o anche nella scarica di intense emozioni, rappresentata da convulsioni più o meno epilettoidi, che costituiscono la parte puramente motoria degli attacchi isterici). È vero che reazioni affettive abnormi di questo genere sono tipiche dell'isteria. Però esse si hanno anche indipendentemente da questa malattia. Ciò che esse significano è un più o meno elevato grado di turbamento nervoso, non l'isteria. Tali fenomeni non possono essere descritti come isterici se si manifestano in conseguenza di un'emozione che, sia pure di grande intensità, ha una base obiettiva, ma soltanto se compaiono con evidente spontaneità quali manifestazioni di una malattia. Queste manifestazioni, come è stato dimostrato da molte osservazioni tra cui le nostre, si basano su rievocazioni che fanno rivivere l'emozione originale, o piuttosto che la farebbero rivivere se invece non si avessero, come in effetti si hanno, quelle reazioni. Si può tenere per certo che attraverso la coscienza di ogni persona ragionante, mentre la mente è in riposo, scorre un fiume di idee e di ricordi. Queste idee sono così poco vivaci che non lasciano traccia di sé nella memoria, per cui a posteriori non è possibile dire come erano formate le associazioni. Però, se sorge un'idea legata originariamente a una forte emozione, questa sarà rivissuta con maggiore o minore intensità. L'idea in tal modo «colorita» dall'emozione, emerge nella coscienza chiaramente e vivamente. L'intensità dello stato affettivo, che può essere suscitato da un ricordo, è molto variabile a seconda del grado di «logoramento» subito a opera di diverse influenze, e soprattutto dal grado di «abreazione» subito dall'emozione originale. Nella nostra «Comunicazione Preliminare» abbiamo rilevato con che variabile intensità lo stato affettivo dell'ira, per un'offesa ad esempio, sia rievocato dal ricordo, a seconda che l'offesa sia stata rintuzzata o sia stata sopportata in silenzio. Se nell'occasione originaria il riflesso psichico si fosse espletato nella sua pienezza, il suo ricordo susciterebbe un quantitativo di eccitazione molto minore 5. In caso contrario il ricordo porterà sempre alle labbra del soggetto le espressioni d'ira, originariamente soppresse, che avrebbero rappresentato il riflesso psichico allo stimolo originario. Se l'emozione originaria non si è scaricata attraverso un riflesso normale, ma con uno «abnorme», quest'ultimo sarà parimenti scatenato dalla rievocazione. L'eccitazione derivante da un'idea emotiva è «convertita» (Freud) in fenomeno somatico. Qualora questo riflesso abnorme divenisse totalmente facilitato da frequenti ripetizioni, potrebbe, a quanto pare, assorbire l'energia operante delle idee scatenatrici, in modo così integrale che l'emozione in se stessa emergerebbe solamente in grado minimo, o per nulla affatto. In tal caso la «conversione isterica» sarà completa. Inoltre, l'idea, che ormai non produce più alcuna conseguenza psichica, può essere trascurata dal soggetto, o può essere prontamente dimenticata se emerge come una qualsiasi altra idea non accompagnata da uno stato affettivo. Sarà più facile ammettere la possibilità di un'eccitazione cerebrale, che debba aver dato origine a un'idea sostituita in questo modo da un'eccitazione di qualche via nervosa periferica, se richiameremo alla mente il corso invertito di eventi che segue allorché un riflesso preformato manca di verificarsi. Sceglierò un esempio quanto mai banale: il riflesso dello starnuto. Se una stimolazione della mucosa nasale, per una ragione qualsiasi, non riesce a scatenare questo riflesso preformato, insorge, come è noto a tutti, un senso di eccitazione e tensione. Questa eccitazione, che non ha potuto scaricarsi per la via motoria, a questo punto, inibendo tutte le altre attività, si diffonde nel cervello. Questo esempio tratto dalla vita di ogni giorno, ci dà il modello di quanto avviene quando un riflesso psichico, anche il più complesso, non può scatenarsi. L'eccitamento, che abbiamo descritto prima come caratteristico dell'istinto di vendetta, è essenzialmente lo stesso. E noi possiamo seguire lo stesso processo fino alle più elevate regioni delle conquiste umane. Goethe aveva la sensazione di non aver chiuso un'esperienza fin tanto che non l'avesse scaricata in un'attività artistica creativa. Era questo, nel suo caso, il riflesso preformato inerente alle emozioni, e fino a che esso non era stato scaricato, persisteva in lui un tormentoso incremento di eccitazione. L'eccitazione intracerebrale e il processo eccitatorio nelle vie periferiche hanno entità corrispondenti: la prima si accresce se, e fino a quando, manca la scarica riflessa; si riduce e scompare quando essa sia stata trasformata in eccitazione nervosa periferica. Dunque sembra concepibile che non sia ingenerata alcuna emozione percepibile, se l'idea, che avrebbe dovuto provocarla, scatena immediatamente un riflesso abnorme nel quale l'eccitazione si scarica non appena generata. Allora la «conversione isterica» è completa. L'eccitazione intracerebrale originaria, appartenente a quello stato affettivo, è stata trasformata in processo eccitatorio nelle vie periferiche. Quella che originariamente era un'idea emotiva non suscita più lo stato affettivo ma solo il riflesso anomalo 6. Ora siamo andati di un passo oltre l'«espressione anormale delle emozioni». I fenomeni isterici (riflessi anormali) non sembrano ideo-geni nemmeno ai malati intelligenti, che sono buoni osservatori, perché l'idea che li ha scatenati non ha più un colorito affettivo e quindi non spicca più fra altre idee e ricordi. Queste idee emergono sotto forma di fenomeni puramente somatici, senza radici psichiche apparenti. Cos'è che incanala la scarica di un'emozione in maniera tale che viene a prodursi un particolare riflesso anomalo a preferenza di un altro? Le nostre osservazioni in molti casi rispondono a questa domanda dimostrando che anche in questo caso la scarica segue la «legge della minore resistenza» e quindi segue quelle vie la cui resistenza sia già stata indebolita da cause concomitanti. Ciò comprende anche il caso già citato di un riflesso particolare che viene facilitato da un'affezione somatica già esistente. Se, per esempio, un individuo soffre frequentemente di dolori cardiaci, questi verranno a essere provocati anche dalle emozioni. Ancora, un riflesso può essere facilitato dal fatto che l'innervazione muscolare corrispondente era stata attuata volontariamente in quell'istante in cui l'emozione si manifestò per la prima volta. Cosi Anna O. (il nostro primo caso clinico), nel suo terrore cercò di estendere il braccio destro, che era rimasto intorpidito per via della compressione sullo schienale della sedia, onde respingere il serpente, e da quel momento alla vista di qualsivoglia oggetto simile a un serpente compariva un tetano del braccio destro. O anche, nel suo stato di emozione, ella faceva convergere forzatamente gli occhi per vedere le lancette dell'orologio, cosicché da allora in poi, tra i riflessi di quell'emozione, comparve uno strabismo convergente. E cosi via. Ciò è dovuto all'effetto della simultaneità che, in effetti, governa le nostre normali associazioni. Ogni percezione sensoriale richiama alla coscienza tutte le altre percezioni sensoriali comparse contemporaneamente alla prima (cfr. l'esempio scolastico dell'immagine visiva di una pecora e del suono del suo belato, ecc.). Se l'emozione originaria si accompagnava a un'intensa percezione sensoriale, quest'ultima sarà rievocata ogni qual volta viene rievocato lo stato emotivo, e poiché si tratta di scaricare un'eccitazione eccessivamente forte, la percezione sensoriale non riemergerà come ricordo, ma come allucinazione^. Quasi tutti i nostri casi clinici ci offrono esempi di questo fatto. È anche quanto accadde nel caso di una donna che provò un'emozione penosa mentre aveva un violento mal di denti dovuto a una periostite e che, dopo di allora, soffriva di nevralgia sottoorbitaria ogni qual volta quell'emozione si ripeteva o era soltanto rievocata. Abbiamo qui la facilitazione di riflessi anomali in conformità alle leggi generali dell'associazione. Ma talvolta (sia pure, bisogna riconoscerlo, solo nei casi di isteria più gravi) le vere sequenze di idee associate si collocano tra l'emozione e il suo riflesso. In questi casi abbiamo una determinazione mediante simbolismo. Spesso quel che congiunge l'emozione al riflesso è un ridicolo gioco di parole o un'associazione sulla base del suono, ma questo avviene soltanto in stati analoghi a quello onirico in cui i poteri di critica sono deficienti per cui ci troviamo fuori dal gruppo di fenomeni dei quali ci stiamo occupando. In un gran numero di casi la via imboccata dalla serie di elementi determinanti rimane incomprensibile per noi, perché assai di frequente abbiamo una conoscenza molto incompleta dello stato mentale del paziente nonché una conoscenza imperfetta delle idee che erano in atto nel momento in cui si originarono i fenomeni isterici. Però possiamo presumere che il processo non sia del tutto dissimile da quello che possiamo osservare con chiarezza in casi più favorevoli. Le esperienze che hanno scatenato l'emozione originaria, la cui eccitazione fu in quel momento convertita in fenomeno somatico, sono chiamate da noi traumi psichici, e le manifestazioni patologiche che in questa maniera vengono a manifestarsi, sono chiamate sintomi di origine traumatica. (Il termine «isteria traumatica» è già stato applicato a quei fenomeni che, per essere conseguenze di lesioni fisiche, ossia di traumi nel senso stretto della parola, fanno parte della classe delle «nevrosi traumatiche»). La genesi dei fenomeni isterici provocati da traumi trova una perfetta analogia nella conversione isterica dell'eccitazione psichica che trae origine non da stimolazioni esterne né dall'inibizione di riflessi psichici normali, bensì dall'inibizione del processo di associazione. L'esempio più semplice e il paradigma di questo fenomeno ci è offerto dall'eccitazione che insorge quando non riusciamo a ricordare un nome o a risolvere un enigma, e così via. Se qualcuno ci dice il nome o ci dà la soluzione dell'indovinello, la catena di associazioni giunge a termine e l'eccitazione scompare, nello stesso modo in cui scompare al termine della catena riflessa. La forza dell'eccitazione provocata dal blocco di una linea di associazioni è direttamente proporzionale all'interesse che proviamo per esse, cioè alla forza con la quale la nostra volontà viene messa in moto. Però, siccome la ricerca della soluzione di un problema, o di quel che sia, comporta sempre una notevole mole di lavoro che talora può anche rimanere senza risultato, persino una forte eccitazione trova impiego e non preme per trovare una via di uscita, per cui non diventa mai patogena. Però diventa effettivamente patogena se il corso dell'associazione è inibito a opera di idee ugualmente importanti ma inconciliabili; se, per esempio, nuovi pensieri entrano in conflitto con complessi di idee di vecchia data. Sono di questa natura i tormenti del dubbio religioso, sotto il quale molti soccombono, e molti più soccombevano nel passato. Però, persino in questi casi, l'eccitazione e il dolore psichico concomitante (il senso di disagio) raggiungono un livello considerevole solo se entra in gioco qualche interesse legato alla volontà dell'oggetto se, per esempio, un individuo che dubita si sente in pericolo per quanto riguarda la propria felicità o salvezza. Però tale fattore è sempre presente quando entrino in conflitto complessi di idee morali profondamente radicate, nelle quali il soggetto è stato allevato, e ricordi di azioni o semplicemente di pensieri del soggetto stesso che siano inconciliabili con quelli. In altre parole, quando si sente il morso della coscienza. L'interesse, legato alla volontà , di potersi compiacere della propria personalità ed esserne soddisfatti entra qui in gioco e porta ai più alti livelli l'eccitazione dovuta a inibizione delle associazioni. L'esperienza di ogni giorno ci insegna che un conflitto del genere tra idee inconciliabili ha un effetto patogeno. Il più delle volte si tratta di idee e processi legati alla vita sessuale (la masturbazione per un adolescente dotato di sensibilità, oppure, per una donna sposata molto coscienziosa, l'accorgersi di essere attirata da un uomo che non sia suo marito). In effetti, il primo apparire di sentimenti e di idee sessuali molto spesso è di per sé sufficiente a scatenare un intenso stato di eccitazione dipendente dal conflitto con l'idea, profondamente radicata, della purezza morale 7. Uno stato di eccitazione di questo genere di solito è seguito da conseguenze psichiche quali una depressione patologica o stati di ansia (Freud). Qualche volta, però, circostanze concomitanti portano seco un fenomeno somatico abnorme nel quale si scarica l'eccitazione. Per questo si può avere il vomito quando un senso di sporcizia induce una sensazione fisica di nausea, oppure si avrà una tosse nervosa, come in Anna O., allorché l'ansia morale provoca uno spasmo della glottide, e così via 8. Esiste una reazione normale, adeguata all'eccitazione provocata da idee molto vivaci e inconciliabili, e questa consiste nell'esprimerle con la parola. Un quadro, comicamente esagerato, di questo bisogno ci è dato dalla storia del barbiere di Mida, che confidò ad alta voce il suo segreto alle canne. Ritroviamo lo stesso bisogno tra gli elementi fondamentali di una delle massime istituzioni storiche: la confessione cattolica romana. Dire le cose procura sollievo, scarica la tensione nervosa persino quando la persona che le ascolta non è un prete e persino se non ne segue l'assoluzione. Se all'eccitazione viene negato questo sfogo, essa talvolta si convertirà in fenomeno somatico, proprio come l'eccitazione dovuta a emozioni traumatizzanti. L'intero gruppo di fenomeni isterici, che si originano in questa maniera, può essere definito, con Freud, fenomeno isterico da ritenzione. La spiegazione fornita or ora del meccanismo con cui si originano i fenomeni isterici, presta il fianco alla critica di essere troppo schematica e di semplificare i fatti. Perché una persona sana, non originariamente nevropatica, possa sviluppare un vero e proprio sintomo isterico, con la sua evidente indipendenza dalla mente e con un'esistenza somatica sua propria, deve esserci sempre un gran numero di circostanze concorrenti. Il seguente caso servirà di esempio della complessa natura di questo processo. Un ragazzo