Casistica

JOSEF BREUER

CASO 1. Signorina ANNA O.

Fräulein Anna O. era ventunenne all'epoca del manifestarsi della malattia (1880). Si può ritenere che ella avesse un'eredità neuropatica di modesta gravità, dato che casi di psicosi si erano verificati tra alcuni suoi lontani parenti. I genitori erano normali sotto questo aspetto. Ella stessa aveva in passato goduto buona salute né aveva presentato segni di nevrosi durante il periodo della crescita. Era notevolmente intelligente, dotata di capacità di comprensione sorprendentemente rapida e di profonda intuizione. Possedeva un intelletto aperto, pronto ad assimilare un sostanzioso nutrimento intellettuale, di cui sentiva il bisogno, non avendolo più ricevuto dopo il termine degli studi scolastici. Aveva grandi doti poetiche e di immaginazione, dominate però da un acuto senso critico, grazie al quale era del tutto refrattaria alle suggestioni, potendo essere influenzata solo dal ragionamento, mai da semplici affermazioni. La sua volontà era energica, tenace e persistente, giugendo in casi estremi all'ostinazione, che cedeva soltanto al suo senso di gentilezza e benevolezza nei confronti del prossimo.

Uno dei tratti essenziali del suo carattere era questo senso di gentile benevolenza, per cui, persino durante la malattia, trasse un notevole giovamento dalla sua attitudine ad assistere un gran numero di poveri e malati, riuscendo in tal modo a soddisfare un forte istinto in questo senso. I suoi stati affettivi tendevano sempre ad una lieve esagerazione sia nel senso dell'allegria che della depressione e talora era soggetta a periodi di malumore. In lei il fattore sessualità era sorprendentemente carente. Questa paziente, la cui vita mi divenne nota come raramente può essere la vita di un individuo conosciuta da un altro, non era mai stata innamorata, né l'amore entrò mai a far parte degli elementi della vita psichica ricorrenti nell'immagine congerie di allucinazioni che ebbe nel corso della malattia.

Questa ragazza, ribollente di vitalità intellettuale, conduceva un'esistenza quanto mai monotona in seno ad una famiglia dalla mentalità puritana. Soleva allietare la sua vita, in un modo tale che probabilmente ebbe una influenza decisiva sul carattere assunto dalla malattia, abbandonandosi sistematicamente al sogno a occhi aperti, che chiamava il suo «teatro privato». In momenti in cui chiunque l'avrebbe creduta intenta ad ascoltare, in effetti stava vivendo con la immaginazione storie fantastiche, ma nessuno se ne avvedeva perché era sempre in grado di riprendersi e rispondere a chi le parlava. Mentre attendeva alle faccende domestiche era praticamente sempre immersa in questa attività, il che indubbiamente le serviva di sfogo. Descriverò ora il modo in cui si manifestava questo abituale stato sognante all'epoca in cui era ormai entrata in una condizione di malattia senza remissioni. Il corso della malattia seguì diverse fasi nettamente distinguibili:

a.  Incubazione latente: dalla metà del luglio 1880 fino al 10 dicembre circa. Si tratta in genere di una fase che rimane sconosciuta ma che, nel nostro caso, fu completamente accessibile grazie alle sue caratteristiche specifiche, fatto questo di non scarso interesse per la nostra anamnesi, per cui ne darò il resoconto.

b.  Malattia conclamata. Una psicosi di tipo particolare, parafasia, strabismo convergente, gravi turbe visive, paralisi totale (sotto forma di contratture) dell'arto superiore sinistro e paresi della muscolatura del collo. Regresssione graduale della contrattura degli arti di destra; qualche miglioramento, interrotto in aprile da un grave trauma psichico (morte del padre); dopo di che seguì:

e. Un periodo di persistente sonnambulismo, alternantesi nel tempo con stati più normali. Numerosi sintomi cronici persistettero fino al dicembre 1881.

d. Graduale scomparsa delle condizioni patologiche e dei sintomi fino al giugno 1882.

Nel luglio 1880 il padre della paziente, cui ella era profondamente affezionata, fu colpito da ascesso pleurico, che, non essendosi risolto, lo portò a morte nell'aprile del 1881. Nei primi mesi della malattia Anna consacrò ogni sua energia all'assistenza del padre per cui nessuno si stupì molto allorché la sua stessa salute cominciò a deperire lentamente. Nessuno, forse nemmeno lei stessa, si rendeva conto di che cosa le stesse accadendo, ma alla fine le condizioni di astenia, anemia e ripugnanza per gli alimenti raggiunsero un tale grado che, con suo grande dispiacere, non le si potè più permettere di continuare ad assistere il malato. La causa immediata di ciò fu una fortissima tosse, per via della quale io ebbi a visitarla la prima volta. Si trattava di una tipica tosse nervosa. Ben presto cominciò ad accusare un intenso desiderio di riposare nel pomeriggio, seguito, verso sera, da uno stato analogo al sonno e più tardi da una condizione di intensa eccitazione.

Ai primi di dicembre comparve uno strabismo convergente, che un oculista ritenne (erroneamente) dovuto a paralisi di uno degli abducenti. L' 11 dicembre la paziente si mise a letto ove rimase fino al 1 aprile.

In questo periodo si manifestarono, in rapida successione, una serie di gravi disturbi, evidentemente del tutto nuovi; cefalea occipitale sinistra; strabismo convergente (diplopia) notevolmente aggravato dagli stati di eccitazione; sensazione di vedersi cadere addosso le pareti della camera (interessamento del muscolo obliquo dell'occhio); turbe visive di difficile interpretazione; paresi dei muscoli della regione anteriore del collo, tale che, a un certo momento, la paziente riusciva a muovere il capo soltanto spingendolo all'indietro tra le spalle sollevate e muovendo tutto il dorso; contratture e anestesia dell'arto superiore destro e, dopo qualche tempo, dell'arto inferiore destro. Questo era totalmente esteso, addotto e ruotato all'interno. Successivamente il medesimo sintomo si manifestò a carico dell'arto inferiore sinistro e, alla fine, all'arto superiore sinistro, pur residuando una certa motilità di due dita. Anche la rigidità delle articolazioni delle spalle non era totale. La contrattura raggiunse il massimo in corrispondenza dei muscoli delle braccia, come pure il grado più spiccato di anestesia fu rilevato in corrispondenza della regione del gomito, quando, in uno stadio più avanzato, fu possibile eseguire un più accurato esame, laddove, al principio della malattia, non era stato possibile analizzare in modo soddisfacente lo stato di anestesia a causa di una resistenza suscitata da sensazioni di ansia.

Fu mentre la paziente era in queste condizioni che io ne intrapresi la cura, riconoscendo immediatamente la gravità dei sintomi psichici con cui avevo a che fare. Erano presenti due stati di coscienza totalmente distinti, che si alternavano con notevole frequenza e senza segni premonitori, e la cui diversità si fece sempre più marcata nel corso della malattia. In uno di questi stati ella riconosceva l'ambiente circostante, era depressa ed ansiosa, ma relativamente normale. Nell'altro stato era allucinata e «cattiva», vale a dire che era aggressiva, scagliava i cuscini contro le persone, nei limiti consentiti sporadicamente dalle contratture; con le dita ancora dotate di motilità strappava i bottoni della camicia da notte e della biancheria, e così via. In questa fase della malattia, se qualcuno aveva spostato un oggetto o era entrato lasciando qualche cosa nella camera, ella si lamentava (nel primo dei due stati di coscienza) di aver «smarrito» una parte del tempo, rivelando l'esistenza di una lacuna nel corso dei suoi pensieri coscienti. Siccome i presenti tentavano di negare il fatto e di rassicurarla allorché si lamentava di essere sul punto di impazzire, ella, dopo aver gettato all'aria i guanciali, accusava gli altri di cercare di confonderla.

