CasisticaSigmund FreudCASO II. FRAU EMMY VON N. |
Il primo maggio 1889 cominciai a trattare una signora sulla quarantina, i cui sintomi e la cui personalità mi interessavano in tal misura che dedicai a lei gran parte del mio tempo, deciso a fare quanto era in mio potere per la sua guarigione. Era un'isterica che poteva essere messa in stato di sonnambulismo con la massima facilità, e quando me ne fui reso conto stabilii di far uso della tecnica di investigazione sotto ipnosi di Breuer, della quale ero venuto a conoscenza dal rapporto, che egli mi aveva fatto, del trattamento con esito felice della sua prima paziente. Fu questo il mio primo tentativo di ricorrere a tale metodo curativo. Ero ancora ben lungi dal dominarlo appieno e infatti non approfondii abbastanza l'analisi dei sintomi né la condussi con sufficiente sistematicità. Riuscirò forse meglio a dare un quadro delle condizioni della paziente e del mio procedimento terapeutico, riportando le notizie che annotavo ogni sera durante le prime tre settimane di cura. Tutte le volte che l'esperienza successiva mi ha fornito una migliore conoscenza, io completerò i miei appunti con annotazioni a pie di pagina e commenti interpolati nel testo. 1 maggio 1889. - La prima volta che la vidi la signora era stesa su un sofà, la testa appoggiata su un cuscino di pelle. Era di aspetto tuttora giovanile, con lineamenti fini, pieni di carattere. L'espressione del viso era tesa e dolente; le palpebre erano tirate e gli occhi erano volti in basso; la fronte era fortemente corrugata e le pieghe nasola-biali erano profonde. Parlava a bassa voce, come se incontrasse qualche difficoltà, e il discorso subiva, di quando in quando, interruzioni di origine spastica, che la facevano balbettare. Teneva strettamente intrecciate le dita, che presentavano una continua agitazione simile all'atetosi. I muscoli facciali e del collo presentavano frequenti movimenti convulsivi simili a tic, durante i quali taluni di essi, e specialmente lo sternocleidomastoideo destro, apparivano fortemente rilevati. Inoltre interrompeva di frequente le sue frasi per produrre con la bocca uno strano suono «schioccante» che sfida qualsiasi imitazione. (Questo «schiocco» si componeva di diversi suoni. Alcuni miei colleghi con esperienza di caccia, avendolo udito mi dissero che le sue note finali ricordavano il richiamo del gallo cedrone.) Quanto mi diceva era perfettamente coerente e rivelava un livello non comune di istruzione e intelligenza. Ciò rendeva più strano il fatto che ogni due o tre minuti ella si interrompeva all'improvviso, storceva il volto in una espressione di orrore e disgusto, tendeva una mano verso di me allargando e increspando le dita ed esclamava, con voce alterata, carica di ansia: «Sta' fermo! Non dire nulla! Non mi toccare!». Probabilmente era sotto l'influsso di qualche allucinazione ricorrente di genere orripilante e con questa formula teneva a bada l'elemento intrusivo. (Queste parole costituiscono infatti una formula protettiva e ciò sarà spiegato più avanti. In seguito mi sono imbattuto in formule similari in una donna affetta da melancolia, che cercava con questo mezzo di dominare i pensieri che la tormentavano, - desiderio che accadesse qualcosa di male al marito e alla madre, bestemmie, ecc.) Queste intermissioni cessavano altrettanto improvvisamente e la paziente riprendeva il filo del discorso senza portar oltre la sua momentanea eccitazione e senza spiegare o scusare il suo comportamento, quindi, probabilmente, senza essersi affatto avveduta dell'interpolazione. (Ci troviamo di fronte a un delirio isterico alternantesi a coscienza normale, proprio come un vero tic si insinua in un movimento volontario senza interferire e senza confondersi con questo.) Riferirò ora le notizie raccolte su di lei. La sua famiglia proviene dalla Germania centrale ma per due generazioni si era stabilita nelle province baltiche della Russia, ove aveva vasti possedimenti. La signora è la tredicesima di quattordici fratelli, di cui solo quattro sono sopravvissuti. È stata allevata con cura, ma con rigida disciplina, da una madre eccessivamente energica e severa. A Ventitré anni aveva sposato un uomo molto dotato e capace, che si era fatto un'alta posizione come industriale in grande, ma che era assai più anziano di lei. Dopo un breve periodo matrimoniale egli morì per un ictus. Ella attribuì la propria malattia a questo fatto oltre che all'incombenza di allevare le due figlie, ora di sedici e quattordici anni, spesso ammalate e sofferenti di disturbi nervosi. Sin dal tempo della morte del marito, quattordici anni or sono, ella è sempre stata malata, più o meno gravemente. Quattro anni fa le sue condizioni sono temporaneamente migliorate grazie a una serie di massaggi combinati con bagni elettrici. Salvo questo fatto, tutti i suoi sforzi per riacquistare la salute sono stati vani. Ha viaggiato parecchio e ha molti e vivi interessi. Attualmente vive in campagna, sul Baltico, nei pressi di una grande città. Per molti mesi è stata di nuovo gravemente ammalata, soffrendo di depressione e insonnia, tormentata da dolori; è andata ad Abbazia nella vana speranza di un miglioramento, e, durante le ultime sei settimane è stata a Vienna, in cura fino ad oggi presso un eminente medico. Le ho suggerito di separarsi dalle figliole, che hanno la loro governante, e di andare in una casa di cura dove potrei vederla ogni giorno, ed ella ha acconsentito senza la minima obiezione. La sera del 2 maggio l'ho visitata nella casa di cura. Ho notato che sussultava violentemente tutte le volte che la porta si apriva inaspettatamente, per cui ho disposto che le infermiere e i medici della clinica quando andavano da lei, bussassero forte e non entrassero finché ella non dicesse loro di entrare. Ma anche così faceva una smorfia e sobbalzava ogni volta che qualcuno entrava. Quel giorno si lamentava soprattutto di una sensazione di freddo e di dolore alla gamba sinistra che proveniva dal dorso sopra la cresta iliaca. Ho ordinato dei bagni caldi e dei massaggi su tutto il corpo due volte al giorno. Era un soggetto eccellente per l'ipnotismo. Non avevo che da tenerle un dito davanti agli occhi e ordinarle di addormentarsi perché cadesse all'indietro, lo sguardo inebetito e confuso. Le suggerivo che avrebbe dormito bene, che tutti i suoi sintomi sarebbero migliorati, e così via. Lei ascoltava tutto a occhi chiusi ma con attenzione indubbiamente concentrata. I suoi lineamenti si rilassavano a poco a poco fino ad assumere un'espressione tranquilla. Dopo la prima ipnosi ella ha conservato un vago ricordo delle mie parole, ma già alla seconda vi era completo sonnambulismo (con amnesia). L'avevo prevenuta che era mia intenzione ipnotizzarla, alla qual cosa non sollevò obiezione. Non era stata ipnotizzata precedentemente, ma è lecito supporre che abbia letto sull'ipnotismo, sebbene io non sappia dire quali nozioni possa avere circa lo stato ipnotico. (Ogni volta che si destava dall'ipnosi si guardava attorno per un momento con espressione confusa, fermava lo sguardo su di me, sembrava aver ripreso conoscenza, si metteva gli occhiali, che si toglieva prima di addormentarsi, e poi era del tutto vivace e presente a se stesso. Sebbene, nel corso della cura, che durò circa sette settimane nel primo anno e otto nel secondo, discorressimo di argomenti di ogni genere, e sebbene io l'addormentassi due volte quasi tutti i giorni, ella non fece mai alcuna osservazione sull'ipnosi né mi pose alcuna domanda su di essa. Nello stato di veglia sembrava ignorare, nei limiti del possibile, il fatto di essere sotto trattamento ipnotico.) Questa cura di bagni caldi, di massaggi due volte al giorno, di suggestione ipnotica, è proseguita per alcuni giorni. Ha dormito bene, è migliorata visibilmente e ha passato la maggior parte del giorno a giacere tranquillamente a letto. Non le era vietato di vedere le figliole, di leggere o di curare la propria corrispondenza. 8 maggio, mattina. - Mi ha intrattenuto, in stato apparentemente del tutto normale, con raccapriccianti storie di animali. Aveva letto nel Frankfurter Zeitung, che era sul tavolo davanti a lei, la storia di un apprendista che aveva legato un ragazzo e gli aveva messo un topo bianco in bocca. Il ragazzo era morto per la paura. Il Dott. K. le aveva detto di aver spedito un'intera cassa di ratti bianchi a Tiflis. Mentre me lo riferiva ella dimostrava tutti i segni dell'orrore. Strinse e allargò i pugni più volte. «Sta fermo! Non dire nulla! Non mi toccare! Se un animale del genere fosse nel mio letto!» (rabbrividì) «Solo a pensare quando viene liberato! C'è un topo morto tra loro... uno che è stato ro-sic-chia-to.» Durante l'ipnosi ho cercato di disperdere queste allucinazioni di animali. Mentre era addormentata ho preso il Frankfurter Zeitung, e vi ho trovato la storia del ragazzo maltrattato che però non faceva alcun riferimento a ratti o topi. Dunque, mentre leggeva, ella aveva introdotto questi animali traendoli dal suo delirio (quella sera le ho detto della nostra conversazione sui topi bianchi. Ella non ne sapeva niente, ne è rimasta assai sorpresa e ha riso di cuore). (Un'improvvisa interpolazione di questo genere, dal delirio allo stato di veglia, non era rara in lei e spesso si ripetè in mia presenza. Ella soleva lamentarsi perché in conversazione spesso dava le risposte più assurde così che la gente non la comprendeva. Quando la visitai la prima volta le chiesi quanti anni avesse e lei mi rispose molto seriamente: «Sono una donna che risale al secolo scorso». Qualche settimana dopo spiegò che, in quel momento, stava pensando, nel suo delirio, a una bella credenza antica che aveva comprato nel corso dei suoi viaggi, dato che era una conoscitrice di mobili antichi. Era a questa credenza che si riferiva la sua risposta quando la mia domanda sulla sua età sollevò l'argomento delle date.) Quel pomeriggio aveva avuto ciò che chiama «crampo al collo» (in realtà una sorta di emicrania), che in ogni modo è durato come ella ha detto, «solo poco tempo... un paio di ore». Sera. - Le ho chiesto, sotto ipnosi, di parlare, cosa che le è riuscita dopo qualche sforzo. Parlava adagio e rifletteva sempre un momento prima di rispondere. L'espressione mutava secondo l'argomento delle sue osservazioni, e diventava calma non appena la mia suggestione poneva termine all'impressione esercitata su di lei da ciò che veniva dicendo. Le ho chiesto perché si spaventasse tanto facilmente, ed ella ha risposto: «legato a ricordi della mia prima gioventù». «Quando?» «La prima volta quando avevo cinque anni e i miei fratelli e le mie sorelle spesso mi gettavano addosso animali morti. Fu allora che ebbi il mio primo svenimento e gli spasmi. Ma la zia mi disse che era vergognoso e che non avrei dovuto avere attacchi del genere, e così essi cessarono. Poi fui spaventata di nuovo quando avevo sette anni e vidi, inaspettatamente, mia sorella nella bara e ancora quando avevo otto anni e mio fratello mi atterriva tanto di frequente avvolgendosi di lenzuoli come un fantasma; e di nuovo a nove anni quando vidi mia zia nella bara e la sua mandibola si abbassò improvvisamente.» Questa serie di cause traumatiche scatenanti, che ella ha evocato in risposta alla mia domanda, del perché fosse sempre così incline a spaventarsi, era sempre a portata di mano nella sua memoria. Non avrebbe potuto ricordare con tanta rapidità questi episodi da diversi periodi dell'infanzia, nel breve intervallo trascorso tra la mia domanda e la sua risposta. Al termine di ogni singolo racconto si contorceva tutta e assumeva una espressione di paura e orrore. Al termine dell'ultimo ha spalancato la bocca e ansimato in cerca d'aria. Le parole con cui descriveva i terrificanti elementi della sua esperienza venivano pronunciate difficoltosamente tra singulti. Dopo, i suoi lineamenti si distendevano. In risposta a una domanda mi ha detto che, nel descrivere queste scene, le vedeva davanti a sé in forma plastica e nei loro colori naturali. Ha detto che in genere pensa assai spesso a queste esperienze e così aveva fatto negli ultimi giorni. Ogni volta che ciò accadeva vedeva queste scene con tutta la vividezza della realtà. (Molti altri pazienti isterici ci hanno riferito di avere ricordi di questo genere con rappresentazioni visive vivaci e che ciò vale in particolare per i ricordi patogeni.) Comprendo ora perché mi intrattenesse tanto spesso con scene di animali e rappresentazioni di cadaveri. La mia terapia consiste nello spazzar via queste rappresentazioni in modo che ella possa riuscire a non vedersele più dinanzi. Per dare un sostegno alla mia suggestione le ho strofinato più volte gli occhi. 9 maggio, mattina - Ha dormito bene senza che io le abbia dato alcuna nuova suggestione. Ma al mattino ha avuto dolori gastrici, che sono comparsi ieri nel giardino dove era rimasta troppo a lungo insieme con le figliole. Ha acconsentito a limitare le visite delle figlie a due ore e mezzo. Qualche giorno fa si era rimproverata di lasciarle sole. Quest'oggi, l'ho trovata in un leggero stato di eccitazione; aveva la fronte solcata da rughe, la loquela era intercisa e faceva i suoi rumori di schiocco. Mentre si faceva massaggiare, mi ha detto soltanto che la governante delle figlie le aveva portato un atlante di etnologia e che alcune illustrazioni di esso, con indiani camuffati da animali, le avevano provocato un forte shock. «Pensi soltanto se diventassero veri» (ha rabbrividito). Sotto l'ipnosi le ho chiesto perché quelle figure l'avevano tanto spaventata, visto che non aveva più paura degli animali. Mi ha detto che le rammentavano certe visioni che aveva avuto a diciannove anni in occasione della morte del fratello (mi asterrò dall'indagare nella sua memoria fino a più tardi). Le ho chiesto poi se aveva sempre parlato inceppandosi e da quando aveva il tic (quel particolare suono schioccante). (Le avevo già posto una domanda sul tic durante lo stato di veglia; mi aveva risposto: «Non so; oh, è tanto tempo».) La balbuzie, ha detto, le era venuta mentre era malata; aveva il tic da cinque anni, cioè da quando, trovandosi al capezzale della figlia minore, molto malata aveva voluto mantenersi assolutamente quieta. Io ho cercato di sminuire l'importanza di questo ricordo insistendo sul fatto che, dopo tutto, non era successo niente alla figliola, e via dicendo. Mi ha detto che il fenomeno si manifestava ogni volta che era in apprensione o spaventata. Io le ho dato l'istruzione di non aver paura delle figure dei pellerossa, ma di ridersene allegramente e anche di richiamare la mia attenzione su di esse. E questo è infatti accaduto dopo il risveglio: ha guardato il libro, chiedendomi se l'avevo veduto, lo ha aperto alla pagina ridendo forte delle grottesche figure, senza il minimo segno di timore e senza alcuna tensione nell'espressione. All'improvviso è entrato il Dott. Breuer, insieme col medico della casa di cura, per visitarla. Lei si è spaventata e ha cominciato a produrre il suono schioccante, sì che essi sono usciti subito. Mi ha spiegato di essere in tale agitazione per essere stata colpita sgradevolmente dal fatto che ogni volta veniva anche il medico della casa di cura. L'ho anche sbarazzata dei dolori gastrici, durante l'ipnosi, strofinandola e dicendole che, sebbene pensasse che i dolori sarebbero tornati dopo il pasto di mezzogiorno, questo non sarebbe accaduto. Sera. - Per la prima volta si è dimostrata allegra e loquace e ha rivelato un senso dell'umorismo che non mi sarei aspettato in una donna tanto seria, e, tra l'altro, grazie all'intensa sensazione di star meglio, si è presa gioco delle cure applicate dal medico mio predecessore. Mi ha detto che da molto tempo aveva l'intenzione di smettere quella cura, ma non le era riuscito di trovare la giusta via per farlo finché un'osservazione casuale del Dott. Breuer, durante una visita, non gliene offrì il destro. Dato che io mi sono mostrato stupito, si è spaventata e ha preso a biasimarsi molto duramente per la propria indiscrezione, ma mi sembra di essere riuscito a rassicurarla. Non ha avuto i dolori gastrici nonostante se li aspettasse. Le ho domandato, sotto ipnosi, di narrarmi altre esperienze che le avessero provocato un durevole spavento. Ha descritto un'altra serie di fatti del genere, risalenti alla giovinezza più avanzata, con la stessa prontezza con cui aveva descritto la prima serie, e mi ha assicurato ancora una volta che tutte quelle scene spesso le comparivano dinanzi agli occhi vivacemente e a colori. Una di queste era il ricordo di quando aveva quindici anni e aveva visto una cugina portata al manicomio. Aveva cercato aiuto senza riuscirvi e aveva perduto, fino a sera, la capacità di parlare. Poiché tante volte, nello stato di veglia, mi aveva parlato di manicomi, l'ho interrotta e le ho chiesto in quali altre circostanze fosse stata preoccupata della pazzia. Mi ha detto che la madre era stata in un manicomio per qualche tempo. Una volta avevano avuto una domestica, la cui precedente padrona era rimasta a lungo in manicomio. Questa domestica era solita raccontarle orrende storie su come i malati venivano legati alle sedie, battuti e così via. Mentre me lo diceva, si torceva le mani per l'orrore: vedeva tutto ciò davanti ai suoi occhi. Mi sono sforzato di correggere le sue concezioni sugli ospizi per alienati e l'ho assicurata che d'ora in poi avrebbe potuto sentir parlare di istituti di quel tipo senza metterli in relazione con se stessa, dopo di che i suoi lineamenti si sono distesi. Ha proseguito con la sua enumerazione di ricordi terrificanti. Uno si riferiva alla madre che ella, quando aveva quindici anni, vide stesa al suolo colpita da un'apoplessia (la madre visse altri quattro anni) e un altro, di quando era diciannovenne e, tornata a casa, trovò la madre morta con la faccia contorta. Naturalmente ho incontrato molta difficoltà nel mitigare questi ricordi. Dopo una spiegazione piuttosto lunga, l'ho assicurata che anche questa immagine le sarebbe riapparsa soltanto indistinta e senza forza. Un altro