3. Dimenticanza di nomi e di frasi

La nostra recente esperienza del meccanismo della dimenticanza di una parola in lingua straniera potrebbe suscitare in noi la curiosità di sapere se la stessa spiegazione possa essere applicata alla dimenticanza di frasi della lingua madre.

In genere, non ci stupiamo affatto dell'impossibilità in cui ci si può trovare nel riprodurre fedelmente e senza lacune una formula o una poesia imparata a memoria.

Ma poiché la dimenticanza non riguarda uniformemente quanto si era imparato, ma solo determinati elementi, potrebbe essere interessante sottomettere ad un esame analitico alcuni esempi di questa riproduzione difettosa.

Un mio giovane collega che, conversando con me, espresse l'opinione che la dimenticanza di versi nella lingua materna potesse essere provocata dalla stessa causa della dimenticanza di nomi inseriti in una frase in lingua straniera, mi si offrì come oggetto di esperimento, per contribuire alla comprensione di questo problema.

Gli chiesi su quale poesia avremmo fatto il nostro esperimento, ed egli scelse La fidanzata di Corinto [di Goethe], che gli piaceva molto e di cui gli sembrava di conoscere a memoria almeno alcune strofe. Ma fin dal primo verso espresse un'incertezza abbastanza curiosa: «Bisogna dire: "Si recò da Corinto ad Atene", o "Si recò da Atene a Corinto?"».

Provai io stesso un attimo d'esitazione, ma poi osservai scherzosamente che il titolo della poesia, La fidanzata di Corinto, non lascia alcuna possibilità di dubbio sulla direzione presa dal giovane protagonista. La riproduzione della prima strofa andò abbastanza bene, perlomeno senza deformazioni notevoli.

Dopo il primo verso della seconda strofa, il mio collega ebbe un attimo di incertezza, ma si riprese subito e recitò:

Aber wird er auch willkommen scheinen,

fetzt, wo jeder Tag was Neues bringt?

Denn er ist nodi Heide mit den Seinen

Und sie sind Christen una - getauftx1

[«Ma sarà davvero il benvenuto

Adesso che ogni giorno c'è qualcosa di nuovo?

Perché egli ed i suoi beni sono ancora pagani

Mentre essi sono cristiani e battezzati»].

Già da qualche momento lo ascoltavo un po' perplesso; ma dopo che ebbe recitato l'ultimo verso, ci trovammo d'accordo sul fatto che questa strofa doveva aver subito una qualche deformazione. Non essendo riusciti a correggerla, andammo a prendere nella biblioteca il volume delle poesie di Goethe ed avemmo la sorpresa di constatare che il secondo verso di quella strofa era stato sostituito da una frase che il mio collega aveva inventato di sana pianta. Ecco il testo corretto di questo verso:

Aber wird er auch willkommen scheinen,

Wenn er teuer nicht die Gunst erkauft?2

[«Ma sarà egli il benvenuto

Senza dover pagar caro per questo favore?»].

D'altra parte, la parola erkauft (del secondo verso esatto) fa rima con getauft (del quarto verso), e mi stupì che la costellazione delle parole pagano, cristiano e battezzato non gli avesse facilitato la riproduzione del testo.

«Può spiegarmi, gli chiesi, come mai le è successo di dimenticare completamente questo verso di una poesia che, a quanto diceva, le è tanto familiare? E riesce a ricordare da dove possa provenire la frase sostitutiva?».

Egli era in grado di darmi la spiegazione che gli chiedevo, ma evidentemente non lo faceva volentieri. «La frase: Adesso che ogni giorno apporta qualcosa di nuovo mi sembra conosciuta, credo di averla usata mentalmente parlando della mia clientela che ora è piuttosto vasta, il che, lei lo sa, è per me un motivo di grande soddisfazione. Ma perché ho inserito questa frase nella strofa che ho recitato? Deve senz'altro esserci un motivo. Evidentemente la frase Senza pagar caro per questo favore non mi andava a genio. Ciò si ricollega ad una proposta di matrimonio che la prima volta è stata respinta ma che ho intenzione di ripetere, dato il miglioramento della mia situazione economica. Non posso dirle altro, ma non può certo farmi piacere pensare che, se stavolta la mia proposta viene accolta, sarà semplicemente per calcolo, così come per calcolo è stata respinta la prima volta».

Questa spiegazione mi parve soddisfacente e, a rigore, mi sarei potuto astenere dal fare domande più dettagliate. Insistetti, tuttavia: «Ma come le è successo di introdurre la sua persona ed i suoi affari privati nel testo de La fidanzata di Corinto? Ci sono forse nel suo caso differenze confessionali come nella poesia di Goethe?».

Keimt ein Glaube neu,

Wird oft Lieb'und Treu

Wie ein böses Unkraut ausgerauft3

[«Una nuova fede

Strappa via come erbaccia

Amore e fedeltà».]

Non avevo visto giusto, ma ho potuto constatare come una domanda diretta possa chiarire ad un uomo cose di cui prima non era cosciente. Infatti il mio interlocutore mi guardò con un'espressione addolorata e recitò a mezza bocca, come fra sé e sé, un altro brano della poesia:

Sieh sie an genau!

Morgen ist sie grau4.

[«Guardala bene: / Domani sarà grigia».]

(Del resto il mio collega ha modificato questo bel passo della poesia, sia nelle parole che nel significato. La ragazza fantasma dice al fidanzato: «Meine Kette hab' ich dir gegeben; / Deine Locke nehm' ich mit mir fort. / Sieh sie an genau! / Morgen bist du grau, / Und nur braun erscheinst du wieder dort»). [«Ti ho dato la mia catena; / Mi prendo una ciocca dei tuoi capelli. / Guardali bene! / Domani tu sarai grigio, / E solo nell'aldilà tornerai bruno».]

Ed aggiunse: «Lei è un po' più anziana di me».

Non volevo tormentarlo ulteriormente, perciò smisi di interrogarlo. Ero abbastanza soddisfatto. L'aspetto notevole di questo caso è che, nel mio tentativo di risalire alla causa di una lacuna mnestica in apparenza insignificante, mi sono trovato di fronte a fatti profondi, intimi, associati, nel mio collega, a sentimenti dolorosi.

Ecco ora un altro esempio di dimenticanza nella riproduzione di una nota poesia. Questo caso è stato pubblicato da Cari Gustav Jung5 (C. G. Jung, Ǖeber die Psychologie der Dementia praecox, 1907, p. 64)  ed io lo riproduco testualmente.

