7. Dimenticanza di impressioni e di propositi |
A chi tendesse a sopravvalutare lo stato attuale delle nostre conoscenze della vita psichica basterebbe ricordare la funzione della memoria per costringerlo alla modestia. Nessuna teoria psicologica è stata ancora in grado di fornire una spiegazione generale del fenomeno fondamentale della memoria e della dimenticanza; e perfino l'analisi completa dei dati dell'osservazione è appena iniziata. Forse per noi la dimenticanza è diventata più enigmatica della memoria, dopo che lo studio del sogno e degli eventi patologici ci ha insegnato che anche le cose che noi credevamo di aver dimenticato da molto tempo possono improvvisamente riemergere nella nostra coscienza. Siamo tuttavia in possesso di alcune certezze, poco numerose è vero, ma che speriamo non tarderanno ad essere universalmente riconosciute. Consideriamo che la dimenticanza è un fenomeno spontaneo, al cui svolgimento possiamo attribuire una certa durata. Rileviamo che nel dimenticare si verifica una certa selezione tra le diverse esperienze che si presentano, così come tra i particolari di ciascuna singola impressione e di ciascuna esperienza vissuta. Conosciamo alcune delle condizioni necessarie perché si conservi nella memoria e possa essere rievocato quello che senza tali condizioni sarebbe dimenticato. Ma in innumerevoli occasioni della vita di tutti i giorni, possiamo constatare a qual punto le nostre conoscenze siano incompiute ed insoddisfacenti. Basterà anche soltanto ascoltare due persone che hanno ricevuto la stessa impressione esterna (che, per esempio, hanno fatto un viaggio insieme) mentre si scambiano i loro ricordi, dopo un certo tempo. Quello che si è conservato nella memoria dell'una è spesso dimenticato dall'altra come se non fosse mai accaduto, e senza che si possa dire che quell'impressione abbia avuto più importanza per l'una o per l'altra. E’ evidente che sfuggono alla nostra conoscenza molti dei fattori che regolano la scelta dei fatti da ricordare. Spinto dal desiderio di portare un piccolo contributo alla conoscenza delle condizioni della dimenticanza, ho preso l'abitudine di analizzare i casi osservati su me stesso. Generalmente mi occupo di un certo gruppo di casi, quelli cioè la cui dimenticanza mi sorprende perché mi sembra che il fatto non sia tale da essere dimenticato. Devo aggiungere che non ho la tendenza a dimenticare facilmente, soprattutto per quanto riguarda ciò che ho sperimentato personalmente; e che in un breve periodo della giovinezza la mia memoria ha funzionato in modo eccezionale. Ai tempi delle elementari riuscivo con estrema facilità a ripetere a memoria una pagina intera appena letta, e poco prima di iniziare l'università ero ancora capace di ripetere, quasi parola per parola, una conferenza su problemi scientifici appena ascoltata. Nello stato di tensione per la preparazione degli ultimi esami di medicina, ho fatto ricorso a quello che mi restava di questa capacità; su certi argomenti infatti ho risposto agli esaminatori in modo quasi automatico secondo il testo del manuale che avevo scorso una volta soltanto e in gran fretta. In seguito la mia memoria ha continuato ad indebolirsi. Ma ho potuto rassicurarmi, e ne sono ancora convinto, che ricorrendo ad un piccolo stratagemma posso ricordare molte più cose di quanto pensassi. Quando un paziente viene nel mio studio e mi dice che l'ho già visitato, se non mi ricordo né del fatto né della data, cerco di cavarmela pensando ad un certo numero di anni a partire da quello in corso. E tutte le volte che appunti scritti o le indicazioni del paziente hanno permesso di controllare la data che avevo cercato di ricordare, ho verificato che solo raramente mi ero sbagliato di più di sei mesi, su un periodo di oltre dieci anni1 (In genere la conversazione fa riemergere nella mia coscienza i particolari di quella prima visita.) La stessa cosa mi accade quando incontro qualcuno che conosco solo alla lontana ed al quale per gentilezza chiedo notizie dei suoi bambini. Se lui si mette a parlare dei loro progressi, cerco di ricostruire l'età del ragazzo e la confronto con le notizie date dal padre; vedo che mi sbaglio al massimo di un mese, o, per ragazzi grandi, di tre mesi, quantunque non saprei dire di quali punti di riferimento mi sia servito per la mia valutazione. Sono diventato così sicuro di me che faccio il calcolo sempre più spontaneamente, senza temere di urtare il padre per la mia ignoranza sui suoi figli. In questo modo l'ambito della memoria cosciente si estende con l'aiuto della memoria inconscia, che è molto ricca. Riferirò ora alcuni esempi di sorprendenti dimenticanze osservate su me stesso. Distinguo tra dimenticanza di impressioni e di fatti vissuti (di cose cioè che uno sa o sapeva) e dimenticanza di propositi (cioè di cose che ha tralasciato di fare). Già da ora posso indicare il risultato uniforme ottenuto da una serie di osservazioni: ho constatato che in tutti i casi la dimenticanza era dovuta ad una sensazione spiacevole. 1. Dimenticanza di impressioni e di cognizioni1. Un'estate mia moglie mi fece irritare molto. Il pretesto in se stesso era futile e cioè: seduto alla table d'hóte, proprio di fronte a noi, in albergo, c'era un signore viennese che conoscevo e che di certo si ricordava di me. Da parte mia avevo buone ragioni per non rinnovare tale conoscenza. Mia moglie, che aveva sentito solo il nome altisonante del suo dirimpettaio, si interessava molto alla conversazione di questi con il suo vicino e mi poneva continue domande sul contenuto di tale conversazione. Mi spazientii e finii con l'irritarmi. Qualche settimana più tardi mi lagnai con un parente dell'accaduto. Ma mi fu impossibile ricordare anche una sola parola del discorso di quel tale. Generalmente sono piuttosto vendicativo e non dimentico facilmente un solo particolare di ciò che mi ha infastidito; sono quindi obbligato ad ammettere che in questo caso fu un riguardo per mia moglie a provocare l'amnesia. Un incidente analogo mi è accaduto di recente. Volevo burlarmi, con una persona, di un'espressione usata da mia moglie qualche ora prima, ma mi fu impossibile perché, fatto strano, avevo completamente dimenticata quell'espressione. Fui costretto a pregare mia moglie di ricordarmela. È facile capire che questa dimenticanza va intesa in modo analogo al tipico turbamento della nostra capacità di giudizio quando dobbiamo giudicare una persona cara. 2. Fui incaricato di procurare ad una signora, da poco giunta a Vienna, una cassetta di sicurezza per conservare i suoi documenti e il suo danaro. Quando accettai questo incarico, avevo negli occhi, in modo straordinariamente nitido, la visione di una vetrina del centro dove avevo visto cassette di quel genere. E’ vero che non riuscivo a ricordare il nome della strada, ma ero certo di ritrovare il negozio facendo un giro per la città; infatti ero convinto di essere passato molte volte davanti a quel negozio. Con gran disappunto, mi fu impossibile ritrovare la vetrina con le cassette di sicurezza, malgrado le molte ricerche fatte ovunque. Pensai che l'unica possibilità era di consultare una guida e di trovarvi i nomi dei venditori delle cassette di sicurezza e fare poi un nuovo giro per individuare la vetrina cercata. Ma questa complicazione non fu necessaria perché fra i nomi dell'elenco individuai subito quello che avevo dimenticato. Ero effettivamente passato un'infinità di volte davanti a quel negozio, e cioè ogni volta che ero stato a trovare la famiglia M. che abita nello stesso stabile. Dopo una completa rottura con questa famiglia presi, senza rendermene conto, l'abitudine di evitare sia il quartiere che la casa. Nel corso del mio giro per la città, cercando la vetrina, percorsi tutte le strade adiacenti. tranne quella giusta, come se mi fosse proibito percorrerla. E’ chiaro il deprecabile sentimento che aveva provocato il mio disorientamento. Ma in questo caso il meccanismo della dimenticanza non è più complesso che in quello precedente. La mia avversione che, naturalmente, non era diretta verso il fabbricante di casseforti, ma contro qualcun altro del quale non volevo saper più nulla, si spostò da questi a quello per cogliere l'occasione attuale e provocare la dimenticanza. E’ così che nel caso Burckhard il rancore diretto contro una persona aveva provocato la deformazione del nome di un'altra. Qui la somiglianza dei nomi ha stabilito un rapporto tra due idee completamente differenti e, in questo caso, tale rapporto era rappresentato dalla contiguità nello spazio e stavolta, per di più, il legame era ancora più stretto, perché la ragione della rottura con la famiglia che abitava in questa casa era una questione di danaro. 