12. Determinismo, credenza nel caso e superstizione. Punti di vista |
La considerazione generale che si trae dai vari casi esaminati può essere così formulata: certe insufficienze del nostro funzionamento psichico (insufficienze il cui carattere generale sarà poi definito con maggior precisione) e certi atti apparentemente non-intenzionali si rivelano - una volta chiariti attraverso l'esame psicoanalitico - perfettamente motivati e determinati da elementi che sfuggono alla coscienza. Per poter essere inserito nella categoria dei fenomeni suscettibili di tale spiegazione, un atto mancato deve rispondere ai seguenti requisiti: a. non deve superare un certo limite fissato a nostro giudizio; cioè non deve superare quelli che noi chiamiamo «i limiti dello stato normale»; b. deve presentare il carattere di turbamento momentaneo, provvisorio. Noi dobbiamo aver compiuto precedentemente l'atto in modo corretto o essere sicuri di poterlo compiere esattamente in qualsiasi momento. Quando qualcuno ci riprende nel momento in cui stiamo compiendo un atto di questo tipo, dobbiamo essere in grado di riconoscere l'esattezza dell'osservazione e la scorrettezza del nostro processo psichico; c. anche se non ci rendiamo conto di compiere o di aver compiuto un atto mancato, non si può dire che questo sia bene caratterizzato se i motivi che l'hanno provocato ci sfuggono e se cerchiamo di spiegarlo con il «caso» o le «disattenzioni». Fanno dunque parte di questa categoria i casi di dimenticanza e gli errori (che non sono effetto di ignoranza), i lapsus tinguae et calami, gli errori di lettura, le sbadataggini e gli atti accidentali. In tedesco, tutte le parole che designano tutti questi atti mancati cominciano con la sillaba ver (Ver-sprechen, Ver-lesen, ver-schreiben, Ver-greifen), il che fa risaltare la loro profonda identità. Una serie di osservazioni, per la maggior parte molto interessanti, si riallaccia alla spiegazione di questi processi psichici. A. Lasciando da parte alcune delle nostre funzioni psichiche, perché non spiegabili in un quadro finalistico, noi misconosciamo l'ampiezza del determinismo cui è sottoposta la nostra vita psichica. In questo ed in altri campi, tale determinismo è più potente di quanto si potrebbe pensare. In un articolo pubblicato nel 1900 sulla rivista Zeit, lo storico di letteratura R. M. Mayer ha dimostrato in modo dettagliato e con numerosi esempi l'impossibilità di commettere un nonsenso intenzionalmente ed arbitrariamente. So da molto tempo che è impossibile pensare ad un numero o ad un nome a caso. Esaminando un numero di più cifre, composto in modo apparentemente arbitrario, come per gioco o per scherzo, si constata sempre che esso è rigorosamente determinato, che si spiega con delle ragioni a cui in realtà non si sarebbe mai pensato. Analizzerò ora brevemente un esempio di nome proprio scelto arbitrariamente e sottometterò poi ad un'analisi più dettagliata un esempio di numero detto a caso, «senza pensare a nulla». Mentre sto lavorando alla pubblicazione del caso clinico di una mia paziente, mi chiedo quale nome le darò. La scelta sembra molto vasta; senza dubbio, certi nomi sono esclusi a priori: innanzitutto il vero nome della paziente, poi i nomi dei membri della mia famiglia (poiché mi dispiacerebbe), infine qualche altro nome di donna troppo fuori dal comune. D'altra parte, non è il caso di pensarci a lungo; penso che mi si presenterà tutta una serie di nomi femminili. Ma mi viene in mente un solo nome, e nessun altro. Dora. Cerco le motivazioni di questa scelta. Chi dunque si chiama Dora? La prima idea che mi viene in mente e che istintivamente sarei portato a respingere come inverosimile è che Dora è il nome della bambinaia di mia sorella. Ma sono troppo esercitato all'analisi per cedere a questo mio primo impulso: conservo questa idea e continuo. Mi ricordo allora un fatterello avvenuto la sera precedente e che mi chiarisce la motivazione cercata. Ho visto sul tavolo della camera da pranzo di mia sorella una lettera con questo indirizzo: «Alla Sig.na Rosa W.». Stupito, ho chiesto di chi si trattasse e sono venuto a sapere che quella ragazza da tutti conosciuta come Dora in realtà si chiama Rosa, nome al quale aveva dovuto rinunciare entrando al servizio di mia sorella, che si chiama appunto Rosa. Ho detto, rattristato: «Questi poverini, non possono neppure conservare il proprio nome!». Sono rimasto per qualche istante silenzioso, pensando a tutte quelle cose serie che si sono perdute nel tempo, ma che potrei ora evocare facilmente e portare alla coscienza. Il giorno seguente, chiedendomi come avrei potuto chiamare una persona che non potevo menzionare col suo vero nome, non trovai che quello di Dora. Questa scelta così esclusiva si basa, d'altra parte, su una solida associazione interna, perché nel caso della mia paziente un influsso decisivo per l'esito della cura era determinato da una persona (una governante) a servizio in casa d'altri. Questo episodio ebbe, qualche anno dopo, un seguito inaspettato. Mentre tenevo una conferenza in cui dovevo parlare del caso di Dora - ormai da molto tempo pubblicato - mi sono ricordato che una delle due colleghe portava il nome così spesso ricorrente nella mia relazione. Mi rivolsi dunque alla giovane collega che conoscevo personalmente scusandomi di non aver pensato a questo dettaglio e dichiarandomi pronto a sostituire quel nome con un altro. Dovevo scegliere rapidamente, cercando di non cadere sul nome dell'altra, dando così un cattivo esempio ai colleghi già edotti in psicoanalisi. Sostituii rapidamente il nome di «Dora» con quello di «Erna» che usai per il resto della mia conferenza. Alla fine mi domandai dove potevo aver preso quest'ultimo nome. Non potei fare a meno di ridere constatando che l'eventualità temuta si era verificata, almeno in parte. L'altra mia collega aveva il cognome di Lucerna, di cui io avevo preso le due ultime sillabe. 2. Comunico per lettera ad un amico di aver terminato la correzione delle bozze del mio libro L'interpretazione dei sogni e di non voler cambiare più nulla di quest'opera «dovesse contenere 2.467 errori». Cerco subito di trovare la provenienza di questa cifra ed allego l'analisi alla lettera diretta al mio amico. Cito quello che annotai allora, quando mi colsi in «flagrante delitto». «Eccoti ancora un contributo alla psicopatologia della vita quotidiana. Nella mia lettera trovi il numero 2.467, che scherzosamente esprime la valutazione arbitraria degli errori che ho commesso nel libro sui sogni. Ora, nella vita psichica non c'è nulla di arbitrario e indeterminato. Puoi perciò liberamente supporre che l'inconscio abbia determinato il numero liberato dalla coscienza. Ho recentemente letto sul giornale che il generale E. M. si è congedato col grado di generale di artiglieria. Ti confesso che questo uomo mi interessa. Quando io facevo il Servizio militare, col grado di medico ausiliario, egli, allora colonnello, venne in infermeria e disse al medico: "Lei mi deve rimettere in sesto in otto giorni, perché devo eseguire un lavoro per l'Imperatore". Considerando mentalmente le fasi della carriera percorsa da quest'uomo, constato dunque che oggi (1899) la sua carriera è terminata e che il colonnello di allora è generale di artiglieria in congedo. Era il 1882 quando lo vidi in infermeria. Ha impiegato dunque diciassette anni a percorrere questa strada. Ne parlo a mia moglie che mi dice: "Allora anche tu dovresti essere già a riposo?". Ma io protesto: "Che Dio me ne liberi!". Dopo questa conversazione mi sono messo al mio tavolo per scriverti. I miei pensieri seguono il loro corso in una giusta direzione. Ho calcolato male; lo so da un punto di riferimento che è molto chiaro nei miei ricordi. La mia maggiore età, cioè il mio ventiquattresimo compleanno, lo festeggiai agli arresti, perché il giorno prima mi ero allontanato senza permesso. Era il 1880; sono passati perciò 19 anni da allora. Ecco il 24 del numero 2,467. Ora prendi la mia età di 43 anni e aggiungi 24; 43 + 24 = 67. Il che significa che alla domanda di mia moglie se anch'io volevo ritirami in pensione, mi sono augurati ancora 24 anni. Sono evidentemente contrariato per non aver fatto, durante questi diciassette anni in cui il colonnello M. è diventato generale d'artiglieria, la sua stessa carriera, eppure provo una gran gioia nel pensare che io ho ancora molto tempo davanti a me, mentre la sua carriera è bell'e finita. Posso dunque dire che anche il numero 2.467, detto senza alcuna intenzione, ha una sua determinazione nell'inconscio.» 3. Dopo questo primo esempio di motivazione di un numero, scelto in apparenza arbitrariamente, ho ripetuto l'esperimento parecchie volte, con numeri diversi e sempre con lo stesso risultato; ma il carattere troppo intimo della maggior parte dei casi ne rende impossibile la pubblicazione. E' proprio per questo che voglio aggiungere un'analisi molto interessante di «un numero scelto a caso», che il dottor Alfred Adler (Vienna) ebbe da una persona «perfettamente sana»1 (Alfred Adler, Drei Psychoanalysen von Zahleneinfallen und obsedierenden Zahlen, Psich-Neur. Wochenschr., N. 28, 1905.) Ho dedicato la serata di ieri alla lettura della Psicopatologia della vita quotidiana e sarei certamente arrivato alla fine, se non mi fosse capitato un incidente abbastanza singolare. Quando lessi che ogni numero che noi evochiamo alla coscienza in modo apparentemente arbitrario ha un preciso significato, decisi di fare un esperimento. Mi venne in mente il numero 1734. Seguirono le seguenti associazioni: 1734: 17=102; 102: 17 = 6. Divisi il numero 1734 in due parti: 17 e 34. Ho 34 anni. Credo di averle già detto che io considero il trentaquattresimo anno come l'ultimo della gioventù; inoltre il giorno del mio ultimo compleanno non ero molto felice. Verso la fine del 17° anno era cominciato per me un periodo molto bello ed interessante del mio sviluppo. Divido la mia vita in periodi di 17 anni ciascuno. Che significato hanno queste decisioni? A proposito di 102, mi ricordo che è il numero del fascicolo della «Biblioteca Universale Reclam» che contiene il dramma di Kotzebue Misantropia e Pentimento. Il mio stato psichico attuale può riassumersi in queste due parole: misantropia e pentimento. Il numero 6 della Biblioteca Reclam (conosco a memoria parecchi numeri di questa collezione) corrisponde a L'errore di Müllner. Sono continuamente tormentato dall'idea che è colpa mia se non sono diventato quello che avrei potuto diventare con le mie capacità. Mi ricordai poi che il numero 34 della Biblioteca Reclam corrisponde ad un racconto dello stesso Miillner, intitolato Kaliber [Il calibro]. Divisi in due questo