6. Lapsus di lettura e di scrittura |
. Tra i lapsus linguae, da una parte, e i lapsus di lettura e di scrittura dall'altra, ritroviamo un'analogia tale che le concezioni adottate e le osservazioni formulate per primi possono essere perfettamente applicate anche a questi ultimi. Perciò mi limiterò a riferire alcuni esempi, accuratamente analizzati, di tali lapsus, senza intraprendere una discussione generale del fenomeno. 1. Lapsus di lettura1. Seduto al caffè sfoglio un numero del «Leipziger Illustrierte» e leggo, sotto ad una fotografia che occupa un'intera pagina: «Un matrimonio nell'Odissea [In der Odyssee]». Con stupore e con maggiore attenzione mi accosto la rivista e rettifico: «Un matrimonio sul Baltico. [An der Ostsee]». Perché ho commesso questo lapsus assurdo? Mi viene subito da pensare ad un libro di Ruths, Ricerche sperimentali sui fantasmi musicali, che in quest'ultimi tempi mi ha molto interessato perché tocca i problemi di carattere psicologico di cui mi occupo. L'autore annuncia la pubblicazione di un'opera il cui titolo sarà: «Analisi e leggi fondamentali dei fenomeni relativi ai sogni». Non c'è da stupirsi se, avendo appena pubblicato un'Interpretazione dei sogni, io aspetto con grande impazienza l'uscita del libro di Ruths. Nell'indice del suo libro sui «fantasmi musicali», trovo un paragrafo in cui è contenuta una dimostrazione dettagliata del fatto che i miti e le leggende dell'antica Grecia derivano dai fantasmi del sonno, dai fantasmi musicali, dai vari fenomeni collegati al sonno e dai deliri. Consulto immediatamente il testo, per vedere se anche questo fa rimontare ad un semplice sogno di nudità la scena in cui Ulisse [cioè Odisseo] appare a Nausicaa. Un mio amico aveva attirato la mia attenzione su quel bel brano di Enrico il Verde, nel quale G. Keller descrive questo episodio dell'Odissea come un'oggettivazione dei sogni del navigatore errante lontano dalla patria, ed io, da parte mia, ho integrato questa interpretazione con il rapporto che secondo me sussiste tra questa scena ed i sogni il cui contenuto è l'esibizione di una nudità (V ediz. pag. 170). In Ruths non ho trovato cenni di spiegazione in questo senso. È evidente, comunque, che al momento del lapsus ero particolarmente preso da questi problemi. 2. Come mai un giorno mi è capitato di leggere in un giornale: «In una botte [Im fass] per l'Europa», anziché: «A piedi» [Zu fuss] per l'Europa?». La prima cosa che mi venne in mente a proposito di questo errore era la botte di Diogene, ed inoltre mi è capitato di recente di leggere in un libro di Storia dell'Arte qualcosa a proposito dell'arte ai tempi di Alessandro. Spontaneamente mi è venuto da pensare alla famosa frase di Alessandro: «Se non fossi Alessandro, vorrei essere Diogene». Nello stesso tempo si presentò vagamente il pensiero di un certo Hermann Zeitung che aveva viaggiato chiuso in una valigia. Non riuscii ad approfondire l'associazione e non mi fu possibile ritrovare nel libro di Storia dell'Arte l'accenno all'arte ai tempi di Alessandro. Perciò avevo smesso di scervellarmi su questo problema quando, pochi mesi dopo, questo si impose di nuovo alla mia attenzione, ma stavolta accompagnato dalla sua soluzione. Mi è venuto in mente un articolo, letto su un giornale, in cui si parlava degli strani mezzi di trasporto che la gente sceglieva per andare all'esposizione universale di Parigi e che, per quanto mi è possibile ricordare, riportava in tono scherzoso il caso di un signore che voleva farsi rotolare fino a Parigi, chiuso in una botte, da un amico. E' inutile dire che queste persone non tendevano altro che a mettersi in vista con i loro atteggiamenti eccentrici. Difatti Hermann Zeitung è il nome di colui che ha dato il primo esempio di questi strani modi di viaggiare. Allora mi è venuto in mente un mio paziente di un tempo al quale i giornali ispiravano una angoscia morbosa, come reazione alla sua morbosa ambizione di vedere il proprio nome pubblicato e osannato nei giornali. Alessandro il Macedone era senz'altro l'uomo più ambizioso che sia mai esistito. Egli si lamentava di non disporre di un Omero che potesse cantare le sue gesta. E subito, naturalmente, mi venne in mente il pensiero di un altro Alessandro che mi era molto più vicino, il mio fratello minore, che si chiama appunto così. Scoprii subito il pensiero criticabile e rimosso riferentesi a questo Alessandro, ed il motivo contingente che l'aveva provocato. Mio fratello è un esperto di tariffe e trasporti e, ad un certo punto, doveva addirittura essere promosso professore in una scuola superiore di commercio. Per molti anni io ero stato proposto per quellastessa promozione, senza riuscire ad ottenerla. Allora nostra madre aveva espresso il suo disappunto di fronte all'eventualità che il suo figlio minore arrivasse al professorato prima del maggiore. Tale era la situazione all'epoca in cui io non riuscivo a trovare una soluzione del mio lapsus di lettura. In seguito, le possibilità che mio fratello aveva di arrivare al professorato erano diminuite ed ora erano meno probabili delle mie. Ed improvvisamente mi si rivelò il significato del mio errore: fu come se la diminuzione delle possibilità di mio fratello avesse eliminato l'ostacolo che mi impediva di cogliere tale significato. Io mi ero comportato come se avessi letto sul giornale il nome di mio fratello e mi ero detto: «E strano che si possa apparire sui giornali (cioè, essere nominato professore) per simili stupidaggini (cioè per l'oggetto della professione di mio fratello)». A questo punto mi fu facile ritrovare il brano sull'Arte Greca alla epoca di Alessandro e, con mia grande sorpresa, constatai che nelle mie precedenti ricerche avevo letto varie volte la pagina in cui questo brano si trovava ma che l'avevo sempre saltato, come sotto l'influsso di un'allucinazione negativa. D'altra parte, in questo brano non c'era niente che potesse servire ad illuminarmi, niente che valesse la pena di essere dimenticato. Credo che il fatto di non riuscire a ritrovare questo brano - che pure mi era più volte capitato sotto gli occhi - avesse il solo scopo di trarmi in inganno, di orientare la mia associazione di idee in una direzione in cui un ostacolo potesse opporsi alle mie ricerche, cioè in un'idea concernente Alessandro il Macedone, in modo che la mia attenzione fosse tanto meglio sviata dall'altro Alessandro, mio fratello. Ed è effettivamente quanto è successo: io ho rivolto tutti i miei sforzi per ritrovare nel libro di Storia dell'Arte questo brano famoso. Il duplice significato della parola Beförderung1 [Tutta questa analisi è incentrata intorno al duplice senso della parola tedesca Beförderung, che ha sia il significato di mezzi di trasporto, mezzi di locomozione, ecc., sia di avanzamento, promozione] costituisce in questo caso qualcosa che potremmo chiamare un ponte associativo tra due complessi, quello meno importante, suscitato dalla notizia riportata dal giornale, e l'altro, più interessante ma meno accettabile, che mi ha indotto al lapsus di lettura. Da questo esempio si vede che non è sempre facile spiegare fenomeni del tipo di quest'errore. Talvolta si è costretti a rimandare la soluzione dell'enigma ad un momento più favorevole. Ma quanto più la soluzione è difficile, con tanta più sicurezza c'è da aspettarsi che l'idea perturbatrice, una volta scoperta, appaia strana ed in opposizione al nostro pensiero cosciente. 