dodicenne, che in precedenza aveva sofferto di pavor noctumus, il cui genitore era fortemente nevrotico, tornò un giorno da scuola sentendosi poco bene. Si lamentava di difficoltà a deglutire e di mal di testa. Il medico di famiglia pensò che la causa fosse un mal di gola. Ma le condizioni non migliorarono nemmeno dopo molti giorni. Il ragazzo rifiutava il cibo e vomitava quando era costretto a prenderlo. Si muoveva pigramente, senza energia né piacere; voleva starsene sempre a letto ed era assai deperito fisicamente. Quando io lo vidi cinque settimane dopo, mi fece l'impressione di essere un ragazzo timido e chiuso in sé e mi convinsi che il suo stato avesse un fondamento psichico. Interrogato a fondo, fornì una spiegazione banale - un severo rimprovero da parte del padre - che chiaramente non era la vera causa della malattia. Nemmeno si potè sapere niente dalla scuola. Mi ripromisi di ottenere l'informazione più tardi sotto ipnosi. Però non fu necessario. Rispondendo alla sollecitazione della sua brava ed energica madre, egli scoppiò in lacrime e raccontò la seguente storia. Mentre tornava a casa da scuola era entrato in un orinatoio e un uomo gli aveva mostrato il membro chiedendogli di prenderlo in bocca. Egli era fuggito terrorizzato e non gli era accaduto null'altro, ma da quel momento si era ammalato. Anche in questo caso ci troviamo di fronte alle modalità fisiologiche che presiedono alla generazione di fenomeni patologici, isterici, quali conseguenze della coesistenza di idee intense e inconciliabili le une con le altre. Appena ebbe fatta la confessione, guarì completamente. Perché si producessero l'anoressia, la difficoltà a inghiottire e il vomito, occorrevano parecchi fattori: la natura congenitamente nevrotica del ragazzo, la forte paura, l'irruzione della sessualità nella sua forma più brutale entro il suo temperamento infantile e, quale fattore determinante specifico, il senso di ribrezzo. La malattia doveva la sua persistenza al silenzio del ragazzo che impediva all'eccitazione di trovare uno sfogo normale. Come in questo, in tutti gli altri casi vi deve essere una convergenza di parecchi fattori prima che possa manifestarsi un sintomo isterico in chiunque sia stato fino a quel momento normale. Tali sintomi sono invariabilmente sovra determinati, per ricorrere a un'espressione di Freud. Si può presumere che una sovra-determinazione di questo genere sia presente anche quando una stessa emozione sia evocata da una serie di cause provocatrici. Il paziente, e le persone che gli sono vicine, attribuiscono il sintomo isterico all'ultima causa soltanto, sebbene di regola quella causa abbia soltanto portato alla luce qualcosa che già era stato quasi portato a compimento da altri traumi. Una fanciulla di diciassette anni9 ebbe il primo attacco isterico (seguito da numerosi altri) quando un gatto le saltò sulle spalle nell'oscurità. L'attacco sembrava essere il risultato di questo solo spavento. Però una ricerca più approfondita rivelò che la ragazza, particolarmente attraente e non abbastanza sorvegliata, era stata di recente oggetto di diversi tentativi più o meno brutali, che le avevano procurato un'eccitazione sessuale (abbiamo qui il fattore della disposizione). Qualche giorno prima un giovanotto l'aveva assalita sulla stessa scala buia ed ella gli era sfuggita a stento. Questo era stato il vero trauma psichico, che il gatto aveva soltanto reso manifesto. Ma si deve temere che in molti casi del genere il gatto sia considerato la causa efficiente. Perché la reiterazione di un'emozione possa determinare una conversione in questo modo, non è sempre necessario che vi sia un gran numero di cause provocatrici esteriori. Spesso il riprodursi dell'emozione nel ricordo è bastevole se la rievocazione è rapida e frequente, subito dopo il trauma e prima che l'emozione si indebolisca. Ciò è sufficiente se l'emozione è stata molto potente. Questo è il caso dell'isteria traumatica nel senso più stretto della parola. Per esempio, nelle giornate che seguono un incidente ferroviario, il soggetto rivivrà le sue esperienze spaventevoli sia nella veglia che nel sonno, e tutte le volte si rinnoverà l'emozione della paura, finché da ultimo dopo questo periodo di «lavoro psichico» (élaboration, [Charcot]) o di «incubazione», ha luogo una conversione in un fenomeno somatico (allorché entri in gioco un altro fattore di cui dovremo parlare più tardi). Però, di regola, un'idea affettiva è prontamente soggetta a «logorio» e a tutte le influenze accennate nella «Comunicazione Preliminare», che, a poco a poco, la privano della sua carica affettiva. La sua rievocazione provoca un grado di eccitazione in continua diminuzione per cui il ricordo perde la capacità di contribuire alla produzione di un fenomeno somatico. Scompare la facilitazione del riflesso abnorme e quindi si ristabilisce lo status quo ante. Però le influenze «logoratici» sono tutte prodotti di associazione, di pensieri, di rettificazioni tramite riferimenti ad altre idee. Questo processo di rettificazione diventa impossibile se l'idea affettiva viene esclusa dal «conto associativo». Qualora accada ciò, l'idea mantiene la sua intera carica affettiva. Siccome a ogni rievocazione si libera nuovamente l'intero quantitativo di eccitazione, alla fine diventa completa quella facilitazione del riflesso abnorme che si era iniziata la prima volta; ovvero si mantiene e stabilizza quella facilitazione che fosse già completa. 11 fenomeno della conversione isterica in questo modo viene a stabilirsi permanentemente. Le nostre osservazioni indicano due modi in cui le idee affettive possono essere escluse dall'associazione. Il primo è la «difesa», soppressione deliberata di idee spiacevoli che sembrano minacciare la felicità del soggetto o la sua stima di se stesso. Freud, nel suo lavoro sulle «Neuropsicosi di difesa» e nei casi clinici descritti in questo volume, ha trattato di questo processo, che, senza dubbio, possiede un altissimo significato patologico. È vero che non riusciamo a comprendere come un'idea possa essere deliberatamente repressa dalla coscienza. Ma ci è ben noto il corrispondente procedimento positivo, consistente nel concentrare l'attenzione su un'idea, eppure siamo altrettanto incapaci di dire come realizziamo questo procedimento. Quindi le idee, dalle quali la coscienza è distolta e alle quali non si pensa, sono anche escluse dal processo di logoramento e mantengono inalterata la loro carica affettiva. Inoltre abbiamo scoperto che vi è un altro genere di idee che si mantiene immune dal logorio del pensiero. Ciò può avvenire non perché non si vuole ricordare l'idea ma perché non si può ricordarla, in quanto l'idea è nata primitivamente ed è stata dotata di carica affettiva, durante stati per i quali vige un'amnesia della coscienza di veglia (dunque stati come l'ipnosi e simili). Tutto ciò è molto importante ai fini della teoria dell'isteria e pertanto merita una disamina un po' più esauriente. 4. Stati ipnoidiAllorché, nella «Comunicazione Preliminare», avanzammo l'opinione che la base e la condizione sine qua non dell'isteria è l'esistenza di stati ipnoidi, trascurammo il fatto che Moebius aveva già detto esattamente la stessa cosa nel 1890. «La condizione necessaria perché le idee esercitino un effetto (patogeno) è , da un Iato, una disposizione innata - vale a dire isterica — e, dall'altro, una speciale forma mentis.» Essa deve rassomigliare ad uno stato di ipnosi, deve corrispondere ad una sorta di vuoto della coscienza nel quale un'idea che sorge non trova ostacoli in alcun'altra idea, nel quale, per così dire, il campo è lasciato libero per il primo venuto. Sappiamo che uno stato di questo genere può essere provocato non soltanto dall'ipnotismo ma anche da uno shock emotivo (paura, ira, ecc.) e da fattori che portano all'esaurimento (insonnia, fame, ecc.). Il problema, del quale Moebius tentava di dare una soluzione, è quello della generazione di fenomeni somatici per opera di idee. Egli qui ricorda che questo caso può realizzarsi sotto ipnosi e considera che le emozioni agiscono in modo analogo. Il nostro parere sull'azione delle emozioni, un po' diverso, è stato pienamente illustrato in precedenza, per cui non mi sarà necessario insistere sulle difficoltà insite nel presupposto di Moebius che nell'ira vi sia «un vuoto di coscienza» 10 (che si ammette esista nella paura o nell'ansia prolungata) o nella difficoltà più generica di stabilire un'analogia tra lo stato di eccitazione proprio di un'emozione e lo stato di quiescenza dell'ipnosi. Più tardi ritorneremo su queste osservazioni di Moebius che, secondo me, contengono un'importante verità. Per noi l'importanza di questi stati rassomiglianti all'ipnosi - stati ipnoidi - sta, inoltre e più specificamente, nell'amnesia che li accompagna e nella loro capacità di provocare uno sdoppiamento della mente, del quale tratteremo subito, e che ha un'importanza fondamentale nell'«isteria maggiore». Noi attribuiamo tuttavia questa importanza agli stati ipnoidi, ma debbo aggiungere alla nostra tesi una specificazione sostanziale. La conversione (produzione ideogena di fenomeni somatici) può verificarsi anche indipendentemente da stati ipnoidi. Freud ha individuato una seconda origine nell'amnesia volontaria da difesa, origine indipendente dagli stati ipnoidi, alla quale può iniziarsi l'edificazione di complessi di idee che sono esclusi dal contatto associativo. Ma nell'accogliere questa specificazione, sono tuttavia dell'avviso che gli stati ipnoidi sono la causa e la condizione necessaria di molti, anzi della maggior parte dei casi gravi e complessi di isteria. Innanzitutto bisogna naturalmente annoverare tra gli stati ipnoidi le auto-ipnosi, distinguibili dall'ipnosi artificiale solo per il fatto che sono di origine spontanea. Noi le troviamo in molti casi di isteria pienamente conclamata, nei quali compaiono con diversa frequenza e durata, spesso in rapida alternanza con stati normali di veglia (cfr. i casi clinici I e II). Molte volte, per via del loro contenuto oniroide, si attaglia loro il nome di delirium hystericum. Quel che accade durante gli stati auto-ipnotici è soggetto ad amnesia più o meno totale nella vita di veglia (mentre è integralmente ricordato nell'ipnosi artificiale). L'amnesia sottrae i prodotti psichici di questi stati e le associazioni che si sono istituite tra di essi, a qualsiasi rettificazione da parte del pensiero di veglia e, siccome durante l'auto-ipnosi i poteri di critica e di controllo mediante riferimento ad altre idee sono affievoliti, anzi di solito sono quasi aboliti^ possono sorgere e rimanere a lungo intatte le più bizzarre illusioni. È quindi quasi soltanto in questi stati che si forma «un rapporto simbolico (irrazionale e alquanto complesso) tra la causa scatenante e il fenomeno patologico», il quale spesso si basa sulle più assurde rassomiglianze di suono e associazioni verbali. La mancanza di critica negli stati auto-ipnotici è la ragione per cui tanto spesso da essi sorgono delle auto-suggestioni, come, ad esempio, nel caso in cui una paralisi continua a persistere dopo un attacco isterico. Però, pur potendo essere semplicemente un fatto causale, nelle nostre analisi non ci siamo mai imbattuti in fenomeni isterici aventi questa origine. Abbiamo sempre trovato che essi insorgevano nell'auto-ipnosi non meno che al di fuori di essa, in conseguenza di un medesimo processo, cioè della conversione di un'eccitazione emotiva. In ogni caso, questa «conversione isterica» si verifica più facilmente nell'auto-ipnosi che nello stato di veglia, così come le idee suggerite si concretano fisicamente in allucinazioni e in movimenti molto più facilmente nell'ipnosi artificiale. Cionondimeno il processo di conversione dell'eccitazione è essenzialmente identico a quello descritto sopra. Dopo essere insorto una prima volta, il fenomeno somatico si ripete se l'emozione e l'auto-ipnosi appaiono contemporaneamente, e in questo caso sembra quasi che la condizione ipnotica sia stata suscitata dall'emozione stessa. Di conseguenza fintanto che sussiste una netta alternanza di ipnosi e di vita pienamente vigile, il sintomo isterico resta limitato allo stato ipnotico e quivi è rafforzato dalla ripetizione. Inoltre, l'idea che gli ha dato origine rimane esente dalla rettificazione operata dai pensieri di veglia e dal potere critico, proprio perché essa non emerge mai dalla chiara vita di veglia. Così, in Anna O. (caso clinico i) la contrattura del braccio destro che, nello stato di ipnosi, si associava all'emozione ansiosa provocata dall'idea del serpente, per quattro mesi fu limitata ai momenti in cui ella era in stato ipnotico (o ipnoide, se il termine ipnotico non ci sembra appropriato per assenza di brevissima durata), pur ricorrendo di frequente. Succedeva lo stesso con le altre conversioni che si verificavano nello stato ipnoide, e in questo modo si sviluppò un vasto complesso di fenomeni isterici, assolutamente latente, che venne alla luce quando lo stato ipnoide divenne permanente. I fenomeni che si sono originati in questo modo, emergono nella piena coscienza soltanto dopo che si è completato il processo di sdoppiamento della mente, del quale parlerò più oltre, e dopo che all'alternanza tra stati di veglia e stati ipnoidi si è sostituita una coesistenza tra i complessi di idee normali e quelli ipnoidi. Gli stati ipnoidi di questo genere esistono prima che il paziente cada ammalato? E donde traggono origine? Ben poco posso dire su ciò, perché, a prescindere dal caso di anna O., non disponiamo di osservazioni che chiariscano questo punto. Sembra certo che in lei l'autoipnosi trovasse la strada spianata dalle abituali fantasticherie e fosse stata pienamente stabilita da una prolungata emozione ansiosa che, in effetti, di per sé poteva essere la base dello stato ipnoide. Non sembra improbabile che tale processo abbia una validità molto generale. Una grande varietà di stati porta alla «distrazione» ma soltanto alcuni di essi predispongono all'auto-ipnosi o trapassano immediatamente in essa. Un ricercatore sprofondato in un problema, senza dubbio ha'un certo grado di anestesia e molte sue sensazioni non si trasformano in percezioni coscienti. Lo stesso vale per chiunque adoperi intensamente la pròpria immaginazione creativa. Ma in questi stati viene espletato un energico lavoro mentale e l'eccitazione liberata dal sistema nervoso si esaurisce in questo lavoro. Invece, negli stati di astrazione e negli stati