Un tale vuole recitare la celebre poesia6  [di Heinrich Heine, Lyrisches: Intermezzo] Un pino sta solitario. Nella strofa che comincia con: «Ha sonno...» si ferma, perché ha completamente dimenticato le parole: «d'una bianca copertura...». Sono stupito dalla dimenticanza di parole di una poesia così nota e prego il soggetto di comunicarmi liberamente tutto ciò che gli passa per la testa in connessione con le parole dimenticate. Ne deriva questa serie associativa: «La bianca copertura mi fa pensare ad un sudario - un lenzuolo per coprire un morto - (pausa) - ed ora penso ad un caro amico - suo fratello è appena morto di morte improvvisa - sembra sia morto per attacco apoplettico - anche lui era un tipo corpulento - il mio amico ha la stessa costituzione e mi è già capitato di pensare che potrebbe morire nello stesso modo - forse non fa abbastanza moto - quando ho saputo della morte, sono stato preso da un'ansia improvvisa, ho avuto paura di morire per qualcosa di analogo, perché in famiglia abbiamo tutti una certa tendenza alla pinguedine, ed anche mio nonno è morto per un attacco; mi sembra di essere troppo grosso ed ultimamente ho cominciato una cura dimagrante».

«Insomma - aggiunge Jung - questo signore si è inconsciamente identificato col pino circondato da un bianco sudario».

Quest'altro esempio, che mi è stato fornito da Sàndor Ferenczi, di Budapest, non si riferisce, al contrario degli altri, a brani poetici ma a un discorso del soggetto. Esso servirà ad illustrare il caso, non molto comune, della dimenticanza dovuta a prudenza, di fronte al rischio di cedere ad un impulso. In questo modo l'atto mancato viene ad assumere una funzione utile. Dopo essere tornati in noi, approviamo quel moto interiore che in un primo momento era riuscito a manifestarsi solo attraverso un lapsus, una dimenticanza, un'impossibilità psichica.

In un gruppo di persone qualcuno pronuncia la frase «tout comprendre, c'est tout pardonner». Allora io osservo che la prima parte della frase è già sufficiente; pensare di poter «perdonare» è pura presunzione, dato che solo Dio ed i preti hanno il diritto di farlo. Uno dei presenti trova che la mia osservazione è molto giusta; io mi faccio audace e, volendo rafforzare la buona opinione che questa persona si è fatta di me, dico di aver avuto recentemente un'intuizione ancora più interessante. Vorrei esporre questa idea, ma non riesco a ricordarla. Mi ritiro in disparte e comincio ad annotare le associazioni libere che mi vengono in testa. Per prima cosa penso ai nomi dell'amico e della strada che furono testimoni della nascita della battuta che vado ricercando; poi mi viene in mente il nome di un altro amico, Max, familiarmente chiamato Maxi. Questo mi suggerisce la parola massima e, a questo proposito, ricordo che anche allora, come in questo caso, si trattava della modificazione di una massima popolare. Ma il fatto strano è che a questo ricordo non si associa una massima, ma la frase «Dio ha creato l'uomo a propria immagine e somiglianza» e poi la variante «l'uomo ha creato Dio a propria immagine e somiglianza». Dopodiché, ritrovo tra i miei ricordi ciò che ricercavo. Quella volta il mio amico mi aveva detto, nella via Andrássy: «Niente di ciò che è umano mi è estraneo», al che io avevo risposto, alludendo alle esperienze psicoanalitiche: «Dovresti andare oltre e confessare che niente di bestiale ti è estraneo». Dopo che ebbi rintracciato il mio ricordo, mi resi conto che non potevo parlarne al gruppo di persone tra le quali mi trovato. Tra i presenti si trovava anche la giovane moglie del mio amico cui avevo ricordato la sua natura animale, e sapevo benissimo che essa non era affatto preparata a sentire cose così poco piacevoli. La dimenticanza mi aveva risparmiato tutta una serie di domande imbarazzanti da parte sua. Era questa, senz'altro, la ragione della mia «temporanea amnesia».

Il fatto interessante è che l'idea sostitutiva aveva trovato espressione in una frase in cui Dio era abbassato al livello di invenzione umana, mentre quella che io ricercavo riguardava la natura animale dell'uomo. Dunque, capitis diminutio in entrambi i casi. Tutto questo, evidentemente, non era altro che la continuazione di un ragionamento il cui punto di partenza era stato il «comprendere e perdonare». Il fatto notevole è che io sono riuscito a ritrovare rapidamente la frase ricercata solo per il fatto di essermi allontanato, isolandomi in una stanza solitaria, dal gruppo delle persone che in qualche modo esercitavano su questa frase una specie di censura.

Da allora ho analizzato vari altri casi di dimenticanza o di riproduzione inesatta di frasi ed ho avuto modo di constatare che erano quasi tutti soggetti al meccanismo rilevato negli esempi di aliquis e di La fidanzata di Corinto. Riferire queste analisi non è sempre possibile perché, nella maggior parte dei casi, come in quelli precedenti, si è costretti a trattare di cose intime e talvolta dolorose per il soggetto dell'esperimento; non ritengo opportuno, perciò, riportare altri esempi. L'elemento comune a tutti i casi, nonostante le differenze contenutistiche, è che la parola dimenticata o deformata è sempre in qualche modo associata ad un'idea inconscia, la cui azione si evidenzia appunto attraverso la dimenticanza.

Adesso riprendo ad occuparmi della dimenticanza di nomi, dato che non ho ancora esaurito né la casistica né i motivi di tale fenomeno. Gli esempi non mi mancano, dato che ho spesso avuto modo di osservare su me stesso questo tipo di atto mancato. Le lievi emicranie di cui ancor'oggi soffro, in genere si preannunciano qualche ora prima con dimenticanza di nomi e al culmine del malessere, sebbene io sia perfettamente in grado di continuare a lavorare, ho spesso amnesia di tutti i nomi propri. Ma un caso come il mio potrebbe facilmente dare appiglio ad un'obiezione di principio contro tutte le nostre ricerche analitiche. Un'osservazione di questo genere non potrebbe fare pensare che la causa della tendenza alla dimenticanza, soprattutto di nomi propri, consista in disturbi circolatori e genericamente funzionali del cervello? Ed allora non sarebbe bene desistere dai tentativi di spiegazione psicologica di questi fenomeni? Non direi; questo vorrebbe dire confondere il meccanismo di un processo, uguale in tutti i casi, con le circostanze, variabili e non sempre necessarie, che possono favorirlo. Ma, anziché impegnarmi in una discussione, preferisco respingere l'obiezione con una similitudine.

Poniamo che io sia stato tanto imprudente da avventurarmi, a notte tarda, in un quartiere deserto della città e sia stato assalito da alcuni malfattori e derubato dell'orologio e del portafogli. Mi reco al più vicino posto di polizia e faccio una dichiarazione così concepita: mentre mi trovavo in quella certa strada, la solitudine e l'oscurità mi hanno rubato l'orologio ed il portafogli. Sebbene non abbia detto niente di propriamente sbagliato, il minimo che mi può capitare è di essere preso per un mezzo matto. Per descrivere esattamente la situazione devo dire che alcuni non identificati malfattori, favoriti dalla solitudine e protetti dall'oscurità, mi hanno derubato dei miei oggetti preziosi. Bene, nella dimenticanza c'è una situazione esattamente analoga: favorita dalla mia stanchezza, da disturbi tossici e circolatori, una forza sconosciuta mi priva della facoltà di disporre dei nomi propri; ma si tratta della stessa forza che in altri casi può provocare gli stessi disturbi della memoria anche in condizioni di perfetta salute e capacità fisica.