ricordo risaliva all'età di diciannove anni, quando sollevò una pietra e trovò un rospo sotto di essa ciò che le tolse la capacità di parlare per quattro ore. (Senza meno, dietro l'immagine del rospo si nasconde un tipo particolare di simbolismo, ma sfortunatamente ho trascurato di indagare su di esso.) 10 maggio, mattina. - Oggi per la prima volta la paziente ha fatto un bagno di crusca anziché il solito bagno caldo. L'ho trovata con lo sguardo torvo e l'aria imbronciata, le mani avvolte in uno scialle. Accusava senso di freddo e dolori. Quando le ho chiesto che cosa le succedeva, mi ha detto che la vasca da bagno era scomoda per sedercisi dentro e le aveva cagionato dei dolori. Durante il massaggio ha preso a dire che si sentiva ancora a disagio per aver congedato ieri il Dott. Breuer. L'ho tranquillizzata con una menzogna dicendole che l'avevo sempre saputo, e allora è cessata la sua agitazione (schiocchi e smorfie). Dunque la mia influenza ha già cominciato ad agire in lei in ogni momento, persino mentre la massaggio. Diventa più calma e lucida e io riesco a scoprire la causa del suo malumore anche senza interrogarla sotto ipnosi. E nemmeno la conversazione durante il massaggio è così inutile come potrebbe sembrare, anzi contiene una riproduzione quanto mai integrale dei ricordi e delle nuove impressioni che hanno agito in lei dopo il nostro ultimo incontro, e spesso conduce, in modo inatteso, a reminiscenze patogene delle quali si scarica senza che io gliele chieda. E come se avesse adottato il mio metodo e lo mettesse in pratica nelle nostre conversazioni, certamente non obbligate ma guidate dal caso, quasi come una integrazione dell'ipnosi. Per esempio, oggi ella ha cominciato a discorrere della sua famiglia e, prendendola molto alla larga, è arrivata a parlare di un suo cugino, piuttosto strambo di cervello, al quale i genitori fecero estirpare tutti i denti in una sola seduta. Accompagnava il racconto con occhiate di orrore e seguitava a ripetere la formula protettiva («Stai fermo! Non dire nulla! Non mi toccare!»). Dopo, il viso le si è disteso ed è tornata allegra. Dunque il suo comportamento nella vita di veglia è regolato dalle esperienze nate durante il sonnambulismo, nonostante che ella creda, mentre è desta, di non saperne niente. Durante l'ipnosi le ho chiesto di nuovo che cosa l'abbia tanto sconvolta e ho ricevuto la medesima risposta, ma in ordine inverso: 1. le parole indiscrete del giorno prima; 2. i dolori causati dal disagio provato nel bagno. Oggi le ho domandato il senso dell'esclamazione «Sta fermo!» ecc. Mi ha spiegato che quando ha dei pensieri spaventevoli, teme che il corso di questi possa essere interrotto, perché in questo caso tutto diventa confuso e la situazione diventa ancora peggiore. «Sta fermo!» è collegato al fatto che le immagini di animali, che le appaiono nei suoi momenti peggiori, cominciano a muoversi e prendono ad assalirla se qualcuno fa un movimento davanti a lei. Il comando finale «Non mi toccare!» è legato alle seguenti esperienze. Mi raccontò come il fratello, quando si era gravemente ammalato per aver preso forti dosi di morfina, (lei aveva diciannove anni a quel tempo) volesse afferrarla, e come in un'altra occasione un suo conoscente avesse avuto un improvviso attacco di follia e l'avesse presa per un braccio (v'era inoltre un terzo esempio analogo che non rammentava con precisione). Infine, quando aveva ventotto anni e la figlia era gravemente ammalata, la bambina nel suo delirio l'aveva afferrata tanto fortemente che quasi la soffocava. Sebbene i quattro episodi fossero molto distanziati nel tempo, ella me li ha raccontati in un solo discorso e in così rapida successione che avrebbe potuto benissimo trattarsi di un singolo episodio in quattro atti. Di sfuggita ricordo che tutti i suoi resoconti di episodi traumatizzanti riuniti in gruppi, cominciavano con un «come», mentre le descrizioni dei singoli traumi erano separate da una «e». Poiché avevo notato che la formula protettiva aveva lo scopo di salvaguardarla contro il ritorno di queste esperienze, io ho rimosso tale timore per mezzo della suggestione e infatti non l'ho più sentita pronunciare di nuovo la formula. Sera. - L'ho trovata di ottimo umore. Mi ha detto ridendo di essere stata impaurita da un cagnolino che le aveva abbaiato in giardino. Però aveva il viso un po' tirato e v'era una sorta di agitazione interna che si è dileguata solo dopo che mi ha domandato se mi fossi seccato per qualcosa che mi aveva detto durante il massaggio mattutino ed io le ho risposto «no». Le sue mestruazioni sono oggi nuovamente comparse dopo un intervallo di appena quindici giorni. Ho promesso di regolarle con la suggestione ipnotica e sotto ipnosi, ho stabilito questo intervallo in 28 giorni. (La suggestione è stata efficace.) Sotto ipnosi le ho anche chiesto se ricordava l'ultima cosa che mi aveva detto. Nel porle questa domanda avevo in mente un compito che la sera prima era stato lasciato a mezzo, ma lei ha ripreso correttamente con il «non mi toccare» dall'ipnosi di questa mattina. E così l'ho riportata all'argomento di ieri. Le ho chiesto l'origine del suo balbettio e mi ha risposto: «Non so». (E’ possibile che la risposta «non so» sia esatta ma può anche indicare una riluttanza a parlare delle cause del balbettio. Dopo di allora ho osservato in altri pazienti che, quanto maggiore era stato lo sforzo per sopprimere una cosa dalla loro coscienza, tanto più grande difficoltà incontravano nel ricordarla sia sotto ipnosi sia durante la vita di veglia.) Pertanto le chiesi di ricordarsene al momento dell'ipnosi ed ella, in ottemperanza alla richiesta, mi ha risposto oggi, senza ulteriori riflessioni, ma con grande agitazione e con impedimenti spasmodici nel discorso: «Una volta i cavalli si imbizzarrirono mentre le bambine erano nella carrozza e, un'altra volta, stavo viaggiando con le bambine attraverso un bosco durante un temporale, quando un albero proprio davanti ai cavalli fu colpito dal fulmine e questi si impennarono e io pensai: "Devi rimanere perfettamente tranquilla, altrimenti le tue grida, spaventeranno ancora di più i cavalli e il cocchiere non riuscirà a reggerli affatto!". Il disturbo è comparso in quel momento». Mentre mi narrava questi fatti era eccitata oltre misura. Ho poi appreso da lei che il balbettio era comparso dopo il primo dei due casi narrati, ma che di li a poco era scomparso per ritornare permanentemente dopo il secondo avvenimento. Ho eliminato la viva plasticità di questi ricordi ma le ho ordinato di evocarli ancora una volta. Ella ha evidentemente cercato di farlo, pur rimanendo tranquilla, e da quel momento in poi ha parlato durante l'ipnosi senza alcun impedimento di origine spastica. (Sulla scorta di quanto detto comprendiamo come lo schiocco a tipo di tic, emesso dalla paziente, e la balbuzie spastica erano due sintomi che risalivano a cause scatenanti simili e avevano un meccanismo analogo. Ho già scritto un commento su questo meccanismo in un mio breve lavoro sul trattamento ipnotico - 1892 -e ritornerò sull'argomento più avanti.) Trovandola ben disposta a comunicare, le ho domandato quali altri avvenimenti della sua vita l'abbiano spaventata al punto di lasciarle ricordi vivaci. Mi ha risposto fornendomi una raccolta di queste esperienze: 1. come, un anno dopo la morte della madre, si fosse recata a far visita a una francese loro amica e fosse stata mandata a prendere un dizionario nella stanza vicina, insieme con un'altra ragazza, e come vi avesse trovata, seduta sul letto, una persona perfettamente somigliante alla donna che aveva appena lasciato nell'altra camera. Si sentì irrigidire e rimase inchiodata al suolo. Più tardi venne a sapere che si trattava di un pupazzo speciale. Io le ho detto che quello che aveva visto era stata un'allucinazione e ho fatto appello al suo buon senso, e i suoi tratti si sono rilassati. 2. Come avesse assistito il fratello ammalato, e come questi avesse degli accessi spaventosi a causa della morfina e l'avesse atterrita afferrandola. Ricordavo che ella aveva già accennato a quell'esperienza il mattino e, a titolo sperimentale, le ho chiesto in quali altre occasioni fosse stata afferrata in quel modo. Con mia gradita sorpresa questa volta ha fatto una lunga pausa prima di rispondere e quindi mi ha domandato in tono di dubbio: «La mia figlia minore?». Non è stata in grado di ricordare le altre due occasioni, Dunque il mio divieto di ricordare, modo di cui mi servo per cancellare i suoi ricordi, è stato efficace. Infine 3 come, mentre assisteva il fratello, il pallido volto di sua zia fosse comparso all'improvviso al di sopra di un paravento. Costei era venuta per convertirlo al cattolicesimo. Mi sono accorto di essere arrivato alla radice del suo costante timore delle sorprese e le ho chiesto altri esempi di fatti del genere. Ella ha proseguito: come avessero un amico, che alloggiava presso di loro, al quale piaceva entrare nelle stanze silenziosamente di modo che appariva all'improvviso; come fosse stata molto malata dopo la morte della madre e si fosse recata in un centro termale dove un pazzo era entrato diverse volte, di notte, in camera sua, per sbaglio, dirigendosi verso il suo letto; come, infine, durante il viaggio da Abbazia a qui, un uomo strano avesse aperto quattro volte la porta del suo scompartimento, fissandola ogni volta negli occhi. Ne era rimasta talmente spaventata che aveva mandato a chiamare il capotreno. Ho cancellato tutte queste memorie, l'ho svegliata e l'ho assicurata che la notte avrebbe dormito bene, dato che avevo tralasciato di darle questa suggestione durante l'ipnosi. Il miglioramento dello stato generale è stato dimostrato dal fatto che ella ha rilevato di non aver letto nulla quest'oggi, ma di aver vissuto in una felice situazione di sogno, lei che di solito deve sempre essere occupata in qualche cosa a causa della sua irrequietezza interna. 11 maggio, mattina. - Quest'oggi aveva un appuntamento con il Dott. N., ginecologo, che doveva visitare la figlia maggiore affetta da turbe mestruali. Ho trovato Frau Emmy in condizioni piuttosto agitate, manifestantesi però in segni fisici più lievi che in passato. Di tanto in tanto diceva: «Ho paura, tanta paura; credo che morrò». Le ho chiesto di che cosa aveva paura. Forse del Dott. N.? Mi ha detto che non lo sapeva, che semplicemente aveva paura. Sotto l'ipnosi, che ho indotto prima dell'arrivo del collega, mi ha dichiarato di temere di avermi offeso con qualche frase pronunciata ieri, durante il massaggio, parendole di essere stata scortese. Inoltre aveva paura di tutte le novità, e, di conseguenza, del nuovo dottore. Sono riuscito a tranquillizzarla e, sebbene abbia sussultato una o due volte in presenza del Dott N., a parte questo si è comportata molto bene e non ha emesso alcun suono di schiocco né ha avuto alcun inceppamento della parola. Dopo che egli se ne è andato l'ho rimessa sotto ipnosi, onde allontanare ogni possibile residuo dell'eccitazione provocata dalla visita. Lei stessa era assai compiaciuta del proprio comportamento e riponeva grandi speranze nella cura. Partendo da questo esempio, ho cercato di convincerla che non bisogna aver paura delle novità, perché esse portano anche del bene. (Le suggestioni didattiche di questo genere hanno sempre mancato il bersaglio con Frau Emmy, come si vedrà da ciò che segue.) Sera. - Era molto vivace e sì è scaricata di diversi scrupoli e dubbi nel corso della conversazione precedente l'ipnosi. Sotto ipnosi le ho chiesto quale avvenimento della sua vita avesse prodotto in lei l'effetto più duraturo e più di frequente le ritornasse alla mente. La morte del marito, mi ha risposto. Le ho ingiunto di descrivere questo avvenimento in tutti i particolari, ciò che ella ha fatto con i segni della più profonda emozione ma senza schiocchi né balbettii; ha cominciato col dire come essi si fossero recati in una località della Riviera, molto amata da entrambi, e che, mentre attraversavano un ponte, egli era caduto improvisamente al suolo rimanendo disteso inerte per qualche minuto, dopo di che si era rimesso in piedi e sembrava del tutto a posto. Poco tempo dopo, mentre ella si trovava a letto dopo il secondo puerperio, il marito, che faceva colazione seduto a un tavolino davanti al letto, leggendo il giornale, si era alzato di scatto, l'aveva guardata stranamente, aveva fatto qualche passo in avanti e improvvisamente era caduto morto. Lei si era alzata dal letto e aveva sentito i medici, subito chiamati, che cercavano invano di rianimarlo nella stanza accanto. Poi ha proseguito il suo racconto dicendo che la bambina, allora di poche settimane, era stata colpita da una grave malattia, durata sei mesi, durante la quale lei stessa era stata a letto con la febbre alta. Poi sono seguite in ordine cronologico le sue lamentele nei confronti di questa bambina -espresse in fretta e con un'espressione irosa, come si parlerebbe di una persona che è diventata un fastidio. Questa bambina, ha detto, era stata molto strana per parecchio tempo; piangeva sempre e non dormiva, e inoltre soffriva di una paralisi della gamba sinistra con poche speranze di guarigione. A quattro anni aveva sofferto di visioni e aveva imparato a camminare e a parlare con ritardo di modo che per molto tempo l'avevano creduta deficiente. Secondo i medici aveva avuto l'encefalite e un'infiammazione del midollo spinale e chissà quali altri mali. A questo punto l'ho interrotta per farle notare che questa stessa bambina è attualmente una fanciulla normale nel fiore della salute, dopo di che ho fatto sì che le sia impossibile in avvenire avere ancora di queste visioni malinconiche, non solo eliminando il loro ricordo nella forma plastica, ma addirittura annullando ogni possibilità di rievocazione, come se mai tali visioni fossero esistite nella sua mente. Le ho promesso che ciò l'avrebbe condotta alla liberazione da quello stato di attesa di disgrazie, che la torturava senza tregua, oltre che dai dolori per tutto il corpo, dei quali si è lamentata proprio durante il racconto dopo che, per molti giorni, non ne aveva detto nulla. (Mi pare che in questa occasione la mia energia mi abbia condotto troppo oltre. Quando, circa diciotto mesi dopo, rividi Frau Emmy di nuovo in condizioni di salute abbastanza buone, ella si lamentò che vi erano moltissimi tra i più importanti momenti della sua vita, dei quali serbava solo un vago ricordo. Considerava ciò come una prova dell'affievolirsi della sua memoria e io mi guardai bene dallo spiegarle la cagione di questo speciale caso di amnesia. L'eccessiva efficacia della cura, sotto questo rispetto, era indubbiamente dovuta anche al modo quanto mai particolareggiato con cui l'avevo indotta a ripetere quei ricordi, molto più dettagliati di quanto risulti dai miei appunti, mentre per altri ricordi mi ero spesso contentato di un semplice cenno) Con mia sorpresa, dopo questa suggestione, ella ha preso a parlare, senza fare alcuna pausa, del principe L. della cui fuga da un manicomio si era fatto un gran parlare. Ha espresso altre paure sui manicomi (che le persone al manicomio sono curate con docce di acqua gelata sulla testa e sono messe in una macchina che le fa girare e girare finché non si calmano). Quando, tre anni prima, si era lagnata per la prima volta delle sue paure riguardanti i manicomi, io l'avevo interrotta dopo il primo racconto in cui diceva che i malati vengono legati alle sedie. Oggi mi sono accorto che con questa interruzione non avevo ottenuto niente e che non mi potevo esimere dall'ascoltare i suoi racconti fino alla fine e con tutti i particolari. Esauriti questi arretrati, l'ho liberata anche della sua nuova messe di timori. Ho fatto appello al suo buon senso dicendole che farebbe meglio a credere a me che non alla stolida fantesca, da cui aveva udito quei raccapriccianti racconti sul modo in cui sono gestiti i manicomi. Siccome mi sono accorto che di tanto in tanto balbettava nel dirmi queste cose, le ho domandato di nuovo donde traesse origine il balbettio. Nessuna risposta. «Non lo sa?» «No.» «Perché no?» «Perché no? Perché non potrei!» (ha pronunciato queste parole con violenza e rabbiosamente). Questa dichiarazione mi è sembrata una prova evidente del successo della mia suggestione, ma secondo me esprimeva anche il desiderio di essere destata dall'ipnosi, ciò che ho fatto. (Solo il giorno dopo ho compreso il significato della scenetta. La sua natura insofferente, che si rivoltava contro ogni costrizione tanto nello stato di veglia che durante il sonno artificiale, l'aveva fatta adirare contro di me perché avevo creduto che il suo racconto fosse finito e l'avevo interrotta con i miei suggerimenti conclusivi. Ho trovato molte altre prove dei fatto che ella considera con occhio critico il mio lavoro anche durante l'ipnosi. Probabilmente aveva voluto rimproverarmi per aver interrotto i suoi resoconti sugli orrori del manicomio. Però non aveva osato farlo. Invece aveva tirato fuori queste nuove storie sui manicomi, evidentemente senza alcuna intenzione e senza rivelare i pensieri retrostanti. Il mio sbaglio mi è diventato chiaro il giorno dopo in seguito a un suo commento negativo sul mio conto.) 