10. Errori |
Gli errori di memoria si distinguono dalle dimenticanze accompagnate da falsi ricordi solo in quanto i primi non vengono riconosciuti come tali ma trovano credito. L'uso della parola «errore» si può ricondurre ad un'altra condizione. Parliamo di errore, invece di parlare di falso ricordo, quando si vuole sottolineare la realtà obiettiva del materiale psichico che si vuole riprodurre, vale a dire quando si vuol ricordare qualcosa che non rientra nell'ambito della vita psichica della persona che cerca di ricordare, di qualcosa cioè che possa essere confermata o negata dalla memoria altrui. In seguito a questa definizione si ha che l'ignoranza è qualcosa di ben diverso dall'errore di memoria. Nella mia Interpretazione dei sogni (1899, terza edizione 1919), ho commesso una serie di errori sui fatti storici o d'altro genere, che ho notato e mi hanno colpito solo quando ho riletto il libro, a pubblicazione avvenuta. Ma esaminando bene la cosa mi sono accorto che questi errori non erano dovuti alla mia ignoranza, ma erano errori di memoria facilmente spiegabili con l'analisi. 1. Nel VI capitolo dico che la città di Marburg (Stiria) è luogo di nascita di Schiller. Trovo la causa di questo errore analizzando un sogno fatto durante un viaggio notturno e dal quale fui bruscamente svegliato dal conduttore che annunciava la stazione di Marburg. Nel sogno era contenuta una richiesta su di un libro di Schiller. Schiller è nato nella città sveva di Marbach e non nella città universitaria di Marburg. E sono certo di averlo sempre saputo. 2. Nel V capitolo, dico che Asdrubale è il padre di Annibale. Questo errore, che mi ha particolarmente seccato, mi ha più degli altri confermato nell'idea che mi ero fatto su errori di questo genere. Pochi lettori sapevano sulla storia dei Barchidi di più di quanto ne sappia io che ho commesso l'errore e me lo sono lasciato sfuggire durante le tre correzioni di bozze. Il padre di Annibale si chiamava Amilcare Barca; quanto ad Asdrubale era il nome del fratello di Annibale e del cognato che gli era stato predecessore nel comando. 3. Nel V capitolo affermo che Giove evirò e scacciò dal trono suo padre Crono. Ho per sbaglio spostato di una generazione questo spaventoso avvenimento: la mitologia greca lo attribuisce a Crono nei confronti di suo padre Urano2 (Questo non fu un vero errore, perché la versione orfica del mito fa ripetere a Giove l’evirazione di suo padre Crono (Roscher, Lexikon der griechischen und römischen Mytologie, Lipsia, 1844). Come è potuto succedere che la mia memoria sia incorsa in simili errori, quando (e spero i miei lettori me ne daranno atto) abitualmente mette a mia disposizione, senza difficoltà, il materiale più svariato ed inusitato? Ed inoltre, come mi sono potuti sfuggire questi errori malgrado tre correzioni di bozze, quasi fossi colto da cecità? Goethe disse di Lichtenberg: «In ciascuno dei suoi scherzi si nasconde un problema». Si può dire lo stesso dei passi citati nel mio libro: dietro ogni errore, c'è una rimozione o, più esattamente, mancanza di sincerità, una deformazione basata sulle cose rimosse. Analizzando i sogni dei quali ho parlato nei passi or ora citati di quel libro ero stato costretto, per la natura stessa dell'argomento al quale si riferivano le idee dei sogni, ad interrompere in un momento preciso l'analisi prima che fosse terminata, ed anche ad attenuare con una leggera deformazione l'importanza di questo o quell'altro dettaglio troppo personale; non potevo fare altrimenti e non avevo altra scelta se volevo citare sogni esemplificativi: mi trovavo in una difficile situazione, derivante dalla natura stessa dei sogni, che esprimono ciò che è rimosso, cioè inaccessibile alla coscienza. Credo, tuttavia, di non aver eliminato tutti gli elementi che potevano turbare le anime sensibili; e penso che la deformazione o la soppressione di alcune idee note a me solo ed in pieno svolgimento non si sia verificata senza lasciare tracce di quelle idee. Ciò che ho voluto sopprimere si è spesso mescolato a mia insaputa con ciò che ho trattenuto e si è manifestato sotto forma di errore. Nei tre esempi citati ritrovo un elemento comune: gli errori sono causati da idee rifiutate in rapporto a mio padre che è morto. Rivediamo questi errori: 1. Se rileggete il sogno analizzato