3. Un giorno ricevo, da una località vicina a Vienna, una lettera in cui mi viene comunicata una triste notizia. Chiamo subito mia moglie e le dico che la povera Guglielmo M. è affetta da una malattia gravissima e che i medici non sperano più di salvarla. Ma dev'esserci una nota falsa nelle parole con cui esprimo il mio dispiacere, perché mia moglie diviene diffidente, mi prega di mostrarle la lettera e dice che senz'altro io mi sbaglio, perché nessuno chiama una donna col nome del marito, non, comunque, in una circostanza come questa, dato che l'autore della lettera conosce bene il nome della moglie di Guglielmo M. Tuttavia io insisto nell'affermare che si tratta della povera Guglielmo M. e cerco di respingere le obiezioni di mia moglie ricordandole che molte donne fanno scrivere sul biglietto da visita il nome del marito. Ma alla fine sono costretto a rileggere la lettera e constato che si tratta effettivamente del «povero G. M.», ed anche, cosa che mi era completamente sfuggita, del «povero dottore G M..». La mia omissione costituisce perciò un tentativo per così dire meccanico di trasferire dal marito alla moglie la triste notizia appena ricevuta. Il titolo di dottore intercalato tra l'articolo e l'aggettivo, da una parte, ed il nome dall'altra, sarebbe stato di per sé sufficiente ad evidenziare che non si trattava di una donna, ed è per questo che mi è sfuggito. Ma la causa dell'errore non consiste nel fatto che la donna mi fosse meno simpatica del marito; il fatto è che la sorte del povero G. M. aveva risvegliato in me certe preoccupazioni relative ad un'altra persona che mi era molto vicina e che soffriva di una malattia per certi aspetti analoga alla sua. 4. Un lapsus di lettura che mi secca e nello stesso tempo mi diverte è quello che commetto spesso passeggiando, durante le vacanze, per le strade di una città in cui mi trovo di passaggio. Su tutte le insegne che vedo io leggo la parola «antichità». Questo esprime la passione del collezionista. 5. Nel suo interessante Affektivität, Suggesdbilität, Paranoia2 (E. Bleuler, op. cit., Halle, 1906, p. 121), Bleuler racconta. Un giorno, mentre stavo leggendo, ho avuto come la sensazione di vedere il mio nome stampato due righe dopo. Ma con mio grande stupore, una volta arrivato a questa riga, trovo la parola Blutkórperchen [globuli sanguigni]. Tra migliaia di lapsus di lettura del campo visivo, centrale o periferico, che ho analizzato, questo è il più grossolano. Le altre volte in cui mi è sembrato di vedere il mio nome, la parola che serviva di base per l'errore presentava con questo una somiglianza che fino ad un certo punto poteva giustificare l'errore, e nella maggior parte dei casi perché si verificasse il lapsus era necessario che tutte le lettere del nome rientrassero nel mio campo visivo. Ma nel caso di cui sto parlando il delirio di riferimento e l'illusione sono facilmente spiegati. Stavo finendo di leggere una critica su un certo stile trascurato che spesso si trovava nelle opere di carattere scientifico e che spesso è anche il mio. 6. Da Hanns Sachs. «Di fronte a ciò che stupisce la gente, egli conserva una rigida impassibilità». Quest'ultimo termine mi stupisce e, rileggendolo con maggiore attenzione, vedo che la parola stampata era invece finezza di stile. Questo brano faceva parte di una critica eccessivamente entusiasta di un autore, che io stimo molto, su uno storiografo che non gode, invece, della mia simpatia, perché è dotato in modo troppo spiccato delle caratteristiche del «professore tedesco». 7. Il dottor Marceli Eibenschütz riferisce un caso di lapsus di lettura compiuto nel corso di un lavoro filologico («Zentralbl. f. Psychoan.», i, 5/6). Mi stavo occupando dell'edizione critica del Libro dei Martiri, raccolta di leggende in medio-alto tedesco che deve comparire nei «testi tedeschi del Medio Evo», pubblicati dall'Accademia Prussiana delle Scienze. L'opera, che non era stata mai stampata, era ben poco nota; in proposito potevo disporre solo di un lavoro di J. Haupt: Ueber das mittelhochdeutsche Buch der Mar-tyrer, pubblicato nei «Wiener Sitzungsberichte», 1867, tomo 70, p. 101 e segg. Scrivendo il suo lavoro Haupt non aveva sotto gli occhi il manoscritto originale, ma una copia, conservata alla Biblioteca Reale, del diciannovesimo secolo, del manoscritto C (Klosterneuburg). Questa copia termina con la seguente subscriptio: Anno Domini MDCCCL, in vigila exaltacionis sanctae crucis, ceptus est iste liber et in vigilia pasce anni subsequentis fìnitus cum adiutorio omnipotentis per me Hartmanum de Krasna hunc temporis ecclesiae niwerburgensis custodem3 [«Nell'anno del Signore 1850, alla vigilia della festa dell'Esaltazione, fu iniziato questo libro e fu terminato da me, Hartmann di Krasna, in quel tempo sacrista di Klosterneuburg»]. Pur riproducendo esattamente, nel suo lavoro, questa subscriptio, Haupt dimostra a più riprese che, secondo lui, questa frase latina fa parte del manoscritto C e le assegna, come a questo, la data del 1350. La comunicazione di Haupt mi provocò una certa perplessità. Giovane principiante in questa scienza rigorosa, agli inizi subivo incondizionatamente l'influenza di Haupt e, come lui, per parecchio tempo ho letto nella sottoscrizione, chiaramente e nettamente stampata, che avevo sotto gli occhi, la data 1350, anziché 1850. Ma avendo avuto l'occasione di consultare il manoscritto principale, ho constatato che non vi era alcuna traccia di una qualunque sottoscrizione, e mi sono anche sincerato che in tutto il quattordicesimo secolo non c'era stato a Klosterneuburg nessun monaco che si chiamasse Hartmann. Ed allora ho avuto come una rivelazione improvvisa, ho capito improvvisamente tutta la situazione e le successive ricerche non hanno fatto che convalidare questa mia idea: la famosa sottoscrizione si trova solo nella copia di cui si è servito Haupt, ed è stata scritta da colui che ha fatto questa copia, cioè da Hartmann Zeibig, nato a Krasna, in Moravia, maestro del coro agostiniano di Klosterneuburg. È lui che, quand'era sacrista nel monastero, ha copiato il rnanoscritto C e alla fine del lavoro, secondo l'antica costumanza, ha aggiunto la frase in cui si denominava come copista. Lo stile medievale e l'antica ortografia della sottoscrizione hanno certamente contribuito a far nascere in Haupt il desiderio di dare il maggior numero di informazioni possibile sull'opera di cui si stava occupando e, di conseguenza, di datare il manoscritto C: perciò egli leggeva sempre 1350 anziché 1850 (motivo dell'atto mancato). 