Quando analizzo i casi di dimenticanza di nomi che ho osservati su me stesso, ho quasi sempre modo di constatare che il nome dimenticato è associato ad un argomento che mi tocca da vicino e tale da provocare in me emozioni intense e spesso penose. Seguendo l'uso comodo e raccomandabile della scuola di Zurigo (Bleuler, Jung, Riklin) posso esprimere lo stesso concetto con questa formula: il nome dimenticato ha sfiorato in me un «complesso personale».

Tra il nome dimenticato e la mia persona si è stabilito un rapporto inatteso, per lo più determinato da un'associazione superficiale (doppia accezione della parola, omofonia), che si può definire, in linea generale, come un rapporto secondario. Per chiarirne meglio la natura mi servirò di qualche semplice esempio:

1.  Un paziente mi prega d'indicargli una stazione termale sulla Riviera. Io conosco una località di questo tipo, situata nei pressi di Genova, e ricordo anche il nome del collega tedesco che vi esercita, ma non riesco a ricordare il nome di questo luogo, anche se mi sembra di conoscerlo bene. Non mi resta che pregare il paziente di aspettare un momento, e vado ad informarmi dalle donne di casa: «Come si chiama quella località nei pressi di Genova dove il Dottor N. ha una piccola clinica e dove è stata curata te signora tal dei tali?». «Proprio tu dimentichi questo nome? È Nervi».

Il fatto è che Nervi si pronuncia quasi come Nerven [nervi], e questi sono costante oggetto delle mie preoccupazioni.

2.  Un altro mio paziente mi parla di un vicino luogo di villeggiatura e afferma che, oltre a due noti alberghi, ce n'è un terzo, collegato nella sua memoria ad un certo ricordo ed il cui nome mi dirà tra poco. Io contesto l'esistenza di questo terzo albergo e per avvalorare le mie parole invoco il fatto che in quel luogo io ho trascorso sette estati consecutive e che lo conosco, perciò, meglio del mio interlocutore. Stimolato dalla contraddizione, questi finisce col ricordare il nome. L'albergo si chiama Der Hochwartner. Sono costretto a cedere e ad ammettere che ho abitato per sette estati consecutive nelle immediate vicinanze dell'albergo la cui esistenza avevo proprio allora negata. Ma perché ho dimenticato il fatto ed il nome? Credo sia perché il nome somiglia molto a quello di un mio collega che abita a Vienna e tocca quindi in me anche questa volta il mio complesso «professionale».

3.  Un'altra volta, mentre stavo per prendere un biglietto alla stazione di Reichenhall, non riuscivo a ricordare il nome, che pure mi è molto familiare, della stazione successiva per la quale sono passato tante volte. Così, dovetti mettermi a ricercarla con impegno sull'orario ferroviario. Questa stazione si chiama Rosenheim. Capii subito per quale associazione il nome mi era sfuggito. Un'ora prima ero stato a trovare mia sorella nella località, presso Reichenhall, dove trascorreva le vacanze; mia sorella si chiama Rose; il luogo in cui essa si trovava era dunque per me un Rosenheim 7 [«Casa di Rosa».]. Insomma, in questo caso la dimenticanza è stata provocata dal «complesso familiare».

4.  Sono in grado di dimostrare quest'azione veramente devastatrice del «complesso familiare», con tutta una serie di esempi.

Un giorno venne a chiedermi consiglio un giovane, fratello minore di una mia paziente. L'avevo già visto un'infinità di volte e lo chiamavo per nome. Quando, in seguito, volli parlare della sua visita, non riuscii assolutamente, nonostante tutti gli sforzi possibili, a ricordare il suo nome che, ne ero certo, non era affatto fuori del comune. Allora uscii nella strada e mi misi a leggere le targhe dei negozi; non appena il suo nome mi cadde sotto gli occhi, lo riconobbi senza alcuna esitazione. Dall'analisi ho capito che avevo stabilito un paragone tra questo giovane e mio fratello e che mi ero chiesto: in una circostanza analoga mio fratello si sarebbe comportato nello stesso modo o meglio? L'associazione esteriore tra le idee che si riferivano alla mia ed all'altra famiglia era favorita da una circostanza del tutto casuale: le due madri si chiamano nello stesso modo, Amalia. Solo in seguito sono riuscito a spiegarmi i nomi sostitutivi, Daniel e Franz, che mi si erano presentati e non mi avevano fornito alcun chiarimento. Sono, come Amalia, nomi di personaggi dei Masnadieri di Schiller, cui si riferisce uno scherzo di Daniel Spitzer, l'autore delle Passeggiate per Vienna8. [Daniel Spitzer, noto giornalista morto nel 1893, pubblicò in una delle sue Wiener Spaziergänge, il resoconto d'un colloquio con una signora, la quale riteneva che Schiller si fosse ispirato a varie persone della di lei famiglia per scegliere i nomi dei personaggi dei suoi drammi].

5. Un'altra volta, non riuscivo a ricordare il nome di un mio paziente, che fa parte delle mie conoscenze giovanili. L'analisi m'informò del nome ricercato dopo una lunga serie associativa. Il paziente aveva espresso il timore di divenire cieco; questo mi fece pensare ad un ragazzo che aveva perso la vista per il colpo di un'arma da fuoco; e questo ricordo, a sua volta, mi richiamò l'immagine di un altro giovane che si era ucciso sparandosi un colpo di rivoltella; egli portava lo stesso cognome del mio paziente, pur non essendo imparentato con lui. Ma il nome mi è venuto in mente solo dopo che mi fui reso conto del fatto che avevo inconsciamente trasferito, da questi due casi giovanili, un angoscioso stato d'attesa su un mio familiare.

Insomma, il mio pensiero è costantemente attraversato da una corrente di «rapporti personali» di cui in genere non mi rendo conto, ma che si manifesta attraverso la dimenticanza di nomi.

E' come se qualcosa mi spingesse a riferire a me stesso tutto ciò che sento dire e raccontare a proposito di persone estranee, come se ogni notizia su terzi risvegliasse i miei complessi personali. Questa non è certo una mia caratteristica personale; deve piuttosto far parte del modo in cui in genere noi comprendiamo gli «altri». Inoltre, ho motivo di credere che agli altri succeda la stessa cosa.

Il più bell'esempio di questa specie mi è stato fornito da un certo signor Lederer. Durante il viaggio di nozze egli incontrò un tale che conosceva appena e che dovette presentare a sua moglie. Ma aveva dimenticato il nome di questo signore e la prima volta se la cavò con un mormorio indistinto. Ma incontrò questo signore un'altra volta (a Venezia è inevitabile che i turisti s'incontrino) ed allora lo prese in disparte e lo pregò di trarlo d'impiccio, dato che disgraziatamente aveva dimenticato il suo nome. La risposta di quell'estraneo dimostrò che egli era un profondo psicologo: «Capisco bene perché ha dimenticato il mio nome. Io mi chiamo come lei, Lederer!».

