9. Azioni sintomatiche e casuali

Le azioni che abbiamo appena esaminato e che abbiamo considerato come l'espressione di un'intenzione inconscia si presentavano come forme deviate di altri atti intenzionali e si celavano sotto la maschera della scarsa destrezza. Gli «atti casuali», di cui tratterò in questo capitolo, si differenziano dalle «sbadataggini» perché non presuppongono necessariamente un'intenzione cosciente e non hanno la necessità di un pretesto. Si verificano per quello che sono e vengono accettati, poiché non si sospetta che abbiano un fine o un'intenzione.

Vengono compiuti «senza pensare a niente», «per un puro caso», «tanto per fare qualcosa», e si crede che questa spiegazione renda superfluo un ulteriore esame sul significato dell'atto. Per beneficiare di questa situazione eccezionale, gli atti in questione, che non richiedono l'attenuante della mancanza di abilità, devono adempiere a particolari condizioni: devono essere non appariscenti e i loro effetti devono essere insignificanti. Ho messo insieme un buon numero di questi atti casuali, compiuti da altri o da me stesso e, dopo aver sottoposto ciascun caso ad un profondo esame, ho creduto di poter concludere che questi atti sono meglio definibili col termine di sintomatici. Esprimono cioè qualcosa che lo stesso autore dell'atto non sospetta minimamente e che non vuole comunicare ad altri, ma tenerlo per sé.

La maggior parte degli esempi di atti casuali o sintomatici ci |è fornita dai risultati del trattamento psicoanalitico delle nevrosi. Cercherò di dimostrare, con due esempi provenienti da questa fonte, fino a che punto e con quale sottigliezza questi incidenti poco appariscenti siano determinati da pensieri inconsci. Il limite che separa gli atti sintomatici dalle sbadataggini è così impreciso che avrei potuto tranquillamente citare questi esempi nel capitolo precedente.

1. Durante una seduta psicoanalitica una giovane donna mi disse che la sera precedente, tagliandosi le unghie, si era tagliata la carne mentre cercava di asportare le pellicine. E’ un particolare di così scarso interesse che ci si potrebbe chiedere come mai la donna se ne sia ricordata e ne abbia parlato; bisogna supporre perciò di avere a che fare con un atto sintomatico. Il piccolo incidente si era verificato all'anulare, dove si porta l'anello matrimoniale.

La cosa inoltre si era verificata nell'anniversario del matrimonio, il che conferisce alla piccola ferita un senso molto chiaro e facile da capire. Ella raccontò anche un sogno che si ricollega alla scarsa efficienza del marito e alla propria insensibilità sessuale. Ma perché si è ferita all'anulare sinistro se la fede si porta all'anulare destro? Il marito era avvocato, «dottore della destra» 1 [Gioco di parole, ottenuto dal doppio senso della parola Recht, che in italiano vuol dire Diritto] ed ella da ragazza aveva avuto una simpatia per un medico (lei lo chiamava per scherzo «dottore della sinistra»). Del resto anche l'espressione «matrimonio della mano destra» ha un preciso significato2 [Il coniuge di rango superiore porgeva al coniuge di rango inferiore, nei matrimoni morganatici, la mano sinistra anziché la destra.].

2. Una giovane donna non ancora sposata racconta: «Ieri ho strappato in due senza accorgermene un biglietto da cento fiorini e ne ho dato metà ad una signora che era venuta a farmi visita. Avrei commesso anch'io un atto sintomatico?». Un'analisi un po' più approfondita rivela i seguenti particolari. Questa signorina dedica una parte del suo tempo e dei suoi averi ad opere di beneficenza. In collaborazione con un'altra signora, provvede all'educazione di un orfanello. I cento fiorini le erano stati spediti proprio da quest'altra signora: lei li aveva infilati in una busta e lasciati provvisoriamente sul suo scrittoio. La signora che era in visita presso di lei era una persona di riguardo impegnata in un'altra opera di beneficenza. Era venuta da lei a chiedere un elenco di nomi di persone cui rivolgersi per chiedere un contributo finanziario. Poiché non trovava un pezzo di carta per scrivere questi nomi, la mia paziente aveva preso la busta che stava sullo scrittoio e l'aveva strappata a metà scordandosi di ciò che conteneva: voleva infatti conservare la copia dell'elenco che stava per dare alla sua ospite. Si noti il carattere inoffensivo di questo atto inutile. Si sa che un biglietto da cento fiorini non perde il suo valore se lo si strappa purché i due frammenti corrispondano. Ora, dato che si usava il pezzo di busta per un appunto molto importante, era sicura che la signora lo avrebbe conservato, e che appena si fosse accorta del prezioso contenuto si sarebbe preoccupata di rispedirlo alla proprietaria.

Ma quale pensiero inconscio poteva essere espresso da quest'atto casuale, facilitato da una dimenticanza? L'ospite della nostra paziente era una convinta ammiratrice del nostro metodo di cura. Era stata lei a consigliarla di rivolgersi a me, e mi pare che la paziente le fosse molto grata di questa indicazione. Il mezzo biglietto da cento fiorini poteva rappresentare una specie di ricompensa per questo affettuoso interessamento? Sarebbe molto strano.

Ma c'è tuttavia dell'altro materiale. Qualche giorno prima una mediatrice di tutt'altro genere, che la mia paziente aveva incontrata da una sua parente, le aveva chiesto se gradiva conoscere un certo signore; e, qualche ora prima dell'arrivo della signora, la mia paziente aveva ricevuta una lettera con la quale il signore in questione chiedeva la sua mano, cosa che l'aveva molto divertita. Quando l'ospite per avviare la conversazione le chiese come stava, la mia paziente avrà pensato: «Tu mi hai segnalato il medico che faceva al caso mio; ma ti sarei ancora più riconoscente se potessi aiutarmi a trovare il marito che fa per me» (e pensando ad un marito ella certamente pensava ad un figlio). In base a questo pensiero rimosso, ella aveva confuse le due intermediarie e aveva offerto all'ospite la ricompensa che nella sua fantasia avrebbe voluto dare all'altra. Rende ancora più verosimile questa spiegazione, il fatto che non più tardi della sera precedente le avevo parlato degli atti casuali e sintomatici. Aveva colto la prima occasione per riprodurre qualcosa di analogo.