8. Nelle Arguzie e Satire di Lichtenberg4 [G. C. Lichtenberg, Witzige und satiriche Einfàlle, raccolti e pubblicati a Berlino nel 1853, parecchi anni dopo la morte dell'A. (1791)] si trova un'osservazione che praticamente riassume tutta la teoria dei lapsus di lettura: a forza di leggere Omero, dice, ho finito col leggere Agamennone tutte le volte che trovavo il termine angenommen [accettato]. Nella maggioranza dei casi, infatti, il testo viene deformato dal segreto desiderio del lettore, ed egli vi introduce ciò che lo interessa e che lo preoccupa. In tal caso, perché si verifichi il lapsus è sufficiente che tra le parole riportate nel testo e quella sostitutiva sussista una rassomiglianza che il lettore possa sfruttare nel senso che meglio si confà ai suoi desideri. Naturalmente un errore di questo genere si verifica più facilmente nel caso di una lettura rapida e se non si ha una vista perfetta, ma questa non è una condizione necessaria. 9. Sono certo che la guerra, avendo suscitato in tutti preoccupazioni fisse ed ossessive, abbia favorito in un modo del tutto particolare i lapsus di lettura. Spessissimo mi è capitato di poter verificare questa mia teoria, ma purtroppo, sono in grado di ricordare ben pochi esempi di questo tipo. Una volta apro il giornale del pomeriggio o della sera e vi trovo, stampato in grossi caratteri, questo titolo: La pace a Gorizia [Der Friede von Görz]. Ma no, il titolo annuncia solo: I nemici davanti a Gorizia [Die Feinde vor Görz]. Ad un uomo che ha due figli al fronte si può concedere un errore di questo tipo. Un altro, leggendo, vede scritto vecchia tessera del pane [alte Brotkarte], ma subito si accorge di essersi sbagliato e che si tratta in realtà di vecchi broccati [alter Brokate]. Bisogna aggiungere che egli regalava spesso le sue tessere per il pane ad una signora nella cui casa era sempre accolto amichevolmente. Un ingegnere, insufficientemente equipaggiato per resistere all'umidità di un tunnel alla cui costruzione era preposto, un giorno, con suo grande stupore, legge sul giornale un annuncio riguardante alcuni oggetti in «pelle di qualità scadente [Schundleder]». Ma è difficile che i commercianti siano tanto onesti; l'annuncio si riferisce, in realtà, ad oggetti in «pelle di foca» [Seehundleder]. Spesso la natura dell'errore è determinata dalla professione e dalla situazione attuale del lettore. Un filologo, che in seguito alla pubblicazione del suo ultimo libro, eccellente, si trova a polemizzare con alcuni colleghi, legge «linguaggio bellico», anziché «l'ingranaggio bellico». Un uomo che passeggia per una città straniera proprio nell'ora in cui, per una cura che sta facendo, le sue funzioni intestinali sono stimolate, legge su una grande insegna del primo piano di un grande magazzino: reparto gabinetti. Ma alla sua soddisfazione si aggiunge un grande stupore nel vedere quella benefica istituzione situata in luogo così insolito; e ben presto la sua soddisfazione scompare perché si accorge che sull'insegna è scritto, in realtà: reparto giovinetti. 10. In un secondo gruppo di casi il testo ha un'importanza molto più rilevante nella produzione del lapsus. Esso può contenere qualcosa che desta la difesa nel lettore, una comunicazione o una suggestione dolorosa; perciò, mediante il lapsus, esso viene modificato, sia nel senso della sua soppressione, sia in quello della realizzazione di un desiderio. Si può ammettere con certezza che, in casi di questo tipo, il testo ha cominciato con l'essere accettato e giudicato correttamente, prima di subire la correzione, anche quando il contenuto di questa prima lettura non è stato recepito dalla coscienza. Il caso 3, di cui sopra, è un esempio di questo fenomeno. Ne riferisco un altro, di grande attualità, secondo il dottor M. Eitingon, che a quei tempi era medico all'ospedale militare di Iglò («Internat. Zeitschr. f. Psychoanal.», 11, 1915). «Un giorno il tenente X., curato dal nostro ospedale per una nevrosi di guerra, mi legge il verso che chiude l'ultima strofa di una poesia di Walter Heymann5 (W. Heymann: Kriegsgedichte und Feldpostbriege, p. 11: «Den Ausziehenden»), morto in età così prematura. Ecco cosa mi recita in tono molto commosso: Wo aber steht's geschrieben, frag' ich, dass von alien Ich tibrig bleiben soli, ein andrer fiir mich falien? Wer immer von euch fallì, der stirbt gewiss für mich; Und ich soli ùbrig bleiben? Warum denn nicht? 6 [«Ma dove sta scritto, ditemi, che io debba restare solo ed un altro debba morire per me? Tutti quelli di voi che muoiono, muoiono sicuramente per me. Ed io dovrei restare? Perché no?»; le esatte parole con cui termina U verso sono invece: «Perché io?».] Vedendomi un po' stupito, rilegge, piuttosto turbato, ma stavolta correttamente: Und ich soli übrig bleiben? Warwn denti ich? Il caso di X. mi ha fornito l'occasione per fare un'analisi più approfondita di questa "nevrosi di guerra" e nonostante un ospedale militare, con tutte le sue necessità e la scarsezza di medici, presenti condizioni ben poco favorevoli ad un lavoro come il nostro, sono riuscito a spingermi un po' al di là del ben noto fattore traumatico costituito dall'esplosione delle granate. Il tenente X. presentava alcuni gravi sintomi che conferiscono a tutti i casi di nevrosi di guerra una rassomiglianza a prima vista piuttosto notevole: angoscia, tendenza a piangere per i motivi più futili, attacchi di collera con manifestazioni convulsive, manifestazioni motorie infantili, tendenza al vomito ad ogni più insignificante eccitazione o emozione. La psicogenesi di quest'ultimo sintomo, che costituiva per i nostri malati un sistema inconscio per ottenere un congedo per malattia supplementare, appariva ben chiara a tutti. La comparsa del comandante dell'ospedale, che ogni tanto veniva ad ispezionare i convalescenti, la frase di un amico incontrato per la strada: "Lei ha un ottimo aspetto, certamente sta già bene", bastavano a provocare un violento attacco di vomito». 11. Ecco qualche altro caso di lapsus di lettura collegato alla guerra, pubblicato dal dottor Hanns Sachs (Vienna) nell'«In-ternat. Zeitsch. f. Psychoanalyse», iv, 1916-17. I. «Un mio conoscente mi aveva a più riprese dichiarato che, il giorno in cui fosse stato richiamato, non si sarebbe in alcun modo servito dei documenti attestanti la sua professione e che gli davano il diritto di essere impiegato nelle retrovie, ma che avrebbe chiesto di essere mandato al fronte. Poco prima della sua chiamata al fronte mi annunciò bruscamente e senza spiegazioni di aver presentato alle autorità i suoi attestati e di essere stato destinato ad uno stabilimento industriale. 