nel VI capitolo della Interpretazione dei sogni, constaterete, sia direttamente, sia attraverso certe allusioni, che ho interrotto la mia esposizione perché a quel punto mi imbattevo in un'idea ostile nei confronti di mio padre. Seguendo una serie di pensieri e ricordi ritrovo una storia spiacevole nella quale i libri hanno una certa importanza, e ritrovo un amico e socio di mio padre che si chiama Marburg, cioè il nome stesso della stazione dove l'annuncio del conduttore aveva interrotto il mio sogno. Nel corso della mia analisi ho voluto nascondere a me stesso e ai miei lettori questo signor Marburg; ma egli si è vendicato intrufolandosi nei miei pensieri e contribuendo a trasformare il nome della città natale di Schiller da Marbach in Marburg. 2. L'errore per cui ho citato Asdrubale in luogo di Amilcare, cioè il nome del fratello al posto di quello del padre, si riallaccia ad un insieme di idee in cui si agitavano l'entusiasmo che ai tempi del liceo avevo provato per Annibale ed il malcontento che mi ispirava il comportamento di mio padre nei confronti dei «nemici del nostro popolo». Avrei potuto lasciare fluire le idee e raccontare come il mio comportamento nei confronti di mio padre sia cambiato in seguito ad un viaggio in Inghilterra dove ho conosciuto il mio fratellastro (figlio del primo matrimonio di mio padre). Mio fratello ha un figlio primogenito della mia età; potevo dunque, senza difficoltà, vedere le conseguenze dell'eventualità che io fossi figlio di mio fratello e non di mio padre. E a questo punto in cui ho interrotto la mia analisi che la fantasia ha falsato il mio testo, facendomi scrivere, anziché il nome del padre, quello del fratello. 3. E’ ancora sotto l'influenza del ricordo di mio fratello che penso di aver commesso l'errore di far avanzare di una generazione lo spaventoso episodio della mitologia greca. Fra i consigli datimi da mio fratello ve n'è uno che mi è rimasto per moltissimo tempo nella memoria: «In quanto al comportamento nella vita - egli disse - non te ne scordare: tu non appartieni alla seconda, ma alla terza generazione, rispetto a nostro padre». Nostro padre si è sposato per la terza volta quando i figli del secondo matrimonio erano già grandicelli. Commento l'errore proprio nel mio libro dove parlo del rispetto che i figli devono ai loro genitori. E successo più di una volta che amici e pazienti dei quali ho pubblicato i sogni o ai quali ho alluso nell'analisi dei sogni stessi mi abbiano fatto notare delle imprecisioni verificatesi nei miei racconti su cose vissute insieme. Anche in questo caso si tratta di errore storico. Avendo esaminati di nuovo, dopo la correzione, tutti i casi che mi sono stati segnalati, mi sono convinto che i miei ricordi su fatti concreti erano errati ogni volta che durante l'analisi avevo intenzionalmente dovuto deformare o dissimulare qualcosa. Dunque, anche qui si tratta di un errore passato inosservato, quale sostituto di una reticenza o rimozione intenzionale. Vanno necessariamente separati gli errori di rimozione da quelli dovuti ad ignoranza effettiva. Fu così, per esempio, che per ignoranza, trovandomi un giorno in escursione nella Wachau nel villaggio d'Emmersdorf, credetti di essere nel paese dove soggiornò il rivoluzionario Fischhof. Le due località hanno in comune solo il nome; Emmersdorf, villaggio di Fischhof, si trova in Carinzia. Ma io non lo sapevo. 4. Ecco un altro errore umiliante ed istruttivo; un esempio di ignoranza, per così dire, temporanea. Un paziente un giorno mi pregò di portargli i due libri su Venezia che gli avevo promesso e che voleva consultare prima di partire per un viaggio in occasione delle vacanze pasquali. «Li ho già preparati», gli risposi ed entrai in biblioteca per prenderli. Ma, in realtà, avevo totalmente dimenticato di preparare quei libri, perché non approvavo affatto quel viaggio del mio paziente, ritenendolo un'inutile interruzione della cura e un danno materiale per me. Diedi una rapida occhiata alla mia biblioteca alla ricerca dei due libri promessi al paziente. L'uno si intitola Venezia centro artistico. Ed eccolo. Ma dovevo avere anche un'opera storica su Venezia, facente parte della stessa collana. Infatti, eccola: / Medici. Porto i due libri al paziente, ma mi accorgo con vergogna dell'errore. Sapevo bene