Si possono suddividere queste frequentissime azioni sintomatiche casuali classificandole in abituali, quando si riproducono sempre in determinate condizioni, e sporadiche. Le prime (giocare con la catena dell'orologio, tormentarsi la barba, ecc.), che possono servire a dare una sommaria caratterizzazione delle persone che le compiono, si confondono con i tic ed è preferibile trattarle con questi ultimi. Riunisco nel secondo gruppo i movimenti che si compiono per esempio avendo un bastone in mano, scarabocchiando un pezzo di carta, impastando molliche di pane o sostanze plastiche, facendo tintinnare le monetine nelle tasche, tormantandosi gli abiti, ecc. Per tutti questi movimenti, che hanno l'apparenza di giochi, il trattamento psichico trova un senso ed un significato cui non è permessa altra possibilità di espressione. Di solito l'interessato non si accorge di quel che fa, né di compiere gesti diversi dal solito e nemmeno si rende conto degli effetti prodotti da questi movimenti. Per esempio non sente il rumore prodotto dalle monetine e assume un'aria stupita e incredula quando gli si fa notare la cosa. Anche tormentarsi gli abiti senza accorgersene ha un significato degno dell'attenzione del medico. Qualsiasi cambiamento del modo abituale di vestirsi, qualsiasi negligenza, per esempio un bottone abbottonato male, una parte del corpo lasciata distrattamente scoperta, significa sempre qualcosa che il proprietario degli abiti non vuol dire direttamente e di cui il più delle volte non ha alcun sospetto. L'interpretazione di questi piccoli atti casuali, come le prove portate a sostegno di quest'interpretazione, viene alla luce ogni volta, con sufficiente chiarezza, durante la seduta, dalle circostanze nell'ambito delle quali l'azione si è verificata, dalla conversazione che si sta conducendo con il soggetto, nonché dalle associazioni di idee che gli vengono spontanee, quando si richiama la sua attenzione sul carattere solo apparentemente casuale del gesto. Dato però che, in ciò che sto per dire, tengo presente soprattutto persone anormali, mi asterrò dal citare a riprova delle mie teorie esempi confermati dall'analisi; ma cito questi fatti perché sono convinto che le azioni di cui ci stiamo occupando presentano nel soggetto normale e nell'anormale lo stesso significato.

Citerò un esempio per dimostrare fino a che punto un atto simbolico, trasformatosi in abitudine, può essere ricondotto a quel che c'è di più intimo e di più importante nella vita3 (E. Jones, Beitrag zar Symbolik des Alltags. Tradotto da Otto Rank (Vienna), «Zentralbl. f. Psychoanalyse», I, 3, 1911).

Secondo quanto ci ha insegnato il professor Freud, nella vita infantile dell'uomo il simbolismo ha una parte molto più importante di quanto non si creda, come hanno dimostrato i primi esperimenti psicoanalitici. Sotto questo aspetto ha un certo interesse l'analisi seguente, soprattutto per le prospettive terapeutiche che lascia intravedere.

Sistemando i mobili in un appartamento nuovo un medico ritrovò uno stetoscopio rigido e di vecchio tipo, in legno. Dopo un attimo di indecisione sul posto dove collocarlo, sentì quasi la necessità di sistemarlo sul suo scrittoio, tra la propria sedia e quella sulla quale fa sedere di solito i suoi pazienti. Questa azione era leggermente strana per due motivi. Innanzitutto, questo medico (che è un neurologo) usa molto raramente lo stetoscopio, e nei rari casi in cui ne ha bisogno usa uno stetoscopio doppio (per due orecchie). In secondo luogo, conserva tutti gli apparecchi e gli strumenti medici nel cassetto; a questo era stato dunque accordato un trattamento di favore. Qualche giorno dopo non pensava più alla cosa, quando una paziente, venuta per una visita e che non aveva mai visto uno stetoscopio rigido, gli chiese cosa fosse. Avuta la spiegazione ella chiese come mai lo strumento era poggiato lì; al che il medico rispose piuttosto bruscamente che un posto valeva l'altro. Ciononostante il fatto lo colpì e cominciò a chiedersi se il gesto non gli fosse stato ispirato da motivi inconsci. Avendo molta familiarità con i sistemi psicoanalitici decise di chiarire la cosa.

La prima cosa che gli venne in mente fu che quando studiava medicina era rimasto colpito dal fatto che il medico interno dell'ospedale aveva l'abitudine, durante le visite nelle corsie, di tenere fra le mani uno stetoscopio rigido che non usava mai. Egli aveva molta ammirazione per quel medico e gli era molto legato. Qualche tempo dopo, diventato egli stesso medico ospedaliero, aveva preso la stessa abitudine e si sarebbe sentito a disagio, se per sbaglio fosse uscito senza dondolare fra le mani lo strumento. L'inutilità di questa abitudine, però, si manifestava non soltanto nel fatto che il solo stetoscopio del quale si sarebbe realmente servito era uno stetoscopio doppio che portava in tasca, ma anche nel particolare che egli aveva conservata quest'abitudine pur essendo stato assegnato al servizio nel reparto chirurgico dove lo stetoscopio non era di alcuna utilità. Il significato di queste osservazioni diventa evidente, se si ammette il carattere fallico di questo atto simbolico.

Infatti il secondo episodio di cui rintracciò il ricordo fu il seguente: giovanissimo, era stato molto colpito dall'abitudine del suo medico di famiglia di portare lo stetoscopio rigido dentro il cappello. Gli sembrava interessante che il medico avesse sempre a disposizione il suo strumento principale quando andava a visitare dei pazienti, e che gli fosse sufficiente togliersi il cappello (cioè una parte del suo abbigliamento) per prenderlo. Da bambino egli aveva una grande simpatia per questo medico; e nel corso di una recente autoanalisi, gli era tornato alla memoria che quando aveva tre anni e mezzo ebbe una doppia fantasia per quanto riguardava la nascita della sua sorellina: l'una, ch'ella fosse nata da lui stesso e da sua madre, l'altra, da lui e dal dottore. Quando si perdeva in queste fantasie sosteneva altrettanto bene sia il ruolo femminile che quello maschile. Poi gli venne in mente di essere stato visitato, a sei anni, da questo stesso medico, e ricordò chiaramente la voluttuosa sensazione provocata al contatto del suo petto con la testa del dottore per mezzo dello stetoscopio, come il ritmo dei movimenti respiratori. A tre anni aveva avuto una malattia cronica dei bronchi che rendeva necessarie delle visite periodiche delle quali tuttavia non ricordava nulla.

A otto anni, fu molto colpito nel sentirsi raccontare da un compagno di scuola che il medico aveva spesso rapporti sessuali con le pazienti. Questa diceria aveva un fondamento di realtà, poiché il medico in questione godeva le simpatie di tutte le donne del quartiere (sua madre compresa). L'analizzato stesso aveva provato più di una volta un desiderio sessuale nei confronti di alcune sue pazienti; ne aveva, in seguito, amate due e aveva finito con lo sposarne una. E quasi certo che aveva scelta la carriera del medico per la sua identificazione inconscia con questo medico di famiglia. Risulta da analisi condotte su altri medici che questo è in effetti il motivo più frequente (benché sia difficile precisarne la frequenza) per la scelta di questa carriera. In questo caso particolare si possono individuare due fatti determinanti: in primo luogo la superiorità, manifestatasi in parecchie occasioni, del medico sul padre, di cui il figlio era molto geloso; in secondo luogo, il fatto che il medico conoscesse cose proibite e avesse numerose occasioni di soddisfazioni sessuali.