titolo ed ottenni ka-liber, che contiene le parole «Ali» e «Kali» [potassio]. Un giorno, mentre giocavo a far rime con mio figlio Ali di 6 anni lo esortai a trovare una rima di Ali. Non riuscì a trovarne nessuna e quando volle che ne trovassi una io gli dissi: «Ali reinigt den Mund mit hypermangansaurem Kali». [Ali si pulisce la bocca con il permanganato di potassio]. Ridemmo molto ed Ali fu molto carino. Nei giorni scorsi fui dispiaciuto nel vedere che Ali era un Ka lieber Ali [cioè, che «Ali non era affatto carino»]. Mi chiesi poi quale volume della Biblioteca Reclam porti il numero 17, ma non riuscii a scoprirlo, eppure ero certo che una volta lo sapevo. Probabilmente ho voluto dimenticarlo. Tutti i miei tentativi per ritrovarlo nella memoria furono inutili. Allora tentai di rimettermi a leggere, e lessi meccanicamente, senza capire una parola, continuamente tormentato da quel 17. Spensi la luce e continuai a cercare. Finalmente mi ricordai che il numero 17 avrebbe dovuto corrispondere ad una commedia di Shakespeare. Ma quale? Ecco, Ero Leandro. Era questo, evidentemente, un tentativo idiota della volontà di distogliere la mia attenzione. Mi alzai per consultare il catalogo della Biblioteca Reclam: il numero 17 corrisponde a Macbeth, di Shakespeare. Con mio grande stupore dovetti ammettere di non sapere quasi nulla dì questa tragedia, sebbene mi interessi come gli altri drammi, di Shakespeare. Ricordo solo: assassinio, lady Macbeth, streghe, «è brutto il bello»4 [«È brutto il bello, è bello il brutto!», ripetono le streghe nella prima scena del dramma shakespeariano] e il fatto che a suo tempo avevo trovato molto bella la versione che Schiller ha fatto di Shakespeare. Non ci sono dubbi: volevo dimenticare questo dramma. Pensai che i numeri 17 e 34, divisi per 17, danno 1 e 2. I numeri 1 e 2 della Biblioteca Reclam corrispondono al Faust di Goethe. A suo tempo avevo trovato molte analogie con Faust. Ci dispiace che la discrezione dell'autore non ci consenta di cogliere il significato di tutta questa serie di idee e ricordi. Adler dice che la persona che gli ha comunicato questo caso non è riuscita a fare una sintesi di tutti questi dettagli. Saremmo portati a considerarli privi di interesse se il seguito non contenesse qualche cosa che ci dà la chiave del mistero e ci rende comprensibili il numero 1734 e tutta la serie delle associazioni. I Stamattina mi è capitato un fatto che parla molto in favore della concezione freudiana. Mia moglie, che stamane si è svegliata mentre mi stavo alzando, mi ha chiesto che cosa avessi cercato nel catalogo della Biblioteca Reclam. Le raccontai la storia ed ella trovò che erano tutte astruserie, a parte (e questo dettaglio è molto interessante) il caso di Macbeth. Lei ammetteva l'importanza di quel solo particolare contro il quale m'ero difeso con tanto accanimento. Mi assicurò che ella non pensava assolutamente a niente, quando diceva un numero. Le risposi «Facciamo una prova». Disse il numero 117. Al che le dissi: «17 si ricollega a ciò che ti ho appena raccontato; inoltre ieri ho detto che se una donna ha 82 anni ed il marito ne ha 32, la differenza è troppo grande». Qualche giorno prima avevo preso in giro mia moglie dicendo che era una donnetta di 82 anni. 82 + 35=117. Quest'uomo che non è riuscito a scoprire le cause determinanti del numero da lui pensato, ha scoperto le ragioni del numero che sua moglie aveva scelto in modo apparentemente arbitrario 5 (A proposito del Macbeth - N. 17 della Biblioteca Universale Reclam -, Adler mi comunica che il suo conoscente aveva aderito, all'età di 17 anni, ad una associazione anarchica che mirava ad uccidere il re. Ecco perché aveva dimenticato la trama del dramma. Nello stesso periodo aveva ideato un alfabeto cifrato, nel quale le lettere erano sostituite dai numeri.) In realtà la donna aveva capito benissimo da quale complesso provenisse il numero del marito ed aveva scelto il proprio numero dallo stesso complesso, che era certamente comune ai due soggetti, perché si trattava delle loro rispettive età. È ormai facile cogliere il significato del numero che era venuto in mente al marito. Come dice lo stesso Adler, questo numero esprime un desiderio represso dell'uomo che può essere tradotto così «Per un uomo di 34 anni, come me, ci vuole una donna di 17 anni». Perché non si sottovalutino questi «giochi», aggiungerò un dettaglio che mi ha recentemente riferito Adler: un anno dopo la pubblicazione di questa analisi, la coppia aveva divorziato. Analogamente Adler spiega il prodursi dei numeri ossessionanti. 4. La scelta dei così detti numeri «preferiti» non è senza rapporto con la vita della persona interessata e non è priva di interesse psicologico. Un signore, che ha una predilezione per i numeri 17 e 19, ricorda, dopo alcuni istanti di riflessione, che a 17 anni ha preso la maturità, diventando studente universitario e che a 19 ha fatto il suo primo grande viaggio e, subito dopo, la sua prima scoperta scientifica. Ma soltanto 10 anni più tardi, si è verificata la fissazione di questa preferenza, quando gli stessi numeri hanno acquistato una certa importanza per la sua vita sentimentale. L'analisi dà un significato inaspettato anche per numeri che solitamente usiamo in certe occasioni, in modo apparentemente arbitrario. Così un giorno un altro mio paziente si rese conto che, quando era scontento, aveva l'abitudine di dire: «l'ho già detto dalle 17 alle 36 volte!» e cercò di spiegarsene i motivi. Si ricordò subito di essere nato il giorno 27 di un certo mese mentre suo fratello minore era nato il 26 e che aveva varie ragioni per accusare la sorte di essere stata più benigna verso il fratello che verso di lui. Egli non faceva altro che rappresentare questa ingiustizia della sorte, togliendo 10 giorni dalla sua data di nascita e aggiungendoli a quella del fratello: «Io sono il più vecchio eppure sono stato "defraudato" dal destino». 5. Voglio indugiare con le analisi dei «casi di numeri» perché più di qualsiasi altra osservazione singola dimostrano con precisione l'esistenza di processi intellettuali molto complicati, assolutamente estranei alla coscienza; e d'altra parte, questi casi forniscono i migliori esempi di analisi in cui la collaborazione molto spesso accusata del medico (suggestione) può essere esclusa con una certezza quasi assoluta. Riporto ora l'analisi di un «caso di numero» di un mio paziente, di cui dirò solo che è il più giovane di una famiglia abbastanza numerosa e che ha perso molto presto il padre che adorava. Divertito dall'esperimento, dice il numero 426.718 e si chiede «che cosa mi viene in mente a questo proposito?». Dapprima un detto arguto «Se si va dal medico per farsi curare un raffreddore, esso dura 42 giorni, se non si va dal medico, dura 6 settimane». Questo corrisponde alle prime due cifre del numero 42 = 6x7. Nella pausa che segue questa prima risposta, gli faccio notare che il numero da lui scelto contiene tutte le rime cifre tranne 3 e 5. Dopo questa osservazione, egli continua la sua spiegazione: «noi siamo 7 fratelli e sorelle, io sono il più giovane dei ragazzi, il 3° nella serie dei figli corrisponde a mia sorella A., il 5° a mio fratello L., entrambi sono miei nemici. Da piccolo, pregavo Dio ogni sera perché mi liberasse di quei due che mi tormentavano. Si direbbe che voglia prendermi soddisfazione desiderata, eliminando nel mio numero il fratello cattivo e la sorella detestati». «Poiché questo è il numero dei suoi fratelli e sorelle, che significato ha il 18 alla fine? Eravate solo 7». «Ho pensato spesso che se mio padre fosse vissuto più a lungo, io non sarei rimasto l'ultimo. Se avesse avuto un figlio in più saremmo stati 8 e ci sarebbe stato un fratello più piccolo per il quale avrei avuto la parte di fratello aggiore». Chiarito il significato di questo numero, si tratta di rovare un collegamento tra la prima parte dell'interpretazione d il seguito. Ma ciò riesce molto facilmente partendo dall'idea he ha determinato le ultime due cifre: «Se il padre fosse vissuto più a lungo»; 42 = 6 x 7 esprime il disprezzo per i medici che sono stati incapaci di salvare il padre; perciò egli esprime in questo modo il desiderio che suo padre fosse vissuto più a lungo. II numero, nel suo insieme, corrisponde alla realizzazione dei suoi desideri infantili riguardo alla sua famiglia: desiderio di morte del fratello e della sorella crudeli e rimpianto di non avere un fratello o una sorella più giovani di lui. I due desideri si possono così esprimere in breve: «Se gli altri due fossero morti al posto del padre adorato!»6 (Per maggiore semplicità, ho tralasciato altre idee, meno interessanti, del malato.) 6. Ecco un breve esempio tratto dalla mia corrispondenza. II direttore dell'ufficio telegrafico di L. mi scrive che suo figlio diciottenne e orientato verso la medicina si sta occupando ora della psicopatologia della vita quotidiana e cerca di convincere i suoi genitori dell'esattezza delle mie teorie. Riproduco testualmente uno di questi esperimenti senza prender parte alla discussione che ne segue. «Mio figlio sta parlando con sua madre del cosiddetto "caso" e le spiega che nessun numero, nessuna canzone vengono in mente per caso. Eccovi il seguito della discussione. figlio: Dimmi un numero qualsiasi. madre: 79. figlio: Che pensi a proposito di questo numero? madre: Penso al bel cappello che ho visto ieri. figlio: Quanto costava? madre: 158 marchi. figlio: Ci siamo. 158 : 2 = 79. Sicuramente hai trovato il cappello troppo caro ed avrai pensato: "Se costasse la metà, lo comprerei". A questa deduzione di mio figlio dapprima obietto che le donne in genere non sanno fare i conti troppo bene e che la madre non si rende sicuramente conto che 79 è la metà di 158. La teoria freudiana suppone dunque il fatto inverosimile che il subcosciente calcoli meglio della coscienza normale. "Niente affatto, mi risponde mio figlio; se supponiamo che la mamma non abbia fatto il calcolo 158 : 2 = 79, dobbiamo pensare che le sia capitato di vedere da qualche parte questa divisione, oppure che si sia occupata del cappello in sogno ed essersi resa conto in questa circostanza di quanto verrebbe a costare solo la metà".» 