Quando s'incontra un estraneo che ha il nostro stesso nome, non si può fare a meno di provare qualcosa di sgradevole. Io ho recentemente provato una sensazione di questo tipo, quando mi si è presentato un certo signor S. Freud. (Ma prendo nota dell'assicurazione di uno dei miei critici, che afferma di comportarsi, in casi di questo genere, in modo del tutto opposto.)9 [La frase tra parentesi fu aggiunta da Freud nel 1907].

6.  L'effetto del «rapporto personale» si ritrova in questo caso, comunicato da Jung10 (C. G. Jung, op. cit).

Un certo signor Y ama, non ricambiato, una donna che ben presto sposa un signor X; e sebbene Y conosca da tempo X ed abbia con lui rapporti d'affari, dimentica costantemente il suo nome, al punto che spesso, quando vuole scrivergli, è costretto a chiedere il suo nome a qualcuno.

Ma in questo caso i motivi della dimenticanza sono più evidenti che in quelli precedenti; qui la dimenticanza appare come la diretta conseguenza dell'antipatia di Y nei confronti del suo fortunato rivale; non ne vuol sentir parlare: «Di lui non sia memoria»11 [Verso di H. Heine, in Aus der Matratzengruft.]

7.  Il motivo della dimenticanza di un nome può essere anche più sottile e consistere in un rancore per così dire «sublimato» nei confronti di una data persona. Così, come certa signorina I. von K., di Budapest, scrive:

«Mi sono fatta una teoria. Ho osservato con una certa chiarezza che uomini portati per la pittura non capiscono niente di musica, e viceversa. Qualche tempo fa m'intrattenevo su questo argomento con una persona a cui dissi: "Finora la mia idea ha sempre trovato conferma, tranne che in un solo caso". Ma quando volli citare il nome di questa persona eccezionale rispetto alle mie teorie, non fui in grado di ricordarlo, pur sapendo che si trattava di un mio carissimo amico. Qualche giorno dopo, sentendo per caso pronunciare questo nome, riconobbi subito che era quello che ricercavo. Il rancore che, senza rendermene conto, nutrivo per questa persona, si era espresso nella dimenticanza del suo nome, pur così familiare».

8.  In questo caso, comunicato da Ferenczi e la cui analisi è interessante soprattutto per il chiarimento delle formazioni sostitutive (come Botticelli - Boltraffio, anziché Signorelli), il rapporto personale ha provocato la dimenticanza di un nome attraverso un meccanismo un po' diverso.

Una signora che conosce un po' di psicoanalisi, non riesce a ricordare il nome dello psichiatra Jung. La serie di nomi sostitutivi è: Kl. (nome di una persona) - Wilde - Nietzsche - Hauptmann. A proposito di Kl. le viene subito da pensare alla signora Kl., che è una persona affettata, manierata, ma che sembra più giovane della sua età. Essa non invecchia. In riferimento sia a Wilde che a Nietzsche, si presenta il concetto di «malattia mentale». Poi dice, in tono scherzoso: «Voi freudiani siete talmente occupati nelle ricerche delle cause delle malattie mentali, da divenire voi stessi mentalmente malati». E poi: «Non riesco a sopportare Wilde e Nietzsche; non li capisco. Ho sentito dire che erano tutti e due omosessuali. Wilde aveva un debole per i giovani» (sebbene questa frase contenga, sia pure in ungherese, il nome esatto, non se ne accorge).12 [Jung in tedesco significa giovane].

A proposito di Hauptmann, le viene da pensare a Halbe, poi a Giovinezza e solo allora, dopo che io ho attirato la sua attenzione sulla parola «Giovinezza», si rende conto che il nome ricercato è Jung.

D'altra parte questa signora che, rimasta vedova a trentanove anni, aveva perso ogni speranza di risposarsi, aveva tutte le ragioni per sottrarsi ad ogni ricordo che si riferisca all'età. Notevole, in questo caso, è l'associazione puramente interiore (associazione di contenuto) tra i nomi sostitutivi e quello ricercato, e l'assenza di associazioni foniche.

9.  Ecco un altro esempio, sottilmente motivato, di dimenticanza di nomi, che la stessa persona interessata è riuscita a chiarire.

«Avevo scelto come esame complementare quello di filosofia; l'esaminatore m'interrogò sulla dottrina di Epicuro e mi chiese i nomi dei filosofi che se ne sono occupati nei secoli scorsi. Risposi col nome di Pierre Gassendi, di cui avevo appunto sentito parlare, al caffè, come di un seguace di Epicuro. L'esaminatore, sbalordito, mi chiese: "Come fa a saperlo?", al che risposi senza esitazione che m'interessavo da tempo a questo filosofo. Ciò mi valse la menzione magna cum laude, ma in seguito anche, disgraziatamente, un'invincibile tendenza a dimenticare il nome di Gassendi. Credo che questo sia dovuto alla consapevolezza della mia malafede. Sarebbe stato meglio che al momento dell'esame non ne avessi fatto menzione».

Per capire meglio l'intensità dell'avversione del soggetto per questo episodio, bisogna sapere che egli attribuisce una grande importanza al suo titolo di dottore e che questo ricordo è tale da diminuire ai suoi occhi questo valore.

10.  Riporto ancora un esempio, meno semplice di quelli precedenti, ma senz'altro plausibile ed istruttivo, di dimenticanza del nome di una città; si tratta del nome di una città italiana, che si sottrae alla memoria per la sua grande rassomiglianza fonetica col nome di una donna, cui si ricollegano vari ricordi affettivi, non esaurientemente descritti nella comunicazione. Sàndor Ferenczi, di Budapest, che ha osservato questo caso su di sé, l'ha giustamente trattato come se analizzasse un sogno o un'idea nevrotica.

Mi trovavo presso una famiglia amica e si parlava, tra l'altro, delle città dell'Italia Settentrionale. Qualcuno osservò che in queste città si ritrovano ancora influenze austriache. Avrei voluto anch'io nominarne una, ma me ne sfuggiva il nome, sebbene sapessi di averci passato due giornate molto piacevoli, il che contrasta con la teoria della dimenticanza formulata da Freud. Invece di quello ricercato, mi si presentò questa serie di nomi: Capua -Brescia - Il leone di Brescia. Questo leone io lo vedevo come se l'avessi avuto davanti agli occhi, sotto forma di una statua di marmo, ma mi resi subito conto che non somigliava tanto al leone del monumento alla Libertà di Brescia (che ho visto in una riproduzione), quanto al leone di marmo che ho visto a Lucerna, sulla tomba delle guardie svizzere cadute alle Tuileries e la cui riproduzione in miniatura si trova sulla mia biblioteca. Infine mi venne in mente il nome che cercavo: Verona. Individuai senza esitazione i motivi della mia amnesia. La colpevole era una vecchia domestica della famiglia che mi ospitava quel giorno. Essa si chiamava Veronica, in ungherese Verona, e mi era molto antipatica per il suo aspetto assolutamente ripugnante, la voce roca e stridula e l'insopportabile familiarità. Inoltre, non sopportavo il modo tirannico con cui trattava i bambini della famiglia. Ed ora mi spiegavo i nomi sostitutivi.