Queste absences erano già state osservate prima che fosse costretta a letto. Spesso si arrestava nel mezzo di una frase, ripeteva le ultime parole e, dopo una breve pausa, riprendeva il discorso. Tali interruzioni aumentarono gradatamente di numero, fino al livello testé descritto e, nella massima acuzie della malattia, quando le contratture si erano estese alla parte sinistra del tronco, ella era del tutto normale soltanto per brevi periodi della giornata, sebbene i disturbi interessassero anche questi relativamente rari momenti di lucidità. Si avevano variazioni fugacissime dell'umore, con stati transitori di eccessiva allegria, od altri momenti di grave ansia, caparbia opposizione a qualsiasi tentativo terapeutico e allucinazioni spaventose di serpenti neri, come ella vedeva i propri capelli, nastri e cose del genere, pur ripetendosi di continuo, nello stesso tempo, di non essere tanto sciocca perché ciò che vedeva altro non era in realtà che i propri capelli, ecc. Nei momenti in cui la sua mente era perfettamente limpida, si lamentava del buio che c'era nel suo cervello, dell'incapacità di pensare, di essere in procinto di diventare cieca e sorda, di avere due personalità, una reale ed una cattiva che la costringeva a comportarsi male, e così via.

Nel pomeriggio cadeva in uno stato di sonnolenza che perdurava fino a un'ora dopo il tramonto. Quindi si destava e si lamentava che qualche cosa la stava tormentando, o piuttosto continuava a ripetere, in forma impersonale: «tormentando, tormentando». Concomitante allo sviluppo delle contratture si manifestò una profonda disorganizzazione funzionale del linguaggio. A tutta prima fu possibile osservare una certa difficoltà nel trovare le parole, difficoltà che si accrebbe a poco a poco. In seguito perse il dominio della grammatica e della sintassi; non coniugava più i verbi e alla fine impiegò soltanto l'infinito, derivandolo per la maggior parte scorrettamente dal participio passato debole; inoltre ometteva gli articoli, sia determinativi che indeterminativi. Col passare del tempo divenne pressoché priva di parole. Le metteva insieme a fatica, traendole da quattro o cinque idiomi differenti, per cui divenne quasi incomprensibile. Impiegava lo stesso gergo anche quando tentava di scrivere (finché le contratture non glielo impedirono del tutto). Durante due settimane divenne completamente muta e, nonostante i suoi grandi e continui sforzi per parlare, non riusciva a emettere una sillaba. Fu a questo punto che i meccanismi psichici della malattia divennero chiari. Come mi era noto, ella si era sentita profondamente offesa per qualche cosa e aveva deciso di non farne parola. Quando ebbi intuito ciò, la obbligai a parlarne e allora disparve l'inibizione che aveva reso impossibile ogni altro discorso.

Questo mutamento coincise con una ripresa della motilità degli arti di sinistra, nel marzo 1881. La parafasia regredì, ma da quel momento in poi parlò soltanto in inglese, evidentemente senza rendersene conto. Così apostrofava l'infermiera che, naturalmente, non la comprendeva, e fu soltanto qualche mese più tardi che riuscii a convincerla che stava parlando in inglese. Nondimeno, lei stessa era sempre in grado di capire i circostanti i quali parlavano in tedesco. Solamente nei momenti di più grave ansia perdeva interamente la capacità di parlare, oppure usava un miscuglio di ogni sorta di lingue. Nei periodi in cui era nelle migliori condizioni e massimamente sollevata, parlava in francese e in italiano. Questi periodi e quelli in cui parlava in inglese erano separati da totale amnesia. In questo tempo anche lo strabismo cominciò a diminuire,  comparendo solo negli istanti di forte eccitazione. Fu di nuovo in grado di sollevare la testa e il primo di aprile si alzò per la prima volta.

Il cinque aprile morì il padre adorato. Durante la malattia lo aveva veduto molto di rado e per brevi periodi. Questo fu il più forte trauma psichico che mai avesse sperimentato. A un violento accesso di agitazione seguì un profondo stupore che perdurò per circa due giorni e dal quale ella emerse in uno stato notevolmente diverso. Inizialmente era assai più quieta e le sue sensazioni di ansia erano molto diminuite. La contrattura del braccio e della gamba destra persisteva insieme all'anestesia, che però non era profonda. Vi era un restringimento considerevole del campo visivo; di un mazzo di fiori, che le dava molto piacere, poteva vedere un solo fiore alla volta. Si lamentava di non riuscire a riconoscere le persone. Diceva che, in condizioni normali, era stata sempre capace di riconoscere i volti senza alcuno sforzo di volontà, mentre ora era costretta a compiere un laborioso recognizing work [«lavoro di riconoscimento»] e doveva dire a se stessa: «il naso di questa persona è così e così, ha i capelli così e così, e perciò deve essere il tal dei tali». Tutte le persone che vedeva le sembravano simili a figure di cera prive di qualsiasi rapporto con lei. Trovava molto penosa la presenza di alcuni tra i suoi parenti più stretti e questo atteggiamento negativo diventava sempre più intenso. Se entrava in camera qualcuno che abitualmente vedeva con piacere, lo riconosceva immediatamente ed era consapevole dell'ambiente circostante per breve tempo, ma presto ripiombava nelle sue elucubrazioni ed il visitatore era cancellato dalla sua mente. Io ero l'unica persona che riconosceva sempre quando entravo; per tutto il tempo in cui discorrevo con lei, era sempre in contatto con l'ambiente e lucida, con l'eccezione delle improvvise interruzioni provocate dalle assenze allucinatorie.

Adesso non parlava che in inglese e non poteva comprendere ciò che le dicevo in tedesco. I presenti erano costretti a rivolgersi a lei in inglese e persino l'infermiera imparò a farsi intendere fino a un certo punto in questa lingua. Però la paziente era in grado di leggere il francese e l'italiano, ma, se doveva leggere ad alta voce un testo in una di queste due lingue, ciò che ella pronunciava, con estrema fluidità era un'ammirevole traduzione estemporanea in inglese.

Ricominciò a scrivere, ma in una maniera particolare. Scriveva con la sinistra, la mano meno irrigidita, e usava caratteri di stampa, copiando l'alfabeto da un'edizione di Shakespeare.

Già in precedenza soleva mangiare molto poco, ma adesso rifiutava totalmente il cibo; però a me consentiva di alimentarla, tanto che ben presto cominciò a nutrirsi di più, ma non acconsentì mai a mangiare il pane. Dopo il pasto si puliva sempre la bocca e lo faceva anche se, per una ragione qualsiasi, non aveva mangiato nulla, il che dimostrava quanto la sua mente fosse lontana da queste cose.

Persistevano gli stati di sonnolenza nel pomeriggio e il sonno profondo fino al tramonto. Se, durante questo, ella era riuscita a esprimersi a parole (più avanti spiegherò il senso di questa espressione) era mentalmente lucida, calma e lieta.

Questo stato relativamente sopportabile non durò a lungo. Una decina di giorni dopo la morte del padre, fu chiamato a consulto un medico che ella ignorò completamente, come tutti gli estranei, mentre io gli illustravo tutti i sintomi caratteristici. «That's like an examination» [«È come un esame»] disse lei ridendo, quando io le feci leggere ad alta voce in inglese un testo francese. L'altro medico intervenne nella conversazione e cercò, ma invano, di attirare la sua attenzione. Era una vera e propria «allucinazione negativa» del genere che tanto spesso era stato provocato sperimentalmente in passato. Alla fine egli riuscì a far breccia in lei soffiandole del fumo in faccia. Ella vide d'improvviso un estraneo davanti a sé, si precipitò verso la porta per togliere la chiave e cadde al suolo priva di conoscenza. Poi seguì un breve accesso d'ira e quindi un grave attacco di ansia, che ebbi molta difficoltà a sedare. Disgraziatamente dovevo allontanarmi da Vienna quella sera stessa e quando, parecchi giorni dopo, fui di ritorno, trovai la paziente molto peggiorata. Non aveva mai toccato cibo, era dominata dall'ansia e le sue assenze allucinatorie erano piene di immagini terrificanti: teschi e scheletri. Siccome reagiva come se vedesse queste cose ed in parte si esprimeva in parole, le persone che le erano vicine vennero a conoscere molto a fondo il contenuto di queste allucinazioni.