11 giorno dopo ci incontrammo in un ufficio postale. Io stavo scrivendo, seduto ad una scrivania; questo tale è entrato, ha gettato uno sguardo al di sopra delle mie spalle e ha detto: "Ma guarda, c'è scritto imbucato; in un primo momento avevo letto imboscato!"». II. «Seduto in un tram penso a tanti miei amici di giovinezza che erano sempre stati considerati deboli e cagionevoli di salute, e che invece oggi riescono a sopportare fatiche durissime, alle quali io certo non resisterei. Mentre sono immerso in questo pensiero così poco allegro, leggo di sfuggita, sovrappensiero, una insegna di un negozio: costituzioni di ferro. Un momento dopo mi dico che queste parole non sono molto adatte per un'insegna commerciale, mi volto rapidamente e faccio appena in tempo a rileggere l'iscrizione: costruzioni di ferro». III. «I giornali della sera riportavano la notizia Reuter, poi smentita, che annunciava l'elezione di Hughes alla presidenza degli Stati Uniti. Questa notizia era seguita da una breve biografia del preteso presidente di nuovaelezione, biografia nella quale lessi che Hughes ha studiato all'Università di Bonn. Mi è sembrato strano che in tutte le polemiche precedenti alle elezioni nessuno avesse parlato di questa circostanza. Ma rileggendo la biografia ho constatato che si trattava della Brown University. Era una svista abbastanza grossolana, che la scarsa attenzione con la quale avevo scorso il giornale non bastava a giustificare; c'era anche il fatto che, per ragioni sia politiche sia personali, non condividevo molto le simpatie del nuovo presidente per le Potenze Centrali». 2. Lapsus calami12. Su un foglio di appunti giornalieri riferentesi a questioni di carattere prevalentemente pratico, trovo con sorpresa la data sbagliata: «Giovedì, 20 ottobre», tra le altre esatte del mese di settembre. È molto semplice spiegare questa anticipazione come espressione di un desiderio. Ritornato da qualche giorno dalle vacanze, mi sento completamente ritemprato dalle fatiche dell'annata ed in perfetta forma per riprendere il lavoro professionale. Ma i clienti tardano a venire. Al ritorno ho trovato una lettera nella quale una paziente mi annunciava la sua visita per il 20 ottobre. Annotando questa data tra quelle del mese di settembre, deve senz'altro aver pensato: «La signora X. dovrebbe già essere qui; peccato che la sua visita sia rimandata di un mese!». E pensando questo ho anticipato la data. Il pensiero perturbatore che aveva agito in questo caso non aveva niente di criticabile; è per questo che sono riuscito a spiegare il mio lapsus non appena me ne sono accorto. Ho ritrovato un lapsus del tutto simile e motivato dalle stesse ragioni sulla mia agenda dell'anno successivo. E. Jones ha studiato vari errori di questo tipo riguardo a delle date e non ha trovato difficoltà nell'inter-pretarle. 13. Ricevo le bozze di un articolo destinato allo «Jahresbe-richt fiir Neurologie und Psychiatrie», e naturalmente devo rivedere con la massima cura i nomi degli autori, tra i quali parecchi strani, particolarmente difficili da decifrare e da comporre. Infatti trovo parecchie correzioni da fare, ma, caso strano, uno di questi nomi è stato corretto, e corretto bene, dallo stesso compositore, in contrasto col mio manoscritto. Egli ha composto Burckhard, anziché Buckrhard, com'era nel manoscritto. Il mio articolo conteneva un elogio di un ostetrico, Burckhard, per un suo lavoro sull'influenza del parto sulla genesi della paralisi infantile; e questo era tutto quanto sapevo su questo autore. Ma Burckhard era anche il nome di uno scrittore viennese la cui sciocca critica alla mia Interpretazionedei sogni mi aveva parecchio seccato. Fu come se, scrivendo il nome dell'ostetrico Burckhard, avessi voluto sfogare il mio malumore contro lo scrittore Burckhard, perché molto spesso, come ho fatto osservare anche a proposito dei lapsus, la deformazione dei nomi è espressione di disprezzo.7 (Vi ricordo a proposito il seguente passo del Giulio Cesare di Shakespeare (III, 3). cinna: Ve lo assicuro il mio nome è Cìnna. cittadini: Fatelo a pezzi! È un congiurato. cinna: Io sono Cinna il Poeta. Non sono Cinna il congiurato. cittadini: Non ha importanza; strappategli il nome dal cuore e lasciatelo andare.) 14. Questa opinione trova una conferma nell'interessante osservazione che A. J. Storfer ha fatto su di sé e nella quale egli mette a nudo, con una franchezza degna di lode, i motivi che l'hanno spinto a riprodurre inesattamente ed a scrivere in modo non corretto il nome di un suo presunto rivale («Internat. Zeitschr. f. Psychoanalyse», ri, 1915). Deformazione ostinata di un nome. «Nel dicembre del 1910 ho visto nelle vetrine di un libraio di Zurigo un nuovo libro del dottor Eduard Hitschmann sulla teoria freudiana delle nevrosi. Proprio allora stavo lavorando ad una conferenza, impostata sui fondamenti della psicologia freudiana, che dovevo tenere in un'associazione accademica. Nell'introduzione, appena terminata, insistevo sui rapporti storici sussistenti tra la psicologia freudiana e le ricerche sperimentali, sulle difficoltà che si oppongono ad un'esposizione sintetica dei fondamenti di questa teoria e sul fatto che niente del genere era stato ancora pubblicato. In un primo momento, vedendo nella vetrina il libro di E. Hitschmann (che a quei tempi era per me un autore sconosciuto) non mi era venuto in mente di comprarlo. Ma quando, qualche giorno dopo, decisi di farlo, non ritrovai più il libro nella vetrina. Chiesi al libraio questo libro dando il nome dell'autore: "dottor E. Hartmann". Il libraio mi corresse: "vuol dire Hitschmann", e mi portò il libro. Il motivo inconscio del mio lapsus era evidente. Io ero piuttosto orgoglioso di aver per primo concepito un'esposizione sintetica della teoria psicoanalitica, ma il libro di Hitschmann sembrava diminuire il mio merito, e perciò m'ispirava una sensazione di gelosia e di contrarietà. Secondo la Psicopatologia della vita quotidiana, mi sono detto, la deformazione di un nome sta ad indicare un'interiore ostilità. E per il momento mi ero accontentato di questa spiegazione. Qualche settimana dopo, ho ripensato a questo atto mancato, ed allora mi sono chiesto perché mai avessi trasformato Eduard Hitschmann in Eduard Hartmann. Era solo per la rassomiglianza col nome del celebre filosofo? La prima associazione che mi venne in mente fu il ricordo di un apprezzamento espresso una volta dal professore Hugo Metzl, un entusiasta di Schopenhauer: "Eduard von Hartmann non è che uno Schopenhauer sfigurato, deformato". Lo stato affettivo che ha determinato in me la sostituzione del nome di Hitschmann con quello di Hartmann fu dunque questo: "Bene, questo Hitschmann e la sua esposizione sintetica non valgono un granché; costui sta a Freud come Hartmann sta a Schopenhauer". Avevo dunque annotato questo caso psichicamente determinato di dimenticanza di un nome con nome sostitutivo. Sei mesi più tardi, essendomi capitato tra le mani il foglio sul quale avevo annotato questo caso, constatai che avevo scritto sempre Hintschmann, anziché Hitschmann». 