3. L'ufficio B. & R. mi pregò di fare una visita medica ad un suo impiegato. Durante il tragitto dall'ufficio alla casa dell'impiegato, sotto l'impressione di essere già stato più volte nella sede della ditta B. & R., avevo il vago ricordo di avere già visto l'insegna al piano sottostante della casa ove curavo un paziente, ma non riuscivo a ricordare né la casa né il malato. Benché fosse una faccenda insignificante, ne ero turbato; ricorrendo al mio metodo abituale, quello cioè di seguire spontaneamente le associazioni di idee, ricordai che al piano superiore degli uffici della ditta B. & R. si trovava la pensione Fischer, dove spesso ero stato chiamato a svolgere la mia opera. Ora ricordavo il palazzo ove si trovava sia la ditta sia la pensione. Ma rimaneva ancora da capire il motivo della mia dimenticanza. Nel ricordo non trovavo nulla di spiacevole che potesse riferirsi all'ufficio, alla pensione, o ai malati che vi avevo visitato. Credo comunque che non debba trattarsi di qualcosa di molto penoso, perché, se così fosse, non sarei riuscito a superare la dimenticanza con il mio solo metodo e senza un aiuto esterno. Mi ricordai finalmente che poco prima, mentre mi recavo dal nuovo paziente, ero stato salutato per la strada da un signore che avevo riconosciuto a stento. Avevo visto quest'uomo qualche mese prima in uno stato apparentemente grave e avevo diagnosticato una paralisi progressiva, ma seppi più tardi che il suo stato era notevolmente migliorato; ciò stava a dimostrare che la mia diagnosi era inesatta, a meno che non si trattasse di una di quelle regressioni che si verificano nella demenza paralitica, nel qual caso la mia diagnosi sarebbe rimasta valida. Fu questo incontro a provocare sia la dimenticanza del nome dei vicini di B. & R., sia ad interessarmi alla soluzione di questa amnesia. Ma l'associazione di idee mi fu data dalla somiglianza dei nomi, pur essendoci un altro legame fra i due casi. Anche l'uomo guarito contro le mie previsioni era impiegato in una grande società che di tanto in tanto mi dava in cura gli impiegati malati. Il medico che mi aveva chiamato per il controllo sul presunto paralitico si chiamava Fischer, cioè lo stesso nome (dimenticato) della pensione che si trovava nel palazzo della ditta B. & R. 4. Smarrire un oggetto, significa aver dimenticato dove lo si è messo. Come la maggior parte di quelli che hanno a che fare con libri e manoscritti, so orientarmi perfettamente nel mio studio e ritrovarli di primo acchito senza difficoltà. Ciò che può sembrare disordine agli occhi degli altri, per me con l'abitudine è diventato ordine. Ma come spiegare che tutt'ora è irreperibile un catalogo di libri che ho ricevuto poco tempo fa? Avevo anche intenzione di richiedere uno dei libri in esso elencato, intitolato: Sul linguaggio, perché apprezzo il suo autore per lo stile spiritoso e vivo, per le sue cognizioni psicologiche, e per la sua conoscenza della storia della civiltà. Penso che proprio per questo motivo non riesco a ritrovare il catalogo. Infatti ho l'abitudine di prestare ad amici e conoscenti i libri di questo autore, ed è proprio da pochi giorni che una persona, restituendomi uno di questi volumi, mi ha detto: «Lo stile e le idee sono somigliantissimi al suo stile e alle sue idee...». Dicendo queste frasi costui non sapeva di toccare un punto debole. Diversi anni fa, ero molto giovane ed avevo bisogno di aiuto, uno dei miei colleghi più anziani, al quale avevo fatto le lodi di un autore di medicina molto conosciuto, mi rispose più o meno con le stesse parole: «Ha proprio il suo stile ed il suo modo». Incoraggiatoda questa affermazione, scrissi all'autore in questione che sarei stato felicissimo di farne una conoscenza più stretta, ma la risposta che ricevetti fu piuttosto fredda. Probabilmente dietro questo ricordo se ne nascondono altri altrettanto scoraggianti, perciò non sono riuscito a ritrovare il catalogo e questa impossibilità ha preso ai miei occhi il valore di presagio, facendomi decidere, quindi, a non fare l'ordinazione, anche se il catalogo non era certo un ostacolo, in quanto ricordavo benissimo sia il titolo del libro sia l'autore2 (Darei la stessa spiegazione per un gran numero di fatti accidentali che Theodor Vischer ha ascritto alla «malignità degli oggetti».). 5. Un altro caso del genere merita la nostra attenzione per le condizioni nelle quali fu ritrovato l'oggetto. Un uomo ancora giovane mi racconta: «Qualche anno fa ebbi dei malintesi con mia moglie. La trovavo troppo fredda, e vivevamo l'uno accanto all'altra senza alcuna tenerezza, anche se riconoscevo in lei ottime qualità. Un giorno, ritornando da una passeggiata, ella mi portò un libro che aveva comprato perché pensava mi interessasse. La ringraziai per la sua "attenzione", le promisi che lo avrei letto e lo misi da parte. Ma dimenticai completamente dove lo avevo messo. Passarono dei mesi ed io di tanto in tanto mi ricordavo del libro sparito e tentavo inutilmente di ritrovarlo. Circa sei mesi più tardi mia madre, alla quale ero estremamente affezionato, si ammalò e mia moglie, per curarla, andò a vivere a casa sua. Lo stato della malata si aggravò e questa fu per mia moglie l'occasione per dimostrare le sue migliori qualità. Un giorno, rientrando a casa, incantato e pieno di riconoscenza per lei, mi diressi con sicurezza verso lo studio; senza un'intenzione precisa aprii un cassetto e mi trovai davanti agli occhi per prima cosa il libro tanto cercato». 6. J. Stärcke [Op. cit., p. 47] racconta un altro caso simile a questo per l'assoluta sicurezza con la quale l'oggetto è stato ritrovato, appena cessato il motivo che aveva provocato la dimenticanza. Una ragazza aveva rovinato con le forbici un pezzo di stoffa con il quale voleva fare un colletto. Dovette chiamare una sarta per tentare di riparare il danno. Quando la sarta fu arrivata la ragazza aprì il cassetto nel quale credeva di aver messo la stoffa, ma non riuscì a ritrovarla; mise tutto sossopra inutilmente. In collera contro se stessa, si domandò come poteva essere sparita così improvvisamente, e se per caso non riuscisse a trovarla perché non «voleva»; infatti, quando si fu calmata, finì per rendersi conto che si vergognava di far vedere alla sarta come era stata capace di rovinare una cosa così semplice come un colletto. Avendo trovato questa spiegazione, si calmò, si avvicinò ad un altro armadio e senza esitazione ne trasse fuori il famoso collo tagliato male. 7. Il seguente esempio fa parte di una categoria che oggigiorno è conosciuta da ogni psicanalista. Prima di esporre il caso, tengo a dire che il soggetto ha trovato da solo la spiegazione. Un paziente dovette interrompere il trattamento psicoanalitico, in un momento in cui aveva una fase di resistenza ed