sognanti, l'eccitazione intracerebrale scende al di sotto del livello di veglia. Questi stati sono ai confini della sonnolenza e trapassano nel sonno. Se in tale stato di astrazione, mentre il fluire delle idee è inibito, è attivo un gruppo di idee con colorito affettivo, viene a istituirsi un alto livello di eccitazione intracerebrale, non sfruttata dal lavoro mentale che resta disponibile per meccanismi anormali, quali la conversione. Dunque non sono patogeni né la «distrazione» durante un energico lavoro né gli stati crepuscolari senza emozioni. Sono invece patogeni le fantasticherie colme di emozioni e gli stati di affaticamento conseguenti a emozioni prolungate. Le elucubrazioni dell'uomo sopraffatto dalle preoccupazioni, l'ansia di chi veglia al letto di una persona cara, i sogni a occhi aperti dell'innamorato, sono tutti stati appartenenti a questa seconda categoria. La concentrazione sul gruppo affettivo di idee comincia col provocare la «distrazione». Il flusso di idee a poco a poco rallenta e infine quasi ristagna, ma l'idea emotiva e la sua emozione restano attive per cui rimane, di conseguenza, attiva la grande quantità di eccitazione che non viene impiegata funzionalmente. La rassomiglianza tra questa situazione e i determinanti dell'ipnosi sembra incontrovertibile. Il soggetto che deve essere ipnotizzato non deve necessariamente addormentarsi, vale a dire che la sua eccitazione intracerebrale non deve scendere fino al livello di sonno. Però il flusso delle sue idee deve essere inibito. Così stando le cose, l'intera mavssa di eccitazione è a disposizione dell'idea suggerita. È questo il modo in cui sembra insorgere in taluni soggetti l'auto-ipnosi patogena (per opera di uno stato affettivo che fa intrusione di una fantasticheria abituale). Forse questa è una delle ragioni per cui, nell'anamnesi dell'isteria, tanto spesso incontriamo i due grandi fattori patogeni dell'essere innamorati e dell'assistenza di infermi. Nel primo, i pensieri pieni di desiderio rivolti all'amato assente creano nel soggetto una condizione estatica, rendendo indistinto l'ambiente reale circostante, e infine conducono i suoi pensieri a un arresto carico di affettività. Invece, nell'assistenza di un malato, la quiete che circonda il soggetto, la sua concentrazione su un solo elemento, l'attenzione fissa sul respiro dell'infermo sono tutte cose che realizzano le condizioni richieste da molti procedimenti ipnotici e che colmano di ansia lo stato crepuscolare in questo modo instauratosi. E possibile che la differenza tra detti stati e le vere auto-ipnosi sia puramente quantitativa, e che quelli si trasformino in queste. Lo stato simile all'ipnosi, solo che si sia manifestato una volta, si ripeterà ancora e ancora quando si realizzino le medesime circostanze, e il soggetto avrà tre condizioni mentali, in luogo delle due normali: la veglia, il sonno e lo stato ipnoide. Osserviamo lo stesso fenomeno quando siano state indotte frequenti ipnosi artificiali. Non so dire se stati ipnotici spontanei possano insorgere anche senza un'emozione operante in tal senso, in conseguenza di una disposizione innata, ma lo considero assai probabile. Quando pensiamo alle differenze di suscettibilità nei confronti dell'ipnosi artificiale, sia in sani che in malati e la facilità di indurre l'ipnosi in alcuni, sembra ragionevole supporre che in questi ultimi essa si manifesti anche spontaneamente. E forse occorre una predisposizione affinché una fantasticheria possa trasformarsi in auto-ipnosi. Per altro sono ben lontano dall'attribuire a tutti gli isterici il meccanismo generatore che abbiamo appreso da Anna O. Io parlo di stati ipnoidi piuttosto che di ipnosi perché è ben difficile tracciare una netta linea di demarcazione tra questi stati, che tanta parte hanno nella genesi dell'isteria. Non sappiamo se le fantasticherie, che sono state descritte sopra quali fasi preliminari dell'auto-ipnosi, non possano di per sé produrre gli stessi effetti patologici dell'auto-ipnosi, e se il medesimo potere possa essere attribuito anche all'emozione prolungata dell'ansia. Certo ciò è vero per la paura, e poiché questa inibisce il flusso di idee nel tempo stesso in cui è molto attiva un'idea affettiva (del pericolo), il parallelismo con la fantasticheria colma di affettività è completo, e siccome la rievocazione dell'idea, carica di contenuto affettivo (rievocazione costantemente reiterata), seguita a ristabilire questo stato mentale, nasce una «paura ipnoide», in cui la conversione si attua ovvero si stabilizza. Abbiamo qui lo stadio di incubazione dell'«isteria traumatica» nel senso stretto della parola. Tenendo conto del fatto che stati mentali tanto diversi, in quanto concordano sotto l'aspetto principale, sono classificabili insieme con l'auto-ipnosi, ci sembra auspicabile adottare l'espressione «ipnoide», che pone l'accento su questa intrinseca similarità. Essa riassume in sé l'opinione espressa da Moebius nel passo già citato, ma innanzi tutto essa pone l'accento sull'auto-ipnosi in sé, la cui importanza nella genesi dei fenomeni isterici poggia sulla sua capacità di rendere più agevole la conversione e di proteggere (grazie all'amnesia) le idee convertite; protezione che, in definitiva, conduce a un incremento della scissione psichica. Se un sintomo somatico è provocato da un'idea ed è da questa ripetutamente scatenato, dobbiamo prevedere che i malati intelligenti, capaci di auto-osservazione, diverranno consapevoli di tale relazione. Costoro sapranno per esperienza che un fenomeno somatico si manifesta contemporaneamente al ricordo di un dato evento. E pur vero che il nesso causale sottostante rimane loro ignoto, ma tutti noi sappiamo sempre qual è l'idea che ci fa piangere, o ridere, o arrossire, anche se non comprendiamo minimamente il meccanismo nervoso di questi fenomeni ideogeni. Qualche volta i malati osservano effettivamente la connessione e ne sono coscienti. Per esempio, una donna può affermare che le sue lievi crisi isteriche (forse tremori e palpitazioni) traggono origine da una forte turbamento emotivo e si rinnovano quando, e solo quando, un qualche avvenimento ne suscita il ricordo. Questo però non succede con moltissimi, anzi con la maggioranza dei fenomeni isterici. Nemmeno i pazienti intelligenti sono consapevoli del fatto che i loro sintomi insorgono per opera di un'idea e li considerano fenomeni fisici a sé stanti. Se fosse altrimenti la teoria psichica dell'isteria dovrebbe essere giù parecchio invecchiata. Si potrebbe plausibilmente pensare che, pur essendo i sintomi in questione ideogeni al loro nascere, la loro ripetizione li abbia, per usare un'espressione di Romberg, «impressi» nell'organismo per cui non si fondano più su un processo psichico, ma su alterazioni del sistema nervoso che hanno avuto luogo nel frattempo. Essi sarebbero diventati sintomi auto-sufficienti, genuinamente somatici. Questa opinione è in sé né insostenibile né improbabile, però, io credo che la nuova luce fatta dalle nostre osservazioni sulla teoria dell'isteria, consista proprio nell'aver dimostrato che detta opinione non è adeguata alla prova dei fatti, in molti casi almeno. Abbiamo visto sintomi isterici, dei generi più vari, perduranti da molti anni, «scomparire immediatamente e permanentemente quando riuscivamo a riportare chiaramente alla luce il ricordo dell'evento dal quale erano stati provocati ed a rievocare la concomitante emozione, e quando il paziente aveva descritto quell'evento il più dettagliatamente possibile, ponendo nelle parole la propria emozione». I casi clinici, riportati in queste pagine, forniscono alcune prove a sostegno delle nostre affermazioni. «Possiamo invertire il detto cessante causa cessat effectus (col cessare della causa cessa l'effetto) e concludere, in base a queste osservazioni, che il processo causativo (precisamente la sua rievocazione) continua a essere operante per anni - non indirettamente tramite una catena di anelli causali intermedi, ma quale causa direttamente scatenante - proprio come un dolore psichico, rievocato nella coscienza di veglia, ancora molto tempo dopo l'accaduto provoca una secrezione lacrimale. Gli isterici soffrono soprattutto di reminiscenze.» Ma se le cose stanno così - se il ricordo del trauma psichico deve essere considerato come un agente attualmente operante, analogamente a un corpo estraneo, lungo tempo dopo la sua forzata intrusione, e se, ciononostante, il malato non ha coscienza di questi ricordi o del loro affiorare — dobbiamo riconoscere che le idee inconsce esistono e sono operanti. Inoltre, quando ci accingiamo all'analisi del fenomeni isterici non troviamo queste idee inconsce allo stato isolato. Dobbiamo riconoscere il fatto che in realtà, come è stato dimostrato dal pregevole lavoro eseguito da ricercatori francesi, vasti complessi di idee, e i processi psichici ad essi collegati, con le loro importanti conseguenze, rimangono del tutto inconsci in moltissimi malati e coesistono con la vita mentale cosciente. Dobbiamo ammettere che lo sdoppiamento dell'attività psichica esiste veramente e che esso è di importanza fondamentale ai fini della comprensione dei casi di isteria complicata. Mi sarà forse concesso di esplorare questa difficile e oscura ragione alquanto più a fondo. La necessità di definire il senso della terminologia impiegata può scusare, fino a un certo punto, la trattazione teorica che segue. 5. Idee inconsce e idee inammissibili per la coscienza. Scissione della menteChiamiamo consce quelle idee delle quali siamo consapevoli. Negli esseri umani esiste lo strano fatto dell'auto-coscienza. Non siamo in grado di esaminare e osservare, come se si trattasse di oggetti, le idee che sorgono in noi e si susseguono l'una all'altra. Ciò non accade sempre, in quanto le occasioni di esercitare l'auto-osservazione sono rare. Ma questa capacità sussiste in ognuno, perché ognuno può dire: «Penso a questo o a quello». Noi descriviamo come idee coscienti quelle che osserviamo in attività dentro di noi, o che potremmo osservare se prestassimo attenzione ad esse. A ogni dato momento ve ne sono pochissime, e se, oltre a queste, altre stessero passando, noi dovremmo chiamarle idee inconsce. Non sembra più necessario spendere parole a sostegno della tesi che esiste una corrente di idee inconsce o subconsce. Questi sono fatti tra i più comuni della vita di ogni giorno. Se mi sono dimenticato di fare una delle mie visite mediche provo un forte senso di disagio. So per esperienza che cosa significa questa sensazione: ho dimenticato qualche cosa. Frugo invano nella memoria; non riesco a trovare la causa, finché, forse dopo ore, questa entra nella mia coscienza. Oppure: un uomo molto indaffarato può essere stato seccato da qualcosa al mattino. Egli è totalmente assorbito dal lavoro di ufficio, e nel frattempo i suoi pensieri coscienti sono completamente occupati, per cui non pensa a quella seccatura. Ma le sue decisioni sono influenzate da essa ed egli potrà dire «no» quando invece avrebbe detto «sì». Dunque, nonostante tutto, quel ricordo è operante, vale a dire presente. Gran parte di quello che chiamiamo «umore» proviene da cause di questo genere, da idee che esistono e sono all'opera al di sotto della soglia della coscienza. In effetti tutta la condotta della vita è costantemente influenzata da idee subconsce. Possiamo osservare ogni giorno come, nei casi di degenerazione mentale, per esempio negli stadi iniziali della paralisi progressiva, le inibizioni, che normalmente pongono un limite a certe azioni, si indeboliscono o scompaiono. Però il malato, che adesso dice facezie oscene in presenza di donne, quando era sano non era trattenuto dal farlo da ricordi o riflessioni coscienti; lo evitava «istintivamente» e «automaticamente», vale a dire era trattenuto da idee evocate dall'impulso a comportarsi in quel modo, ma che rimanevano al di sotto della soglia della coscienza, pur inibendo l'impulso stesso. Tutta l'attività intuitiva è guidata da idee in larga misura inconsce. Infatti solo le idee più chiare e intense sono percepite dall'auto-coscienza mentre la gran massa di idee comuni, ma più deboli, rimane inconscia. Le obiezioni che vengono mosse contro le «idee inconsce» , contro la loro esistenza e capacità di agire, sembrano in massima parte attaccarsi a giochi di parole. Senza dubbio «idea» è una parola appartenente al mondo del pensiero cosciente per cui «idea inconscia» è un'espressione in sé contraddittoria. Però il processo che sta alla base dell'idea è identico quanto a contenuto e a forma (anche se non per quantità) sia che l'idea superi la soglia della coscienza sia che rimanga al di sotto di essa. Basterebbe solo fabbricare un'espressione come «substrato ideativo» per evitare la contraddizione e respingere l'obiezione. Non pare che vi sia alcuna difficoltà teorica nell'ammettere anche che le idee inconsce possano essere cause di fenomeni patologici. Ma se ci addentriamo nell'argomento, ci imbattiamo in altre difficoltà. Di regola, quando l'intensità di un'idea inconscia si accresce, l'idea penetra ipso facto nella coscienza. Solo se l'intensità è debole essa rimane inconscia. Quello che sembra difficile a capirsi è come una idea possa essere abbastanza intensa da provocare una forte azione motoria, per esempio, e, nello stesso tempo, non abbastanza intensa da diventare cosciente. Ho già fatto cenno a un modo di vedere la cosa che, forse, non dovrebbe essere confutato. Secondo questo, la chiarezza delle nostre idee, e di conseguenza la loro attitudine ad essere osservate dalla nostra auto-coscienza (vale a dire ad essere coscienti) è determinata, fra l'altro, dai sentimenti di piacere o dispiacere che suscitano, dalla loro carica affettiva. Quando un'idea produce intense conseguenze somatiche, ciò comporta che l'eccitazione generata dall'idea si incanali lungo le vie legate a tali conseguenze, invece di propagarsi nel cervello, come invece sarebbe dovuto accadere: e questa idea, proprio perché ha delle conseguenze fisiche, perché la sua dotazione di stimoli psichici è stata convertita in stimolazioni somatiche, viene a perdere quella chiarezza che l'avrebbe distinta dalle altre idee che scorrono nella mente, e invece si perde in mezzo a queste. Supponiamo, per esempio, che uno abbia provato una violenta emozione durante un pasto, la quale non abbia subito l'«abreazione». Quando tenterà di mangiare di nuovo sarà assalito da vomito e soffocazione, sintomi, questi, che gli parranno puramente