15. Ecco un caso di lapsus calami molto più serio e di cui potrei trattare anche a proposito delle «sbadataggini». Ho intenzione di ritirare dalla Cassa di Risparmio trecento corone, per mandarle ad un mio parente cui è stato prescritta una cura termale. Vedo che i miei risparmi ammontano a quattromilatre-centottanta corone e penso di ridurli alla cifra tonda di quattromila corone, che per un bel po' non dovrà più essere intaccata. Dopo aver completato regolarmente il modulo e indicato la cifra da prelevare, mi accorgo di non aver richiesto trecentot-^ tanta corone, ma quattrocentotrentotto corone, e questo errore mi stupisce. Tuttavia, mi rendo immediatamente conto che non è il caso di allarmarsi, perché il fatto di aver ritirato una somma superiore non mi rende certo più povero. Ma passa un po' di tempo prima che io scopra l'elemento inconscio che è intervenuto a perturbare la mia intenzione iniziale. In un primo momento vado fuori strada: faccio la sottrazione quattrocentotrentotto meno trecentottanta, ma il risultato non mi dice nulla. Ma quattrocentotrentotto è il 10% del mio deposito complessivo di quattromilatrecentottanta corone! E dal libraio io ho il 10% di riduzione. Mi viene in mente che qualche giorno fa ho messo insieme un certo numero di libri di medicina, che non mi interessano più, e li ho offerti al libraio per la somma complessiva di trecento corone. Egli mi ha detto che questo prezzo è troppo alto e mi ha promesso di darmi presto una risposta. Se accettasse le mie condizioni, potrei recuperare la somma spesa per il malato. È evidente che non ho voglia di spendere questo danaro. L'emozione che ho provato quando mi sono accorto del mio errore si spiega col terrore di impoverirmi, di rovinarmi con spese di quel genere. Ma io non sono cosciente del fastidio e del timore che ho provato in relazione a questa spesa; quando ho promesso questa somma non ero affatto scontento e mi sembrerebbe ridicolo che qualcuno cercasse di dimostrarmi il contrario. Mi rifiuterei di ammettere di provare sentimenti di questo tipo, se la pratica psicoanalitica non mi avesse fatto ben conoscere il fenomeno della repressione e se non avessi fatto, qualche giorno prima, un sogno che poteva essere interpretato nella stessa direzione8. 8 Si tratta del sogno che mi è servito come esempio in una breve monografìa «Sul sogno», apparsa nel N. VIH dei Grenzfragen des Nerven und Seelenlebens, pubblicati da Lowenfeld e Kurella, 1901.16. Adesso citerò, secondo Stekel, un altro caso sicuramente autentico. «Nella redazione di un settimanale molto diffuso, si è verificato un esempio di errore veramente incredibile. La redazione di questo giornale era stata pubblicamente accusata di "venalità"; bisognava, perciò, rispondere con un articolo di confutazione, che fu scritto in uno stile caldo e appassionato. Il redattore e, naturalmente, l'autore, hanno letto e riletto il manoscritto, poi le bozze, ed erano tutti molto soddisfatti. Ma improvvisamente si è presentato il correttore, il quale ha fatto notare un piccolo errore che era sfuggito a tutti gli altri. Il testo diceva: "I lettori ci renderanno giustizia e riconosceranno che noi abbiamo sempre combattutto per il bene del pubblico nel modo più "interessato". Inutile dire che l'autore voleva scrivere: nel modo più "disinteressato". Ma il suo pensiero più vero si era fatto strada con una forza elementare in quell'articolo appassionato». 17. La signora Kata Levy di Budapest, lettrice di Pester Lloyd, ha scoperto un'analoga confessione involontaria in un'informazione telegrafica che questo giornale ha ricevuto da Vienna il 16 ottobre 1918: Data l'illimitata fiducia che, per tutto il corso della guerra, ha regnato tra noi ed il nostro alleato tedesco, siamo certi che, comunque vadano le cose, le due Potenze prenderanno una decisione comune. Non è il caso d'insistere sul fatto che anche attualmente tra le due diplomazie alleate si svolge un'attiva e interrotta collaborazione. Solo qualche settimana dopo fu possibile esprimersi liberamente, senza ricorrere al lapsus calami (o al lapsus tipografico), su questa collaborazione. 18. Un americano, venuto in Europa in seguito ad un litigio con la moglie, le scrive per esprimerle il suo desiderio di riconciliarsi con lei e per invitarla a raggiungerlo un certo giorno. «Sarebbe bene se tu riuscissi a fare il viaggio sulla mia stessa nave, il Mauretania». Ma non spedisce la pagina che conteneva questa frase: preferisce ricopiarla, perché sua moglie non si accorga che in un primo momento egli aveva scritto Lusitania. Questo lapsus calami è chiarissimo e non richiede ulteriori spiegazioni. Ma fortunatamente siamo in grado di aggiungere qualche particolare: la moglie era venuta per la prima volta in Europa prima della guerra, in seguito alla morte della sua unica sorella e, se non mi sbaglio, il Mauretania è il transatlantico sopravvissuto al gemello Lusitania, che fu affondato durante la guerra.19. Dopo aver visitato un bambino, il medico scrive sulla ricetta il nome di un farmaco che, tra l'altro, contiene dell'alcool; intanto la madre del bambino lo tartassa con domande sciocche e superflue. Egli si sforza di dissimilare il proprio malumore, ma scrivendo commette un lapsus: sulla ricetta scrive «achol» (che in greco vuol dire pressapoco «senza bile») anziché alcool. 20. Ed ecco un caso analogo, riferito da E. Jones e A. A. Brill. Quest'ultimo, sebbene assolutamente astemio, una sera si lascia convincere da un amico a bere un po' di vino. La mattina dopo si sveglia con un mal di testa che gli fa deplorare la debolezza della sera precedente. Trovandosi a dover scrivere il nome di una paziente, che si chiama «Ethel», scrive «Ethyl» [alcool etilico]. C'è anche da dire che questa signora beve smodatamente. Dato che gli errori che un medico può commettere scrivendo una ricetta hanno un'importanza pratica molto superiore a quella dei normali atti mancati, ritengo opportuno riferire dettagliatamente la sola analisi finora pubblicata di un «lapsus calami» di questo tipo («Internat. Zeitschr. f. Psychoanalyse», i, 1913). Un caso di lapsus ripetuto più volte nella formulazione di ricette (comunicato dal dottor Hitschmann). «Un collega mi ha raccontato che quest'anno gli è successo più volte, prescrivendo un farmaco, di sbagliare l'indicazione deUa dose; i pazienti in questione erano donne anziane. Due volte gli è successo d'indicare una dose dieci volte troppo forte e, quando poi se n'era ricordato, temendo un danno per la malata