un cattivo stato generale. Una sera, spogliandosi, posò le chiavi al solito posto, o almeno così credeva. All'improvviso ricordò che il giorno seguente doveva andare all'ultima seduta, perciò avrebbe voluto preparare alcune cose e il denaro per pagare l'onorario del medico, ma aveva bisogno delle chiavi per aprire un cassetto della scrivania in cui teneva il denaro; fu allora che si accorse che le chiavi erano sparite. Cominciò a cercare, e, sempre più nervoso, fece il giro sistematico di tutto il suo piccolo appartamento senza ottenere alcun risultato. Avendo intuito che l'impossibilità a trovare le chiavi era un atto sintomatico, e quindi intenzionale, svegliò il domestico, con la speranza che una persona imparziale e disinteressata alla cosa avrebbe avuto più successo di lui nella ricerca. Dopo circa un'altra ora egli perse ogni speranza e finì col pensare che le aveva perse. Il mattino seguente, preoccupato, ordinò nuove chiavi, che gli vennero consegnate d'urgenza. Due conoscenti che lo avevano accompagnato in carrozza fino a casa affermarono di aver sentito cadere a terra qualcosa, nel momento in cui egli scendeva dalla carrozza, il che lo convinse di averle definitivamente perdute. La sera il domestico gliele mostrò trionfante: le aveva trovate tra un grosso libro e un opuscolo redatto da un mio allievo, che egli intendeva portare con sé per leggerlo durante le vacanze. Erano così ben nascoste che nessuno poteva supporre che fossero lì, tanto che gli fu impossibile, poi, rimetterle in modo tale che rimanessero nascoste. L'abilità inconscia con la quale motivi reconditi, ma importanti, ci fanno perdere degli oggetti, è paragonabile soltanto alla «sicurezza sonnambolica». In questo caso, ha agito la contrarietà che quest'uomo provava nell'interrompere la cura e nel dover pagare un onorario elevato, pur essendo ancora in cattivo stato di salute. 8. Per accontentare sua moglie, racconta A. A. Brill3 ([A. A. Brill, Psychoanalisis: its Theories and Practical Application, Philadelphia, 1912.), un uomo accetta di recarsi ad una riunione mondana che gli è del tutto indifferente. Perciò per prima cosa comincia a prendere dall'armadio l'abito da cerimonia, ma poi cambia idea e decide di farsi prima la barba. Dopo aver finito di radersi, torna verso l'armadio, lo trova chiuso e comincia a cercare la chiave. Le sue ricerche sono vane, non può neanche chiamare un fabbro perché è domenica, quindi marito e moglie sono costretti a rimanere in casa e ad inviare una lettera di scuse. La mattina seguente un fabbro apre l'armadio: la chiave è appunto lì dentro. Distrattamente, il marito l'ha fatta cadere all'interno e poi ha richiuso l'armadio (che ha una serratura automatica). Egli afferma di averlo fatto senza rendersene conto e senza alcuna intenzione, ma noi sappiamo che non aveva alcuna voglia di andare al ricevimento; perciò aveva una buona ragione per perdere la chiave. Ernst Jones 4 [E. Jones, The Psychopathology of Everyday Life, «Amer. J. Psycol.», XXII, p. 506, New York, 1911] osservò su se stesso che quando aveva fumato troppo, al punto di sentirsi male, perdeva sempre la pipa. La ritrovava poi nei posti più impensati dove non aveva assolutamente l'abitudine di lasciarla. 9. La signora Rosa Miiller racconta questo caso innocuo e la cui motivazione è stata individuata dalla persona interessata. («Internal. Zeitschr. f. Psychoanal.»II, 1915). La signorina Erna A. raccontò, due giorni prima di Natale: Ieri sera ho aperto un pacchetto di panforte; mentre ne mangiavo un po' mi sono ricordata che sarebbe venuta da me la signorina F. (dama di compagnia di mia madre) per darmi la buona notte e che quindi avrei dovuto offrirgliene un pezzo; ciò non mi andava affatto, ma mi decisi a farlo ugualmente. Quando la signorina entrò, allungai un braccio per prendere il pacchetto sul tavolo ove credevo di averlo poggiato, ma mi accorsi che non c'era. Lo cercai e finii col trovarlo nel mio armadio, dove lo avevo riposto senza rendermene conto. L'analisi di questo caso è superflua, dato che la signorina Erna A. ha compreso da sola il significato di tale atto. Il desiderio represso di tenere solo per sé il dolce si è manifestato con un atto automatico, ma ha subito una nuova repressione dall'atto cosciente compiuto subito dopo. 10. H. Sachs ci racconta come egli un giorno si sia sottratto all'obbligo di lavorare, grazie ad un atto del genere. «Domenica scorsa, all'inizio della giornata, mi domandai se andare subito a lavorare o se fare prima una passeggiata e la visita che avevo stabilito. Dopo qualche esitazione, decisi di sbrigare prima il lavoro. Circa un'ora dopo, mi accorsi che la scorta di carta era finita. Sapevo bene di avere in qualche cassetto della carta comprata tempo addietro. La cercai invano nel mio studio e in tutti gli altri posti dove potevo averla riposta, tra i libri, gli opuscoli, le lettere, ecc. Mi vidi costretto dunque a smettere di lavorare ed uscii. La sera, rientrato a casa, mi sedetti sul divano e guardai soprappensiero la biblioteca di fronte a me. Ad un tratto mi accorsi di un cassetto il cui contenuto, me ne resi conto d'improvviso, non verificavo da anni: mi alzai e lo aprii. La prima cosa che vidi fu una cartella di cuoio che conteneva della carta bianca. Ma fu solo dopo aver preso la carta e averla messa in un cassetto della scrivania che mi resi conto che era proprio quella che avevo tanto cercata. Devo aggiungere che, pur non essendo molto economo, conservo qualsiasi pezzo di carta utilizzabile. È senza dubbio per questa abitudine che ho superato la dimenticanza appena ne è venuto a mancare il motivo.» Esaminando attentamente i casi di impossibilità a ritrovare oggetti smarriti, si è costretti ad ammettere che non può esservi altra causa che un'intenzione inconscia. 11. Nell'estate del 1901 dichiarai ad un amico, con il quale avevo avuto molte accese discussioni su questioni scientifiche: «... i problemi delle nevrosi non possono essere risolti se non si ammette senza riserve l'ipotesi della bisessualità originaria nell'individuo». Il mio amico rispose: «Te l'avevo già detto a Br. [Breslavia], più di due anni fa, nel corso di una passeggiata serale. Ma allora non volevi sentirne parlare». È doloroso vedersi privare così di ciò che si crede una propria idea originale. Non riuscii a ricordare tale conversazione né l'opinione espressa dal mio amico. Evidentemente uno dei due si era sbagliato; e secondo il principio cui prodest?, quello dovevo essere io. In effetti, la settimana successiva, ricordai che le cose erano andate proprio come diceva il mio amico; e ricordai anche la mia risposta d'allora: «A questo punto non ci sono ancora e non voglio discutere di ciò». Ma da allora sono diventato più tollerante quando nella letteratura medica trovo idee che possono ricollegarsi al mio nome e non lo vedo citato. Rimproveri alla moglie, amicizie che si trasformano in inimicizie, errori di diagnosi, ripulse da parte di concorrenti, appropriazione di idee altrui: non è per caso che in un gruppo di esempi di dimenticanze, messi insieme a caso, si è costretti a risalire, se si vuole risolverli, a temi tanto penosi. Penso che tutti colori che vorranno cercare i motivi di questa o quell'altra dimenticanza saranno costretti ad arrivare a spiegazioni dello stesso genere, cioè tutte ugualmente deprecabili. La tendenza a dimenticare ciò che è penoso o riprovevole mi sembra generale, anche se la facoltà di dimenticare è più o meno sviluppata secondo gli individui. Nella pratica medica ci imbattiamo in più di un caso in cui i sintomi sono negati e probabilmente non sono altro che dimenticanze5 [Nota aggiunta nel 1907.] (Quando si domanda a qualcuno se ha avuto la sifilide, dieci o quindici anni