7. Ecco un'altra analisi che traggo da Jones7 [E. Jones, «Amer. J. Psychol.», vol. 22, pp. 478, 1911). Un conoscente dice il numero 986 ed io gli chiedo di collegare questo numero ad una sua idea qualsiasi. La prima associazione del soggetto è il ricordo di uno scherzo ormai dimenticato. Sei anni prima, un giornale aveva annunciato che un giorno, il più caldo dell'estate, la temperatura era salita a 986° Fahrenheit, esagerazione grottesca della temperatura di 98,6. Durante questa conversazione ce ne stiamo seduti intorno al camino dove c'è un bel fuoco; il mio interlocutore ha troppo caldo. Si scosta e dice -probabilmente a ragione veduta - che è stato il forte calore del camino a richiamargli alla mente quel ricordo. Ma questa spiegazione non mi soddisfa e voglio sapere perché questo ricordo è stato conservato per tanto tempo nella sua memoria. Mi racconta che quello scherzo l'aveva fatto ridere moltissimo e che si divertiva molto ogni volta che ci pensava. Mi pare che questo buffo episodio non abbia niente di straordinario, tuttavia voglio sapere se non dissimuli un senso di cui il mio soggetto non è cosciente. La sua successiva idea è che la rappresentazione del calore risveglia in lui una marea di altre rappresentazioni, molto importanti: il calore è la cosa più importante del mondo, la fonte della vita ecc. Questa esaltazione in un uomo molto prosaico mi stupisce un po'. Lo prego dunque di proseguire con le sue associazioni: egli fa un successivo riferimento ad una fabbrica che si vede dalla sua camera. Di sera è sua abitudine guardare il fumo e la fiamma che si sprigionano e pensa a questo proposito all'inutile spreco di energie. Calore, fiamma, spreco d'energia attraverso il lungo tubo incavato (del camino): non è difficile trarre una conclusione su queste associazioni e cioè che le rappresentazioni di calore e di fiamma si collegano inconsciamente in lui all'idea dell'amore, così come avviene spesso nel pensiero simbolico, e che un forte complesso di masturbazione ha motivato il numero enunciato. Non gli resta allora che confermare le mie deduzioni. Chi desidera avere un'idea del modo in cui il materiale fornito dai numeri è elaborato nel pensiero inconscio, può leggere l'articolo di C. G. Jung: Contributo alla conoscenza del sogno di numeri («Zentralbl. f. Psychoanal.», I, 1912) e quello di E. Jones: Manipolazione inconscia dei numeri [Ibid., a, 1912]. Nelle mie analisi di questo tipo, sono stato colpito da questi due fatti: innanzitutto dalla certezza quasi sonnambolica con ■cui vado verso un fine sconosciuto e mi tuffo nei calcoli che improvvisamente approdano al numero cercato ed anche dalla rapidità con cui si svolge tutto il resto del lavoro; in secondo luogo, sono stato colpito dalla facilità con cui i numeri si presentano al mio pensiero incosciente, mentre io non sono molto bravo nei calcoli e trovo molte difficoltà a ricordare consciamente le date, i numeri interi, ecc. D'altra parte trovo in queste operazioni inconsce sui numeri una tendenza alla superstizione la cui origine mi è rimasta a lungo oscura8 (Rudolf Schneider, di Monaco, ha sollevato una interessante obiezione su queste deduzioni tratte dall'analisi dei numeri (R. Schneider, Zu Freud's Analytische Untersuchung des Zahleneìnfalles, «Internat. Zeitsch. f. Psychoanal.», I, 1920). Prendeva un numero qualsiasi, ad esempio il primo numero che gli capitava di un libro di storia aperto a caso, oppure proponeva ad un'altra persona un numero qualsiasi e cercava di rendersi conto se, anche trattandosi di un numero imposto, si presentavano idee determinanti. Il risultato ottenuto fu positivo. In uno degli esempi da lui pubblicati e che lo riguarda personalmente, le idee che si sono presentate hanno fornito la stessa determinazione dei numeri spontanei, mentre nel caso di Schneider il numero, di provenienza esterna, non aveva bisogno di ragioni determinanti. In un altro esperimento fatto su un'altra persona, egli ha facilitato il suo compito in modo singolare, proponendole il numero 2, il cui determinismo può essere facilmente stabilito da tutti, con l'aiuto di qualsiasi materiale. R. Schneider trae le seguenti conclusioni dai suoi esperimenti: 1. Noi abbiamo le stesse possibilità psichiche di associazione per i numeri e per i concetti. 2. Il fatto che idee determinanti si presentino a proposito dei numeri spontanei non prova affatto che questi numeri siano stati provocati dalle idee rivelate dall'analisi. La prima di queste conclusioni è perfettamente esatta. Si può trovare per un numero dato un'associazione con la stessa facilità che per un numero pensato da noi e forse con maggiore facilità, perché le cifre poco numerose di cui si compongono i numeri hanno una forza associativa particolarmente intensa. Questo è, allora, molto semplicemente il caso dell'esperimento detto di «associazione», che è stato studiato in tutti i suoi aspetti dalla scuola di Bleuler-Jung. Nei casi di questo genere l'idea (la reazione) è determinata dalla parola (eccitazione). Tuttavia questa reazione potrebbe manifestarsi sotto aspetti molto diversi e gli esperimenti di Jung hanno dimostrato che la reazione, comunque, non è mai dovuta al «caso», ma che dei «complessi» inconsci prendono parte alla determinazione, quando sono colpiti dalla parola, che funge da elemento d'eccitazione. Ma la seconda conclusione di Schneider va troppo lontano. Il fatto che a dati numeri (o a date parole) si presentino associazioni convincenti, non aggiunge nessun elemento nuovo in favore della deduzione di numeri (o parole) che si presentano spontaneamente. Queste idee (numeri, parole) possono essere non-determinate, oppure possono essere determinate dalle idee che si presentano nell'analisi, o da altre idee che non si sono rivelate nell'analisi, nel qual caso l'analisi ci avrebbe portato su una strada sbagliata. Bisogna soltanto liberarsi dall'impressione che questo problema vada posto diversamente per i numeri che per le associazioni di parole. Un esame critico del problema e con esso una giustificazione della tecnica associativa psicoanalitica non e nelle intenzioni di questo libro. Nella pratica psicoanalitica si parte dalla premessa che la seconda delle possibilità menzionate è esatta, e utilizzabile nella maggior parte dei casi. Le indagini di uno psicologo sperimentale hanno mostrato che esse hanno una probabilità molto maggiore rispetto alle altre (Popelreuter). (Cfr. del resto a questo proposito le notevoli argomentazioni di E. Bleuler nel volume Das autistisch undiszipl'' nierte Denken in der Medizin und seine Uberwindung cap. 9, Berlin, 1919). Non ci sorprenderà il fatto che l'esame analitico riveli la determinazione non soltanto dei numeri, ma di qualsiasi parola enunciata nelle stesse condizioni. 8. Jung ha pubblicato un interessante esempio a proposito dell'origine di una parola ossessionante9 [Carl Gustav Jung, Diagnostische Assoziationsstudien, I, p. 215, 1905), vale a dire di una parola che perseguita il soggetto. Una signora mi racconta di essere ossessionata da qualche giorno dalla parola Taganrog, senza che ella sappia l'origine di questo nome. Le chiedo di parlarmi degli avvenimenti affettivi e dei desideri di quest'ultimo periodo. Dopo una certa esitazione, mi confessa di desiderare molto una vestaglia [Morgenrock], ma che suo marito non è molto entusiasta del suo desiderio. Morgenrock [lett.: veste da camera], Tag-an-rock: 10 [Tag-an-rock si può tradurre alla lettera «vestito da giorno»; è evidente l'affinità con Taganrog, nome di una città russa sul Mar d'Azov] è evidente la parziale affinità, sia di significato che di suono, tra queste due parole. L'adozione della forma russa [Taganrog] si spiega col fatto che recentemente la signora ha conosciuto una persona originaria di quella città. 9. Devo al dottor E. Hitschmann la soluzione di un altro caso in cui un verso torna ripetutamente alla memoria di una persona quand'essa si trova in un certo luogo; ma il soggetto interessato ignora l'origine di questo verso e non capisce quali rapporti possano sussistere tra di esso e quella località. Il dottor E. racconta: «Sei anni fa stavo viaggiando da Biarritz a S. Sebastiano. La ferrovia passa sopra il fiume Bidassoa che separa la Francia dalla Spagna. Dal ponte si vede un bellissimo panorama: da un lato una grande vallata ed i Pirenei, e dall'altro una vasta distesa di mare. Era una bella e chiara giornata d'estate, piena di sole e di luce; ero in vacanza, felice di andare in Spagna ed improvvisamente mi vennero in mente questi versi: Aber frei ist schon die Seele, schwebet in dem Meer von Licht 11 [«Ma l'anima, ormai libera, naviga nel mare di luce».]. Ricordo di essermi subito chiesto, ma inutilmente, a quale poesia appartengano questi versi. Dato il ritmo, si trattava sicuramente di versi, ma mi era impossibile ricordare dove li avevo letti. Poiché in seguito mi sono tornati in mente più volte, ricordo di averne parlato con diverse persone, ma nessuno è riuscito ad aiutarmi. L'anno scorso, tornando dalla Spagna, feci lo stesso percorso. Era una notte buia e stava piovendo. Con il viso premuto contro il finestrino, cercavo di distinguere la stazione di confine e vidi che eravamo sul ponte della Bidassoa. Ed ecco che gli stessi verso mi tornarono alla mente senza che io riuscissi a ricordarne l'origine. Alcuni mesi dopo mi capitò tra le mani un volume delle poesie di Uland. I primi versi che mi caddero sott'occhio furono: Aber frei ist schon die Seele, schwebet in dem Meer von Licht, i versi finali di una poesia intitolata Der Waller [Il Pellegrino]. Rilessi la poesia e ricordai vagamente di averla a suo tempo imparata a memoria. L'azione si svolge in Spagna: è questo, mi sembra, l'unico rapporto che esista tra i versi e la località dove mi sono venuti in mente. Poco soddisfatto della mia scoperta, continuai a sfogliare meccanicamente il libro. I versi in questione erano in fondo ad una pagina; in quella immediatamente seguente trovai una poesia intitolata: Il ponte della Bidassoa. Aggiungerò che quest'ultima poesia mi parve ancora più sconosciuta della prima e che cominciava con questi versi: Auf der Bidassoa-brücke steht ein Heiliger altersgrau, segnet rechts die span'schen Berge. segnet links die fränk'schen Gau12 [«Sul ponte della Bidassoa c'è un Santo, vecchio come il mondo; con la mano destra benedice le montagne di Spagna, con la sinistra i paesi della Francia».] B. Questo nostro modo d'interpretare la determinazione dei nomi e dei numeri in apparenza del tutto arbitrari può forse contribuire a chiarire un altro problema. È noto che molte persone sono intimamente convinte dell'esistenza del libero arbitrio contro la supposizione di un determinismo psichico assoluto e rifiutano di piegarsi alla credenza nel determinismo. Come tutti i sentimenti normali, tale convinzione deve avere le sue motivazioni. Credo tuttavia di aver osservato che essa non si manifesta nelle decisioni gravi ed importanti; in tali occasioni si prova piuttosto la sensazione di una coazione psichica: «Sono qui e non posso fare altrimenti». Al contrario, quando si tratta di decisioni insignificanti, si afferma volentieri che si avrebbe