e seri fastidi per sé, è stato costretto a precipitarsi a casa della paziente per correggere la ricetta. Val la pena di esaminare da vicino questo strano atto mancato, ed è quello che faremo, riferendo i vari casi. I. Il medico prescrive ad una anziana signora, che soffre di diarrea spasmodica, delle supposte a base di belladonna con un dosaggio dieci volte troppo forte di medicamento attivo. Egli lascia la clinica ed un'ora dopo, mentre si accinge a mangiare e a leggere il giornale, si ricorda d'improvviso del suo errore. Preoccupatissimo, torna immediatamente al policlinico per sapere l'indirizzo della malata, poi si precipita a casa di quest'ultima, che abita molto lontano. L'anziana signora non ha fatto ancora preparare il farmaco, perciò egli fa la correzione necessaria e se ne torna a casa tranquillizzato. La giustificazione, senz'altro fondata, ch'egli trova di fronte a se stesso, consiste nel fatto che, mentre scriveva la ricetta, il direttore della clinica, un chiacchierone, gli stava accanto e lo distraeva con i suoi discorsi. II. Il medico deve affrettarsi a terminare la visita di una giovane e provocante paziente, per andare a visitare una signorina anziana. Per non perdere tempo, dato che tra poco deve recarsi ad un appuntamento galante, salta su un taxi. Nella breve visita alla paziente, constata la presenza di sintomi che richiedono l'uso di belladonna. Prescrive questo medicamento in una dose dieci volte troppo forte, commettendo, cioè, lo stesso lapsus che abbiamo visto nel primo caso. La paziente gli parla di qualche particolare inerente alla sua malattia; il medico, pur assicurandola del contrario, si dimostra impaziente, e finalmente se ne va, giusto in tempo per arrivare puntuale al suo appuntamento. Circa dodici ore più tardi, si sveglia e si rende conto con spavento dell'errore commesso; allora incarica qualcuno di andare dalla paziente e di riportargli la ricetta, nella speranza che questa non sia stata ancora eseguita. Ma invece della ricetta, gli viene portato il farmaco già pronto; con stoica rassegnazione e l'ottimismo dato dall'esperienza, va dal farmacista; questi lo rassicura, dicendo che naturalmente (o, magari commettendo a sua volta un errore?) egli ha corretto il lapsus del medico e si è attenuto al dosaggio normale. III. Il medico intende prescrivere ad una vecchia zia, una sorella di sua madre, una mescolanza di tintura di belladonna e di tintura di oppio, in un dosaggio innocuo. La ricetta viene subito portata dal farmacista. Poco dopo il medico ricorda di aver prescritto dell'estratto, anziché della tintura, di questi farmaci; ed infatti riceve una telefonata dal farmacista che lo interroga in proposito. Egli si giustifica dicendo che la ricetta gli è stata strappata di mano, senza che gli restasse il tempo di rileggerla. Elementi comuni a questi tre casi sono: che l'errore riguardava sempre lo stesso medicamento; che i pazienti erano sempre donne anziane; che la dose prescritta era sempre troppo forte. È bastata una rapida analisi per capire che i rapporti tra il medico e sua madre erano intervenuti in modo decisivo nella ripetizione di questo genere di errore. In particolare egli ricorda che una volta (molto probabilmente "prima" che si verificasse l'atto mancato di cui ci occupiamo) ha prescritto alla madre 0,03 g. di questo medicamento, e non 0,02 g. come al solito, perché pensava che in questo modo si sarebbero raggiunti risultati più radicali. Questa dose aveva provocato nella madre, di salute molto cagionevole, una congestione al viso ed una sgradevole secchezza alla pelle. Ella se ne lamentò e disse scherzando che le prescrizioni dei figli medici potevano talvolta essere pericolose per i genitori. D'altra parte, in altri casi, la madre, a sua volta figlia di un medico, aveva rifiutato di sottomettersi a cure prescritte dal figlio, parlando, sempre in tono scherzoso, di un possibile avvelenamento. Per quel tanto che il relatore è riuscito a capire di rapporti tra madre e figlio, gli è sembrato che questi fosse naturalmente, spontaneamente affettuoso nei confronti della madre, ma che non avesse un'alta opinione delle sue doti intellettuali e non professasse un gran rispetto per lei. Dato che egli viveva con lei e con un fratello di un anno più piccolo, considerava da tempo questa convivenza un ostacolo per la sua attività erotica, e la psicoanalisi ci ha insegnato che pretesti di questo genere portano spesso ad un legame inconscio eccessivamente intimo. Il medico ha accettato l'analisi senza alcuna obiezione e si è dichiarato soddisfatto delle nostre spiegazioni; anzi, ha aggiunto ridendo che la parola "belladonna" poteva appunto significare "bella donna", cioè avere un riferimento erotico. In precedenza aveva avuto egli stesso l'occasione di usare questo medicamento». A mio parere, simili gravi atti mancati si verificano per l'identica via di quelli innocui, che di solito noi esaminiamo. 21. Ecco un lapsus calami del tutto innocuo comunicato da Ferenczi. Lo si può interpretare come l'effetto di una condensazione, dovuta ad impazienza (v. il lapsus Apfe); ma poi un'analisi più approfondita ha rivelato l'intervento di un fattore perturbatore più potente. «Questo fa pensare all'Anektode», scrivo nel mio libro di appunti. Naturalmente volevo scrivere Anekdote [aneddoto], e pensavo a quello sullo zingaro che, essendo stato condannato a morte, aveva ottenuto la grazia di scegliere l'albero al quale sarebbe stato impiccato (e nonostante le sue ricerche non riuscì a trovarne uno di suo gusto) 9 [In tedesco Tod = morte; ciò spiega, in relazione al contenuto dell'aneddoto, l'erronea grafia «anek/ode», anziché quella esatta «anekdote».] 22. In altri casi, invece, il lapsus calami apparentemente più innocuo può avere un significato molto grave. Un anonimo racconta: «Chiudo una lettera con le parole "Cordiali saluti a sua moglie e al figlio di lei". Ma un momento prima di chiudere la lettera mi accorgo dell'errore e mi affretto a correggerlo. Mentre tornavo dalla mia ultima visita a questa famiglia, una signora che era con me mi aveva fatto osservare che il ragazzo presentava una sconcertante somiglianza con un amico di famiglia e doveva certamente essere suo figlio». 23. Una signora scrive alla sorella una lettera di auguri per il suo trasferimento in una nuova casa molto lussuosa. Una amica che è venuta a trovarla mentre sta scrivendo questa lettera le fa osservare che essa ha scritto sulla busta un indirizzo sbagliato, e non quello dell'appartamento che la sorella ha appena lasciato, ma di un altro, dove questa aveva abitato nei primi anni di matrimonio. «Ha ragione, ammette la signora, ma come mai ho fatto questo errore?». E l'amica: «Può darsi che, essendo invidiosa del grande e bell'appartamento che sua sorella occupa attualmente, mentre lei è insoddisfatta del suo, preferisca collocarla di nuovo nella sua vecchia casa, quando la sua situazione non era migliore di quella in cui lei si trova attualmente». «È vero, sono invidiosa del suo nuovo appartamento», ammette sinceramente l'altra. E poi: «Che peccato essere così meschini in queste cose!». 