prima, si dimentica facilmente che da un punto di vista psichico la sifilide si cura ben diversamente da una crisi di reumatismo acuto. Fra le notizie fornite dai genitori sui loro figli nevrotici, è difficile distinguere ciò che fa veramente parte delle dimenticanze e ciò che è volutamente omesso, perché dai genitori viene eliminato e rimosso tutto ciò che può nuocere ad un eventuale futuro matrimonio delle figlie. Un uomo che, per una malattia ai polmoni, perse la moglie che amava molto, mi raccontò il seguente caso di risposta erronea fornita al medico, che può spiegarsi soltanto con il seguente meccanismo: «Poiché la pleurite di mia moglie dopo diverse settimane non tendeva a migliorare, chiamai per un consulto il dottor P. Nella ricerca dei precedenti, egli fece le solite domande, e fra queste se nella famiglia di mia moglie vi erano già stati casi di affezioni polmonari. Mia moglie negò ed anch'io non ricordavo casi simili. Mentre ci congedavamo dal dottore la conversazione cadde per caso su certe escursioni ed a questo proposito mia moglie disse: "Certo un viaggio fino a Langersdorf, dove è sepolto il mio povero fratello, è un po' troppo lungo". Il fratello era morto a quindici anni in seguito a più lesioni tubercolari. Mia moglie lo amava molto e me ne parlava spesso. Mi ricordai allora che quando fu diagnosticata la pleurite, ella era molto preoccupata e ripeteva tristemente: "Anche il mio povero fratello è morto per una malattia polmonare". Ora il ricordo della malattia del fratello era così totalmente rifiutato che neppure il discorso del viaggio a L., le fornì l'occasione per correggere quanto aveva negato sulle precedenti malattie di famiglia. Io invece me ne ricordai appena fu fatto accenno a L.» [Nota aggiunta nel 1912.) Nel lavoro già menzionato più volte, E. Jones racconta un episodio analogo: un medico, per consolare sua moglie, che soffriva di un'affezione al basso ventre di natura non chiara, diceva: «Fortunatamente nella tua famiglia non ci sono mai stati casi di tubercolosi». La donna gli rispose sorpresa: «Hai dimenticato che mia madre è morta di tubercolosi e che mia sorella si è salvata da una tubercolosi dopo che i medici l'avevano data per spacciata?»). Il nostro modo di concepire tali dimenticanze ci permette di ridurre la differenza fra i due tipi di comportamento a condizioni puramente psicologiche e di vedere nei due modi di reazione l'espressione di un solo ed identico motivo. Fra i numerosi esempi di rifiuto dei ricordi sgradevoli che ho avuto l'occasione di osservare nei parenti dei miei malati, uno mi è rimasto particolarmente impresso. Una madre mi raccontava particolari dell'infanzia di un suo figlio malato di nervi, ora adolescente; egli, come i suoi fratelli, aveva sofferto, fino ad una età avanzata, di incontinenza notturna, il che non è irrilevante come antecedente di una malattia nervosa. Qualche settimana più tardi, quando ella venne per informarsi sull'andamento della cura, approfittai per richiamare la sua attenzione sul sintomo di predisposizione patologica esistente nel ragazzo e parlai proprio dell'incontinenza notturna. Con mia grande meraviglia, ella negò il fatto, sia per quanto riguardava il mio paziente sia per gli altri figli. Mi domandò come facevo a saperlo, ed io le ricordai ciò che ella stessa precedentemente mi aveva detto e che ora aveva del tutto dimenticato 6 (Mentre scrivevo queste pagine, mi è capitato un caso di dimenticanza quasi incredibile: il primo gennaio, consultando il mio libro dei conti per spedire le note dei miei onorari, mi sono imbattuto nel nome M.., scritto sulle pagine del mese di giugno e non sono riuscito a ricordare a chi corrispondesse tale nome. La meraviglia aumentò quando, continuando a sfogliare, vidi che si trattava di un malato che avevo curato in un sanatorio per più settimane consecutive. Un medico non dimentica in capo a sei mesi un malato seguito in condizioni così particolari. Quest'uomo, un paralitico, era forse un caso senza interesse? Questa fu la domanda che mi posi. Infine, leggendo le note circa ciò che avevo già ricevuto, trovai i dettagli che volevano sfuggire al mio ricordo. M. ... era una ragazzina di quattordici anni e rappresentava il caso più significativo tra quelli di cui mi ero interessato nel corso dell'anno e ha lasciato in me una profonda impressione. Non lo dimenticherò mai più perché l'esito della sua malattia mi ha causato molte ore penose. La bambina era indubbiamente affetta da isteria ed ottenne con il mio trattamento un miglioramento rapido e considerevole. Dopo questo miglioramento i genitori mi tolsero la bambina; ella si lamentava sempre di dolori addominali, che avevano una parte predominante nella tabella sintomatica della sua isteria. Due mesi dopo morì di sarcoma alle ghiandole addominali. L'isteria, alla quale la ragazza era indubbiamente predisposta, era provocato dall'insorgere del tumore ghiandolare; tutto preso dai fenomeni tumultuosi, ma innocui, dell'isteria, non mi ero accorto della malattia insidiosa ed incurabile che doveva ucciderla.) Anche nelle persone normali, cioè nei soggetti non nevrotici, si può dunque constatare una resistenza che si oppone a ricordi ed impressioni sgradevoli e alla rappresentazione di idee penose7 (A. Pick ha recentemente citato («Zur Psychologie des Vergessens bei Geistes- und Nervenkrankheiten», Archiv für Kriminal-Antropologie und Kriminalistik, edito da Groos) una serie di autori che ammettono l'influenza dei fattori affettivi sulla memoria : riconoscono più o meno che la dimenticanza è una difesa contro ciò che ci riesce "gradito. Ma nessuno ha descritto il fenomeno e le sue ragioni psicologiche in maniera più completa e più pregnante di Nietzsche nei suoi aforismi (Al di là del Bene e del Male, cap. II): «Sono io che ho fatto ciò» dice la mia memoria. «E impossibile che io l'abbia fatto» dice il mio orgoglio e rimane inflessibile. Finalmente la mia memoria cede.) Ma questo fatto non è del tutto senza significato se si esamina la psicologia di una persona nevrotica. Si è allora costretti a riconoscere in questa tendenza elementare un istinto di difesa contro le rappresentazioni suscettibili di sensazioni sgradevoli, istinto che può essere paragonato solo al riflesso della fuga negli stimoli dolorosi, uno dei pilastri del meccanismo alla base dei sintomi isterici. Non ci si opponga, alle nostre supposizioni circa l'esistenza dell'istinto di difesa, il fatto che siamo spesso nell'impossibilità di sbarazzarci dei ricordi ossessivi che ci perseguitano, di cancellare sentimenti penosi come il rimorso, i rimproveri della coscienza, ecc. Non pretendiamo che questo istinto di difesa sia capace di affermarsi in ogni caso, che esso non possa, nel gioco delle forze psichiche, urtare fattori che, per ragioni opposte, cercano di realizzare il contrario e che lo realizzano malgrado questo. Il principio architettonico dell'apparato psichico è la sovrapposizione, la stratificazione di più istanze differenti; è dunque possibile che la difesa faccia parte di una istanza inferiore e sia sopraffatta nella sua azione da istanze superiori. Tuttavia dagli esempi di dimenticanze possiamo comprendere l'esistenza e la forza dell'istinto di difesa. Vediamo che molte cose vengono dimenticate per se stesse; ma se questo è impossibile, l'istinto di difesa mira a far dimenticare un soggetto meno importante, ma che, per una ragione o per l'altra, è collegato per associazione a quel che dà veramente scandalo. Questa concezione delle dimenticanze particolarmente facili e sempre motivate da fatti penosi, dovrebbe essere estesa ad altri campi in cui finora non è stata tenuta in considerazione, o lo è stata molto poco. Ad esempio, secondo me, di tale