A Capua si era subito associato, nella mia mente, caput mortuum: ed infatti ho spesso paragonato la testa di Veronica a un teschio. La parola ungherese Kapzsi (avido di denaro) ha certamente contribuito a questo spostamento. Naturalmente ritrovai anche le vie associative più dirette tra Capua e Verona, trattandosi di unità geografiche e di parole italiane che, se pronunciate con accento ungherese, hanno la stessa cadenza.

Lo stesso vale per Brescia, ma qui si ritrovano associazioni d'idee che si sono svolte secondo linee laterali più complesse. Ad un certo punto la mia antipatia per Veronica era talmente forte che io la trovavo semplicemente ripugnante e mi ero chiesto con stupore come una creatura del genere potesse avere una vita sentimentale ed essere amata; al solo pensiero di baciarla si prova, dicevo, «una sensazione di nausea». Ma c'era certo un qualche rapporto tra il pensiero di Veronica e quello delle guardie svizzere cadute. Per lo meno in Ungheria il nome di Brescia si trova spesso associato non al leone, ma ad un'altra bestia feroce. Il nome più odiato in questo paese, come del resto in Alta Italia, è quello del generale Haynau, soprannominato la iena di Brescia. Dall'odiato generale vi è dunque un filo conduttore che, attraverso Brescia, porta all'altra città, Verona; un altro filo conduttore porta, attraverso l'idea dell'animale dalla voce roca, che s'aggira tra le tombe - idea cui poi si riconnette la rappresentazione di un monumento funebre — al teschio e alle sgradevoli corde vocali di Veronica, tanto detestata nel mio inconscio e che a suo tempo aveva esercitato in questa casa una tirannia insopportabile quanto quella del generale austriaco dopo le lotte per la libertà in Ungheria ed in Italia.

A Lucerna si associa l'idea dell'estate che Veronica aveva passato con i suoi padroni sul lago dei Quattro Cantoni, nei pressi di questa città; alla guardia svizzera si associa il ricordo della tirannia che essa aveva esercitato non solo sui bambini ma anche sui membri adulti della famiglia, compiacendosi di fare la parte della guardia. Ci tengo a precisare che, a livello cosciente, questa mia antipatia per Veronica è una faccenda superata. Rispetto al periodo cui mi riferivo essa è molto cambiata, e in meglio, nei modi e nell'aspetto, e le rare volte in cui ho avuto occasione di incontrarla si è comportata in modo francamente amichevole. Ma, come al solito, il mio inconscio conserva più ostinatamente le impressioni del passato: è «retrospettivo» e «vendicativo».

Le Tuileries implicano l'allusione ad un'altra persona, un'anziana signora francese che era stata effettivamente una specie di «guardia» per le donne della casa e che tutti, grandi e piccoli, rispettavano, e addirittura temevano un po'. Anch'io sono stato per un po' di tempo suo élève [allievo] per la conversazione francese. A proposito del termine élève mi viene in mente che, durante il mio soggiorno nella Boemia del Nord presso il suocero del mio attuale ospite, sono stato molto divertito sentendo che la gente del posto chiamava gli allievi della locale accademia forestale leoni (Lówen). Può darsi che questo buffo ricordo abbia contribuito allo spostamento delle mie idee dalla iena al leone.

11. Anche l'esempio che segue15 (Cfr. «Zentralblatt für Psychoanal.» I, 9, 1911) è una dimostrazione di come un complesso personale al quale si è sottomessi in un certo periodo possa determinare, dopo molto tempo, la dimenticanza di un nome.

«Due uomini, uno più anziano, l'altro più giovane, che sei mesi prima avevano fatto insieme un viaggio in Sicilia, ricordano insieme le belle giornate, piene d'impressioni, che vi hanno trascorso. Il più giovane chiede: "Come si chiama quella località in cui abbiamo passato la notte, prima di partire per Selinunte? Calatafimi, forse?".

"No", risponde il più anziano, "ne sono sicuro, ma neanch'io ricordo quel nome, anche se ho bene in testa tutti i particolari del nostro soggiorno là. Non appena mi accorgo che qualcuno ha dimenticato un nome che conosco, ne sono come contagiato e dimentico anch'io quel nome. Ma se lo cercassimo? Il solo nome che mi viene in mente è Caltanissetta, ma è senz'altro sbagliato" - "No", dice il più giovane, "il nome comincia per w o, perlomeno, contiene una w".

"Ma questa lettera non esiste nella lingua italiana", dice l'altro.

"Pensavo ad una v, ma ho detto w per abitudine, perché fa parte della mia lingua". L'uomo più anziano non accetta la v.

"Credo", dice, "di aver già dimenticato un bel po' di nomi siciliani. E se facessimo qualche esperimento? Come si chiama, ad esempio, quel luogo che nell'antichità si chiamava Enna? Ah sì: Castrogiovanni".

Un attimo dopo, il più giovane ritrova il nome dimenticato ed esclama: "Castelvetrano!". Egli è contento di poter provare al suo interlocutore che aveva ragione quando diceva che il nome conteneva una v. Il più anziano è ancora un po' esitante; ma dopo essersi convinto che il nome citato dall'altro è esatto, vuole rendersi conto del perché gli fosse sfuggito. Evidentemente - pensa - il fatto è che la seconda metà del nome, Vetrario, assomiglia a Veterano. Mi rendo perfettamente conto che non mi piace pensare alla vecchiaia e ho strane reazioni quando qualcuno me ne parla. Ad esempio, ho rimesso bruscamente al suo posto un amico che stimo molto dicendogli che "ha da tempo superato la giovinezza", perché, mentre si profondeva in lodi nei miei confronti, ha detto anche che non ero più un giovinetto. Il fatto che tutta la mia resistenza fosse accentrata sulla seconda parte del nome Castelvetrano è confermato dal fatto che la sua prima sillaba è la stessa che in Caltanissetta. - "E Caltanissetta?" chiede il più giovane. "Questo nome sembra il vezzeggiativo di una ragazza", confessa il più anziano.

Qualche istante dopo aggiunge: "Anche l'attuale nome di Enna era una sostituzione. Ed ora mi rendo conto che il nome Castrogiovanni, ottenuto sulla base di una razionalizzazione, fa pensare alla giovinezza, proprio come quello di Castelvetrano fa pensare alla vecchiaia".

Il più anziano ritiene così di aver spiegato la propria dimenticanza. Le cause che hanno provocato lo stesso fenomeno nel più giovane, invece, non sono state ricercate.»

Molto interessante è anche il meccanismo della dimenticanza. In molti casi si dimentica un nome non perché questo susciti di per sé i motivi che si oppongono alla sua riproduzione, ma perché, per assonanza o omofonia, presenta somiglianza con un altro nome contro il quale è diretta la nostra resistenza. È chiaro come questa molteplicità di condizioni favorisca straordinariamente la produzione del fenomeno. Ecco qualche esempio:

12. Da E. Hitschmann (Zwei Falle von Namenvergessen, «Internat. Zeitschr. f. Psychoanalyse», I, 1913).

Il signor N. vuole raccomandare a qualcuno la libreria Gilhofer e Ranschburg ma, pur conoscendo bene quella ditta e nonostante tutti i suoi sforzi, non riesce a ricordare che il nome di Ranschburg. Un po' contrariato, torna a casa; ma la faccenda finisce col tormentarlo al punto che egli decide di svegliare il fratello, che sta già dormendo, per chiedergli il nome del socio di Ranschburg. Il fratello glielo dice senza alcuna difficoltà. Il nome «Gilhofer» si associa anzitutto, nella mente di N., a quello di Gallhof, una località in cui ha fatto recentemente una passeggiata, di cui conserva un piacevolissimo ricordo, con un'attraente ragazza. Essa gli ha regalato un oggetto su cui è scritto: «In ricordo delle belle ore trascorse a Gallhof».