potuto decidere altrettanto bene in modo diverso, e che si ha agito liberamente, compiendo un atto di libera volontà non motivata. Le nostre analisi hanno mostrato che non è necessario contestare la legittimità della convinzione riguardante il libero arbitrio. Una volta fissata la distinzione tra motivazione cosciente e motivazione inconscia, noi possiamo dire solo che la motivazione cosciente non si estende a tutte le nostre decisioni motrici. Minima non curat praetor. Ma ciò che resta non motivato da una parte, riceve la sua determinazione dall'altra, dall'inconscio, e ne risulta che il determinismo psichico è senza soluzione di continuità 13 (Queste idee sulla determinazione rigorosa di atti psichici in apparenza arbitrari hanno già dato ottimi risultati in psicologia e, forse, anche in diritto. Bleuler e Jung hanno così reso comprensibili le reazioni dell'esperimento associativo, esperimento nel corso del quale la persona esaminata risponde ad una parola-stimolo con un'altra parola che le si presenta spontaneamente (parola-stimolo-reazione) e nel quale viene misurato il tempo intercorso tra stimolo e reazione. Nei suoi Diagnostische Assoziationsstudien (1906) Jung ha dimostrato quale ottimo metodo analitico sia l'esperimento associativo. Due discepoli di Hans Gross, professore di diritto penale a Praga, Wertheimer e Klein, hanno fondato su questi esperimenti una tecnica per la «diagnostica del reato» in casi di diritto penale, tecnica che è ora esaminata da psicologi e giuristi. [M. Wertheimer e J. Klein, Arch. Krim. Anthrop., XV, p. 72 (1904).] C. Sebbene la conoscenza della motivazione degli atti mancati di cui ci siamo occupati sfugga al pensiero cosciente, sarebbe desiderabile trovare una prova psicologica dell'esistenza di tale motivazione. Anzi, con una conoscenza più approfondita dell'inconscio potremo forse scoprire questa prova. In due casi ritroviamo fenomeni che sembrano corrispondere ad una conoscenza inconscia, e di conseguenza, rimossa, di questa motivazione. a. Uno dei tratti salienti e più noti del comportamento dei paranoici è che essi attribuiscono un'importanza enorme ai particolari più insignificanti del comportamento altrui, quelli che generalmente sfuggono alle persone normali. Essi interpretano a modo loro questi dettagli e ne traggono le conclusioni più impensate. Ad esempio, l'ultimo paranoico che ho esaminato ha dedotto l'esistenza di un complotto di tutto il suo ambiente, dal fatto che al momento della sua partenza alcune persone alla stazione hanno fatto un certo gesto con la mano. Un altro ha notato il modo di camminare della gente per la strada, di quelli che fanno roteare il bastone, ecc.14 ( Partendo da altri punti di vista, questo modo di interpretare espressioni insignificanti e casuali è stato attribuito al «delirio di relazione».) Mentre l'uomo normale ammette l'esistenza di una categoria di atti accidentali che non hanno bisogno di motivazione, categoria nella quale egli inserisce una parte delle proprie manifestazioni psichiche ed atti mancati, il paranoico esclude ogni elemento causale nelle manifestazioni psichiche altrui. Tutto ciò che egli osserva negli altri è perciò suscettibile di interpretazione. Che origine possiamo attribuire a questo suo atteggiamento? Qui, come in molti altri casi analoghi, egli proietta probabilmente nella vita psichica altrui la sua vita inconscia. Nella coscienza del paranoico si affollano tante cose che nell'uomo normale e nel nevrotico esistono allo stato inconscio, dove la loro presenza è rivelata dalla psicoanalisi!15 (Ad esempio, le invenzioni degli isterici relative a crudeli sevizie sessuali corrispondono, nei minimi dettagli, alle lagnanze dei paranoici affetti da mania di persecuzione. E’ degno di nota, anche se non incomprensibile, che talvolta quello stesso contenuto si manifesta nella realtà, nei procedimenti che i pervertiti pongono in atto per soddisfare le loro brame. Su questo punto il paranoico ha, in un certo senso, ragione: egli vede qualcosa che sfugge all'uomo normale, la sua visione è più penetrante di quella del pensiero normale, ma ciò che toglie ogni valore alla sua conoscenza è il fatto che egli estende agli altri uno stato di cose che è reale soltanto per quello che lo riguarda. Spero che non ci si aspetti da me una spiegazione di questa o quella interpretazione paranoica. Ma pur ammettendo, entro certi limiti, la legittimità di una simile concezione degli atti mancati, rendiamo più facilmente comprensibile la convinzione che, nel paranoico, si riallaccia a tutte queste interpretazioni. C'è qualcosa di vero in tutto ciò, ed è così che i nostri errori di giudizio, anche se non sono patologici, acquistano ai nostri occhi una certezza per noi assoluta. Questo sentimento è giustificato per una certa posizione del ragionamento erroneo o per la fonte dalla quale proviene, e viene poi esteso da noi a tutte le altre cose che vi si connettono. b. Ecco un'altra prova dell'esistenza di una conoscenza inconscia e rimossa della motivazione degli atti mancati e casuali in quell'insieme di fenomeni che formano le superstizioni. Esprimerò ora la mia opinione narrando un fatterello che servirà come punto di partenza delle nostre deduzioni. Al ritorno dalle vacanze, comincio a pensare ai pazienti di cui dovrò occuparmi nel corso del nuovo anno che sta cominciando. Penso prima di tutto ad una vecchia signora che visito da anni due volte al giorno, fornendole le stesse cure mediche. Questa uniformità mi ha spesso offerto una condizione favorevole per esprimere alcune idee inconsce, sia durante il tragitto per andare da lei, sia durante le cure. Ha 90 anni, ed è naturale che all'inizio di ogni anno io mi chieda quanto tempo le resta ancora da vivere. Il giorno a cui si riferisce il mio racconto ho fretta e prendo una vettura per farmi condurre da lei. Tutti i vetturini del deposito davanti a casa mia conoscono l'indirizzo della vecchia signora, perché tutti mi hanno già accompagnato parecchie volte da lei. Ora quel giorno il vetturino non si ferma davanti alla sua casa, ma davanti ad una casa che ha lo stesso numero, sta in una via parallela e in effetti somiglia molto a quella dove abita la mia paziente. Mi rendo conto dell'errore e rimprovero il vetturino che si scusa. Il fatto di essere stato condotto davanti ad una casa che non era quella della mia paziente ha dunque un significato? Per me sicuramente no. Ma se fossi superstizioso, avrei scorto in questo fatto un avvertimento, un indizio del destino, un segno premonitore della prossima fine della vecchia signora. Molti segni premonitori ricordati dalla storia sono fondati un simbolismo del genere. Per me si tratta di un incidente senza alcun significato. Sarebbe stato diverso se, facendo a piedi il tragitto, assorto nelle mie «riflessioni», e «distratto», mi fossi fermato davanti alla casa della via parallela, anziché all'indirizzo esatto della mia paziente. Allora non avrei parlato di caso o di incidente, ma avrei considerato il mio errore come un atto dettato da un'intenzione inconscia e suscettibile di spiegazione. Avrei probabilmente interpretato il mio errore nel senso che mi aspettavo di non trovare presto più in vita la malata. Perciò la differenza tra me ed un uomo superstizioso consiste in questo: io non credo che un avvenimento verificatosi senza alcuna partecipazione della mia vita psichica possa rivelarmi cose arcane sul futuro; credo invece che un'espressione non intenzionale della mia attività psichica possa rivelarmi qualcosa di ignoto che, in fondo, appartiene solo alla mia vita psichica; credo alla casualità esterna (reale) ma non a quella interna (psichica). Insomma, il mio è l'atteggiamento esattamente opposto a quello del superstizioso; egli, non sapendo nulla della motivazione degli atti casuali e degli atti mancati, crede nella casualità psichica; è portato ad attribuire al caso esterno un'importanza che si manifesta nella realtà futura ed a vedere nel caso un mezzo d'espressione di qualcosa che è nascosto nella realtà. Ci sono dunque due differenze tra me e l'uomo superstizioso: prima di tutto, egli proietta all'esterno una motivazione che io cerco nell'interno; in secondo luogo, egli interpreta il caso per mezzo di un avvenimento che io riconduco ad un'idea. Ciò che per lui è occulto per me è inconscio; in noi c'è la tendenza comune a non considerare il caso come tale, ma ad interpretarlo. Ora io sostengo che quest'ignoranza cosciente e questa conoscenza inconscia della motivazione delle casualità psichiche sono una delle radici della superstizione. Proprio perché il superstizioso non sa nulla della motivazione dei suoi atti casuali e perché questa motivazione cerca di imporsi alla sua conoscenza, egli è obbligato a spostarla ed a collocarla nel mondo esterno. Se questo rapporto esiste, è poco probabile che sia limitato solo a questo caso. In effetti, io credo che gran parte della concezione mitologica del mondo, anche quella alla base delle religioni più moderne, non sia altro che «psicologia proiettata nel mondo esterno». La conoscenza oscura 16 (che naturalmente non ha in nulla il carattere d'una vera e propria conoscenza) dei fattori e (dei rapporti psichici dell'inconscio (cioè la percezione endopsichica di tali fattori e di tali rapporti) si riflette - è difficile dirlo in un altro modo, qui dobbiamo ricorrere all'analogia con la paranoia - nella costruzione di una realtà soprasensibile, che la scienza trasforma nuovamente in psicologia dell'inconscio. Al limite, questo punto di vista potrebbe arrivare a dissolvere i miti relativi al paradiso ed al peccato originale, a Dio, al bene e al male, all'immortalità, ecc. e trasformare la metafisica in meta-psicologia. La differenza tra lo spostamento del paranoico e quello del superstizioso non è poi così grande come sembra a prima vista. Da quando gli uomini hanno cominciato a pensare, sono stati costretti a dissolvere antropomorficamente il mondo in una moltitudine di personalità fatte a loro immagine; gli avvenimenti e le casualità, interpretate in modo superstizioso, erano dunque ai loro occhi delle azioni, manifestazioni di persone; cioè essi si comportavano proprio come i paranoici, che traggono delle conclusioni dal minimo segno fornito dagli altri, e come tutti gli uomini normali che formano giudizi sul carattere dei loro simili basandosi sulle loro azioni casuali e non intenzionali. Nella nostra concezione moderna del mondo -concezione scientifica non ancora definitivamente conclusa - la superstizione è un po' fuori luogo; mentre era ammessa nella concezione di epoche prescientifiche, poiché ne era un complemento logico. Aveva dunque relativamente ragione