concezione non si tiene ancora abbastanza conto nella valutazione delle testimonianze giudiziarie8 (8 Cfr. Hans Cross, Kriminalpsychologie, 1908) e alle testimonianze sotto giuramento si attribuisce un'eccessiva importanza rispetto al dinamismo psichico del testimone. Riguardo alle tradizioni e alle leggende di un popolo si ammette generalmente che, per capirle a fondo, bisogna tener conto di questo motivo, cioè del desiderio di far sparire dal ricordo del popolo ogni fatto che possa ferire il suo sentimento nazionale. Forse, in seguito, uno studio più approfondito permetterà di stabilire una perfetta analogia fra il modo in cui si formano le tradizioni popolari, da una parte, ed i ricordi infantili del singolo individuo, dall'altra. Il grande Darwin, il quale ha capito che la dimenticanza spesso non è altro che una reazione contro un sentimento penoso e riprovevole legato a certi ricordi, ha tratto da questa concezione la sua «regola aurea» per gli studi scientifici9 (9 Darwin, Sulle dimenticanze. Nell'autobiografia di Darwin, si trova il seguente passo, che rispecchia sia la sua precisione scientifica sia la sua perspicacia psicologica: «Per molti anni ho seguito una regola aurea: ogni volta che mi capitava di leggere o comunque di venire a conoscenza di un fatto o di un'osservazione o di una nuova idea, contraria ai risultati generali ottenuti da me li annotavo fedelmente ed immediatamente, perché sapevo per esperienza che idee e fatti del genere si scordano più facilmente di quelli che ci sono favorevoli»). Nelle dimenticanze di nomi e d'impressioni si presentano falsi ricordi che, se considerati reali dal soggetto, sono detti «inganni della memoria». Questi inganni, di natura patologica - e nella paranoia sono proprio l'elemento costitutivo per la formazione del delirio - hanno fatto sorgere una letteratura nella quale non trovo alcun accenno alle loro motivazioni. Ma poiché anche questo problema rientra nella psicologia delle nevrosi, non me ne occuperò in questa sede. Citerò, invece, un bizzarro esempio personale di inganno mnemonico, nel quale è facile individuare la motivazione basata sul nesso con materiali inconsci rimossi, e la natura di tale nesso. Mentre scrivevo gli ultimi capitoli della mia Interpretazione dei sogni, trovandomi in villeggiatura, non avevo a disposizione né una biblioteca né libri da consultare, cosicché ero costretto a scrivere a mente citazioni e riferimenti, riservandomi di correggerli successivamente. Nel capitolo sui «sogni ad occhi aperti» mi ricordai della bellissima figura del povero contabile, personaggio de Il Nababbo nel quale Alphonse Daudet ha descritto, con ogni probabilità, le proprie fantasticherie. Credendo di ricordare con precisione un sogno che quest'uomo (il quale, stando ai miei ricordi, si chiamava Jocelyn) faceva durante una passeggiata per le strade di Parigi, iniziai a raccontarlo così come lo ricordavo. In questa fantasia il signor Jocelyn si sarebbe lanciato verso un cavallo imbizzarrito per arrestarlo; la portiera della carrozza si sarebbe aperta e ne sarebbe uscita una persona importante che, stringendogli la mano, gli avrebbe detto: «Siete il mio salvatore, vi debbo la vita. Cosa posso fare per voi?». Pensavo che una volta tornato a casa avrei potuto correggere facilmente, basandomi sul testo, le eventuali inesattezze nel racconto di questo sogno. Al ritorno dalle vacanze sfogliai II Nababbo per controllare il testo con ciò che avevo scritto: fui molto colpito e meravigliato non trovando nulla di simile alla fantasia che avevo attribuito al signor Jocelyn ed inoltre constatai che il povero contabile non si chiamava Jocelyn ma Joyeuse. Questo secondo errore mi fornì la chiave per spiegare il primo. «Joyeux» (maschile di «joyeuse») è la traduzione in francese del mio nome [Freud = gioia]. Ma da dove potevo aver tratto quella fantasia attribuita per errore a Daudet? Sicuramente era un prodotto della mia fantasia, un mio sogno ad occhi aperti di cui non ero cosciente; semmai ne avevo preso coscienza e poi dimenticato. È possibile che l'abbia fatto proprio a Parigi durante le mie interminabili e tristi camminate solitarie, quando avevo molto bisogno di aiuto e protezione. Prima che il maestro Charcot mi introducesse nella sua cerchia, ho avuto più volte l'occasione di incontrarmi con l'autore de Il Nababbo in casa di Charcot. La sola cosa che mi contrariava in questa situazione era la mia posizione di protetto. Gli esempidi 'una simile situazione che si possono riscontrare nella vita relazionale sono sufficienti a far perdere la voglia di essere «protetti». La parte del «raccomandato di ferro» non è per nulla confacente al mio carattere e alla mia mentalità. Uno dei miei desideri più radicati e costanti è quello di essere io «il protettore» (l'uomo forte). E proprio a me toccava di ricordarmi di sogni ad occhi aperti come questo, tra l'altro mai realizzato. Al di là di queste considerazioni, trovo che l'incidente illustra perspicuamente come la relazione di uno con se stesso, che è normalmente trattenuta, ma che emerge vittoriosamente nella paranoia, disturba e confonde la nostra obiettività di giudizio. Un altro caso di inganno di memoria, che potè essere spiegato in modo piuttosto soddisfacente, si riallaccia a un «falso riconoscimento» in cui tratterò in seguito. Raccontai ad un mio paziente, uomo intelligente ed ambizioso, che uno studente si era introdotto nella cerchia dei miei discepoli con un interessante lavoro intitolato: L'artista. Tentativo di una psicologia sessuale. Quando, quindici mesi più tardi, quest'opera apparve in libreria, il mio paziente affermò di ricordarsi di aver già letto da qualche parte (forse nel catalogo di una libreria) l'annuncio di questo articolo, prima ancora che io gliene parlassi (doveva essere stato un mese o sei mesi prima). Disse che aveva notato subito questa notizia e che, inoltre, l'autore aveva modificato il sottotitolo della sua opera da Tentativo in Contributi ad una psicologia sessuale. Dopo aver controUato con l'autore, tra l'altro confrontando le date, dovetti concludere che il paziente pretendeva di ricordare una cosa impossibile. Non era apparso alcun annuncio di questo lavoro prima della pubblicazione e tanto meno quindici mesi prima. Avevo deciso di non dare una interpretazione di questo falso ricordo, quando il paziente mi raccontò un'altra illusione di questo genere. Credeva di aver visto poco tempo prima, nella vetrina di una libreria, un libro intitolato Agorafobia, che avrebbe voluto comprare ma che non riusciva a trovare nel catalogo. A questo punto mi pregò di spiegargli perché le sue ricerche erano vane. Lo scritto sull'Agorafobia esisteva solo nella sua immaginazione, era il progetto inconscio di ciò che lui stesso avrebbe voluto scrivere. La sua ambizione di imitare il giovane e di diventare mio allievo scrivendo un'opera scientifica aveva provocato sia il primo sia il secondo errore di memoria. Allora ricordò che l'annuncio della libreria di cui si era servito per questo falso riconoscimento riguardava un'opera intitolata: Genesi. La legge della riproduzione. In quanto alla modifica del titolo di cui egli mi aveva parlato, il suggerimento era partito proprio da me; citando l'articolo potei ricordare di aver detto Tentativo (Versuch) anziché Contributi (Ansätze). 