12 maggio mattina. — Contrariamente alla mia aspettativa aveva dormito male e solo per breve tempo. L'ho trovata in stato di grave ansia, senza, peraltro che mostrasse i soliti sintomi fisici. Non me ne ha detto la cagione ma soltanto che aveva dei sogni e continuava a vedere le stesse cose. «Come sarebbe atroce» ha detto «se dovessero realizzarsi!» Durante il massaggio ha accennato a qualche argomento in risposta alle mie domande. Poi è diventata allegra, mi ha raccontato della sua vita di società nella sua casa dotale sul Baltico, delle persone altolocate delle città vicine che soleva ricevere, e così via. Ipnosi. - Aveva avuto alcuni sogni spaventosi. Le gambe e i braccioli delle sedie si erano trasformati in serpi; un mostro dal becco di avvoltoio le dilaniava tutto il corpo; altri animali selvaggi le balzavano addosso, ecc. Poi era passata ad altre visioni deliranti di animali, che però qualificava con l'espressione: «Era vero» (non un sogno). Mi ha detto come una volta in passato fosse andata a raccogliere un gomitolo di lana, e che questo era un topo che fuggì via; come, mentre era a passeggio, un grosso rospo le fosse saltato improvvisamente incontro e via dicendo. Mi sono accorto che il mio generico divieto era rimasto inoperante e che devo rimuovere le sue impressioni spaventevoli una per una. (Disgraziatamente ho mancato di indagare sul significato delle visioni animali di Frau Emmy, di distinguere, per esempio, ciò che vi era di simbolico nella sua paura degli animali da ciò che era il suo orrore reale, come avviene caratteristicamente in molti nevropatici fin dagli anni giovanili.) Ho colto l'occasione per chiederle anche perché aveva dolori gastrici e da che cosa derivavano (Io credo, infatti, che tutti i suoi attacchi di zoopsia [allucinazioni di animali] si accompagnino a dolori gastrici). La risposta, che mi ha dato piuttosto controvoglia, è stata che non lo sapeva. Le ho chiesto di ricordarselo domani. Allora ha detto in tono di netto malumore che non dovevo continuare a domandarle da dove derivava questo o quello, ma dovevo lasciarla dire quel che aveva da dirmi, lo mi sono conformato alla sua richiesta e lei ha continuato senza preamboli: «Quando lo portarono via non potevo credere che fosse morto» (dunque stava parlando ancora del marito e ora comprendo che la causa del suo malumore era uno stato di sofferenza dovuto ai residui di questa storia trattenuta). Dopo di ciò, ha detto, aveva odiato la bambina per tre anni perché non faceva altro che ripetersi che avrebbe potuto riportare il marito alla salute con la sua assistenza se non si fosse trovata a letto per via della bambina. Dopo la morte del marito vi erano state solo ingiurie e litigi. I parenti di lui, i quali erano sempre stati contrari al matrimonio ed erano poi furiosi perché gli sposi erano tanto felici insieme, avevano sparso la voce che lo aveva avvelenato, per cui lei aveva voluto che si promuovesse un'inchiesta. I parenti l'avevano invischiata in ogni sorta di procedimenti legali con l'aiuto di un giornalista disonesto. Questo mascalzone aveva mandato in giro degli emissari per mettere la gente contro di lei. Egli faceva stampare dai giornali locali degli articoli diffamatori contro di lei e poi gliene mandava i ritagli. Questa era l'origine della sua insocievolezza e del suo odio per tutti gli estranei. Ho pronunciato qualche parola lenitiva a proposito di quanto mi ha detto lei ha riferito di sentirsi meglio. 13 maggio, mattina. - Ha dormito male un'altra volta, a causa di dolori gastrici. Non ha mangiato nulla per cena. Si è anche lamentata di dolori al braccio destro. Però era di buon umore, lieta e, sin da ieri, mi trattava con particolare riguardo. Ha chiesto le mie opinioni su ogni sorta di cose che le sembravano importanti ed è entrata in agitazione, irragionevolmente, quando, per esempio, ho dovuto cercare i teli necessari al massaggio, e così via. Lo schiocco e il tic facciale erano frequenti. Ipnosi. - Ieri sera le era venuta improvvisamente in mente la ragione per cui gli animaletti che vedeva diventassero così giganteschi. Ciò le accadde la prima volta a D. durante uno spettacolo teatrale in cui compariva sul palcoscenico un'enorme lucertola. Questo ricordo l'ha tormentata a lungo anche ieri. (Il ricordo visivo della grande lucertola ha avuto senza dubbio grande importanza in quanto temporalmente coincidente con una forte emozione che ella deve aver provato durante lo spettacolo. Nel curare questa paziente, secondo quanto ho già am-niesso, spesso mi contentavo di ricevere le spiegazioni più superficiali. Anche in questo caso mancai di compiere qualsiasi ulteriore indagine. Bisogna anche tener presente la macropsia isterica. Frau Emmy era miope e astigmatica in alto grado, e le sue allucinazioni possono essere state spesso provocate dalla nebulosità delle percezioni visive.) La ragione della ricomparsa del suono schioccante è che ieri ella ha avuto dolori addominali e ha cercato di non rivelarli gemendo. Non sapeva nulla della vera causa scatenante dello schiocco. Ricordava anche che io le avevo dato istruzioni di scoprire l'origine dei dolori gastrici. Però non la conosceva e mi ha chiesto di aiutarla. Io le ho domandato se a volte si era forse sforzata di mangiare dopo una forte eccitazione. Ella lo ha confermato. Dopo la morte del marito, aveva perso completamente l'appetito per lungo tempo e aveva mangiato solo per un senso di dovere. Infatti i dolori gastrici erano comparsi in quel tempo. Allora io ho eliminato questi dolori strofinando alcune volte l'epigastrio. Poi lei stessa ha cominciato a parlare spontaneamente dei fatti che l'avevano maggiormente impressionata. «Le ho detto» ha continuato «che non amavo la bambina. Ma devo aggiungere che non lo si sarebbe potuto scoprire dal mio comportamento. Facevo tutto ciò che era necessario. Anche ora mi rimprovero di amare di più la maggiore.» 14 maggio, mattina. - Stava bene ed era lieta, e aveva dormito fino alle 7 e mezzo di questa mattina. Si è lamentata soltanto di lievi dolori al lato radiale della mano, al viso e al capo. Quello che mi dice prima dell'ipnosi diventa sempre più significativo. Oggi aveva ben poco di terribile da raccontare. Ha accusato dolori e perdita della sensibilità alla gamba destra. Mi ha detto di aver avuto un attacco di infiammazione intestinale nel 1871. Si era appena rimessa che aveva dovuto assistere il fratello malato ed allora i dolori erano comparsi per la prima volta. Essi avevano determinato persino una transitoria paralisi della gamba destra. Durante l'ipnosi le ho chiesto se le sarebbe stato possibile, attualmente, prendere parte alla vita di società o se si sentisse ancora troppo spaventata. Mi ha detto che tuttora è spiacevole per lei vedere qualcuno in piedi davanti a lei o al suo fianco. A questo proposito mi ha descritto altre occasioni in cui era stata sgradevolmente colpita dalla comparsa di qualcuno. Per esempio, una volta che era andata a fare una passeggiata con le figlie all'isola di Rùgen, due individui dall'aria sospetta erano usciti dai cespugli e le avevano insultate. Ad Abbazia, mentre una sera andava a passeggio, un mendicante era apparso da dietro una roccia e si era inginocchiato davanti a lei. Sembra che fosse un pazzo innocuo. Da ultimo, mi disse che degli ignoti avevano fatto irruzione nella sua casa isolata di campagna e che ciò l'aveva molto allarmata. In ogni modo si comprende facilmente che l'origine fondamentale della sua paura della gente è stata la persecuzione cui fu sottoposta dopo la morte del marito. (Al tempo in cui scrissi queste note ero incline a cercare una origine psichica per tutti i sintomi nei casi di isteria. Ora devo spiegare la tendenza all'ansia di questa donna, sessualmente astinente, come dipendente da una nevrosi, cioè nevrosi d'ansia.) Sera. - Ancorché sembrasse di animo sollevato, mi ha accolto con l'esclamazione: «Sono spaventata a morte; oh, glielo posso appena dire: mi odio!». Alla fine ho appreso che aveva ricevuto una visita del Dott. Breuer e che al suo apparire aveva fatto un sobbalzo, allarmata. Siccome egli se ne era accorto, ella lo aveva assicurato che era successo «solo questa volta». Si è molto rattristata quando l'ho informata che aveva tradito un residuo del suo vecchio nervosismo. Più di una volta ho avuto occasione, in questi ultimi giorni, di rilevare quanto sia dura con se stessa, quanto sia pronta a biasimarsi per il minimo segno di negligenza (se i teli per il massaggio non sono al solito posto o se il giornale che leggo mentre dorme non è subito a portata di mano). Dopo l'eliminazione del primo e più superficiale strato di ricordi tormentosi; è venuta alla luce la sua personalità moralmente ipersensibile, con una tendenza all'autosvalutazione. Sia nello stato di veglia che nell'ipnosi, io le dico, cosa si rifa alla vecchia massima legale de minimis non curat lex, che vi è un'infinità di piccole cose indifferenti che si trovano tra ciò che è bene e ciò che è male: cose di cui nessuno deve rimproverarsi. Ella non ha assimilato la mia lezione, mi figuro, più di quanto la accetterebbe un monaco asceta del Medio Evo, che vede il dito di Dio o una tentazione del demonio in ogni avvenimento insignificante della vita e che non è capace di rappresentarsi il mondo, sia pure per un breve istante o nel più piccolo cantuccio, come privo di riferimenti lui stesso. Nell'ipnosi ella ha descritto altre immagini orripilanti (ad Abbazia, per esempio, vedeva teste insanguinate su ogni onda del mare). Le ho fatto ripetere la lezione che le avevo impartito mentre era desta. 15 maggio, mattina. - Aveva dormito fino alle 8 e mezzo ma in mattinata era diventata agitata e mi aveva ricevuto con leggeri segni del suo tic, schiocchi e inibizioni del linguaggio. «Sono spaventata a morte» mi ha detto ancora una volta. In risposta a una domanda mi ha detto che la pensione in cui alloggiano le figlie è al quarto piano e la si raggiunge con l'ascensore. Ieri aveva insistito che le figlie facessero uso dell'ascensore tanto per scendere quanto per salire, e ora si stava rimproverando per questo, perché l'ascensore non era completamente sicuro. Lo stesso proprietario della pensione l'aveva detto. Avevo sentito parlare - mi chiese - della contessa Sch. rimasta uccisa a Roma in un incidente del genere? Si dà il caso che io conosca quella pensione e sappia che l'ascensore è di proprietà privata dell'albergatore. Non mi sembra molto probabile che quest'uomo, che nella pubblicità insiste proprio sull'ascensore, possa averne sconsigliato a chicchessia l'uso. Mi è parso di trovarmi di fronte a una di quelle paramnesie che sono suscitate dall'ansia. Ho esternato la mia opinione e sono riuscito senza difficoltà a farla ridere per l'improbabilità delle sue paure. Proprio per questa ragione non potevo credere che fosse questa la causa della sua ansia e ho deciso di porre la domanda alla sua coscienza ipnotica. Durante il massaggio, ripreso dopo un intervallo di qualche giorno, mi ha raccontato una serie di aneddoti, collegati tra di loro alla lontana, che possono essere reali - di un rospo che fu trovato in una cantina, di una madre eccentrica che curava il figliolo idiota in uno strano modo, di una donna rinchiusa in manicomio perché affetta da melancolia - e che rappresentano un campione del tipo di reminiscenze di quel che le passava per la testa quando la sua mente era sconvolta. Dopo aver tirato fuori queste storie è diventata assai allegra. Ha descritto la vita nelle sue proprietà e i suoi rapporti con uomini eminenti della Russia tedesca e della Germania settentrionale e io ho trovato davvero molto diflicile riconciliare attività di questo genere con il quadro di una donna così gravemente nevrotica. Pertanto le ho chiesto sotto l'ipnosi perché era tanto agitata questa mattina. In luogo dei suoi dubbi sull'ascensore, mi ha informato che temeva che le sue mestruazioni stessero per ricominciare e che questo avrebbe interferito col massaggio. (La successione degli eventi è stata la seguente: svegliandosi al mattino si è trovata di umore ansioso e, per dare una causa all'ansia, si è attaccata alla prima idea ansiosa che le è venuta in mente. Il pomeriggio del giorno prima aveva discusso dell'ascensore della pensione. Come sempre eccessivamente preoccupata per le sue figlie, aveva chiesto alla governante se la maggiore, che non poteva camminare a lungo a causa di una nevralgia ovarica destra e dolori all'arto inferiore dello stesso lato, usasse, l'ascensore per salire e per scendere. A questo punto una paramnesia le consentì di collegare quest'ansia, di cui ella era cosciente, con l'idea dell'ascensore. La sua coscienza non le indicava la vera causa dell'ansia, la quale emerse, questa volta senza esitazioni, quando la interrogai sotto ipnosi. Il procedimento era uguale a quello studiato da Bernheim, e altri dopo di lui, in soggetti che eseguono, in condizione post-ipnotica, le istruzioni impartite loro sotto ipnosi. Per esempio, Bernheim - De la suggestion, Parigi 1886, p. 29 - suggeriva a un paziente di mettersi i pollici in bocca dopo il risveglio. Quest'ultimo eseguiva e poi scusava la propria azione dicendo che la lingua gli doleva sin dal giorno prima, quando se la era morsa durante un attacco epilettiforme. Ancora: obbedendo a una suggestione, una ragazza cercò di assassinare un ufficiale giudiziario che non la conosceva affatto. Quando venne arrestata e interrogata sui motivi di questa azione, ella inventò la storia di un torto fattole che richiedeva vendetta. Sembra che vi sia la necessità di stabilire un nesso di causalità tra i fenomeni di cui si diventa coscienti e altri elementi coscienti. Nei casi in cui i veri agenti causali sfuggono alla percezione cosciente, i soggetti non esitano a cercare di creare un'altra connessione, alla quale essi credono, ancorché sia falsa. E chiaro che uno sdoppiamento del contenuto di coscienza deve facilitare in larga misura l'istituirsi di una «falsa correlazione» del genere. Mi soffermerò un poco sul presente caso di falsa connessione perché sotto molti aspetti può essere considerato tipico. In primo luogo è caratteristico del comportamento di questa mia paziente, e infatti, nel corso della terapia, mi ha offerto molte altre occasioni di risolvere queste false connessioni grazie a spiegazioni ottenute sotto ipnosi e di eliminarne gli effetti. Darò un resoconto particolareggiato di uno di questi casi in quanto chiarisce notevolmente il fenomeno psicologico in questione. Avevo raccomandato a Frau Emmy di cercare di sostituire il solito bagno tiepido con un semicupio di acqua fredda, dicendole che questo sarebbe stato più rinfrescante. Ella era solita seguire senza discussione le prescrizioni senza mai cessare, però, di considerarle con profonda sfiducia. Ho già detto che non aveva praticamente tratto alcun beneficio dalle cure mediche. Il mio consiglio di fare bagni freddi non fu dato con un tono talmente autoritario da toglierle il coraggio di esprimere apertamente i suoi dubbi: «Ogni volta che ho fatto un bagno freddo», disse «mi ha reso malinconica per il resto della giornata. Ma ci proverò di nuovo, se così desidera. Lei non deve pensare che io non farei tutto quanto mi dice». Io feci finta di rinunciare alla mia proposta ma, durante la successiva ipnosi, suggerii che ella stessa tirasse fuori l'idea dei bagni freddi, dato che, a ripensarci, un simile esperimento poteva piacerle, dopo tutto, e così via. Così avvenne: il giorno dopo ella espresse l'idea di fare dei semicupi freddi. Cercò di convincermi ricorrendo a tutte le argomentazioni, che le avevo suggerito io stesso, e io accolsi la proposta senza molto entusiasmo. Ma il giorno dopo quello in cui aveva fatto il semicupio freddo, lo trovai in condizioni di grave depressione. «Perché si sente così oggi?» le domandai. Mi rispose: «Lo sapevo giarda prima che sarebbe andata così. E per via del bagno freddo. Mi succede sempre». «È stata lei stessa a chiederli», dissi io «adesso sappiamo che non le fanno bene e ritorneremo ai bagni tiepidi.» Più tardi, quando era in ipnosi, le chiesi: «Era veramente il bagno freddo che la deprimeva tanto?». La sua risposta fu: «Oh! Il bagno freddo non c'entra per niente. Ma stamattina ho letto nel giornale che a S. Domingo è scoppiata una rivoluzione. Ogni volta che là succedono dei torbidi, sono sempre i bianchi ad andarci di mezzo e io ho un fratello a S. Domingo, che ci ha già tante ansie e ora mi preoccupo pensando che gli succeda qualche cosa». Questo chiuse l'argomento tra noi. Il mattino dopo ella fece il semicupio freddo come una cosa naturale e continuò così per diverse settimane senza attribuire più ad esso il minimo stato depressivo. Si deve riconoscere che questo comportamento è tipico anche di molti nevropatici nei confronti della terapia raccomandata loro dai medici. Il malato che, un giorno, comincia a presentare un certo sintomo, tende sempre a riportarne la causa all'ultimo consiglio del medico, anche se essa è rappresentata da una rivoluzione a S. Domingo o altrove. Delle due condizioni necessarie affinché si stabilisca un falso nesso causale di questo genere, una, la sfiducia, sembra essere sempre presente; mentre l'altra, lo sdoppiamento della coscienza, è sostituita dal fatto che la maggioranza dei nevropatici in parte non ha conoscenza delle vere cause (o comunque le cause scatenanti) e in parte rifugge deliberatamente da questa conoscenza, in quanto i malati non desiderano che venga loro ricordata quella parte di causa, la colpa delle quali ricade su loro stessi. Si potrebbe pensare che queste condizioni psichiche, cui abbiamo accennato come a condizioni distinte nei nevropatici rispetto agli isterici - vale a dire ignoranza o trascuratezza volontaria - dovrebbero necessariamente essere più favorevoli alla produzione di falsi nessi causali di quanto lo sia uno sdoppiamento di coscienza, il quale in fin dei conti, espunge dalla coscienza gli elementi dei nessi causali. Però lo sdoppiamento di rado è nettamente definito. Di regola una frazione del complesso di idee inconsce fa intrusione nella coscienza ordinaria del soggetto, ed è precisamente questa frazione che provoca questo genere di disturbo. Ciò che viene percepito coscientemente, come negli esempi qui citati, è lo stato d'animo generico o angosciato. Questo stato, in ragione di una specie di «compulsione all'associazione», deve trovare qualche legame causale con qualche complesso di idee presente alla coscienza. Non molto tempo fa ho avuto occasione, grazie ad osservazioni fatte in ambiti diversi, di convincermi della forza di questo genere di impulso all'associazione. Per diverse settimane fui costretto a cambiare il mio letto solito con uno più duro, nel quale avevo sogni più numerosi e vividi; ovvero forse non riuscivo a raggiungere la normale profondità di sonno. Durante il primo quarto d'ora dopo il risveglio ricordavo tutti