24. E. Jones comunica il seguente esempio di «lapsus», riferitogli da A. A. Brill. Un paziente scrive a quest'ultimo una lettera nella quale tenta di spiegare il proprio stato di nervosismo con le preoccupazioni che gli derivano dai suoi affari, data una crisi nell'industria cotoniera. La lettera contiene tra l'altro questa frase: «Tutti i miei affanni sono dovuti a quella maledetta ondata (in inglese: wave) di freddo; non c'è nemmeno un seme». Con ciò si riferisce, naturalmente, all'andamento fluttuante del mercato; ma in realtà, anziché wave, scrive wife (moglie). Nel suo inconscio egli serba rancore a sua moglie per la sua frigidita e sterilità, e deve intuire che l'astinenza impostagli ha una parte importante nella comparsa dei suoi disturbi. 25. Il dottor R. Wagner riferisce («Zentralbl. f. Psychoanal.», I, 12) questo caso, osservato su se stesso. Rileggendo un vecchio quaderno dei tempi dell'università, mi accorgo che, nella fretta con cui scrivevo per seguire il professore, avevo commesso un «lapsus calami»: anziché Epithel [epitelio], avevo scritto Edhitel [diminutivo del nome femminile Edith]. L'analisi retrospettiva è molto semplice. Nel periodo in cui ho commesso il lapsus avevo rapporti molto superficiali con una giovane donna che si chiamava appunto Edith. Solo in seguito i nostri rapporti sono divenuti più intimi. Perciò il mio lapsus si mostra come una bella testimonianza di una tendenza inconscia, e questo in un momento in cui non pensavo affatto alla possibilità di rapporti intimi tra Edith e me. Inoltre, il fatto di aver usato il diminutivo caratterizza i sentimenti che accompagnavano la mia tendenza inconscia. 26. Nei suoi «Contributi al capitolo sui lapsus di lettura e di scrittura» («Zentralbl. f. Psychoanalyse», II, 5), la dottoressa Von Hung-Hellmuth scrive: Un medico prescrive ad una paziente dell'acqua minerale di Levitico, anziché di Levico 10 [Levico è una località nei pressi di Trento. Il Levitico è il libro dell'Antico Testamento che contiene le prescrizioni per i Leviti, e «fare prediche da Levita» è una tipica espressione tedesca; ciò chiarisce il seguito dell'episodio]. Questo lapsus, che fornì al farmacista un'occasione per osservazioni malevole, può essere spiegato facilmente, qualora se ne ricerchino le possibili cause nell'inconscio e non si rifiuti loro, per un pregiudizio, una certa verosimiglianza, considerandole come derivanti da un'opinione soggettiva di una persona estranea al medico. Questi, sebbene rimproverasse spesso, ed in modo piuttosto duro, i suoi pazienti, per la loro alimentazione poco razionale, aveva una clientela molto vasta, sicché nelle ore di ricevimento la sala d'attesa era sempre piena ed egli era costretto a chiedere ai malati di rivestirsi in fretta dopo la visita. «Vite, vite», diceva in francese. Mi sembra che sua moglie fosse di origine francese, il che giustifica in parte la mia ipotesi, un po' azzardata, che, nel suo desiderio di vedere i pazienti succedersi più in fretta possibile, egli facesse ricorso a questa parola francese. Del resto sono molti quelli che esprimono desideri di questo tipo servendosi di parole straniere: così, nelle passeggiate che faceva con noi quando eravamo bambini, nostro padre ci rivolgeva spesso i suoi ordini in italiano («avanti, gioventù!) o in francese («marchez au pas!»); e quando, da ragazza, ero in cura per un mal di gola, il medico, un uomo piuttosto anziano, mi calmava con un tranquillo «piano, piano» . Perciò mi sembra del tutto verosimile che il medico di cui ci occupiamo avesse la stessa abitudine; ed allora la sua prescrizione (il suo lapsus) «acqua di Levitico», anziché acqua di Levico, sarebbe spiegata. La dottoressa von Hung-Hellmuth aggiunge altri esempi tratti dai ricordi della sua giovinezza. 27. Ecco un lapsus calami che potrebbe essere preso per un gioco di parole di dubbio gusto, ma che è stato commesso senza alcuna intenzione di fare dello spirito. Mi è stato riferito dal signor I. G., già citato per un altro contributo a queste ricerche. «Internato in un sanatorio per un'affezione polmonare, vengo a sapere, con grande rammarico, che un mio vicino parente è stato riconosciuto affetto dalla stessa malattia che mi ha portato al sanatorio. Scrivo subito a questo mio parente per consigliargli di andare a consultare uno specialista, un professore molto noto, presso il quale sono in cura anch'io. Aggiungo che pur essendo convinto della competenza medica di questo professore, lo ritengo una persona poco cortese, perché poco fa ha rifiutato di farmi un certificato che ritengo molto importante per me. Nella risposta alla mia lettera, il parente mi fa osservare un errore che ho commesso scrivendola. Io trovo immediatamente la ragione di questo lapsus, e tutta la faccenda mi diverte enormemente. La mia lettera conteneva questa frase: "Ti consiglio di andare subito al 'insultare' il professor X". Non è il caso di dire che io intendevo scrivere: "consultare"». Naturalmente la stessa spiegazione che vale per i lapsus può essere applicata anche alle omissioni commesse scrivendo. Nel «Zentralblatt f. Psychoanalyse» I, 12, B. Dattner, dottore in diritto, comunica un notevole esempio di «atto mancato storico». 28. «In un articolo sulle leggi degli obblighi finanziari dei due Stati, articoli che sono stati convenuti nel corso del compromesso del 1867 tra l'Austria e l'Ungheria, la parola "effettivo" è stata omessa dalla traduzione ungherese e, secondo il dottor Dattner, questa omissione potrebbe essere dovuta all'inconscia tendenza dei redattori ungheresi della legge ad accordare all'Austria il meno possibile. È altrettanto probabile che frequenti casi di ripetizione delle stesse parole, ripetizioni che si verificano quando si copia o si scrive, cioè i casi detti di "perseverazione", abbiano anch'essi un significato. Quando uno scrittore scrive una seconda volta una parola già scritta, con ciò dimostra che gli era difficile separarsi da questa parola, che nella frase in cui quésta è inserita egli avrebbe potuto dire di più, ma ha omesso di farlo, e via di seguito. Nel caso del copista, la perseverazione sembra sostituire l'espressione: "ed anch'io"». Ho avuto modo di leggere lunghe perizie mediche legali che Presentavano delle «perseverazioni» nei punti più tipici; ed in tutti i casi ho cercato di spiegare queste «perseverazioni» con la contrarietà che il copista doveva provare per il ruolo impersonale che gli era devoluto: si sarebbe detto che egli volesse ogni volta aggiungere questo commento: «È proprio il mio caso», o, «proprio come da noi», ecc. Niente ci impedisce di estendere la nostra spiegazione agli errori tipografici e di considerarli come dei lapsus calami del compositore, suscettibili della stessa interpretazione degli altri errori di scrittura. Non ho fatto una lista sistematica di questi atti mancati; ma credo che sarebbe molto divertente ed istruttiva. Nel suo lavoro già più volte citato, E. Jones ha dedicato un paragrafo proprio ai refusi. 