l'antico Romano, che rinunciava ad un progetto importante perché il volo degli uccelli era sfavorevole; agiva in modo conforme alle sue premesse. E se rinunciava al suo progetto perché aveva inciampato sulla soglia della sua porta, si dimostrava superiore a noi increduli, si rivelava miglior psicologo di noi. Il fatto d'inciampare denotava l'esistenza di un dubbio, di un'opposizione interiore a questo progetto, la cui forza poteva annullare quella della sua intenzione al momento della sua realizzazione. In effetti si può essere sicuri del successo completo solo quando tutte le energie psichiche tendono al fine desiderato. Come risponde, nel Guglielmo Teli di Schiller, il protagonista che ha esitato così a lungo prima di colpire la mela sulla testa del figlio, a Gessler che gli chiedeva perché avesse preparato un'altra freccia?». Mit diesem zweiten Pfeil durchschoss ich Euch, Wenn ich mein liebes Kind getroffen hätte, Und Euer-wahrlich, hätt' ich nicht gefehlt 17. [«Con questa seconda freccia avrei trafitto... voi, se avessi colpito il mio bambino; e voi ... in verità, non vi avrei mancato di certo.».] D. Chi ha avuto occasione di esaminare secondo il metodo psicoanalitico le tendenze inconsce dell'uomo, ,ha imparato anche qualcosa di nuovo sulla «qualità» dei motivi inconsci che si manifestano nella superstizione. È nei nevrotici, spesso molto intelligenti e sofferenti di fissazioni e di stati ossessivi, che si può credere con maggior chiarezza che la superstizione è originata da impulsi repressi, di carattere ostile e crudele. La superstizione significa soprattutto attesa di una disgrazia, e chi si augura spesso il male altrui, riuscendo, però, sotto la spinta dell'educazione, a rimuovere tale desiderio, sarà portato a vivere nel timore continuo di una disgrazia che lo punisca per la sua cattiveria inconscia. Naturalmente siamo ben lontani dall'aver esaurito, con queste osservazioni, la psicologia della superstizione. Prima di lasciare questo argomento, è necessario riflettere un momento su questo punto. Siamo proprio sicuri che la superstizione non abbia basi reali, e che fenomeni quali premonizioni, sogni profetici, esperienza telepatica, manifestazioni di forze soprasensibili, ecc., siano semplici prodotti dell'immaginazione, che non hanno alcun rapporto con la realtà? Lungi da me l'idea di formulare un giudizio così rigoroso ed assoluto su fenomeni la cui esistenza è affermata anche da persone di notevole intelligenza. Tutto quello che si può dire è che lo studio di questi fenomeni non può considerarsi esaurito e che si devono compiere nuove, più approfondite ricerche. Si può anche sperare che i dati che noi cominciamo ad avere sui processi psichici contribuiscano a chiarire questi fenomeni, senza costringerci a modificare in modo troppo radicale le nostre concezioni attuali. E quando saremo riusciti a provare la realtà di altri fenomeni ancora, di quelli, per esempio, che costituiscono la base dello spiritismo, noi modificheremo secondo le nuove esperienze le nostre «leggi», senza per questo ribaltare da cima a fondo l'ordine delle cose ed i rapporti sussistenti tra di loro. Restando nei limiti di queste considerazioni, io posso dare a questi interrogativi solo delle risposte soggettive, cioè basate sulla mia esperienza personale. Devo confessare di appartenere a quella categoria di persone indegne davanti alle quali gli spiriti sospendono la loro attività ed alle quali sfugge il soprasensibile, e non mi è mai capitato nulla che potesse far nascere in me la fede nei miracoli. Come tutti gli uomini, ho avuto dei presentimenti e mi sono successe delle disgrazie, ma non c'è mai stata coincidenza, cioè i presentimenti non sono stati seguiti dalle disgrazie né le disgrazie sono state precedute da presentimenti. Da giovane, quando abitavo in una città straniera solo e lontano dai miei, mi è capitato spesso di sentire pronunciare il mio nome da una voce conosciuta e cara; io annotavo il momento preciso in cui si era verificata l'allucinazione, per informarmi coi miei su quello che era avvenuto in quel preciso momento. Ogni volta mi dicevano che non era successo nulla. Al contrario, mi accadde più tardi di lavorare tranquillamente e senza il minimo presentimento, mentre uno dei miei figli stava per morire dissanguato. E nessun presentimento dei miei pazienti ha mai potuto ottenere da me il riconoscimento di fenomeno reale. Debbo tuttavia ammettere di aver fatto in anni recenti alcune singolari esperienze che avrebbero trovato una facile spiegazione se si ammetteva la possibilità della trasmissione telepatica del pensièro. C'è molta gente che crede ai sogni profetici, perché a volte il futuro si realizza come il desiderio lo ha costruito nel sogno. In questo non c'è nulla di strano, tanto più che la credulità del sognatore trascura volentieri le considerevoli differenze che esistono tra il sogno e la sua realizzazione. Un giorno una mia paziente intelligente ed amante della verità ha sottoposto alla mia analisi un bell'esempio di sogno che si può ben definire profetico. Aveva sognato di aver incontrato davanti ad un certo negozio, in una certa strada, un suo vecchio amico medico; quando, il giorno dopo, ella andò al centro della città, incontrò questo signore nel punto preciso visto nel sogno. Le ho fatto notare che questa singolare coincidenza è rimasta senza alcun rapporto con gli avvenimenti successivi e che non è possibile trovare una giustificazione nel futuro. Dall'analisi non è emersa nessuna prova che la signora si sia ricordata del sogno al mattino, cioè prima dell'incontro. Ella riconosce che la situazione non ha niente di miracoloso e che è solo un interessante problema psicologico. Una mattina è passata per una certa strada, ha incontrato il suo vecchio medico davanti ad un negozio, e vedendolo, ha avuto la sensazione di aver sognato questo incontro la notte precedente. L'analisi ha potuto chiarire, con grande probabilità, come si fosse formata in lei questa convinzione, alla quale non si può negare un certo grado di sincerità. Un incontro in un luogo determinato preceduto da una certa attesa è un appuntamento. La vista del vecchio medico ha rievocato in lei il ricordo del tempo passato in cui gli incontri con una terza persona, anch'essa amica del medico, avevano molta importanza. Ella aveva ancora dei rapporti con questa persona e l'aveva attesa invano il giorno precedente il sogno. Se potessi riferire tutti i particolari di questa situazione, potrei facilmente dimostrare che l'illusione del sogno profetico alla vista del vecchio amico corrisponde pressappoco al seguente discorso: «Ah, caro dottore, lei ora mi ricorda i bei tempi in cui N. non si faceva aspettare inutilmente ed era puntuale agli appuntamenti». Ecco un esempio di questa «strana coincidenza», che consiste nell'incontrare una persona alla quale si sta pensando proprio in quel momento. Tale esempio, per la sua semplicità e facilità di interpretazione, può essere considerato un caso tipico. Qualche giorno fa mentre passeggio in città, dopo aver ricevuto il titolo di professore, che, negli Stati monarchici, conferisce una certa autorità, mi lascio prendere da una fantasia infantile di vendetta contro i genitori di una mia ex-paziente. Alcuni mesi fa, essi mi hanno chiamato per una loro figlioletta, che aveva avuto un interessante fenomeno ossessivo in seguito ad un sogno. Il caso mi interessava molto e cercavo di stabilirne le cause, ma i genitori rifiutarono il metodo di cura da me proposto e mi manifestarono la loro intenzione di rivolgersi ad una celebrità straniera, che guariva con l'ipnosi. Dunque io fantastico che, dopo il fallimento completo di questo tentativo, i genitori mi pregano di guarire la bambina, dimostrandomi, ora, la loro completa fiducia, ecc. Io però rispondo: «Ah, sì, ora che sono professore voi avete fiducia. Il titolo non ha aggiunto niente alle mie capacità. Non mi avete voluto quando ero "docente", farete a meno di me ora che sono professore». Improvvisamente le mie fantasie sono interrotte da una voce che mi saluta «Buongiorno, signor Professore!» Alzo la testa e vedo i genitori della mia ex-paziente, dei quali mi stavo vendicando con un immaginario rifiuto alle loro richieste. Mi rendo conto, dopo aver riflettuto un momento, che questa coincidenza non ha niente dì miracoloso. Io ero in una strada diritta, larga, poco frequentata e la coppia camminava verso di me; alzando fugacemente gli occhi, a circa venti passi di distanza, avevo sicuramente visto e riconosciuto il loro viso, ma - come avviene nell'allucinazione negativa - avevo eliminato quella percezione, per i motivi affettivi che si sono poi manifestati nella fantasia sorta in modo apparentemente spontaneo. Riferirò ora un altro caso di «risoluzione di presagio apparente» («Zentralbl. f. Psychoanal.», II, 5), raccontato da Otto Rank. Tempo fa, ho fatto anch'io l'esperienza di strane varianti di quella «strana coincidenza» che consiste nell'incontrare una persona alla quale si sta pensando. La vigilia di Natale, vado alla Banca Austro-Ungarica per cambiare un biglietto da dieci corone in dieci pezzi da una corona d'argento per un regalo. Assorto nelle mie fantasie ambiziose che contrastano con la mia piccola somma e l'enorme massa d'argento accumulata nella banca, svolto nella viuzza dove si trova l'edificio. Vedo un'automobile davanti al portone; molta gente entra ed esce dalla banca. Mi chiedo se gli impiegati avranno il tempo di occuparsi delle mie corone; cercherò di far presto; metterò la banconota sul banco e dirò: «Mi dia dell'oro, per favore». Mi rendo conto immediatamente del mio errore perché io devo chiedere argento, e mi sveglio dalla mia fantasia. A pochi passi di distanza dall'entrata vedo venirmi incontro un ragazzo che mi sembra di conoscere, ma non ne sono sicuro a causa della mia miopia. Quando mi si avvicina, riconosco in lui un compagno di scuola di mio fratello, di nome Gold [oro], anch'egli fratello di un noto scrittore, sul cui aiuto avevo contato molto all'inizio della mia carriera letteraria. Ma questo aiuto non mi venne mai dato e con esso venne a mancare anche il successo materiale, cui sto pensando mentre mi reco in banca. Evidentemente, mentre sono immerso nelle mie fantasticherie, devo aver percepito a livello inconscio la presenza del signor Gold, fatto che la mia coscienza, che sta sognando beni materiali ha espresso con la richiesta di oro, anziché di argento. D'altra parte, il fatto paradossale che il mio inconscio sia capace di percepire un oggetto riconosciuto solo in seguito dall'occhio si spiega con la «preparazione da complesso» (Komplexbereitschaft di Bleuler) particolare che, orientato