i sogni fatti nella nottata e mi davo la pena di scriverli e cercare di risolverli. Riuscii a riportare tutti questi sogni a due fattori: 1. alla necessità di completare un'idea sulla quale mi ero soffermato soltanto di sfuggita durante il giorno e che quindi era stata solo toccata e non sviluppata a pieno; 2. all'impulso di collegare tra di loro tutte le idee presenti in uno stesso stato di coscienza. Il carattere insensato e contraddittorio dei sogni poteva essere riportato all'influenza incontrollata di quest'ultimo fattore. E' un fattore del tutto regolare che lo stato dell'umore sia collegato a un'esperienza e che il contenuto di questa venga a trovarsi in differenti rapporti con la coscienza primaria. Ciò è dimostrato dal caso di un'altra paziente, Frau Càcilie M., che io giunsi a conoscere molto più a fondo di qualunque altro paziente ricordato in questi studi. Io raccolsi da lei numerosissime prove convincenti dell'esistenza di un meccanismo psichico dei fenomeni isterici quale ho abbozzato più sopra. Purtroppo, considerazioni di ordine personale non mi consentono di fornire un resoconto dettagliato su questa paziente, sebbene avrò occasione di riferirmi ogni tanto a lei. Frau Càcilie si era trovata di recente in un particolare stato isterico. Questo stato non era certamente unico quantunque io non sappia se sia stato individuato fino ad ora. Esso poteva essere definito: «psicosi isterica da pagamento di vecchi debiti». La paziente era andata incontro a numerosi traumi psichici e per lunghi anni aveva sofferto di un'isteria cronica caratterizzata da una grande varietà di manifestazioni. Le cause di tutti questi stati erano sconosciute a lei come a chiunque altro. La sua memoria, notevolmente ben dotata, rivelava le più rimarchevoli lacune. Ella stessa si lamentava che era come se la sua vita fosse stata tagliata in pezzi. Un giorno un vecchio ricordo irruppe in lei, chiaro e netto, con tutta la freschezza delle sensazioni nuove. Dopo di ciò, per quasi tre anni, ella rivisse tutti i traumi della sua vita - da molto tempo dimenticati, come le sembrava, e alcuni veramente mai ricordati - accompagnati dalle più acute sofferenze e dal ritorno di tutti i sintomi che mai avesse avuto. I «vecchi debiti», che venivano pagati in questo modo, ricoprivano un periodo di trentatré anni, e resero possibile la scoperta dell'origine, spesso assai complicata, di tutti i suoi stati anormali. L'unica maniera di sollevarla era darle agio di scaricare a parole, sotto ipnosi, il particolare ricordo che la tormentava in quel momento, con tutto il carico concomitante di sentimenti e con l'espressione fisica di questi. Quando si venne a trovare nell'impedimento di fare ciò, per cui era costretta a dire quelle cose ad una persona alla Presenza della quale si sentiva imbarazzata, accadeva a volte che narrasse tutto il fatto con molta tranquillità, mentre più tardi sotto ipnosi spandeva per me tutte le lacrime, esprimeva tutta la sua disperazione, che avrebbe desiderato si accompagnasse invece al racconto. Per alcune ore dopo questa purificazione sotto ipnosi, stava assai bene e presente a se stessa, ma, dopo un breve intervallo, una nuova serie di ricordi avrebbe fatto irruzione. Ma questi ricordi sarebbero stati preceduti di qualche ora dalle condizioni di umore loro pertinenti. Sarebbe diventata ansiosa e irritabile o disperata senza neppure sospettare che tale stato non apparteneva al momento presente ma alla condizione in cui si sarebbe venuta a trovare successivamente. Durante questo periodo di transizione era solita stabilire una falsa connessione alla quale si attaccava ostinatamente fino alla prossima ipnosi. Per esempio, una volta mi accolse con questa domanda: «Non sono io una persona indegna? Non è un segno di indegnità l'averle detto quello che ho fatto ieri?». In effetti, ciò che mi aveva detto il giorno innanzi non mi sembrava giustificare questo verdetto di condanna. Dopo una breve discussione ella lo ammise pienamente, ma l'ipnosi seguente mise in luce il ricordo di un'occasione, dodici anni prima, che aveva suscitato in lei gravi autoaccuse, sebbene, sia detto di sfuggita, attualmente non fosse più affatto dello stesso parere.) Allora ho chiesto di riferirmi la storia dei suoi dolori alla gamba. Ha cominciato nello stesso modo di ieri (cioè di aver assistito il fratello) e poi ha proseguito con una lunga serie di casi ed esperienze, alternativamente angosciosi e irritanti, che aveva avuto contemporaneamente ai dolori alla gamba, e che avevano ogni volta l'effetto di rendere più forti i dolori, fino a raggiungere una paralisi bilaterale degli arti inferiori con perdita della sensibilità. Lo stesso poteva dirsi dei dolori al braccio. Anche questi erano comparsi, insieme con i «crampi al collo», mentre assisteva un malato. Quanto ai crampi ho potuto apprendere soltanto che essi venivano dopo certi strani stati di agitazione accompagnati da quella depressione che sussisteva già da prima. Essi consistevano in una «gelida trafittura» dietro al collo insieme a una sensazione di rigidità e di freddo doloroso a tutte le estremità, incapacità di parlare e prostrazione completa. Duravano da sei a dodici ore. Il mio tentativo di dimostrare che questo complesso di sintomi rappresentava una reminiscenza, è fallito. Le ho posto qualche domanda tendente a scoprire se il fratello l'avesse mai afferrata per il collo, mentre lei lo assisteva durante il suo delirio; ha negato. Ha detto solo di non sapere donde scaturissero questi attacchi. (Dopo matura riflessione non posso fare a meno di pensare che questi «crampi al collo» debbano avere un'origine organica ed essere simili all'emicrania. Nella pratica medica ci capita di osservare un gran numero di fatti del genere, che non sono stati descritti. Essi rivelano una così stretta rassomiglianza con i classici attacchi di emicrania che si è tentati di estendere il concetto di questi ultimi e di annettere solo un'importanza secondaria alla localizzazione del dolore. Come è noto, molte donne nevropatiche hanno frequenti attacchi isterici (spasmi o deliri) accompagnati da un attacco di emicrania. Ho sempre osservato che in Frau Emmy il «crampo al collo» si accompagnava a una confusione acuta delirante. Riguardo ai dolori al braccio e alla gamba, sono dell'avviso che ci troviamo di fronte a un caso non molto interessante e assai comune di determinismo da coincidenza casuale. Ella soffriva di dolori del genere quando, in stato di agitazione, assisteva il fratello ammalato e, per via della spossatezza, li percepiva più acutamente del solito. Questi dolori, originariamente connessi solo per caso con queste esperienze, si riprodussero più tardi nella sua memoria quale simbolo somatico dell'intero complesso di associazioni. Più avanti fornirò diversi altri esempi a conferma di questo processo. Sembra probabile che quei dolori fossero di origine reumatica, al loro primo apparire; voglio dire, per dare un senso esatto a questo termine di cui tanto si abusa, che essi rientravano in un genere di dolori, su base essenzialmente muscolare, comportanti una notevole ipersensibilità alla pressione e un cambiamento nella consistenza dei muscoli, dolori che raggiungono l'acme dopo un periodo considerevole di riposo e immobilità dell'arto (quindi al mattino), si riducono se viene eseguito il movimento che li scatena e possono essere eliminati con il massaggio. Questi dolori miogeni, universalmente diffusi, acquistano grande importanza nei nevropatici. Essi stessi li considerano di origine nervosa e in ciò sono incoraggiati dai loro medici i quali non hanno l'abitudine di esaminare i muscoli con la palpazione digitale. Questi dolori forniscono materiale a innumerevoli nevralgie e alle cosiddette sciatiche, ecc. Qui farò soltanto un breve riferimento ai rapporti di questi dolori con la diatesi gottosa. La madre della mia paziente e due sue sorelle soffrivano gravemente di gotta (o di reumatismo cronico). Parte dei dolori che accusava al tempo della mia terapia, potevano, analogamente ai suoi dolori originari, avere un'origine attuale. Io non mi posso pronunciare, in quanto allora non avevo esperienza per emettere un giudizio su questa condizione muscolare.) Sera. - Era di ottimo umore e dimostrava un notevole senso dell'umorismo. Incidentalmente mi ha detto che la questione dell'ascensore non era come me l'aveva riferita. Il proprietario aveva detto che l'ascensore poteva essere impiegato per la discesa. Mi ha posto molte domande che in sé nulla avevano di patologico. Ha sofferto dolori violentissimi al volto, alla mano dal lato del pollice e aUa gamba. Sente la faccia irrigidirsi e ha dei dolori ogni volta che siede immobile o fissa un punto per diverso tempo. Se solleva un oggetto pesante prova dolore al braccio. L'esame della gamba destra ha rivelato una sensibilità del tutto soddisfacente della coscia destra, un notevole grado di anestesia della parte inferiore della gamba e del piede e un po' minore della natica e dell'anca. Sotto ipnosi mi ha informato di avere ancora, occasionalmente, delle idee spaventose, come, per esempio, che debba succedere qualcosa alle figliole, che esse debbano cadere ammalate o perdere la vita, o che possa capitare un incidente al fratello, ora in luna di miele, o che la consorte di questo ultimo possa morire (dato che i matrimoni di tutti i suoi fratelli e sorelle sono stati tanto brevi). Non ho potuto tirar fuori da lei altri timori. Le ho vietato di sentirsi necessariamente spaventata quando non ve n'è ragione. Mi ha promesso di rinunciarvi «perché lei me lo chiede». Le ho date altre suggestioni riguardo ai dolori, alla gamba, ecc. 16 maggio, mattina. - Aveva dormito bene ma accusava ancora dolori al viso, alle braccia e alle gambe. Era assai allegra. L'ipnosi non ha fornito alcun elemento. Ho fatto delle applicazioni di stimolazione faradica alla gamba destra. Sera. - Al mio ingresso ha sussultato. Mi ha detto: «Sono tanto contenta che sia venuto. Sono così spaventata!». Intanto mostrava tutti i segni del terrore, insieme col balbettio e il tic. Innanzi tutto l'ho invitata a raccontarmi, in stato di veglia, che cosa era successo. Increspando le dita e stendendo le mani innanzi a sé, mi ha dato un quadro vivido del suo terrore, dicendo: «In giardino un topo enorme mi è passato all'improvviso sulla mano ed è scomparso in un lampo; le cose hanno cominciato a ondeggiare avanti e indietro» (una illusione provocata dal gioco delle ombre?). «Una moltitudine di topi era appollaiata sugli alberi. - Non ha sentito i cavalli scalpitare nel circo? C'è un uomo che geme, nella camera accanto; deve soffrire dopo l'operazione. - Può essere che mi trovi a Rugen? Laggiù avevo una stufa come questa?» Era confusa dalla moltitudine di pensieri che le si accavallavano nella mente e dagli sforzi per distinguere da essi il vero ambiente circostante. Quando le ho posto alcune domande su fatti contemporanei, come per esempio se le figliole fossero presenti, non è stata in grado di rispondere. Sotto ipnosi, ho tentato di sbrogliare la confusione del suo cervello. Le ho domandato che cosa l'avesse spaventata. Mi ha ripetuto il fatto del topo, con tutti i segni del terrore, e ha aggiunto che, mentre scendeva i gradini, ha veduto un orribile animale steso lì, che subito è svanito. Le ho detto che si trattava di allucinazioni e di non aver paura dei topi. Solo gli ubriaconi li vedono (detesta i bevitori). Le ho raccontato la storia del Vescovo Hatto. [Divorato, secondo la leggenda, dai topi.] La conosceva e l'ha ascoltata con estremo orrore. Poi le ho chiesto: «Come le è venuto di pensare al circo?». Ha detto che sentiva chiaramente i cavalli scalpitare nelle vicine stalle mentre venivano legati per la cavezza, ciò che poteva far loro del male. Quando ciò accadeva, Johann soleva andare a slegarli. Ho negato che vi fossero delle stalle lì nei pressi o che qualcuno si fosse lamentato nella camera accanto. Sapeva dove si trovava? Ha detto che adesso lo sapeva, ma che prima aveva creduto di essere a Rugen. Le ho chiesto come le fosse tornato quel ricordo. Ha detto che stavano discorrendo in giardino di quanto facesse caldo in una parte di esso e, all'improvviso, le era venuto alla mente il terrazzo senza ombre di Rugen. Allora le ho chiesto quali fossero le infelici memorie della sua permanenza a Rugen. Me ne ha narrato una serie; aveva sofferto i più tremendi dolori alle gambe e alle braccia. Mentre faceva delle escursioni, più volte era stata sorpresa dalla nebbia e si era smarrita due volte; durante delle passeggiate, un toro le era corso dietro, e così via. — Come mai aveva avuto quest'attacco, oggi? «come?» (ha risposto). Aveva scritto moltissime lettere. Ci aveva messo tre ore, con un bel po' di fatica. Dunque posso supporre che l'attacco di delirio sia stato scatenato dalla stanchezza e che il contenuto di questo sia stato determinato da associazioni derivate da cose come la parte del giardino senza ombra, ecc. Le ho ripetuto tutte le lezioni che solevo impartirle e l'ho lasciata tranquillamente addormentata. 17 maggio, mattina. - Ha passato una notte tranquilla. Durante il bagno di crusca, che oggi le toccava, ha gettato delle grida perché aveva scambiato la crusca per vermi. Questo mi è stato riferito dall'infermiera mentre lei stessa era riluttante a dirmelo. Era quasi esageratamente allegra, ma di tanto in tanto s'interrompeva per gridare «puah!» e prendeva delle espressioni di terrore. Inoltre balbettava di più rispetto agli ultimi giorni. Mi ha detto che la notte scorsa ha sognato di camminare su un mucchio di sanguisughe. La notte prima aveva fatto dei sogni orrendi. Aveva dovuto distendere un gran numero di morti e disporli nelle bare, ma senza chiudere il coperchio. (Naturalmente un ricordo del marito). M'ha detto inoltre che nel corso della vita le erano capitati molti incidenti con animali. Il peggiore si riferiva a un pipistrello che si era impigliato nel suo guardaroba per cui era uscita di corsa dalla stanza senza niente indosso. Per curarla di questa paura il fratello le aveva regalato un bel fermaglio a forma di pipistrello, ma lei non era mai riuscita a portarlo. Sotto ipnosi ha spiegato che la paura dei vermi nasceva dal fatto che una volta le avevano regalato un grazioso puntaspilli, ma che la mattina dopo, quando voleva usarlo, tanti piccoli vermi stavano strisciando fuori di esso, perché era stato riempito di crusca non ben essiccata (un'allucinazione? Forse un fatto reale). Le ho chiesto di narrarmi qualche altra storia di animali. Una volta, mi disse, mentre stava passeggiando col marito per il viale di un parco a Pietroburgo, il sentiero che conduceva a un laghetto era tutto coperto di rospi, per cui erano dovuti tornare indietro. Vi erano stati dei momenti in cui non aveva potuto stringere la mano a nessuno, per timore che questa si trasformasse in qualche ripugnante animale; provava di frequente questa sensazione. Ho cercato di liberarla della sua paura degli animali, nominandoli uno per uno e chiedendole se ne aveva paura. In certi casi mi rispondeva «no» e in certi altri casi: «Non dovrei aver paura di loro» (il procedimento da me adottato non può essere considerato buono: esso non è stato mai portato fino in fondo) e ho chiesto perché ieri abbia tanto balbettato e sussultato e mi ha risposto che fa sempre così i quando è spaventata. (II balbettio e lo schiocco non sono stati eliminati completamente dopo che essi sono stati riportati ai due traumi iniziali, benché da allora in poi i due sintomi siano molto migliorati. La paziente stessa ha spiegato nel modo seguente l'incompleto successo. Aveva preso l'abitudine di balbettare e di fare lo schiocco ogni volta che era spaventata, di modo che, alla fine, questi sintomi erano venuti a collegarsi non soltanto ai traumi iniziali ma a ,una lunga catena di ricordi ad essi associati, che io avevo trascurato di eliminare. È, questo, uno stato di cose che si verifica molto spesso e che sempre viene a limitare la bellezza e completezza del successo terapeutico del procedimento catartico.) Ma perché ieri era tanto spaventata? A cagione di tutti i pensieri opprimenti che le erano venuti in giardino: in particolare, come avrebbe potuto impedire che qualcosa si accumulasse di nuovo dentro di lei dopo il termine della cura. Le ho ripetuto le tre ragioni, che già le avevo detto altre volte, per cui doveva sentirsi tranquilla: 1. era già molto più sana e più capace di resistenza; 2. avrebbe preso l'abitudine di dire i suoi pensieri a qualcuno con cui fosse in grande confidenza; 3. d'ora in poi avrebbe considerato indifferenti molte cose che finora avevano un peso per lei. Ella ha proseguito dicendo di essersi angustiata anche per non avermi ringraziato della mia visita di ieri sera. Temeva che avrei perduto la pazienza con lei a causa della sua recente ricaduta. Era rimasta sconvolta e allarmata perché il medico della casa di cura aveva chiesto a un signore in giardino se ora si sentisse in condizioni di affrontare un intervento. La moglie di costui gli sedeva accanto, e la paziente non aveva potuto impedirsi di pensare che questa poteva essere l'ultima sera del pover'uomo. Dopo aver raccontato questo fatto la sua depressione sembrò svanire. (E’ stato a questo punto che ho compreso per la prima volta, ciò che è stato poi confermato in innumerevoli altre occasioni, che quando si risolve un delirio isterico comune, le comunicazioni del paziente vengono fornite in ordine cronologico inverso, a cominciare dalle impressioni e associazioni di pensiero più recenti e meno importanti per arrivare solo alla fine alle impressioni primarie, le più importanti, con tutta probabilità, dal punto di vista causale.) Sera. - Era molto lieta e contenta. L'ipnosi non produsse nulla di alcun genere. Mi sono dedicato a trattare i suoi dolori muscolari e ristabilire la sensibilità della gamba destra. Ho potuto ottenere ciò molto facilmente sotto ipnosi, ma al risveglio la sensibilità si è in parte perduta un'altra volta. Prima che la lasciassi ha espresso il suo stupore di non soffrire da tanto tempo di crampi al collo, che pure le venivano abitualmente prima di ogni temporale. 