2. Dimenticanza di propositiNessun altro gruppo di fenomeni è più adatto della dimenticanza di propositi a dimostrare che la disattenzione non basta a spiegare un atto mancato. Il proposito è un impulso ad agire, accettato dal soggetto, ma la cui esecuzione è rimandata ad un momento opportuno. In questo intervallo di tempo la situazione può mutare tanto da impedire l'attuazione del progetto, che può essere riveduto o annullato, ma non dimenticato. Noi non spieghiamo la dimenticanza di propositi, che si verifica quotidianamente, come revisione dei motivi, non ne cerchiamo la giustificazione; semmai ne diamo una spiegazione psicologica, dicendo che al momento dell'esecuzione non avevamo l'attenzione necessaria ad agire, anche se questa era disponibile quando formulavamo il proposito. L'osservazione del nostro comportamento normale di fronte ai propositi ci fa respingere questo tentativo di spiegazione. Quando al mattino mi propongo una cosa che deve essere eseguita la sera, può darsi che durante la giornata mi accada di ripensarci. Ma non è necessario che ciò divenga cosciente; al momento della realizzazione il proposito mi torna in mente inducendomi ad agire. Se io, individuo normale e non nevrotico, esco per imbucare una lettera, non ho bisogno di portarla in mano guardandomi continuamente intorno per trovare una buca: la metto in tasca e cammino tranquillamente lasciando libero corso ai miei pensieri, sicuro che imbucherò la lettera alla prima cassetta. Il comportamento normale nel caso di una decisione presa coincide perfettamente col comportamento che si produce sperimentalmente nelle persone alle quali si è imposta nell'ipnosi una cosidetta «suggestione postipnotica a lunga scadenza» 10 (Si veda H. Bernheim, Hypnotisme, suggestion et psychothérapie: études nouvelles, Paris, 1891, pp. 130 ss. Il volume è tradotto in tedesco da me - Wien, 1892). Il fenomeno si spiega in questo modo: il proposito suggerito resta nell'inconscio della persona fino al momento di venire attuato. Vi sono due situazioni tipiche in cui anche il profano si rende conto che la dimenticanza dei propositi non è un fenomeno elementare irriducibile ed in cui anch'egli è spinto a ricercarne motivi inconfessati. Intendo parlare dell'amore e della gerarchia militare. L'amante che si presenta in ritardo all'appuntamento cercherà inutilmente di scusarsi con la sua donna di averlo purtroppo dimenticato. Questa sicuramente risponderà: «Un anno fa non ti sarebbe successo: ma ora non ti interesso più». E se egli cercasse di spiegare la sua dimenticanza con impegni di lavoro, la donna, con acume da psicoanalista, risponderebbe: «Strano che queste cose una volta non ti succedessero». Ella non intende certo negare la possibilità di una dimenticanza, ma pensa, e non a torto, che dimenticare involontariamente sia sintomo di una certa riluttanza, quasi come un pretesto intenzionale. Analogamente, nella vita militare si trascura per principio la differenza fra trascuratezza intenzionale ed inintenzionale. Il soldato non deve dimenticare nulla di ciò che il servizio militare esige da lui. Se si rende colpevole di una dimenticanza, vuol dire che in lui vi sono delle motivazioni che contrastano con l'adempimento del suo dovere. Una recluta a rapporto che volesse scusarsi dicendo di aver dimenticato di lucidarsi i bottoni dell'uniforme è sicura di incorrere in una punizione, che sarà però sempre minore di quella a cui si esporrebbe se confessasse a se stesso e ai suoi superiori il reale motivo della sua trascuratezza: «mi sono scocciato del servizio militare». Per questo risparmio di punizione il soldato ricorre al pretesto della dimenticanza, oppure esso interviene come compromesso. Insomma, le donne, come le autorità militari, pretendono che niente di ciò che le riguarda sia oggetto a dimenticanza, che ritengono ammissibile solo per fatti insignificanti; dimenticare cose più importanti, invece, vorrebbe dire considerarle trascurabili, negar loro valore. Nella commedia Cesare e Cleopatra di Bernard Shaw, Cesare, nell'atto di lasciare l'Egitto, si tormenta per qualche tempo con il pensiero di essersi proposto di fare una cosa che ha poi dimenticato. Poi si scopre che aveva scordato di congedarsi da Cleopatra! Il piccolo particolare mette in evidenza che per Cesare la principessa egiziana aveva poca importanza, in completo contrasto alla verità storica.11 [Cfr. «Cesare (volgendosi a Rufio): E adesso che mi resta da fare prima di imbarcarmi? (Meditando:) C'è qualche cosa che non riesco a ricordarmi. Che potrà mai essere? Pazienza, rimarrà non fatta. Non posso rinunciare a questo vento propizio. Addio, Rufio. Rufio: Cesare, non mi va di lasciarti tornare a Roma senza il tuo scudo! Ci sono troppi pugnali laggiù!... Cesare: Non ha molta importanza: fornirò la mia opera durante la via del ritorno, e allora avrò vissuto abbastanza... Del resto l'idea di morire non mi è mai piaciuta: preferirei essere ucciso. Addio! Rufio (alza le braccia con un sospiro, come per dire che il caso è inguaribile) : Addio (Si stringono la mano.) Cesare (salutando Apollodoro con la mano): Addio, Apollodoro, e voi tutti, amici miei. A bordo! (La passerella viene spinta fuori dalla banchina fino a raggiungere la murata dello galera. Cesare si avvia; intanto Cleopatra fredda e tragica, vestita di nero, senza gioielli né ornamenti di sorta, in modo da fare un netto contrasto col gruppo sfarzoso delle sue dame quando lo attraversa, è uscita dal palazzo e si ferma sulla scalinata. Sino a che non parla, Cesare non s'accorge della sua presenza.) Cleopatra: Per Cleopatra non c'è posto in questi addii? Cesare (ricordandosi): Ah! Lo sapevo che avevo ancora qualche cosa da fare. (A Rufìo:) Come hai potuto lasciarmela dimenticare, Rufio? (Affrettandosi a muoverle Scontro:) Se fossi partito senza rivederti, non me lo sarei mai perdonato», (tr. di M. Minelli, dal volume G. B. Shaw, Tutto il teatro, II, Newton Compton, ed., Roma, 1974).] Effettivamente, in questi casi non si può non tener conto del punto di vista della valutazione psicologica. Nessuno dimentica di eseguire azioni che reputa importanti, senza esporsi al sospetto di disturbo mentale. La nostra ricerca riguarda quindi la dimenticanza di propositi secondari; non esistono propositi del tutto privi di importanza poiché in tal caso non sarebbero stati nemmeno concepiti. Come per i disturbi funzionali, così per le dimenticanze di propositi ho raccolto e cercato di spiegare casi che sono capitati a me e ho constatato che generalmente erano dovuti a motivi ignoti o inconfessati, oppure, se così si può dire, ad una controvolontà. Mi è capitato di trovarmi in situazioni simili ad un rapporto di servitù; dovevo adempiere, senza cessare di essere riluttante, ad un obbligo, cosicché la mia dimenticanza era una protesta. Ad esempio dimentico spesso di fare gli auguri per i compleanni, le ricorrenze, le nozze e le promozioni. Più mi sforzo di farlo più debbo constatare che non ci riesco e finirò col rinunciarci accettando coscientemente i motivi della mia riluttanza. In una certa occasione, un amico mi aveva pregato di spedirgli, in una data fissata, un telegramma di felicitazioni (e pensavo che sarebbe stato semplice per me dato che anch'io dovevo telegrafare per lo stesso motivo); gli dissi che avrei certamente dimenticato di spedire sia il suo che il mio telegramma; e non mi stupii affatto che la mia profezia si fosse realizzata. Spiacevoli esperienze spiegano la mia incapacità a manifestare una simpatia, quando deve essere espressa in forma esagerata e non sono ammessse espressioni corrispondenti all'esigua entità dell'emozione che provo. Più volte mi è capitato di scambiare per simpatia sincera quel che era soltanto finzione, ed ora mi ribello contro queste manifestazioni convenzionali, di cui non vedo del resto l'utilità sociale. Il mio comportamento è diverso solo nel caso di condoglianze, e quando mi propongo di esprimerle non me ne dimentico. Quando le mie manifestazioni affettive non costituiscono un obbligo sociale, riesco ad esprimerle liberamente e senza l'ostacolo della dimenticanza. Una dimenticanza del genere, in cui il