che i Medici non avevano niente a che vedere con Venezia; ma nel momento in cui prendevo l'ultimo libro dalla biblioteca, non mi sembrava sbagliato dare un'opera sui Medici a chi si interessava di Venezia. Ora bisogna che sia franco; avendo più volte rimproverato al mio paziente i propri atti sintomatici, non potevo salvare la mia autorità che usando la sincerità e confessandogli i motivi rimossi della mia prevenzione contro il suo viaggio. Si è meravigliati nel constatare che negli uomini il desiderio di verità è molto più forte di quanto non si creda. Può essere una conseguenza delle mie ricerche psicoanalitiche il fatto che io sono diventato pressoché incapace di mentire. Tutte le volte che provo a deformare un fatto commetto un errore o un atto mancato, che, come nell'ultimo esempio ed in quelli precedenti, rivela la mia mancanza di sincerità. Il meccanismo dell'errore è molto meno rigoroso degli altri atti mancati; voglio dire, genericamente, che un errore si verifica allorché un'attività psichica corrispondente deve lottare contro un'influenza perturbatrice, senza tuttavia che il genere dell'errore sia determinato da quest'ultima rimasta nascosta nel dominio psichico. Aggiungerei che si nota lo stesso stato di cose nella gran parte dei casi di lapsus linguae e lapsus calami e tutte le volte che noi commettiamo l'uno o l'altro di questi lapsus dobbiamo concludere che si tratti di processi psichici estranei alle nostre intenzioni, ma dobbiamo anche ammettere che i lapsus di parola o di scrittura spesso obbediscono alle leggi della somiglianza, della comodità e della rapidità, senza che il lapsus sia riuscito a lasciare tracce del suo carattere nell'errore commesso. È la duttilità del linguaggio che permette la determinazione dell'errore e gli impone dei limiti. Per non parlare unicamente dei miei errori personali, cito ancora qualche esempio che avrebbe potuto essere trattato sia nel capitolo dei lapsus linguae sia in quello degli errori (ciò non ha più alcuna importanza, avendo spiegato l'equivalenza che esiste fra i vari tipi di atti mancati). 5. Avevo proibito ad un mio paziente, che aveva deciso di rompere con la sua amante, di telefonarle, dato che una conversazione non poteva che rendere difficile la lotta contro l'abitudine che egli aveva nei suoi riguardi. Gli consigliai di comunicarle la sua decisione per lettera, malgrado la difficoltà di fargliela pervenire. All'una, egli mi venne ad annunciare di aver trovato un modo per ovviare questa difficoltà e mi domandò, tra l'altro, se poteva invocare la mia autorità di medico. Verso le due, occupato a redigere la lettera di rottura, si interruppe bruscamente e disse a sua madre che gli stava vicino: «Ho dimenticato di domandare al professore se devo parlare di lui». Corse al telefono, chiese la comunicazione e disse: «Per favore potrei parlare con il professore? O sta mangiando?» - «Sei matto, Adolfo?» gli rispose, con tono meravigliato, proprio la voce che per mio consiglio non doveva più sentire. Egli aveva semplicemente «sbagliato» ed aveva chiamato il numero dell'amante anziché il mio. 6. Una giovane donna si propose di fare una visita ad una sua amica sposatasi recentemente, che abitava nella Hasburger-gasse [via Asburgo]. Ella parlava di questa visita durante il pranzo ma per errore disse di dover andare nella Babenberger-gasse [via Babenberg]. Un commensale attirò ridendo la sua attenzione sull'errore (o, se si preferisce, sul lapsus), che ella aveva commesso senza accorgersene. Due giorni prima, in effetti, a Vienna era stata proclamata la Repubblica, la bandiera nera e gialla era stata soppressa per lasciare il posto ai colori della ex Marca Orientale3 [Carlo Magno chiamò l'attuale Austria Marca Orientale. Essa rimase sotto la dinastia dei Babenberger sino al 1246, quando subentrarono gli Asburgo]: rosso, bianco, rosso; gli Asburgo erano stati banditi. La signora in questione non aveva fatto a sua volta che eliminare gli Asburgo dalla strada che portava il loro nome. E vero che esiste a Vienna una Babenbergersfrasse molto conosciuta; ma nessun viennese ne muterebbe il nome in Babenbergergasse 4[Strasse = corso; gasse = via minore]. 