18 maggio. - La notte scorsa ha dormito meglio di quanto le accadesse da anni, ma dopo il bagno si è lamentata di sensazioni di freddo alla nuca, di stiramenti e dolori al viso, alle mani e ai piedi. I suoi lineamenti erano tesi e si torceva le mani. L'ipnosi non ha rivelato alcun contenuto psichico alla base del crampo al collo. Ho ottenuto un miglioramento col massaggio dopo il risveglio. (Dunque lo stupore della sera precedente per essere rimasta tanto a lungo senza crampi al collo era il presentimento di una condizione imminente, già in preparazione in quel momento e percepita dall'inconscio. Questo strano genere di premonizione era regolarmente presente nel già citato caso di Frau Cacilie M. Se, per esempio, quando si trovava nelle migliori condizioni di salute, mi diceva: «È tanto tempo che non sono più' spaventata dalle streghe di notte» oppure: «Quanto sono contenta di non avere più dolore agli occhi da tempo», io potevo essere sicuro che la notte seguente un grave attacco della sua paura delle streghe avrebbe procurato del lavoro extra all'infermiera, o che stava per cominciare a emergere indistintamente qualche cosa già presente nell'inconscio, quale prodotto completo. Questa idea, che emergeva come un pensiero improvviso, era trasformata senza sospetto dalla coscienza «ufficiale» - per usare un'espressione di Charcot -in un senso di soddisfazione, che invariabilmente veniva presto a risultare ingiustificato. Frau Cacilie, che era una donna molto intelligente, verso la quale ho un debito per il grande aiuto datomi nella comprensione dei fenomeni isterici, mi faveva lei stessa rilevare come eventi di questo genere possono aver dato origine alle superstizioni circa il pericolo di vantarsi o di anticipare dei mali. Noi non dobbiamo, da una parte, vantarci della nostra felicità, né d'altra parte dobbiamo parlare del peggio, altrimenti questo accadrà. Il fatto è che noi vantiamo la nostra felicità finché l'infelicità non è alle porte, e diventiamo consapevoli della nostra anticipazione in forma di vanteria, perché in tali casi il contenuto di ciò che stiamo ricordando emerge prima del sentimento che si accompagna ad esso cioè, perché un'idea di contrasto piacevole è presente nella coscienza.) Spero che questo estratto dalla storia delle prime tre settimane di trattamento sia sufficiente a fornire un chiaro quadro dello stato della paziente, del tipo dei miei sforzi terapeutici e della misura del loro successo. Ora proseguirò con la descrizione del caso. Il delirio che ho testé descritto fu anche l'ultimo disturbo grave nella condizione di Frau Emmy von N. Le ipnosi cessarono presto di fornire materiali perché io non avevo preso l'iniziativa di ricercare i sintomi alla loro origine, ma aspettavo che qualche cosa si producesse nella paziente o che ella stessa mi riferisse qualche pensiero che le cagionava ansia. Poi utilizzavo questi elementi, soprattutto allo scopo di darle delle massime che dovevano rimanere sempre presenti nella sua mente onde proteggerla dal ricadere in simili condizioni quando fosse tornata a casa. In quel tempo ero completamente sotto l'influsso del libro di Bernheim sulla suggestione e da questo sistema didattico speravo maggiori risultati di quanto non farei oggi. Lo stato della mia paziente migliorava tanto rapidamente che ben presto ella mi assicurò che non era stata così fin dal tempo della morte del marito. Dopo un trattamento durato soltanto sette settimane le permisi di ritornare alla sua casa sul Baltico. Non fui io, ma il Dott. Breuer, a ricevere notizie di lei circa sette mesi dopo. La sua salute aveva continuato a mantenersi buona per vari mesi ma poi aveva avuto un nuovo tracollo in conseguenza di un nuovo shock psichico. La figlia maggiore, durante il suo primo soggiorno a Vienna, aveva già seguito le orme della madre, presentando crampi al collo e leggere condizioni isteriche. Ma in particolare, aveva sofferto di dolori nel camminare a causa di una retroversione uterina. Su mio consiglio si era messa in cura presso il Dott. N., uno dei nostri più distinti ginecologi, che aveva rimesso l'utero a posto con opportuni massaggi, per cui era rimasta libera da disturbi per molti mesi. Però questi riapparvero mentre erano a casa e la madre chiamò un ginecologo dalla vicina università. Questi prescrisse alla ragazza una cura combinata generale e locale, la quale però scatenò una grave malattia nervosa (in quel tempo aveva diciassette anni). È probabile che ciò già fosse un indizio della sua predisposizione patologica, che un anno dopo si manifestò con un mutamento del carattere. La madre che aveva affidato la ragazza ai medici col suo solito miscuglio di docilità e sfiducia, fu assalita dalla più violenta auto-accusa dopo lo sfortunato esito della cura. Una concatenazione di pensieri, sui quali non ho indagato, la condusse alla conclusione che tanto il Dott. N. quanto io eravamo corresponsabili della malattia della ragazza per non aver preso sul serio le sue gravi condizioni. Come per un atto di volontà, distrusse gli effetti della mia cura e tosto ricadde negli stati dai quali l'avevo liberata. Un eminente medico del suo ambiente, dal quale andò per consiglio, e il Dott. Breuer, che aveva rapporti epistolari con lei, riuscirono a convincerla dell'innocenza dei due bersagli delle sue accuse, ma persino dopo che la situazione era stata chiarita, rimase, quale residuo isterico, l'avversione per me da lei concepita a quel tempo, ed ella dichiarò che le era impossibile riprendere la cura con me. Su consiglio dello stesso autorevole medico ella si rivolse per aiuto a una Casa di cura della Germania settentrionale. Per desiderio di Breuer, io illustrai al medico incaricato le modifiche alla terapia ipnotica che avevo trovato efficaci nel suo caso. Questo tentativo di trasferimento fallì totalmente. Fin dall'inizio sembrò che ella facesse l'opposto di quanto le suggeriva il medico. Si esauriva resistendo a tutto ciò che si cercava di fare per lei. Peggiorava; perse il sonno e l'appetito e si riprese solo dopo che una sua amica, venuta a farle visita alla Casa di cura, la rapì letteralmente per prendersi cura di lei nella propria abitazione. Poco tempo dopo, esattamente un anno dopo il nostro primo incontro, ella era di nuovo a Vienna per rimettersi in cura da me. La trovai molto meglio di quanto non mi aspettassi in base alle notizie ricevute per lettera. Poteva stare in piedi ed era libera dall'ansia. Sussisteva ancora molto di quanto avevo ottenuto l'anno prima. Si lamentava principalmente di frequenti stati di confusione: «Tempeste nella testa», come voleva chiamarli. Oltre a ciò soffriva di insonnia e spesso era in lacrime per ore intere. Si sentiva triste in un'ora particolare della giornata (le cinque). Era questo l'orario in cui, durante l'inverno poteva far visita alla figlia nella Casa di cura. Balbettava ed emetteva rumori di schiocco in gran numero e seguitava a stropicciarsi le mani come se fosse adirata, e quando le chiedevo se vedeva molti animali, mi rispondeva soltanto: «Oh, stia zitto». Al mio primo tentativo di provocare l'ipnosi ella strinse i pugni, esclamando: «Non mi lascerò fare nessuna iniezione di antipirina. Preferisco tenermi i dolori! Non mi piace il Dott. R., è antipatico». Mi accorsi che era presa dal ricordo di quando veniva ipnotizzata nella Casa di cura e si calmò non appena l'ebbi riportata alla situazione attuale. Proprio al principio della ripresa del trattamento feci un'esperienza assai istruttiva. Le avevo domandato da quanto tempo avesse ripreso a balbettare ed ella mi aveva risposto (sotto ipnosi), con una certa esitazione, che era da quando aveva avuto un shock, lo scorso inverno, a D... Un cameriere dell'albergo in cui alloggiava si era nascosto nella sua camera. Al buio, mi disse, lo aveva scambiato per un soprabito e aveva allungato una mano per prenderlo, allora l'uomo era improvisamente «svanito nell'aria». Io cancellai questo ricordo e, difatti, da quel momento, cessò di balbettare notevolmente sia nell'ipnosi che da sveglia. Non riesco a rammentare che cosa mi condusse a mettere alla prova il successo della mia suggestione, ma quando ritornai la stessa sera le chiesi, con tono di apparente innocenza, che cosa dovevo fare per chiudere a chiave la porta andando via (mentre lei sarebbe stata addormentata), in modo che nessuno potesse insinuarsi nella stanza. Con mio stupore, ebbe un violento soprassalto e prese a digrignare i denti e a stropicciarsi le mani. Mi informò di aver avuto un forte shock del genere a D..., ma non si poteva decidere a raccontarmi il fatto. Compresi che aveva in mente la stessa storia raccontatami al mattino sotto ipnosi e che credevo di avere cancellato. Nella successiva ipnosi mi raccontò la stessa storia più dettagliatamente e con maggiore verosimiglianza. Nel suo stato di eccitazione aveva camminato su e giù per il corridoio e aveva trovato aperta la porta della camera da letto della sua cameriera. Aveva provato a entrare per mettersi a sedere. La cameriera le aveva sbarrato il passo, ma lei si era rifiutata di lasciarsi fermare ed era entrata e allora aveva veduto un oggetto scuro contro il muro, che risultò essere un uomo. Evidentemente era stato l'elemento erotico di questa piccola avventura che aveva fatto sì che me ne desse un resoconto non veritiero. Ciò mi ha insegnato che un racconto incompleto sotto ipnosi non ottiene effetto terapeutico alcuno. Mi abituai a considerare incompleto qualsiasi racconto che non porti a un miglioramento e a poco a poco acquistai l'abilità di leggere sul volto dei pazienti se essi stessero nascondendo una parte essenziale delle loro confessioni. Questa volta il lavoro che dovevo compiere con lei consisteva nel trattare, sotto ipnosi, le impressioni sgradevoli provate durante la cura della figlia e durante la permanenza della stessa paziente in Casa di cura. Ella era colma di ira repressa nei confronti del medico che l'aveva costretta sotto ipnosi a sillabare la parola «r...o...s...p...o...», e mi fece promettere che mai gliela avrei fatta pronunciare. A questo proposito, mi azzardai a farle praticamente uno scherzo nel corso di una delle mie suggestioni. Questo è stato il solo abuso del'ipnosi, del resto assai innocente, di cui mi devo accusare nei confronti della paziente. Le assicurai che la sua permanenza nella Casa di cura di «-tal» (valle) sarebbe divenuta così remota per lei da non riconoscere nemmeno il nome, e che quando avesse voluto riferirsi ad esso, sarebbe stata incerta tra «-berg» (monte), «-tal», «-wald» (bosco) e così via. Questo si verificò puntualmente e ora l'unico residuo di impedimento al linguaggio era una certa incertezza a proposito di quel nome. Alla fine, in seguito a un'osservazione del Dott. Breuer, io la liberai di questa paramnesia forzata. Ebbi a lottare più lungamente con ciò che ella descriveva come «tempesta nella testa» che con i residui di queste esperienze. La prima volta che la vidi in uno di questi stati, era distesa sul sofà, i lineamenti alterati e tutto il corpo incessantemente agitato. Si premeva di continuo la fronte con le mani, e chiamava con tono struggente e disperato 'Emmy', nome tanto suo che della figlia maggiore. Sotto ipnosi mi informò che questo stato era una ripetizione dei tanti accessi di disperazione che la prendevano durante la cura della figlia, quando, dopo aver passato ore intere a cercare un mezzo per rimediare agli effetti nocivi di quelle cure, non trovava via di uscita. In quei momenti, quando sentiva i pensieri farsi confusi, aveva preso l'abitudine di invocare il nome della figliola, sperando che ciò l'aiutasse a riacquistare lucidità, dato che, nel periodo in cui la malattia della figlia le imponeva nuovi doveri, aveva deciso che qualunque cosa connessa con la ragazza dovesse essere esente da confusioni, per quanto caotico fosse tutto il resto nella sua testa. In poche settimane riuscimmo ad aver ragione anche di questi ricordi e Frau Emmy rimase sotto la mia osservazione per qualche tempo ancora, sentendosi perfettamente bene. Proprio al termine della sua permanenza accadde un fatto che descriverò particolareggiatamente, in quanto illumina notevolmente il carattere della paziente e il modo in cui venivano a manifestarsi i suoi stati. Un giorno andai a farle visita all'ora del desinare e la sorpresi mentre gettava qualche cosa avvolta in carta nel giardino, dove fu raccolta dai bambini del custode. In risposta alla mia domanda, ella confessò che era il suo dolce e che il fatto si ripeteva nello stesso modo tutti i giorni. Ciò mi portò a indagare su ciò che avanzava delle altre portate e trovai che più della metà restava nei piatti. Quando le chiesi perché mangiasse così poco, mi rispose che non era abituata a mangiare di più e che le sarebbe stato nocivo se l'avesse fatto. Aveva la stessa costituzione del padre, negli ultimi anni, il quale era stato egli pure un modico mangiatore. Quando mi informai di ciò che beveva, mi disse che riusciva a sopportare solo liquidi densi, come il latte, il caffè o la cioccolata. Se mai beveva acqua semplice o minerale, le si guastava la digestione. Il fenomeno aveva tutti gli indizi di una scelta nevrotica. Raccolsi un campione delle sue orine trovandole fortemente concentrate e sovraccariche di urati. Pertanto ritenni opportuno di raccomandarle di bere di più e decisi anche di aumentare la quantità di alimenti. È vero che ella non appariva affatto visibilmente scarna, ma in ogni modo pensai che fosse bene cercare di nutrirla un po'. Quando, durante la mia visita successiva, le prescrissi dell'acqua alcalina e le vietai il solito modo di trattare il dolce, ella mostrò una forte agitazione. «Lo farò perché me lo chiede» mi disse «ma posso avvertirla che andrà a finir male perché è contrario alla mia natura, ed era lo stesso per mio padre.» Quando, sotto ipnosi, le domandai perché non mangiasse di più né bevesse affatto acqua, mi rispose in tono piuttosto lugubre: «Non lo so». Il giorno dopo l'infermiera mi riferì che aveva mangiato tutte le portate e aveva bevuto un bicchiere di acqua alcalina. Però trovai Frau Emmy sprofondata in una profonda depressione e di umore assai poco affabile. Accusava fortissimi dolori gastrici. «Glielo avevo detto che sarebbe accaduto» disse «abbiamo sacrificato tutti i buoni risultati per cui abbiamo lottato così a lungo. Mi sono rovinata la digestione, come sempre succede se mangio di più o se bevo acqua, e dovrò restare a digiuno assoluto per cinque giorni o una settimana prima di tollerare qualunque cosa.» Le assicurai che non c'era bisogno che digiunasse e che non era possibile rovinarsi la digestione in quel modo: i dolori dipendevano esclusivamente dalla sua ansia nei confronti del mangiare e del bere. Era chiaro che questa mia spiegazione non le faceva la minima impressione. Infatti, quando, subito dopo, cercai di addormentarla, per la prima volta non riuscii a ipnotizzarla e l'occhiata furibonda che mi lanciò mi convinse che era in aperta ribellione e che la situazióne era molto seria. Rinunciai a ipnotizzarla e le annunziai che le davo ventiquattr'ore per riflettere e accettare il parere che i dolori gastrici provenivano solo dalla sua paura. Passato questo tempo le avrei chiesto se fosse ancora dell'avviso che le si potesse rovinare la digestione per una settimana per aver bevuto un bicchiere d'acqua minerale e per aver consumato un modesto pasto. Se avesse detto di sì le avrei chiesto d'andarsene. Questa scenetta era in stridente contrasto con i nostri normali rapporti, che erano quanto mai amichevoli. Ventiquattr'ore dopo la trovai docile e remissiva. Quando le chiesi che cosa ne pensasse dell'origine dei dolori gastrici, mi rispose, poiché era incapace di mentire: «Credo che derivino dall'ansia, ma solo perché me lo dice lei». Allora la misi sotto ipnosi e le domandai di nuovo: «Perché non può mangiare di più ?». La risposta fu immediata e consiste ancora nella presentazione di una serie di ragioni, tratte cronologicamente dal deposito dei suoi ricordi. «Ora sto pensando che da bambina mi succedeva spesso di rifiutare, per capriccio, di mangiare la carne a pranzo. Mia madre era molto severa su questo punto e io ero obbligata, sotto la minaccia di un'adeguata punizione, a mangiare, due ore più tardi, la carne che era stata lasciata nello stesso piatto. Allora la carne era del tutto fredda e il grasso era talmente indurito» (dimostrò il suo ribrezzo). «... Vedo ancora la forchetta davanti a me... una delle punte era un po' piegata. Ogni volta che mi siedo a tavola vedo davanti a me i piatti pieni di carne fredda e di grasso. Ricordo anche che, parecchi anni dopo, vivevo con mio fratello che era ufficiale e aveva quell'orribile malattia. Sapevo che era contagiosa e avevo una tremenda paura di prendere la sua forchetta e il suo coltello» (rabbrividì) «... e, nonostante ciò, consumavo i pasti con lui perché nessuno sapesse che era ammalato; e ricordo che subito dopo, assistetti l'altro mio fratello tanto gravemente colpito dalla tisi. Stavamo seduti sul bordo del letto e sulla tavola c'era sempre la sputacchiera aperta» (rabbrividì di nuovo) «...e lui aveva l'abitudine di espettorare nella sputacchiera, al di sopra dei piatti. Ciò mi faceva sentir male ma non potevo manifestarlo per timore di urtare la sua suscettibilità. E queste sputacchiere sono sempre sulla tavola ogni volta che vado a mangiare e ancora mi fanno star male.» Naturalmente io feci piazza pulita di tutta questa congerie di fattori di disgusto e quindi le domandai come mai non poteva bere acqua. Quando aveva diciassette anni, rispose, la famiglia aveva passato qualche mese a Monaco e quasi tutti i componenti avevano preso un catarro gastrico per via dell'acqua potabile cattiva. Il disturbo degli altri era presto guarito grazie alle cure mediche, mentre il suo persisteva e non era migliorato con l'acqua minerale che le avevano consigliato. Quando il dottore gliela