L'analisi rintraccia in seguito il ricordo di un sogno (pubblicato altrove) di natura chiaramente omosessuale e masochista, nel quale un uomo, che era evidentemente una figura sostitutiva del medico, minacciava il sognatore con una spada. Quest'ultima, a sua volta, gli ricordò una storia che aveva letta nella Canzone dei Nibelunghi e in cui si parla di una spada che Sigurd avrebbe collocata tra lui e Brunhilde dormiente. Lo stesso episodio figura nella leggenda di re Artù, anche questa ben nota al nostro soggetto.

Il significato dell'atto sintomatico diventa così comprensibile. Il medico aveva posto lo stetoscopio fra sé e i suoi pazienti, proprio come Sigurd aveva posta la sua spada tra sé e la donna che non doveva violare. Si trattava di un compromesso che aveva due fini: risvegliare, davanti ad una paziente affascinante, il suo desiderio represso di avere dei rapporti sessuali con lei e ricordargli contemporaneamente che questo desiderio non poteva essere soddisfatto. Si trattava, per così dire, di un incantesimo contro la tentazione.

Aggiungerei ancora che il ragazzo era stato notevolmente colpito dai seguenti versi del Richelieu di Lord Lytton:

Beneath the mie of meri entirely great The pens is mightier than the sword 5 ([«Sotto il governo di uomini veramente grandi la penna è più potente della spada».] Cfr. Oldham: « Wear my pen as others do their sword» [«Porto la penna come altri porterebbero la spada».

che è diventato uno scrittore fecondo e che usa una penna straordinariamente grande. Quando gli domandai: «Che bisogno ha di una simile penna?», rispose: «Ho un'infinità di cose da esprimere».

Quest'analisi dimostra ancora una volta quali profondità della vita psichica rivelano gli atti cosidetti «inoffensivi», senza senso «e a partire da quale età precoce cominci a svilupparsi la tendenza alla simbologia».

Posso ancora esporre un caso tratto dalla mia pratica psicoterapeutica in cui una mano che giocava con una pallina di mollica mi ha fornito delle rivelazioni interessanti. Il paziente, un ragazzo di appena tredici anni, affetto da due anni da una grave forma di isteria, dopo una lunga e vana permanenza presso un istituto idroterapico, mi era stato affidato perché lo sottoponessi al trattamento psicoanalitico. Secondo me, egli doveva aver fatto delle esperienze sessuali e, data l'età, era tormentato da problemi di carattere sessuale. Mi sono perciò guardato bene dal cercare di aiutarlo dandogli delle spiegazioni, perché anche questa volta volevo provare la fondatezza delle mie ipotesi. Dovevo dunque cercare la via da seguire per ottenere questa verifica. Ora, un giorno, fui colpito da questo fatto: egli faceva rotolare qualche cosa fra le dita della mano destra, infilava la mano in tasca continuamente, giocherellava con le dita, poi le ritirava fuori e così di seguito. Gli chiesi cos'avesse in mano; per tutta risposta aprì le dita. Aveva della mollica appallottolata. Alla seduta successiva, portò con sé un altro po’ della mollica e mentre parlavo con lui, fece di questa mollica, con una rapidità straordinaria, ed a occhi chiusi, delle figurine che mi interessarono molto. Erano minuscole figure umane, simili ai più rozzi idoli preistorici, con una testa, due braccia, due gambe e, fra le gambe, un'appendice che terminava con una lunga punta. Non era ancora completamente terminata questa figura che il mio paziente appallottolò di nuovo la sua mollica. In altri momenti, lasciava la sua opera intatta, ma moltiplicava le appendici per cercare di non far capire che cosa aveva plasmato fra le gambe. Volli dimostrargli che l'avevo capito, senza tuttavia fornirgli il pretesto di sostenere che non aveva pensato a nulla modellando i suoi omuncoli. Con questa intenzione gli domandai bruscamente se si ricordava la storia di quel re romano che, nel suo giardino, aveva risposto con una pantomima ad un messaggero di suo figlio. Il ragazzo negò di ricordarlo, benché l'avesse appreso molto più recentemente di me. Mi domandò se alludevo alla storia in cui la risposta era stata scritta sul cranio rasato di uno schiavo. «No», gli risposi, «quest'aneddoto appartiene alla storia greca». Allora gli raccontai di che si trattava: il re Tarquinio il Superbo aveva ordinato a suo figlio di introdursi in una città latina nemica; il figlio, che era riuscito a crearsi dei seguaci nella città, inviò al re un messaggero con l'incarico di chiedergli ulteriori istruzioni; il re non diede alcuna risposta ma, recatosi in giardino, si fece ripetere la domanda e, senza aprir bocca, recise i papaveri più belli e più alti. Al messaggero non restò che andare a raccontare a Sesto ciò che aveva visto; Sesto capì e provvide a far assassinare i notabili della città.

Mentre parlavo il ragazzo aveva smesso di tormentare la sua mollica e sentendo ciò che il re aveva fatto nel giardino, e precisamente alle parole «senza aprir bocca, recise...», il mio paziente recise a sua volta la testa del suo omuncolo con la rapidità di un lampo. Mi aveva dunque capito e aveva notato che anche io lo capivo. Potei cominciare ad interrogarlo direttamente, gli diedi le spiegazioni che lo interessavano e in breve tempo la sua nevrosi fu guarita.

Gli atti sintomatici, di una incredibile varietà sia negli individui sani che nei nevrotici, meritano il nostro interessamento per più di un motivo. Essi forniscono al medico delle preziose indicazioni che gli permettono d'orientarsi nel cumulo di circostanze nuove o ancora poco note e rivelano all'osservatore profano tutto ciò che desidera sapere e qualche volta anche di più di quel che vorrebbe. Chi sa servirsi di queste indicazioni deve, all'occorrenza, procedere come faceva il re Salomone che, secondo la leggenda, comprendeva il linguaggio degli animali. Un giorno fui chiamato a visitare un giovanotto a casa di sua madre. La prima cosa che mi colpì, quando mi fu davanti, fu una grande macchia bianca sui pantaloni, macchia, che, a giudicare dall'alone caratteristico, era di bianco d'uovo. Dopo il primo momento di imbarazzo, il giovane si scusò, dicendo che sentendosi un po' debole aveva bevuto un uovo crudo e un po' di bianco gli era caduto sui pantaloni. Per confermare ciò che diceva, mi mostrò un tovagliolo sul quale c'era ancora qualche pezzetto di guscio d'uovo. La provenienza della macchia sospetta sembrava dunque spiegata nel modo più naturale. Ma quando la madre ci lasciò soli, lo ringraziai di avermi facilitato la diagnosi e di aver potuto ottenere da lui senza difficoltà la confessione che si masturbava. Un'altra volta, dovetti visitare una signora ricca, sciocca e vanitosa, che aveva l'abitudine di rispondere alle domande del medico con una valanga di piagnistei incoerenti, che rendeva particolarmente difficile la diagnosi. Entrando, la trovai seduta davanti a un tavolinetto occupata a fare delle pile di fiorini d'argento; alzandosi, ella fece cadere qualche moneta sul pavimento. L'aiutai a raccoglierle e interruppi immediatamente la narrazione delle sue disgrazie chiedendole: «Il suo distintissimo genero le ha fatto dunque perdere tutto questo denaro?». Mi rispose con un irritatissimo no!, cominciando immediatamente a raccontarmi dello stato di esasperazione nel quale la metteva la prodigalità del genero. Devo aggiungere che non l'ho più vista: non ci si procura sempre degli amici fra coloro ai quali si rivela il significato dei loro atti sintomatici.