7. Durante un viaggio di piacere un istitutore, un giovane molto povero, ma di bella presenza, fece la corte alla figlia del proprietario di una villa, [un ebreo] che durante l'inverno abitava nella capitale. La ragazza si innamorò a tal punto che i suoi genitori consentirono al matrimonio, malgrado le difficoltà per la loro differenza sociale e razziale. Un giorno, l'istitutore scrisse una lettera a suo fratello, nella quale diceva tra l'altro: «La ragazza non è affatto bella ma "affettuosa" e su ciò non c'è nulla da dire. Ma se mi deciderò a sposare un'ebrea, ancora non te lo posso assicurare». Questa lettera finì nelle mani della fidanzata e mise fine all'idillio; contemporaneamente il fratello ricevette una lettera che lo meravigliò molto per il contenuto poiché vi erano dichiarazioni d'amore. Colui che mi ha raccontato questo fatto mi ha assicurato trattarsi di un errore e non di un'astuzia intenzionale. Ho conosciuto un altro caso di una signora non contenta del suo medico che, non osando dirglielo direttamente, raggiunse il suo scopo grazie ad una inversione di lettere; almeno in questo caso posso garantire che era un semplice errore, e non un atto cosciente, servirsi di un classico sistema da commedia. 8. A. A. Brill racconta il caso di una signora, che volendogli domandare notizie di una amica comune, la chiamò per errore con il cognome che questa aveva da ragazza. Quando le si fece notare l'errore, ella dovette ammettere che non sopportava il marito della sua amica della quale non aveva approvato il matrimonio. 9. Ecco un caso di errore che è anche un caso di lapsus linguae. Un giovane padre si reca all'ufficio di stato civile per dichiarare la nascita della sua seconda figlia. Pregato di dire il nome del neonato, risponde: «Hanna», ma l'impiegato gli fa osservare che ha già una figlia che porta quel nome. Possiamo concludere da questo errore che la seconda figlia non era desiderata tanto quanto la prima al momento della nascita. 10. Aggiungo ancora qualche osservazione relativa a confusione di nomi; non occorre dire che queste osservazioni potrebbero figurare in altri capitoli di questo libro. Una signora ha tre figlie, delle quali due sono già sposate, ed è preoccupata per la sorte della terza. Un'amica ha fatto a ciascuna delle ragazze sposate lo stesso regalo di nozze: un bellissimo servizio da tè in argento. Tutte le volte che si parlava di quel servizio, la madre ne attribuisce il possesso alla sua terza figlia. E evidente che attraverso questo errore ella esprime il desiderio di veder sposata anche la sua figlia minore: che presumibilmente riceverebbe lo stesso regalo. Si può interpretare altrettanto facilmente il caso di una madre che confonde il nome delle sue figlie, dei suoi figli e dei suoi generi. Ecco una simpatica confusione dì nomi, di facile spiegazione. Il signor S. G. lo ha osservato su se stesso durante il suo soggiorno in una casa di cura. «Alla tavola comune del sanatorio, nel corso di una conversazione che mi interessava poco e che aveva preso un tono molto convenzionale, rivolsi alla mia vicina una frase particolarmente gentile. La ragazza, che non era più nella prima giovinezza, non potè astenersi dal farmi osservare che non era mia abitudine essere così galante nei suoi confronti. Osservazione che esprimeva, da una parte un certo rammarico e dall'altra una chiara allusione ad una giovane che conoscevamo entrambi e alla quale di solito prestavo più attenzione. Me ne resi subito conto. Nel seguito della conversazione, mi feci riprendere più volte (cosa imbarazzante) dalla mia vicina, che mi ostinavo a chiamare con il nome della ragazza che ella considerava, senza ragione, sua felice rivale.» 11. Inserisco ancora fra gli errori il seguente episodio, che ha un carattere più serio e che mi è stato raccontato da un testimone oculare. Una signora passa una serata in campagna con suo marito e due estranei. Uno dei due è suo intimo amico, cosa ignorata dagli altri e che deve restare tale. Gli amici accompagnano la coppia fino al portone di casa. Aspettando che la porta venga aperta il marito e la donna salutano gli amici. La signora si rivolge ad uno degli estranei, gli tende la mano e gli dice qualche parola gentile. Poi prende il braccio dell'altro (che è il suo amante) e si dirige verso suo marito come volesse prendere il congedo da lui. Il marito accetta la situazione, si toglie il cappello e dice con estrema gentilezza: «Buona notte, signora». La donna, spaventata, lascia il braccio del suo amante e ha ancora il tempo di gridare prima dell'arrivo del portiere: «Dio mio, che cosa spiacevole!». Il marito è di quelli che considerano l'infedeltà della moglie una cosa inconcepibile. Egli ha giurato più volte che in un caso simile più di una vita sarebbe in pericolo. È dunque evidente che egli non poteva comprendere la provocazione espressa dall'errore di sua moglie. 