aveva prescritta, lei aveva subito pensato: «non servirà a nulla». Da allora in poi questa intolleranza per l'acqua, sia comune sia minerale, era ritornata in innumerevoli occasioni. L'efficacia terapeutica di questa scoperta sotto ipnosi fu immediata e durevole. Non rimase a digiuno per una settimana ma fin dal giorno dopo mangiò e bevve senza fare difficoltà di sorta. Due mesi dopo scriveva in una lettera: «Mangio magnificamente e sono assai cresciuta di peso. Ho già bevuto quaranta bottiglie di quell'acqua. Crede che debba continuare?». Vidi ancora Frau von N. la primavera dell'anno seguente nella sua proprietà vicino a D... In quel tempo la figlia maggiore, il cui nome ella invocava durante le «tempeste nella testa», entrò in una fase evolutiva patologica. Rivelava sfrenate ambizioni, del tutto sproporzionate rispetto alla scarsezza delle sue doti, ed era divenuta disobbediente e persino violenta verso la madre. Io godevo ancora la fiducia di questa ultima e fui chiamato a esprimere il mio parere sulle condizioni della ragazza. Ebbi un'impressione sfavorevole del mutamento psicologico verificatosi nella fanciulla e, nel giungere alla prognosi, dovetti anche tener conto che tutti i fratellastri e sorellastre della giovane (figli nati dal primo matrimonio di Herr von N.) erano affetti da paranoia. Nemmeno nella famiglia della madre mancava un'eredità nevropatica, per quanto nessuno dei parenti più prossimi avesse sviluppato una psicosi cronica. Comunicai senza reticenze a Frau von N. il parere richiestomi ed ella lo accolse con calma e comprensione. Era diventata corpulenta e appariva in florida salute. Si era sentita abbastanza bene nei nove mesi trascorsi dall'ultima cura. Era stata solamente disturbata da leggeri crampi al collo e altre dolenzie di poca importanza. Durante i molti giorni che passai in casa sua mi resi conto per la prima volta di tutta l'ampiezza dei suoi doveri, delle sue occupazioni e interessi intellettuali. Mi incontrai anche col medico di famiglia, che non ebbe a lamentarsi molto della signora: questa aveva raggiunto un certo accordo con la professione medica. Così ella era, per molti aspetti, più sana e più capace, ma, a onta di tutte le mie suggestioni intese a un miglioramento, il suo carattere fondamentale era ben poco cambiato. Sembrava non aver accettato l'esistenza di una categoria di «cose indifferenti». La sua tendenza a tormentarsi era appena minore di quanto fosse stata al tempo della cura. E nemmeno le sue tendenze isteriche erano rimaste quiescenti durante questo periodo favorevole. Per esempio, si lamentava di essere incapace di compiere viaggi di qualsiasi durata in treno. Ciò si era manifestato negli ultimi mesi. Un tentativo, necessariamente frettoloso, dì sollevarla da questa difficoltà riuscì solo a farle esprimere tante impressioni sgradevoli di poco momento lasciatele da alcuni recenti viaggi a D... e dintorni. Però sembrava riluttante ad aprire il suo animo durante l'ipnosi e persino allora cominciai a sospettare che fosse sul punto di sottrarsi ancora una volta alla mia influenza e che lo scopo nascosto delle sue inibizioni per la ferrovia fosse quello di impedirsi di fare un altro viaggio a Vienna. Fu anche in quei giorni che si lamentò di lacune della memoria «specialmente per i fatti più importanti», e da questo dedussi che il lavoro compiuto due anni prima era stato pienamente efficace e duraturo. Un giorno stava passeggiando con me per un vialetto che dalla casa andava a sboccare sul mare, quando mi azzardai a domandare se il sentiero fosse spesso infestato dai rospi. Per tutta risposta mi lanciò un'occhiata di rimprovero, anche se accompagnata da un'espressione di orrore; un momento dopo aggiunse le parole: «Ma questi qui sono veri». Durante l'ipnosi, che indussi allo scopo di dominare la sua inibizione per i treni, sembrò essere lei stessa insoddisfatta delle proprie risposte ed espresse il timore di poter essere per l'avvenire meno ubbidiente, sotto ipnosi. Ero deciso a convincerla del contrario. Scrissi qualche parola su un pezzo di carta e glielo porsi dicendo: «Oggi a pranzo lei mi verserà un bicchiere di vino rosso come ha fatto ieri. Quando porterò il bicchiere alle labbra mi dirà: "Prego, mi versi anche lei un bicchiere" e mentre prenderò la bottiglia mi dirà: "No, grazie, dopo tutto penso che non ne voglio". Poi metterà la mano nella borsetta, tirerà fuori il biglietto e vi troverà scritte queste stesse parole». Questo accadeva al mattino. Qualche ora dopo il fatterello accadde proprio secondo quanto avevo predisposto, naturalmente senza che nessuno dei numerosi presenti se ne avvedesse. Quando mi chiese del vino, rivelò evidenti segni di una lotta interiore - infatti non ne beveva mai - e, dopo aver rifiutato la bevanda con evidente sollievo, mise la mano nella borsetta e ne trasse il pezzo di carta sul quale apparivano le ultime parole che aveva pronunciato. Scosse la testa e mi fissò con stupore. Dopo la mia visita del maggio 1890 le notizie che avevo di Frau von N. divennero sempre più scarse. Venni a sapere indirettamente che la miserevole condizione della figliola, che le procurava ogni sorta di dispiacere e agitazione, ne aveva finito col minare la salute. Da ultimo, nell'estate del '93, ricevetti un suo biglietto con cui mi chiedeva il permesso di farsi ipnotizzare da un altro medico, dato che era di nuovo malata e non poteva venire a Vienna. A tutta prima non compresi perché ci volesse il mio permesso finché rammentai che nel '90 io l'avevo protetta, su sua richiesta, contro l'essere ipnotizzata da chiunque altro, allo scopo di non correre il pericolo di essere turbata dal fatto di mettersi sotto il controllo di un medico a lei antipatico, così come era accaduto a -berg (tal, wald). In conformità a ciò rinunciai per iscritto alla mia prerogativa esclusiva. DiscussioniSe non addiveniamo innanzi tutto ad un completo accordo sulla terminologia da adottarsi, non sarà facile stabilire se un dato caso vada classificato come isteria o come qualche altra nevrosi (parlo di nevrosi che non siano di un tipo puramente nevrastenico). E siamo ancora in attesa di una mano indicatrice che stabilisca i segnali di confine della regione delle nevrosi miste, di comune osservazione, e che definisca gli elementi essenziali per la loro caratterizzazione. Pertanto, se siamo ancora abituati a diagnosticare un'isteria, nel senso più ristretto del termine, in base alla sua somiglianza con dei casi tipici ben noti, non saremo in grado di discutere sul fatto se il caso di Frau Emmy fosse isteria o no. La scarsa gravita dei suoi deliri e allucinazioni (rimanendo intatte le altre attività mentali), il cambiamento della sua personalità e il cumulo di ricordi durante lo stato di sonnambulismo artificiale, l'anestesia agli arti inferiori doloranti, certi elementi tratti dall'anamnesi, la nevralgia ovarica, ecc., confermano senza dubbio la natura isterica della malattia o quanto meno della paziente. Se ci dobbiamo porre il problema dipende soltanto da una caratteristica particolare di questo caso, la quale ci offre anche l'occasione per un commento di interesse generale. Secondo quanto abbiamo spiegato nella «Comunicazione Preliminare» al principio di questo libro, noi consideriamo i sintomi isterici quali effetti e residui di eccitazioni che hanno agito come traumi sul sistema nervoso. Non persisteranno residui del genere se l'eccitazione originaria sia stata scaricata attraverso l'abreazione o l'attività mentale. A questo punto non è più possibile evitare l'introduzione del concetto di quantità (sia pure non misurabili). Dobbiamo considerare il processo come se una somma di eccitazioni, pressanti sul sistema nervoso, si sia trasformata in sintomi cronici, non essendo stata impiegata per l'azione esterna in proporzione alla sua entità. Ora noi siamo soliti trovare nell'isteria che una notevole porzione di questa «somma di eccitazioni» dovuta al trauma si trasforma in sintomi puramente somatici. «Questa caratteristica dell'isteria che ne ha così a lungo ostacolato il riconoscimento quale disordine psichico.» Se per amore di brevità, adottiamo il termine 'conversione' per intendere la trasformazione dell'eccitamento psichico in sintomi somatici cronici, ciò che è così tipico dell'isteria, possiamo allora dire che il caso di Frau Emmy von N. presentava solo un piccolo quantitativo di conversione. L'eccitamento, originariamente psichico, rimaneva in massima parte nella sfera psichica, ed è facile vedere come ciò porti ad una rassomiglianza con le altre nevrosi non isteriche. Si danno casi di isteria in cui tutto il surplus di stimolazioni va incontro alla conversione, di modo che i sintomi somatici dell'isteria invadono una coscienza che appare del tutto normale. Però è più frequente una trasformazione incompleta, così che almeno parte delle emozioni che accompagnano il trauma persiste nella coscienza quale componente dello stato affettivo del soggetto. Nel presente caso di isteria, i sintomi psichici con pochissima conversione possono suddividersi in alterazioni dell'umore (ansia, depressione, melancolia), fobie e abulie (inibizioni della volontà). Queste due ultime classi di turbe psichiche sono considerate dalla scuola psichiatrica francese quali stigmate di degenerazione nevrotica, ma nel nostro caso risultano essere conseguenti ad esperienze traumatiche adeguate. Tali fobie e abulie erano in massima parte di origine traumatica, come dimostrerò particolareggiatamente. Alcune fobie, a dire il vero, corrispondono alle fobie originarie degli esseri umani, e dei nevropatici in particolare, - specialmente, per esempio, la paura degli animali (serpenti e rospi, come pure tutti i piccoli esseri di cui Mefistofele si gloria di essere signore), dei temporali, ecc. - Ma queste fobie si sono più fortemente stabilizzate in seguito ad eventi traumatici. Così nel nostro caso la paura dei rospi è stata rafforzata dall'esperienza subita nella prima infanzia, quando un fratello le tirò addosso un rospo morto, fatto questo che portò al primo attacco di spasmi isterici e, analogamente, la paura dei temporali è stata provocata dallo shock che dette origine allo schiocco, e la paura della nebbia dalle passeggiate nell'isola di Rugen. Cionondimeno, in questo gruppo è la paura primaria - o, potremmo dire, istintiva - ad avere la parte di maggior rilievo. Anche le altre, più specifiche fobie, sono spiegabili con avvenimenti particolari. Il terrore delle emozioni inattese ed improvvise è la conseguenza della tremenda impressione subita nel vedere il marito, che sembrava nel fiore della salute, soccombere sotto i suoi occhi a un attacco di cuore. Il suo terrore degli estranei, e in generale delle persone, è risultato derivare dal periodo in cui ella era perseguitata dalla famiglia del marito e aveva la tendenza a riconoscere un emissario di questa in ogni estraneo, mentre le sembrava probabile che degli estranei fossero a conoscenza delle calunnie che venivano diffuse sul suo conto sia per scritto che a voce. La paura dei manicomi e di chi vi era ricoverato risaliva a un'intera serie di tristi avvenimenti per la sua famiglia e da storie insinuate nelle sue orecchie, pronte all'ascolto, da una serva sciocca. A prescindere da ciò questa fobia era da un lato sostenuta dall'orrore primario e istintivo per la follia provato dalle persone sane, e, d'altra parte, dalla paura di impazzire, provata da lei non meno che da tutti i nevrotici. La paura, nettamente specifica, che qualcuno si trovasse dietro di lei era determinata da numerose esperienze terrificanti della giovinezza e della vita successiva. Dopo l'episodio dell'albergo, per lei particolarmente angoscioso a causa delle implicazioni erotiche, si accrebbe di molto la paura che un estraneo si insinuasse nella sua stanza. Infine, il timore di essere seppellita viva, che ella aveva in comune con tanti nevropatici, fu interamente spiegato dall'idea che il marito non fosse morto quando ne avevano portato via il corpo, - idea che dava una commovente espressione all'incapacità di accettare il fatto che la sua vita con l'uomo che amava fosse improvvisamente terminata. Però, secondo me, tutti questi fattori psichici, pur potendo spiegare la scelta di queste fobie, non ne possono spiegare la persistenza. Penso che si debba addurre un fattore nevrotico per rendere ragione di questa persistenza (il fatto che la paziente ha passato anni e anni in stato di astinenza sessuale). Tali circostanze sono tra le cause più frequenti della tendenza all'ansia. Le abulie della nostra paziente (inibizioni della volontà, incapacità di agire) ancor meno delle fobie possono essere considerate come stigmate psichiche dovute a una generica limitazione della capacità. Anzi, l'analisi ipnotica del caso ha chiaramente dimostrato che le sue abulie sono state determinate da un duplice meccanismo psichico (che alla base era unico). In primo luogo un'abulia può essere semplicemente la conseguenza di una fobia. Così è quando la fobia è legata a una azione dello stesso soggetto anziché all'attesa di un evento esterno. Per esempio, nel nostro caso, la fobia di uscire di casa o di mescolarsi con la gente in confronto alla fobia che qualcuno si insinui nella camera. Qui, l'inibizione della volontà è causata dall'ansia concomitante al compimento dell'azione. Sarebbe errato considerare abulie di questo genere quali sintomi distinti dalle rispettive fobie, anche se si deve ammettere che tali fobie possono esistere (purché non troppo gravi) senza determinare abulie. La seconda classe di abulie è legata alla presenza di associazioni non risolte, aventi un'intonazione affettiva, che si oppongono ad un collegamento con altre associazioni, in specie con quelle con le quali esiste un'incompatibilità. L'anoressia della nostra paziente offre uno degli esempi più lampanti di abulia. Ella mangiava tanto poco perché non amava i piaceri del gusto, dei quali non poteva godere in quanto sin dai tempi più remoti l'azione di mangiare si era collegata a ricordi disgustosi in cui l'accumulo di stati emozionali non aveva mai subito alcuna diminuzione; e non è possibile mangiare ad un tempo con piacere e con ripugnanza. Il suo disgusto all'ora dei pasti, stabilitosi da gran tempo, era persistito senza diminuzione perché era continuamente costretta a reprimerlo anziché sbarazzarsene mediante una reazione. Nell'infanzia era stata forzata, con la minaccia di castighi, a mangiare la carne fredda che la disgustava e, in età più avanzata, era stata impedita, per riguardo al fratello dall'esprimere lo stato emotivo che provava durante i pasti in comune. A questo punto mi sarà forse consentito di richiamarmi a un breve articolo nel quale ho cercato di dare una spiegazione psicologica delle paralisi isteriche. In esso giungo all'ipotesi che la causa di queste paralisi si trovi nel fatto che un gruppo di idee, legate, diciamo, con uno degli arti, è inaccessibile a nuove associazioni. Tale inaccessibilità associativa a sua volta dipende dal fatto che l'idea dell'arto paralizzato è legata alla rievocazione del trauma, rievocazione carica di un'affettività non sfogata. Ho dimostrato con esempi tratti dalla vita ordinaria che una carica energetica di questo genere di un'idea il cui contenuto affettivo è irrisolto, comporta sempre un certo grado di inaccessibilità associativa e di incompatibilità con nuove cariche. Finora non sono riuscito a confermare, attraverso l'analisi ipnotica, questa teoria per quanto riguarda le paralisi motorie, ma posso addurre l'anoressia di Frau von N. come una prova che è questo il meccanismo operante in certe abulie e che queste ultime non sono null'altro che un genere altamente specializzato - o, per dirla coi francesi, «sistemizzato» - di paralisi psichica. La situazione psichica di Frau von N. può essere caratterizzata nei suoi elementi essenziali mettendo in evidenza due punti: 1. gli stati affettivi angosciosi legati alle sue esperienze traumatiche erano rimasti irrisolti - per esempio la depressione, il dolore (per la morte del marito), il risentimento (per essere perseguitata dai parenti di lui), il disgusto (per i pasti forzati), la paura (delle molte esperienze spaventevoli), e così via; 2. la sua memoria rivelava una vivace attività che, talora spontaneamente, talora in risposta a uno stimolo concomitante, (p. es. le notizie sulla rivoluzione a S. Domingo) introduceva, frammento per frammento i suoi traumi e i relativi stati affettivi nella sua coscienza del momento attuale. Il mio procedimento terapeutico si basava sull'andamento di questa attività mnemonica e si sforzava, giorno per giorno, di risolvere ed eliminare quanto quel dato giorno aveva portato alla superficie fino a che il deposito accessibile dei suoi ricordi patologici non sembrasse esaurito. Queste due caratteristiche psichiche, che io ritengo generalmente presenti nei parossismi isterici, danno adito a molte considerazioni importanti. Però ne rimanderò la discussione fino a che non avrò trattato il meccanismo dei sintomi somatici. Non è possibile attribuire una stessa origine a tutti i sintomi somatici di questi pazienti. Al contrario, persino in questo caso, che pure non ne era troppo ricco, si vede come i sintomi somatici dell'isteria possono insorgere in moltissimi modi. In primo luogo mi arrischierò ad includere i dolori tra i sintomi somatici. Per quel che mi è dato sapere, un gruppo di dolori di Frau von N. era certamente determinato organicamente da lievi alterazioni (di natura reumatica) dei muscoli, tendini e fasce, che provocano dolori molto più intensi nei nevrotici che negli individui normali. Un altro gruppo di dolori era costituito con tutta probabilità da ricordi di dolori, simboli mnemonici dei periodi di agitazione e di assistenza di malati, che tanta importanza avevano avuto nella vita della paziente. Anche questi dolori possono aver trovato originariamente la loro giustificazione su una base organica ma poi furono adattati agli scopi della nevrosi. Io fondo queste asserzioni circa i dolori di Frau von