Il Dottor J. E. G. van Emden (dell'Aja) racconta un altro caso di confessione per mezzo di un atto sintomatico:

«Nel fare il conto il cameriere di un piccolo ristorante di Berlino sosteneva che il prezzo di un certo piatto era aumentato di 10 pfennigs. Quando gli chiesi come mai questo aumento di prezzo non era registrato sulla lista, rispose che evidentemente si trattava di un'omissione, ma che era sicuro di ciò che diceva. Mettendo il denaro in tasca, gli cadde sulla tavola, proprio davanti a me, un pezzo da 10 pfennigs. "Ora sono sicuro che mi ha alzato il conto. Vuole che mi informi alla cassa?". "Scusi, permette ... un istante" e sparì.

Va da sé che se non mi opposi alla sua ritirata, e quando tornò due minuti dopo, scusandosi di avere, per un errore inconcepibile, confuso il piatto in questione con un altro, gli restituii i dieci pfennigs come ricompensa al suo contributo alla psicopatologia della vita quotidiana».

Osservando la gente mentre è a tavola si ha occasione di notare chiari atti sintomatici interessanti ed istruttivi.

Ecco ciò che racconta il dottor Hanns Sachs:

«Ho avuto modo di assistere al pranzo di una coppia un po' anziana di miei parenti. La signora soffre di stomaco e segue una dieta rigorosa. Quando servirono l'arrosto, il marito pregò la donna, che non poteva mangiare quel piatto, di passargli la mostarda.

La donna aprì il buffet, ne estrasse il flaconcino delle gocce che ella usava e le pose davanti al marito. Tra il contenitore della senape in forma di botte e il flaconcino delle gocce non esisteva evidentemente alcuna somiglianza che potesse giustificare la confusione; ciononostante la donna s'accorse dell'errore solo quando il marito richiamò, ridendo, la sua attenzione su ciò che aveva fatto.

Non occorre insistere sul significato di questo atto sintomatico. Salta agli occhi».

È del dottor B. Dattner (di Vienna) la segnalazione di un penoso caso del genere, abilmente utilizzato dall'osservatore:

«Sto pranzando al ristorante con un mio collega di filosofia, il dottor H. Egli mi espone i lati spiacevoli del periodo di tirocinio e aggiunge a questo proposito che prima di portare a termine i suoi studi era stato assunto come segretario dal ministro plenipotenziario del Cile. "In seguito il ministro fu sostituito, e non mi presentai al nuovo". Mentre pronuncia quest'ultima frase, porta alla bocca un pezzo di torta, lasciandolo cadere dal coltello, come per un gesto maldestro. Comprendo immediatamente il significato recondito di questo atto sintomatico e, come per caso, dico al mio collega, che non ha molta familiarità con la psicoanalisi: "Ha lasciato cadere un buon boccone". Non si rende conto che le mie parole possono benissimo riferirsi al suo atto sintomatico, e ripete, con una sorprendente vivacità, queste parole: "Sì, era effettivamente un buon boccone quello che mi sono lasciato cadere". E si lascia andare a raccontarmi, nei minimi particolari, la sua goffaggine che lo ha privato di un posto così ben retribuito.

Il significato del suo atto sintomatico appare evidente quando si consideri che il mio collega prova un certo disagio a parlare con me, che conosce molto poco, delle sue precarie condizioni economiche; ma il pensiero che vorrebbe reprimere ha dato luogo ad un atto sintomatico che esprime simbolicamente ciò che avrebbe dovuto restare nascosto ed ha così fornito al mio interlocutore un modo di sfogarsi che trae la sua fonte dall'inconscio».

Gli esempi che seguono dimostrano quale significato può avere il fatto di sottrarre involontariamente un oggetto.

Il dottor B. Dattner racconta: «Un mio collega va a trovare una sua amica d'infanzia; è la prima visita dopo il matrimonio di lei. Mi parla di questo piccolo avvenimento; a questo proposito mi esprime il suo stupore per essere stato costretto, contrariamente alle sue intenzioni, a prolungare questa visita e contemporaneamente mi informa di uno strano atto mancato che ha commesso in questa casa.

Il marito dell'amica, che ha preso parte anche lui alla conversazione, ad un certo punto si mette a cercare una scatola di fiammiferi che (il mio collega se ne ricorda molto bene) stava sul tavolo, quando lui era entrato nella stanza. Si cerca dovunque, il mio collega si fruga nelle tasche, dicendosi che dopo tutto potrebbe averla presa per sbaglio, ma invano. Qualche tempo dopo se la ritrova veramente in una tasca ed è stupito dal fatto che la scatola contenga un solo fiammifero.

Due giorni dopo, questo collega fa un sogno in cui la scatola ha una funzione simbolica e la sua amica d'infanzia ha il ruolo di personaggio principale, il che conferma la spiegazione che gli ho data, cioè che egli, per mezzo del suo atto mancato (appropriazione involontaria della scatola), ha voluto affermare il suo diritto di proprietà e di possesso esclusivo (nella scatola c'è un solo fiammifero)».

Il Dottor Hanns Sachs riferisce: «La nostra donna di servizio ha un debole per una certa torta. E un fatto indiscutibile, poiché è il solo piatto che non sbaglia mai. Una domenica ella ci serve proprio quella torta; la poggia sulla credenza, toglie le stoviglie del piatto precedente, le mette in pila sul vassoio col quale aveva portato la torta; ma anziché servircela, la poggia sulla pila di stoviglie e porta il tutto in cucina. In un primo momento noi pensiamo ch'ella debba aggiungere qualcosa alla torta, ma, non vedendola tornare, mia moglie si decide a richiamarla e le chiede: "Betty, che ne ha fatto della torta?". Bisogna ricordarle che l'ha portata, poi caricata sul vassoio, riportata in cucina, depositata da qualche parte, su un tavolo o altrove, "senza badare a ciò che faceva".

L'indomani, quando chiediamo di mangiare ciò che resta della torta, mia moglie constata che la donna di servizio non ha assaggiato un boccone della sua razione. Le chiediamo perché non ne abbia preso ed ella risponde, un po' imbarazzata, che non aveva voglia di mangiarne.

L'atteggiamento infantile della ragazza è ben chiaro in tutta questa faccenda; dapprima, l'avidità infantile che non vuol dividere con nessuno l'oggetto dei propri desideri; poi, la reazione dispettosa non meno infantile: dal momento che non posso avere la torta tutta per me, preferisco non averne nulla; tenetela tutta per voi».