somatici. Il vomito isterico si protrarrà per diverso tempo e scomparirà dopo che l'emozione sia stata rievocata, descritta e fatta reagire sotto ipnosi. Non ci può essere dubbio che qualsiasi tentativo di mangiare rievocava il ricordo collegato. Questo ricordo provocava il vomito, ma non appariva chiaramente alla coscienza, perché ormai era privo di contenuto emotivo, mentre il vomito assorbiva totalmente l'attenzione. E ammissibile che la ragione testé esposta spieghi perché certe idee, che scatenano fenomeni isterici, non sono riconosciute quali cause di essi. Ma questa ragione (cioè il fatto che le idee, che hanno perduto la loro carica affettiva in quanto sono state convertite, vengono trascurate) non può affatto spiegare perché in altri casi, complessi ideativi, che sono tutt'altro che privi di contenuto emotivo, non penetrano nella coscienza. Nei nostri casi clinici si trovano diversi esempi di ciò. In pazienti del genere osservavamo che, di regola, la turba emotiva (apprensività, irritabilità astiosa, angoscia) precedeva la comparsa del sintomo somatico, o lo seguiva immediatamente, accrescendolo, fintanto che non venisse eliminata tramite uno sfogo verbale o che l'emozione, e il fenomeno somatico, non scomparissero a poco a poco. Nel primo caso la qualità dell'emozione diventava sempre assolutamente incomprensibile, sebbene la sua intensità non potesse non sembrare a una persona normale - ed allo stesso paziente dopo il chiarimento - affatto sproporzionata. Si trattava dunque di idee abbastanza intense da evocare la corrispettiva emozione e da influenzare il corso dell'associazione mettendo in evidenza idee collegate, ma rimanendo, nonostante tutto, allo stato inconscio. Per fare affiorare queste idee alla coscienza si rendeva necessaria l'ipnosi (come nei casi clinici i e il) oppure (casi clinici iv e v) una laboriosa ricerca intrapresa con impegno intensivo da parte del medico. Idee come queste, che, pur essendo comuni, rimangono inconsce non a causa di un grado relativamente basso di vivezza ma anzi nonostante la loro grande intensità, potrebbero essere definite «idee inammissibili per la coscienza». L'esistenza di idee come queste, non ammissibili per la coscienza, è patologica. Negli individui normali tutte le idee, purché possano esistere, entrano nella coscienza se sono abbastanza intense. Nei nostri malati troviamo un vasto complesso di idee ammissibili per la coscienza e che esistono fianco a fianco con un complesso più ristretto che non lo è. Dunque in costoro il campo dell'attività psichica ideativa non coincide con l'attività psichica potenziale, quest'ultima essendo più ristretta della prima. La loro attività psichica ideativa è ripartita in una parte conscia e una inconscia e le loro idee si dividono in idee ammissibili e non ammissibili per la coscienza. Pertanto non possiamo parlare di sdoppiamento della coscienza pur potendo parlare di sdoppiamento della mente. Inversamente, queste idee subconsce non possono essere influenzate né rettificate dal pensiero cosciente. Molto spesso sono legate a esperienze, che intanto hanno perduto il loro significato (terrore di avvenimenti che non accaddero, paura tramutatasi in riso o in allegria dopo il salvataggio). Questi sviluppi successivi privano il ricordo di tutta la sua carica affettiva per quanto riguarda la coscienza, mentre lasciano perfettamente intatta l'idea subconscia che provoca i fenomeni somatici. Mi si conceda di citare un altro esempio. Una giovane sposa fu per qualche tempo molto preoccupata per il futuro della sorella minore. In conseguenza di ciò le sue mestruazioni, di norma regolari, comparivano ogni due settimane. Aveva una dolenzia all'ipogastrio di sinistra e per due volte si trovò lunga distesa per terra riprendendosi da uno svenimento. Seguì una nevralgia ovarica a sinistra, con gravi segni di peritonite. L'assenza di febbre e una contrattura della gamba sinistra (e del dorso) dimostravano che la malattia era una pseudo-peritonite e quando, qualche anno più tardi, la paziente morì e fu eseguita l'autopsia, altro non si trovò che una «degenerazione microcistica» di entrambe le ovaie senza alcuna traccia di pregressa peritonite. I gravi sintomi scomparvero a poco a poco lasciando lo strascico di una nevralgia ovarica, e di una contrattura dei muscoli dorsali, tale che il tronco era rigido come una tavola, ed una contrattura della gamba sinistra. Quest'ultima fu eliminata sotto ipnosi mediante suggestione diretta. La contrattura dorsale non subiva l'influenza della suggestione. Nel frattempo le difficoltà della sorella minore si erano completamente appianate e tutti i timori della paziente a questo proposito erano scomparsi. Ma il fenomeno isterico, che non poteva essere stato originato da altro che da questo, rimaneva inalterato. Si era tentati di supporre che ci trovassimo dinanzi a cambiamenti dell'efferenza nervosa, che aveva assunto un'esistenza indipendente e non era più connessa con l'idea che l'aveva provocata. Ma dopo che la paziente fu costretta a raccontare sotto ipnosi tutta la storia dal momento in cui si era ammalata di «peritonite» (cosa che fece molto malvolentieri), si mise improvvisamente a sedere sul letto senza aiuto e la contrattura del dorso svanì per sempre (la nevralgia ovarica, di origine certamente molto più antica, rimase inalterata). Vediamo dunque che la sua idea ansiosa patogena era rimasta attiva per mesi, completamente inaccessibile ad alcuna rettificazione ad opera di avvenimenti reali. Se siamo costretti a riconoscere l'esistenza di complessi ideativi che non affiorano mai alla coscienza e non sono influenzati dal pensiero cosciente, dovremo anche ammettere che, persino in un caso di isteria semplice come quello che ho appena descritto, vi è una divisione della mente in due parti relativamente indipendenti. Io non affermo che tutto ciò che chiamiamo isterico debba avere alla base, quale condizione necessaria, uno sdoppiamento del genere, ma intendo affermare che lo sdoppiamento dell'attività psichica, che è così lampante in casi ben noti, sotto la forma di doublé conscience è presente in forma rudimentale in tutti i casi di «isteria conclamata» e che «la possibilità, e la tendenza a questa dissociazione è il fenomeno fondamentale di questa nevrosi». Ma prima di addentrarci nella discussione di questo argomento, debbo aggiungere un commento sulle idee inconsce che producono effetti somatici. Molti fenomeni isterici perdurano in continuazione e a lungo, come per esempio la contrattura del caso testé descritto. Dovremmo e potremmo supporre che in tutto questo tempo l'idea provocatrice sia perpetuamente attiva e costantemente presente? Io credo di sì. E vero che nelle persone sane vediamo che le attività psichiche si svolgono in concomitanza di rapidi cambiamenti di idee, però troviamo individui affetti da grave melancolia continuamente sprofondati, per lunghi periodi, in una stessa idea angosciosa, perpetuamente attiva e presente. In effetti, possiamo ritenere che quando un individuo normale ha in mente qualche grave preoccupazione, questa sia presente in continuazione, in quanto modifica l'espressione del volto anche quando la coscienza dell'individuo è occupata da altri pensieri. Ma la porzione di attività psichica che negli isterici è separata, e che noi riteniamo colma di idee inconsce, di solito ne contiene così poche ed è così scarsamente accessibile agli scambi con le impressioni esterne, che è facile credere che in essa sia in permanente attività una singola idea. Se a noi, come a Binet e )anet, sembra che nel nucleo dell'isteria si trovi una porzione separata di attività psichica, è nostro dovere essere il più chiari possibile su questo punto. E financo troppo facile assumere quell'atteggiamento mentale che presume che ogni sostantivo abbia una sostanza dietro di sé e che, a poco a poco, finisce col considerare la «coscienza» come qualcosa di coincidente con un oggetto reale; e quando ci siamo assuefatti a fare un impiego metaforico dei rapporti spaziali, come nel termine «subcosciente», col passar del tempo scopriamo di esserci formati effettivamente un'idea che ha perduto la sua natura di metafora e che noi possiamo agevolmente manipolare quasi come se fosse reale. Allora la nostra mitologia è completa. Tutto il nostro pensiero tende ad essere accompagnato e agevolato da idee spaziali, e noi ci esprimiamo con metafore spaziali. Così, quando parliamo di idee che rientrano nella regione della coscienza e di idee inconsce, che mai emergono nella piena luce dell'auto-co-scienza, quasi inevitabilmente ci formiamo l'immagine di un albero con il tronco alla luce del sole e le radici al buio, o di un edificio con oscuri sotterranei. Però se teniamo sempre presente che tutti questi rapporti spaziali sono metaforici e non ci lasciamo ingannare dall'idea che essi esistano letteralmente nel cervello, potremo parlare di coscienza e subcoscienza, ma solo a questa condizione. Saremo al sicuro dal pericolo di lasciarci ingannare dal nostro stesso parlare figurato se ricorderemo sempre che, dopo tutto, le idee inconsce e quelle coscienti nascono entrambe in uno stesso cervello e con ogni probabilità nella stessa corteccia cerebrale. Come ciò sia possibile non sappiamo dire. Ma in effetti sappiamo tanto poco sull'attività psichica della corteccia cerebrale che una sola complicazione imbarazzante basterà ad aumentare l'abisso della nostra ignoranza. Dobbiamo accettare come un dato di fatto che negli isterici una parte dell'attività psichica non è accessibile alla percezione dell'auto-co-scienza nell'individuo desto, per cui la loro mente è divisa. Un esempio universalmente noto di scissione dell'attività psichica, di questo genere, è dato da alcune forme e fasi degli attacchi isterici. Spesso, quando essi si instaurano, il pensiero cosciente si estingue ma poi si ridesta gradualmente. Molti malati intelligenti ammettono che il loro io cosciente era assolutamente lucido durante la crisi e osservava con curiosità e stupore tutte le follie che essi stessi dicevano e facevano. Inoltre, questi pazienti credono (erroneamente) che con un po' di buona volontà avrebbero potuto impedire l'attacco, e quindi tendono a biasimarsi per questo. «Non dovevamo comportarci a quel modo.» (Il loro auto-rimprovero di essere colpevoli di simulazione si fonda in larga misura su questa sensazione). Ma quando si scatena un nuovo attacco, l'io cosciente è tanto poco in grado di dominare gli eventi quanto lo era durante gli attacchi precedenti. Abbiamo qui una situazione, in cui il pensiero e l'ideazione dell'io cosciente di veglia sussistono accanto a quelle idee, che di solito risiedono nell'oscurità dell'inconscio, ma che adesso hanno assunto il controllo dell'apparato muscolare e della loquela e in effetti, persino di una vasta porzione della stessa attività ideativa: lo sdoppiamento della psiche è manifesto. Si può rilevare che le osservazioni di Binet e Janet meritano di essere descritte come uno sdoppiamento non solo dell'attività psichica ma della coscienza. Come è noto, questi studiosi sono riusciti a entrare in contatto con il «subcosciente» dei loro pazienti, ossia con quella parte dell'attività psichica di cui l'io cosciente di veglia non sa nulla. In alcuni casi essi sono stati in grado di dimostrare la presenza di tutte le funzioni psichiche, compresa l'auto-coscienza, in quella porzione, dato che essa ha accesso al ricordo di avvenimenti psichici passati. Dunque questa metà della psiche è assolutamente completa e cosciente in se stessa. Nel nostro caso quella parte della psiche che è separata, è «confinata nell'ombra», come i Titani imprigionati nel cratere dell'Etna, che possono scuotere la terra ma mai emergere alla luce del sole. Nei casi di Janet la bipartizione del regno della mente era totale. Cionondimeno vi è tuttavia una diseguaglianza di condizioni. Ma anche questa scompare quando le due metà della coscienza si alternano, come nei ben noti casi di doublé coscience e quando non differiscono nella loro capacità funzionale. Ma torniamo alle idee che abbiamo dimostrato essere, nei nostri pazienti, le cause dei fenomeni isterici. Non è affatto impossibile per noi descriverle tutte come «inconsce» o inammissibili per la coscienza. Esse costituiscono una scala pressoché ininterrotta, che passa per ogni gradazione di indefinitezza e di oscurità, tra idee perfettamente coscienti che scatenano un riflesso inusitato e tra idee che non entrano mai nella coscienza di veglia se non in ipnosi. Ciononostante, noi consideriamo che lo sdoppiamento dell'attività psichica si verifica nei casi più intensi di isteria e che essa sola sembra rendere possibile una teoria psichica della malattia. Allora cosa potremo affermare, o ipotizzare con probabilità, circa le cause o l'origine del fenomeno? Janet, al quale la teoria dell'Isteria deve tanto e con il quale noi concordiamo sotto parecchi punti di vista, su questo punto ha espresso un parere che non possiamo accettare. Ecco l'opinione di Janet. Egli ritiene che lo «sdoppiamento della personalità» poggi su una debolezza psicologica (insuffisance psy-chologique) innata. Tutta l'attività mentale normale presuppone una certa capacità di «sintesi», la capacità di riunire in un complesso diverse idee. La combinazione delle varie percezioni sensoriali in una rappresentazione dell'ambiente è già un'attività sintetica di questo genere. Questa funzione mentale risulta ben lontana dall'essere normale nei soggetti isterici. Se l'attenzione di una persona normale viene diretta nel modo più completo su un determinato punto, per esempio sulla percezione di un singolo senso, è vero che essa perde temporaneamente la capacità di percepire le impressioni provenienti da altri sensi, ossia di assumerle nel pensiero cosciente, ma nei soggetti isterici questo avviene senza alcuna particolare concentrazione dell'attenzione. Appena essi percepiscono qualche cosa, diventano inaccessibili ad altre percezioni sensoriali. In effetti essi non sono neanche in grado di raccogliere insieme diverse impressioni provenienti da uno stesso senso. Per esempio, possono appercepire soltanto le sensazioni, tattili di una metà del corpo. Quelle provenienti dall'altra metà raggiungono il centro e sono utilizzate per la coordinazione dei movimenti, ma non sono appercepite. Una persona in questa condizione è emianestetica. Nelle persone normali un'idea richiama alla coscienza un gran numero di altre idee per associazione. Queste