12. Ecco un errore di un mio paziente, che si è riprodotto con significato contrario; è un caso particolarmente istruttivo. Un giovane straordinariamente indeciso finì, dopo lunghe lotte interiori, col decidersi a sposare una ragazza che amava da molto tempo. Dopo aver accompagnato la sua fidanzata, egli salì, tutto raggiante di felicità, su di un tram e domandò al bigliettaio due biglietti. Sei mesi più tardi, si sposò, ma la sua felicità coniugale lasciava a desiderare. Cominciava a chiedersi se aveva fatto bene a sposarsi, cominciava a rimpiangere la compagnia degli amici di una volta ed era molto scontento dei suoceri. Una sera, dopo essere passato a riprendere la moglie dai suoceri, salì con lei su un tram e chiese al bigliettaio un solo biglietto. 13. Il dottor Maeder ci mostra, con un esempio (Nuovi contributi, «Arch. fur Psychol.», VI, 1908), come un desiderio represso controvoglia possa essere soddisfatto con un «errore». Un collega voleva godersi tranquillamente un giorno di permesso ma non ci riuscì perché dovette fare una visita a Lucerna, cosa che lo seccava molto; esitò lungamente ed infine decise di partire. Per distrarsi durante il tragitto Zurigo-Arth-Goldau, leggeva dei giornali. All'ultima stazione cambiò treno e continuò a leggere. Durante questo tragitto il controllore gli fece notare che aveva preso il treno che da Goldau tornava a Zurigo, mentre aveva il biglietto per Lucerna. 14. Il dottor V. Tausk pubblica, nell'articolo Falsa direzione, («Inter. Zeitschr. f. Psychoanal.» IV, 1916-1917), un caso analogo di soddisfazione di un desiderio represso ottenuto per mezzo dell'errore. Arrivavo a Vienna in permesso dal fronte. Un anziano signore, avendo saputo della mia presenza, mi fece pregare di andarlo a visitare, poiché era malato. Accondiscesi al suo desiderio e passai due ore con lui. Quando mi accinsi ad andarmene egli mi domandò quanto mi doveva. «Sono in permesso e non esercito la professione. Consideri la mia una visita amichevole». Il malato esitò, perché si rendeva conto che non aveva il diritto di accettare un consiglio professionale come un servizio amichevole gratuito. Comunque accettò la mia risposta pensando (e questa opinione rispettosa gli era dettata dal desiderio di risparmiare il denaro per la visita) che essendo psicoanalista io sapevo ciò che era giusto. Non tardai ad avere dei dubbi sulla sincerità del mio atto generoso e, in preda a questi dubbi, il senso dei quali era evidente, montai sul tram della linea X. Ad un certo punto dovevo scendere e prendere la linea Y. Mentre aspettavo la coincidenza avevo completamente dimenticato la questione dell'onorario e non pensavo ai sintomi del mio paziente. Infine, il tram che aspettavo arrivò e io vi salii. Ma alla prima fermata fui costretto a discendere perché invece di prendere la linea Y avevo preso la X, cioè una vettura che andava nella direzione da dove venivo come se avessi voluto tornare dal malato dal quale avevo rifiutato l'onorario. Cioè il mio inconscio ci teneva a ricevere l'onorario. 15. È successa anche a me una cosa simile a quella che vi ho raccontata del dottor Maeder. Avevo promesso al mio severo fratello maggiore, di fargli una visita che gli dovevo da lungo tempo. Eravamo d'accordo che sarei andato a trovarlo su una spiaggia inglese e, siccome il tempo a mia disposizione era limitato, dovevo prendere il percorso più breve e non fermarmi in nessun luogo. Avrei voluto riservarmi un giorno per l'Olanda, ma [mio fratello] era del parere che dovevo farlo al ritorno. Partii dunque da Monaco, attraverso Colonia per Rot-terdam-Hoek-van-Holland; da lì avrei preso il battello che sarebbe arrivato a notte a Harwich. A Colonia, dovetti cambiare treno per prendere il rapido per Rotterdam. Mi fu impossibile trovare questo rapido. Mi rivolsi a molti impiegati che mi rinviavano l'uno all'altro; cominciavo a