proposito, represso in un primo tempo, si fece valere come «controvolontà», provocando una situazione spiacevole, ci viene narrata dal tenente T. e si riferisce alla sua prigionia in guerra. «Il superiore di grado di un campo di ufficiali prgionieri viene offeso da un suo compagno. Per non aggravare la situazione, egli vuol far uso della sola misura disciplinare che gli è concessa, facendo trasferire l'offensore in un altro campo. Ma, cedendo alle insistenze degli amici decide, contrariamente al suo desiderio, di rinunciarci, e di sottomettersi al codice d'onore, malgrado le conseguenze spiacevoli che devono seguirne. Quella mattina, il comandante deve, sotto il controllo di un sorvegliante, fare l'appello degli ufficiali prigionieri. Conosce i suoi compagni da molto tempo, e non gli è mai accaduto di sbagliare. Quel giorno, per una svista, tralascia il nome del suo offensore, e questi deve rimanere da solo, sul piazzale, finché il comandante non si accorge dell'errore. Eppure il suo nome è scritto molto chiaramente nel mezzo di un foglio. Questo fatto viene interpretato da alcuni come un affronto volontario, da altri come uno spiacevole episodio che può dar adito a sgradevoli interpretazioni. Ma il capitano, dopo aver letto la Psicopatologia di Freud, può farsi un'idea esatta di quanto è accaduto.» Pure con un conflitto interiore fra un dovere convenzionale e un giudizio interiore non confessato si spiegano i casi in cui ci si dimentica di compiere azioni che si era promesso di fare a favore di altri. Il benefattore è allora il solo, generalmente, a vedere nella dimenticanza una spiegazione sufficiente, mentre chi aveva sollecitato l'azione pensa, giustamente, «che egli non aveva alcun interesse a fare ciò che aveva promesso, altrimenti non se ne sarebbe dimenticato». Ci sono persone che si considerano generalmente di scarsa memoria, e che quindi, per questo, vengono scusate nello stesso modo in cui si scusano i miopi quando per la strada non salutano i conoscenti12 (Le donne, che hanno un'intuizione più profonda dei processi psichici inconsci, sono generalmente portate a ritenersi offese se non le si riconosce per la strada, cioè se non le si saluta. Non pensano mai per prima cosa che la colpa possa essere della miopia o della distrazione della persona incontrata. Sostengono che non sarebbe avvenuto se vi fosse stato dell'interesse). Queste persone dimenticano tutte le piccole promesse fatte, tralasciano tutte le commissioni di cui sono stati incaricati, si mostrano poco sicuri nelle piccole cose, e pretendono di essere pienamente scusati per quelle piccole mancanze che, secondo loro, non sarebbero determinate dal loro carattere, ma da una peculiarità organica. 13 (S. Ferenczi afferma di essere oltremodo «sbadato» e di meravigliare tutti quelli che lo conoscono per la frequenza e la stranezza dei suoi atti mancati. Ma queste distrazioni non si sono più verificate da quando ha iniziati i trattamenti psicoanalitici dei malati, cosa che lo ha indotto ad autoanalizzarsi. Ritiene che si rinuncia agli atti mancati quando si è presi da responsabilità più grandi. Considera anche, con ragione, la distrazione come risultato dei complessi inconsci e che si possono guarire con la psicoanalisi. Un giorno, sentendosi in colpa per aver commesso un errore tecnico durante la psicoanalisi di un paziente, gli ricomparvero immediatamente tutte le sue «distrazioni» di un tempo. Inciampò più volte (rappresentazione simbolica del passo falso commesso nel trattamento), lasciò il portafogli a casa, avrebbe voluto pagare il biglietto del tram con un soldo di meno, uscì di casa con i vestiti male abbottonati.) Quanto a me, non faccio parte di questa categoria e non ho avuto l'occasione di analizzare il comportamento delle persone soggette a dimenticanze di quel genere, per cui non posso affermare nulla di preciso in proposito. Ma penso di poter dire per analogia che si tratta di un grado molto pronunciato di disprezzo verso gli altri, disprezzo inconfessato e inconscio, certamente, e che utilizza il fattore costituzionale per manifestarsi 14 (E. Jones ha detto a questo proposito: «Spesso la resistenza è di carattere generale. Così un uomo indaffarato può dimenticare di spedire le lettere affidategli dalla moglie, cosa che lo infastidisce alquanto, e può dimenticare di comperare ciò che gli è stato chiesto».) In altri casi, i motivi della dimenticanza sono meno facili da indovinare e provocano, una volta scoperti, una maggiore sorpresa. Così ho notato talvolta che, in un certo numero di pazienti da visitare, dimenticavo solo quelli gratuiti, o i colleghi malati. Per evitare questa dimenticanza, di cui mi vergognavo, avevo preso l'abitudine di annotare fin dal mattino tutte le visite che dovevo fare nel corso della giornata. Ignoro se altri medici abbiano dovuto ricorrere agli stessi mezzi per giungere allo stesso risultato. Ma questa esperienza ci fornisce un'indicazione circa le cause che spingono il nevrastenico ad annotare sul famoso «pezzo di carta» tutto ciò che si propone di dire al medico. Si direbbe che egli non abbia fiducia nell'efficienza e nella fedeltà della sua memoria. Questo è senz'altro esatto, ma spesso le cose procedono in questo modo: dopo aver lungamente esposto i disturbi di cui soffre e posto tutte le domande che vi si riferiscono, il malato fa una piccola pausa, dopo di che tira fuori dalla tasca il suo foglietto e dice, scusandosi: «Ho preso qualche appunto, altrimenti non ricorderei niente». Il più delle volte, sul foglietto non è scritto niente che il malato non abbia già detto. Egli ripete dunque tutti i dettagli e per rassicurarsi aggiunge: «questo l'ho già chiesto». Quel foglietto serve soltanto, certamente, a mettere in luce uno dei suoi sintomi, cioè la frequenza con cui i suoi propositi sono turbati dall'interferenza di motivi oscuri. Voglio ora accennare a un difetto di cui soffrono anche quasi tutte le persone sane di mia conoscenza; mi succede facilmente, forse meno facilmente che quando ero giovane, di dimenticare di restituire libri presi a prestito, o di differire per dimenticanza certi pagamenti. Non molto tempo fa, una mattina sono uscito dalla tabaccheria dove tutti i giorni compro i sigari, dimenticando di pagare. Fu una negligenza del tutto innocua dato che quel negoziante mi conosce ed era sicuro di essere pagato l'indomani. Ma il piccolo ritardo, il tentativo di far debito, non erano certo estranei alle considerazioni economiche che mi avevano occupato il giorno prima. Anche negli uomini considerati onestissimi, si scoprono facilmente i segni di un dubbio comportamento nei riguardi del denaro e della proprietà. L'avidità primitiva del lattante che cerca d'impadronirsi di tutti gli oggetti (per metterseli in bocca) non scompare del tutto, in linea generale, sotto l'influenza della cultura e dell'educazione.15 (Per non lasciare incompleto questo argomento, prescindo momentaneamente dalla suddivisione adottata, ed aggiungo che in materia di soldi la memoria degli uomini è particolarmente tendenziosa. Ho potuto constatarlo su me stesso: dimenticare frequentemente di non aver ancora pagato quel che si deve è un genere di errore molto tenace. Nei casi in cui non ci sono in ballo interessi considerevoli, per esempio il gioco delle carte, l'amore per il guadagno può mostrarsi liberamente. Allora anche gli uomini più onesti commettono facilmente errori di calcolo, errori di memoria, e senza neppure rendersene conto, sono coinvolti in piccole truffe. In questa libertà si rivela il carattere psichicamente tonificante del gioco. E' esatta l'affermazione del proverbio il quale dice che il carattere degli uomini si rivela nel gioco, purché non s'intenda il carattere manifesto. Anche