Qualche giorno prima della dimenticanza del nome «Gilhofer» N., chiudendo bruscamente il cassetto in cui aveva chiuso l'oggetto, l'aveva gravemente danneggiato; naturalmente, era solo un fatto accidentale ma N., che capiva il significato degli atti sintomatici, non poteva fare a meno di provare un senso di colpa. Dopo questo episodio i suoi sentimenti nei confronti della ragazza erano stati piuttosto ambivalenti, perché egli l'amava certamente, ma certe allusioni matrimoniali lo urtavano, incontravano in lui una forte resistenza.

13.  Dal Dr. Hanns Sachs.

Durante una conversazione su Genova ed i suoi dintorni un giovane avrebbe voluto nominare anche Pegli, ma gli riuscì estremamente difficile ricordare questo nome. Mentre tornava a casa, rifletteva sulla strana dimenticanza di questo nome che pure gli era familiare, e gli si affacciò alla mente la parola Peli, che si pronuncia quasi nello stesso modo. Egli sapeva che Peli è il nome di un'isola dell'Oceano Australe, i cui abitanti hanno conservato delle usanze molto interessanti. Egli ne aveva fatto la descrizione in un'opera di carattere etnologico e pensava di servirsi di questa acquisizione per un'ipotesi personale. Ricordava anche che Peli è il luogo in cui si svolge l'azione di un romanzo che aveva letto con piacere ed interesse, I giorni felici di Vati Zanten, di Laurids Bruun.

I pensieri da cui era stato dominato quel giorno si ricollegavano ad una lettera che aveva ricevuta, quella mattina, da parte di una donna cui era molto attaccato; questa lettera gli faceva temere di dover rinunciare ad un appuntamento. Dopo aver passato la giornata in uno stato di grande abbattimento la sera era uscito con la ferma intenzione di liberarsi di questo pensiero e di godere più che possibile della compagnia che lo aspettava e che apprezzava molto. Il nome Pegli, data la somiglianza fonetica con Peli, era senz'altro tale da sconvolgere il suo progetto perché quest'ultimo nome non presentava per lui solo un interesse di carattere etnologico, ma evocava anche i suoi «giorni felici», e perciò tutti i timori e le preoccupazioni che aveva provato nel corso della giornata. E significativo che questa semplice interpretazione sia stata ottenuta solo dopo che una seconda lettera ebbe trasformato i dubbi su un prossimo incontro in gioiosa certezza.

Se ricolleghiamo questo esempio al caso, in un certo senso analogo, della dimenticanza del nome Nervi, si vede come la doppia accezione di una parola possa essere sostituita dalla rassomiglianza fonetica di due parole.

14.  Quando, nel 1915, scoppiò la guerra con l'Italia, osservai che avevo dimenticato molti nomi di località italiane che pure mi erano familiari. Come molti altri Tedeschi, avevo preso l'abitudine di passare parte delle vacanze in territorio italiano, ed ero perfettamente convinto del fatto che questa massiccia dimenticanza di nomi italiani fosse l'espressione della comprensibile ostilità nei confronti dell'Italia, ostilità che in tutti i Tedeschi si è sostituita all'amicizia di prima.

Accanto a questa dimenticanza diretta, se ne manifestò anche un'altra, indiretta, ma che poteva essere ricondotta alla medesima causa. Avevo una forte tendenza a dimenticare anche alcuni nomi non italiani, e l'analisi mi ha chiarito che questi presentavano sempre una somiglianza fonetica più o meno accentuata con nomi italiani.

Una volta, ad esempio, cercavo di ricordare il nome della città morava di Bisenz. Quando finalmente, dopo molte difficoltà, ci riuscii, mi resi conto che la mia dimenticanza si collegava al palazzo Bisenzi di Orvieto. In questo palazzo si trova l'albergo «Belle Arti», che mi aveva ospitato in tutti i miei soggiorni ad Orvieto. Ma i piacevolissimi ricordi che ne avevo riportato si sono eclissati sotto l'influenza di un cambiamento sopravvenuto nel mio stato d'animo.

Ed ora potrà essere utile esaminare qualche esempio per capire a che varietà d'intenti può servire la dimenticanza di nomi.

15. Da A. J. Storfer (Zur Psychopathologie des Alltags, «Internat. Zeitschr. f. Psychoanalyse», II, 1914).

Una signora di Basilea una mattina viene a sapere che la sua amica d'infanzia Selma X, di Berlino, che sta facendo il viaggio di nozze, è di passaggio a Basilea e vi resterà un solo giorno. Essa si precipita all'albergo e al momento di separarsi le due amiche convengono di ritrovarsi nel pomeriggio e di restare insieme fino alla partenza della berlinese.

Quel pomeriggio, la signora di Basilea dimentica l'appuntamento. Io non conosco le cause della dimenticanza, ma tutto il contesto della situazione (il ritrovarsi con un'amica d'infanzia appena sposata) può dar luogo a varie costellazioni tipiche, tali da opporsi ad un secondo incontro. Un particolare interessante di questo caso consiste in un atto mancato, compiuto nell'inconscia intenzione di consolidare il primo. Proprio all'ora in cui dovrebbe incontrarsi con l'amica di Berlino, la signora dì Basilea si trova in visita presso altri amici. A un certo punto la conversazione cade sul recente matrimonio della cantante d'opera Kurz. La signora di Basilea parla di questo matrimonio in tono critico (!), ma quando vuole pronunciare il nome della cantante, non riesce, con suo gran dispetto, a ricordarne il nome di battesimo (com'è noto, generalmente i cognomi monosillabici vengono pronunciati insieme al nome). La signora di Basilea è ancora più contrariata per questa sua amnesia in quanto ha sentito spesso la cantante Kurz e ne conosce benissimo nome e cognome. Ma prima che qualcuno abbia avuto il tempo di ricordarle questo nome di battesimo, si passa a parlare di altre cose.

La sera di quello stesso giorno la signora si trova di nuovo in compagnia delle stesse persone. Per caso si torna a parlare della cantante di Vienna, e la signora pronuncia senza difficoltà il suo nome: Selma Kurz. Subito dopo, esclama: «Mi viene in mente ora: avevo completamente dimenticato che oggi pomeriggio avevo un appuntamento con la mia amica Selma». Guarda l'orologio e si rende conto che l'amica deve essere già partita.