N. soprattutto su osservazioni compiute altrove che riporterò più avanti. Infatti ben poche informazioni potevano essere tratte su questo argomento dalla paziente stessa. Alcuni degli impressionanti fenomeni motori presentati da Frau von N. erano semplicemente un'esperienza delle emozioni e potevano essere facilmente riconosciuti sotto questa luce. Così, il modo in cui stendeva le mani in avanti, con le dita aperte e flesse, esprimeva orrore e lo stesso dicasi delle smorfie. Questa, naturalmente, era una maniera di esprimere le emozioni più vivace e disinibita di quanto non fosse abituale tra le donne della sua educazione e del suo rango. Ella stessa, infatti, era contenuta, quasi rigida nei suoi movimenti espressivi quando non era in stato isterico. Altri sintomi motori erano, secondo lei stessa, direttamente correlati con i suoi dolori. Giocherellava senza tregua con le dita e strofinava le mani l'una contro l'altra in modo da impedirsi di gridare. Questa ragione richiama necessariamente alla mente uno dei princìpi postulati da Darwin per spiegare l'espressione delle emozioni - il principio dello straripamento dell'eccitazione - che spiega, per esempio, perché i cani agitano la coda. Tutti noi siamo soliti, quando siamo colpiti da stimoli dolorosi, sostituire le grida con altri tipi di efferenze motorie. Una persona che sia risoluta, dal dentista, a tener ferma la testa e la bocca e a non frapporre le mani, deve almeno cominciare ad agitare i piedi. Un tipo di conversione più complicato è rilevato dai movimenti simili a tic di Frau von N., quali lo schiocco linguale e il balbettio, l'invocare il nome «Emmy» negli stati confusionali, dall'usare la formula composita «Sta fermo! Non dire nulla! Non mi toccare!» Di queste manifestazioni motorie, il balbettio e lo schiocco, possono essere spiegati, secondo il meccanismo che ho descritto in un breve articolo sul trattamento di un caso mediante suggestione ipnotica, come un «mettere in atto delle idee antitetiche». Il procedimento, esemplificato attraverso il nostro caso attuale, sarebbe il seguente. La nostra paziente isterica, esausta per la preoccupazione e per le lunghe ore di veglia passate al capezzale della figlioletta malata che finalmente aveva preso sonno, disse a se stessa: «Ora devi rimanere perfettamente calma per non svegliare la bambina». Questa intenzione probabilmente suscitò un'idea di contrasto sotto forma di paura di produrre ugualmente un rumore che avrebbe destato la bambina dal sonno per tanto tempo sperato. Simili idee antitetiche sorgono in noi precipuamente allorché ci sentiamo malsicuri circa la nostra capacità di realizzare un'intenzione importante. I nevrotici, nei cui stati d'animo è raro che non si trovi una disposizione alla depressione o all'attesa ansiosa, formano queste idee di contrasto molto di più delle persone normali oppure le percepiscono più facilmente. Inoltre le considerano più importanti. Nello stato di spossatezza della nostra paziente, l'idea di contrasto, che di norma ella respingeva, dimostrò di essere la più forte. Fu questa idea che si mise in atto e che, con orrore della paziente, produsse effettivamente il rumore che ella temeva. Onde spiegare l'intero processo, è lecito presupporre che la sua spossatezza fosse solo parziale: essa interveniva, per usare la terminologia di Janet e allievi, solamente sul suo ego primario e non aveva il potere di indebolire anche l'idea di contrasto. Ancora, si può presumere che fosse il suo orrore per questo rumore, prodotto contro la sua volontà, che rese traumatizzante quel momento e fissò il rumore stesso quale sintomo mnemonico dell'intera scena. Infatti io credo che il carattere del tic in sé consistente in una successione di suoni emessi in modo convulsivo e separati da pause, così che possono essere meglio paragonati a schiocchi, riveli tracce del processo cui si deve la sua origine. Evidente che vi era stato un conflitto tra intenzione e idea antitetica (la controvolontà) e che ciò conferì al tic un carattere di discontinuità ed incanalò l'idea antitetica su vie diverse da quelle abituali nell'innervazione dell'apparato muscolare vocale. L'inibizione spastica del linguaggio della paziente, quel suo particolare balbettio, era il residuo di una causa eccitante fondamentalmente simile. Però in questo caso non fu il risultato finale dell'efferenza - ossia l'esclamazione - ma fu la stessa efferenza nervosa - tentativo convulso di inibizione degli organi della parola - che venne elevata nella memoria di lei alla dignità di simbolo dell'evento. Questi due sintomi, schiocco e balbettio, che pertanto erano strettamente correlati dalla storia della loro origine, continuarono a rimanere associati e si trasformarono in sintomi cronici dopo essere stati ripetuti in un'analoga occasione. Da quel momento in poi essi trovarono un'ulteriore utilizzazione. Essendo stati originati in un momento di violenta paura, vennero poi a collegarsi a qualunque paura (in conformità al meccanismo dell'isteria monosintomatica che sarà descritto nel caso V) anche quando la paura non poteva portare all'attivazione di un'idea di contrasto. I due sintomi finirono con l'essere legati a traumi talmente numerosi che avevano molte ragioni per essere riprodotti dalla memoria, da interrompere di continuo il discorso della paziente, senza una causa particolare, sotto forma di un tic senza significato. Però l'analisi ipnotica riuscì a dimostrare quanta significatività fosse celata dietro questo apparente tic e se il procedimento di Breuer non riuscì in questo caso a eliminare totalmente i due sintomi in un sol colpo, ciò dipese dal fatto che la catarsi si era estesa soltanto ai tre traumi principali e non a quelli secondari associati. (Potrebbe sembrare a questo punto che io insista troppo sui particolari dei sintomi e mi smarrisca in un ginepraio non necessario di interpretazioni. Ma ho imparato che il determinismo dei sintomi isterici si estende di fatto fino alle più sottili manifestazioni e che è difficile attribuire loro un significato preciso. A conforto di questa affermazione darò un esempio. Alcuni mesi or sono avevo in cura una ragazza di diciotto anni appartenente a una famiglia con eredità patologica. L'isteria entrava in pieno nella sua complessa nevrosi. Per prima cosa la sentii lamentarsi di soffrire di attacchi di disperazione di due tipi. In una provava delle sensazioni di stiramenti e punture alla parte inferiore del viso, dalle guance in giù verso la bocca; nell'altro tipo le dita di entrambi i piedi si estendevano convulsamente e prendevano ad agitarsi. In principio non mi sentivo riluttante ad attribuire molta importanza a questi particolari, e non c'è dubbio che i primi studiosi dell'isteria sarebbero stati inclini a considerare questi fenomeni come una prova della stimolazione dei centri corticali durante un attacco isterico. E pur vero che noi ignoriamo la localizzazione dei centri che provocano parestesie di questo genere, annunciano l'epilessia parziale e costituiscono l'epilessia sensoriale di Charcot. Le aree corticali simmetriche in immediata prossimità del solco centrale possono essere ritenute responsabili dei movimenti dei piedi. Ma la spiegazione risultò differente. Dopo che ebbi conosciuto meglio la ragazza, le domandai apertamente quali pensieri le venissero alla mente durante quegli attacchi. Le dissi di non essere imbarazzata e che sarebbe stata capace di dare una spiegazione dei due fenomeni. La paziente divenne rossa dalla vergogna ma alla fine riuscii a persuaderla, senza ricorrere all'ipnosi, a fornire il seguente resoconto, la cui veridicità fu confermata dalla sua compagna, che era presente in quel momento. Dal tempo in cui erano iniziate le mestruazioni ella aveva sofferto per anni di cephalalgia adolescentium, che aveva reso impossibile qualsiasi occupazione regolare e aveva interferito con la sua istruzione. Quando finalmente si liberò di questa invalidità, questa fanciulla ambiziosa e alquanto povera di spirito decise di adoprarsi molto duramente al proprio perfezionamento, in modo da mettersi alla pari con le sorelle e i coetanei. A questo scopo ella fece degli sforzi del tutto irragionevoli, e ogni sforzo del genere di solito terminava con un accesso di disperazione, per aver sopravvalutato le proprie doti. Ella inoltre naturalmente soleva confrontarsi dal punto di vista fisico con le altre ragazze e si sentiva infelice quando scopriva in se stessa qualche inferiorità fisica. Aveva i denti molto sporgenti e cominciò a sentirsi sconvolta per questo. Le venne l'idea di correggere questo difetto tenendo il labbro superiore tirato giù sui denti sporgenti per un quarto d'ora ogni tanto. Il fallimento di questi sforzi puerili le procurò una volta un accesso di disperazione. Da quel momento si instaurarono le sensazioni di stiramento e puntura delle guance in giù, quale elemento costitutivo di uno dei suoi due tipi di accessi. L'origine dell'altro tipo - con i sintomi motori di estensione e agitazione delle dita dei piedi - fu scoperta con non minore facilità. Mi fu riferito che il primo accesso del genere era comparso dopo un'escursione allo Schafberg presso Ischi (alta Austria) e i suoi parenti tendevano ovviamente ad attribuirlo al sovraffaticamento. La stessa ragazza mi disse un'altra storia. Sembrava che fosse un'abitudine favorita tra le sorelle di burlarsi a vicenda delle grandi dimensioni dei loro piedi, fatto questo innegabile. La paziente era da molto tempo infelice a causa di questa pecca e cercava di forzare i propri piedi in scarpe il più possibile strette. Ma l'attento genitore non lo permetteva e badava che ella portasse solo calzature comode. Ella era molto insoddisfatta di questa imposizione. Ci pensava di continuo e aveva preso l'abitudine di agitare le dita dentro la scarpa, come si suol fare quando si vuol sentire se una scarpa è troppo larga e quale misura più piccola si potrà prendere, ecc. Durante l'escursione allo Schafberg, che ella non trovò affatto troppo faticosa, si presentò, naturalmente, di nuovo un'occasione che attrasse la sua attenzione sul fatto delle scarpe, dato che indossava una gonna accorciata. Durante la passeggiata una delle sorelle le disse: «Oggi ti sei messa un paio di scarpe di misura extra». Ella fece la prova muovendo le dita ed ebbe la stessa impressione. Da allora in poi non potè sottrarsi al suo stato di agitazione riferita alle disgraziate dimensioni dei suoi piedi, e, quando tornarono dalla passeggiata, ebbe il primo attacco. Le dita dei piedi si flettevano e muovevano involontariamente quale simbolo mnemonico di tutta quella concatenazione di pensieri deprimenti. Qui posso far notare che si tratta di attacchi e non di sintomi cronici. Potrei anche aggiungere che dopo la confessione della paziente il primo tipo di sintomi cessò, ma il seconto tipo - gli attacchi di agitazione delle dita dei piedi - persistette. Deve quindi essere stata omessa qualcosa che ella non confessò. Poscritto. Più tardi venni a sapere la ragione per cui questa scioccherella si dava tanto da fare per imbellirsi: desiderava attirare un suo giovane cugino.) In conformità con le regole che governano gli attacchi isterici, l'invocazione «Emmy» durante gli attacchi di confusione si richiamava, come si ricorderà, ai frequenti stati di smarrimento provati durante l'assistenza alla figlia. Questa invocazione era legata al contenuto dell'attacco da una complessa concatenazione di fatti e aveva i caratteri di una formulàprotettiva contro gli attacchi. L'invocazione, tramite un'applicazione del suo significato, poteva degenerare in tic come era di fatto accaduto nel caso della complessa formula protettiva «Non mi toccare», ecc. In entrambi i casi il trattamento ipnotico impedì qualsiasi ulteriore sviluppo dei sintomi, ma l'invocazione «Emmy» era appena comparsa e io la colsi quando si trovava ancora nel suo terreno originario, limitata agli accessi di confusione. Come si è già visto, questi sintomi motori si originavano in diversi modi: attraverso la realizzazione pratica di un'idea antitetica (come nel caso dello schiocco), per semplice conversione dell'eccitamento psichico in attività motoria (come nel caso della balbuzie) o tramite un'azione volontaria (come nel caso delle misure di protezione esemplificate dall'invocazione «Emmy» e dalla formula più lunga). Ma, in qualunque modo fossero stati originati, questi sintomi motori avevano una cosa in comune. Si può dimostrare che essi avevano un rapporto primitivo e di lunga durata con i traumi e fungevano da simboli di questi ultimi nelle attività mnemmoniche. Altri sintomi somatici della paziente non erano affatto di natura isterica. Ciò vale, per esempio, per i crampi al collo che io considero una forma frusta di emicrania, che pertanto non vanno classificati come una nevrosi ma come un disturbo organico. Però i sintomi isterici si legavano regolarmente a essi. Per esempio, i crampi al collo di Frau von N. erano applicati agli scopi degli attacchi isterici quando non era disponibile la tipica sintomatologia degli attacchi. Estenderò la descrizione dello stato psichico di Frau von N. prendendo in considerazione le alterazioni patologiche della coscienza che si potevano osservare in lei. Come i crampi al collo, così gli avvenimenti penosi della giornata (cfr. il suo ultimo delirio in giardino), o qualsiasi cosa che richiamasse energicamente alla sua memoria uno qualunque dei suoi traumi, la riducevano in stato di delirio. In questi stati — e le poche osservazioni da me fatte non possono trarmi ad altra conclusione - vi era un restringimento della coscienza e una compulsione all'associazione analoga a quella che predomina nei sogni. Le allucinazioni e illusioni erano facilitate in massimo grado ed ella ne traeva delle deduzioni poco coerenti (addirittura insensate. Questo stato, comparabile a un'alienazione allucinatoria, rappresentava probabilmente un attacco. Potrebbe essere considerato come una psicosi acuta (in funzione equivalente di un attacco) che dovrebbe essere classificata come condizione di «confusione allucinatoria». Un'ulteriore somiglianza tra questi stati e un tipico attacco isterico era rivelata dal fatto che una parte dei ricordi traumatici, stabilitisi da vecchia data, poteva di solito essere individuata nel delirio. Il passaggio da uno stato normale al delirio spesso accadeva in modo del tutto impercettibile. A un dato momento, poteva stare discorrendo del tutto razionalmente di argomenti aventi scarsa risonanza emotiva, quando, spostatasi la conversazione su idee di tipo perturbante, io mi accorgevo, dall'esagerazione dei gesti e dall'apparire delle solite formule verbali, che ella si trovava in stato delirante. Al principio della cura, il delirio durava tutta la giornata in modo che era difficile stabilire con certezza se determinati sintomi - quali i gesti - facessero parte del suo stato psichico semplicemente come sintomi di un attacco o se - come lo schiocco e la balbuzie - fossero diventati veri sintomi cronici. Spesso solo dopo l'evento era possibile distinguere tra ciò che era accaduto in delirio e ciò che era accaduto nel suo stato normale. Infatti i due stati erano separati nella sua memoria e talora ella si meravigliava non poco nell'ascoltare le cose che il delirio aveva introdotto frammentariamente nella conversazione normale. Proprio il mio primo colloquio con lei rappresentò l'esempio più lampante del modo in cui i due stati erano intrecciati senza alcun reciproco rapporto. In un solo istante di questa dissociazione psichica avvenne che la sua coscienza normale, focalizzata su quella giornata, fosse influenzata. Fu quando mi dette una risposta originata dal delirio, dicendo: «Sono una donna che risale al secolo scorso». L'analisi di questi stati deliranti di Frau von N. non fu condotta in modo esauriente. Ciò dipese soprattutto dal fatto che la sua condizione migliorò tanto rapidamente che i deliri divennero nettamente distinti dalla sua vita normale e si ridussero ai periodi di crampi al collo. D'altro canto, raccolsi molte informazioni sul comportamento della paziente in un terzo stato: il sonnambulismo artificiale. Mentre, in condizioni normali, ella non era a conoscenza delle esperienze psichiche del delirio e del sonnambulismo, durante quest'ultimo aveva accesso ai ricordi di tutti e tre gli stati. Quindi è un dato di fatto che, nello stato di sonnambulismo, si trovava nelle condizioni di massima normalità. In effetti, se prescindo dal fatto che nel sonnambulismo era di gran lunga meno riservata con me, di quanto lo fosse nei migliori momenti della vita ordinaria - infatti nel sonnambulismo mi forniva ragguagli sulla sua famiglia e cose del genere, mentre, negli altri momenti, mi trattava da estraneo - e se, inoltre, trascuro il fatto che presentava in alto grado le caratteristiche di suggestionabilità proprie del sonnambulismo, mi vedo costretto ad affermare che durante il sonnambulismo si trovava in uno stato del tutto normale. Era interessante notare che nel sonnambulismo non presentava alcun segno di supernormalità ma che era soggetta a tutte le imprecisioni mentali che siamo soliti trovare in uno stato di coscienza normale. Gli esempi che seguono fanno luce sul comportamento della sua memoria nel sonnambulismo. Un giorno, durante la conversazioni fu affascinata dalla bellezza di una pianta in un vaso che ornava il salone d'ingresso della Casa di cura. «Ma qual è il suo nome, dottore? Lei lo conosce? Io ne sapevo il nome tedesco e latino ma li ho dimenticati tutti e due». Aveva vaste conoscenze in materia di piante mentre io fui costretto in quell'occasione a confessare la mia mancanza di preparazione botanica. Qualche minuto dopo le chiesi sotto ipnosi se conosceva il nome della pianta nel salone. Mi rispose senza esitare: Tùr-kenlilie, (giglio a turbante) «ho veramente dimenticato il nome latino». Un'altra volta, mentre si sentiva in buona salute, mi parlò di una sua visita alle catacombe romane, ma non riusciva a ricordare due termini tecnici, né io potevo aiutarla. Subito