idee possono essere legate alla prima, per esempio, in funzione di conferma o negazione, e solo le idee più vivaci sono tanto potenti che le loro associazioni rimangono al di sotto della soglia della coscienza. Invece negli isterici è sempre cosi. Ogni idea prende possesso di tutto l'ambito della loro limitata attività mentale e questo rende ragione della loro eccessiva emotività. Questa caratteristica della loro mente è descritta da Janet come un «restringimento del campo della coscienza» dei pazienti isterici, in analogia al «restringimento del campo visivo». In massima parte, le impressioni sensoriali non appercepite e le idee, che nascono ma non entrano nella coscienza, si estinguono senza produrre ulteriori conseguenze. Però talora si accumulano e formano dei complessi (strati mentali avulsi dalla coscienza), venendo a costituire una subcoscienza. L'isteria, essenzialmente basata su questa divisione della mente, è una maladie par faiblesse (malattia da debolezza) ed è per questo che si sviluppa rapidamente quando una mente, congenitamente debole, è sottoposta a influssi che la indeboliscono ulteriormente oppure è sottoposta a sollecitazioni di fronte alle quali la sua debolezza diventa più spiccata. Le vedute di Janet, così come le abbiamo sintetizzate già ci forniscono la sua risposta all'importante problema della predisposizione all'isteria, della natura del typus hysiericus (prendendo il termine nello stesso senso in cui parliamo di typus phthisicus, col quale intendiamo la strettezza del torace, la piccolezza del cuore, ecc.). Janet considera una particolare forma di debolezza mentale congenita quale disposizione all'isteria. In risposta a questo è nostro desiderio presentare brevemente, qui di seguito, le nostre vedute. Non si tratta di uno sdoppiamento di coscienza che si verifica perché i pazienti sono deboli di mente; essi appaiono deboli di mente perché la loro attività mentale è scissa e solo una parte della loro capacità è a disposizione del pensiero cosciente. Noi non possiamo considerare la debolezza mentale come concidente col typus hysterìcus, come l'essenza della disposizione alla isteria. Un esempio renderà chiaro quel che si vuol dire con la prima di queste due frasi. In una nostra paziente (Frau Càcilie M.) ci era spesso dato di osservare questa sequenza di movimenti. Quando si sentiva relativamente bene, compariva un sintomo isterico - un'allucinazione tormentosa e ossessiva, una nevralgia o qualcosa del genere - che per qualche tempo cresceva d'intensità. Contemporaneamente la normale capacità mentale della paziente si riduceva continuamente, e dopo qualche giorno un osservatore inesperto di questo caso sarebbe stato indotto a definirla debole di mente. In seguito ella veniva sbarazzata dall'idea inconscia (ricordo di un trauma psichico, spesso appartenente al remoto passato), o dal medico sotto ipnosi o da un'improvvisa descrizione spontanea dell'accaduto in stato di agitazione e con l'accompagnamento di un'intensa emozione. Dopo che questo era successo, essa non soltanto diventava caline, lieta e libera da sintomi tormentosi, ma era sempre meraviglioso osservare l'ampiezza e lucidità del suo intelletto e l'acutezza della sua comprensione e del suo giudizio. Gli scacchi, ai quali sapeva giocare in modo eccellente, erano un suo passatempo favorito, ed ella si dilettava di giocare due partite contemporaneamente, il che non può essere certo considerato come mancanza di capacità di sintesi mentale. Era impossibile sottrarsi all'impressione che, nella sequenza di eventi ora descritta, l'idea inconscia attraesse a sé una porzione, in continuo aumento, della sua attività psichica, e che, quanto più questo processo avanzava, tanto più piccolo diventava il ruolo sostenuto dal pensiero cosciente, fino a raggiungere l'imbecillità totale, ma che quando, per usare un'espressione viennese assai significativa, era beisammen [letteralmente «insieme», vale a dire «in sé»], ella era dotata di capacità mentali notevoli. Possiamo citare, quale stato analogo nelle persone normali, non la concentrazione attentiva ma la preoccupazione. Se uno è «preoccupato» da qualche intenso pensiero, ad esempio: un cruccio, la sua capacità mentale è ridotta in modo analogo. Ogni osservatore subisce largamente l'influsso dei soggetti che capitano sotto la sua osservazione, per cui siamo portati a credere che le opinioni di Janet si fossero formate principalmente nel corso di uno studio dettagliato di pazienti isterici deboli di mente, quali si possono trovare negli ospedali e negli istituti, pazienti che non sono riusciti a condurre la loro vita a causa della loro malattia e della debolezza mentale provocata da questa. Le nostre osservazioni, condotte su isterici istruiti, ci hanno obbligato ad avere un'opinione del tutto diversa della loro mente. A nostro avviso «tra gli isterici si possono trovare persone dall'intelletto lucidissimo, dalla volontà fermissima, dal carattere più eletto e dai più forti poteri critici». Nessuna autentica e salda dote mentale è esclusa dall'isteria, sebbene spesso la malattia renda impossibili vere realizzazioni. Dopo tutto, la patrona dell'isteria, Santa Teresa, era una donna geniale dalle grandi capacità pratiche. Ma d'altra parte nessun grado di stupidità, incompetenza e debolezza di volontà può rappresentare una protezione contro l'isteria. Persino se trascuriamo quello che semplicemente è un risultato della malattia, dobbiamo riconoscere che il tipo di isterico debole di mente è comune. Tuttavia anche così, quel che troviamo non è una stupidità torpida e flemmatica, ma un grado eccessivo di mobilità mentale che porta all'incapacità. Più avanti parlerò della questione della disposizione innata. Qui mi propongo semplicemente di mostrare l'insostenibilità dell'opinione di Janet, secondo la quale la debolezza di mente è in tutti i casi la radice dell'isteria e dello sdoppiamento mentale. In completo contrasto con le vedute di Janet, io credo che in un'altissima percentuale di casi alla base della dissociazione si trovi un eccesso di capacità, una coesistenza abituale di due concatenazioni eterogenee di idee. È stato frequentemente rilevato che noi spesso non siamo semplicemente attivi «meccanicamente», mentre il nostro pensiero cosciente è occupato da concatenazioni di idee che nulla hanno in comune con la nostra attività, ma che siamo anche capaci di una funzione sicuramente psichica mentre i nostri pensieri sono «occupati altrove», come per esempio, quando leggiamo ad alta voce correttamente e con la giusta intonazione, ma poi non abbiamo la minima idea di quello che stavamo leggendo. Esiste senz'altro tutto un gruppo di attività, da quelle meccaniche, come far la calza o fare le scale al pianoforte, a quelle che richiedono almeno un leggero grado di attività mentale, che molte persone esplicano solo con una parte della loro mente assorbita da esse. Ciò vale in special modo per quelle persone dall'indole particolarmente vivace, per le quali un'occupazione monotona, elementare e priva di interesse è un tormento, e che in effetti cominciano col distrarsi volontariamente pensando a qualcosa di diverso. Un'altra situazione però consimile, si ha quando un gruppo di idee interessanti tratte per esempio da libri o da spettacoli, si impone di forza all'attenzione del soggetto e irrompe nei suoi pensieri. Questa intrusione è ancor più vigorosa se il gruppo di idee estranee è intensamente colorato dall'emozione (per esempio la preoccupazione o il vivo desiderio dell'innamorato). Abbiamo in tal caso lo stato di preoccupazione del quale ho parlato prima, che, però, non impedisce a molte persone di compiere azioni alquanto complesse. Spesso le circostanze sociali impongono uno sdoppiamento di questo genere persino quando questi pensieri sono assai impegnativi, come nel caso di una donna che, pur nel travaglio di un intenso affanno o di un'eccitazione passionale, adempie ai suoi doveri sociali e alle sue funzioni di affabile ospite. Tutti noi, nel corso del nostro lavoro, conseguiamo in piccolo obiettivi di questo genere. L'auto-osservazione sembra sempre dimostrarci che il gruppo di idee affettive non è rievocato di tanto in tanto dall'associazione, ma è continuamente presente nella psiche e penetra nella coscienza a meno che questa non sia assorbita da qualche impressione esterna o da un atto della volontà. Persino nelle persone che abitualmente non permettono che sogni a occhi aperti attraversino la loro mente durante le abituali attività, determinate situazioni provocano, e per durate non indifferenti, l'esistenza simultanea, da una parte di impressioni e reazioni mutevoli provenienti dalla vita esterna, e dall'altra di gruppi di idee aventi un colorito affettivo. Post equiiem sedei atra cura (dietro al cavaliere siede il negro affanno). Tra queste situazioni le più notevoli sono quella di assistere un infermo che ci è caro, e l'essere innamorati. La esperienza ci dimostra che l'assistenza agli infermi e le emozioni sessuali hanno anche il ruolo principale nella maggior parte delle storie cliniche di pazienti isterici analizzate più a fondo. Io suppongo che la scissione della funzionalità psichica, sia essa abituata o provocata da situazioni emozionali della vita, agisca come una predisposizione sostanziale per un genuino sdoppiamento patologico della psiche. Quella scissione si trasforma in questo secondo stato se il contenuto delle due serie coesistenti di idee non è più dello stesso tipo, se una di queste contiene idee inammissibili per la coscienza, ossia idee che siano sorte durante stati ipnoidi. Così stando le cose, è impossibile che le due correnti temporaneamente separate si riuniscano, come sempre avviene negli individui sani e una regione dell'attività psichica inconscia rimane permanentemente tagliata fuori. Questa scissione isterica della psiche sta al «doppio io» della persona sana, come lo stato ipnoide sta alla normale fantasticheria. In un caso l'essenza patologica è determinata dall'amnesia, nell'altro dall'inammissibilità delle idee nella coscienza. Il nostro primo caso clinico, quello di Anna O., al quale sono costretto a tornare ancora una volta, fornisce un chiaro esempio di quello che accade. La ragazza aveva l'abitudine, mentre era in perfetta salute, di permettere ad una serie di idee immaginarie di passarle per la mente mentre accudiva alle ordinarie occupazioni. Mentre si trovava in una situazione favorevole all'auto-ipnosi, l'emozione ansiosa era entrata nella sua fantasticheria e aveva creato uno stato ipnoide seguito da amnesia. Questo si era ripetuto in diverse occasioni e il contenuto ideativo della fantasticheria era diventato via via sempre più ricco, ma seguitava ad alternarsi a stati di pensiero di veglia del tutto normale. Dopo quattro mesi lo stato ipnoide si impadronì completamente della paziente. Le crisi separate finirono con l'accavallarsi per cui insorse un état de mal, un'isteria acuta del tipo più grave. Essa durò diversi mesi in varie forme (periodo di sonnambulismo); poi fu interrotta forzatamente e da allora in poi prese ad alternarsi di nuovo al comportamento psichico normale. Ma persino durante il comportamento normale vi era persistenza dei fenomeni somatici e psichici (contratture, emianestesia ed alterazioni del linguaggio) il cui fondamento (in questo caso lo sappiamo con certezza) riposava su idee appartenenti allo stato ipnoide. Ciò prova che, persino durante il comportamento normale, il complesso ideativo appartenente allo stato ipnoide, la «subcoscienza», sussisteva e con esso lo sdoppiamento della mente. Non ho un altro esempio da offrire di un'evoluzione similare, però penso che questo caso illumini alquanto anche lo sviluppo delle nevrosi traumatiche. Nei primi giorni dopo l'evento traumatico, lo stato di paura ipnoide si ripete ogni volta che l'evento viene rievocato. Mentre questo stato ritorna sempre più di frequente, la sua intensità nel frattempo si attenua sicché non si alterna più col pensiero di veglia rna semplicemente esiste accanto a questo. Così diventa continuo e i sintomi somatici, che prima erano presenti solo durante gli accessi di paura, acquistano un'esistenza permanente. Però io posso soltanto supporre che le cose vadano così non avendo mai analizzato un caso del genere. Le osservazioni di Freud e le sue analisi dimostrano che lo sdoppiamento della mente può essere causato anche da «difesa», dal deliberato allontamento della coscienza da idee angosciose; ciò avviene, però, in taluni individui, ai quali possiamo quindi attribuire un'idiosincrasia mentale. Nelle persone normali idee del genere sono eliminate con successo, per cui svaniscono completamente, oppure non lo sono e in tal caso seguitano a tornare alla coscienza. Non so dire quale sia la natura di questa idiosincrasia. Posso soltanto ardire di suggerire che occorre l'ausilio dello stato ipnoide perché la difesa non si risolva semplicemente nel rendere incoscienti alcune singole idee convertite ma produca un vero sdoppiamento della mente. L'auto-ipnosi ha, per così dire, creato uno spazio libero nella regione dell'attività psichica inconscia entro la quale sono attirate le idee contro le quali si è operata la difesa. Ma, comunque stiano le cose, dobbiamo riconoscere il significato patogeno della «difesa». Però non credo che la genesi dello sdoppiamento della psiche rientri nei processi, compresi solo parzialmente, di cui abbiamo trattato. Dunque i casi di isteria allo stato iniziale presentano per qualche tempo una sindrome che può essere descritta come isteria acuta. (Nell'anamnesi dei casi di isteria maschile in genere incontriamo questa forma di malattia, etichettata come «encefalite»; nei casi femminili la nevralgia ovarica conduce alla diagnosi di «peritonite»). In questo stadio acuto dell'isteria sono ben evidenti tratti psicotici come stati maniacali e furiosi di eccitazione, fenomeni isterici rapidamente variabili, allucinazioni, ecc. In stati di questo genere la scissione della mente può forse avvenire in modo diverso da quello che abbiamo tentato di descrivere prima. Forse questo stato nel suo insieme deve essere considerato come un lungo stato ipnotico, i cui residui costituiscono il nucleo del complesso ideativo inconscio, mentre il pensiero di veglia non ne serba memoria. Siccome noi ignoriamo pressoché totalmente le cause che portano a un'isteria acuta di questo genere (perché non posso arrischiarmi a considerare l'andamento degli eventi propri del caso