Non abbiamo ancora una base sufficiente per pronunciarci su questo bell'esempio, che presenta vari punti di interesse. Il caso che segue è molto più semplice: si tratta della dimenticanza non di un nome, ma di una parola straniera, per un motivo insito nella situazione. Ma ormai è evidente che il meccanismo è sempre lo stesso, che si tratti di dimenticanza di nomi propri, di nomi di battesimo, di parole straniere o di frasi.

Nel caso che segue un giovane si crea il pretesto per compiere un atto desiderato dimenticando la parola inglese per oro, che è poi identica a quella tedesca.

16.  Dal dottor Hanns Sachs.

In una pensione un giovanotto conosce un'inglese che gli piace. La prima sera, mentre chiacchiera con lei in inglese, lingua che conosce piuttosto bene, vorrebbe pronunciare la parola oro, ma, nonostante tutti gli sforzi, non riesce a trovare il termine adatto.

Gli si presentano, invece, con insistenza, la parola francese, or, quella latina aurum, quella greca chrysos, ma le respinge tutte, sapendo che non hanno niente in comune col termine ricercato. Alla fine riesce a farsi capire toccando l'anello d'oro che la donna porta al dito; ed allora, mortificatissimo, viene a sapere che la parola ricercata è in tedesco: gold.

Il significato del suo gesto motivato dalla dimenticanza non va ricercato solo nel desiderio che tutti gli innamorati hanno di sentirsi in contatto diretto con la persona amata; esso ci informa anche delle eventuali intenzioni matrimoniali del giovane.

Può darsi che nel suo inconscio la donna, soprattutto se ha simpatia per l'uomo, abbia captato le sue intenzioni erotiche dissimulate dietro la maschera inoffensiva della dimenticanza; ed il modo in cui essa avrà accettato e spiegato quel contatto, può fornire ai due soggetti un sistema inconscio, ma molto significativo, per prevedere come andrà a finire il loro flirt appena cominciato.

17.  Adesso comunicherò un interessante caso, tratto da Stärcke (op. cit., p. 39) di dimenticanza e reminiscenza di un nome proprio, caso notevole perché alla dimenticanza del nome si accompagna, come nell'esempio de La fidanzata di Corinto, l'inesattezza nella riproduzione di una poesia.

Un vecchio giurista e linguista, Z., trovandosi in compagnia, ricorda di aver conosciuto, ai tempi dell'università, uno studente incredibilmente stupido e sulla cui stupidità potrebbe raccontare parecchi aneddoti. Ma non riesce a ricordarne il nome; in un primo momento dice che questo nome comincia con la lettera w, ma poi cambia idea. Ricorda solo che in seguito questo studente era divenuto commerciante di vini [Weinhändler]. Racconta poi un aneddoto sulla sua stupidità, ma continua ad essere stupito del fatto di non ricordare il suo nome.

Alla fine dice: «Era talmente asino che non capisco come sono riuscito ad inculcargli, a forza di ripetizioni, un po' di latino». Dopo un momento ricorda che il nome cercato finiva per ...man. Allora gli chiediamo se gli viene in mente un altro nome terminante in man ed egli risponde: «Erdmann». «E chi e?». «Era un altro studente mio coetaneo di quei tempi». Ma sua figlia gli fa osservare che c'è anche un professor Erdmann. Allora Z. ricorda che recentemente questo professore ha consentito a pubblicare nella rivista da lui diretta solo un estratto di un lavoro di Z., le cui idee non condivide del tutto, fatto che ha sgradevolmente colpito Z. (A questo punto io vengo anche a sapere che un tempo Z. aveva desiderato diventare professore nella stessa materia in cui ora è docente il professor Erdmann; può darsi che questo fosse un altro motivo per cui il nome aveva per Z. un suono sgradevole).

Ed ecco che improvvisamente egli ricorda il nome dello studente sciocco, Lindeman! Dato che già da prima aveva ricordato che il nome terminava per —man, la parte più a lungo sottoposta a rimozione era stata questa, Linde. Lo prego di comunicarmi cosa gli viene in mente a proposito di Linde, ma egli risponde: «Niente». Insisto, dico che è impossibile che questa parola non gli suggerisca nulla ed allora egli mi dice, guardando in alto e tracciandoxcon la mano un gesto in aria: «E va bene, il tiglio [Linde] è un bell'albero. E tutto ciò che ho da dire». Tutti tacciono e si occupano di altro, finché io non sento, qualche istante dopo, che Z. sta recitando, con aria sognante:

Steht er mit festen

Gefügigen Knochen

Auf der Erde

So reicht er nicht auf,

Nur mit der Linde

Oder der Rebe

Sich zu vergleichen16

[«E con forti

docili ossa

sopra la terra

egli all'altezza

nemmeno del tiglio

né della vite

giungere sa».]

Me n'esco in un grido di trionfo: «L'abbiamo trovato, finalmente, il vostro Erdmann», dico. Quest'uomo che «sta sulla terra»17  [Erdmann = uomo terreno] «non sa elevarsi nemmeno al tiglio [Linde], dunque a Lindeman, né alla vigna [Rebe], perciò al mercante di vini [Weinhändler]». In altre parole: questo Lindeman, lo studente sciocco divenuto poi mercante di vini, era senz'altro un asino, ma Erdmann è un asino incomparabilmente più grande. Questi discorsi sferzanti o scherzosi, pronunciati nell'inconscio, sono molto frequenti; perciò credo di poter affermare che abbiamo individuato il principale motivo della dimenticanza.

A questo punto gli chiedo da dove abbia preso quei versi. Z. risponde che fanno parte di una poesia di Goethe che, gli sembra, comincia così:

Edel sei der Mensch,

Hilfreich und gut!18

[«L'uomo sia nobile,

soccorrevole e buono»].

Fra gli altri, c'erano anche questi altri versi:

Und hebt er sich aufwärts,

So spielen mit ihm die Winde.19

[«E quando egli s'innalza

i venti giocano con lui».]

Il giorno dopo cerco questa poesia di Goethe, e posso constatare che questo caso è molto più interessante, ma anche più complicato, di quanto non fosse sembrato a prima vista.

a.  Il testo esatto dei primi due versi è:

Steht er mit festen

Marhigen knochen...20

[«Ritto su salde,

vigorose ossa...».]

«Docili ossa» sarebbe già una combinazione abbastanza strana, ma andai avanti.

b.  Ed ecco gli altri versi di questa strofa:

Auf der wohlbegründeten

Dauernden Erde

Reicht er nicht auf,

Nur mit der Eiche

Oder der Rebe

Sich zu vergleichen21

[« ...Sulla ben salda

duratura terra

egli all'altezza

nemmeno della quercia

né della vite

giungere sa»].

Perciò, in tutta questa poesia non si parla affatto del tiglio [Linde]. Nel suo inconscio la sostituzione della quercia [Eiche] col tiglio [Linde] si è verificata solo per rendere possibile il gioco di parole: «Terra - Tiglio - Vigna» [Erde -Linde - Rebe].