Gli atti sintomatici casuali che si riferiscono alla vita coniugale hanno spesso un significato molto serio e potrebbero costringere quanti non riconoscono la psicologia dell'inconscio a credere nei sogni premonitori. Non è certo un buon auspicio iniziale, quando una giovane sposa perde la sua fede durante il viaggio di nozze. E vero che il più delle volte l'anello, poggiato in un posto insolito, finisce con l'essere ritrovato. Conosco una donna divorziata che, molto prima di divorziare, spesso si sbagliava e firmava col suo cognome da signorina i documenti riguardanti l'amministrazione dei suoi beni. Un giorno, mentre ero in visita presso due giovani sposi, la moglie mi raccontò ridendo che al ritorno dal viaggio di nozze era andata a trovare la sorella che le aveva chiesto di accompagnarla a fare delle compere, mentre il marito si occupava dei suoi affari. Appena furono uscite, ella vide sull'altro marciapiede un tale, la cui presenza in quella strada sembrava stupirla molto e disse alla sorella: «Guarda, sembra proprio il Signor L.». Aveva dimenticato che questo Signor L. era da parecchie settimane suo marito. Mentre l'ascoltavo, io mi sentii molto a disagio, ma mi astenni dal trarne una conclusione. Questa storia mi è tornata in mente solo molti anni dopo, quando questo matrimonio aveva preso una piega piuttosto brutta. Dagli interessantissimi lavori di A. Maeder, pubblicati in francese 6 (Alph. Maeder, Contributions à la psychopathologie de la vie quotidienne, «Archives l|4e Psychopatologie», T. VI, 1906), traggo la seguente osservazione, che potrebbe del resto essere inserita altrettanto a proposito nel capitolo sulle Dimenticanze.

Una signora mi ha raccontato recentemente di aver dimenticato di provare il suo abito da sposa, ricordandosene solo alle otto della sera prima del matrimonio, quando ormai la sarta non sperava più che andasse. Questo particolare basta a dimostrare che la fidanzata non era eccessivamente felice di indossare un abito da sposa e che cercava di dimenticare questa spiacevole idea. Attualmente è ... divorziata.

Un mio amico, particolarmente abile nell'osservare questo tipo di segni, mi ha raccontato che la grande attrice Eleonora Duse, nel corso di una rappresentazione, compì un atto sintomatico che mette perfettamente in risalto tutta la profondità della sua arte. Si trattava di un dramma centrato su un adulterio: ella aveva appena avuto una discussione col marito ed era tutta immersa nei suoi pensieri, mentre il seduttore le si accostava. In questo brevissimo periodo di tempo giocava con la fede sfilandola ed infilandola al dito. Stava per cadere fra le braccia dell'altro.

A ciò si riallaccia quel che Th. Reik («Internat. Zeitschr. f. Psychoanalyse», ih, 1915) racconta su altri atti sintomatici a proposito della fede.

Ci è noto quell'atto sintomatico compiuto dagli sposi che consiste nel togliersi ed infilarsi macchinalmente la fede. Il mio collega K. ha compiuto tutta una serie di atti sintomatici del genere. Una ragazza di cui era innamorato gli regalò un anello, raccomandandogli di non perderlo, altrimenti sarebbe stato segno che non l'amava più. Da allora fu continuamente ossessionato dal terrore di perdere l'anello. Quando era costretto a toglierselo, ad esempio, per lavarsi le mani, dimenticava regolarmente dove lo aveva appoggiato e spesso per ritrovarlo doveva fare lunghe ricerche. Ogni volta che imbucava una lettera, temeva che un movimento sbagliato della mano contro il bordo della buca gli sfilasse l'anello dal dito e lo facesse scivolare insieme alla lettera in fondo alla cassetta. Tanto fece che l'incidente tanto temuto un giorno si verificò. Stava imbucando una lettera di rottura ad una delle sue precedenti amanti, verso la quale si sentiva colpevole. Mentre lasciava cadere la busta nella cassetta, lo colse, in conflitto col suo affetto per l'amante del momento, il desiderio di rivedere quella donna.

A proposito di questi atti sintomatici che hanno per oggetto l'anello o la fede, si deve constatare ancora una volta che la psicoanalisi non scopre niente di più di ciò che i poeti avessero già intuito da molto tempo. Nel romanzo di Fontane Prima dell'uragano, il consigliere del tribunale Turgany dice durante un gioco di società in cui sono previsti dei pegni: «Credetemi, signore, nel dare i pegni si rivelano i più profondi misteri della natura umana». Fra gli esempi che cita come prova della sua affermazione, ce n'è uno che merita un'attenzione particolare. «Mi ricordo», racconta, «della moglie di un professore, vicino all'età dell'assopimento dei sensi, che ogni volta dava in pegno la fede che estraeva dal dito. Risparmiatemi la descrizione della felicità coniugale di quella casa. Frequentava lo stesso guppo di persone», continua il signor Turgany, «un signore che poggiava sempre sulle ginocchia di questa donna il suo coltellino tascabile, con dieci lame, un apribottiglie e un acciarino, fino a che questo coltello-mostro, dopo aver provocato strappi a numerosi indumenti di seta, finì con lo sparire per l'indignazione generale».

Non ci si deve meravigliare che un semplice oggetto come un anello abbia una così vasta gamma di significati di tipo erotico, e ciò anche quando non si tratta né di un anello di fidanzamento né di una fede. Il dottoro Kardos mi ha fornito il seguente esempio di un atto mancato di questo tipo: «Alcuni anni fa conobbi un uomo di parecchi anni più giovane che condivideva le mie idee e al quale ci legava un rapporto del tipo che nasce fra maestro e discepolo. In una certa occasione gli regalai un anello che diede luogo da parte sua a numerosi atti sintomatici o atti mancati, ogniqualvolta nel nostro rapporto si creavano dei malintesi. Di recente egli mi ha raccontato questo caso particolarmente chiaro e interessante: egli era mancato senza alcun motivo ad uno dei nostri incontri nel corso dei quali ci scambiavamo delle idee; in realtà aveva preferito uscire con una giovane donna. La mattina seguente si accorse, diverso tempo dopo essere uscito di casa, che aveva dimenticato l'anello. La cosa non lo turbò molto perché pensò di averlo lasciato sul comodino, ove lo posava ogni sera. Appena rientrato, si mise a cercare l'anello, ma invano. Infine si ricordò che l'anello si trovava sul comodino accanto ad un temperino, il che succede ormai da un anno. Pensò quindi di averli messi insieme «distrattamente» nella tasca del panciotto dove era solito tenere il temperino. Mise le mani nel taschino ed effettivamente lo trovò lì.

«L'anello matrimoniale nella tasca del gilet», questa è la raccomandazione di un proverbio popolare per i mariti che vogliono tradire la moglie.