di Anna O. come applicabile alla generalità dei casi), sembrerebbe che esista un altro genere di sdoppiamento psichico che, in contrasto con quello descritto sopra, potrebbe essere definito irrazionale 11. E senza dubbio esistono ancora altre forme di questo processo, tuttora celate alla nostra giovane scienza psicologica: perché è certo che noi abbiamo soltanto mosso i primi passi in questo dominio del sapere e le nostre attuali concezioni saranno modificate sostanzialmente dalle ulteriori osservazioni. E ora occupiamoci dei progressi verso la comprensione dell'isteria realizzati grazie alle conoscenze sullo sdoppiamento della mente acquisiti in questi ultimi anni, che sembra siano stati numerosi e importanti. Queste scoperte hanno reso innanzitutto possibile riportare quei sintomi che sembrano puramente somatici alle idee generatrici, per altro non reperibili nella coscienza del malato. (Non sarà necessario ritornare su questo argomento). In secondo luogo ci hanno insegnato a capire che gli attacchi isterici, almeno in parte, sono i prodotti di un complesso ideativo inconscio (cfr. Charcot). E, oltre a ciò, ci hanno spiegato alcune caratteristiche psichiche dell'isteria, e forse merita che ci soffermiamo un po' su questo punto. È vero che le «idee inconsce» non entrano mai nella coscienza di veglia, o al massimo in rare occasioni e con difficoltà; però la influenzano. Esse lo fanno, in primo luogo, tramite le loro conseguenze (per esempio, quando un malato è tormentato da un'allucinazione completamente incomprensibile e priva di senso, il cui significato e la cui motivazione però diventano chiari sotto ipnosi). Inoltre esercitano un'influenza sull'associazione rendendo talune idee più vivide di quanto lo sarebbero state se non avessero ricevuto un rafforzamento nell'inconscio. In tal modo, gruppi particolari di idee premono continuamente sul paziente con una certa forza compulsiva per cui questi è obbligato a pensarci (analoga situazione si ha nei pazienti emianeste-tici di Janet. Quando la mano insensibile viene ripetutamente toccata non sentono nulla, ma quando si chiede loro di dire un numero a piacere, scelgono sempre quello che corrisponde al numero di volte che sono stati toccati). Ancora, le idee inconsce regolano il tono affettivo del paziente, il suo modo di sentirsi. Quando, durante la rievocazione dei propri ricordi, Anna O. si avvicinava a un evento originariamente legato a una vivace emozione, il sentimento corrispondente faceva la sua comparsa parecchi giorni in anticipo, addirittura prima che la rievocazione comparisse con chiarezza nella coscienza ipnotica. Ciò permette di capire l'«umore» dei pazienti e i loro mutamenti incomprensibili e irragionevoli, che sembrano manifestarsi senza alcun motivo. In effetti, l'impressionabilità dei pazienti isterici è determinata in larga misura semplicemente dalla loro innata eccitabilità; però, le vive emozioni che si impadroniscono di loro per cause relativamente banali diventano meglio comprensibili se riflettiamo che la «scissione della psiche» agisce come una cassa di risonanza per la nota prodotta da un diapason. Qualsiasi evento che provochi memorie inconsce libera l'intera forza affettiva di queste idee che non hanno subito un logoramento, e quindi l'emozione che si scatena è del tutto sproporzionata rispetto a quella che sarebbe sorta soltanto nella mente cosciente. Ho parlato prima di una paziente la cui attività psichica era sempre in rapporto inverso rispetto alla vivacità delle sue idee inconsce. La riduzione del suo pensiero cosciente si basava in parte soltanto su un tipo speciale di astrazione. Dopo ciascuna delle sue momentanee assenze (le quali ricorrevano di continuo) ella non sapeva a che cosa aveva pensato durante l'assenza stessa. Oscillava tra le conditions primes e secondes, tra i complessi di idee consci e inconsci. Ma non solo per questa ragione la sua funzionalità psichica era ridotta, né per via dello stato affettivo che la dominava dal'inconscio. Mentre si trovava in quello stato, il suo pensiero di veglia era privo di energia, la sua capacità di giudizio era puerile ed ella sembrava, come ha detto, decisamente imbecille, lo penso che ciò fosse dovuto al fatto che il pensiero di veglia abbia meno energia a disposizione se l'inconscio si impadronisce di una notevole quantità di eccitazione psichica. Se questo stato di cose non è puramente temporaneo, se la mente sdoppiata è in costante stato di eccitazione, come nei pazienti emiane-stetici di Janet (nei quali, per di più, tutte le sensazioni provenienti da non meno di metà del corpo, erano percepite soltanto dalla mente inconscia), in un caso del genere, rimane a disposizione del pensiero cosciente una così piccola frazione di funzionalità cerebrale, che facilmente ci si rende ragione del perché di quella debolezza di mente che Janet considera innata. Vi sono ben pochi individui dei quali si potrebbe dire quel che dice Uhland di Bertrand de Born, cioè che non aveva mai bisogno di più di metà della sua mente. Tale riduzione dell'energia psichica rende la maggior parte degli individui debole di mente. Questa debolezza di mente, provocata dallo sdoppiamento della psiche, sembra essere anche alla base di una importante caratteristica di alcuni pazienti isterici: la suggestionabilità (dico «alcuni» perché tra gli isterici si trovano indubbiamente persone dotate della più acuta e critica capacità di giudizio). Con suggestionabilità intendiamo in primo luogo soltanto un'incapacità di sottoporre a critica idee e complessi di idee (giudizi) che affiorano nella coscienza del soggetto spontaneamente o sono introdotte in essa dall'esterno attraverso i discorsi o le letture. Qualsiasi critica di idee appartenenti a questo tipo, venute da poco alla coscienza, si basa sul fatto che esse suscitano altre idee per associazione, alcune delle quali sono inconciliabili con le prime. La resistenza contro queste ultime dipende quindi dalla riserva di idee antagoniste nella coscienza potenziale, e la forza di resistenza corrisponde al rapporto tra la vivezza delle idee nuove e quella delle idee suscitate nella memoria. Persino negli intelletti normali questo rapporto è molto variabile. 11 temperamento che definiamo intellettuale dipende in larga misura da questo. Un uomo «sanguigno» è sempre rallegrato da nuove persone e nuove cose, e ciò dipende senz'altro dal fatto che l'intensità delle sue immagini mnemoniche è inferiore a quella delle impressioni nuove, più di quanto non avvenga in un uomo quieto, «flemmatico». Negli stati patologici la preponderanza delle idee nuove e la mancanza di resistenza verso di esse aumenta in proporzione alla scarsezza delle immagini mnemoniche evocate, vale a dire in proporzione alla debolezza e povertà dei loro poteri associativi. È quanto accade anche nel sonno e nei sogni, nell'ipnosi e in tutti i casi in cui vi sia una riduzione dell'energia mentale, fino a tanto che questa riduzione non colpisce anche la vividezza delle idee nuove. La parte scissa della mente inconscia nell'isteria è eminentemente suggestionabile a cagione della povertà e incompletezza del suo contenuto ideativo. Ma anche la suggestionabilità della mente cosciente sembra, in alcuni pazienti, fondarsi su ciò. Essi sono eccitabili per disposizione innata e in loro le idee nuove sono vivide. Invece la loro attività intellettuale, la loro funzione associativa sono menomate, in quanto solo parte della loro energia psichica è a disposizione del pensiero di veglia, dato che da questo si è scissa una parte «inconscia». Di conseguenza, il loro potere di resistenza, sia alle autosuggestioni che alle eterosuggestioni, è ridotto e, talvolta, abolito. Anche la suggestionabilità della loro volontà sembra dovuta soltanto a questo. D'altro canto, la suggestionabilità allucinatoria, che trasforma prontamente in percezione affettiva qualunque idea di percezione sensoriale, esige, come tutte le allucinazioni, un livello abnorme di eccitabilità dell'organo percettivo e non può essere attribuita esclusivamente ad uno sdoppiamento della mente. 6. Disposizione innata. Sviluppo dell'isteriaQuasi ad ogni fase di questa trattazione, sono stato costretto ad ammettere che la maggior parte dei fenomeni che ci siamo sforzati di comprendere, può trovare fondamento, tra l'altro, in una idiosincrasia innata, il che sfida qualsiasi spiegazione che cerchi di andare oltre la semplice descrizione dei fatti. Tuttavia la capacità ad ammalarsi d'isteria è anch'essa sicuramente legata a un'idiosincrasia dell'individuo, per cui un tentativo di definirla con maggior precisione non,sarà forse del tutto inutile. Ho spiegato prima perché non posso accettare l'opinione di Janet che la disposizione all'isteria si basi su una debolezza psichica innata. Il medico pratico, che nella sua qualità di dottore di famiglia, osserva i componenti di famiglie isteriche di tutte le età, sicuramente tenderà a considerare che tale disposizione sia legata a un eccesso piuttosto che a un difetto. Gli adolescenti, che in seguito diventeranno isterici, sono in massima parte vivaci, ben dotati e pieni di interessi intellettuali prima di cadere malati. Spesso la loro energia è notevole. Tra di loro si trovano ragazze che si alzano di nascosto la notte per attendere a studi che i genitori hanno loro vietato per paura dello strapazzo. La capacità di formulare giudizi ben fondati non è certo più ricca in loro che negli altri ma è raro trovare in loro una torpida inerzia intellettiva o la stolidità. La sovrabbondante produttività delle loro menti ha indotto un mio amico ad affermare che gli isterici sono il fiore dell'umanità, senza dubbio altrettanto sterile ma altrettanto bello quanto i fiori doppi. La loro vivacità e irrequietezza, la loro bramosia di sensazioni e di attività mentali, la loro intolleranza della monotonia e della noia, possono essere spiegate come segue: essi appartengono a quelle persone il cui sistema nervoso, mentre e in riposo, libera più energia di quanta non ne abbia bisogno. Al momento dello sviluppo puberale, e in conseguenza di esso, questo eccesso di base è incrementato dal potente aumento dell'eccitazione che deriva dal destarsi della sessualità, ossia dalle ghiandole sessuali. Da quel momento in poi vi è un surplus di energia nevrotica libera, disponibile per la produzione di fenomeni patologici. Ma perché questi fenomeni si manifestino sotto l'aspetto di sintomi isterici, è evidente che deve esistere, nell'individuo in questione, un'altra idiosincrasia specifica, dato che, in fin dei conti, la grande maggioranza di persone vivaci ed eccitabili ' non diventa isterica '. In precedenza sono riuscito a dare di questa idiosincrasia solo una definizione vaga e poco illuminante: «abnorme eccitabilità del sistema nervoso». Ma possiamo andar oltre e dire che questa anormalità risiede nel fatto che in queste persone l'eccitazione dell'organo centrale può diffondersi negli apparati nervosi periferici, e anche negli apparati nervosi degli organi vegetativi, i quali si trovano isolati da forti resistenze dal sistema nervoso centrale. Può darsi che questo concetto dell'esistenza di un eccesso di eccitazione costantemente presente, e che può diffondersi negli apparati sensori, vasomotori e viscerali, possa già di per sé solo rendere conto di taluni fenomeni patologici. In persone di questo tipo, appena la loro attenzione sia forzatamente concentrata su una parte del corpo, quella che Exner definisce «facilitazione da attenzione» in una via di conduzione sensoria, viene a superare il livello normale. L'eccitazione libera e fluttuante viene -ed in effetti così accade - deviata verso questa via e si instaura un'iperalgesia locale. In conseguenza, qualsiasi dolore, comunque provocato, raggiunge il massimo dell'intensità e qualsiasi sofferenza diventa «tremenda» e «insopportabile». Inoltre, mentre nelle persone normali un dato quantitativo di eccitazione, dopo aver sensibilizzato una via sensoriale, la abbandona sempre, in questi casi ciò non avviene. Di più: questa quantità non solo permane, ma è costantemente accresciuta dall'influsso di nuove eccitazioni. Per questo una lieve lesione a un'articolazione porta artralgia, e le sensazioni dolorose da turgore delle ovaie portano alla nevralgia ovarica cronica e, siccome gli apparati nervosi del sistema circolatorio sono più accessibili all'influenza cerebrale che nelle persone normali, troviamo palpitazioni nervose del cuore, tendenza alla sincope, facilità all'eccessivo arrossimento e im-pallidimento, e così via. Però, non è solo in rapporto alle influenze centrali che gli apparati nervosi periferici sono più facilmente eccitabili. Essi reagiscono anche in modo eccessivo e anomalo a stimoli adatti e funzionali. Le palpitazioni verranno in seguito a un modesto sforzo, oltre che a eccitamento emotivo, e i nervi vasomotori provocheranno costrizione delle arterie («dito morto») indipendentemente da qualsiasi influsso psichico. E, come una lieve lesione lascia dietro di sé una artralgia, così un breve attacco di bronchite è seguito da asma nervosa e un'indigestione da dolori cardiaci. Pertanto dobbiamo riconoscere che l'accessibilità a somme di eccitazione di origine centrale altro non è che un caso speciale di un'eccitabilità anormale generica 12, anche se è la più importante dal punto di vista della nostra presente argomentazione. Mi sembra, quindi, che la vecchia «teoria riflessa» per spiegare questi sintomi, i quali forse sarebbero meglio definiti col semplice appellativo di «nervosi», ma che fanno parte del quadro clinico dell'isteria, non deve essere integralmente respinta. Il vomito, che accompagna naturalmente la dilatazione dell'utero in gravidanza, può benissimo, quando vi sia questa eccitabilità abnorme, persistere in via riflessa in seguito a banali stimolazioni uterine e forse persino in seguito alle variazioni periodiche del volume delle ovaie. Ci sono noti tanti effetti a distanza di alterazioni organiche, tanti casi strani di «dolori riferiti al passato», che non possiamo escludere la possibilità che una molteplicità di sintomi nervosi, in qualche caso di origine psichica, possano in altri casi essere gli effetti remoti di un'azione riflessa. In effetti, io oso avanzare l'antiquatissima eresia che persino la debolezza motoria di una gamba possa a volte essere causata da un'affezione genitale attraverso un'azione riflessa diretta e non in via psichica. Penso che faremo bene a non insistere troppo sull'esclusività