29. Anche le storpiature nei telegrammi possono ridursi, in certi casi, a lapsus commessi dal telegrafista. Durante le vacanze ricevo dal mio editore un telegramma dal testo incomprensibile: «Ottima refezione, urge formaggio X». La chiave dell'enigma mi è fornita dal nome X. X. è il recensore di un mio libro, e devo mandargliene una copia in omaggio. Formaggio deriva appunto da fare omaggio. Poi mi viene in mente che qualche giorno prima ho mandato a questo editore una prefazione, lodata dall'editore. Perciò è molto probabile che il testo originale fosse «Ottima prefazione, urge omaggio». E' probabile che la deformazione del testo sia stata dettata al telegrafista dal «complesso di fame», e che egli abbia stabilito tra le due parti della frase una correlazione più stretta che nel testo originale. Questo caso inoltre costituisce un ottimo esempio di quella elaborazione secondaria che si ritrova nella maggior parte dei lapsus calami. 30. Anche altri autori hanno segnalato errori tipografici del cui carattere sintomatico è difficile dubitare. Cito a questo proposito l'articolo di Storfer. Der politisene Druckfehlerteufel, apparso nel «Zentralblatt. f. Psychoanalyse», II, 1915, e la notizia apparsa nella stessa rivista (III, 1915) e che riporto: Un errore tipografico di interesse politico si trova nel numero del venticinque aprile del giornale Màrz. Una corrispondenza da Argirocastro riferisce le affermazioni di Zographos, capo dei ribelli epiroti dell'Albania (o, se si vuole, del governo indipendente dell'Epiro). Zographos avrebbe detto, tra l'altro: «Credetemi, il principe è più interessato di chiunque altro all'autonomia dell'Espiro, perché è solo su un Epiro indipendente che egli potrebbe affossarsi». E certo che, anche senza questo fatale errore di stampa, il principe d'Albania eviterà di rafforzarsi con l'appoggio degli Epiroti. (Comunicato di A. I. Storfer). 31. Ho letto recentemente in un giornale viennese un articolo il cui titolo: «La Bukovina sotto la dominazione "rumena"» era quanto meno prematuro, in quanto, all'epoca in cui questo articolo fu pubblicato, la Romania non era ancora in guerra con noi. Dato il contenuto dell'articolo, il suo titolo avrebbe dovuto essere: «La Bukovina sotto la dominazione russa», ma perfino il censore deve aver trovato il titolo talmente naturale che l'ha lasciato passare senza obiezioni. Wundt dà una spiegazione molto interessante del fatto, facilmente verificabile, che noi commettiamo più facilmente dei lapsus calami che dei lapsus linguae: Durante il discorso normale, la funzione inibitrice della volontà tende costantemente a mantenere l'accordo tra le successioni delle rappresentazioni ed i movimenti d'articolazione. Quando il movimento d'espressione che segue le rappresentazioni viene rallentato per cause meccaniche, come quando si scrive..., le anticipazioni del genere di quelle di cui abbiamo appena parlato si verificano facilmente. Dall'osservazione delle condizioni in cui si verifica un errore di lettura sorge un dubbio che non posso lasciare passare sotto silenzio, perché secondo me può divenire il punto di partenza per feconde ricerche. Tutti sanno che spesso, nella lettura ad alta voce, l'attenzione del lettore si distoglie dal testo per seguire altre idee. In questo caso il lettore, se interrogato su ciò che ha letto, non sa dirne nulla, cioè egli ha agito automaticamente, benché correttamente. Io non credo che questo possa far aumentare il numero degli errori di lettura. Infatti noi sappiamo o crediamo di sapere, che tutta una serie di funzioni vengono compiute in modo più o meno automatico, cioè al di fuori dell'attenzione cosciente, e tuttavia con la massima precisione. Sembrerebbe perciò che lo stato dell'attenzione negli errori di lettura, nei lapsus linguae e nei lapsus calami, sia diverso da quello ammesso da Wundt (mancanza o attenuazione della a). Gli esempi che abbiamo analizzato non ci autcrb/ano a parlare propriamente di una diminuzione quantitativa dell'attenzione; noi abbiamo trovato invece, e non è esattamente la stessa cosa, una perturbazione nell'attenzione dovuta all'intervento di un'idea estranea. Dimenticare di apporre la propria firma è un caso intermedio tra il lapsus calami e la dimenticanza. Un assegno non firmato equivale ad un assegno dimenticato. Per dimostrare il significato di una dimenticanza di questo genere, citerò un brano di un romanzo, segnalatomi da H. Sachs: Nel romanzo di John Galsworthy I farisei dell'isola, si trova un esempio molto interessante e molto preciso della sicurezza con la quale i poeti sanno utilizzare in senso psicoanalitico il meccanismo degli atti sintomatici e degli atti mancati. Il romanzo è incentrato intorno al conflitto interiore che si svolge nell'animo di un giovane appartenente alla buona borghesia, combattuto tra un profonfo sentimento di solidarietà sociale e le convenzioni della sua classe. Nel 26° capitolo l'autore ci racconta le sue reazioni di fronte ad una lettera scrittagli da un giovane vagabondo che egli, attratto da quel modo originale di concepire la vita, aveva talvolta aiutato. Nella lettera non c'è un'espressa richiesta di denaro, ma sono descritte condizioni così miserevoli da escludere ogni altra conclusione. Il destinatario comincia col dirsi che è assurdo buttar via del denaro per aiutare un soggetto incorreggibile, anziché sostenere associazioni benefiche. «Tendere a qualcuno una mano soccorrevole, dargli qualcosa di sé, fare un gesto di amicizia nei suoi confronti, e ciò senza richiedere niente, solo perché lui si trova in difficoltà: che assurdo sentimentalismo! Ad un certo punto bisogna sapersi fermare e porsi un limite inderogabile!». E mentre faceva tra sé e sé queste riflessioni, sentiva che la sua lealtà si rivoltava contro queste conclusioni: «Bugiardo, tu vuoi solo tenerti il tuo denaro, tutto qui!». Si affrettò a scrivere una lettera amichevole, che terminava con le parole: «Allego un assegno Vostro devoto Richard Shelton». Prima che egli avesse finito di riempire l'assegno, la sua attenzione venne attratta da una farfalla che volava intorno alla lampada; decise di acchiapparla per rimetterla in libertà; e occupato in questa operazione, dimenticò di infilare l'assegno nella busta. Ma questa dimenticanza ha una motivazione che va al di là della tendenza, che Shelton sembrava essere riuscito a rimuovere, ad evitare una spesa. |