Il senso di colpa l'ha portato prima all'autorimprovero: «Non meriti di portare questo anello», costringendolo poi a svelare la piccola infedeltà sotto forma di atto mancato, senza avere testimoni. Egli ha confessato la verità con questo racconto (del resto prevedibile).

Conosco anche un signore anziano che aveva sposato una ragazza di parecchio più giovane di lui ed aveva deciso di passare la prima notte di matrimonio in un albergo della capitale. Appena arrivato, si accorse con angoscia di non aver portato con sé il portafogli con la somma destinata al viaggio di nozze. Telefonò al suo domestico, che ritrovò il portafogli in una delle tasche del vestito lasciato a casa dopo la cerimonia. Così il giorno seguente potè partire per la luna di miele: senza avere però adempiuto durante la notte ai doveri coniugali.

È consolante pensare che, nella maggior parte dei casi, la perdita di un oggetto è un atto sintomatico, cioè nasconde un'intenzione inconscia da parte di colui che ha subito la perdita. Spesso la perdita di un oggetto sta a dimostrare il poco valore che gli si attribuisce, l'avversione per esso o per la persona dalla quale proviene; o, ancora, la tendenza a perdere un oggetto è determinata da una associazione di idee simboliche he riversano l'avversione per un oggetto su di un altro. La erdita di oggetti preziosi esprime i più vari sentimenti; può ostituire la rappresentazione simbolica di una idea rifiutata, erciò un avvertimento che si preferirebbe non sentire e quindi (in primo luogo) deve essere considerata come un sacrificio ad scure potenze che presiedono al nostro destino ed il cui culto siste tutt'ora fra noi7.

7 [Nota aggiunta nell'edizione del 1907 ed ampliata nelle successive edizioni, come a via indicato.] (Aggiungo una serie di varie azioni sintomatiche in persone sane e evrotiche. Un anziano collega, a cui non piace perdere giocando a carte, una sera ha perduto una somma notevole senza un lamento e mantenendo un contegno particolarmente dignitoso. Andatosene, gli altri si rendono conto che praticamente ha lasciato al suo posto tutto quel che portava con sé: occhiali, portasigari e fazzoletto. L'interpretazione da dare al suo comportamento è senz'altro la seguente: «Rapinatori! mi avete saccheggiato».

Un uomo sofferente di occasionale impotenza sessuale che si origina nelle profonde relazioni avute con la madre da bambino, narra di adornare per abitudine i suoi scritti e appunti con una S, l'iniziale del nome della madre. Non tollera che lettere da casa vengano in contatto sulla sua scrivania con altra corrispondenza profana, per cui è costretto a metter da parte le prime.

Una giovane signora spalanca all'improvviso la porta dello studio del medico ove si trova ancora la paziente che l'ha preceduta. Si scusa tirando in ballo la «distrazione»; alla fine viene fuori che ella ha dimostrato la curiosità che in passato la fece penetrare nella camera da letto dei genitori.

Le ragazze orgogliose dei loro bei capelli sanno maneggiare i pettini con tale abilità da far sì che nel bel mezzo di una conversazione i capelli si sciolgano.

Alcuni uomini durante la cura (stando sdraiati) perdono le monete che cadono dalle tasche dei pantaloni, compensando in tal modo il lavoro della seduta in rapporto alla loro valutazione.

Chi dimentica dal medico un oggetto che aveva con sé, come occhiali, guanti, borsetta ecc., significa che non riesce a star lontano e che vuol tornare al più presto. Infatti Jones osserva: «Si può all'incirca misurare il successo con cui un medico pratica la psicoterapia, ad esempio, da quanti ombrelli, fazzoletti, borsette e così via colleziona in un mese».

[Nota aggiunta nel 1910.] Le operazioni più minute, usuali ed eseguite con un po' di attenzione, come caricare l'orologio prima di addormentarsi, spegnere la luce prima di uscire da una stanza e così via, occasionalmente vanno soggette a turbamenti che rivelano in modo non misconoscibile l'influenza di complessi inconsci su «abitudini» apparentemente più inveterate. Maeder (in «Coenobium», Lugano, voi. 3, 1909) racconta di un medico d'ospedale che una sera per una questione importante si decise ad andare in città, anche se non avrebbe potuto muoversi dall'ospedale essendo di guardia. Al ritorno notò sorpreso che la sua stanza era illuminata. Aveva dimenticato, uscendo, di spegnere la luce; cosa che non gli era mai capitata. Subito si giustificò però della dimenticanza; il direttore che abitava nello stesso edificio, vedendo la luce nella sua stanza, avrebbe dedotto che era presente.

Un uomo con un'infinità di preoccupazioni e soggetto a depressioni mi assicurò che regolarmente al mattino il suo orologio era scarico, cosa che simbolicamente esprimeva che non gli interessava nulla di arrivare all'indomani.

[Nota aggiunta nel 1912.] Un'altra persona, che personalmente non conosco, scrive: «Duramente colpito dal destino, la vita mi appariva così amara e avversa che pensavo di non trovare forza sufficiente per tirare avanti fino al giorno dopo, mentre prima non smettevo mai di farlo e anzi lo caricavo regolarmente prima di addormentarmi, come una cosa meccanica e inconscia. Solo raramente me lo ricordavo, quando il giorno appresso dovevo fare qualcosa d'importante o molto interessante. Che pure questo rifletta un'azione sintomatica? Proprio non riuscivo a spiegarmelo».

Chi, come Jung (in Psicologia della demenza precoce, 1906) o Maeder (op. cit), si prende pena di badare alle melodie che involontariamente e sopra pensiero canticchia fra di sé, abbastanza regolarmente scoprirà la relazione corrente tra le parole della melodia e quanto gli passa per la testa.

[Nota aggiunta nel 1917.] Anche le determinazioni più sottili del modo di esprimersi parlando o scrivendo meriterebbero più particolare attenzione. In genere si crede di avere la libera scelta delle parole da cui i pensieri sono rivestiti o dalle immagini che li mascherano. Una più attenta osservazione rivela che su questa scelta convergono altre considerazioni e che dalla forma del pensiero traspare un più profondo significato spesso non voluto. Immagini ed espressioni usate con preferenza da una persona non sono per lo più irrilevanti agli effetti di un giudizio su di essa; altre risultano allusioni a un tema momentaneamente messo da parte, ma che ha colpito profondamente chi parla. In certe discussioni teoriche sentivo usare da una certa persona, in un momento particolare, la frase: «Se all'improvviso ad uno passa per la testa qualcosa», ma sapevo che lui poco prima aveva saputo che suo figlio al fronte era stato colpito al capo da un Proiettile russo.

Ecco alcuni esempi a conferma delle mie affermazioni. Il dottor B. Dattner riferisce: «Un collega mi raccontò di aver perduto una stilografica che aveva da più di due anni e alla quale teneva molto. L'analisi rivelò la seguente situazione. La sera precedente, questo mio collega aveva ricevuto da suo cognato una lettera molto spiacevole che finiva con questa frase: "Per ora non ho né tempo né voglia di venire incontro alla tua leggerezza ed alla tua pigrizia". Le emozioni provocate da questa lettera furono tali che il giorno seguente egli perse la penna, che gli era stata regalata proprio da suo cognato. Questo fu un sacrificio offerto per non dovere niente a quell'uomo».