La sequenza dei fatti era: stato di sonnolenza nel pomeriggio seguito, dopo il tramonto, da una profonda ipnosi per la quale ella aveva creato il termine tecnico di clouds [«Nuvole».] Se, in questo periodo, era in condizioni di riferire le allucinazioni che aveva avuto durante la giornata, si destava con la mente lucida, calma e serena, poi si metteva a sedere a lavorare e scrivere o disegnare fino a tarda ora, in modo assai razionale, e verso le quattro andava a letto. Il giorno dopo l'intera serie degli eventi si sarebbe ripetuta. Era un contrasto veramente rilevante: di giorno una paziente irresponsabile assediata dalle allucinazioni, di notte una fanciulla dalla mente completamente lucida.

Nonostante l'euforia notturna, le sue condizioni psichiche peggioravano continuamente. Si manifestarono forti impulsi suicidi che resero sconsigliabile che seguitasse ad abitare al terzo piano. Pertanto, contro la sua volontà fu trasferita in una casa di campagna nei pressi di Vienna (il 7 giugno 1881). Io non l'avevo mai minacciata di allontanarla da casa, cosa che ella considerava con orrore, ma lei stessa, pur senza dirlo, aveva atteso e temuto il trasferimento. Questo evento mise una volta di più in evidenza in che misura lo stato di ansia dominasse le sue turbe psichiche. Proprio come dopo la morte del padre si era instaurata una condizione più placida, così, dopo che ciò che ella temeva era accaduto veramente, divenne di nuovo più calma. Ciononostante, il trasferimento fu seguito immediatamente da tre giorni e tre notti completamente senza sonno né cibo, da diversi tentativi di suicidio (i quali non erano tuttavia pericolosi fintanto che era in giardino); da finestre infrante e così via, e da allucinazioni non accompagnate da assenze, che riusciva a distinguere agevolmente dalle altre allucinazioni. Dopo che riprese una certa calma si lasciò alimentare dall'infermiera e durante la notte prendeva persino del cloralio.

Prima di continuare la mia relazione su questo caso, devo fare un passo indietro e descrivere una delle sue caratteristiche che finora ho menzionato solo di sfuggita. Ho già detto che, in tutto il corso della malattia fino a questo momento, la paziente cadeva in uno stato di sonnolenza ogni pomeriggio e che dopo il tramonto questa condizione trapassava in quella di sonno più profondo (clouds). (Sembra ammissibile che si possa attribuire questa sequenza regolare di eventi semplicemente alle esperienze da lei vissute mentre assisteva il padre, cosa che aveva dovuto fare per molti mesi. Di notte vegliava al capezzale del malato o rimaneva desta ad ascoltare in ansia sino al mattino; di pomeriggio si coricava per un breve riposo com'è abitudine delle infermiere. Questo ciclo di veglia notturna e di sonno pomeridiano sembra essere stato mantenuto durante la malattia, persistendo molto tempo dopo che il sonno era stato sostituito da uno stato ipnotico.)

Dopo che il sonno profondo era durato circa un'ora, diventava irrequieta, si dimenava di qua e di là e seguitava a ripetere: «Tormentando, tormentando», mentre aveva gli occhi sempre chiusi. Fu osservato anche come, durante le sue assenze diurne, ella stesse ovviamente creando situazioni o episodi di cui dava un accenno mormorando qualche parola. Accadeva allora, a tutta prima incidentalmente ma più tardi intenzionalmente, che qualcheduno vicino a lei ripetesse una di queste frasi, mentre si lamentava di ciò che la stava «tormentando». Allora faceva eco al discorso e cominciava a descrivere una determinata situazione o a narrare una storia, inizialmente con esitazione e nel suo gergo parafasico, ma più andava avanti più il discorso diventava scorrevole, tanto che in fine parlava un tedesco perfettamente corretto (ciò vale per il primo periodo, dopo di che prese a parlare in inglese). I racconti erano sempre tristi e talvolta incantevoli, nello stile del Libro illustrato senza figure di Hans Andersen e, effettivamente, essi erano costruiti secondo quel modello. Di regola il fatto iniziale o la situazione centrale riguardavano una ragazza seduta in ansia al capezzale di un malato. Però ideava anche storie basate su argomenti completamente diversi. Qualche istante dopo di aver terminato la narrazione ella si sarebbe destata, ovviamente quietata o come lei stessa diceva, gehäglich. [Faceva uso di questa parola artificiale invece del tedesco regolare behaglich, «comodo», «confortevole».] Nel corso della notte sarebbe di nuovo entrata in agitazione e, al mattino, dopo un paio d'ore di sonno, ella appariva visibilmente immersa in un'altra serie di idee. Se, per una ragione qualsiasi, non era in condizioni di raccontarmi la storia durante l'ipnosi serale, dopo non si calmava e il giorno seguente doveva raccontarmi due storie perché la calma si instaurasse.                                                                    

Le caratteristiche essenziali di questo fenomeno - l'incremento e l'intensificazione delle assenze fino al raggiungimento, quali stimoli psichici atti a sollevarla e toglierla dallo stato di agitazione nei casi in cui riusciva a dar loro libero sfogo durante l'ipnosi - rimasero costanti durante tutti i diciotto mesi in cui stette sotto la mia osservazione. Naturalmente le storie divennero ancora più tragiche dopo la morte del padre. Però fu soltanto dopo lo scadimento delle sue condizioni mentali, che si manifestò allorché il suo stato di sonnambulismo venne interrotto violentemente nella maniera sopra descritta, che le narrazioni serali cessarono di avere il carattere di composizioni poetiche più o meno liberamente create per trasformarsi in una successione di spaventose o terrificanti allucinazioni (era già possibile arrivare a questo in base al comportamento diurno della paziente). Ho già detto come la sua mente fosse completamente sollevata quando, rabbrividendo di paura e di orrore, ella rievocava queste immagini spaventose e le descriveva con parole.

Mentre era in campagna, e io non potevo andarla a visitare quotidianamente, la situazione prese il corso seguente.

Ero solito visitarla di sera, quando sapevo che l'avrei trovata in ipnosi, ed allora la liberavo di tutto il cumulo di prodotti dell'immaginazione che aveva ammassato dopo la mia ultima visita. Era essenziale che ciò avvenisse in modo totale per ottenere buoni risultati. Ciò fatto, ella diventava perfettamente calma e il giorno seguente sarebbe stata condiscendente, facile a trattarsi, attiva e persino lieta. Ma il secondo giorno sarebbe stata di umore vieppiù cupo, scontroso e sgradevole, e tutto sarebbe ancora peggiorato il terzo giorno. Quando era in questo stato non sempre la si poteva indurre con facilità a parlare, neppure durante l'ipnosi. Definiva molto a proposito questo procedimento talking cure [«Cura parlata»], quando parlava sul serio, e chimney-sweeping  [«Pulitura del camino»] quando si riferiva ad esso scherzosamente. Sapeva che, dopo aver espresso le sue allucinazioni, avrebbe perduto tutta la sua ostinazione e quella che definiva «energia».