disperare quando consultando l'orario constatai che le ricerche mi avevano fatto perdere il treno. Di fronte a questa realtà, mi chiesi se era il caso di passare la notte a Colonia: questa decisione mi fu ispirata da un sentimento di pietà, perché per una vecchia tradizione di fami' glia i miei antenati furono costretti a fuggire da questa città per le persecuzioni contro gli ebrei. Ma nel giro di poco tempo cambiai idea e mi decisi a partire con un altro treno per Rotterdam, dove arrivai in piena notte. Ciò mi obbligò a passare una giornata in Olanda. Potei così realizzare un progetto a lungo accarezzato; vedere i magnifici quadri di Rembrandt a L'Aja e al museo di Amsterdam. Fu solamente nel pomeriggio del giorno seguente, quando mi trovai nel treno inglese, che ripensando alle mie impressioni, mi ricordai con chiarezza d'aver visto nella stazione di Colonia, appena a qualche passo dal treno con il quale ero arrivato e sullo stesso binario, una grande tabella con la scritta: «Rotterdam-Hoek-van-Holland». Il treno che avrei dovuto prendere per continuare il mio viaggio era lì che mi aspettava. Fu per questo accecamento, veramente inspiegabile, che io mi allontanai da questa indicazione per cercare il treno; a meno che non voglia ammettere che malgrado le raccomandazioni di mio fratello tenessi a vedere i quadri di Rembrandt nel mio viaggio di andata. Tutto il resto: la mia agitazione ben recitata, la buona intenzione, sorta inopinatamente, di passare la notte a Colonia, tutto ciò non era che un artificio destinato a dissimulare a me stesso il mio progetto, fino al momento in cui fossi riuscito a realizzarlo. 16. J. Stärcke5 [Stárcke, op. cit., p. 216] racconta un caso personale nel quale fa un sacrificio dello stesso genere: una «dimenticanza» fatta apposta per permettergli di soddisfare un desiderio al quale credeva di aver rinunciato. Un giorno dovevo tenere in un villaggio una conferenza con proiezioni. La ata di questa conferenza fu rimandata di una settimana. Dopo aver risposto alla lettera che mi annunciava il rinvio di data, mi segnai la nuova sull'agenda, sarei arrivato volentieri in quel villaggio nel pomeriggio, per avere il tempo di fare una visita ad uno scrittore di mia conoscenza, che abitava lì. Malauguratamente non potevo disporre di un pomeriggio libero e rinunciai a quest'ultimo progetto molto a malincuore. Quando arrivò la sera della conferenza, mi recai alla stazione, con in mano una valigia piena di diapositive, e di gran premura. Fui obbligato a prendere un taxi per arrivare in tempo (mi capita spesso, quando devo prendere il treno, di uscire di casa all'ultimo momento ed essere obbligato a prendere il taxi). Arrivato a destinazione mi meravigliai di non trovare alla stazione delle persone per ricevermi (come si usa abitualmente nelle piccole località che invitano un conferenziere). Tutt'a un tratto, i ricordai che la mia conferenza era stata rimandata di una settimana e che vevo fatto un viaggio per niente perché avevo sempre tenuto presente la prima data fissata. Dopo aver maledetto interiormente questa dimenticanza, mi domandai se non avrei fatto bene a riprendere il primo treno per tornare a sa. Ma subito dopo mi dissi che avevo un'eccellente occasione per vedere lo scrittore e parlare a lungo con lui. Ed è ciò che feci. Fu solamente lungo il minino che constatai che il mio desiderio di fare la visita (che altrimenti sarebbe stata impossibile) aveva ordito quel bel complotto. Il fatto che mi ero portato la valigia piena di lastre per proiezione e che mi ero affrettato ad arrivare in orario alla stazione, era servito per dissimulare ancora meglio a me stesso la mia intenzione inconscia. Si potrà dire che gli errori dei quali mi sono occupato in questo capitolo non sono né numerosi né molto significativi. Ma mi permettono di porre la questione se, dal nostro punto di vista, la stessa concezione non si possa ugualmente applicare agli errori di giudizio, molto più importanti, che gli uomini commettono durante la vita e nell'attività scientifica. Solo gli spiriti eletti e quelli idealmente equilibrati sembrano capaci di conservare l'immagine della realtà esteriore percepita, contro le deformazioni che essa subisce nella maggioranza dei casi, passando per l'individualità psichica del soggetto che la riceve. |