Dopo la morte della vecchia madre, una signora di mia conoscenza evitava, naturalmente, di andare a teatro.

Pochi giorni prima dell'anniversario della morte, la signora si lasciò convincere da alcuni amici a comperare un biglietto per una rappresentazione particolarmente interessante. Arrivata davanti al teatro si accorse di aver smarrito il biglietto. Pensava di averlo distrattamente gettato insieme a quello del tram scendendo dalla vettura. La signora si vantava di non aver mai perduto nulla per distrazione.

Si può concludere che anche un'altra perdita da lei subita non è avvenuta senza una ragione precisa.

Giunta in una stazione termale, decise di fare una visita ad una pensione dove aveva soggiornato precedentemente. Fu ricevuta come una vecchia conoscente ed invitata a fermarsi a pranzo. Quando fu il momento di pagare, i proprietari della pensione non vollero accettare nulla, cosa che essa non gradì molto. Le dissero però che avrebbe potuto lasciare qualcosa per la cameriera; aprì quindi la borsetta e ne trasse un biglietto da un marco. La sera il domestico della pensione le riportò cinque marchi, che aveva trovato sotto il tavolo e che, secondo i proprietari, non potevano appartenere che a lei. Le erano caduti, quindi, mentre cercava la mancia. Evidentemente voleva pagare a tutti i costi il conto.

Nei notevoli lavori pubblicati con il titolo: Il significato sintomatico della perdita degli oggetti nel «Zentralblatt für Psychoanalyse» (I, 10/11), Otto Rank ricorre all'analisi dei sogni per spiegare il carattere «sacrificale» e le ragioni profonde di certe azioni. (Altre notizie su questo argomento sono apparse nel «Zeitschr. f. Psychoanalyse», II, e nel «Internat. Zeitschr. f. Psychoanalyse», i, 1913). La cosa più interessante è che l'autore non solo dimostra che la perdita di oggetti è determinata da ragioni inconsce, ma che questa condizionano anche la loro riscoperta. La seguente osservazione prova il senso di questa affermazione. È evidente che nel perderlo l'oggetto è già donato, mentre per ritrovarlo bisogna ancora cercarlo («Internat. Zeitschr. f. Psychoanalyse», III, 1915).

Una ragazza, che materialmente dipendeva ancora dai genitori, voleva comprarsi un gioiello di valore. Domandò il prezzo dell'oggetto desiderato ma apprese con rammarico che superava la somma a cui ammontavano i suoi piccoli risparmi. Per realizzare il suo desiderio le mancavano solo due corone. Molto triste si avviò verso casa per una strada che a quell'ora era piena di traffico. In una delle piazze più frequentate scorse a terra un piccolo pezzo di carta davanti al quale stava per passare senza accorgersene. Tuttavia ella asserì che era totalmente immersa nei suoi pensieri. Si girò, lo raccolse e vide con sorpresa che era un biglietto da due corone.

Pensò: «E un felice destino che le manda, in modo che io possa comprare il gioiello». E decise di tornare indietro per realizzare il desiderio. Ma nello stesso momento si disse che non doveva farlo perché il denaro trovato porta fortuna e quindi bisogna conservarlo.

Per comprendere questo atto casuale basta rifarsi alla stessa situazione in cui si è verificato, senza l'intervento della persona interessata. Secondo me, le idee che preoccupavano la ragazza durante il tragitto verso casa erano certamente la sua povertà e la sua dipendenza dai genitori; si può quindi supporre che queste idee fossero associate al desiderio di porre fine a questa situazione al più presto. E probabile che, mentre si chiedeva come soddisfare il piccolo desiderio, le sia venuto spontaneo pensare che il mezzo più semplice sarebbe stato trovare il denaro per terra. È così che il suo inconscio (o preconscio) si orientò nella «ricerca» anche se ella credeva di essere totalmente assorbita dalle sue riflessioni («sprofondata» nei pensieri); infatti una tale possibilità non si affacciò neppure alla sua coscienza. Proprio esaminando altri casi analoghi possiamo affermare che la «tendenza inconscia a cercare» dà frutti migliori dell'attenzione rivolta consciamente. Altrimenti sarebbe inspiegabile perché, fra centinaia di persone che passavano di lì, sia stata proprio lei a trovare il denaro, avendo a suo svantaggio anche la scarsa illuminazione e la folla pressante. Per dimostrare tutta la forza della tendenza inconscia o preconscia basta citare un particolare strano: dopo il primo ritrovamento la ragazza ne fece un secondo, e, precisamente, in un angolo buio e nascosto di una strada trovò un fazzoletto. Aver trovato il biglietto da due corone le aveva procurato la soddisfazione cercata; certamente il desiderio di trovare altre cose, ora, era divenuto completamente estraneo alla sua coscienza e non poteva più in alcun caso guidare la sua attenzione.

Bisogna dire che sono proprio gli atti sintomatici di questo genere a darci la possibilità di conoscere la vita psichica intima dell'uomo.

Tra il gran numero di atti sintomatici isolati che conosco, ne scelgo uno il cui significato profondo appare chiaro senza bisogno di analisi, e che c'illumina sulle condizioni in cui questi atti si verificano; inoltre, esso può servire ad un'osservazione di grande importanza pratica. Nel corso di un viaggio fui costretto a trattenermi per vari giorni in una certa località per aspettare ilmio compagno di viaggio. Nel frattempo feci la conoscenza di un giovane che pareva sentirsi ugualmente solo e che si unì volentieri a me. Abitando nello stesso albergo fu naturale che pranzassimo e facessimo lunghe passeggiate insieme. Il pomeriggio del terzo giorno, mi annunciò che quella sera sua moglie sarebbe arrivata con il treno. A questa dichiarazione il mio interesse psicologico si risvegliò in quanto già la mattina ero stato colpito dal suo rifiuto alla mia proposta di fare una lunga escursione, e più tardi, durante una breve passeggiata, dal fatto che non volesse passare per una certa strada poiché era ripida e disagevole. Nel corso della solita camminata pomeridiana mi disse piuttosto bruscamente di cenare pure senza di lui, se avevo fame, perché egli non avrebbe mangiato prima dell'arrivo della moglie. Compresi l'allusione e cenai mentre egli si recava alla stazione. Il mattino seguente ci incontrammo nell'atrio dell'albergo ed egli, dopo che mi ebbe presentata la moglie, mi invitò a pranzare con loro. Dovendo fare delle compere nella strada vicina assicurai che sarei tornato il più presto possibile. Entrando nella sala da pranzo, li vidi già seduti entrambi sullo stesso lato a un piccolo tavolo vicino alla finestra. Di fronte a loro c'era una seggiola occupata dall'impermeabile del marito. Capii molto bene il significato di questa collocazione, che non era intenzionale, ma proprio per questo più significativa. Voleva dire: «Qui non c'è posto per te, sei di troppo». Il marito non notò che ero rimasto in piedi vicino al tavolo senza sedermi, ma se ne accorse la moglie che, toccandolo leggermente, gli disse: «Hai occupato il posto del signore». In questo caso ed in altri analoghi mi sono detto che gli atti non intenzionali sicuramente fanno sorgere molti malintesi nei rapporti umani. Colui che ha compiuto un atto simile, senza alcuna intenzione, non se lo attribuisce e non se ne sente colpevole; mentre chi, per così dire, è vittima di tale azione, vi riconosce intenzioni e tendenze, dai quali il primo si difende, perché il processo psichico dell'atto non gli è chiaro come per l'estraneo. Così finisce per sentirsi incompreso o frainteso dall'altro. In fin dei conti alla base di questi malintesi c'è il fatto che essi vengono compresi e fin troppo bene. Più i soggetti sono nevrotici e più occasioni avranno di cadere in questi dissidi, occasioni in cui ognuno di loro riverserà la colpa sull'altro. Questa è la punizione per la nostra mancanza di sincerità interiore: sotto la maschera della dimenticanza, della disattenzione, della mancanza di intezione, gli uomini esprimono i loro sentimenti e le loro passioni che farebbero meglio a confessare a se stessi se non sono capaci di dominarli. Effettivamente si può affermare, in linea generale, che ognuno fa continuamente l'analisi del suo prossimo, e finisce per conoscere gli altri meglio di se stesso. Per conformarsi alla regola del «conosci te stesso», bisogna studiare i propri atti e le proprie omissioni apparentemente accidentali.