Quando, dopo un periodo relativamente lungo, era di cattivo umore, si rifiutava di parlare, e io ero costretto a vincere la sua svogliatezza insistendo e pregando o ricorrendo a stratagemmi come ripetere una formula con la quale aveva l'abitudine di iniziare le sue narrazioni. Però non avrebbe mai cominciato a parlare finché non si fosse assicurata della mia identità tastandomi accuratamente le mani. In quelle notti in cui non si era calmata mediante lo sfogo verbale, era necessario ricorrere di nuovo al cloralio. Io lo avevo provato in rare occasioni precedenti, ma ero stato costretto a somministrarle 5 grammi, e il sonno era stato preceduto da uno stato di tossicosi della durata di qualche ora. Questo stato, me presente, era di euforia, ma in mia assenza era quanto mai spiacevole e caratterizzato sia da ansia che da eccitazione (possiamo rilevare incidentalmente che questo grave stato d'intossicazione non aveva alcun effetto sulle sue contratture). Ero riuscito a evitare l'impiego di narcotici, dato che la descrizione verbale delle allucinazioni la calmava persino anche quando non riusciva a indurre il sonno. Però, quando si trovava in campagna, le notti in cui non aveva ottenuto il sollievo ipnotico erano talmente insopportabili che, nonostante tutto, si era costretti a ricorrere al cloralio. Però fu possibile ridurre gradatamente la dose.

Il persistente sonnambulismo non ritornò, mentre, però, sussistevano le alternanze tra i due stati di coscienza. Di solito ella veniva presa da un'allucinazione nel mezzo di una conversazione, fuggiva via, si arrampicava su per un albero, ecc. Se qualcuno la tratteneva, ben presto riprendeva la frase interrotta senza nulla sapere di quanto era accaduto nell'intervallo. Comunque, tutte queste allucinazioni ritornavano alla sua mente ed erano riferite durante lo stato ipnotico.

Le sue condizioni migliorarono globalmente. Si alimentava senza difficoltà e si lasciava imboccare dall'infermiera tranne nel caso in cui chiedeva il pane, che poi rifiutava non appena toccava le sue labbra. La contrattura paretica delle gambe si ridusse notevolmente.Vi fu anche un miglioramento della sua capacità di giudizio ed ella si affezionò molto al mio amico, Dott. D., il medico che l'aveva visitata. Trasse un gran beneficio da un cane di Terranova che le era stato regalato e che le era carissimo. Però, una volta il suo favorito assalì un gatto e fu meraviglioso vedere il modo in cui questa fragile fanciulla afferrò una sferza con la mano sinistra per colpire il grosso animale e soccorrere la vittima. In seguito assistette degli ammalati poveri e ciò le fu di notevole giovamento.

Fu al ritorno da un viaggio di svago durato parecchie settimane che ebbi la prova più convincente dell'effetto patogeno ed eccitatore posseduto dai complessi ideativi che si producevano durante le sue assenze, o condition seconde, oltre che del fatto che questi complessi venivano dissipati quando veniva dato loro sfogo verbale durante lo stato ipnotico. Durante questo lasso di tempo nessuna talking cure era stata eseguita, dato che non era possibile convincerla a confidare quello che aveva da dire ad altri tranne che a me, neppure al Dott. D. per il quale aveva sviluppato, sotto altri aspetti, una certa simpatia. Io la ritrovai in condizioni morali pietose, inerte, intrattabile, mal disposta, persino maligna. Risultò evidente dalle narrazioni serali che la sua vena immaginativa e poetica andava inaridendosi. Quello che mi riferiva era sempre più connesso alle sue allucinazioni e, per esempio, a fatti che l'avevano turbata nei giorni precedenti. Questi erano rivestiti di una forma immaginifica, ma erano semplicemente formulati in immagini stereotipate e non già elaborati in produzioni poetiche.

Ma la situazione divenne tollerabile solo dopo che io ebbi disposto che la paziente fosse riportata a Vienna per una settimana e che le ebbi fatto raccontare, sera dopo sera, da tre a cinque storie. Dopo che ebbi portato a termine questo compito, tutto ciò che si era accumulato nella settimana della mia assenza fu dissipato. Fu solo allora che si potè ristabilire il ritmo di prima: il giorno dopo che aveva dato sfogo verbale alle sue fantasie, era amabile e lieta, il giorno seguente era pi iirritabile e meno amabile e il terzo giorno era nettamente «cattiva». Il suo stato psichico era una funzione del tempo trascorso dal suo ultimo sfogo verbale. Questo era dovuto al fatto che ciascun prodotto spontaneo della sua immaginazione ed ogni evento che era stato assimilato dalla parte patologica della sua mente, sussisteva quale stimolo psichico finché non fosse stato raccontato nello stato di ipnosi, dopo di che cessava del tutto di essere attivo. Quando, in autunno, la paziente ritornò a Vienna (quantunque in una casa diversa da quella in cui era caduta malata) le sue condizioni erano passabili sia fisicamente che mentalmente, e infatti pochissime delle sue esperienze - ed effettivamente solo quelle più intensamente impressionanti - venivano trasformate in stimoli agenti in via patologica. Io ormai speravo in un miglioramento ininterrotto e progressivo, a patto che l'accumulo continuo di nuovi stimoli nella sua mente potesse essere evitato dando loro una sistematica espressione verbale. Ma fin da principio rimasi deluso.

A dicembre si manifestò un netto deterioramento delle condizioni psichiche. Ella ritornò ad essere eccitata, cupa e irritabile. Non aveva più delle «giornate veramente buone» nemmeno quando era impossibile scoprire alcunché, che fosse rimasto «confitto» in lei. Verso la fine di dicembre, nel periodo natalizio, ella era particolarmente irrequieta, e per una intera settimana, non mi disse nulla di nuovo salvo le sole produzioni dell'immaginazione che aveva elaborato sotto l'impulso di una forte ansia ed emozione nel Natale del 1880 (un anno prima). Quando le narrazioni furono finite ella ne ebbe un grande sollievo.

Era ormai trascorso un anno da quando era stata separata dal padre e si era messa a letto, ed ora la sua condizione cominciava a farsi più chiara, sistemizzandosi in un modo particolare. Gli stati alternanti di coscienza, caratterizzati dal fatto che, a cominciare dal mattino, le sue assenze (vale a dire l'emergere della sua condition seconde) si facevano via via più frequenti con l'avanzare del giorno ed assumevano un dominio incontrastato verso sera, erano stati differenziati l'uno dall'altro dal fatto che uno di essi (il primo) era normale e il secondo alienato. Adesso però essi erano ulteriormente differenziati in quanto con il primo ella viveva, come tutti noi, nell'inverno 1881-82, mentre con il secondo viveva nell'inverno 1880-81 e aveva completamente dimenticato tutti gli eventi successivi. Cionondimeno, il solo fatto che sembrava rimanere presente alla coscienza per la maggior parte del tempo, era la morte del padre. Ella era riportata indietro all'anno precedente con tale intensità che, nella nuova casa, aveva l'allucinazione di essere nella sua vecchia camera, tanto che, volendo andare alla porta, urtava contro la stufa che era collocata, rispetto alla finestra, nella stessa posizione in cui si trovava, nella vecchia camera, la porta. Il passaggio da uno stato all'altro avveniva spontaneamente, pur potendo essere provocato molto facilmente da qualunque impressione sensoriale che le ricordasse vivamente l'anno precedente. Era sufficiente tenerle un'arancia davanti agli occhi (le arance erano state il suo principale sostentamento durante la prima parte della malattia) per spostarla dall'anno 1882 all'anno 1881. Ma questo salto nel passato non aveva luogo in un modo generico o indefinito: ella riviveva l'inverno precedente giorno per giorno. Io sarei stato in grado solamente di sospettare quel che stava accadendo, non fosse stato per il fatto che, durante l'ipnosi, ella parlava di tutto ciò che l'aveva eccitata nel medesimo giorno del 1881, e che un diario privato tenuto dalla madre di lei nel 1881 confermava, senza ombra di dubbio, che tali avvenimenti erano veramente accaduti. Questo rivivere l'anno precedente proseguì fino a che la malattia giunse a termine, nel giugno 1882.