verso cose materiali, dirige i miei passi verso l'edificio dove avviene lo scambio tra oro e biglietti di banca, eliminando ogni altra preoccupazione. Alla categoria del miracoloso e del misterioso appartiene anche la strana sensazione che si prova in determinati momenti ed in determinate circostanze quando sembra di aver già visto ciò che si vede o di essersi già trovati nella stessa situazione in cui ci si trova attualmente, senza riuscire a ricordare quando ed in quali circostanze. So di esprimermi in modo improprio chiamando sensazione ciò che proviamo in quei momenti. Si tratta piuttosto di un giudizio, e di un giudizio di riconoscimento; ma questi casi hanno un loro carattere del tutto particolare, come il fatto non trascurabile di non riuscire a ricordare ciò che si cerca. Non so se il fenomeno del déjà vu sia stato già preso in seria considerazione per sostenere la tesi dell'esistenza psichica anteriore dell'individuo; ma gli psicologi si sono interessati a questo fenomeno ed hanno espresso le opinioni più diverse a proposito di questo enigma. Nessuna spiegazione proposta mi sembra esatta, perché tengono tutte conto solo dei dettagli che accompagnano i fenomeni e le condizioni che li favoriscono. La maggior parte degli psicologi di oggi trascura completamente i processi psichici che, secondo me, possono dare una spiegazione del fenomeno del déjà vu: mi riferisco alle fantasie inconsce. Non è giusto, secondo me, chiamare illusione la sensazione di aver già vissuto una certa situazione. Si tratta veramente, in quei momenti, di qualche cosa che si è già provato; solo che non può essere ricordato consciamente, perché l'individuo non ne è mai stato cosciente. In breve, la sensazione del déjà vu corrisponde al ricordo di una fantasia inconscia. Ci sono delle fantasie inconsce, ed anche dei sogni ad occhi aperti, che tutti conoscono per esperienza propria. Mi rendo conto che tale argomento meriterebbe una discussione approfondita; ma io esporrò qui l'analisi di un caso di déjà vu, nel quale la sensazione era particolarmente intensa e prolungata. Una donna, oggi di circa 37 anni, crede di ricordarsi con molta precisione di aver fatto a dodici anni e mezzo una visita ad alcune amiche che abitavano in campagna e di aver avuto la sensazione, non appena entrata nel loro giardino, di esserci già stata. La stessa sensazione si ripetè quando essa entrò nella casa, tanto che credeva di conoscere in precedenza l'aspetto della camera successiva, il panorama che si poteva vedere dalla finestra, ecc. Da tutte le informazioni raccolte, risultava che la signora non aveva mai visto prima d'allora quella casa e quel giardino. La signora che me lo raccontava non cercava una spiegazione psicologica di questo fatto, ma vedeva nella sensazione provata allora un presentimento dell'importanza che queste amiche avrebbero avuto in seguito nella sua vita affettiva. Ma ripensando bene alle circostanze in cui s'era verificato questo fenomeno, noi possiamo spiegarlo facilmente. Quando decise di fare questa visita, ella sapeva che le ragazze avevano un unico fratello, gravemente malato. Potè anche vederlo e lo trovò molto mal ridotto e pensò che sarebbe morto presto. Ed anche il suo unico fratello aveva avuto, qualche mese prima, una grave forma di difterite; durante la sua malattia, ella fu portata per qualche settimana da una parente. Ella crede di ricordare che suo fratello l'accompagnò in questa visita in campagna e forse questa era addirittura la sua prima grande uscita dopo la malattia. Su questo punto, però, i ricordi sono particolarmente vaghi, mentre ricorda perfettamente tutti gli altri particolari, e perfino il vestito che indossava quel giorno. Basta poca esperienza per capire che l'aspettativa della morte del fratello ha avuto molta importanza nella vita di questa ragazza e quest'aspettativa o non è mai divenuta cosciente, o ha subito un'energica rimozione in seguito al felice esito della malattia. In caso contrario (se il fratello fosse morto) ella avrebbe dovuto indossare un altro abito cioè un vestito da lutto. A casa delle sue amiche trovò una situazione analoga: l'unico fratello in pericolo di morte (infatti dopo poco tempo morì). Ella avrebbe dovuto ricordarsi consciamente di aver vissuto questa sensazione pochi mesi prima; ma non potendo ricordarlo in quanto il ricordo era stato rimosso, trasferì la sensazione provata alla casa e al giardino ed ebbe un sentimento di «falso riconoscimento» (fausse reconnaissance), l'illusione di aver già visto tutto. Dal fatto della rimozione possiamo concludere che l'attesa di veder morire suo fratello aveva un po' il carattere di un desiderio capriccioso; infatti sarebbe rimasta l'unica figlia. Nel corso della nevrosi che si manifestò più tardi, ella era ossessionata dal timore di veder morire i genitori, e l'analisi rivelò che, come sempre, dietro questa paura, c'era un desiderio inconscio dallo stesso contenuto. Sono sempre riuscito a ricondurre le poche e rapide sensazioni di déjà vu da me stesso provate alle costellazioni affettive del momento. Ogni volta si trattava del risveglio di fantasie (inconsce) che corrisponde in me al desiderio di migliorare la situazione 19 1(Questa spiegazione del «déja vu» è stata finora presa in considerazione da un solo osservatore. Il dottor Ferenczi, al quale sono riconoscente per i suoi contributi alla terza edizione di questo volume, mi scrive: «Mi sono convinto, sia per esperienza personale che per quella altrui, che l'inspiegabile senso di déjà vu può essere riducibile a fantasie inconsce delle quali ci si ricorda inconsciamente nella situazione attuale. Sembrava che il caso di un mio paziente fosse diverso, ma in realtà era analogo. Quella sensazione si riproduceva frequentemente, ma ogni volta era possibile ricondurla ad un sogno, o ad una parte di un sogno, poi rimosso. Sembra perciò che il déjà vu derivi non solo dai sogni ad occhi aperti, ma anche dai sogni notturni». (In seguito ho saputo che Grasset nel 1904 ha dato una spiegazione del fenomeno molto simile alla mia). E. Ho esposto tempo fa ad un mio collega, uomo di grande cultura filosofica, alcuni esempi di analisi della dimenticanza dei nomi; egli si è affrettato a rispondermi: «Molto bene, ma nel mio caso le dimenticanze dei nomi si verificano in modo diverso». Evidentemente non bisogna essere così semplicisti; non credo che il mio collega abbia mai pensato a fare l'analisi delle dimenticanze dei nomi; infatti non seppe spiegarmi come avvenivano nei suoi pazienti. La sua osservazione tocca però un problema che molte persone considerano di capitale importanza. La nostra spiegazione degli atti mancati e casuali ha un valore generale oppure vale solo per singoli casi? E, in questa seconda ipotesi, in quali casi si può estendere ai fenomeni che avvengono in modo diverso? La mia esperienza e le mie osservazioni personali non mi permettono di rispondere a questa domanda. Posso solo dire che i rapporti da me stabiliti in questo libro sono tutt'altro che rari, perché ogni volta che li ho cercati - sia in casi personali che in esempi riguardanti i miei pazienti - ho potuto constatarne la realtà o, nei casi meno favorevoli, trovare buone ragioni per ammettere questa realtà. Non c'è da stupirsi se non si trova sempre il senso nascosto di un atto sintomatico, perché è necessario ricordare la parte decisiva delle resistenze interiori che, secondo la loro forza e la loro intensità, ostacolano più o meno efficacemente la soluzione del problema. Infatti è impossibile interpretare tutti i sogni fatti da noi o dai pazienti; per confermarne la validità basterà penetrare un po' più profondamente nel complesso ignoto. Un sogno che il giorno immediatamente successivo sembra refrattario all'analisi, rivela il suo contenuto misterioso una settimana o un mese dopo, quando un cambiamento reale, avvenuto nel frattempo, ha attenuato la forza dei fatti psichici in lotta fra loro. Lo stesso si può dire per la spiegazione degli atti casuali e sintomatici; l'esempio di lapsus citato più sopra: «in una botte attraverso l'Europa» mi ha consentito di dimostrare come un sintomo, all'inizio inspiegabile, possa essere chiarito con l'analisi quando l'interesse reale per i pensieri rimossi diminuisce. Finché c'era la possibilità che mio fratello conseguisse prima di me il titolo tanto ambito, questo errore di lettura resistette a tutti i tentativi di analisi; solo quando fui sicuro dell'impossibilità che il mio timore si verificasse trovai la via giusta per la soluzione dell'enigma. Perciò non è esatto dire che tutti i casi che resistono all'analisi sono originati da un meccanismo diverso da quello da noi esposto; per affermare ciò bisognerebbe avere altre informazioni oltre al fatto negativo. Anche negli individui sani, la tendenza a credere ad un'altra spiegazione delle azioni casuali e sintomatiche manca di ogni forza dimostrativa; del resto, tale tendenza è una dimostrazione delle forze psichiche che hanno dato origine al mistero e che, per conservarlo, lottano e si oppongono alla sua chiarificazione. Non dobbiamo dimenticare, d'altra parte, che le idee e le tendenze rimosse non trovano la loro completa espressione negli atti sintomatici e casuali. Credo che le condizioni tecniche che rendono possibile tale slittamento, tale derivazione delle innervazioni, esistano indipendentemente da questi atti; ma esse vengono usate volentieri dall'intenzione del materiale rimosso di diventare espressione cosciente. Quali sono le relazioni strutturali e funzionali che vengono in aiuto a questa intenzione? Parecchi filosofi e filologi hanno fatto indagini e ricerche per il caso del lapsus linguae. Posto allora che noi distinguiamo tra le condizioni determinanti gli atti sintomatici e casuali, tra il motivo inconscio e le relazioni fisiologiche e psicologiche che gli vengono incontro, resta ancora da risolvere il problema se, nell'ambito della normalità psichica, ci siano ancora altri fattori - oltre il motivo inconscio e al suo posto - che possono servirsi delle stesse relazioni per esprimersi attraverso atti sintomatici e casuali. Ma tale discussione va oltre i limiti che ci siamo proposti. Non intendo neppure esagerare le differenze già esistenti tra la concezione psicoanalitica degli atti mancati e quella corrente. Preferisco menzionare casi in cui queste diversità sono attenuate. Per i casi più semplici e più comuni di lapsus di parola e di scrittura, quando cioè si tratta solo di fusione delle parole o di omissione della parola o delle lettere, non si applicano interpretazioni complicate. Dal punto di vista della psicoanalisi, bisogna dire che in questi casi si tratta di un disturbo qualsiasi dell'attenzione, ma non siamo in grado di stabilire l'origine del disturbo, né la sua finalità; esso è riuscito solo a manifestare la sua esistenza. Anche in questi casi si constata l'intervento di elementi favorevoli, che noi non abbiamo mai contestato, come la somiglianza fonetica e certe associazioni psicologiche. Ma dal punto di vista scientifico, è giusto che, nel giudicare questi rudimentali casi di lapsus di parola e di scrittura, ci si basi sui casi più complessi, l'indagine dei quali ci ha dato notevoli chiarimenti sulla causalità degli atti mancati. F. Dopo le nostre considerazioni sui lapsus linguae, ci è bastato dimostrare che gli atti mancati hanno una motivazione ignota, e ci siamo serviti della psicoanalisi per aprirci una strada verso la conoscenza di tali motivazioni. Finora non ci siamo occupati della natura e delle caratteristiche dei fattori psichici che si manifestano negli atti mancati, o, per meglio dire, non abbiamo cercato di definirle con maggior precisione e di ricercare le leggi che le regolano. Non ci proponiamo di esaurire questo argomento qui, perché i primi tentativi che faremmo per questa strada ci mostrerebbero che esso deve essere affrontato da un'altra parte. A questo proposito si possono fare parecchie domande; io le citerò e ne circoscriverò la portata. 