Di tutti i poeti che si sono espressi sui piccoli atti sintomatici o mancati, o se ne sono serviti, nessuno ha capito così bene la loro natura occulta e l'ha così crudemente resa come fece Strindberg, in questo aiutato dal proprio stato psichico profondamente patologico.

Il dottor Karl Weiss (di Vienna) ha segnalato il seguente brano, tratto da una sua opera («Internat. Zeitschr. f. Psychoanalyse» I, 1913, p. 268).

Dopo un attimo, il conte effettivamente arrivò e si avvicinò con calma ad Esther, come se le avesse dato appuntamento.

«Aspetti da molto?», chiese con voce sommessa «Da sei mesi, lo sai», rispose Esther. «Ma mi hai vista oggi?»

«Sì, poco fa, in tram; e ti guardavo negli occhi così intensamente che mi sembrava di parlarti.»

«Molte cose sono successe dall'ultima volta.»

«Sì, e credevo che tutto fosse finito fra noi.»

«Come mai?»

«Tutti i piccoli oggetti che mi avevi regalati si sono inspiegabilmente rotti. Ma è una vecchia osservazione, questa.»

«Che dici mai?»

«Mi tornano in mente ora una gran quantità di fatti che avevo pensato fossero dovuti al caso. All'epoca in cui eravamo ancora amici mia nonna mi regalò un pince-nez. Le lenti erano in cristallo di rocca e mi erano molto utili per le autopsie; erano una vera meraviglia che custodivo gelosamente. Un giorno ruppi tutti i rapporti con la vecchia ed ella cominciò ad odiarmi. Alla prima autopsia dopo quel litigio, senza un motivo, le lenti caddero dalla montatura. Ho creduto che si trattasse di un incidente normale e le ho fatte riparare. Ma il pince-nez ha continuato a essere inutilizzabile. Perciò l'ho messo in un cassetto e non so che fine abbia fatto».

«Strano! Gli oggetti che hanno a che fare con gli occhi sono i più sensibili. Un amico mi aveva regalato un binocolo; era talmente adatto ai miei occhi che era un vero piacere servirmene. Un giorno la nostra amicizia si è trasformata in antipatia. Sai come succede; senza un motivo apparente, tutto ad un tratto si ha l'impressione che non c'è ragione di restare uniti. Dopo questa rottura la prima volta che volli usare il binocolo non sono più riuscito a vederci chiaro. Le lenti sembravano troppo ravvicinate e vedevo le immagini sdoppiate. Inutile dirti che le lenti non si erano improvvisamente ravvicinate né la distanza fra i miei occhi era aumentata. Era uno di quei miracoli che avvengono ogni giorno e che sfuggono ad un cattivo osservatore. La spiegazione? La forza psichica dell'odio è maggiore di quanto crediamo. A proposito, l'anello che mi hai regalato ha perduto la pietra e non è possibile ripararlo, non è proprio possibile. Vuoi separarti da me ora?...» .

Anche nel campo delle azioni sintomatiche l'osservazione psiocoanalitica deve riconoscere la priorità ai poeti. La psicoanalisi può solo confermare ciò che essi hanno osservato da tempo. Il signor W. Stross ha segnalato alla mia attenzione un passo del celebre romanzo di Lawrence Sterne, Tristram Shandy (Sesta parte).

E non mi meraviglia che Gregorio di Nazianzo, osservando il gestire brusco e sconveniente di Giuliano, potesse predire che questi un giorno sarebbe stato un apostata; o che sant'Ambrogio scacciasse via il suo amanuense a causa di un moto scorretto del capo che si moveva avanti e indietro come un correggiato; o che Democrito arguisse che Protagora fosse uno studioso osservando come, nel legare una fascina, vi cacciasse nell'interno i ramoscelli più piccoli. Vi sono mille inosservati spiragli, - continuò mio padre, - attraverso i quali un occhio penetrante sa vedere dritto nell'animo di un uomo; e io sostengo, -aggiunse, - che un uomo intelligente non possa posare il cappello entrando in una stanza o riprenderlo uscendone, senza che trapeli qualcosa che rivela la sua personalità .8 [La traduzione citata, di Salvana Morra, è tratta dal volume Tristram Shandy, Novara, 1968. Sterne si spinge ben più in là nell'esame degli esiti somatici e delle piccole abitudini quotidiane in rapporto alla personalità e così prosegue: «"Appunto per queste ragioni" - continuò mio padre, - "Il precettore di mia scelta non dovrà né parlare bleso, né essere strabico, né sbattere le palpebre, né parlare ad alta voce, né avere lo sguardo duro o sciocco; né mordersi le labbra, né digrignare i denti, né parlare col naso, né ficcarsi dentro le dita, né soffiarselo con esse.

"Non dovrà camminare né troppo in fretta né troppo adagio; non dovrà incrociare le braccia, perché questo è segno di pigrizia, né tenerle ciondoloni, perché questo è segno di follia, né nasconderle nelle tasche, perché è segno di scemenza.

"Non dovrà né picchiare, né dar pizzicotti, né fare il solletico; né mangiarsi né tagliarsi le unghie, né raschiarsi la gola, né sputare, né tirar su col naso, né tamburellare con i piedi o con le dita quand'è in compagnia; né (come dice Erasmo) parlare ad altri Mentre fa acqua, né additare carogne o escrementi".»]