Era anche interessante osservare il modo in cui queste stimolazioni psichiche rivissute, appartenenti allo stato secondo, riuscivano a insinuarsi nel primo, e più normale, stato. Accadeva, per esempio, che una mattina la paziente mi dicesse ridendo di essere adirata con me, pur non avendo la più pallida idea del motivo. Grazie al diario io sapevo cosa stava accadendo e, quasi certamente la cosa veniva chiarita durante lo stato ipnotico della sera: avevo molto turbato la paziente la stessa sera del 1881. Oppure, in altra occasione, mi diceva che vi era qualcosa di sbagliato nei suoi occhi: vedeva dei colori sbagliati. Sapeva di indossare un vestito marrone eppure lo vedeva di colore azzurro. Fu ben presto dimostrato che ella distingueva nettamente e chiaramente tutti i colori delle tavole impiegate per il test cromatico e che il disturbo lamentato era limitato alla stoffa del vestito. La ragione di ciò stava nel fatto che, nello stesso periodo del 1881, ella aveva lavorato a lungo a una veste da camera per il padre, dello stesso tessuto del suo vestito attuale, ma azzurro anziché marrone. Diremo di sfuggita che questi ricordi riaffioranti rivelavano il loro effetto in anticipo: prima si manifestava il turbamento del suo stato normale e poi il ricordo si ridestava a poco a poco durante la condition seconde.

Lo stato ipnotico serale era fortemente sovraccarico in quanto non si doveva dare sfogo soltanto alle produzioni immaginarie attuali, ma anche agli eventi e vexations [«Vessazioni»] del 1881. (Fortunatamente in quel tempo l'avevo di già liberata delle produzioni immaginarie di quell'anno.) Ma, oltre a tutto ciò, il lavoro che doveva essere compiuto dalla paziente e dal suo medico, era immensamente aumentato da un terzo gruppo di disturbi distinti che dovevano essere trattati nella stessa maniera. Si trattava degli accaduti psichici interessanti il periodo di incubazione della malattia, tra luglio e dicembre 1880. Erano essi che avevano provocato tutti i fenomeni isterici, e quando veniva dato loro uno sfogo verbale, i sintomi scomparivano.

Rimasi fortemente stupito quando ciò si verificò per la prima volta, allorché, in seguito a uno sfogo di questo genere, accidentale e spontaneo, nel corso dell'ipnosi serale, scomparve un disturbo che perdurava da molto tempo. Era d'estate, in un periodo di gran caldo e la paziente soffriva intensamente per la sete, dato che, pur non riuscendo a fornire alcuna spiegazione, si accorse d'improvviso che le era impossibile bere. Sollevava il bicchiere d'acqua, che desiderava ardentemente, ma non appena questo le toccava le labbra, lo respingeva come se fosse affetta da idrofobia. Nel far ciò veniva naturalmente a trovarsi in stato di assenza per circa due secondi. Si sostentava solo di frutti, come meloni, ecc., in modo da diminuire la sete tormentosa. Il fenomeno durava da circa sei settimane, quando, un giorno, durante l'ipnosi, disse qualche cosa della sua dama di compagnia inglese, per la quale non aveva alcun interesse, e proseguì descrivendo, con grandi segni di disgusto, come un giorno, essendosi recata nella camera di questa signora avesse visto il suo cagnolino - orrida creatura! - che stava bevendo in un bicchiere. La paziente non aveva detto nulla per pura cortesia.

Dopo aver sfogato energicamente l'ira che aveva represso dentro di sé, chiese da bere, e bevve una grande quantità di acqua senza alcuna difficoltà e si destò dall'ipnosi con il bicchiere alle labbra e da quel momento il disturbo disparve per non tornare mai più. Diversi capricci estremamente ostinati furono eliminati in modo analogo dopo che ebbe descritto le esperienze che li avevano provocati. Fece un notevole progresso allorché scomparve, nella stessa maniera, il primo dei suoi sintomi cronici: la contrattura della gamba destra, che, per la verità, era già parecchio ridotta. L'osservazione che, in questa paziente, i fenomeni isterici scomparivano non appena l'evento che li aveva provocati veniva riprodotto durante lo stato di ipnosi, rese possibile la messa a punto di un procedimento tecnico terapeutico, che, nella sua consistenza logica ed applicazione sistematica, non lasciava nulla a desiderare. Ciascun singolo sintomo di questo complesso caso venne trattato separatamente. Tutte le occasioni in cui esso si era manifestato erano descritte in ordine inverso, cominciando la prima dal tempo in cui la paziente era stata costretta a letto e risalendo fino all'evento che ne aveva causato la prima comparsa. Una volta che esso era stato descritto, il sintomo era eliminato definitivamente.

In questa maniera furono «eliminati attraverso la parola» le contratture paretiche, le anestesie, le turbe visive e uditive di ogni genere, le nevralgie, la tosse, i tremori, ecc. Tra le turbe visive, per esempio, le seguenti furono eliminate separatamente: strabismo convergente con diplopia; deviazione di entrambi i bulbi oculari verso destra, tale che quando allungava il braccio per prendere qualche cosa andava sempre a sinistra dell'oggetto; restringimento del campo visivo; ambliopia centrale, macropsia; visione di un teschio in luogo del padre, incapacità di leggere. Soltanto alcuni fenomeni sporadici (come, per esempio, l'estensione delle contratture paretiche al lato sinistro del corpo), che si erano manifestati dopo che era rimasta confinata a letto, non furono influenzati da questo procedimento di analisi ed è probabile, infatti, che essi non avessero una causa psichica immediata.

Risultò del tutto impossibile abbreviare il lavoro tentando di evocare direttamente dalla sua memoria le cause prime dei sintomi. Ella non era in grado di trovarla, diventava confusa, e le cose procedevano persino più lentamente che se fosse stata lasciata libera di risalire tranquillamente e uniformemente il filo dei ricordi che stava seguendo. Ma siccome questo secondo metodo sottraeva troppo tempo durante l'ipnosi serale, essendo la paziente stremata e smarrita dalla necessità di esprimere le altre due serie di esperienze - e anche per via del fatto che i ricordi esigevano un certo tempo prima di arrivare con vivacità in superficie -, noi mettemmo a punto il seguente procedimento. Io ero solito visitarla al mattino, ipnotizzandola (ero giunto empiricamente a dei metodi semplicissimi per farlo). Poi le chiedevo di concentrare i propri pensieri sul sintomo che stavo curando in quel momento e di dirmi in quale circostanza esso si era manifestato. La paziente passava a descrivere in rapida successione e con brevi frasi gli eventi esteriori in questione, dei quali io prendevo nota. Nella successiva ipnosi serale ella mi avrebbe fornito, con l'aiuto dei miei appunti, un resoconto quanto mai dettagliato di quelle circostanze.

Un esempio varrà a illustrare il modo esauriente con cui ella lo faceva. Avevamo osservato regolarmente che la paziente non udiva quando le si parlava. Questa abitudine passeggera di non udire poteva essere differenziata nei seguenti elementi:

a.  Non aver percepito l'arrivo di una persona mentre era immersa nei suoi pensieri, 108 occasioni particolareggiate di questo fatto, corredate della descrizione delle persone e delle circostanze, spesso anche con la data. Primo esempio: non aver percepito l'ingresso del padre.

b.   Mancanza di comprensione nel caso in cui parecchie persone stessero chiacchierando: 27 occasioni; primo esempio: ancora il padre e un conoscente.

e. Non aver udito quando qualcuno si era rivolto direttamente a lei che si trovava sola: 50 occasioni. Origine: il padre le aveva chiesto invano un po' di vino.

d.   Sordità provocata da scuotimenti (in carrozza, ecc.): 15 occasioni. Origine: l'essere stata scossa irosamente dal fratello minore, il quale una notte era stato colto da lei mentre origliava alla porta della camera del malato.

e.    Sordità provocata da uno spavento dovuto a un rumore: 37 occasioni. Origine: un attacco di soffocazione del padre cui era andato per traverso il cibo.

f. Sordità durante l'assenza: 12 esempi.

g. Sordità provocata dell'ascoltare con sforzo per parecchio tempo, così che non era riuscita a capire quando le avevano rivolto la parola: 54 occasioni.