delle nostre nuove scoperte e a non cercare di applicarle a tutti i casi. Altre forme di eccitabilità sensoriale anormale sfuggono tuttora completamente alla nostra comprensione: per esempio l'analgesia generale, levaree anestetiche, il restringimento reale del campo visivo, e così via. E possibile e forse probabile, che ulteriori osservazioni dimostrino l'origine psichica di questa o quella stigma, spiegando in tal modo il sintomo. Ma per ora ciò non è accaduto - dato che non mi arrischio a generalizzare le osservazioni di cui al nostro primo caso clinico - e non ritengo giustificato presumere che tale sia la loro origine prima che sia stata adeguatamente studiata. D'altra parte l'idiosincrasia del sistema nervoso e della mente, di cui abbiamo trattato, sembra spiegare una o due caratteristiche assai comuni in molti pazienti isterici. L'eccesso di eccitazione, liberato dal loro sistema nervoso quando è in condizioni di riposo, è la causa della loro incapacità a sopportare una vita monotona e la noia; la loro bramosia di sensazioni li spinge, dopo l'instaurarsi della malattia, a rompere la monotonia della loro vita di infermi con ogni sorta di «incidenti», i più rilevanti tra i quali sono, per forza di cose, fenomeni patologici. In questo essi sono spesso sostenuti dall'auto-suggestione. Sono trascinati sempre più avanti per questa strada dal loro bisogno di essere malati, caratteristica notevole così patognomonica dell'isteria quanto la paura di ammalarsi lo è dell'ipocondria. Conosco un'isterica che si procurava delle lesioni spesso molto gravi, semplicemente per se stessa senza che chiunque, nemmeno il medico lo venisse a sapere. Se non aveva altro da fare era solita compiere ogni sorta di stranezze mentre era sola in camera, pur di provare a se stessa di non essere normale. Infatti aveva la netta sensazione di non sentirsi bene e non poteva espletare le proprie mansioni in modo soddisfacente, per cui cercava di giustificarsi ai suoi occhi con azioni come queste. Un'altra paziente, donna molto malata che soffriva di scrupolosità patologica ed era piena di sfiducia in se stessa, sentiva come una colpa ogni fenomeno isterico, perché, diceva, non l'avrebbe avuto se proprio non avesse voluto. Allorché una paresi agli arti inferiori fu diagnosticata erroneamente come un'affezione del midollo spinale, ella provò un immenso sollievo, e quando le fu detto che era «semplicemente nervosa» e che sarebbe passata, questo fu sufficiente a procurarle gravi rimorsi. Il bisogno di essere malata deriva dal desiderio della paziente di convincere se stessa e gli altri della realtà della propria malattia. Quando questa necessità si associa anche al disagio provocato dalla monotonia di una camera di ricovero, viene portata al massimo la tendenza a produrre un numero sempre più grande di sintomi. Però se si arriva all'inganno e alla vera simulazione (e io credo che adesso esageriamo nella negazione della simulazione come un tempo esageravamo nell'ammetterla), ciò non dipende da una disposizione isterica ma, come molto giustamente ha detto Moebius, dal fatto che questa è complicata da altre forme di degenerazione, da un'innata inferiorità morale. Proprio in questa maniera viene a formarsi l'«i-steria maliziosa», ossia il caso di una persona congenitamente eccitabile, ma povera di emozioni, che diventa vittima di quell'egoistico esibizionismo che è tanto facilmente prodotto dalla cattiva salute cronica. Incidentalmente, l'«isterica maliziosa» non è più comune del paziente maligno proprio degli stadi avanzati della tabe. Un eccesso di eccitazione dà luogo anche a fenomeni patologici nella sfera motoria. I bambini con queste caratteristiche molto facilmente sono affetti da movimenti a tipo di tic. Essi possono essere scatenati inizialmente da sensazioni agli occhi o al viso provocate da qualche capo di vestiario scomodo, però diventano permanenti se non sono prontamente controllati. Le vie riflesse vengono profondamente tracciate con grande facilità e speditezza. Non si può nemmeno escludere la possibilità che si tratti semplicemente di crisi convulsive motorie, indipendenti da qualsiasi fattore psichico, e che altro non vi sia che una scarica della massa di eccitazione accumulatasi per sommazione, nella stessa maniera in cui una massa di stimoli, provocati da modificazioni anatomiche, si scarica in una crisi epilettica. In questo caso avremmo le convulsioni isteriche, ideogene. Tanto spesso troviamo adolescenti, in precedenza sani anche se eccitabili, che si ammalano di isteria al tempo dello sviluppo puberale, che ci dobbiamo domandare se questo processo fisiologico non crei la disposizione all'isteria congenitamente assente. E in ogni modo dobbiamo imputare a esso di più che un semplice incremento della quantità di eccitazione. La maturazione sessuale esercita una pressione sull'intero sistema nervoso, accrescendo l'eccitabilità e riducendo ovunque le resistenze. Abbiamo appreso questo dall'osservazione di adolescenti non isterici ed è quindi giustificata la nostra opinione che la maturazione sessuale stabilisce anche una disposizione isterica in quanto determina precisamente questa caratteristica del sistema nervoso. Col dire questo noi già riconosciamo la sessualità come una delle principali componenti dell'isteria. Vedremo che la parte avuta dalla sessualità nell'isteria è ancora molto più grande, e che essa contribuisce nei modi più diversi al manifestarsi della malattia. Se le stigmate sorgono direttamente da questo terreno congenito dell'isteria e non sono di origine ideogena, è anche impossibile attribuire all'ideogenesi una posizione talmente centrale nell'isteria come si vuole talvolta fare oggigiorno. Che cosa vi potrebbe essere di più genuinamente isterico delle stigmate? Sono reperti patognomonici su cui si fonda la diagnosi, eppure proprio esse non sembrano essere ideogene. Ma se la base dell'isteria e un'idiosincrasia dell'intero sistema nervoso, il complesso di sintomi ideogeni, determinati psichicamente, verrà eretto su di essa come un edificio sulle fondamenta. E sarà un edificio a molti piani. E come è possibile capire la struttura di un edificio soltanto distinguendo tra le disposizioni degli ambienti nei diversi piani, così, io penso, è necessario, per capire l'isteria, fare attenzione ai vari tipi di complicazione che si hanno nella formazione dei sintomi. Se noi li trascuriamo e cerchiamo di mettere insieme una spiegazione dell'isteria avvalendoci di un solo nesso causale, troveremo che rimane sempre un fortissimo residuo di fenomeni inesplicati. È come se cercassimo di far entrare le diverse stanze di una casa a molti piani nella pianta di un singolo piano. Analogamente alle stigmate, molti altri sintomi nervosi, quali dolori e fenomeni vasomotori e forse attacchi convulsivi puramente motori, non sono, come si è visto provocati da idee, ma derivano direttamente dalla fondamentale anomalia del sistema nervoso. Più affini a questi sono i fenomeni ideogeni, semplici conversioni di eccitamenti affettivi. Essi insorgono in conseguenza di emozioni in soggetti con disposizione isterica e, al primo apparire, altro non sono che un'«abnorme espressione delle emozioni» 13. E diventano, per ripetizione, un sintomo genuino e apparentemente soltanto somatico, mentre l'idea che ha dato loro origine diventa indistinguibile oppure è respinta e quindi rimossa dalla coscienza. Le più numerose e importanti idee, che sono respinte e convertite, hanno un contenuto sessuale. Esse si trovano alla base di moltissimi casi di isteria puberale. Le fanciulle che si approssimano alla maturità - sono queste le principali interessate - si comportano in modo molto differente nei confronti delle idee e dei sentimenti sessuali che si affollano dentro di loro. Talune li affrontano senza alcun imbarazzo, e tra di esse qualcuna ignora o trascura l'intero problema. Altre li accettano al modo dei maschi, e questa è la regola tra le ragazze appartenenti alla classe contadina e a quella operaia. Altre ancora, con curiosità più o meno perversa, ricercano quanto di sessuale possano cogliere nelle conversazioni e nei libri. Infine vi sono nature finemente costituite, le quali, pur essendo grande la loro eccitabilità sessuale, hanno un'elevata purezza morale e sentono che tutto ciò che è sessuale è incompatibile con i loro princìpi morali, qualcosa di sporco e di impuro l4. Costoro reprimono la sessualità dalla coscienza e le idee affettive con un contenuto del genere, che hanno provocato i fenomeni somatici, sono respinte e perciò diventano inconsce. La tendenza a escludere ciò che è sessuale è ulteriormente intensificata dal fatto che nelle giovani non maritate l'eccitamento sessuale contiene un misto di ansia, di paura di quel che sta per accadere, ignoto e sospettato a metà, laddove negli uomini giovani e sani è un istinto aggressivo non commisto con altro. La fanciulla sente nell'eros la terribile potenza che la governa e decide del suo destino, e ne è spaventata, e quindi tanto più grande sarà la sua tendenza a distogliere lo sguardo e a reprimere dalla coscienza ciò che la spaurisce. Il matrimonio apporta nuovi traumi sessuali. È sorprendente che la prima notte non abbia effetti patogeni più di frequente, in quanto molto spesso essa non porta una seduzione amorosa ma una violenza. Però non è raro trovare nelle giovani spose casi di isteria che possono essere ad essa riferiti e che scompaiono se, col tempo, sorge il godimento sessuale che cancella il trauma. I traumi sessuali intervengono anche nel corso più avanzato di molti matrimoni. I casi clinici, dalla cui pubblicazione siamo stati costretti ad astenerci, ne comprendono un gran numero: richieste perverse da parte del marito, pratiche contro natura, ecc. Non credo di esagerare se affermo che la grande maggioranza di nevrosi gravi nelle donne nascono nel letto matrimoniale l5. Certe noxae sessuali, essenzialmente consistenti in insufficiente soddisfazione (coitus interruptus, ejaculatio praecox, ecc.) secondo la scoperta di Freud, non sfociano nell'isteria ma in una nevrosi ansiosa. Però io sono dell'avviso che persino in questi casi l'eccitazione delle emozioni sessuali è assai di frequente convertita in fenomeni isterici somatici. È evidente di per sé, e anche sufficientemente comprovato dalle nostre osservazioni, che le emozioni non sessuali della paura, dell'ansia e dell'ira conducono allo sviluppo di fenomeni isterici. Ma forse merita insistere ancora sul fatto che l'elemento sessuale è di gran lunga il più importante ed e quello che più produce risultati patologici. L'osservazione priva di pregiudizi dei nostri predecessori, un vestigio della quale vive nel termine «isteria» (derivato dalla parola greca che significa «utero»), si era avvicinata alla verità più delle opinioni recenti che mettono la sessualità quasi all'ultimo posto per salvare le pazienti dal biasimo morale. I bisogni sessuali delle isteriche sono di grado variabile da una paziente all'altra quanto lo sono nelle persone sane, né sono più forti che in queste, ma le prime si ammalano per causa loro e, nella maggioranza dei casi, proprio perché lottano contro di essi, proprio perché si difendono dalla sessualità. Accanto all'isteria sessuale dobbiamo a questo punto ricordare l'isteria da paura — isteria traumatica propriamente detta - che rappresenta una delle forme meglio note e riconosciute di isteria. In quello che può essere considerato lo stesso strato in cui nascono i fenomeni derivanti da conversione dell'eccitazione emotiva, si trovano quelle forme che devono la loro origine alla suggestione - autosuggestione il più delle volte - in soggetti congenitamente suggestionabili. Un elevato grado di suggestionabilità - vale a dire l'incontenibile predominio delle idee nuove - non rientra tra le caratteristiche essenziali dell'isteria. Però può essere presente quale complicazione in soggetti con disposizione isterica, nei quali proprio questa idiosincrasia del sistema nervoso rende possibile la realizzazione somatica di idee «prevalenti». Inoltre, nella maggior parte dei casi solo le idee emotive si trasformano in fenomeni somatici grazie alla suggestione, e pertanto il processo può spesse volte essere considerato alla stregua di una conversione della concomitante emozione di paura o di ansia. Questi processi - conversione di uno stato affettivo e suggestione -rimangono gli stessi persino nelle forme complicate di isteria, che adesso dobbiamo prendere in considerazione. Essi trovano semplicemente condizioni più favorevoli in questi casi: i fenomeni isterici determinanti psichicamente nascono invariabilmente per opera di uno di questi due processi. Il terzo costituente della disposizione isterica, che in alcuni casi si manifesta in aggiunta a quelli già trattati, è lo stato ipnoide, cioè la tendenza all'auto-ipnosi. Questo fatto favorisce e facilita al massimo sia la conversione che la suggestione, e in questa maniera si potrebbe dire che erige, sopra le isterie minori, il piano sopraelevato dell'isteria maggiore. La tendenza all'autoipnosi è uno stato inizialmente transitorio e alternantesi allo stato normale. Possiamo imputare ad esso il medesimo aumento dell'influenza mentale sull'organismo che osserviamo nell'ipnosi artificiale. Ma qui l'influenza è tanto più intensa e approfondita in quanto si esercita su un sistema nervoso che persino alì'infuori dell'ipnosi è anormalmente eccitabile 16. Non sappiamo dire sino a che segno e in quali casi la tendenza all'auto-ipnosi sia una proprietà innata dell'organismo. Ho già espresso l'opinione che essa si sviluppi da fantasticherie cariche di contenuto emotivo. Ma non c'è dubbio che la disposizione innata abbia anch'essa una notevole importanza. Se tale opinione è corretta, risulterà chiaro una volta di più quale grande influenza debba essere attribuita alla sessualità nell'insorgenza dell'isteria, giacché, a prescindere dall'assistenza degli infermi, nessun altro fattore psichico è più adatto a provocare fantasticherie cariche di emozione, dei desideri di una persona innamorata. E sopra ogni altra cosa è l'orgasmo sessuale stesso, con la sua dovizia di emozioni e con il restringimento della coscienza, la condizione più strettamente affine agli stati ipnoidi. L'elemento ipnoide si manifesta col massimo di evidenza negli attacchi isterici e in quegli stati che possono essere descritti come isteria acuta e che, a quanto sembra, hanno una parte tanto importante nello sviluppo dell'isteria. Essi sono ovviamente stati psicotici che persistono a lungo, talora parecchi mesi, e che spesso devono di necessità essere descritti come confusione allucinatoria. Persino se il disturbo non arriva a tanto, emergono da esso molti tipi di fenomeni isterici, alcuni dei quali persistono effettivamente dopo la sua scomparsa. 