1. Qual è il contenuto e l'origine delle idee e delle tendenze che si esprimono negli atti sintomatici e casuali? 2. Quali sono le condizioni necessarie perché un'idea o una tendenza si manifestino per questo tramite? 3. Si possono stabilire dei rapporti costanti ed univoci tra il genere dell'atto mancato e le qualità dell'idea o della tendenza che esso esprime? Comincerò raccogliendo il materiale necessario per rispondere alla terza domanda. Parlando degli esempi di lapsus lin-guae, abbiamo ritenuto necessario andare oltre il contenuto del discorso intenzionale, ricercando le cause del disturbo al di fuori dell'intenzione. In qualche caso la persona che aveva fatto un lapsus era perfettamente cosciente della sua causa. Nei casi apparentemente più semplici e più evidenti, si trattava di un secondo concetto, foneticamente molto simile, che disturbava l'espressione riuscendo inspiegabilmente a soppiantare il primo («contaminazioni», secondo Meringer e Mayer). In un altro gruppo di casi, l'eliminazione di un concetto era motivata da un riguardo che non era tuttavia abbastanza forte per sopprimerlo completamente (es. «vennero in lurche»). Anche qui la persona è conscia del concetto rimosso. Solo nel terzo gruppo si può affermare con sicurezza che l'idea perturbatrice era diversa da quella intenzionale e si può stabilire tra di loro una distinzione essenziale. L'idea perturbatrice è legata all'idea perturbata da un'associazione (disturbo dato da contraddizione interiore). Le due idee non hanno alcuna affinità interiore e la parola «perturbata» è legata all'idea perturbatrice «spesso» inconscia per mezzo di un'associazione «esterna» talvolta bizzarra. Negli esempi tratti dalle mie analisi, tutto il discorso era sotto l'influenza di un'idea completamente inconscia che diveniva attiva nel momento in cui veniva pronunciato il discorso. Tale idea manifestava la sua esistenza sia provocando un disturbo (Klapoerschlange-Kleopatra), sia per mezzo di un'influenza indiretta, permettendo che le diverse parti del discorso cosciente e intenzionale si disturbassero reciprocamente («durch die ase natmen» invece di «durch die nase atmen», lapsus commesso a proposito del nome di una strada, HASENAUERStrasse, e associato al ricordo di una francese). Le idee represse o inconsce che possono far lascere un lapsus hanno le origini più svariate. Questo rapido esame non ci consente di formulare conclusioni generali su questo argomento. L'esame comparato degli esempi di errori di lettura e di lapsus calami porta agli stessi risultati. In alcuni casi, come nei lapsus verbali, sembra che l'errore sia originato da un lavoro di condensazione non ulteriormente motivato (ad esempio “Apfe”). Sarebbe interessante sapere se ci devono essere determinate condizioni per il verificarsi di tale condensazione, che è un elemento costante del lavoro onirico, ma che interviene in lodo incompleto anche quando siamo svegli. Nessuno degli esempi a noi noti ci può essere di aiuto. Ma non sono d'accordo sul fatto di dedurre da ciò che tali condizioni non esistono, a parte un certo rilassamento dell'attenzione cosciente, perché so da altre fonti che gli atti automatici si distinguono per l'esattezza e la precisione. Piuttosto sono propenso a credere che qui, come avviene spesso in biologia, i fenomeni normali o quasi normali rappresentino oggetto di studio meno facile dei fenomeni anormali. A mio parere, studiando i disturbi più gravi potremo illuminare anche ciò che rimane oscuro nella spiegazione dei disturbi più leggeri. Anche per quel che riguarda gli errori di lettura e di scrittura non mancano esempi in cui la motivazione più probabile sembra quella più remota e complessa. «In una botte attraverso l'Europa» è un errore di lettura, spiegabile con l'influenza di un'idea remota, esterna al contesto, originata da un sentimento di ambizione e gelosia e che utilizza lo scambio della parola Beförderung per creare un collegamento con le cose indifferenti ed innocenti del brano di lettura. E' innegabile che le turbe delle funzioni del parlare si verificano più facilmente e che esse richiedono in misura minore, rispetto ai disturbi di altre funzioni psichiche, l'intervento di forze perturbatrici. Ci troviamo su un piano diverso se analizziamo la dimenticanza in senso vero e proprio, cioè la dimenticanza di avvenimenti passati (la dimenticanza di nomi propri e di vocaboli stranieri, di cui ci siamo occupati nei primi due capitoli, può essere distinta da questa dimenticanza in senso stretto, ed allora si può parlare di nomi «sfuggiti», mentre per la dimenticanza di propositi si può parlare di «omissioni»). Le condizioni fondamentali del processo normale della dimenticanza sono ancora ignote 20 (Riguardo al meccanismo veto e proprio della dimenticanza posso dare le seguenti indicazioni: il materiale dei nostri ricordi è soggetto, generalmente, a due influenze: la condensazione e la deformazione. La deformazione deriva dalle tendenze della vita psichica ed è diretta soprattutto contro le tracce di memorie che hanno conservato efficacia affettiva, tracce che si comportano con maggior resistenza contro la condensazione. Le tracce, diventate indifferenti, si piegano senza opporre resistenza al processo di condensazione, però è evidente che contemporaneamente tendenze deformanti si valgano del materiale indifferente; tali tendenze sono rimaste insoddisfatte nel momento in cui si sono manifestate. Poiché questi processi di condensazione e deformazione si protraggono per lunghi periodi durante i quali tutti gli avvenimenti recenti influiscono sulla trasformazione del contenuto della memoria, abbiamo l'impressione che sia il tempo a rendere i ricordi confusi ed incerti. E molto probabile che nel dimenticare una funzione diretta il tempo non c'entri per nulla. Delle tracce della memoria rimosse si può dire che esse, anche dopo moltissimo tempo, non sono state modificate. L'inconscio è fuori dal tempo. La caratteristica principale e più sorprendente della fissazione psichica è che da un lato tutte le impressioni si mantengono identiche, anche in tutte quelle forme che hanno assunto nei loro successivi sviluppi. Questa situazione non può essere spiegata attraverso l'analogia con nessun campo. Secondo la teoria, ogni stato precedente del contenuto della memoria sarebbe ricostituibile per il ricordo anche se i suoi elementi hanno tramutato tutti gli antichi rapporti in rapporti nuovi.) Dobbiamo pure tener presente che non tutto ciò che consideriamo dimenticato lo è effettivamente. I nostri chiarimenti si riferiscono ai casi in cui la dimenticanza ci meraviglia perché non segue la regola che tutto ciò che non ha importanza può essere dimenticato, mentre ciò che è importante rimane nella memoria. L'analisi dei casi di dimenticanza che sembrano richiedere una spiegazione speciale rivela sempre che la causa della dimenticanza sta nell'avversione a ricordare un fatto suscettibile di rievocare una situazione penosa. Arriviamo così a supporre che tale causa cerca di affermarsi in modo generale nella vita psichica, ma che spesso non riesce a manifestarsi a causa delle forze opposte contro le quali urta. La portata e l'importanza di questa incapacità di ricordare impressioni penose meritano un esame psicologico approfondito; ed è pure impossibile risolvere senza un'indagine più accurata il problema di quali sono le condizioni particolari che, nei singoli casi, favoriscono la realizzazione della tendenza generale a dimenticare. Nella dimenticanza di propositi c'è un altro fattore che si affaccia in primo piano. Il conflitto che - finché si tratta di ricordi penosi - riusciamo solo ad intuire, diventa qui manifesto e l'analisi rivela sempre l'esistenza di una contro-volontà che si oppone al proposito, senza opprimerlo. Come negli atti mancati, di cui abbiamo già parlato, si distinguono anche qui due tipi di processi psichici: la controvolontà può volgersi direttamente contro il proposito (quando si tratta di un progetto di una certa importanza) oppure (nei progetti «indifferenti») non ha alcuna affinità col proposito, al quale è collegata solo per mezzo di un'associazione puramente «esteriore». Il medesimo conflitto caratterizza il fenomeno della sbadataggine. L'impulso che si manifesta come turba dell'azione spesso è un contro-impulso; ma ancora più spesso si tratta di un impulso estraneo, che coglie l'occasione per manifestarsi, disturbando un'azione mentre sta per essere eseguita. I casi in cui i disturbi sono originati da una contraddizione interna sono i più importanti e si collegano, a loro volta, ad atti ancora più importanti. Negli atti sintomatici e casuali, poi, il conflitto interiore ha una parte sempre meno importante. Queste manifestazioni, alle , quali la coscienza dà pochissima importanza - o non le considera affatto - servono così ad esprimere le più svariate tendenze represse inconsce. Esse sono per lo più una rappresentazione simbolica dei sogni e dei desideri. In risposta alla prima domanda sull'origine delle idee e delle tendenze che si esprimono negli atti mancati, si può dire che, in un certo numero di casi, le idee perturbatrici derivano dalle tendenze represse. Egoismo, gelosia, ostilità, e tutti i sentimenti e gli impulsi compressi dall'educazione morale si esprimono nell'atto mancato, per manifestare in qualche modo la loro forza