Naturalmente tutti questi episodi erano, in larga misura, identici, in quanto era possibile ricondurli a stati di astrazione o ad assenze o a paura. Però, nel ricordo della paziente, essi erano tanto chiaramente differenti, che, se le capitava di commettere un errore nella loro sequenza, era obbligata a correggersi e a disporli nel giusto ordine; in mancanza di ciò il suo resoconto giungeva a un punto morto. Gli eventi che descriveva erano talmente privi di interesse e di significato, ed erano narrati con tale dovizia di particolari, che non si poteva sospettare che fossero stati inventati. Molti di questi fatti erano esperienze puramente interiori per cui non potevano essere verificati. Altri (ovvero delle circostanze ad essi correlate) rientravano nell'ambito delle persone del suo ambiente.

Una caratteristica sempre osservabile quando un sintomo veniva «verbalizzato», era la seguente: quel particolare sintomo emergeva con maggiore intensità mentre ne stava parlando. Per esempio, durante l'analisi della sua incapacità di udire, era talmente sorda che, per un certo tempo, fui costretto a comunicare con lei per scritto. La prima causa provocante era di solito uno spavento di qualche genere, provato mentre assisteva il padre (per esempio dovuto a una svista).

Il lavoro di ricordare non era sempre facile e talvolta la paziente doveva fare grandi sforzi. Una volta tutto il nostro progresso fu impedito per un certo tempo a causa di un ricordo che rifiutava di affiorare. Si trattava di un'allucinazione particolarmente terrificante. Mentre stava accudendo al padre ne aveva veduto la testa come un teschio. Lei stessa e le persone che erano con lei ricordavano che una volta, quando appariva ancora in buona salute, aveva fatto visita a un parente. Aveva aperto la porta ed era subito caduta svenuta. Allo scopo di superare l'ostacolo ai nostri progressi, ella si recò di nuovo nello stesso luogo e, entrando nella stanza, cadde nuovamente svenuta. Durante la successiva ipnosi serale l'ostacolo fu superato. Entrando nella camera, aveva veduto il proprio pallido volto riflesso in uno specchio appeso di fronte alla porta, però non aveva riconosciuto se stessa ma aveva visto il padre con la testa di morto. Rilevammo spesse volte che il suo terrore di un ricordo, come nel caso presente, impediva al ricordo stesso di emergere ed era necessario che la paziente o il medico lo richiamassero con la forza.

Il seguente incidente, tra gli altri, dimostra l'elevato grado di consequenzialità logica dei suoi stati. Durante questo periodo, come già abbiamo spiegato, la paziente di notte era sempre nella sua condition seconde (vale a dire nell'anno 1881). Una volta si svegliò durante la notte, affermando di essere stata di nuovo allontanata da casa, e divenne talmente agitata che l'intero casamento ne fu allarmato. La ragione era semplice. La sera precedente la talking cure aveva guarito una turba visiva e ciò valeva anche per la sua conditìon seconde. Pertanto, quando si destò nella notte, si trovò in una camera a lei estranea, dato che la sua famiglia aveva traslocato nella primavera del 1881. Fatti spiacevoli di questo genere erano da me evitati (dietro sua richiesta) sempre col sistema di chiuderle gli occhi alla sera, imponendole la suggestione che non sarebbe riuscita a riaprirli finché io stesso non l'avessi fatto il mattino seguente. L'incidente si ripetè soltanto una volta, quando la paziente gridò in sogno e, nel destarsi, aprì gli occhi.

Quando questa laboriosa analisi dei sintomi si focalizzò sui mesi estivi del 1880, che rappresentavano il periodo prodromico della malattia, ottenni un quadro completo dell'incubazione e della patogenesi di questo caso di isteria, che ora descriverò brevemente.

Nel luglio 1880 il padre, mentre si trovava in campagna, fu colpito da un grave ascesso subpleurico. Anna divideva con la madre i doveri dell'assistenza. Una volta si svegliò durante la notte, molto ansiosa per il paziente, che aveva la febbre alta. Ella si trovava in tensione per l'attesa dell'arrivo di un chirurgo di Vienna, il quale doveva operarlo. La madre si era allontanata per breve tempo e Anna era seduta presso il capezzale col braccio destro sullo schienale della sedia. Cadde in un sogno a occhi aperti e vide un serpente nero che veniva dalla parete verso il malato per morderlo.(È molto probabile che vi fossero effettivamente delle serpi nei campi dietro la casa e che esse avessero in precedenza provocato uno spavento nella ragazza: esse potevano quindi aver fornito materia di un'allucinazione.) Cercò di tenere a bada il serpente ma era come se fosse paralizzata. Il braccio destro, sullo schienale della sedia, si era intorpidito divenendo anestetizzato e paretico e quando se lo guardò, le dita si trasformarono in piccoli serpenti con teschi al posto della testa (le unghie). (Sembra probabile che avesse cercato di usare il braccio destro paralizzato per respingere il serpente e che quindi l'anestesia e la paralisi si fossero associate alla allucinazione del serpente.) Quando il serpente svanì, ella cercò, nel suo terrore, di pregare. Ma le parole le mancavano: non riusciva a trovare una lingua in cui esprimersi, finché non le venne fatto di pensare a certi versi infantili in inglese e allora fu in grado di pensare e parlare in quella lingua. Il fischio del treno che portava il dottore, che stava aspettando, ruppe l'incanto.

Il giorno seguente, durante una partita, ella gettò un piattello nei cespugli e, quando andò a raccoglierlo, un ramo curvo rievocò l'allucinazione del serpente, e, immediatamente, il braccio destro le si irrigidì in estensione. Da allora in avanti, la stessa cosa accadeva invariabilmente tutte le volte che l'allucinazione era riportata alla mente da un oggetto dall'apparenza più o meno serpentina. Però questa allucinazione, come pure la contrattura, appariva solamente durante le brevi assenze che divennero vieppiù frequenti da quella notte in poi (la contrattura non divenne stabilizzata che in dicembre, quando la paziente crollò completamente e dovette rimanere permanentemente in letto). La contrattura della gamba destra si associò a quella del braccio dello stesso lato in seguito a qualche evento particolare che non trovo riportato nei miei appunti e che non rammento più.

Da questo momento in poi la sua tendenza alle assenze auto-ipnotiche divenne stabile. La mattina seguente alla notte che ho descritto, mentre attendeva l'arrivo del chirurgo, ella cadde in un tale stato di astrazione che il chirurgo entrò nella camera senza che lei l'avesse sentito arrivare. Il suo stato di ansia permanente interferiva con l'alimentazione inducendo in lei a poco a poco intense sensazioni di nausea. A parte questo, in effetti ciascun sintomo isterico insorgeva durante una emozione. Non è del tutto certo se ogni volta si manifestasse anche un momentaneo stato di assenza, però è probabile che così fosse se si pone mente al fatto che la paziente, in stato di veglia, era completamente inconsapevole di quanto era accaduto.

Però taluni sintomi non sembrano essere emersi durante le assenze ma semplicemente durante un'emozione nel corso della vita di veglia; ma se pure è così, questi sintomi ricomparivano nell'identico modo. Fummo dunque in grado di riportare le diverse turbe visive alle loro diverse, più o meno chiare, cause determinanti. Per esempio, un giorno, mentre stava seduta, con le lacrime agli occhi, al capezzale del padre, questi le chiese d'improvviso l'ora. Ella non poteva vedere bene; fece un grande sforzo e avvicinò l'orologio agli occhi. In quel momento il quadrante dell'orologio le appariva grandissimo, il che spiega macropsia e lo strabismo convergente. O anche cercò di nascondere le lacrime perché il malato non le vedesse.

Una discussione, nel corso della quale ella represse una replica provocò uno spasmo della glottide, che poi si ripetè in ogni occasione analoga.