Questa poesia è intitolata: «I limiti dell'umanità» e contiene un paragone tra l'onnipotenza degli dèi e la debolezza degli uomini. Ma la poesia che comincia coi versi: «Edel sei der Mensch - Hilfreich und gut!» è un'altra, che trovo nel libro qualche pagina dopo; è intitolata «Il divino» e contiene anch'essa alcune riflessioni sugli dèi e sugli uomini. Dato che la faccenda non è stata approfondita devo limitarmi a supporre che a determinare la dimenticanza siano intervenuti anche pensieri sulla vita e la morte, sull'effimero e l'eterno, sulla fragilità della vita di Z. e sulla morte futura.

In alcuni di questi casi bisogna far ricorso a tutte le finezze della tecnica psicoanalitica. Rimando chi volesse approfondire l'argomento ad una comunicazione di Ernest Jones (Londra), tradotta in tedesco22 (Analyse eines Falles von Namenvergessen, «Zentralbl. für Psychoanalyse», voi. II, 84, 1911).

18. Ferenczi ha osservato che la dimenticanza di un nome può manifestarsi anche come sintomo isterico ed allora il suo meccanismo è molto diverso da quello degli atti mancati.

L'esempio che segue varrà ad illustrare questa differenza:

«Ho attualmente in cura una malata che, sebbene dotata di una buona memoria, non riesce a ricordare i nomi propri, neanche quelli più comuni ed a lei più familiari. L'analisi ha dimostrato che questo sintomo serve a mettere in evidenza la sua ignoranza.

E questa insistenza sulla sua ignoranza è una forma di rimprovero che essa rivolge ai suoi genitori che le hanno negato una istruzione scolastica superiore.

Dalla stessa causa deriva anche la sua fissazione per la pulizia (psicosi della massaia). È come se essa dicesse ai suoi genitori: "Avete fatto di me una serva"».

Potrei riferire molti altri esempi di dimenticanza di nomi e approfondirne la discussione, ma non mi sembra opportuno commentare già da ora, a proposito di questo primo argomento, quasi tutti gli aspetti che interessano i fenomeni di cui si parlerà successivamente. Vorrei invece riassumere in poche proposizioni i risultati delle analisi riportate.

Il meccanismo della dimenticanza di nomi (o, più esattamente, della dimenticanza passeggera di nomi) consiste nell'ostacolo che si oppone alla riproduzione di un determinato nome, una concatenazione di idee ad esso estranee ed inconsce.

Il nome perturbato ed il complesso perturbatore possono essere collegati da un nesso preesistente, o da un nesso che si stabilisce per vie apparentemente artificiose ed attraverso associazioni superficiali (esteriori).

I complessi perturbatori più efficaci sono quelli che implicano rapporti personali, familiari, professionali.

Un nome che, per la molteplicità dei suoi significati, rientra in più cerchie d'idee (complessi), avrà difficoltà, in alcuni casi, ad inserirsi in una certa sequenza d'idee, essendo legato ad un altro complesso, più intenso.

Una causa molto potente di questi perturbamenti consiste nel desiderio di evitare un ricordo che potrebbe provocare sentimenti spiacevoli o dolorosi.

In linea generale, possiamo distinguere due tipi fondamentali di dimenticanza di nomi: un nome può essere dimenticato sia perché direttamente collegato a qualcosa di sgradevole, sia per il suo nesso con altre parole le quali, a loro volta, richiamino qualcosa di sgradevole. Dunque, i nomi possono essere perturbati nella riproduzione sia per motivi loro, sia per relazioni associative più o meno prossime.

Da uno sguardo d'insieme su queste proposizioni generali possiamo renderci conto del perché la dimenticanza passeggera di nomi costituisce l'atto mancato più frequente che possiamo osservare.

19. Ma non abbiamo certo esaminato tutte le caratteristiche di questo fenomeno. Vorrei ancora far notare che la dimenticanza di nomi è estremamente contagiosa. Basta che, in una conversazione tra due persone, una dica di aver dimenticato un certo nome, ed anche l'altra lo dimentica. Ma la persona per cui la dimenticanza è un fenomeno indotto riesce più facilmente a ricordarlo.

Questa amnesia «collettiva», uno dei fenomeni in cui si manifesta la psicologia della massa, non è stata ancora sottoposta a ricerca psicoanalitica. Theodor Reik è riuscito a spiegare questo fenomeno in un solo caso, particolarmente significativo23 ( Th. Reik, Ueber Kollektives Vergessen, «Internat. Zeitschr. f. Psychoanalyse», VI, 1920).

In un gruppetto di studenti universitari, tra cui due studentesse in filosofia, si parlava dei vari problemi che l'origine del cristianesimo presenta alla storia della cultura e alla scienza delle religioni. Una ragazza che partecipava alla discussione disse di aver trovato un interessante quadro delle correnti religiose che agitavano quell'epoca in un romanzo inglese letto di recente, in cui, tra l'altro, era descritta tutta la vita di Cristo, dalla nascita alla morte. Ma essa non riusciva a ricordare il titolo del romanzo, sebbene avesse ben presente la copertina del libro ed i caratteri tipografici del titolo.

Anche tre dei ragazzi presenti dissero di conoscere questo romanzo ma, fatto strano, anch'essi non riuscivano a ricordarne il titolo.

Solo la ragazza acconsentì a sottoporsi all'analisi, per trovare il motivo della dimenticanza. Diciamo subito che il romanzo in questione era Ben Hur, di Lewis Wallace. I ricordi sostitutivi furono: homo - homo sum - quo vadis?

La ragazza capì da sé che aveva dimenticato il titolo perché questo contiene un'espressione che «né io né nessuna ragazza usa volentieri, soprattutto di fronte a dei ragazzi»24 [Ben Hur in tedesco si pronuncia quasi come bin Hure (sono una puttana)].

L'analisi, molto interessante, ha permesso di portare più avanti la spiegazione.

Tra le associazioni stabilite, anche la traduzione tedesca di homo ha un significato scandaloso25 [In tedesco: der Mensch- l'uomo; das Mensch = la sgualdrina.]

Reik conclude:

La ragazza tratta quella parola come se, pronunciando il titolo, essa confessasse di fronte a dei giovanotti desideri che giudica sconvenienti e che respinge come inaccettabili.

Più brevemente: inconsciamente, essa considera la pronuncia del titolo Ben Hur come equivalente ad una profferta sessuale e la sua dimenticanza corrisponde ad un divieto contro una tentazione inconscia di questo tipo. Abbiamo ragione di pensare che la dimenticanza dei ragazzi sia stata determinata da analoghi processi inconsci. Il loro inconscio ha captato il reale significato della dimenticanza della ragazza e l'ha in certo modo interpretato; la dimenticanza da parte loro è un'espressione di rispetto per il suo atteggiamento difensivo. Si potrebbe dire che con la sua improvvisa amnesia essa ha comunicato loro qualcosa che il loro inconscio ha immediatamente compreso.

Talvolta si verificano anche amnesie in cui intere serie di nomi si sottraggono alla memoria.

Se, per ritrovare il nome dimenticato, se ne ricercano altri, strettamente collegati al primo, succede che sfuggano anche questi altri nomi, che dovevano servire come punto di partenza.

Così, la dimenticanza si estende da un nome ad un altro, quasi a dimostrare l'esistenza di un ostacolo difficilmente sormontabile.