11 contenuto psichico di questi stati consiste in parte proprio nelle idee che sono state rigettate nella vita di veglia e riprese dalla coscienza. (Cfr. i «deliri isterici dei santi e delle monache, delle donne che praticano la castità e dei fanciulli ben educati»). Poiché questi stati tanto spesso non sono altro che psicosi eppure derivano immediatamente ed esclusivamente dall'isteria, non posso concordare con l'opinione di Moebius che «a prescindere dai deliri connessi con le crisi, non è possibile parlare di una vera e propria follia isterica». In molti casi questi stati costituiscono una follia di questo genere, e psicosi come queste ricorrono anche nell'ulteriore corso dell'isteria. E vero che essenzialmente essi altro non sono che lo stadio psicotico di un attacco, ma ciononostante è ben difficile considerarli attacchi, dato che durano mesi. Come insorge uno di questi casi di isteria acuta? Il meglio conosciuto (caso i) si era sviluppato in seguito all'accumulo di crisi ipnoidi. In un altro caso (in cui già era presente una isteria complicata) insorse in concomitanza a uno stato di astinenza da morfina. Il processo è oscuro in massima parte e richiede di essere chiarito da ulteriori osservazioni. Di conseguenza, potremmo applicare alle isterie qui discusse l'affermazione di Moebius: «il mutamento essenziale che si ha nell'isteria è il fatto che lo stato mentale dell'isterico diventa temporaneamente o permanentemente simile a quello dei soggetti ipnotizzati». La persistenza, nello stato normale, dei sintomi insorti durante la condizione ipnoide corrisponde integralmente alle nostre esperienze sulla suggestione postipnotica. Ma ejò già comporta che complessi di idee, inammissibili per la coscienza, coesistano con le serie di idee che seguono un corso cosciente, e che abbia avuto luogo la scissione della mente. Pare certo che ciò possa avvenire persino senza stato ipnoide, in seguito alla grande massa di pensieri respinti e repressi dalla coscienza ma non soppressi. In un modo o nell'altro si forma una zona di vita mentale — talvolta povera di idee e rudimentale, tal'altra più o meno sullo stesso piano del pensiero di veglia - della cui conoscenza, dopo tutto, andiamo debitori a Binet e (anet. La scissione dalla psiche è il compimento dell'isteria. Ho dimostrato sopra come essa spieghi le principali caratteristiche del disturbo. Una parte della psiche del paziente è in stato ipnoide, permanentemente ma con vivezza di idee di grado variabile, ed è sempre pronta, ove venga meno il pensiero di veglia, ad assumere il controllo dell'intera persona (per esempio in una crisi o nel delirio). Ciò avviene non appena una potente emozione interrompa il corso normale delle idee, negli stati crepuscolari e in quelli da esaurimento. Idee non motivate, refrattarie alla normale associazione, provenienti da questo persistente stato ipnoide, si aprono la strada verso la coscienza. Allucinazioni si introducono nel sistema percettivo e attività motorie ricevono i loro impulsi nervosi al di fuori della volontà cosciente. La psiche ipnoide è in sommo grado suscettibile alla conversione delle emozioni e alla suggestione, e pertanto facilmente insorgono nuovi fenomeni isterici, che, senza la scissione della psiche, si sarebbero manifestati solo con grande difficoltà e sotto la spinta di reiterate emozioni. La psiche sdoppiata è il demonio dal quale i pazienti erano posseduti secondo le semplicistiche osservazioni di epoche superstiziose. E vero che uno spirito estraneo alla coscienza di veglia ha il paziente in sua balia, però tale spirito non è effettivamente estraneo, ma è parte del paziente stesso. Il tentativo compiuto per elaborare una costruzione sintetica dell'isteria con i materiali della nostra conoscenza attuale, è aperto all'accusa di eclettismo, se tale accusa può mai essere giustificata. Vi erano tante teorie dell'isteria, dalla vecchia «teoria riflessogena» alla «dissociazione della personalità», che dovevano trovar posto in essa. Ma non poteva essere altrimenti, perché moltissimi eccellenti osservatori e menti acute si sono occupati dell'isteria. E improbabile che vi fosse una di quelle teorie priva sia pure di una particella di verità. Una esposizione futura dell'effettivo stato di cose certamente dovrà includerle tutte e consisterà semplicemente nel riunire in una realtà organica tutte quelle concezioni unilaterali. Pertanto l'eclettismo non mi sembra nulla di cui ci si debba vergognare. Ma quanto mai lontani siamo oggi dalla possibilità di una concezione cosi integrale dell'isteria! Con quale incertezza di tratti ne abbiamo abbozzato i contorni in queste pagine, con quali goffe ipotesi abbiamo celato, piuttosto che valicato, le amplissime lacune! Solo una considerazione è fino a un certo punto consolante: questi difetti sono, e devono essere, propri di qualsiasi descrizione fisiologica di complicati processi psichici. Di essi dobbiamo sempre dire quel che Teseo dice della tragedia nel Sogno di una Notte di Mezza Estate: «11 meglio in essa è fatto di ombre». Eppure nemmeno lo sforzo più debole è privo di valore se tenta onestamente e modestamente di fissare i contorni delle ombre che oggetti reali sconosciuti proiettano sul muro. Perché allora, nonostante tutto, è sempre giustificata la speranza che vi sia un certo grado di corrispondenza e di analogia tra i processi reali e l'idea che noi ce ne facciamo. Note 1 Questo apparato percettivo, che comprende le zone sensoriali della corteccia, deve essere differente dall'organo che immagazzina e riproduce le informazioni sensoriali sotto forma di immagini mnemoniche. Infatti la caratteristica fondamentale della funzione dell'apparato percettivo deve essere tale che in esso lo status quo ante sia ristabilito con la massima rapidità possibile, altrimenti nessuna nuova percezione potrebbe aversi in modo adeguato. La caratteristica essenziale della memoria, invece, è che tale reintegrazione non deve aver luogo, ma che anzi ciascuna percezione deve creare cambiamenti stabili. Non è possibile che uno stesso organo esplichi queste due funzioni contraddittorie. Lo specchio di un telescopio non può essere allo stesso tempo una lastra fotografica. Io sono d'accordo con Mynert, nel senso che, come ho detto, credo che ciò che conferisce alle allucinazioni il loro carattere obiettivo è un'eccitazione dell'apparato percettivo (sebbene non concordi con lui quando parla di eccitazioni dei centri sottocorticali). Se l'organo percettivo è eccitato da un'immagine mnemonica, dobbiamo supporre che l'eccitabilità di quest'organo sia stata alterata in senso anomalo, e che sia questo cambiamento che rende possibili le allucinazioni. 2 Attribuita da Oppenheim (1890) a «instabilità delle molecole». In uno studio più avanzato sarà forse possibile sostituire a questa vaga affermazione contenuta in questo testo, una formulazione più esatta e significativa. 3 Forse posso ardire qui di dare un breve cenno della cognizione su cui si basano le affermazioni di cui sopra. Abitualmente noi pensiamo alle cellule nervose sensoriali come se fossero organi ricettivi passivi. Questo è un errore. Infatti la semplice esistenza di un sistema di fibre associative comprova che queste cellule sensoriali nervose inviano anch'esse delle eccitazioni alle fibre nervose. Se le eccitazioni provenienti da due cellule di senso si trasmettono attraverso una fibra nervosa che le collega — o per continuitatem o per contiguitatem (ossia se la fibra è un prolungamento delle cellule o è in contatto con esse) - questa fibra deve possedere uno stato di tensione. Questo stato di tensione ha con la trasmissione dell'impulso, per esempio, attraverso una fibra periferica motrice, lo stesso rapporto che la pressione idrostatica ha con la viva forza dell'acqua corrente, o che la tensione elettrica ha con la corrente elettrica. Se tutte le cellule nervose si trovano in uno stato di media eccitazione ed eccitano i propri prolungamenti nervosi (cilindrassi), l'intera immensa rete costituisce un unico serbatoio di «tensione nervosa». Dunque, a prescindere da una energia potenziale che rimane allo stato di quiescenza nella sostanza chimica della cellula e da una forma ignota di energia cinetica che si scarica quando le fibre sono in stato di eccitazione, dobbiamo supporre l'esistenza di un altro stato quiescente dell'eccitazione nervosa: l'eccitazione tonica o tensione nervosa. 4 La concezione dell'energia del sistema nervoso centrale come di una quantità distribuita per tutto il cervello in maniera mutevole e fluttuante, è antica. «La sensibt-lilé», ha scritto Cabanis (1824), «semble se comporter à la manière d'un fluide doni la quantità totale est détenninée et qui. toutes les fois quii se jette en plus grande abon-dance dans un de ses canaux. diminue proportiunnellement dans les autres.» (Citato da (anet. 1894). [La sensibilità sembra comportarsi analogamente a un fluido la cui quan-tità totale è determinata e che. ogni volta che si immette con maggior abbondanza in uno dei suoi canali, diminuisce in proporzione negli altri.] 6 Desidero vivamente non tirarla troppo in lungo con la similitudine del sistema elettrico. Tenendo presenti le condizioni del tutto dissimili, essa non può chiarire il funzionamento del sistema nervoso né sicuramente spiegarlo. Ma potrei ricordare ancora una volta il caso in cui, a cagione di una tensione eccessivamente alta, l'isolamento dei fili in un sistema di illuminazione viene meno e si ha un corto circuito in un dato punto del sistema. Se in questo punto si hanno dei fenomeni elettrici, come sovrariscal-damento o scintillamento, la lampada, cui questi fili sono collegati, cessa di far luce. Proprio nello stesso modo, lo stato affettivo manca di manifestarsi se l'eccitazione si scarica in un riflesso anomalo e viene convertita in fenomeno somatico.</p> 7 A questo proposito cfr. alcune interessanti osservazioni e commenti di Benedikt. 8 Confrontare in passo del Bewegungempfindungen di Mach (1875) che merita di essere ricordato a questo proposito: «Spesso è stato osservato, durante gli esperimenti sulla vertigine, da me descritti, che in generale si instaurava una sensazione di nausea se si incontravano difficoltà ad armonizzare le sensazioni di movimento con le impres sioni ottiche. Sembrava come se una parte dello stimolo proveniente dal labirinto fosse costretta a lasciare le vie ottiche, che erano chiuse ad esso a cagione di un altro stimolo, per entrare in vie nervose del tutto differenti... Inoltre ho ripetutamente osservato un senso di nausea quando si tenta di fondere immagini stereospichc che siano molto separate». 9 Per questo caso devo ringraziare il Dr. Paul Karplus. 10 Quando, qui come più avanti, parliamo di idee presenti e operanti sebbene ancora inconsce, raramente intendiamo singole idee (come il grosso serpente, visto in allucinazione da Anna O., che diede inizio al suo spasmo). Quasi sempre si tratta di complessi di idee, di evocazioni di eventi esteriori e di catene di pensieri del soggetto stesso. Talora si dà il caso che ciascuna singola idea compresa in questo complesso di idee venga pensata consciamente e che ciò che è escluso dalla coscienza sia la loro particolare combinazione. 11 Debbo però far rilevare che precisamente nel caso meglio conosciuto e più chiaro di grande isteria con evidente doublé consdence - cioè il caso di Anna O. - nessun residuo dello stadio acuto persistette in quello cronico e tutti i fenomeni propri del primo si erano già prodotti durante il «periodo di incubazione» in stati ipnoidi ed affettivi. 12 L'instabilità delle molecole» di Oppenheim. 13 Questa disposizione altro non è che quella di cui parla Strùmpell (1892) definendola «disturbo della sfera psicofisica». 14 Talune osservazioni ci inducono a credere che la paura di toccare, o, più esattamente, la paura di sporcarsi, che costringe le donne a lavarsi continuamente le mani, molto spesso ha questa origine. Il loro lavarsi deriva dallo stesso processo mentale di Lady Macbeth. 15 E' un fatto quanto mai disgraziato che la medicina clinica ignori uno tra i più importanti fattori patogenetici o al più si limiti ad accennare ad esso con discrezione. È certamente un argomento in cui le conoscenze di medici esperti dovrebbero essere comunicate agli allievi, i quali di regola trascurano ciecamente la sessualità in ogni caso quando si tratta dei loro pazienti. 16 Si è tentati di identificare la disposizione all'ipnosi con una eccitabilità anormale innata. Infatti anche l'ipnosi artificiale rivela alterazioni ideogene nella secrezione o nella irrorazione sanguigna locale, formazione di vescicole, ecc. Sembra che questa sia l'opinione sostenuta da Moebius. Ma secondo me essa ci chiuderebbe in un circolo vizioso. I risultati miracolosi dell'ipnosi, per quel che mi è dato vedere, si riscontrano solo nei pazienti isterici. Quel che dovremmo fare sarebbe attribuire innanzitutto i fenomeni isterici all'ipnosi e quindi affermare che l'ipnosi è la causa di quei fenomeni. 5 L'istinto di vendetta, che nell'uomo allo stato di natura è tanto potente e che è travestito più che represso dalla civiltà, altro non è che l'eccitazione di un riflesso che non e stato scatenato. Questo è il riflesso psichico preformalo e adeguato per difendere se stessi contro il danno in una lotta e per danneggiare, a questo fine, il proprio avversario. Se il riflesso è stato applicato in modo insufficiente o non è slato esplicato affano, esso sarà costantemente scatenalo dal ricordo, e ('«istinto della vendetta» si manifesterà come un impulso \olitivo irrazionale, così come fanno tutti gli altri «istinti». La prova di ciò si trova proprio nell'irrazionalità dell'impulso, nel suo essere avulso da qualsiasi questione di utilità o convenienza, e soprattutto nella sua indifferenza per la sicurezza del soggetto stesso. Non appena il riflesso è stato scatenato, la paura irrazionale dell'impulso può diventare cosciente.Ein underes Antlitz. eh sic geschelwn Ein underes zeigl die voilbwchle Tal. [Letteralmente: «Un'azione presenta un aspetto prima di essere compiuta e un altro dopo essere stata compiuta». Schiller, Die Bruni voti Messine;. III. 58]1 |