Perse la capacità di parlare (a) in conseguenza dello spavento dopo la prima allucinazione notturna, (b) dopo avere, in altra occasione, represso (con inibizione attiva) un'osservazione che stava per fare, (e) dopo essere stata rimproverata ingiustamente e (d) in ogni altra situazione analoga (quando si sentiva mortificata). Cominciò a tossire per la prima volta quando, seduta al capezzale del padre, udì i.l suono di un ballabile proveniente dalla casa vicina e provò un improvviso desiderio di trovarsi là, per cui fu presa da un senso di auto-accusa. Da quel momento, e per tutta la durata della malattia, reagiva ad ogni musica decisamente ritmica con una tosse nervosa.

Non mi posso rammaricare molto se l'incompletezza dei miei appunti rende impossibile l'enumerazione di tutte le circostanze in cui si manifestarono i vari sintomi isterici. Lei stessa me li descrisse tutti, salvo un'unica eccezione già citata. Come ho già detto ogni sintomo scompariva dopo che ella ne avesse descritta la prima comparsa.

In tal maniera la malattia completamente fu eliminata. La paziente stessa aveva un'intensa volontà di terminare l'intero trattamento nell'anniversario del suo trasferimento in campagna (7 giugno).

Di conseguenza al principio di giugno si sottomise con la massima energia alla talking cure. L'ultimo giorno - ricorrendo anche all'artificio di disporre i mobili in modo da ricordare la camera in cui il padre era stato malato - ella riprodusse l'allucinazione terrificante che ho descritto e che era la radice dell'intera malattia. Durante la scena fu in grado di pensare e pregare soltanto in inglese ma, subito dopo la ricostruzione, prese a parlare in tedesco e inoltre si trovò liberata dagli innumerevoli disturbi che aveva presentato in passato. Dopo di ciò partì da Vienna per un breve viaggio ma solo dopo molto tempo recuperò integralmente il suo equilibrio mentale; prima della malattia aveva sempre goduto perfetta salute.

Sebbene io abbia soppresso in gran numero particolari anche interessanti, la storia del caso di Anna O. è diventata più lunga di quanto sembrerebbe necessario per un'affezione isterica non avente in sé caratteri particolari.

Però non è stato possibile descrivere questo caso senza entrare in particolari e le sue caratteristiche mi sono parse abbastanza importanti da giustificare l'ampiezza del resoconto. Similmente, le uova degli echinodermi sono importanti in embriologia, non perché il riccio di mare sia un animale particolarmente interessante, ma perché il protoplasma delle sue uova è trasparente e quindi quel che possiamo osservare nel loro interno dà degli indizi di quello che probabilmente avviene in quelle uova il cui protoplasma è opaco. L'interesse del nostro caso secondo me, risiede soprattutto nell'estrema chiarezza e comprensibilità della sua patogenesi.

In questa ragazza, anche quando era ancora perfettamente sana, vi erano due caratteristiche psichiche le quali rappresentarono le cause predisponenti della successiva malattia isterica:

La vita familiare monotona e la mancanza di adeguate occupazioni intellettuali lasciavano in lei un eccesso di vivacità ed energia mentali, che trovava uno sfogo nella continua attività della sua immaginazione. Ciò condusse all'abitudine di sognare ad occhi aperti (il suo «teatro privato»), il che gettò le basi di una dissociazione della sua personalità psichica. Ciononostante una dissociazione di questa entità rientra ancora nei limiti della norma. Fantasticherie e riflessioni durante un'occupazione più o meno meccanica non comportano di per sé uno sdoppiamento patologico della personalità, dato che, se esse vengono interrotte - nel caso che qualcuno rivolga la parola al soggetto - l'unità normale della coscienza viene restaurata; e probabilmente non vi è nemmeno alcuna amnesia. Però, nel caso di Anna O., questa abitudine preparò il terreno sul quale potè impiantarsi, nel modo che ho descritto, lo stato emotivo di ansia e terrore non appena questo ebbe trasformato l'abituale sogno a occhi aperti della paziente in assenza allucinatoria. È degno di nota rilevare come le primissime manifestazioni della malattia incipiente già presentassero le caratteristiche essenziali di questa, le quali in seguito si mantennero invariate per circa un biennio. Tra queste caratteristiche vi erano un secondo stato di coscienza, che inizialmente si manifestava come assenza temporanea e più tardi si organizzò in forma di «doppia coscienza», un'inibizione della loquela, determinata dallo stato affettivo ansioso, che trovò uno sfogo causale nella poesiola inglese; più tardi la parafasia e la perdita della madrelingua, sostituita da un ottimo inglese; da ultimo la paralisi accidentale del braccio destro, dovuta a compressione, che più tardi evolve in paresi spastica e anestesia del lato destro. Il meccanismo con cui quest'ultima turba venne a instaurarsi era perfettamente in accordo con la teoria dell'isteria traumatica di Charcot: un trauma di lieve entità verificatosi durante uno stato di ipnosi.

Però, mentre la paralisi provocata sperimentalmente da Charcot nei suoi pazienti diveniva immediatamente stabile, e nei soggetti colpiti da nevrosi traumatica in seguito a un grave shock traumatico si instaura all'improvviso, il sistema nervoso di questa ragazza oppose per quattro mesi un'efficace resistenza. La contrattura, come pure gli altri disturbi ad essa concomitanti, si instaurava solamente durante le brevi assenze della sua condition seconde, mentre, nella condizione normale, era pienamente padrona del proprio corpo e in possesso della sensibilità, per cui né ella stessa né i circostanti notavano nulla, sebbene si debba tener presente che l'attenzione della paziente era focalizzata sulla malattia del padre e, conseguentemente, era distolta dalla propria persona.

Però, siccome le assenze con amnesia totale e fenomeni isterici concomitanti diventarono sempre più frequenti a partire dal momento della sua prima auto-ipnosi allucinatoria, vennero a moltiplicarsi le occasioni per la formazione di nuovi sintomi della stessa natura, mentre quelli che già si erano stabiliti furono rafforzati di molto dalla frequente ripetizione. Oltre a ciò, risultò ben presto che qualsiasi emozione improvvisa e spiacevole produceva gli stessi effetti di un'assenza (sebbene sia possibile che, in effetti, tali emozioni provocassero, in ciascun caso una temporanea assenza) ; coincidenze casuali provocavano associazioni patologiche e turbe sensoriali o motorie, le quali, da quel momento in poi, comparivano insieme con lo stato emotivo. Ma, al principio, ciò accadeva solo per fugaci istanti. La paziente, senza che nessuno lo sapesse, aveva già sviluppato l'intero complesso dei fenomeni isterici, prima di essere costretta permanentemente al letto. Soltanto dopo che la paziente era crollata completamente a causa dell'esaurimento indotto dalla mancanza di nutrimento, dall'insonnia e dalla costante ansia, ed aveva cominciato a vivere più nella condition seconde che in stato di normalità, i fenomeni isterici si estesero anche a questo e sintomi acuti intermittenti si trasformarono in cronici.

A questo punto si pone il problema di fino a che punto le affermazioni della paziente fossero degne di fiducia e se le occasioni e le modalità dell'origine dei sintomi erano veramente come ella li descriveva. La fiducia da riporre nei suoi resoconti mi sembra fuori questione per quanto riguarda gli avvenimenti più importanti e fondamentali. Non posso ritenere altrettanto evidente che lo «sfogo verbale» fosse la causa della scomparsa dei sintomi, la quale può essere riposta altrettanto bene nella suggestione. Però io trovai la paziente sempre assolutamente veritiera e degna di fiducia. Le cose che mi diceva erano intimamente legate a ciò che vi era di più sacro per lei. Tutto ciò che potè essere controllato da altre persone trovò piena conferma. Neppure la più dotata delle fanciulle sarebbe stata capace di tessere una trama di dati con un così alto grado di congruenza interna quale si rilevava nel caso di questa paziente. Però, non si può negare il fatto che proprio questa congruenza può averla indotta, in perfetta buona fede, ad attribuire a taluni sintomi una causa scatenante che, in effetti, non possedevano. Ma io considero ingiustificato anche questo sospetto. Proprio il fatto che molte di queste cause erano del tutto insignificanti, e che molte delle connessioni tra cause e sintomi hanno carattere di irrazionalità, depone a favore della loro realtà. La paziente non poteva comprendere come la musica ballabile la facesse tossire; tale costruzione è troppo priva di senso per essere artefatta. (Per inciso, dirò che mi sembra molto verosimile che ciascuno dei suoi cambiamenti di coscienza si accompagnasse ad uno spasmo della glottide e che gli impulsi motori che sentiva, essendo molto appassionata della danza, trasformassero lo spasmo in tosse nervosa). Pertanto, a mio avviso, le affermazioni della paziente erano interamente degne di fede e corrispondenti ai fatti.