incontestabile, ma non riconosciuta dalle istanze psichiche superiori. Questa tacita libertà concessa agli atti mancati e casuali è in buona parte una comoda tolleranza dell'elemento immorale delle tendenze represse in cui le pulsioni sessuali hanno una parte tutt'altro che trascurabile. Solo in rari esempi riportati in quest'opera l'analisi è riuscita a ritrovare il fattore sessuale; ma ciò è dovuto unicamente alla scelta del materiale. Gli esempi si riferivano per la maggior parte alla mia vita psichica, e perciò la scelta era necessariamente parziale, con la tendenza ad escludere qualsiasi rapporto con la vita sessuale. In altri casi le idee perturbatrici sembrano provenire da obiezioni e considerazioni del tutto innocenti. Risponderemo ora alla seconda domanda: quali sono le condizioni psicologiche necessarie perché un'idea appaia in una forma per così dire parassitaria, si presenti come una modificazione ed un disturbo di un'altra idea invece di esprimersi pienamente e francamente? Gli esempi più tipici di atti mancati ci indicano che dobbiamo cercare tali condizioni in rapporto con la coscienza, nel carattere più o meno accentuato dell'elemento o degli elementi «rimossi». Ma, seguendo la serie di esempi, questo carattere appare in sfumature sempre più vaghe. Il desiderio di sbarazzarci di qualcosa che ci porta via inutilmente del tempo, la considerazione che l'idea in questione, in fondo, non ha nessun rapporto con lo scopo al quale tendiamo, - questi ed altri motivi dello stesso tipo sembrano avere nella rimozione dell'idea (che in tal caso non può che esprimersi sotto la forma di disturbo di un'altra idea) lo stesso ruolo della condanna morale di una tendenza anti-sociale o di ragionamenti inconsci. Non è così che possiamo intuire la natura generale del determinismo degli atti mancati o casuali. Da queste ricerche emerge un solo fatto importante: più la motivazione di un atto mancato è innocente, meno l'idea espressa con questo atto è scandalosa e inaccessibile alla coscienza, tanto più sarà facile risolvere il fenomeno prestandogli la sufficiente attenzione; i lapsus più insignificanti sono avvertiti immediatamente e corretti spontaneamente. Nel caso in cui gli atti mancati siano propriamente determinati da tendenze rimosse, è necessaria un'analisi approfondita, che a volte incontra grandi difficoltà ed in certi casi può anche fallire. La conclusione di tutto ciò che abbiamo detto è che, se si vogliono avere sufficienti nozioni sulle condizioni psicologiche degli atti mancati e casuali, bisogna orientare le ricerche in un'altra direzione e seguire un'altra strada. Preghiamo il lettore indulgente di giudicare queste considerazioni come frammenti staccati in modo artificioso da un contesto più vasto, da una dimostrazione più completa. G. Ancora qualche parola per indicare la direzione da seguire per giungere a questo insieme più vasto. Il meccanismo degli atti mancati e accidentali, così come ci viene rivelato dall'analisi, presenta, nei suoi punti essenziali un'analogia con il meccanismo della formazione dei sogni, come l'ho descritto nel capitolo sul lavoro onirico della mia Interpretazione dei sogni21 (Vedi L'interpretazione dei sogni, 1899, pp. 209 ss). Qui e là si trovano condensazioni e formazioni di compromesso (contaminazioni); la situazione è la stessa, cioè è caratterizzata dal fatto che le idee inconsce si esprimono come modificazione di altre idee, seguendo strade nuove, indipendentemente dalle associazioni esterne. Le incongruenze, le assurdità e gli errori inerenti al contenuto del sogno, per cui spesso si esita a considerarlo come prodotto di una funzione psichica, si verificano nello stesso modo - anche se con un uso più libero dei mezzi -degli errori comuni della nostra vita di tutti i giorni; in entrambi i casi l'apparenza di funzione scorretta si risolve nella peculiare interferenza tra due o più atti corretti. Da questa coincidenza si arriva ad una conclusione importante: quel metodo particolare di lavoro, che si manifesta in modo più evidente nel contenuto del sogno, può essere considerato solo come stato di sonno della vita psichica, poiché noi osserviamo delle manifestazioni di questo metodo di lavoro nella vita da svegli. Tale considerazione ci impedisce anche di affermare che una profonda dissociazione dell'attività psichica o gli stati patologici della funzione siano le condizioni di questi processi anormali e, in apparenza, strani. Possiamo però dare un giudizio esatto sul lavoro particolare che dà luogo sia alle azioni mancate che alle immagini del sogno, tenendo conto del fatto, stabilito scientificamente, che i sintomi psiconevrotici, in particolare le forme psichiche dell'isteria e della nevrosi ossessiva, riproducono nel loro meccanismo i tratti essenziali di questo metodo di lavoro. Ma abbiamo anche un interesse tutto particolare a considerare gli atti mancati, sintomatici e casuali, alla luce di questa analogia. Mettendoli sullo stesso piano delle manifestazioni psiconevrotiche e dei sintomi nevrotici, diamo un senso ed una base a due affermazioni che si sentono ripetere spesso, cioè che tra lo stato nervoso normale ed il funzionamento nervoso anormale non c'è una distinzione netta e che siamo tutti, più o meno, nevrotici. Non è necessario avere molta esperienza medica per immaginare parecchi tipi di questa nervosità appena abbozzata, di queste formes frustes di nevrosi: casi con pochi sintomi, non violenti, intervallati, con lieve intensità, casi cioè con manifestazioni patologiche attenuate nel numero, nell'intensità e nella durata; è possibile invece non riuscire a trovare il tipo che segna la fase di passaggio tra lo stato normale e quello patologico. Il tipo di cui ci occupiamo e che si manifesta in modo patologico in atti mancati e sintomatici si distingue infatti in quanto i sintomi si riferiscono alle funzioni psichiche meno importanti, mentre tutto ciò che può avere un valore psichico superiore viene fatto senza alcun disturbo. La localizzazione opposta dei sintomi, cioè la loro manifestazione nelle funzioni psichiche più importanti dal punto di vista individuale e sociale, è propria di casi gravi di nevrosi e li caratterizza meglio della molteplicità dei sintomi patologici. Ma la caratteristica sia dei casi lievi che di quelli gravi, e dunque anche degli atti mancati e casuali, è questa: tutti i fenomeni in questione si riferiscono a materiale psichico non completamente represso e che, benché respinto dalla coscienza, ha ancora la possibilità di manifestarsi ed esprimersi.he abbiamo detto è che, se si vogliono avere sufficienti nozioni sulle condizioni psicologiche degli atti mancati e casuali, bisogna orientare le ricerche in un'altra direzione e seguire un'altra strada. Preghiamo il lettore indulgente di giudicare queste considerazioni come frammenti staccati in modo artificioso da un contesto più vasto, da una dimostrazione più completa. G. Ancora qualche parola per indicare la direzione da seguire per giungere a questo insieme più vasto. Il meccanismo degli atti mancati e accidentali, così come ci viene rivelato dall'analisi, presenta, nei suoi punti essenziali un'analogia con il meccanismo della formazione dei sogni, come l'ho descritto nel capitolo sul lavoro onirico della mia Interpretazione dei sogni21 (Vedi L'interpretazione dei sogni, 1899, pp. 209 ss.). Qui e là si trovano condensazioni e formazioni di compromesso (contaminazioni); la situazione è la stessa, cioè è caratterizzata dal fatto che le idee inconsce si esprimono come modificazione di altre idee, seguendo strade nuove, indipendentemente dalle associazioni esterne. Le incongruenze, le assurdità e gli errori inerenti al contenuto del sogno, per cui spesso si esita a considerarlo come prodotto di una funzione psichica, si verificano nello stesso modo - anche se con un uso più libero dei mezzi -degli errori comuni della nostra vita di tutti i giorni; in entrambi i casi l'apparenza di funzione scorretta si risolve nella peculiare interferenza tra due o più atti corretti. Da questa coincidenza si arriva ad una conclusione importante: quel metodo particolare di lavoro, che si manifesta in modo più evidente nel contenuto del sogno, può essere considerato solo come stato di sonno della vita psichica, poiché noi osserviamo delle manifestazioni di questo metodo di lavoro nella vita da svegli. Tale considerazione ci impedisce anche di affermare che una profonda dissociazione dell'attività psichica o gli stati patologici della funzione siano le condizioni di questi processi anormali e, in apparenza, strani. Possiamo però dare un giudizio esatto sul lavoro particolare che dà luogo sia alle azioni mancate che alle immagini del sogno, tenendo conto del fatto, stabilito scientificamente, che i sintomi psiconevrotici, in particolare le forme psichiche dell'isteria e della nevrosi ossessiva, riproducono nel loro meccanismo i tratti essenziali di questo metodo di lavoro. Ma abbiamo anche un interesse tutto particolare a considerare gli atti mancati, sintomatici e casuali, alla luce di questa analogia. Mettendoli sullo stesso piano delle manifestazioni psiconevrotiche e dei sintomi nevrotici, diamo un senso ed una base a due affermazioni che si sentono ripetere spesso, cioè che tra lo stato nervoso normale ed il funzionamento nervoso anormale non c'è una distinzione netta e che siamo tutti, più o meno, nevrotici. Non è necessario avere molta esperienza medica per immaginare parecchi tipi di questa nervosità appena abbozzata, di queste formes frustes di nevrosi: casi con pochi sintomi, non violenti, intervallati, con lieve intensità, casi cioè con manifestazioni patologiche attenuate nel numero, nell'intensità e nella durata; è possibile invece non riuscire a trovare il tipo che segna la fase di passaggio tra lo stato normale e quello patologico. Il tipo di cui ci occupiamo e che si manifesta in modo patologico in atti mancati e sintomatici si distingue infatti in quanto i sintomi si riferiscono alle funzioni psichiche meno importanti, mentre tutto ciò che può avere un valore psichico superiore viene fatto senza alcun disturbo. La localizzazione opposta dei sintomi, cioè la loro manifestazione nelle funzioni psichiche più importanti dal punto di vista individuale e sociale, è propria di casi gravi di nevrosi e li caratterizza meglio della molteplicità dei sintomi patologici. Ma la caratteristica sia dei casi lievi che di quelli gravi, e dunque anche degli atti mancati e casuali, è questa: tutti i fenomeni in questione si riferiscono a materiale psichico non completamente represso e che, benché respinto dalla coscienza, ha ancora la possibilità di manifestarsi ed esprimersi. |