dopo, sotto ipnosi, le chiesi che parole avesse in mente, ma non le sapeva nemmeno adesso. Allora le dissi: «Non se ne preoccupi più per ora, ma domani, quando sarà in giardino tra le cinque e le sei - più vicino alle sei che alle cinque - le ritorneranno alla memoria all'improvviso». La sera dopo, mentre stavamo discorrendo di qualche cosa che non aveva rapporti con le catacombe, ella esclamò improvvisamente: «Cripta, dottore, e colombario». «Ah! Sono queste le parole che non riusciva a ricordare ieri sera. Quando le sono tornate in mente?». «Questo pomeriggio in giardino immediatamente prima di salire in camera.» Compresi che voleva farmi sapere, in questo modo, che aveva seguito a puntino le mie istruzioni circa l'ora, dato che aveva l'abitudine di lasciare il giardino verso le sei. Vediamo dunque che persino nel sonnambulismo ella non aveva accesso a tutto l'ambito delle sue conoscenze. Persino in quello stato vi erano una coscienza attuale e una potenziale. Soleva spesso accadere che, quando le domandavo, durante il sonnambulismo, da dove derivasse questo o quel fenomeno, ella corrugasse la fronte e dopo una pausa rispondesse in tono di scusa: «Non lo so». Avevo preso l'abitudine in tali occasioni, di dire: «Ci pensi un istante, le verrà subito in mente»; e dopo una breve riflessione era in grado di darmi l'informazione richiesta. Ma succedeva a volte che non le venisse nulla in mente e che io fossi obbligato a lasciarla con l'incombenza di ricordarla il giorno dopo, cosa che non mancava mai di accadere. Nella vita ordinaria Frau von N. evitava scrupolosamente l'insincerità né mai mi mentiva sotto ipnosi. Però, di quando in quando, mi dava delle risposte incomplete e taceva una parte della narrazione finché non insistevo perché la completasse. Di solito era il ribrezzo ispiratole dall'argomento che le chiudeva la bocca durante il sonnambulismo, non meno che nella vita ordinaria. Cionondimeno, nonostante questi fattori limitativi, l'impressione data dal suo comportamento mentale durante il sonnambulismo era, nel complesso, di un disinibito spiegamento di tutte le sue facoltà mentali e di un assoluto controllo del suo deposito di ricordi. Pur non potendosi negare che, in stato di sonnambulismo, ella era fortemente suggestionabile, era ben lontana dal presentare una patologica mancanza di resistenza. In complesso si può affermare che io non facevo più impressione su di lei di quanta mi sarei aspettato di fare se avessi condotto un'inchiesta del genere sui meccanismi psichici di qualcuno nel pieno possesso delle sue facoltà, e che riponesse completa fiducia in ciò che dicevo. La sola differenza era che Frau von N. era incapace, durante quello stato che passava per normale, di accogliermi con un'attitudine mentale altrettanto favorevole. Se, come nel caso della sua fobia per gli animali, non riuscivo a fornirle delle ragioni convincenti, o non mi addentravo nella storia psichica delle origini di un sintomo, ma cercavo di agire attraverso l'inserimento di suggestioni autoritarie, vedevo sempre dipingersi sul suo volto un'espressione tesa e insoddisfatta, e quando, al termine dell'ipnosi, le chiedevo se avrebbe avuto ancora paura degli animali, mi rispondeva: «No... dato che insiste». Una promessa come questa, fondata solo sulla sua obbedienza per me, non ebbe mai alcun successo, più di quanto non ne ebbero le molte ingiunzioni generiche che le imponevo, al posto delle quali avrei potuto benissimo ripetere la sola suggestione che si sarebbe sentita meglio. Ma questa stessa persona, che si aggrappava tanto ostinatamente ai propri sintomi di fronte alla suggestione, sì che non li avrebbe abbandonati se non in risposta all'analisi psichica o per convincimento personale, d'altra parte era tanto trattabile, quanto un paziente medio di qualsiasi ospedale, per ciò che riguardava le suggestioni di poco momento, quelle cioè che concernevano questioni non legate alla sua malattia. Nel riportare la storia di questo caso, ho riferito degli esempi della sua obbedienza postipnotica. Non mi sembra che vi sia nulla di contraddittorio in questo comportamento. Anche in questo caso l'idea più forte era destinata a imporsi da sola. Se entriamo nel meccanismo delle «idées fixes», troviamo che queste si fondano e sono sostenute da tante numerose esperienze, operanti con tale intensità, che non possiamo stupirci nello scoprire che queste idee sono capaci di opporre un'efficace resistenza all'idea opposta presentata dalla suggestione, la quale è dotata soltanto di limitati poteri. Dovrebbe essere un cervello veramente patologico quello dal quale fosse possibile spazzar via con la semplice suggestione le produzioni, tanto fortemente impiantate, di intensi avvenimenti psichici. (Con un'altra delle mie pazienti, sono rimasto fortemente impressionato da questo interessante contrasto durante il sonnambulismo, tra una quasi assoluta obbedienza in tutto ciò che era collegato con i sintomi e l'ostinazione con cui questi sintomi persistevano perché profondamente radicati e inaccessibili all'analisi. Una ragazza vivace e ben dotata, che per diciotto mesi aveva sofferto di gravi disturbi della deambulazione, rimase in cura da me per più di cinque mesi senza che io potessi giovarle. Aveva analgesie e zone di dolenzia a entrambe le gambe oltre a un tremore rapido delle mani. Camminava curvata in avanti, trascinando le gambe e a passi brevi; barcollava come fosse un caso cerebellare e, in effetti, cadeva spesso. Il suo temperamento era notevolmente allegro. Una delle massime autorità mediche di Vienna in quel tempo fu tratta in inganno da questa sindrome, diagnosticando una sclerosi multipla. Un altro specialista riconobbe che era un'isterica — diagnosi avvalorata dal complesso quadro presentato dalla malattia al suo apparire (dolori, sincopi, amaurosi) — e la inviò a me per la cura. Io cercai di migliorare l'andatura mediante suggestione, con manipolazioni delle gambe sotto ipnosi, ecc., ma non ebbi successo nonostante ella fosse un eccellente soggetto per il sonnambulismo. Un giorno, dopo che ella era ancora una volta entrata vacillando nella stanza, sorretta per un braccio dal padre, e l'altro appoggiato su un ombreDo il cui puntale era già parecchio consumato, persi la pazienza e le gridai, durante l'ipnosi: «È andata avanti anche troppo. Domani l'ombrello le si romperà in mano e lei dovrà camminare senza, e poi non avrà mai più bisogno di un ombrello». Non riesco a immaginare come possa essere stato tanto sciocco da dare una suggestione a un ombrello; in seguito ne provai vergogna. Non sospettavo però che la mia brava paziente avrebbe salvato la mia reputazione agli occhi di suo padre, il quale era medico e assisteva alle ipnosi. Il giorno dopo il padre mi disse: «Che cosa crede che abbia fatto ieri? Camminavamo per la Ringstrasse (la principale passeggiata di Vienna) quando all'improvviso divenne ilare. Cominciò a cantare, proprio in mezzo alla strada, Ein freies Leben fuhren wir («Viviamo una vita libera» dal popolare coro dei masnadieri del dramma di Schiller, / Masnadieri) e batteva il tempo sul selciato con l'ombrello che si ruppe». Naturalmente lei stessa non aveva idea di aver trasformato una suggestione insensata in un'altra coronata da un brillante successo. Siccome la sua condizione non migliorava con le assicurazioni, gli ordini e il trattamento sotto ipnosi, mi rivolsi all'analisi psichica e le chiesi di dirmi quale emozione avesse preceduto l'instaurarsi della malattia. Mi rispose (sotto ipnosi ma senza" alcuna manifestazione affettiva) che non molto tempo prima era morto un suo giovane parente del quale ella si era considerata per molti anni fidanzata. Però questa informazione non produsse alcun cambiamento delle sue condizioni, per cui, durante l'ipnosi seguente, le dissi di essere pienamente convinto che la morte del cugino nulla aveva a che vedere con il suo stato, ma che doveva essere accaduta qualche altra cosa cui non aveva fatto cenno. Allora ella cominciò con una frase che doveva essere significativa, ma aveva appena detto una parola che si arrestò, e il vecchio padre, che le sedeva accanto, prese a singhiozzare amaramente. Naturalmente non proseguii nella mia investigazione né mai più rividi la paziente.) Fu mentre studiavo le abulie di Frau von N. che cominciai per la prima volta a nutrire seri dubbi sulla validità dell'affermazione di Bernheim «Tout est dans la suggestion» (tutto sta nella suggestione) e del corollario del suo valente amico Delboeuf: «Comme quoi il n'y a pas d'hypnotisme» (con il che l'ipnotismo non esiste). E a tutt'oggi non riesco a comprendere come si potesse supporre che, solamente alzando un dito e dicendo una volta sola: «Dormi», avessi creato nella paziente quel particolare stato psichico in cui la sua memoria aveva accesso a tutte le sue esperienze psichiche. Io posso aver evocato quello stato con la mia suggestione ma non l'ho creato dato che le sue caratteristiche - che, incidentalmente, si osservano universalmente -furono una sorpresa per me. La teoria di questo caso illustra abbastanza chiaramente il modo in cui il lavoro terapeutico veniva condotto durante il sonnambulismo. Secondo la pratica corrente della psicoterapia ipnotica, io combattevo le idee patologiche della paziente mediante rassicurazioni e divieti e proponendo idee opposte di ogni genere, ma non mi accontentavo di questo. Ricercai la genesi dei singoli sintomi, essere in grado di combattere le premesse su cui si impiantavano le idee patologiche. Nel corso di detta analisi accadeva abitualmente che la paziente esprimesse verbalmente, con la più violenta agitazione, quei fatti che sino ad allora avevano trovato sfogo solo con l'espressione di un'emozione. Non saprei dire quanto del successo terapeutico fosse ogni volta dovuto all'eliminazione dei sintomi in statu nascendi e quanto all'aver risolto lo stato affettivo grazie all'abreazione, dato che io combinavo insieme i due fattori terapeutici. In conseguenza, questo caso non può a rigore servire come prova dell'efficacia terapeutica del processo di catarsi. Inoltre debbo aggiungere che solo quei sintomi dei quali facevo l'analisi psichica erano veramente eliminati in modo definitivo. Il successo terapeutico nel complesso fu considerevole, ma non duraturo. La tendenza della paziente a cadere ammalata in modo simile sotto l'urto di nuovi traumi non venne eliminata. Chiunque voglia intraprendere la cura definitiva di un caso di isteria come questo dovrebbe addentrarsi più profondamente nel complesso dei fenomeni, di quanto io non abbia cercato di fare. Frau von N. era senza dubbio una personalità con una grave eredità nevropatica. Non sembra probabile che ci possa essere un'isteria senza una predisposizione di questo genere. Ma d'altra parte la predisposizione da sola non produce isteria. Vi devono essere delle cause che la scatenino e, secondo me, queste cause devono essere adeguate: l'etiologia è di carattere specifico. Ho già detto che in Frau von N. gli stati affettivi, legati a un gran numero di esperienze traumatiche, erano stati ritenuti e che la sua vivace attività mnemonica riportava alla superficie della sua mente ora questo e ora quel trauma. Ora mi arrischierò ad avanzare una spiegazione della ragione per cui ella tratteneva le emozioni in tale maniera. Questa ragione, certamente, era legata alla sua disposizione ereditaria. Infatti, da un lato, i suoi sentimenti erano molto intensi; aveva un'indole impetuosa, capace delle più forti passioni. D'altra parte sin dalla morte del marito era vissuta in totale solitudine mentale. La persecuzione, inflittale dai parenti di lui, l'aveva resa sospettosa degli amici e si teneva gelosamente in guardia contro chiunque acquistasse un'eccessiva influenza sulle sue azioni. La cerchia dei suoi impegni era molto ampia, ed ella eseguiva da sé tutto il lavoro intellettuale che essi imponevano, senza amici né confidenti, quasi isolata dalla sua famiglia e svantaggiata dalla sua coscenziosità, dalla sua tendenza a tormentarsi e spesso, anche, dalla naturale impotenza di una donna. In breve, il meccanismo della ritenzione di grandi quantitativi di eccitazione, a prescindere da tutto il resto, non può in questo caso essere trascurato. Esso si basava in parte sulle circostanze della sua vita e in parte sulla sua disposizione naturale. Per esempio, la sua riluttanza a dire alcunché di se stessa era tanto grande che, come ebbi ad accorgermi con meraviglia nel 1891, nessuno dei visitatori giornalieri della sua casa si rendeva conto che era ammalata o sapeva che io ero il suo medico. Questo esaurisce l'etiologia di questo caso di isteria? Io non lo credo, perché al tempo delle sue due cure, non avevo ancora formulato nella mia mente le domande alle quali si deve dare una risposta prima che sia possibile una spiegazione esauriente di un caso del genere. Ora io sono dell'avviso che doveva esistere qualche fattore aggiuntivo che aveva provocato l'insorgere della malattia proprio in quegli anni, tenendo presente che condizioni etiologicamente efficaci esistevano da molti anni prima. Mi colpì anche il fatto che in tutte le informazioni intime fornitemi dalla paziente vi era una totale assenza dell'elemento sessuale, il quale, dopo tutto, è quello che ha maggiori possibilità di qualunque altro di fornire occasioni di trauma. Non è possibile che le sue emozioni in questo campo non avessero lasciato nessuna traccia, Senza dubbio quello che mi si permetteva di ascoltare era una editio ad usum delphini della storia della sua vita. La paziente si comportava con il massimo, e secondo tutte le apparenze, spontaneo senso di decenza, senza tracce di affettata pudicizia. Però, quando rifletto al riserbo col quale, sotto ipnosi, mi riferì la piccola avventura della sua cameriera all'albergo, non posso fare a meno di sospettare che questa donna, tanto appassionata e tanto capace di forti sentimenti, aveva trionfato sui propri bisogni sessuali non senza dure lotte e che, di quando in quando, i suoi tentativi di reprimere questo istinto, tra tutti il più possente, l'avevano esposta a un grave esaurimento psichico. Una volta mi aveva confidato che non si era risposata perché dato il suo grande patrimonio non poteva prestar fede al disinteresse dei suoi corteggiatori e perché si sarebbe rimproverata di nuocere all'avvenire delle sue due figliole con un nuovo matrimonio. Devo fare un'altra osservazione prima di chiudere la storia del caso di Frau von N. Il Dott. Breuer e io la conoscevamo molto bene e da tanto tempo ed eravamo soliti sorridere quando confrontavamo il suo carattere con la rappresentazione della psiche isterica che si può dedurre, fin da tempi remoti, attraverso gli scritti e le opinioni dei cultori della medicina. Avevamo appreso dalle nostre osservazioni su Frau Cacilie M. che l'isteria del genere più grave può coesistere con doti intellettuali della più ricca e originale natura, conclusione, questa, che in ogni caso è resa certa, fuori di ogni dubbio, dalle biografìe di donne eminenti della storia e della letteratura. Allo stesso modo, Frau Emmy von N. ci fornì un esempio di come l'isteria sia compatibile con un carattere irreprensibile e con un ben ordinato tenore di vita. La donna che noi avemmo la ventura di conoscere era ammirevole. La serietà morale con cui affrontava i suoi doveri, la sua intelligenza ed energia, non inferiori a quelle di un uomo, l'alto grado della sua istruzione e il suo amore della verità, ci impressionarono grandemente, mentre la sua benevola sollecitudine del benessere di tutti i suoi dipendenti, la sua umiltà intellettuale e la raffinatezza dei suoi modi rivelavano le sue qualità di vera signora. Descrivere questa donna come una «degenerata» significherebbe distorcere il senso di questa parola oltre ogni possibilità di riconoscimento. Faremo bene a distinguere tra i concetti di «disposizione» e «degenerazione» nell'applicarli alle persone. Altrimenti ci troveremo costretti ad ammettere che l'umanità è debitrice di una gran parte delle sue grandi conquiste agli sforzi di «degenerati». Devo anche confessare che nella storia di Frau von N. non trovo alcun segno dell'«insufficienza psichica» alla quale Janet attribuisce le genesi dell'isteria. Secondo lui la predisposizione isterica consiste in un abnorme restringimento del campo della coscienza (dovuto a degenerazione ereditaria) che porta a trascurare un intero gruppo di idee e, più avanti, alla disintegrazione dell'ego e all'organizzazione di personalità secondarie. Se così fosse, quanto rimane dell'ego dopo la eliminazione dei gruppi psichici organizzati istericamente dovrebbe necessariamente essere meno sufficiente di un ego normale, e, infatti, secondo Janet, l'ego nell'isteria è affetto da stigmate psichiche, condannato al monoideismo e incapace degli atti di volizione della vita normale. Janet, io credo, ha commesso qui l'errore di elevare quelli che sono effetti postumi di cambiamenti della coscienza dovuti all'isteria, al rango delle cause primarie dell'isteria. E' un argomento che merita un'ulteriore considerazione, ma in Frau von N. non vi erano segni di questa insufficienza. Nei periodi di condizioni peggiori ella era e continuava a essere capace di sostenere il suo ruolo nell'amministrazione di una grande impresa industriale, di tenere costantemente d'occhio l'istruzione delle figlie, di mantenere una corrispondenza con persone eminenti del mondo intellettuale, in breve di adempiere ai suoi obblighi abbastanza bene da riuscire a tenere nascosta la sua malattia. Sono dunque portato a credere che tutto ciò comportasse un considerevole eccesso di capacità, che forse non poteva mantenersi alla lunga ed era destinato a condurre all'esaurimento, a una misere psychologique secondaria. Sembra probabile che disturbi di questo genere cominciassero a farsi sentire al tempo in cui la vidi per la prima volta, ma, comunque stiano le cose, una grave isteria era presente molti anni prima della comparsa dei sintomi di esaurimento.
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