E ora dobbiamo considerare fino a che punto sia giustificato supporre che l'isteria si produca in modo analogo in altri pazienti e che il processo sia simile quando non si sia venuta a organizzare una condi-tion seconde tanto nettamente distinta. A conforto del mio modo di vedere, addurrò il fatto che anche nel caso presente la storia dell'evoluzione della malattia sarebbe rimasta del tutto ignota sia alla paziente, sia al medico, se non fosse stato per la speciale capacità della paziente di ricordare dei fatti, durante la stato ipnotico, secondo quanto ho descritto, e di riferire tali ricordi. Mentre ella era in condizioni di veglia non sapeva nulla di tutto ciò. Dunque è impossibile arrivare a comprendere ciò che accade ad altri soggetti patologici esaminandoli nello stato di veglia, perché con la miglior volontà del mondo, non ci potranno dare neppure un informazione. E io ho già fatto notare quanto poco le persone che stavano intorno alla paziente riuscissero a osservare ciò che si stava svolgendo. In conseguenza dovrebbe essere possibile rivelare la condizione di altri pazienti esclusivamente impiegando il procedimento applicato nel caso di Anna O., grazie alle sue auto-ipnosi. Provvisoriamente possiamo soltanto esprimere l'opinione che serie di avvenimenti simili a quelli qui descritti, si verificano più comunemente di quanto non si sia stati portati a supporre dalla nostra ignoranza del meccanismo patogenetico.

Dopo che la paziente era stata confinata a letto e la sua coscienza oscillava continuamente tra lo stato normale e lo stato «secondario», tutta la congerie di sintomi isterici, che erano insorti separatamente ed erano poi divenuti latenti, venne a manifestarsi, come si è già visto, in forma di sintomatologia cronica. Ora a questi si aggiunse un nuovo gruppo di fenomeni, i quali sembravano aver avuto un'origine differente: le contratture paretiche degli arti di sinistra e la paresi dei muscoli che sollevano il capo. Distinguo questi dagli altri fenomeni perché, una volta scomparsi, non ritornarono mai, neppure in forma fugace e leggera o durante la fase conclusiva e di recupero, mentre tutti gli altri sintomi ritornarono a manifestarsi dopo essere stati eliminati per un certo tempo. Analogamente essi non riaffiorarono mai durante le analisi ipnotiche né vennero riportati a origini emotive o immaginative. Quindi sono indotto a credere che la loro comparsa non dipendesse dallo stesso processo psichico, che era alla base degli altri sintomi, ma che debba essere attribuita a una estensione secondaria di quella sconosciuta condizione che costituisce il fondamento somatico dei fenomeni isterici.

Durante tutta la malattia i due stati di coscienza persistettero l'uno a fianco dell'altro: il primario, nel quale ella era psichicamente del tutto normale, e il secondario, che si sarebbe potuto assimilare a un sogno in ragione della sua ricchezza in produzioni immaginarie e allucinazioni, delle ampie lacune della memoria e della mancanza di inibizione e controllo nelle sue associazioni. In questo stato secondario la paziente si trovava in una condizione di alienazione. Il fatto che la condizione mentale della paziente dipendeva integralmente dall'intrusione di questo stato secondario in quello normale illumina largamente almeno una categoria di psicosi isteriche. Ciascuna delie ipnosi serali forniva la prova che la paziente era completamente lucida e coordinata nella mente e normale quanto a sentimenti e volizioni, fintanto che nessuna produzione del suo stato secondario venisse ad agire come stimolo «nell'inconscio». Lo stato psicotico, estremamente intenso, che si manifestava tutte le volte che il processo di scaricamento subiva lunghe interruzioni, stava a indicare fino a che punto tali produzioni influenzassero gli avvenimenti psichici del suo stato «normale». Difficilmente si può evitare di definire la situazione col dire che la paziente era sdoppiata in due personalità, una delle quale mentalmente normale e l'altra folle. La netta divisione fra i due stati in questa paziente, secondo me, non fa altro che mettere più chiaramente in evidenza ciò che ha suscitato numerosi problemi inesplicati in molti altri pazienti isterici. In Anna O. era particolarmente notevole quanto le produzioni del suo «io cattivo», come ella stessa lo chiamava, influenzassero i suoi atteggiamenti mentali. Se queste produzioni non fossero state continuamente eliminate, ci saremmo trovati di fronte a un'isterica del tipo maligno, refrattaria, indolente, sgradevole e di cattiva indole. Invece, in seguito all'allontanamento di questi stimoli, in tutti i casi subito riemergeva il suo vero carattere, diametralmente opposto.

Ciononpertanto, pur essendo i suoi due stati tanto nettamente separati, non soltanto lo stato secondario faceva intrusione nel primo, ma — e ciò era quasi sempre vero, persino quando ella si trovava in pessime condizioni - come ella stessa affermava, in un angolo del suo cervello risiedeva un osservatore perspicace e tranquillo che osservava tutta quella folle agitazione. La persistenza di un pensiero lucido mentre la psicosi era in corso, si manifestava in un modo assai curioso. La paziente che, dopo la cessazione dei fenomeni isterici, stava attraversando un periodo di transitoria depressione, fu colta da molte paure infantili e si auto-rimproverava di varie cose, tra cui l'idea di non esser mai stata ammalata e che l'intera faccenda era stata una simulazione. Si sa che osservazioni del genere sono state fatte più volte. Quando un disturbo del genere è stato superato e i due stati di coscienza si sono di nuovo fusi in uno solo, i pazienti, ripensando al loro passato, vedono se stessi come una sola e indivisa personalità, consapevole di tutte le precedenti incongruenze. Essi credono che le avrebbero potute evitare se lo avessero voluto e quindi provano i) sentimento di aver creato tutto il danno volontariamente. Si deve aggiungere che questo pensiero normale, persistente durante lo stato secondario, doveva essere enormemente variabile nella sua entità e spesso doveva essere del tutto assente.

Ho già descritto il fatto straordinario che, dal principio alla fine della malattia, tutti gli stimoli insorgenti dallo stato secondario, insieme con le loro conseguenze, venivano sempre eliminati col dar loro sfogo verbale durante l'ipnosi, e qui non devo far altro che aggiungere che questa non era una mia invenzione, che io imponevo alla paziente con la suggestione. Il fatto mi colse di sorpresa e, solo dopo che in molte circostanze taluni sintomi erano stati eliminati in questa maniera, misi a punto una tecnica terapeutica fondata su questo principio.

La cura finale dell'isteria richiede qualche altra parola. La malattia era accompagnata, come già ho detto, da notevoli disturbi e da un deterioramento delle condizioni mentali della paziente. Avevo una fortissima impressione che le numerose produzioni del suo stato secondario, che erano rimaste quiescenti, si stessero ora aprendo un varco nella coscienza, e quantunque esse non venissero ricordate la prima volta se non nello stato secondario, pure incombevano sullo stato normale disturbandolo. Rimane da vedere se non sia possibile individuare la stessa origine in altri casi in cui un'isteria cronica sfocia in una psicosi.