gli errori di calcolo di camerieri di bar o di ristoranti possono spiegarsi alla stessa maniera. Tra i commercianti si può notare un certo ritardo nel pagare i conti: non è una prova di cattiva volontà, poiché questo ritardo non gioverà al guadagno, ma solo l'espressione della resistenza psicologica a staccarsi dal denaro. Brill osserva a questo proposito con perspicacia: «Dimentichiamo più facilmente lettere che contengono fatture che non quelle che contengono assegni». Il fatto che le donne abbiano una particolare avversione a pagare il medico, è dovuta a motivi molto profondi e non ancora chiariti. Di solito lasciano a casa il portamonete, per cui non possono pagare subito la visita, tornate a casa dimenticano di spedire la somma dovuta (ciò avviene meno di frequente), come se volessero ottenere gratis ciò che hanno ricevuto «per i loro begli occhi»; esse, per così dire pagano lasciandosi guardare.). Forse sono diventato addirittura banale, a forza di citare esempi di questo genere. Ma il mio scopo era appunto di attirare l'attenzione su cose che tutti conoscono e capiscono allo stesso modo, cioè di riunire fatti di tutti i giorni e sottoporli ad un esame scientifico. Non vedo perché si dovrebbe rifiutare a questo tipo di saggezza, che è la cristallizzazione delle esperienze della vita quotidiana, un posto fra le conquiste della scienza. Ciò che costituisce il carattere essenziale del lavoro scientifico non è la natura dei fatti trattati, ma il rigore metodico che presiede alla constatazione di quei fatti e la ricerca d'una sintesi più vasta possibile. Per quel che riguarda i progetti di una certa importanza, abbiamo trovato in generale che essi vengono dimenticati se contrastati da motivi oscuri. Nei casi di propositi meno importanti, la dimenticanza può essere anche spiegata collo spostamento, da un altro campo, di una controvolontà, dopo che si sia stabilita un'associazione esteriore. Eccone un esempio. Mi piace usare ottima carta assorbente e mi propongo di comprarne in un prossimo giro che debbo fare per il centro della città. Ma di questo progetto mi dimentico per quattro giorni di seguito, finché mi chiedo il motivo della dimenticanza. Me la spiego ricordando la mia abitudine di scrivere Loschpapier, ma di dire Fliesspapier,16 [Queste due parole significano ugualmente «carta assorbente»]; ora, «Fliess» è il nome di un mio amico di Berlino, al cui nome, nei giorni scorsi, si sono associati, nel mio spirito, pensieri e preoccupazioni penose. Non posso disfarmi di queste idee e preoccupazioni, ma l'istinto di difesa si manifesta spostandosi, grazie alla somiglianza fonetica, sul proposito indifferente, perciò meno resistente. La controvolontà diretta e la motivazione più lontana coincidono nel seguente caso di ritardo: Ho scritto, per la collezione Grenzfragen des Nerven und Seelenlebens, una breve monografia 17 [Cfr. tr. it. Il sogno, cit.]. che era un riassunto della mia Interpretazione dei sogni. [L'editore] Bergmann di Wiesbaden, mi mandò delle bozze, pregandomi di correggerle al più presto, perché voleva pubblicare il fascicolo per Natale. Corressi le bozze la sera stessa e le misi sulla scrivania, per spedirle il mattino seguente. L'indomani, dimenticai completamente il mio proposito e me ne ricordai solo il pomeriggio, vedendo il pacchetto sul tavolo. Dimenticai di portare via le bozze il pomeriggio dopo, la sera, e il mattino successivo: finalmente, il pomeriggio del secondo giorno, mi alzai bruscamente, presi le bozze e uscii precipitosamente per impostare il plico alla più vicina cassetta postale. Per la strada, mi domandai con stupore quale potesse essere il motivo del mio ritardo. Evidentemente non m'interessava spedire le bozze, ma non capivo il perché. Durante la stessa passeggiata, andai dal mio editore di Vienna che ha pubblicato il mio libro sui sogni e gli dissi, come spinto da una improvvisa ispirazione: «Sa che ho scritto una nuova versione del libro sui sogni?». «Oh, Ma io protesto!». «Si calmi, si tratta solo di una breve monografia per la collezione di Löwenfeld-Kurella». Ma l'editore non era ancora rassicurato e temeva che la vendibilità del mio libro venisse pregiudicata. Cercai di provare il contrario e finalmente gli domandai: «Se le avessi chiesto l'autorizzazione prima di scrivere questa monografia, me l'avrebbe rifiutata?». «Certo no!». Credo, da parte mia, che era pienamente nel suo diritto e non ha fatto che conformarsi all'uso: mi sembra tuttavia che la medesima esitazione manifestata dall'editore sia stata la causa della mia esitazione nel rimandare le bozze. Questa apprensione si ricollega a una circostanza precedente, e in particolare alle obiezioni che mi sono state fatte da un altro editore, quando, incaricato di scrivere per l'Enciclopedia di Nothnagel la voce sulla paralisi cerebrale infantile, ho riutilizzato per questo lavoro qualche pagina di una memoria sullo stesso argomento, comparsa precedentemente nella stessa edizione della Interpretazione dei sogni. In quest'ultimo caso, il rimprovero non era più giustificato, perché io allora avevo lealmente preavvisato l'editore. Ma risalendo più indietro nei miei ricordi, mi torna in mente un caso che si verificò in un periodo ancora precedente; allora, traducendo un libro dal francese, avevo effettivamente leso i diritti di proprietà letteraria, in quanto avevo aggiunto al testo delle note, senza averne chiesto l'autorizzazione all'autore, e qualche anno dopo sono venuto a sapere che egli non era stato affatto contento della mia iniziativa 18 [Allusione al dissidio con ). M. Charcot; la traduzione delle sue Lezioni del martedì fu curata da Freud nel 1892-94 con l'aggiunta di numerose postille e una prefazione di cui si veda la traduzione italiana in II sogno e Scritti su Ipnosi e Suggestione, cit., in questa collana.] Un proverbio dimostra che il buon senso popolare sa bene che nelle dimenticanze di propositi non c'è nulla di accidentale. «Ciò che uno ha dimenticato di fare una volta, lo dimenticherà molte altre volte». Bisogna senz'altro riconoscere che tutto quanto si potrebbe dire sulla dimenticanza e sugli atti mancati è già noto. Ma allora perché ogni volta ci si rimprovera di qualcosa che si conosce già così bene? Quante volte ho sentito dire: «Non mi assumo questo incarico, perché me ne dimenticherei certamente». Questa predizione non contiene assolutamente niente di mistico. Chi parlava in questo modo intuiva solo vagamente che non voleva assumersi l'incarico, ma non voleva confessarlo. Del resto la dimenticanza di propositi è ben illustrata da quello che si potrebbe chiamare «concepimento di falsi propositi». Avevo promesso ad un giovane autore di dargli il mio parere su una sua breve opera. Sotto la spinta di resistenze interiori di cui non mi rendevo conto, ho rimandato questo proposito finché un giorno, avendolo incontrato e cedendo alle sue insistenze, ho finito col promettergli di mantenere la promessa la sera stessa. Stavolta ero assolutamente deciso, ma avevo dimenticato che dovevo redigere urgentemente una perizia medica. Ormai mi ero reso conto di aver concepito un falso proposito, perciò ho rinunciato a lottare contro la mia resistenza e mi scusai con l'autore. parere su una sua breve opera. Sotto la spinta di resistenze interiori di cui non mi rendevo conto, ho rimandato questo proposito finché un giorno, avendolo incontrato e cedendo alle sue insistenze, ho finito col promettergli di mantenere la promessa la sera stessa. Stavolta ero assolutamente deciso, ma avevo dimenticato che dovevo redigere urgentemente una perizia medica. Ormai mi ero reso conto di aver concepito un falso proposito, perciò ho rinunciato a lottare contro la mia resistenza e mi scusai con l'autore |